guess this is the winter

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    Si è ripromessa di non andare — sono tante, le volte in cui Emilia ha cercato di imporsi contro quel grande tabù che Amunet Carrow rappresenta per lei. La sua migliore amica, visibilmente incinta, ormai è possibile negarlo, l’ha invitata a casa propria — sua e di Albus — ad Inverness, per vedere come hanno arredato la cameretta della futura creatura, quella che Mun ha in grembo.
    Già se l’immagina, Mun, mentre sceglie i colori e inveisce contro lo stereotipo del rosa per una camera da neonata — se la conosce, quella camera è stata probabilmente dipinta sui toni del blu, perché Mun deve sempre infilare il proprio gusto personale in tutto ciò che fa. Non le ha ancora voluto rivelare nulla, per non guastarle la sorpresa — Emilia, tuttavia, nemmeno ci vuole pensare, non fino a quando quella stanza non le si piazzerà davanti agli occhi, e allora non vedere risulterà impossibile. Anche perché l’immagine di lei e Potter che vagano per negozi mano nella mano — quella libreria è davvero deliziosa! — le fa venire il voltastomaco.
    Se potesse parlare liberamente, invece di fingere di essere contenta che Mun giochi all’allegra famigliola assieme ad Albus, Emilia le avrebbe consigliato di liberarsene finché avesse potuto. Solo che dire ad una donna incinta che trova stupido ed insensato avere un figlio a diciotto anni — ben due, considerando che Albus già ne ha fatto uno, e Mun dovrà probabilmente portarselo in groppa per tutta la loro relazione — non è esattamente contemplabile, soprattutto quando la donna incinta è la sua migliore amica.
    Vorrebbe poter parlare, Emilia — lo vorrebbe davvero, invece di soffocare conati di vomito ogni volta che le vede il pancione. Non che sia gelosa della sua felicità — o forse sì —, ma soprattutto le sembra un’idea quasi crudele. Lei, d’altro canto, non sacrificherebbe mai i suoi vent’anni per un essere di cui sarebbe costretta ad occuparsi per il resto della vita — perché i figli sono sempre i figli, e qualcuno ai suoi genitori dovrebbe insegnarlo.
    Si morde la lingua, Emilia, mentre si aggira a piedi tra le vie di Inverness, alla ricerca dell’indirizzo che Mun le ha lasciato. È la prima volta che vede la casa, dove lei ed Albus stanno in pianta stabile dalla fine del Lockdown — ha utilizzato ogni genere di scuse, inventandosi perfino un viaggio in Francia per rilassarsi al mare. Ma l’estate è agli sgoccioli, e la scusa dello studio per i M.A.G.O. l’ha già usata troppo spesso, da quando è “tornata”. Non che non abbia più visto Mun dalla fine dell’incubo, ma non ha mai voluto mettere piede nella casa perfetta che lei ed Albus si sono comprati ad Inverness.
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    Quando si rende conto di essere finalmente arrivata, storce il naso: il prato davanti alla villetta — la quale, già da fuori, incontra il suo gusto, che, in fondo, è sempre stato simile a quello di Mun, anche se non lo ammetterà mai — le dà un’idea così suburbana da farle venire la nausea.
    È con riluttanza che si avvicina al campanello, tentando di non sbattere la testa contro il muro — se non rischiasse il trauma cranico, lo farebbe, giusto per lasciare schizzi di sangue ovunque, ma scaccia il pensiero con la stessa velocità con cui le è venuto. Comportati bene, Emilia.
    Quando Mun l’ha invitata, un paio di giorni prima, Emilia avrebbe voluto rispondere di no — eppure, la sua adorata migliore amica ha messo in atto la tattica del broncio, affinata nel corso degli anni proprio per risultare sadica e affinché sia impossibile dirle di no. Emilia, almeno, ci è sempre cascata.
    Non ha mai preso ordini, da Mun, come non li ha mai presi da nessuno — tuttavia, sono poche le volte in cui non l’ha assecondata; pensandoci su, Emilia nemmeno ne ricorda una. Un iter che si ripete, un cane che si morde la coda, un circolo vizioso — Mun sbatte le ciglia, ed Emilia corre assieme agli altri cavalieri al suo seguito; Mun ha un problema, Emilia lo risolve.
    E così è andata: ha detto di sì, e nonostante fosse quasi tentata di disdire all’ultimo minuto, eccola lì, ad allungare una mano verso il campanello, stampandosi uno dei suoi migliori sorrisi sul volto.
    A questo punto, Mun, balliamo.


     
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    Mun non era mai stata così felice come in quel periodo. La nube di piombo che incombeva sopra la sua vita era improvvisamente scomparsa di colpo e la sua intera esistenza sembrava volgere verso lidi più tranquilli. Studiare per i MAGO non era stato semplice, specie perché il piccolo esserino che cresceva nel suo grembo, continuava a scalciare scalpitante ogni qual volta lei tentasse di sedersi per ripassare questa o quell'altra materia. Alla fine tutto era andato per il verso giusto; era riuscita a ignorare persino le occhiate curiose di tutte quelle persone che, avendola vista al braccio di Albus per i corridoi del Ministero in attesa di sostenere gli esami, avevano tentato di giudicare silenziosamente le loro scelte di vita. La situazione in famiglia non era delle migliori; parlava ancora poco coi fratelli e, dopo il ricovero della madre, le cose si erano fatte se possibile ancora più tese. Tuttavia, Mun sembrava non avere spazio per la negatività nella propria esistenza, né intendeva lasciarsi preda ai pensieri negativi. Tutto ciò avrebbe influenzato l'ambiente sano in cui lei e Albus tentavano di restare in perfetto equilibrio, offrendo non solo alla futura nascitura il perfetto spazio in cui nascere, crescere e correre, ma anche il perfetto posto in cui Jay potesse lenire le sue ferite da bambino pressoché scaraventato da una casa all'altra, in attesa di poter finalmente approdare a casa. Era felici; estremamente felici e complici. Si erano dati da fare nel arredare casa e completare la cameretta della loro piccola fagiolina - soprannome quello rimasto tale in attesa di trovare il nome perfetto a quella bambina che della dimensione di un fagiolo doveva avere al massimo il pollice del piede.
    La notizia del rientro in patria di Emilia l'aveva elettrizzata oltre misura, a tal punto che, aveva insistito diverse volte di vedersi o a casa sua o altrove. Aveva bisogno, Mun, di un'amica, specie perché, lentamente, le sue scelte non del tutto condivise dai suoi amici e parenti, l'avevano resa sempre più sola. L'ambiente da cui proveniva, sembrava giudicare aspramente una ragazza rimasta incinta al di fuori del matrimonio, per giunta per mano di un Potter che si era scoperto già padre di un altro bambino senza madre. C'erano momenti in cui una presenza femminile le mancava immensamente, e nessuna di quelle che la circondavano, potevano effettivamente capire la sua situazione. Chiedere consigli alle nuove persone che la circondavano - per lo più la cerchia di Albus - significava esporsi ad un altro tipo di pregiudizi. Che dovesse conquistarsi il proprio posto a suon di resistenza e capacità di contenimento era poco ma sicuro. Che le piacesse o meno, era pur sempre una Carrow in terra straniera, e seppur sentisse di essersi conquistata il proprio posto, a volte, quel sottile filo di differenze abissali che dividevano il vissuto di Mun da quello di Albus, si facevano ancora sentire. Quando quindi, Emilia aveva finalmente acconsentito di vedersi, era stata talmente contenta che per poco non si metteva a piangere. In quel periodo aveva la lacrima facile d'altronde. Volendo avere un pomeriggio tutto per sé, con la sua amica, Albus in primis aveva proposto di lasciarle da sole. Aveva preso Albus, e insieme erano andati da James, per poi decidere se passare il pomeriggio stipati davanti ai videogiochi assieme a Sirius, oppure in alternativa andare da qualche parte tutti insieme. Un pomeriggio tra uomini Potter, aveva commentato Mun, mentre sistemava il colletto della maglietta di Jay, stampandogli un bacio sulla fronte. Si erano detti che, se Emilia ne avesse avuto voglia, si sarebbero ricongiunti tutti per cena, ma conoscendo la Berker, Mun non si era sentita di promettere nulla. Forse andremo a Londra, come ai vecchi tempi. Chissà.. un po' mi manca fare shopping con lei.
    Ed era vero. La schiettezza dell'amica, e la loro verve nel comportarsi male nelle boutique altolocate, era risaputa. Avevano passato davvero delle ottime annate insieme. Una parte di lei sembrava bramare ancora i vecchi tempi; un'altra tuttavia, sembrava essere lieta di essere andata avanti. Quella vita mi ha distrutta, per così tanti motivi; fermarsi e cercare qualcosa di più stabile che potesse tuttavia permetterle di non rinunciare ai suoi sogni, le sembrava la scelta più giusta. Eccola quindi scattare con una iena pronta all'attacco nello stesso momento in cui il campanello suona. « ARRIVO! » Conta fino a dieci mentalmente e sospira. Emilia non l'ha ancora vista col pancione; nessuna reazione delle persone che la conoscevano prima era stata del tutto positiva, o affatto imbarazzante. La gente si stupisce. Mun per prima è rimasta stupita dal suo desiderio di diventare mamma, nonostante abbia affermato nel corso degli anni più e più volte di non volersi sposare o avere figli. E che li mettiamo al mondo a fare? Sono troppi. Che poi l'amore non è mai per sempre. D'altronde cosa avrebbe mai potuto dire una piccola Amunet Carrow abituata a veder la povera madre maltrattate da un marito indifferente, che con molta probabilità si è lasciato dietro una scia di bastardi.
    Eccola quindi aprire la porta. Gli occhi di ghiaccio della piccola Carrow dell'amica. Resta un po' a pensarci su e stira un ampio sorriso. E' tutto così strano. L'ultima volta che Amunet ed Emilia si sono incontrate, vivevano una vita completamente differente. Mun era una persona differente. Tutto era differente. Allarga le braccia e le va incontro abbracciandola quasi come se tentasse di spezzare quell'iniziale tensione. Mun potrà anche essere diversa - fisicamente soprattutto - ma l'affetto che prova per lei non è minimamente cambiato. « Perché ci hai messo così tanto! Mi sei mancata un casino! » Parole quelle sull'orlo di un lamento affettuoso, mentre la stringe forte, ridendo appena infine mentre si stacca. Indietreggia di qualche passo, facendosi da parte. « Su entra! In realtà sei arrivata al momento giusto. Abbiamo finito di arredare da poco. Manca qualcosa qua e là, ma ormai si può dire pronta. » La guida verso il luminoso open space, stringendo le dita attorno alle sue mentre si guarda attorno. « Allora, cosa ti offro? Té? Caffé? Succo di frutta? » Per se stessa mette su a bollire la teiera, mentre tira fuori dal frigo un plateau di pasticcini. « Non fare complimenti, cazzo, per piacere! Albus li ha comprati stamattina apposta per noi, e se non mi dai una mano, li finirò tutti da sola. » E infatti, prova una pralina al cioccolato trovandola decisamente di suo gradimento. « Mi vuole grassa! Di questo passo nei tubini di Chanel non ci entro più fino al 2030. » Una prospettiva che sembrava metterla parecchio a disagio tante volte. Non era brava a fare i conti con le sue nuove forme. A volte si sentiva la ragazza più bella del mondo, altre volte invece, aveva le crisi isteriche all'idea che non sarebbe mai più tornata al suo peso forma. Posa infine i gomiti sull'isola della cucina e le sorride con il suo tipico ghigno leggermente malizioso. « Allora? Com'è la vita fuori? » Fuori nel mondo delle single. Fuori dalle responsabilità. Dal punto di vista di Mun, chiusosi l'Upside Down, il primo settembre, tutti dovevano aver approfittato della loro libertà nelle maniere più disparate possibili. Lei di certo lo avrebbe fatto, se solo non fosse parecchio ingombrante. « Che cosa hai fatto da quando sei tornata? »



     
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    Si è sempre mangiata le unghie, Emilia — da piccola se le rosicchiava fino alla carne, e quando le dita dolevano troppo per continuare, allora adoperava una durissima repressione delle pellicine, che morivano sotto ai suoi denti da latte. Un’abitudine con cui condivide da tutta la vita, ma che negli anni ha cercato di evitare a tutti i costi — vorrebbe attaccare a mordicchiarle ora, Emilia, ma la vista delle mani fresche di manicure, unica cura che ha capito funzionare contro l’impulso, glielo impedisce.
    È voltata di tre quarti, quando la porta si apre — ruota il capo, seguito poi dal busto. È Mun — se l’aspettava, ed onestamente lo sperava, pregava che non fosse il padre dell’anno ad aprire quella porta, o sarebbe stata capace di cavargli gli occhi, o avvelenarsi il sangue nel tentativo di non farlo.
    Non aveva processato cosa le avrebbe provocato rivederla dopo mesi — l’ultima volta che aveva posato effettivamente gli occhi su di lei non era così lontana, ma sembravano passate miliardi di vite. Una non bastava, no — Mun stessa, radiante nonostante il pancione prominente, le sembrava appartenere ad un’altra realtà. Le sue stesse mani, quelle fresche di manicure, smaltate di viola, non le sembrano reali. Quel giardino suburbano, troppo verde, le sembra finto.
    Si sofferma su quel pancione, Emilia — alza gli occhi lentamente, dal modo in cui il tessuto cade sulla protuberanza impossibile da non notare fino ai suoi occhi. Non riesce a dire nulla, a spiccicare nemmeno una parola, prima che Mun l’abbracci.
    Resta immobile, per un momento — poi, lentamente, solleva le braccia, le stringe contro la sua schiena. Non troppo forte, quanto basta.
    «Oh, sai, mia madre», inventa una scusa, plausibile quanto basta, soprattutto perché corrisponde parzialmente alla verità — Carol è una gran chiacchierona, soprattutto dopo aver annaffiato il pomeriggio con una bottiglia di vino, «Non la smetteva di blaterare, sono riuscita a sfuggirle solo poco fa».
    Scocca un sorriso, poi, tra il sarcastico e il divertito, mentre si separa da Mun — le dita le formicolano appena, la sensazione si propaga fino ai polsi, e poi svanisce. La segue in casa, lanciando occhiate qua e là — lo sguardo vaga per il grande open space, sui mobili chiari, sulla sensazione di calore e freddezza che le dà. È difficile da spiegare, non è certa di comprenderlo nemmeno fino in fondo — è senz’altro una bella casa, arredata secondo l’impeccabile gusto di Mun, riesce perfettamente a vedere dei bambini che scorrazzano qua e là. È una bella prospettiva — è invece l’immagine che il suo cervello crea di Mun, quella della sua migliore amica agghindata con abiti anni ’50, cristallizzata a diciotto anni, poi venti, moglie, madre. Un qualcosa che non le appartiene più.
    Distoglie gli occhi, stringe le labbra, sentendo un fiotto amaro raggiungerle la punta della lingua, «È una bella casa», le fa eco, camminando dietro di lei fino alla cucina. Viene richiamata alla realtà dalla voce di Mun, ed osserva la sua figura allontanarsi per mettere la teiera a bollire — Whiskey Incendiario? Acquaviola?, «Stai facendo del tè? Va bene quello», risponde, soprappensiero, mordendosi la lingua.
    Scocca uno sguardo ai pasticcini che l’amica estrae dal frigo, alzando appena gli occhi al cielo — ovvio che Santo Albus Potter abbia comprato dei pasticcini, vuole intortare te e poi me —, ma ne prende uno alla crema, forse per togliersi di dosso il pensiero e, più probabilmente, per fare Mun contenta.
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    «Non sei grassa», è una specifica che lancia con la stessa velocità di un coltello che colpisce la parete, «sei solo… molto incinta, e se è questo che ti preoccupa… tornerai a riottenere il tuo vitino di vespa», sorride, scoccandole un occhiolino, «Dov’è Potter? Stanco di giocare alla famiglia?», vorrebbe rimangiare le parole nel momento stesso in cui le scivolano fuori dalla lingua, ma si rende conto che è troppo tardi — per questo alza le spalle, stampandosi un sorriso innocente sulla faccia di bronzo, come a dire scherzavo!.
    La imita, appoggiandosi all’isola della cucina, riconoscendo quel ghigno malizioso come qualcosa che appartiene alla vecchia Mun, che le fa sperare ancora che quella ragazza possa tornare, che non sia proprio tutto perduto. Che torneranno, un giorno — forse non nel modo in cui Emilia vorrebbe, ma torneranno, e starà a lei decidere se sarà abbastanza.
    «Là fuori?», domanda, retorica, «Niente di nuovo. Qualche party qua e là… o… tutte le sere, qualche toccata e fuga da un letto ad un altro», scocca la lingua contro al palato, «Sono una ragazza abitudinaria, ormai dovresti saperlo», non voleva che il veleno le impastasse così tanto il tono, perciò cerca di riprendere le redini della conversazione, «la Côte d’Azure è pittoresca, e sotto a bagnini abbronzati e casette colorate si nasconde una movida abbastanza interessante», sorride, il tipico sguardo sbarazzino, «Ti ci devo portare». Quelli che evoca sono ricordi, ma è sempre stata fin troppo brava a mentire — non lo faceva con Mun da anni, non da quando le aveva rivelato chi fosse in realtà suo padre, ma dopo così tanta esperienza con chiunque altro non ha più remore o incertezze, nemmeno di fronte a lei. C’è stata per davvero, in Costa Azzurra, anni fa, ce l’ha portata Carol l’estate in seguito al suo sedicesimo compleanno, «Ho avuto incontri ravvicinati con degli esemplari francesi niente male, mi sono divertita tra una festa in spiaggia ed una in un locale, ma sai che è quello il mio concetto di relax», non è sicura di voler invece sapere come sia bella la vita con Albus, ma nonostante ciò si ritrova a chiedere: «E tu? Che hai fatto?».
    È il rumore dell’acqua che bolle a farle sollevare il capo, poi, e si allunga a spegnere il fornello, «Ci spostiamo fuori? Immagino non si possa fumare in casa», constata, facendosi poi indicare dove sono le tazze, per portare fuori il tè assieme ai pasticcini.


     
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    « Non sei grassa. Sei solo… molto incinta, e se è questo che ti preoccupa… tornerai a riottenere il tuo vitino di vespa. » Sorride Mun, di fronte a quell'incoraggiamento. Si è sempre fidata di Emilia, e contro ogni previsione, le sue rassicurazione riescono in qualche maniera a tranquillizzarla. Si è spesso guardata allo specchio piuttosto demoralizzata, convinta che resterà così per sempre, eppure sembrano bastare due occhioni azzurri e la persona giusta a portarli perché Mun si scordi delle sue paranoie. « Dov’è Potter? Stanco di giocare alla famiglia? » Lei scoppia a ridere, e dopo aver infilato due bustine di infuso nelle tazze, lascia scorrere l'acqua sospirando. « E' con Jay dal fratello. Credo volesse lasciarci sole.. cosa di cui sono molto grata. » Si stringe nelle spalle con naturalezza mentre le allunga la tazza di tè. « Con Jay a monopolizzare la discussione il nostro pomeriggio sarebbe stato molto differente. » Dinosauri, domande scomode, e tante occhiate timide. Emilia è il tipo di persona per cui Mun è certa, Jay potrebbe prendersi una cotta. D'altronde arrossiva violentemente ogni qual volta Malia lo prendesse in braccio e si nascondeva dietro alla gamba del padre ogni qual volta una delle loro amiche tentava di essere troppo gentile con lui. « Là fuori? Sono una ragazza abitudinaria, ormai dovresti saperlo. La Côte d’Azure è pittoresca, e sotto a bagnini abbronzati e casette colorate si nasconde una movida abbastanza interessante. Ti ci devo portare » Stira un sorriso colmo di una gioia che non sembra provare, Mun. Abbassa lo sguardo e annuisce, schiarendosi istintivamente la voce. Sembra ormai così lontana la possibilità per lei di avere una vita di quella portata. Non se ne pente; la maggior parte dei giorni è estremamente felice delle sue scelte, e non ha niente da invidiare a nessuno. Eppure, una parte di lei si chiede come sarebbe stato poter scappare con la sua migliore amica dopo il diploma per il giro intorno all'Europa che si erano ripromesse. Come sarebbero state le giornate estive su una spiaggia vergine dalla sabbia bianca? Come sarebbe avere così tanti soldi da non saper come spenderli e non una preoccupazione al mondo se non quella di riuscire ad arrivare alla fine della serata illese. Non sono neanche mai uscita dall'Inghilterra. Mi hai promesso così tante volte che mi avresti portato in così tanti posti. Eppure, alla fine, non siamo andate da nessuna parte. E chissà per quanto tempo ancora non potremo andarci. Era consapevole che la vita dopo il parto non sarebbe stata una passeggiata, così come non lo era adesso. A sei settimane dal termine le avevano consigliato di riposarsi ed evitare qualunque fattore di stress. « Prima o poi dobbiamo andarci. » Asserisce infine, stroncando quel momento di tensione che sembra essersi creato tra le due. « Ho avuto incontri ravvicinati con degli esemplari francesi niente male, mi sono divertita tra una festa in spiaggia ed una in un locale, ma sai che è quello il mio concetto di relax. E tu? Che hai fatto? » Sospira Mun, non sapendo cosa rispondere di preciso. Le sembra che le loro prospettive si sono distanziate così tanto. Forse lì, da qualche parte, c'è persino la paura di essere giudicata. Si prende quindi qualche istante per pensare a come rispondere, tempo in cui la mora prende la palla al balzo per proporre di spostarsi fuori. « Ci spostiamo fuori? Immagino non si possa fumare in casa » Arrossisce lievemente mentre le indica l'ampia porta finestra che dà sul giardino. E' strano. E' tutto strano. Mun ed Emilia hanno condiviso intere nottate sedute sulle scalette nel salone di ingresso a fumare una sigaretta dopo l'altra mentre sognavano il momento in cui avrebbero finalmente preso il volo. Hanno condiviso sigarette di nascosto nei bagni dei prefetti e persino nella stanza che dividevano. Probabilmente quel viziaccio lo devono soprattutto l'una all'altra. Insieme si sono trascinate tra caffé e sigarette lungo la strada della dipendenza sentendosi invincibili. Ora Mun non poteva né fumare, né bere caffè. Sembrava tutto così fuori contesto. La guida tuttavia con un grosso sorriso oltre la porta della veranda, e le indica di scegliere il posto che preferisce in veranda, là dove, domina il centro della scena un dondolo nuovo di zecca, diverse poltroncine, un divanetto e un grosso tavoli da caffè. Mun prende posto sul dondolo, essendo la seduta più in alto e più semplice da cui alzarsi più tardi, e avvicina la tazza di té alle labbra, mentre la osserva accendersi la sigaretta. Deglutisce; in fondo ne avrebbe bisogno. A volte anche troppo. E infatti, quella bionda, Mun la osserva con un senso di intrinseca bramosia, per poi accarezzarsi tuttavia il pancione, sentendo un leggero movimento quasi impercettibile lì sotto.
    « Beh.. qui la vita non è altrettanto interessante. Io sto.. aspettando. » Un dolce sorriso si ampia sul suo volto, mentre abbassa lo sguardo sul pancione carezzandolo appena amorevolmente. « In realtà dopo che tutto è finito - intendo dopo l'upside down.. è stato abbastanza complesso. Ho dovuto riprendere a studiare, dovevamo finire di arredare la casa, e la cameretta.. » Si stringe nelle spalle. « E poi insomma.. le cose a casa non vanno poi tanto bene. Deimos ha finalmente deciso di fare il grande passo e ricoverare la mamma. » Una decisione che i tre fratelli Carrow avrebbero dovuto prendere molto tempo prima. « Jude continua a non parlarmi e mi evita di continuo. Non lo so.. sto cercando di far funzionare questa cosa tra Albus e la mia famiglia, ma non c'è modo. Mi sento di continuo.. giudicata. Nemmeno ti dico come mi ha guardato Nate quando ci siamo rivisti il mese scorso. » Sto perdendo un po' tutto. Mi hanno rivolto tutti le spalle. Sospira, e si porta nuovamente la tazza di tè alle labbra per poi costringersi a sorridere per non appesantire troppo l'atmosfera. « Però fagiolina sembra tanto felice. E anche Jay.. Albus.. noi stiamo bene insomma. Considerando che ci stiamo preparando all'idea di non dormire per i prossimi dai tre ai nove mesi dopo il suo arrivo, la stiamo prendendo bene. E' strano.. ma.. non vedo l'ora di conoscerla.. anche se mi fa paura un po' tutto. » Si stringe nelle spalle con naturalezza. Sa che non è la vita che si è immaginata per se stessa. Probabilmente non avrebbe nemmeno potuto farlo, considerando i modelli che ha avuto durante la sua infanzia e adolescenza. « Ora dove stai? Intendi rimanere qui? Ci sono novità su questo nuovo college. Se tutto dovesse andare per il meglio, credo che continuerò con gli studi.. forse non subito, però, sembra sia questo il futuro. »



     
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    « Prima o poi dobbiamo andarci », Emilia solleva la testa, le scocca un sorriso. In quel preciso istante, di Mun si fida — forse più di quanto abbia fatto negli ultimi tempi, sicuramente più di quanto si fidi di chiunque.
    Non ha amici, Emilia — un concetto così labile, così lontano dalla sua comprensione. Nessuno ha mai voluto essere suo amico, a parte Mun. Non si è mai fidata di nessuno, e nessuno si è mai fidato di lei — e hanno sempre fatto bene, Emilia lo sa. Non ha mai dato l’occasione a nessuno di avvicinarsi, nemmeno invogliato qualcuno a volerle almeno un po’ di bene.
    Mun gliene ha sempre voluto — Emilia ne è convinta, qualsiasi cosa possa accadere non gliela porterà via. Ha sempre avuto attenzioni speciali, per la ragazza dai capelli corvini — dal primo momento in cui l’ha vista, in cui si sono strette la mano nel dormitorio di Serpeverde, visto che a cena sedevano lontane, e non si erano notate. Da quel preciso momento, Emilia ha capito di non essere da sola.
    Poi c’è stata l’adolescenza — è stupendo, essere bambini, è rassicurante, una coperta di lana che racchiude bene i piedi, così da non prendere freddo. Ma il freddo in qualche modo si insinua comunque, basta aspettare quanto basta. Non è mai stata brava ad aspettare, Emilia, tranne che con Mun — Amunet Carrow l’ha spinta a superare se stessa in qualsiasi occasione, l’ha obbligata a guadagnarsi il suo posto senza nemmeno fare nulla.
    È questo che chiamano amore?
    Non ha più bisogno di nascondersi da se stessa, ormai — è innamorata di Mun, forse lo è da anni, e non se n’è mai resa conto. Deve essere questo, l’amore. Voler essere migliori per l’unica persona che conta davvero — e Mun lo è, per Emilia, è l’unica persona che ha mai voluto al suo fianco.
    Non ha avuto poche occasioni di dimenticarla — è saltata da un letto ad un altro da tutta la vita, un grillo parlante con molta meno coscienza di quanto si potesse aspettare. Mun è la sua coscienza. Mun è sempre stata il sole, per quanto tutti amino pensarla come la luna.
    Ed Emilia le è stata fedele, lo è ancora, sotto a ferite cicatrizzate dal freddo, sotto ai capelli rossi di Fred ed allo sguardo tormentato di Albus. Sono anni che ascolta la ragazza che ama raccontarle di questi o quegli addominali — sono anni che sta in silenzio, mangiandosi il fegato in fiamme per non fare nulla di avventato. È molto meno impulsiva di quanto sembri, Emilia, per le cose che contano davvero — aspetta, attende un momento che forse non arriverà mai.
    Succede più spesso di quanto le piace ammettere, ormai, che Emilia si ritrovi a guardarla e nel silenzio generale quasi le sfugga un ti amo, perché non te ne rendi conto?. Ora la guarda, Emilia, la fissa negli occhi così chiari ed il suo stomaco romba — Andiamo via, non aspettiamo quel prima o poi. Andiamo via.
    Scuote la testa, tornando alla realtà in maniera così improvvisa da far quasi cadere le tazze che deve portare fuori. Con un Wingardium Leviosa ben assestato, solleva il vassoio di pasticcini all’altezza della sua testa, così che la segua fino alla veranda, dove lo posa delicatamente sul tavolo. Poggiate anche le tazze che teneva tra le mani, Emilia si siede inizialmente al tavolo, raccattando un posacenere. Estrae una sigaretta dal pacchetto, fedelmente riposto nella tasca della gonna, e l’accende con la bacchetta.
    Mentre Mun comincia a parlare, Emilia l’ascolta solo per metà — il suo cervello recepisce cosa le stia dicendo, ma la Berker si concentra soprattutto su ciò che lascia tra le righe. Il modo in cui le sue labbra si increspano in un sorriso che non raggiunge completamente gli occhi, quell’aggrapparsi istintivamente al pancione.
    Sembra felice, Mun — sembra felice, ma Emilia è convinta che qualcosa non vada. Non sa se sia più il suo primordiale desiderio di scoprire che non è così estasiata come vuole farle credere, che sia tutta una recita, uguale a quella che lei stessa porta avanti da anni.
    Sta aspettando, dice — Emilia vorrebbe capire cosa stia esattamente aspettando davvero, sapere cosa di tutto quel discorso da futura madre e moglie dell’anno sia vero, e cosa no.
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    «Avete ricoverato vostra madre?», interviene, interrompendola all’improvviso — non la stava nemmeno guardando negli occhi, più concentrata dalla brace della sigaretta che brucia, ma non ha mai smesso di ascoltarla, «Quando? Perché non me l’hai detto?», non è seccata, ma preoccupata, «Cos’è successo con Nate?», è lì che il tono si sposta verso una punta di rabbia, qualcosa che non riesce ad evitare nemmeno impegnandosi. Proteggere Mun è sempre stato imperativo — Emilia è convinta che continuerebbe a farlo anche se dovessero smettere di parlarsi, perché non è mai riuscita a non pensare a lei, non davvero. Si è presa per il culo da sola talmente tante volte, ma alla fine è sempre tornata da Mun — tra le braccia della sua migliore amica, dove non esisteva più preoccupazione, solo pace.
    «Come ti tratta il clan Potter-Weasley? C’è qualcuno che devo uccidere?», scocca un sorriso, i denti scoperti — un animale, Emilia, abbaia e poi morde, Cerbero ai comandi di Persefone.
    È sempre stata la protagonista in ogni situazione, tranne che con Mun — aspetta nell’ombra, Emilia, crogiolandosi nella presunzione di essere comunque più degna e più importante di ogni ragazzo con cui la Carrow è mai andata a letto.
    «Io sto… aspettando i risultati», risponde, lasciando andare la cenere, che manca il bersaglio e finisce sul tavolo, «E poi parto per l’Europa, forse», quel forse che traballa, in attesa di un motivo, «Tu… sei sicura di stare bene?», alza gli occhi, incontrando i suoi per la prima volta, «Dovresti venire con me», finge di alleggerire il discorso, il tono è divertito, ma gli occhi, gli occhi non lo sono.


     
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    « Avete ricoverato vostra madre? Quando? Perché non me l’hai detto? » Un tasto dolente per Mun, non tanto perché fosse un evento che la scombussolava, quanto piuttosto perché, Mun, di sua madre non parlava mai. Non avevano mai avuto un buon rapporto. La signora Carrow non l'ha mai avuta a cuore, e lei dal canto suo, si è fatta una ragione all'idea di avere una madre degenere. Il contributo di Sagitta Carrow nella vita della figlia, le è costato solo tante insicurezze. Riesce ancora a sentirla mentre la sorprende con un biscotto per le mani: smettila di mangiare! Diventerai una vacca e nessuno ti vorrà più. Sagitta l'ha cresciuta nella errata convinzione che la sua missione ultima fosse trovare un uomo e andare via di casa; dal canto suo, Mun, si è sempre convinta di non aver bisogno di un uomo. E guarda com'è finita alla fine. « Avete.. eufemismo. » Asserisce stringendosi nelle spalle con indifferenza. « Tutta farina del sacco di Deimos. E' lui che decide tutto. Io non ne sapevo niente finché non è stato lui a informarmi. Ormai sono lui e Jude a contendersi.. lo scettro.. » Abbassa lo sguardo stringendo i denti, colta da un senso di frustrazione e disagio. E' chiaro che la situazione non le va bene, ma è altrettanto evidente la sua impotenza di fronte agli eventi che vanno al di là delle sue mura domestiche. Per qualche ragione, seppur Mun sia stata la prima a lavarsi le mani dagli affari di famiglia, non riesce ad accettare che è stata completamente tagliata fuori. Perché tagliata fuori si sentiva in ogni caso; nonostante la benevolenza di Deimos, nonostante l'affievolirsi della guerra fredda con il gemello, tutto ciò che aveva ricevuto le sembrava una specie di contentino, niente più che una concessione. « Cos’è successo con Nate? » Non era né la prima, né l'ultima volta che Mun si lamentava di Nate; i due erano come cane e gatto sin da quando condividevano ancora gli stessi corridoi e gli stessi spazi comuni. In molti avevano dato per scontato che prima o poi sarebbero diventati la nuova golden couple di Hogwarts, specie dopo il tracollo della relazione di lei con Fred Weasley. Per molti versi, persino Mun ci ha creduto ad un certo punto; la palese scenata di gelosia fatta a Halloween non più lontano di un anno prima, le aveva dato a dimensione del fatto che il giovane Douglas, non le era mai stato del tutto indifferente. La piccola Carrow aveva a lungo bramato le sue attenzioni. Lui la mortificava, di solito involontariamente, ma lei tornava quasi sempre come un cagnolino a vorticare attorno alla sua figura come se, della sua presenza non potesse farne a meno. Erano altri tempi, quelli; una vita fa, avrebbe detto, considerando il pancione e la sua vita più che soddisfacente al fianco del suo attuale ragazzo. C'era semplicemente un prima di Albus e dopo Albus, e ora, tutto ciò da cui un tempo traeva soddisfazione, sembrava essere scemato di colpo. « Nate è.. solo Nate. » Un'affermazione che rivolge all'amica accompagnata da una plateale alzata di occhi al cielo. « Non ha lealtà verso nessuno al di fuori di se stesso.. e il suo status quo. Non importa quanto il mondo attorno a lui cambierà, lui resterà sempre.. Nate. » Stira un sorriso colmo di ironia, seppur nei suoi occhi è palese un leggero velo di amarezza. « Niente e nessuno riuscirà mai a distoglierlo dalle sue convinzioni. E per questo, seppur io non abbia mai avuto il suo rispetto, ha di certo perso il mio.. » Ci ho provato in tutti i modi a convincerlo che non era il momento di voltarsi le spalle a vicenda. L'ho pregato di aiutarmi, di restare dalla mia parte. Ha preferito scansarmi. E questo non lo dimenticherò mai. Liquida tutta la faccenda dei Potter con un alzata di spalle. Non ha poi molta voglia di parlare delle stranezze della famiglia del suo ragazzo. Sta iniziando ad abituarsi al loro modo soffocante di voler bene alle persone. « Nah! Albus è molto bravo a mantenere le distanze.. cioè, sta cercando di bilanciare molto il bisogno dei suoi di essere coinvolti in tutto con la mia necessità di avere i miei spazi. E' un po' strana.. tutta questa faccenda della famiglia numerosa molto partecipe. Non sono abituata. » E infatti, seppure i Carrow non erano certo la famiglia più scarna nel mondo magico, lei e i suoi cugini potevano non vedersi per anni senza sentire una grossa necessità di incontrarsi. Specie dopo la morte del padre, il nucleo si è disgregato sempre di più.
    « Io sto… aspettando i risultati. E poi parto per l’Europa, forse. Tu… sei sicura di stare bene? Dovresti venire con me » Mun conosceva Emilia; e in un certo senso, capiva le sue scelte. Probabilmente se si fosse trovata nella stessa condizione della migliore amica, non avrebbe preso una direzione poi tanto diversa da quella che tentava di seguire l'altra. Eppure, qualcosa era cambiato, e in un certo qual modo, sperava che qualcosa cambiasse anche per la giovane Berker. Temperanza di nome, ma non di fatto. Sospirò quindi e le rivolse un sorriso bonario, accarezzandosi dolcemente il pancione. « Invece secondo me dovresti restare, Em! » Asserì con convinzione ricercando la sua mano. Strinse le dita di lei con premura, carezzando il dorso delle nocche di lei. « Il mondo sta cambiando.. questa è la fottuta Restaurazione! » Si stringe nelle spalle; nutre tante speranze nei confronti di quanto si sta smuovendo a Ministero proprio mentre loro stanno parlando. « Abbiamo la possibilità di metterci la faccia in prima persona. Guarda cosa sta accadendo a Hogwarts. Siamo stati noi a sopravvivere lì dentro. Siamo stati noi a ricostruirla da zero, noi a deciderne le sorti. Il mondo ha gli occhi puntati su di noi. Ciò che facciamo oggi ci definirà per il resto della nostra vita. » Si schiarisce la voce scuotendo la testa. « Non posso più scappare.. non è giusto. E nemmeno tu dovresti farlo. Questa è casa tua, qui ci siamo noi.. i tuoi amici. » Compie una leggera pausa tempo in cui si inumidisce le labbra. Io e te siamo così simili.. mi sembra di guardare me stessa allo specchio. E proprio per questo, so per certo che un'altra strada c'è davvero. « Io non ho mai avuto una famiglia, Em. Non posso lasciarmi sfuggire questa possibilità. » Non voglio. Io qui ci voglio stare davvero. « Ti prego, non farlo nemmeno tu. Puoi scegliere la tua famiglia. Puoi scegliere di costruire la tua vita da capo senza tutto.. il dolore che ci inseguite ovunque. » Pausa. « Resta! Ti prometto che non ti lascerò da sola. » Resta e combatti. Resta e scegli di essere felice. Resta e aiutaci a costruire qualcosa di migliore. Per tutti noi.



     
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    I love you 'till my breathing stops,
    I love you 'till you call the cops on me.



    Non può dirsi contraria all’idea di ricoverare Sagitta Carrow, ma non lo ammette in modo così cristallino di fronte a Mun — le ricorda bene, Emilia, tutte le volte che le ha dovuto accarezzare i capelli perché sua madre aveva detto una parola di troppo. Non che la Carrow abbia mai ammesso che il fondo del suo malessere sia sua madre, ma Emilia l’ha sempre sospettato e capito da sola. Forse perché anche Carol si è sempre comportata così — in modo meno ovvio di Sagitta, forse più subdolo, mischiando le insinuazioni con i complimenti. Come sei bella, Emilia, prima, e Non hai il seno adatto per il mio vestito, però, te ne prendo un altro dopo. Comprende perfettamente, la Berker, cosa voglia dire sentire addosso un paragone che non riuscirà mai a vincere — quello con Carol è sempre stato lampante, soprattutto per come veniva steso dalla diretta interessata. In qualsiasi occasione, Emilia è brava, ma Carol un po’ di più.
    È felice, quindi, che Mun si sia liberata di sua madre — ci sono state delle volte in cui avrebbe voluto proporre lei una soluzione del genere, ma ha sempre saputo che l’amica non sarebbe stata d’accordo. Ci sono state volte in cui avrebbe voluto farlo lei stessa con la sua, di madre, magari denunciare l’abuso di alcool e di stupefacenti, soprattutto da piccola, ma non ne ha mai avuto lo stomaco. Perché senza Carol, in fondo, Emilia è sempre stata sola — e deve dire che, tutto sommato, sua madre non è così male. È divertente, estroversa — forse fin troppo, come quella volta in cui l’ha trovata a letto con il ragazzo che le piaceva, qualche anno fa. Ma l’ha sempre perdonata, in fondo — forse perché sa di non essere poi tanto diversa, se non peggio: un grumo di odio e risentimento, che si scioglie come neve al sole solo di fronte ad Amunet Carrow.
    « Tutta farina del sacco di Deimos. E' lui che decide tutto. Io non ne sapevo niente finché non è stato lui a informarmi. Ormai sono lui e Jude a contendersi.. lo scettro.. »
    Non aveva dubbi, Emilia — scuote appena il capo, infatti, mentre Mun la informa di chi sta dietro al ricovero di Sagitta. Ha fatto bene, vorrebbe dire, ancora, ma tiene a freno la lingua. «Mi dispiace», mente, forse per una buona causa, «Ma è un problema in meno per te, no?», prova ad avanzare, delicata, inspirando una boccata di sigaretta.
    Raddrizza la schiena, poi, pronta ad accogliere l’ennesima lamentela di Mun su Nate Douglas — ricorda con un mezzo sorriso la cottarella che si era presa per lui, al primo anno, forse dettata dalla sua ingenuità e dal ruolo sociale di Nate, oltre ai suoi enormi occhioni azzurri e l’aria da principino. È stata più soddisfatta e gongolante, che veramente felice, quando si sono messi insieme, ormai quasi due anni fa — una importantissima e fondamentale relazione di due mesi, con del sesso niente male che è arrivato sporadicamente fino a non troppo tempo prima. È quasi divertita, ormai, dalle scenate di gelosia che ha invece fatto nel momento in cui le è stato lampante che Nate fosse interessato a Mun — ha capito solo dopo di essere più gelosa di Mun che di Nate, e che la situazione fosse pressoché paradossale.
    « Non ha lealtà verso nessuno al di fuori di se stesso.. e il suo status quo. Non importa quanto il mondo attorno a lui cambierà, lui resterà sempre.. Nate. »
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    Alza un sopracciglio affilato, Emilia, arcuandolo in maniera appositamente palese, «Dimmi qualcosa che non so», commenta, ironica, come a ricordarle del suo ruolo nella scacchiera amorosa di Hogwarts. Allo stesso tempo, però, non può dire di non condividere la stessa filosofia del giovane Douglas — ogni uomo per sé, e tanti saluti. Da questo punto di vista, infatti, non è mai riuscita ad odiarlo per davvero, anzi — sicuramente, non con la stessa repulsione che ha sempre provato verso Fred o Albus.
    Apre la bocca per chiederle che sia successo davvero, ma, quando la conversazione si sposta sul clan più famoso del Mondo Magico, Emilia resta a labbra socchiuse, nascondendo con poco successo una smorfia. «Che incubo», storce il naso, in risposta all’una famiglia numerosa molto partecipe pronunciato da Mun — copre le parole con uno strato di veleno poco nascosto, scrollando le spalle, sotterrando consapevolmente il suo desiderio di avere una famiglia del genere. L’unica che può smascherarla siede proprio di fronte a lei — l’unica che ha veramente il potere di toccarla, di scoprire senza fatica i segreti del suo cuore nero, così come li ha sempre chiamati Emilia. L’unica per cui ha sempre valso la pena lottare, come dimostra il suo essere lì, seduta, a guardarla scivolarle via dalle mani — distoglie lo sguardo, puntandolo sulla sigaretta, a cui mancano solo gli ultimi tiri. Nota con un sorriso amaro di essere proprio come quella sigaretta, che brucia silenziosamente al vento senza la possibilità di fermarla.
    Resta in ascolto, quindi, voltando il capo fin troppo velocemente al « Invece secondo me dovresti restare, Em! ».
    La guarda, Emilia, punta i suoi occhi cristallini in quelli di Mun, con così tanta intensità da pensare di gelarla sul posto. Forse lo vorrebbe. Forse, a volte, vorrebbe incendiarla, invece, farle prendere fuoco e restare a guardare mentre brucia. Mun l’ha fatto così tante volte con lei, in fondo — perché, consapevolmente o meno, la Carrow l’ha sempre lasciata in balìa dei suoi sentimenti che la consumavano visibilmente dall’interno. Proprio come ora, con Mun che le stringe la mano e gliel’accarezza — chiude gli occhi, Emilia, quel gesto da sempre come un balsamo che calma ogni bruciore. Tuttavia, sono le parole di Mun, quel tono supplicante e quegli occhi in cui si perde, ogni fottuta volta, a gettare benzina sul fuoco.
    Non interviene, Emilia, annaspando in cerca d’aria, in silenzio — « Resta! Ti prometto che non ti lascerò sola ». È lì che sente distintamente gli occhi pungere, pregarla di darsi il permesso di piangere, per una volta. L’ha già fatto, di fronte a Mun, ma mai per lei.
    «L’hai già promesso più di una volta», storce il naso, ricacciando indietro le lacrime che ormai le hanno offuscato la vista, «Eppure eccoti qua», continua, la voce spezzata dal peso delle parole che ha sempre portato in mezzo allo sterno, «Se pensi che me ne starò qui a guardarti giocare alla famiglia felice con Potter, allora non hai capito un cazzo», abbaia, dura. «Non ti lascerò mai da sola, Emilia, Siamo io e te, Emilia, Sei la persona più importante per me, Emilia», le fa il verso, ricordando alla perfezione le parole centellinate che la sua migliore amica le ha propinato negli anni nei suoi momenti di debolezza, «Sono sempre state tutte cazzate? Perché qui ti sto dicendo vieni con me, cazzo, incespica con le parole, Emilia, forse per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, «Ma tu sei felice, no?», domanda, retorica, l’amaro sulla punta della lingua. Spegne la sigaretta dopo l’ultimo tiro, con una furia quasi ingiustificata, «Alla fine è colpa mia, però», si volta, fissa per terra, «È colpa mia perché continuo a crederti e ad cascarci come una cretina, ad innamorarmi di te ancora ed ancora, quando è sempre stato chiaro che non avresti scelto me»*, conclude, rendendosi conto troppo tardi di ciò che ha vomitato fuori, una volta per tutte.





    discorso liberamente ispiratissimo alla serie tv, mostly bc è triste come le merde e non potrei fare di meglio <3
     
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    Non c'era cosa che Mun non avrebbe fatto per Emilia. Insieme avevano condiviso il meglio e il peggio della loro adolescenza. Emilia riusciva a far emergere in lei una parte che nessun altro conosceva. Emilia era trasgressiva, libera, priva di alcuna costrizione o convezione sociale. Emilia era vita, era come la rugiada in primavera. Libera e leggera. Non era felice, né la sua esistenza era soddisfacente per i suoi canoni, perché Emilia voleva tutto, e qualunque cosa al di sotto delle sue aspettative non era degno di nota. Mun provava una grande stima e ammirazione nei confronti di quella sua testardaggine. Aveva imparato da lei che nulla al di sotto dell'ideale era perfetto o accettabile. Emilia le ha insegnato a vivere, là dove, Mun, avrebbe preferito morire. Seppur non fosse una persona positiva, la mora ha sempre mostrato alla piccola Carrow il suo lato più raggiante e solare. Insieme hanno riso e scherzato, hanno pianto, si sono lamentate e sono persino giunte a pensare di porre fine alle loro vite. Avevano vissuto intensamente quella loro amicizia, e per questo, e tante altre ragioni, Mun non riusciva proprio a lasciarla andare. Emilia era il suo lato più leggero, ma anche quello più spinto. Lei, prima di chiunque altri ha visto il suo lato malvagio, ha letto l'invidia e il dispetto negli occhi della Carrow, ha visto il suo smorto volto meschino, che sarebbe passato sopra ad ogni cosa pur di raggiungere i propri obiettivi. Un mix micidiale, quello delle due. Tossico all'ennesima potenza, fatto di possessività e non detti, di istinto e ambiguità. Un mix adolescenziale, che tuttavia entrambe dovevano lasciarsi alle spalle per poter sopravvivere. Io ne sono uscita.. e tu Emilia? « L’hai già promesso più di una volta. Eppure eccoti qua » Sapeva essere estremamente crudele quando ci si metteva. In quel momento tuttavia, quella reazione, Mun non se l'era aspettata. Credevo che ne avessi voglia. Che anche tu stessi cercando un posto sicuro. Un posto in cui approdare, senza il bisogno di scappare di continuo. Corruga la fronte, Mun, piuttosto confusa, raddrizzando la schiena e incrociando le braccia al petto a mo di difesa. Emilia non le si è mai rivolta in quella maniera. « Se pensi che me ne starò qui a guardarti giocare alla famiglia felice con Potter, allora non hai capito un cazzo » No, è chiaro che non se lo aspettasse. Quelle parole la offendono e la feriscono più del dovuto. Non ha nulla da dimostrare a nessuno, eppure quel continuo mettere in discussione le sue intenzioni con Albus stanno iniziando a seccarla oltre misura. « Giocare alla famiglia felice? - cazzo Emilia ma ti senti quando parli? » Sbotta così, la mora, scagliandosi contro l'amica con improvvisa veemenza. « Non abbiamo preso un cane insieme. Stiamo per avere un figlio! » Un concetto quello che nemmeno Mun capisce ancora fino in fondo. Un figlio, in ogni caso è per sempre, e lei è contenta del suo per sempre. Speravo che lo fossi anche tu. Viene interrotta prima che possa aggiungere altro. « Non ti lascerò mai da sola, Emilia, Siamo io e te, Emilia, Sei la persona più importante per me, Emilia. Sono sempre state tutte cazzate? Perché qui ti sto dicendo vieni con me, cazzo- Ma tu sei felice, no? » Non la capisce. Non ti capisco, Em. « Perché ce l'hai così tanto con me? » Esordisce ad un certo punto sospirando, colta da un palese sconforto che la porta a passarsi le dita tra i capelli esasperata. « Alla fine è colpa mia, però. È colpa mia perché continuo a crederti e ad cascarci come una cretina, ad innamorarmi di te ancora ed ancora, quando è sempre stato chiaro che non avresti scelto me » Si bloccò, immobilizzata sul posto. « No.. no.. tu.. » ..tu non mi ami, vorrebbe dire. L'espressione colta da un velo di improvviso dolore e melanconia. Gli occhi vacui fissarono il volto dell'amica come colta da un'improvvisa consapevolezza che non aveva avuto fino a quel momento. Nella sua testa risuonarono le parole di Nate. Solo un mese prima l'amico aveva ammesso che tra loro ci sarebbe potuto essere qualcos'altro. ..più di tutto nu dusouace aver dovuto sacrificare la nostra amicizia e la tua fiducia.. e tutto quello che poteva esserci e non è stato. Un'ammissione implicita; una sconfitta. Quelle rivelazioni giungevano alle sue orecchie tutte insieme, a distanza di poco tempo, in un momento in cui Mun non aveva né tempo, né voglia di ascoltare dichiarazioni di cui in passato avrebbe necessitato e che ora arrivavano proprio nel momento di massima felicità della sua esistenza. Volete farmi sentire in colpa, è questo vero? Volete che io ammetta di non aver fatto abbastanza, di non avervi facilitato il via. Cazzo siete così egoisti.. così fottutamente egoisti e maligni. Il silenzio che si scaglia tra le due è istintivo. Si sente pervadere da una rabbia inaudita. Gli ormoni in subbuglio, la consapevolezza di aver perso un altro pezzo della propria esistenza per la sua incapacità relazione. Cazzo Mun, come hai fatto a non accorgertene. Stupida. Stupida.. stupidissima ragazzina insicura.. Ce l'ha con Emilia a morte; hai rovinato tutto! Tutto, cazzo!
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    « Quando? » Chiede di scatto con tono tagliente. Tagliamo corto. E' chiaro che non sei venuta per restare. E Mun non ha intenzione di trattenerla. Forse è la cosa più gentile che posso concederti allo stato attuale. « Quando eh, quando? Spiegamelo. » Le parole di lei sono affilate e pungenti. « Quando mi hai amato di preciso? Quando ti sei scopata Nate nonostante sapessi che mi piaceva, o quando mi hai convinta che Fred non mi ha mai amato? » Forse voleva solo farla stare meglio; non sapeva allora Mun, che a conti fatti le azioni di lei le avrebbero fatto così male. « O forse mi amavi quando andavamo a quelle feste.. a tutte quelle fottute feste.. » Alle feste in cui adescavano uomini potenti, uomini che potessero farla sentire più grande, più potente, più in controllo. « Fred si è messo con Abigail Green subito dopo che tu mi hai convinta che stava andando dietro a Jenny.. » Una cosa tira l'altra. Mun aveva fatto finta di uscire con un tipo più grande e Fred si era trovato un'altra ragazza. Non poteva effettivamente imputare a Emilia le sue scelte, ma di certo, la giovane Barker è stato un grillo parlante decisamente insidioso. « Cazzo lo sai quanto ci sono stata male! E' questo l'amore per te? » La voce trema mentre le lacrime iniziano a scorrere lungo le sue guance. Non voglio lasciarti andare via, Em. Ti prego riconsidera. Ti prego dimmi che stavi scherzando. Facciamo che non è mai successo niente. « E sentiamo cosa ti aspetti ora da me? Prendiamo e scappiamo per vivere in una roulotte, io te e un bambino, senza un soldo? Lo cresciamo a pane, whisky e cocaina? Che cosa vuoi da me Em? » Pausa. « E poi? Quando ti stanchi di giocare alla famiglia felice io cosa faccio? Torno a elemosinare soldi dai miei fratelli? » Non ha mai considerato minimamente nessuna di quelle ipotesi; una parte di lei è convinta che nemmeno Emilia ci ha pensato. « Sai siete incredibili - tu, Nate.. è incredibile che sono stata lì per anni, cazzo. Sola come un cane, sempre a elemosinare attenzioni e affetto. Pestata da un padre di merda, abbandonata da una madre assente, rinnegata dai miei stessi fratelli - » Scuote la testa. « AVEVO SOLO VOI! Persino Fred mi aveva lasciata. Avevo solo voi e vi avrei dato il mondo. Ma no.. » Deglutisce mentre un sorriso amaro si palesa sul suo volto pallido. « Voi volevate un fottuto cagnolino che scodinzolasse ad ogni vostra parola. A cuccia Mun. Rotola. Fai le capriole per aria, Mun. Pendevo dalle tue labbra. Bramavo le attenzioni di Nate - cazzo vi ho fatto più scenate di gelosia di quanta acqua c'è nel Tamigi, eppure siete sempre rimasti lì, indifferenti. » Si passa le mani sul volto, cercando di fermare il flusso di lacrime. « E' incredibile il fatto che l'unico momento in cui avete le palle di parlare è quando io sono veramente felice. » I denti incastrano il labbro inferiore, colta da una palese parvenza di frustrazione e amarezza. Siete dei vigliacchi. La mia vita di prima è piena di poveri vigliacchi. « Credi che mi sentirò in colpa perché sto costruendo qualcosa? No.. non lo farò. » Non ho più tolleranza per le tue cazzate, Emilia. Cresci, cazzo. « Ho scelto l'unica persona che si è preso tutta la merda del mondo per me. » E' fatto così l'amore. All in. Rischi tutto. Non ci sono giochi che tengano. « La mia vita è con Albus. » Quello sfogo le sarebbe costato molto. Troppo. Mun, avrebbe fatto qualunque cosa per Emilia; le voleva bene. L'affetto che provava per lei era immenso e inqualificabile e inquantificabile. Ma tu vuoi qualcosa che io non posso darti, Em. Non ora. Non così. Ho scelto altro e non è un ripiego. Io tutto ciò lo voglio. Non è un gioco. E' il mio futuro.

    You play your games with no rules and no sense of respect
    You live your life like a joke and a self-centered jerk
    You cheat and lie causing pain with no thought or regret
    To change your mind then you drink





     
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    Can the killer in me
    tame the fire in you?
    Is there nothing left to do for us?
    I am sick of the chase,
    but I'm hungry for blood,
    and there's nothing I can do.



    «(…) Stiamo per avere un figlio! ».
    Si alza, Emilia, si alza e si siede di nuovo, con una potenza tale che il suo corpo vibra, mentre ogni fibra del suo essere brama per baciarla di nuovo, come quell’unica volta, quell’unica volta in cui tutto era sembrato a posto.
    «Lo so, cazzo, lo so che state per avere un figlio, urla, battendo un pugno sul tavolo — perché è così, Emilia. Le scenate le piacciono, il rumore le piace, essere guardata ed ascoltata le piace. I riflettori, il centro dell’attenzione — tutto ciò che ha avuto da tutti, ma che non ha mai sentito di avere da Mun.
    «Io cosa, sibila, puntandole gli occhi di ghiaccio sul volto — ma quel volto trema, quel volto pare accartocciarsi su se stesso, creando una maschera grottesca che nemmeno riconoscerebbe allo specchio.
    Senza fiato, prende degli attimi interminabili per tentare di riafferrarlo, convinta che, tuttavia, il respiro alla gola non le tornerà più — perché lo vede, negli occhi della sua migliore amica, quel rifiuto che ha sempre temuto. Tutto ciò che ha fatto nei suoi confronti è stato in onore di quell’amore che ha tenuto alto sopra alla testa come un baluardo, l’unica stilla di luce che riusciva a racimolare attorno a sé.
    Quando?, chiede Mun, ed Emilia trema, perché non sa rispondere. Cerca di rincorrere le parole che le scivolano via, di fermarle, di fermarsi, come è stata capace di fare solo tra le sue braccia.
    Era comune, quando ancora erano solo loro due che Emilia s’infilasse nel suo letto, nel dormitorio di Serpeverde, solo a cercare il calore di un affetto che non aveva mai sentito. Perché nessuno era come Mun, nessuno ci andava fottutamente vicino. Non sa esattamente perché siano quelle le uniche immagini che le circolano in testa in quel momento. Non sa perché non riesce a pensare ad altro che alle dita della mora che giocano con i suoi capelli, delle sue braccia che la stringono mentre si addormenta. Amiche, amiche un cazzo, si era sempre detta. Un giorno se ne renderà conto, aveva pensato. Ma non era successo. Ha dovuto dirglielo, ha dovuto esporsi, mettersi in prima linea. Come ha sempre fatto, per Mun, ma senza mettere in gioco i suoi sentimenti.
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    «Da sempre», è l’unica cosa che riesce a dire, a voce bassa, forse fin troppo, «Da quando ti ho incontrata, ma l’ho capito dopo anni», ammette, socchiudendo gli occhi, «Ti ricordi quando mi infilavo nel tuo letto? Come ho sempre fatto», si passa la lingua sui denti, Emilia, si aggrappa ai residui di elettricità che ancora sente sulla punta delle dita — Sei l’unica persona che io voglia con me, l’ha detto più di una volta, in quei momenti. Ha detto così tante cose, Emilia, che nemmeno riuscirebbe a ricordarle tutte. Si è sempre esposta, in qualche modo, nascondendo i suoi sentimenti dietro alla fine linea di contorno che c’era tra l’amicizia e l’amore. Ma non si è mai preoccupata più di tanto di venire scoperta — d’altronde, la loro amicizia non è mai stata comune, ma qualcosa di più profondo, qualcosa che Emilia brama più di ogni altra, qualcosa che, in questo momento, la uccide lasciare andare. «Me ne sono resa conto una di quelle notti», balbetta — un suono così strano, incerto, stonato nel provenire dalle sue labbra, «Mi sono resa conto che non c’era nessun altro posto in cui avrei voluto essere, e che sei l’unica persona che io abbia mai voluto, e che-».
    È un’affermazione pungente, quella che la interrompe, ed Emilia si morde la lingua, stringe appena il pugno, affonda le unghie smaltate di pervinca nella carne, «Non-», sospira, cercando di ritrovare la calma, ormai perduta da tempo, «Nate è stato- una cazzata, era solo una cazzata, e- sì, forse l’ho fatto perché ero gelosa, forse l’ho fatto perché la tua infinita storia con Fred era appena finita e già correvi dietro a qualcun altro», ammette, velocemente, lasciando scorrere le parole sulla lingua, «Non l’avevo ancora capito, ma volevo solo che smettessi di pensarci- e un po’ mi piaceva pure, un po’ era carino non passare da un letto ad un altro inutilmente», abbassa gli occhi, «Per Nate mi dispiace, Mun, ho sbagliato», vorrebbe cavarsi la lingua da sola, nel pronunciare quelle parole, vorrebbe rimangiarsele nell’esatto momento in cui il cervello le percepisce, «Oh, ma per Fred no, cazzo», sibila, «È sempre stato un coglione, e stai molto meglio senza di lui, non ti ha mai meritato», non come ti merito io — risoluta, determinata e convinta nella convinzione di aver sempre agito per il suo bene.
    «Sì, ti amavo, ti amavo sempre, in tutti i momenti che hai elencato», e ti amo anche adesso, vorrebbe dire, ma frena la lingua, mordendosela in senso letterale, «Fammi il favore, Amunet», abbaia, poi, assottigliando lo sguardo, «Vedi sempre le cose nella tua prospettiva, non te ne frega un cazzo di vedere anche quello che sta oltre al tuo naso», scuote il capo, lievemente, «Pensi che per me sia stata una passeggiata? Che guardarti piangere o ridere e ascoltarti mentre mi raccontavi prima di Fred, poi di questo, poi di Nate, poi di quell’altro, poi di Albus mi facesse stare bene?», una domanda buttata sul tavolo con astio, a fiato corto, senza riflettere.
    « E poi? Quando ti stanchi di giocare alla famiglia felice io cosa faccio? », alza un dito, Emilia, lo ferma a mezz’aria, «Io non mi stancherei mai di stare con te», è mesto, il tono, pieno di malinconia, quella nostalgia che spezza le gambe ed accorcia il fiato. Quella paura che sa di attacco di panico, una scia che non ti lascia mai, un profumo che riconoscerebbe sempre, che ha sempre associato — Mun e la paura di perderla, un’unione indissolubile, che l’ha spinta a comportarsi nel peggiore dei modi, convinta di avere un fine superiore.
    Ascolta poi, per una volta immobile, glaciale, stretta nella compostezza che la caratterizza quando entra in modalità difensiva, quando chiude il guscio sopra alla parte troppo tenera, troppo labile, troppo indifesa. «Mi stai paragonando a Nate?», domanda, sarcastica, la voce piena di rabbia, ma un risolino le esce dai denti, come una bolla d’aria, «O meglio- stai paragonando quello che av-abbiamo io e te?», incredula, sbatte gli occhi una, due, tre volte, e poi lascia finalmente andare quella risata, un’ilarità inopportuna, a tratti psicotica.
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    «Tu, il mio cagnolino?», domanda, retorica, «Io ero il tuo cazzo di cagnolino- io sono il tuo cazzo di cagnolino», sputa fuori, inferocita, «Tu sbatti quegli occhioni enormi ed io corro da te, sempre, ogni volta- ti ascolto quando qualcosa non va, sistemo le cose per te — forse in modi che non ti piacciono, ma alla fine stai meglio, alla fine, con me, stai bene», quanto sei ingenua, Mun, vorrebbe dire, ma lo tiene per sé, «O forse sono io che l’ho sempre pensato», sospira, forse sono io, l’ingenua.
    Si sono fatte troppo male, così tanto che una sola goccia potrebbe far traboccare il vaso — è per questo che avanza la mano, Emilia, chiude il pacchetto di sigarette che era rimasto abbandonato sul tavolo, e lo riposa nella borsa, «Io ho solo te», si lascia scappare, quindi, consapevolmente, «Sono stanca di farti del male- di farci del male», abbassa gli occhi, un sorriso amaro che le spacca il viso a metà, «Lasciamo le cose come stanno», si alza in piedi, «Ti amo, ma va bene così».

    But when I'm sick and tired,
    and when my mind is barely there.
    When a machine keeps me alive,
    and I'm losing all my hair,
    I hope you kiss my rotten head,
    and pull the plug.
    Know that I've burned every playlist
    and I've given all my love.






     
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    Amunet ed Emilia fungevano. Fungevano sempre; quando erano felici, quando erano tristi, quando avevano voglia di far festa o quando desideravano semplicemente autodistruggersi. Due personalità estremamente tossiche il cui incontro aveva generato un'esplosione di rabbia. C'era pura beltà in quel loro affetto - un affetto che entrambe riconoscevano come catartico. Mun non sarebbe stata in grado di sopravvivere alla sua adolescenza senza la giovane Barker, non sarebbe stata in grado di imparare a prendersi i rischi e di spingersi oltre i suoi limiti. Eppure, il giro di silenzi che si era protratto tra loro era giunto fino a quel punto. Un punto morto. Emilia non le aveva mai confessato i suoi sentimenti, permettendo a Mun di continuare a non accorgersene di quanto le facesse male. Mun ha taciuto tutte quelle volte in cui avrebbe preferito che l'amica non le facesse del male proprio in virtù di quel amore malato che era evidente - ora - stesse provando. « Da sempre » Non ci credo. Non ti credo. Smettila. Scuote la testa e si alza in piedi indietreggiando, mentre la osserva con una palese espressione smarrita. E' confusa, si sente sporca, colpevole. I racconti dei momenti passati insieme, assumono ora ai suoi occhi un significato differente. Mi sistemavi i capelli dietro l'orecchio e mi baciavi la fronte. Mi circondavi le spalle. Ero già la tua ragazza? E' questo ciò che sono sempre stata per te? Si accarezza istintivamente il pancione, indietreggiando ancora. Le sembra tutto una bugia. « Ti prego smettila.. » Non posso più sentirti. « Nate è stato- una cazzata, era solo una cazzata, e- sì, forse l’ho fatto perché ero gelosa, forse l’ho fatto perché la tua infinita storia con Fred era appena finita e già correvi dietro a qualcun altro. Non l’avevo ancora capito, ma volevo solo che smettessi di pensarci- e un po’ mi piaceva pure, un po’ era carino non passare da un letto ad un altro inutilmente » Abbassa lo sguardo, Mun, stringendo i denti. Non ha mai dato tanto penso a quella storia. Lei e Nate, in fondo, non si sono mai dati davvero una possibilità. Lui non l'ha mai davvero presa in considerazione, e lei dal canto suo, non ha mai neanche realizzato fino in fondo che qualcosa potesse accadere tra di loro. L'unico momento in cui ha compreso che qualcosa poteva esserci, è stato quando lo stesso ragazzo glielo aveva fatto notare. Anni passati nell'insoddisfazione, nell'insicurezza, anni in cui si è lasciata convincere dall'opinione di chiunque, vivendo attraverso i loro occhi, vivendo nel modo in cui loro avrebbero voluto vederla. « Per Nate mi dispiace, Mun, ho sbagliato. Oh, ma per Fred no, cazzo. È sempre stato un coglione, e stai molto meglio senza di lui, non ti ha mai meritato » « Non andare oltre.. per favore. » Una preghiera a bassa voce, la sua, mentre vaga con lo sguardo lungo le assi del pavimento sul porticato. « Fammi il favore, Amunet. Vedi sempre le cose nella tua prospettiva, non te ne frega un cazzo di vedere anche quello che sta oltre al tuo naso. Pensi che per me sia stata una passeggiata? Che guardarti piangere o ridere e ascoltarti mentre mi raccontavi prima di Fred, poi di questo, poi di Nate, poi di quell’altro, poi di Albus mi facesse stare bene? » Emilia parla d'amore, di forti sentimenti, ma tutto ciò che Mun vede è tanto egoismo e la consapevolezza di aver vissuto in un castello di carte su una nuvoletta non tanto rosa. Si è convinta e convinta ancora che alcune sicurezze le avesse. Emilia era una di queste.
    « E TRATTARMI COME UNA TUA PROPRIETÀ ANDAVA BENE! Comportarti come se tu sapessi cosa andava bene e cosa no per me è.. normale? » Scuote la testa mentre si sente scorrere lungo le pallide guance le prime lacrime. « Cazzo.. tu l'hai sempre saputo.. hai sempre saputo tutto.. di cosa mi succedeva a casa.. e fuori.. e non hai fatto altro che trattarmi esattamente come tutti gli altri. » Tira su col naso sollevando lo sguardo nella sua direzione. Gli occhi gonfi e leggermente arrossati. « Non sono una cosa, Emilia. Anche io avevo diritto di scegliere senza interferenze! » Sta iniziando a balbettare, colta da un profondo stato di agitazione. Nella sua testa inizia a insinuarsi un profondo moto di gelosia e possessione. Cosa avresti fatto se ti avessi detto di Albus? Ti saresti portata a letto anche lui? E' questo ciò che facevi? Mi toglievi ogni scelta, nella speranza che io scegliessi te? Eppure Mun l'ha sempre scelta; come amica, come confidente, come compagna di malefatte. « Io non mi stancherei mai di stare con te » Stringe i denti, Mun. A quel punto non ha più filtri. Sa di farle del male, e sa di fare del male anche a se stessa. E' come se avesse già perso una parte di sé. « Già.. » Non ci crede Mun, nemmeno per un istante, perché da quando erano usciti dal Lockdown, Emilia si è allontanata. Non c'era stata, e lei aveva pensato ingenuamente che avesse bisogno di spazio per riprendersi dal trauma. Invece tu volevi allontanarti da me. Volevi spazio.. da me. « Tu, il mio cagnolino? Io ero il tuo cazzo di cagnolino- io sono il tuo cazzo di cagnolino. Tu sbatti quegli occhioni enormi ed io corro da te, sempre, ogni volta- ti ascolto quando qualcosa non va, sistemo le cose per te — forse in modi che non ti piacciono, ma alla fine stai meglio, alla fine, con me, stai bene » Scuote la testa Mun, e la vede; per la prima volta, Mun la vede esattamente com'è. Debole, fragile; mi sono costruita in testa l'immagine di un mostro sacro, una specie di leggenda. Ma alla fine, Emilia, anche tu, sei umana. Non sei un modello da seguire, non sei qualcosa a cui aspirare. Non lo sei come non lo sono io, come non lo è nessuno. E nessuno dovrebbe mai dare a qualcun altro il potere che Mun ha dato ad Emilia. Volevo che fossi la mia eroina, e invece sei diventata solo un'altra disfatta. « Io non sto bene con te perché fai qualcosa per me.. sto bene con te perché ti voglio bene. » Scuote la testa, e si asciuga le lacrime tirando su col naso. « ..non hai mai avuto bisogno di comportarti in questa maniera.. eppure l'hai fatto comunque. E' questo ciò che pensi mi faccia bene? Vivere ignara delle cose mentre tu ti occupi di tutto? » Si morde istintivamente il labbro spostando la testa di lato. Il tono di lei si ammorbidisce piano piano. E' stancante litigare con Emilia. E' stancante processare tutte quelle rivelazioni. Forse non l'ha ancora fatto. Forse non lo farà mai. Tu non mi ami. Questo non è amore. Un rifiuto il suo categorico. C'erano tuttavia così tante cose che tornavano in quella dinamica. Mun aveva sempre avuto paura di tutto; di prendersi le responsabilità, di correre rischi, di buttarsi nelle cose. Viveva sempre aggrappata agli stessi anelli di congiunzione, alle stesse situazioni morbose. Era un essere abitudinario e vigliacco; sono un cazzo di parassita. Me l'hanno detto così tante volte che ormai dovrei crederci. « Non hai neanche idea di quanto sia difficile non avere una scelta, Emilia.. non lo sai. » Non ne hai la più pallida idea. « Io si. So cosa vuole dire non poter scegliere, arrendersi, lasciare che sia sempre qualcun altro ad avere il timone. » E' sempre stato così nella mia vita? C'è sempre stato qualcun altro a scegliere per me? Ad avere il timone, a decidere cosa dovessi o non dovessi fare, cosa mi faceva bene e cosa no. Ho mai avuto una fottuta volontà propria? Probabilmente no. Prima c'era stato il padre, poi c'era stato Ryuk. In mezzo c'è stata Emilia. C'erano i fratelli, la madre, amici che determinavano le sue scelte. La prima scelta che ha fatto consapevolmente è stata quella di diventare madre. Tu amore mio, sei l'unica cosa che ho davvero scelto. Quella chimera, di cui è sempre stata consapevole, ora si abbatteva anche sulla figura di Emilia.. era come se la sporcasse, come se ne inficiasse la perfetta immagine che Mun si era creata nella testa di lei. « Hai sempre avuto il controllo.. sempre. » Forse non te ne sei accorta, ma era così. Tu mi definivi.. e te ne sei approfittata. « Io ho solo te. Sono stanca di farti del male- di farci del male. Lasciamo le cose come stanno. Ti amo, ma va bene così » Eppure, nonostante tutto, quando la vede alzarsi, qualcosa si spezza dentro di lei. Sa che sta per andare via, e sa che non avrà la forza per fermarla. Non sarebbe giusto, e non saprebbe come darle ciò che desidera. Vorrei darti pace. Vorrei che tu fossi felice. Vorrei che lo fossimo entrambe, che avessimo esattamente ciò che vogliamo ma.. ma Mun non può fare niente. Non più. « Ti prego Em, non farmi scegliere tra te e lui.. » Ti scongiuro. « ..ti supplico.. non farlo. » Non voglio perderti. Perché forse Mun avrà finalmente trovato qualcuno, ma Emilia è pur sempre parte di sé. Se è vero che lei ha solo la piccola Carrow, è altrettanto vero che per molto tempo, in fondo, anche Mun ha avuto solo lei. Ti prego resta.


     
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    I think I've seen this film before,
    and I didn't like the ending.
    You're not my homeland anymore,
    so what am I defending now?
    You were my town, now I'm in exile seeing you out.
    I think I've seen this film before,
    so I'm leaving at the side door.



    La prega, Mun, la scongiura così tante volte che Emilia non le registra nemmeno più. Parla, Emilia, parla, un fiume in piena — questa volta Pandora ha aperto una voragine, non un vaso. Da qui non si torna più indietro, è la sua coscienza che la implora, che prova a zittirla, ad evitare di rovinare tutto.
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    Fammi il favore, Amunet — non l’ha mai chiamata con il nome per intero, se non per prenderla in giro. Non le ha mai riservato la stessa freddezza che spiattella in faccia a chiunque altro — ma quella non è freddezza, no: è fuoco, rabbia, lava pura che taglia, recide, distrugge. Il freddo viene da dentro, viene da fuori, viene da Emilia, viene da Mun. Che cosa sono diventate? Che cosa diventeranno?
    « E TRATTARMI COME UNA TUA PROPRIETÀ ANDAVA BENE! Comportarti come se tu sapessi cosa andava bene e cosa no per me è.. normale? », urla, Mun, alza la voce, ed il cervello di Emilia, per una frazione di secondo, registra il cambio repentino di tono come una maniera di difendersi, di alzare la corazza e la cresta. Un modo per alzarsi sopra di lei, e non lo permetterebbe a nessuno, Emilia, fosse chiunque altro le avrebbe già mollato uno schiaffo solo per aver pensato di urlarle contro. Ma non è chiunque altro, quella è Mun, e c’è di nuovo qualcosa, dentro di lei, che la prega di chiudere la bocca, girare i tacchi ed andarsene.
    Ma nemmeno sa che cosa sta facendo. Nemmeno sa se tutta la scenata che ha messo in atto, se tutto il vento che ha alzato l’ha fatto per se stessa, o per Mun. O per loro.
    « Cazzo.. tu l'hai sempre saputo.. hai sempre saputo tutto.. di cosa mi succedeva a casa.. e fuori.. e non hai fatto altro che trattarmi esattamente come tutti gli altri. », lo sapeva, Emilia, sì, l’ha sempre saputo. Sa sempre tutto, di Mun: imperfezioni, movimenti impercettibili degli occhi, scatti delle labbra, come ora, la riga solitamente piatta, appena all’ingiù, che risulta distorta, bistrattata. Ed è colpa sua. Emilia lo sa, che è colpa sua, ma non può più fermarsi. Non c’è niente che la tenga più lì, niente che le impedisca di prendere quella porta e non voltarsi indietro. Se non…
    « Non sono una cosa, Emilia. Anche io avevo diritto di scegliere senza interferenze! ».
    «Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per te», urla, Emilia, e non le interessa che i vicini perfetti della famiglia perfetta dalla casa perfetta nella strada perfetta possano sentire. Non le importa, perché qui si tratta di lei, non più di loro. Emilia guarda se stessa come se potesse vedersi da fuori, come se riuscisse a percepire dall’esterno il dolore di ciò che non è mai stato e non sarà mai, ed al contempo quello di tutto ciò che è stato che le sta scivolando via dalle mani. «Non ti ho trattato come una mia proprietà», o sì?, «o forse l’ho fatto, ma è solo perché- siamo noi, io sono tua, e volevo che tu fossi mia, volevo soltanto-» che mi amassi come ti amo io.
    Ci ha provato, Emilia, a trattare il suo rapporto con Mun come ogni altra cosa — a cercare di donargli la perfezione che sa solo ottenere attraverso il controllo, e quello non lo nega, non mente, per una volta, non si difende. Ha cercato di controllarla, di manipolarla, di chiuderle gli occhi affinché li aprisse solo sul suo volto. Ma non ha funzionato — se in qualche modo, in minima parte, tutto ciò che ha tentato di costruire avesse avuto fondamenta più forti, ora non sarebbero qui. Non sarebbe servito dirle ti amo, perché Mun l’avrebbe saputo. Ma non si accorge, Mun, non si è mai accorta di nulla.
    Se Mun l’ha issata su un piedistallo, Emilia ha fatto di tutto per agire di conseguenza — Mun cercava protezione, ed Emilia era il suo soldato; Cerbero agli ordini di Persefone.
    « ..non hai mai avuto bisogno di comportarti in questa maniera.. eppure l'hai fatto comunque. E' questo ciò che pensi mi faccia bene? Vivere ignara delle cose mentre tu ti occupi di tutto? », annuisce, Emilia, lascia che lo sguardo si abbassi, che le lacrime scendano di nuovo, le scaccia con più stanchezza, questa volta, ma sempre prima di sollevare il capo. «L’ho fatto per te», ripete, «Volevi che avessi il controllo, sembrava che-», balbetta, «Che ti servisse, che ti facesse comodo, che implicitamente mi guardassi come a dirmi aiutami, Emi, prendi in mano le redini e pensaci tu», si morde il labbro inferiore, forte, troppo forte, «Non ti voglio riempire di cazzate, io lo volevo, il controllo, l’ho sempre voluto», le conferma, finalmente, «Ma pensavo di proteggerti, di proteggere anche noi».
    « Non hai neanche idea di quanto sia difficile non avere una scelta, Emilia.. non lo sai. », prova a pensarci, ma non riesce a trovare un modo concreto di ribattere. No, non lo sa, non allo stesso modo di Mun — anche lei si è trovata a non avere scelta, nella vita, ma per colpa di se stessa, per colpa di una figura più cinica che stava cominciando a covare dentro, senza che si fosse pienamente formata. Ha scelto di mentire, ma non aveva scelta. Ha scelto di nascondersi, ma non aveva scelta. Chi l’avrebbe amata, così com’era? Chi l’amerebbe, ora?
    Resta in silenzio, scuote la testa. No, Mun, non lo so.
    « Ti prego Em, non farmi scegliere tra te e lui.. », vede la sua stessa disperazione riflessa negli occhi dell’unica persona che abbia mai amato, e sapere di esserne la causa le dà il voltastomaco, ma, a sottolineare ancora una volta quanto sia una persona orribile e meschina, un po’ la solleva. Perché si sente così da anni, Emilia, ma nessuno le ha teso la mano. Nemmeno Mun, perché non le ha mai detto nulla, perché non si è fatta avanti prima, perché forse, in un altro tempo ed in un’altra vita, avrebbe avuto un’occasione. Ma l’ha sprecata, ed ha crepato e poi rotto un’amicizia ed una vita intera, basate su bugie su bugie.
    «Non ti faccio scegliere», sospira, stringe le mani sulla tracolla della borsa, finché le nocche non diventano bianche, «Me ne vado, Mun», sussurra, «Non ce la faccio a restare e vederti con lui», ripete, questa volta più apertamente, senza insulti, senza malizia, «Non di nuovo, non quando lo vedo benissimo che questa volta è diverso», la mano saetta verso le palpebre, cancella l’ennesima lacrima che minaccia di scendere, «Non saprò mai perché lui, ed anche se provassi a spiegarmelo non lo capirei», ammette, con un sorriso dolceamaro, «Perché non lo voglio capire», perché noi non saremmo state diverse, noi saremmo state rivoluzionarie.
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    «Lasciami andare, per favore», il mormorio si abbassa ancora di più, e vorrebbe fare un passo avanti, Emilia, vorrebbe stringerla tra le braccia e dirle che non se ne andrà davvero, che sta solo scherzando, che domani la inviterà a casa per scolarsi tutto ciò che sua madre ha lasciato dalla sera prima. Ma non può, non più.
    Si volta, finalmente — costringe le gambe a partire anche se le fanno male, anche se sono intorpidite, anche se ogni segnale che il suo corpo le sta dando le dice di tornare indietro, di insistere ancora, di portarla via.
    «Ci sentiamo», espira, prima di schizzare all’interno della casa, ma non è sicura che Mun l’abbia sentito.


    So step right out, there is no amount
    of crying I can do for you.
    All this time,
    we always walked a very thin line,
    you didn't even hear me out (didn't even hear me out),
    you never gave a warning sign (I gave so many signs).
    All this time,
    I never learned to read your mind (never learned to read my mind),
    I couldn't turn things around (you never turned things around),
    'cause you never gave a warning sign (I gave so many signs)
    You never gave a warning sign (all this time).





     
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