ἔρως καὶ θάνατος

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    « Aprire il cancello! » Si sente tuonare in lontananza mentre il meccanismo pigro svela sotto la pioggerella estiva un volto smunto la cui figura appare curva. Le ginocchia sembrano sul punto di crollare. Ha i vestiti strappati e inzuppati di melma nera, i capelli sporchi di sangue; questo è il volto di chi la morte l'ha vista per davvero, ed è stata abbastanza fortunata da poter vivere sufficientemente per raccontarla. È certo quando esci, ma non se e quando farai ritorno. Lì fuori sei da solo; nessuno ti può sentire al di fuori dei tuoi compagni, il cui dolore ti strappa le budella con la stessa facilità con cui ribalteresti un calzino. In quel caso era andata male e Tris in città aveva fatto ritorno da sola. Non era riuscita a recuperare i corpi fatti a brandelli dei suoi compagni, né era certa di cosa avesse fatto per scampare l'orribile destino di morire sotto le fauci di quelle creature immonde. Lì fuori, nei momenti peggiori, era giunta a pensare ecco, questa è la fine, eppure aveva continuato a lottare, colpendo a destra e manca, con la veemenza di chi non voleva smettere di vivere. Getti di melma nera l'avevano ricoperta a più riprese in quella settimana di assenza. Doveva trattarsi di pochi giorni. Un balzo da una terreno consacrato all'altro fino a Westminster dove avrebbero recuperato dell'argento presumibilmente consacrato da fondere per nuove armi. Entriamo e usciamo. Facile. Non avevano considerato che Londra potesse essere così infestata da quelle creature immonde. Ma non erano i mostri la cosa peggiore; i mostri, in confronto alle voci dei dannati, all'aria pesante, quasi irrespirabile, ai cumuli di corpi e macerie, sembrò solo una dinamica formalità aerobica rispetto al vero dramma che si era consumato di fronte ai loro occhi. Stacy, era crollata per prima, sotto la metropolitana, poi era stato il tempo di Joe, spezzato tra le fauci di un demogorgone delle dimensioni di un toro scatenato, poi erano rimasti in due: lei e Daniel. Era riusciti a entrare nella basilica attraverso la rete fognaria, ma quando erano giunti a destinazione, i tentacoli di un altro maledetto lo avevano letteralmente spezzato in due dopo una lotta stremante. Di argento Tris ne aveva riportato in città a sufficienza per una dozzina di nuove lame, e forse non più di un centinaio di punte nuove di zecca. Un risultato davvero ridicolo rispetto alle perdite subite. Qualunque cosa ci fosse lì fuori, era cresciuto troppo ed era diventato troppo potente e imprevedibile persino per le loro risorse e conoscenze. Erano quasi alla fine del periodo che li avrebbe portati alla vittoria; il momento più buio prima dell'alba. Era stato quello forse il calcio d'angolo che li aveva portati a riconsiderare le loro strategie. Il dolore della perdita di Stacy, Joe e Daniel era servita al branco per comprendere che stavano affrontando il problema in maniera sbagliata, ma lì, sul momento, mentre due delle guardie l'affiancavano per sollevarla dal peso che riportava in città e aiutarla a rientrare, Tris pensò abbiamo perso. Non ci sono più speranze. L'orrore delle orde di mostri delle zone deserte nessuno le aveva affrontate in maniera così diretta; nessun film post-apocalittico sarebbe stato in grado di restituire le stesse sensazioni da lei provate nella settimana di assenza da Inverness. Immagini di quei momenti l'avrebbero perseguitata a vita. In quel momento tuttavia, non sembrò pensare a nulla. Non ne aveva le forze. Era stata aiutata a rientrare a casa, a togliersi i vestiti; solo quando si erano proposti di aiutarla a lavarsi aveva detto no e aveva chiesto di restare da sola. Nei fiumi gentili della sala da bagno al secondo piano del maniero dei Morgenstern, Tris era rimasta inerme finché le acque torbide colme di melma color petrolio erano diventate glaciali. Tremolante e ancora debole si era coperta con un asciugamano ed era scesa al piano di sotto. Nessuno le aveva fatto visita in quel frangente di tempo, nonostante non avesse avuto le forze nemmeno di chiudere le comunicazioni. L'avevano lasciata fare i conti con se stessa, con la sua sconfitta, col suo dolore; emozioni quelle che non sembrava essere nemmeno in grado di provare. Scesa al piano di sotto, aveva ignorato la presenza di Percy in salotto, quasi come se si trattasse di nient'altro che un'ombra in mezzo a tante altre; un'ombra come quelle che aveva visto là fuori, quasi una presenza ostile. Ancora grondante di goccioline tiepide si era semplicemente diretta in cucina, iniziando a tirare fuori dalla dispensa ogni ben di dio che la scarsa quantità di risorse riservava ancora in abbondanza. Barattoli di sottaceti, carni essiccate e prodotti sottomarca di un discount che avevano ripulito qualche settimana prima; alcuni erano già scaduti, altri le erano semplicemente sgradevoli, ma in quella situazione non c'era da storcere il naso. Si era messa a mangiare, senza gran appetito, ma con la diligenza di chi sapeva di dover recuperare le forze. Si era sforzata Tris a ingurgitare con rabbia qualunque cosa le capitasse a tiro, finché non aveva dovuto ricercare il secchio dell'immondizia, buttando fuori tutto di getto con la stessa rapidità con cui aveva tentato di introdurre tutto quel cibo nel proprio circolo. Solo allora aveva colto i passi del suo ragazzo oltre l'arco della cucina. Senza volerlo, il suo spettro di emozioni aveva invaso il proprio: paura, senso di colpa, preoccupazione. Tutte cose che in quel momento sembrarono solo farla arrabbiare ulteriormente. Non mi serve la tua pietà! La sua parte più razionale sapeva che quella del ragazzo non era pietà, ma in quel momento non sembrava riuscire ad accettare assolutamente nulla, nemmeno la sua discreta quanto silenziosa presenza. « Smettila! » La voce rauca trema, prima di raggiungere il lavandino per risciacquarsi la bocca e scollarsi un bicchiere d'acqua tutto d'un fiato. Lo spettro di emozioni di lui, pur non proferendo una parola che fosse una, non mutò. L'unica reazione da lui prodotta fu un profondo sospiro. Erano lì, divisi dall'isola della cucina uno di fronte all'altro; entrambi perfettamente in grado di leggersi a vicenda, di sentirsi, di capire. Nessuno parlò per un po'; gli sguardi colti in una guerra non verbale. « Ho detto, smettila! » Ma ancora una volta non vi fu risposta alcuna. Forse perché in fondo, quelle parole Tris non le aveva mai dette a voce alta. Era piuttosto la sua figura astrale, piantata al fianco di Percy ad averglielo urlato contro ben due volte. La mancanza di risposte anche questa volta la portò a sbattere i palmi contro il marmo bianco precipitandosi di corsa verso l'ala opposta della casa. Varcata la soglia della biblioteca dove il ragazzo effettivamente si trovata, Tris sembrò per qualche istante inchiodata al pavimento; impossibile decidere cosa fare o come muoversi. Cosa dire o come reagire. Decise di usare l'istinto e, lasciatosi cadere l'asciugamano sul pavimento, si era diretta con passo ferino verso la postazione del ragazzo sedendoglisi in braccio a cavalcioni, avventandosi sulle labbra di lui con veemenza. Scopami, aveva semplicemente detto senza troppe impalcature o rituali, colta da un bisogno spasmodico di sentire qualunque cosa al di fuori della morte che sembrava scivolarle addosso a mo di immaginari rivoli colore petrolio. Ed è ciò che era successo. Amore e morte. L'inizio contro la fine, nel momento più intenso che Percy e Tris dovevano aver mai sperimentato durante la loro relazione. Di ciò che era successo non avevano mai più parlato; né prima, né dopo. Lui non aveva fatto domande e lei gli era stata riconoscente, e insieme avevano continuato sulla strada del silenzio, convinti che, quello era il modo in cui le cose dovessero andare. Un rapporto sempre mediato, il loro. Dalla guerra, dal legame indissolubile che forze altre avevano creato tra loro, dai loro comuni intenti. Ad un certo punto Tris e Percy si sono convinti che quello era il modo in cui una relazione dovesse andare; erano se possibile persino orgogliosi del loro modo di condurre le cose. Pochi drammi, poche discussioni, un'intensa immediata. Un'intesa che era scemata di colpo nel momento esatto in cui, il loro piccolo aiuto extra era venuto meno. Improvvisamente ciò che li rendeva vincenti, era diventato il motivo ultimo della loro separazione; la mancanza di comunicazione era stata micidiale e aveva reso in definitiva tutti i loro sforzi di aggrapparsi l'uno all'altro semplicemente inutile. Tris aveva accolto quella separazione con apparente indifferenza, come indifferente sembrava essere ormai a così tante cose. La Restaurazione aveva reso il suo animo apatico, spento, disincantato, arido; la vittoria definitiva sulla Loggia Nera, sembrava esser stata accolta da lei più come una sconfitta che come un momento di trionfo. Non aveva più obiettivi, né una vera causa a cui aggrapparsi e ciò che aggiungeva ulteriore foga a quelle sue convinzioni era il fatto che non aveva la più pallida idea di come erano arrivati a quella vittoria. Come faccio a compiacermi di qualcosa che non so nemmeno se è dovuto a me? Questo, unito alla sempre minore coesione con il giovane Watson, aveva portato a un risultato quasi scontato; erano infelici, annoiati o forse solo stanchi. Tris si è convinta che in definitiva, lei e Percy non avevano nulla in comune, che qualunque cosa ci fosse tra loro era relegato a uno specifico periodo della propria esistenza. Non erano compatibili, né sembravano aver voglia di risolvere le loro differenze. L'orgoglio e una piccola incomprensione avevano fatto il resto, a tal punto che, dopo un mese di separazione, la giovane Morgenstern era giunta addirittura a pensare che entrambi non aspettassero altro se non il giusto pretesto per liberarsi di quella zavorra. Inizialmente si era persino sentita libera, pronta a ricominciare, una convinzione quella data più dalla mancanza di voglia di Percy di ricreare un punto di contatto, che da effettivi motivi. A ciò si erano aggiunti i troppi ostacoli incontrati lungo il cammino: lo Shame, la guerra contro il governo, la presenza di Edith Cornelia Brown sotto il naso di tutti. Non aveva avuto il tempo di pensarci, né si era concessa di farlo fino in fondo. Alla fine però, qualcosa, improvvisamente era cominciato a mutare. L'assenza era cominciata a farsi sentire, il suo totale disinteresse nei confronti di qualunque uomo era diventata lampante; e infine erano cominciati a giungere quei piccoli dispetti, le provocazioni, e in ultima battuta il disastro di Halloween. Lentamente tutte le sue convinzioni erano state nuovamente scrollate dalle fondamenta, e in ogni occasione, Tris, avrebbe voluto solo poter fare esattamente ciò che si era sentita di fare due estati prima nella biblioteca di casa sua. Senza filtri né impalcature. E invece.. ho scelto la dignità.

    La dignità era diventata un concetto sempre più labile per Tris, fino ad arrivare a chiedersi persino cosa significasse. Era dignità quel trascinarsi in giro con la chiara sensazione che mancasse qualcosa? Era dignità rendersi conto che era l'unica persona che non si era veramente data una possibilità da quando lei e Percy si erano lasciati o anche solo da quando la guerra era finita? Era dignità piazzarsi ogni sera sul divano, divorando pacchi di patatine di fronte ai grossi tomi che continuava a studiare nella speranza di poter riunire i puntini di tutti quegli indizi che aveva raccolto durante gli ultimi mesi? No. Vivere in condizione di cose che non comprendeva, rintanandosi nella residenza ammuffita di famiglia, più che dignità sembrava la morte di quest'ultima, e proprio per questo motivo aveva deciso di affrontare il Midsummer con uno spirito differente. Si era resa conto di aver bisogno di un attimo di respiro. Anche solo un momento. Una pausa. Un attimo di gaudio. Ne aveva bisogno, ed era piuttosto ovvio che non era nemmeno l'unica. Nel momento esatto in cui il corpo di lei si scontrò contro quello della sua controparte, qualcosa di estremamente profondo si smosse dentro di lei. Una fiamma antica tornò a splendere nelle sue interiora con la stessa velocità con cui si era spenta, e rispondere a quel bacio divenne l'unica ragione per cui era valsa la pena partecipare a tutta quella festa. Si strinse al suo collo con più decisione, corrispondendo il bacio di Percy con una foga quasi animalesca, lasciando scorre le dita lungo il suo petto con l'avidità di una belva al confine con la sua natura più irrazionale. Il bacio si concluse, forse più per necessità di entrambi di riprendere fiato che altro, e allora, la muta estasi di quel momento si tradusse in un suo stringere ulteriormente la presa contro i fianchi di lui. La monetina che le fate avevano consegnato loro scomparve sul fondo del lago, e Tris sollevò un sopracciglio con fare interrogativo. « Questa volta voglio giocare a scatola chiusa. Pensi che la nostra mancanza si sentirebbe in maniera così terribile, se dovessimo assentarci momentaneamente dalla festa? » Oh! Schiuse le labbra, Tris, non sapendo cosa rispondere di preciso. Più che contrariata, era decisamente sorpresa. Se non fosse per un rumore di passi che percepì oltre i cespugli che delineavano il limitare della radura, probabilmente non avrebbe sentito minimamente il bisogno di abbandonare lo stagno. Sollevò lo sguardo nella direzione dei suoni e gli rivolse uno sguardo stranamente intrigato. « Spero proprio di sì.. » Disse infine; la lingua guizzò appena a solleticare le labbra di lui, prima di staccarsi, iniziando a precorrere la distanza che li separava dalla sponda a nuoto. « ..intendo farla valere.. l'assenza. » Pausa. « Spero proprio che parlino. Sarebbe qualcosa di nuovo. » Rispetto all'essere completamente dimenticati. Non disse altro, né si voltò, una volta ripreso il contatto con la terra ferma. Decise di inoltrarsi tra gli alberi, viaggiando in direzione opposta rispetto alla festa. Guidata dai suoni sempre più attutiti, continuò a camminare per un lungo pezzo, ignorando quasi completamente la presenza di Percy, quasi come se non esistesse. Sapeva fosse lì; riusciva a percepire lo sguardo di lui sulla propria nuca, ma nonostante ciò non risultò intimidita né dalla sua presenza, né dall'attesa che si stava irrimediabilmente creando tra loro. « Per curiosità.. quanto a scatola chiusa credi di voler giocare? » Chiede ad un certo punto con un tono apparentemente indifferente mentre continua a spostarsi in una direzione ben precisa. Sta seguendo il suono delle onde, nella speranza di raggiungere la spiaggia. Riesce a percepire sempre più vicino quel odore salmastro, motivo per cui continua a remare dritta, lenta ma pur sempre decisa. Quando l'ultima fila di cespugli, si apre sul panorama notturno di una spiaggia desolata, Tris sorride e volge lo sguardo verso l'alto ispirando a fondo. A quel punto si volta per la prima volta nella direzione di Percy, mentre continua a indietreggiare percependo un po' alla volta sempre più sabbia sotto i sandali.
    « Abbiamo mai giocato diversamente, io e te? » In momenti differenti il suo potrebbe sembrare un rimprovero, eppure, a ben guardare, nonostante il tono apparentemente indifferente della giovane Morgenstern, il suo sguardo, l'espressione fiera colta da un sentimento di pura sfida, tutto sembra tranne che richiedere di scendere lungo la strada scivolosa della polemica sterile. « Sei sicuro di conoscermi abbastanza da poter affermare con certezza di voler giocare a scatola chiusa? » Scuote la testa mentre si gira tra le mani uno dei bracciali che erano sopravvissuti all'ira funesta dello snaso di Leonard. « Attento a quello che dici, Percival Watson Lancaster; questa giuria potrebbe utilizzare una qualunque parola contro di te. » Cullata dal venticello leggero e dal suono delle onde del mare, Tris avanzò qualche passo nella sua direzione misurando con lo sguardo le vicinanze. C'è un faro in lontananza, in fondo alla lunga spiaggia. Forse un chilometro, due al massimo. Tris glielo indica prima di sorridere, sollevando un sopracciglio. « Facciamo a chi arriva per primo? » La domanda piuttosto enigmatica cela una richiesta altrettanto ambigua che la giovane Morgenstern rende palese nell'esatto momento in cui scuote la testa sentendo già montarle nel petto la sua metà migliore. Gli arti di lei iniziano a contorcersi mentre o sguardo eloquente inchiodato a quello del giovane Watson sembra richiedergli altro. Voglio l'altro te. L'ultimo raptus di pura umanità si prosciuga, mentre l'animale dal candido manto bianco e gli occhi scuri come carbone si materializza al suo cospetto. Ringhia con fierezza, mostrando i poderosi canini, ma trovando al contempo la benevolenza di strusciarsi contro la sua gamba prima di volgere lo sguardo verso la meta. Attende, la lupa bianca, girando attorno alla preda come solo un feroce predatore saprebbe fare. Lì, nello spazio di quel territorio inesplorato, il gioco della scatola chiusa si è reso sovversivo e inedito. La candida bestia dà infine il via alla corsa; è agile e veloce come il vento, e non gli rende affatto semplice il percorso. Lo morde giocosamente e lo spintona, ringhiando di tanto in tanto; si sente forte e libera di ogni pensiero sotto quelle vesti, come se ogni senso ed emozione venissero amplificati. Nonostante il difficile percorso che l'ha portata ad accettare la sua natura, Tris deve ammettere che la sua controparte ferina l'ha portata a guardare al mondo in una prospettiva completamente differente, inedita, migliore. La sabbia sotto le zampe, gli odori della spiaggia e del male, il vento che le accarezza il manto, il senso di appartenenza, la netta sensazione di trovarsi esattamente dove dovrebbe essere - nella natura, a contatto con la sua di natura - è tutto merito dell'altra se stessa. L'ho accettato. Ci convivo. No.. anzi; credo di non poter farne a meno. Mi serve. E' la nostra parte migliore. E seppur il suo spettro emotivo sembrasse alterato dall'istinto, non era mai stata più razionale e consapevole di se stessa come allora. Fiera e libera, correva al fianco dell'altra belva non tanto per il gusto di vincere o di prevalere su di lui, quanto piuttosto per un senso di profondo bisogno di condivisione e coesione. Lo sentiva, seppur quel legame altro, dettato da regole che non avevano mai compreso fino in fondo, fosse scemato ormai molto tempo addietro e riusciva a riconoscerlo, a rispettarlo, proteggerlo se necessario. Un ultima spinta più violenta ebbe il chiaro obiettivo di atterrarlo. Ringhiò ancora, minacciosa ma non ostile. Un corteggiamento quello che nulla aveva a che fare con le aberranti leggi degli uomini fatti di fiori e pali da adornare.



     
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    Per quanto lo mettesse a disagio, cercare aiuto era stata la decisione migliore che Percy avesse preso in vita propria. Quando aveva mandato un gufo all'analista più rinomato dell'Inghilterra magica, il giovane Watson lo aveva fatto con scetticismo, credendo che in fin dei conti gli sarebbe servito soltanto per mettersi il cuore in pace sul fatto che tutto nella sua vita stesse andando esattamente come doveva andare. Una sicurezza, non gli serviva nulla di più. Eppure, sulle prime, di sicurezze ne aveva avute ben poco. Ritrovarsi a sviscerare gli ultimi due anni della sua vita, a ricapitolarli ad alta voce forse più per se stesso che per il proprio interlocutore, aveva aperto tante piccole porte sul mondo sconosciuto di tutto ciò con cui l'ex Serpeverde aveva evitato di fare i conti; la propria natura, il lockdown, la guerra, le distanze prese col mondo a cui aveva creduto di appartenere e poi, inevitabilmente, Tris. Lei e tutto il resto. Solo lì, seduto su un divanetto di pelle mentre dava voce alle proprie esperienze, Percy si era reso conto di non poter veramente farcela da solo. E così aveva cominciato il proprio percorso, passo dopo passo, con due appuntamenti settimanali che lentamente erano riusciti a migliorare quella salute mentale che non sapeva nemmeno di dover curare. Il costo era alto, ma l'uomo meritava davvero ogni falce anche solo per la maniera sottile in cui era riuscito a volgere lo sguardo del ragazzo dentro se stesso, piuttosto che al di fuori. Non si trattava di seguire consigli pratici - non era quello il lavoro dell'analista -, ma di fare un percorso che aveva il proprio termine nella consapevolezza e nella guarigione. E a quel punto, Percy ci era arrivato da solo a capire che quell'orgoglio di cui tanto si riempiva la bocca, non gli aveva mai davvero portato in tasca qualcosa che valesse la pena di chiamar proprio. Cos'era, quella dignità, se non una bella parola dietro la quale coprirsi quando era troppo spaventato di fare il passo più lungo della gamba, di gettarsi nell'ignoto? Nulla. Lo preservava dal dolore quanto dalla gioia, mantenendolo in uno stato di immobilismo che, per sua caratteristica, non poteva esporlo ad alcunché. Così, alla luce di tutto quel male vissuto - del lockdown, della guerra, del treno - la domanda era sorta spontanea. Per cosa sono sopravvissuto?
    d129
    « Per curiosità.. quanto a scatola chiusa credi di voler giocare? » Si strinse nelle spalle, sorridendo. « Penso che la definizione di scatola chiusa sia già abbastanza soddisfacente. » Fece una pausa, lanciandole uno sguardo eloquente. « Altrimenti si sarebbe detta scatola un po' aperta. » La seguiva, incerto su quale fosse la meta che lei si era posta - perché una, dal modo sicuro in cui camminava, se l'era posta di certo. Man mano che avanzavano, il rumore delle onde e l'odore dell'acqua salina si facevano sempre più presenti ai suoi sensi, creando una piacevole sensazione tra la calma e l'aspettativa. « Abbiamo mai giocato diversamente, io e te? » Sospirò, astenendosi tuttavia dal rispondere. Quando mai abbiamo giocato a scatola chiusa, io e te? Fin dal primo momento abbiamo potuto sentire pensieri ed emozioni l'uno dell'altra. Non sapevamo come comunicare, non sapevamo quale dimensione avessimo: andavamo semplicemente avanti con quel piccolo imbroglio che ci era stato fornito dall'alto. Ci abbiamo fatto conto, così tanto che quando ce l'hanno tolto ci siamo sgretolati come sabbia asciutta. « Sei sicuro di conoscermi abbastanza da poter affermare con certezza di voler giocare a scatola chiusa? Attento a quello che dici, Percival Watson Lancaster; questa giuria potrebbe utilizzare una qualunque parola contro di te. » Si fermò, il tempo necessario a togliersi le scarpe per lasciare che le dita dei piedi affondassero tra la morbida sabbia fresca, sentendone ogni granello. « In caso sarà un'occasione per conoscerti meglio, no? » Sorrise, sornione, convinto che ormai tra loro due ci fosse davvero ben poco da scoprire. Il problema era proprio quello: si conoscevano sin troppo bene, e avevano iniziato a farlo in un momento di completa instabilità, privi delle basi necessarie di fiducia. Un percorso, il loro, che andava rivisto e corretto a partire dai primi passi. « Facciamo a chi arriva per primo? » Gli occhi del ragazzo si puntarono sul faro da lei indicato, poco distante da loro. In tutta risposta, Percy alzò gli occhi al cielo, ridacchiando divertito prima di annuire e cominciare a mettersi in posizione di partenza. Ma evidentemente, Tris intendeva qualcosa di diverso da una normale corsa. Sorrise, quando il muso della lupa bianca accarezzò dolcemente la propria gamba. « Solo perché sei tu. » disse ironico, mettendosi davanti il dito indice a mo' di monito. Nel giro di pochi istanti, le sue ossa cominciarono a spezzarsi e riassemblarsi, ricoprendosi di un manto color grigio perla che scintillava maestoso sotto i raggi lunari. Lasciò che un ululato abbandonasse le sue fauci, come un'ode istintuale alla propria stessa natura. Lanciarsi nella corsa fu come prendere una penna e scrivere: spontaneo e genuino. Con la sabbia che si sollevava ad ogni suo passo e la leggera brezza che gli sferzava il muso tra ogni gioco con Tris, Percy si sentiva in comunione non solo con lo strato più profondo di se stesso, ma con tutto quanto. Accettazione. Ecco di cosa sapeva quel momento. Sapeva di svolta, di nuovo inizio, si punti che si connettevano a disegnare il naturale arco che avrebbe sempre dovuto compiere. Erano connessi, di nuovo, ma questa volta in maniera diversa. Non si trattava di una mano di aiuto dal cielo, ma di una spinta dettata dalla volontà di condividere e scoprirsi. Forse per la prima volta, si stavano offrendo l'uno all'altra senza alcuna spinta esterna, senza alcun gioco di forze. Quando lei lo atterrò, la belva grigia rilasciò un ringhio giocoso, carezzando con il lungo muso la gola bianca della propria compagna. Approfittò di quel momento di comune vulnerabilità, per ribaltare le posizioni, giusto il tempo di fissarla negli occhi ferini prima di compiere qualche passo indietro e riprendere le proprie sembianze umane. Coi capelli scompigliati e la sabbia nei vestiti - perché sì, non sapendo come sarebbe andata la festa, un incantesimo di permanenza se l'era fatto giusto per sicurezza - tese una mano a Tris con un sorriso, indicandole poi la struttura di pietra con un cenno del mento. « Saliamo? » Più un invito che una vera e propria domanda, dato che nel giro di pochi istanti estrasse la bacchetta, aprendo la porticina che immetteva all'interno del faro. Una volta dentro, fu necessario castare un lumos per risalire le tortuose scale a chiocciola che portavano alla cima della struttura, completamente deserta. Con un colpo di bacchetta accese le lampade ad olio, riponendo via l'arma per superare la soglia tra la stanza circolare e il balconcino che la circondava tutta. Chiuse gli occhi, stringendo le dita sul bordo di ferro mentre inspirava a fondo l'odore del mare. Quando li riaprì, il suo sguardo andò ad abbracciare l'intera distesa ai suoi piedi: le piccole onde scure, gli alberi del boschetto, le luci lontane della festa e quelle ancora più lontane dell'isola britannica. C'era il loro piccolo mondo, e poi tutto il resto, tanto diviso quanto complementare. « Tutto ciò è molto metaforico. » disse, voltandosi di mezzo busto per guardarla. Perché in fondo era sempre stato così: ognuno sul proprio faro, Tris e Percy avevano guardato la vita prendere forma intorno a loro, sotto di loro. Il loro sguardo si era sempre erto dall'alto, quasi come un giudizio che pendeva su tutto ciò che consideravano inferiore, quando in realtà..semplicemente non lo capivano. Un classico simbolo di solitudine, il faro, che in quella circostanza sembrava essere diventato qualcosa di diverso: l'emblema di una comunanza stretta, elettiva. Ripercorse i propri passi a ritroso, avvicinandosi a Tris con una cautela priva di paura, ma connaturata di rispetto, di un muto invito. Una cautela, tuttavia, diversa dalla maniera intemerata con cui si erano incontrati la prima volta nella rimessa delle barche. Non c'erano più candida purezza, timore e inesperienza nei loro occhi. Questa volta, la volontà di esplorarsi seguiva altre direttive, più urgenti, più turbolente. « Voglio l'altra te. » disse, piano, come a chiudere il cerchio di ciò che avevano condiviso sino a quel momento, conscio del fatto che lei avesse tutti gli strumenti per capire cosa intendesse. La loro natura, quella vera, che non doveva necessariamente assumere una forma trasfigurata per manifestarsi. E infatti, il modo in cui Percy ricercò il contatto con le labbra di lei non prese le connotazioni del consueto bacio casto, dignitoso. Man mano che quel contatto proseguiva, si faceva sempre più spasmodico, sempre più affamato, mentre le dita di Percy si muovevano a far scendere le spalline del top di lei quanto bastava a crearsi la strada per lasciare altri baci sul suo collo, sulla sua clavicola, sulle sue spalle. Le mani del ragazzo scesero a cercare la zip della gonna di lei, facendola scendere piano per poi lasciare che l'indumento cadesse semplicemente a terra da solo. Non smise per un istante di depositare quei baci, premendo il proprio corpo contro quello della ragazza quanto bastava a condurla un passo dopo l'altro all'indietro fino al tavolo che si trovava alle spalle di lei. Lì, la aiutò a issarvisi seduta, portando le proprie labbra a seguire le curve del busto di Tris fino agli slip. Si fermò per un istante, sollevando lo sguardo negli occhi della mora con un guizzo malizioso, un po' a chiederle conferma e un po', semplicemente, a stuzzicarla. Col respiro appesantito, infilò le dita sotto i bordi del suo intimo, facendolo scivolare giù dalle sue gambe per depositare un bacio sulla sensibilità di lei. « Sono un uomo di parola. » disse ironico, in un soffio, lanciandole uno sguardo eloquente come a riportare alla sua memoria le parole che si erano rivolti durante la caccia. E a quella parola, Percy tenne infatti fede, ricercando il contatto con l'intimità di Tris in maniera più marcata. Un lento gioco che venne presto seguito, quando si rese possibile, dall'ausilio delle sue dita. Un'esperienza così semplice, eppure così nuova per loro due, che sembrava stagliarsi come un nuovo traguardo all'interno di quella relazione: l'ennesimo muro caduto, l'ennesimo ostacolo mentale superato.


     
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    « Saliamo? » Nuovamente sotto spoglie umane, Tris tirò un lungo sospiro rivolgendogli un sorriso giovale. Era stato divertente, nella maniera più genuina possibile; gli effetti della corsa erano ben visibili nel largo sorriso di lei che diventò dolce e compiacente. Non sorrideva spesso in quella maniera; chiunque la conoscesse avrebbe detto piuttosto che Beatrice non era prettamente in grado di trarre veramente soddisfazione da nessun tipo di attività. Non erano parole al vento; che Tris non fosse in grado di lasciarsi andare era un dato di fatto, eppure, in quella circostanza la sua seconda natura era prevalsa talmente tanto che per un istante si era semplicemente lasciata alle spalle la sua consueta personalità impostata. Lo seguì su per le scale a chiocciola, aggrappandosi alla sua camicia per evitare il rischio di inciampare; nonostante fosse perfettamente in grado di camminare in condizioni di scarsa luminosità, quella volta decise di affidarsi a Percy lasciandogli il timone. Giunsero infine in cima alla torre. L'aria notturna la investì con dolcezza mentre, chiusasi la porta alle spalle, osservò i movimenti di lui nella grande stanza.
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    Sotto la luce soffusa delle lampade a olio, Tris osservò i suoi movimenti, azzardando con pigrizia di misurare la stanza nella stessa direzione seguita dal Serpeverde. Posò i gomiti sulla ringhiera metallica e ispirò a fondo l'aria salina, lasciandosi cullare dal dolce suono del vento tra i capelli castani. « Tutto ciò è molto metaforico. » In tutta risposta Tris volse lo sguardo nuovamente verso l'orizzonte, pensierosa. Vivere la vita dall'alto, guardando verso il basso, bramando qualunque cosa ci fosse lì sotto era una metafora che ben conosceva e di cui tuttavia, in un modo o nell'altro desiderava liberarsene. Tris aveva sempre desiderato a modo suo essere lì sotto, stendersi sulla spiaggia, ridere e scherzare, vivere senza alcuna responsabilità come se il domani non esistesse. Più volte ci aveva provato, e altrettante aveva fallito. Inizio a capire che il punto non è tentare di scostarsi da se stessi - dobbiamo accettarci, capire i nostri limiti per superarli. Distolse lo sguardo, muovendo nuovamente diversi passi all'interno della stanza, guardandosi attorno, studiando l'ambiente spoglio di un luogo che doveva essere abbandonato da diversi anni, se non addirittura decenni. Non diede particolare importanza all'avanzare dei passi di Percy, seppur potesse percepirne la vicinanza. Lo attendeva; apparentemente ignara, gli diede il tempo di colmare le distanze coi suoi tempi, voltandosi nella sua direzione solo quando fu sufficientemente vicino da non poter ignorare la sua presenza. Si scostò istintivamente i capelli dalla spalla ricercando un contatto visivo di cui non sembrò vergognarsi affatto. Semmai, ne accentuò l'eloquenza, inclinando la testa di lato squadrandolo dalla testa ai piedi con un velo di mistero e tacita promessa. « Voglio l'altra te. » E la danza a cui si abbandonano le loro labbra acconsente a quella richiesta con pathos e persino una certa esuberanza. Il profumo di Percy incastrato nella sua memoria smantella tutte le sue sicurezze, accogliendo quell'invasione dei propri spazi con la foga di inglobarlo. Lo attira a sé pur indietreggiando, lasciando scorrere le dita affusolate tra i suoi capelli, aggrappandosi coi denti alla sua carne non appena il contatto con la sua bocca si interrompe per lasciar spazio ad altri baci. E' impaziente e scontrosa in quel gioco di lussuria a cui si abbandona con smania e irriverenza, ricercando con non poca curiosità di scoprire fino in fondo chi è l'altra lei. Non l'ha mai saputo, Tris, chi è. Non fino in fondo. Ciò che conosce di se stessa è pressoché relegato alle aspettative che gli altri hanno riposto sulla sua persona. Persino nella relazione con Percy, lei è stata esattamente ciò che ha intuito il ragazzo si aspettasse da lei e ciò che pensava lui avesse bisogno. Ma ha mai conosciuto fino in fondo le aspirazioni di Percy? I suoi desideri? Le sue fantasie? Ha mai tentato di andare oltre quel velo di dignità di cui entrambi si dipingevano con un senso di insoddisfacente trionfo? Tra Percy e Tris c'è sempre stato un velo di imbarazzo; hanno viaggiato col freno a mano per paura di essere giudicati, forse anche per paura di perdersi. Tris di certo lo ha fatto; l'atteggiamento ermetico del ragazzo l'ha sempre messa nella condizione di pensare che, semmai si fosse abbandonata completamente alla sua indole, lui avrebbe trovato mille pretesti differenti per scappare a gambe levate. Forse era lo stesso per lui; di certo il loro legame non è mai stato privo di insensati pregiudizi. Lui ha considerato a lungo parte dell'habitat di lei in un certo qual modo primitivo; lei l'ha catalogato come snob, privilegiato e pomposo. Orgoglio e pregiudizio; la più patetica e scontata storia dall'alba dei tempi, simbolo di una fatiscente emancipazione femminile e di un repentino cambio di sensibilità maschile. Un simbolo quello, che Tris decide di abbandonare definitivamente nel preciso momento in cui venne sollevata quanto bastasse per mettersi a sedere sul tavolo di legno presente nella stanza. Gli occhi di lei brillarono mentre, la sua pelle corrispondeva ogni tocco di lui con leggeri brividi e sospiri sempre più carichi. Puntellò i gomiti oltre la schiena, accogliendo il primo contatto delle labbra di lui con la sua parte più sensibile con un accenno di sorpresa, avvampando vistosamente. Ci fu un momento in cui sentì la netta sensazione di trovarsi in un territorio inesplorato, qualcosa di assolutamente nuovo, di cui, sembrò temerne le conseguenze. Tuttavia, il suono della voce di lui e la totale tranquillità con cui non si tirò indietro dall'andare fino in fondo, le bastò per permettergli di lasciarsi trafiggere dall'iniziare torpore che si trasformò ben preso in puro piacere. Chiuse gli occhi gettando la testa all'indietro, graffiando la superficie sotto il proprio peso con poco ritegno. Le avrebbe spezzate, quelle assi, se solo avesse trovato un punto contro cui agganciare i polpastrelli. I sospiri di lei si fanno sempre più pesanti, corrotti dai continui cambi di paradigma che la costringono a un altalenante senso di inerzia. L'equilibrio scema ogni volta un po' di più, mentre tesa come una corda di violino si contorce inarcando la schiena. Le dita di lei si arpionano al suo polso ad un certo punto, affondano con violenza contro la carne di lui, percependo nettamente le pulsazioni cadenzate della sua circolazione sotto il primo sottile strato di epidermide. Ed ecco che ad un certo punto colpisce il tavolo sotto i fumi del piacere, emettendo la prima sonora prova di una sensazione di goduria che non riesce a trattenere, e forse non vuole nemmeno farlo. Quell'imprecazione è seguita da versi più sensuali, e mielosi che sembrano incalzarlo ulteriormente ancora e ancora. E' questione di partecipazione e di condivisione, di domande mai poste e risposte mai giunte, che pure ora sembrano assumere contorni inconsistenti. Non è questione di parlare, non lo è mai stato; d'altronde Percy e Tris, con le parole sono sempre stati bravi in fondo. E' questione di sincerità, dimostrando all'altro tanto la loro vera natura, i loro veri desideri, quanto le loro debolezze. E in quel momento infatti, Tris è sincera, e infine, con la stessa genuinità di prima si abbandona al punto del non ritorno sentendosi pervadere da una tensione che tende il suo corpo all'estremo, spostando il suo baricentro nell'esatto punto da cui tutto quel piacere scaturisce lasciandosi travolgere di conseguenza fino all'ultima terminazione nervosa.
    E' tutto nuovo, diverso, più intenso, e lei sente di correre incontro a una parte di sé che non è certa di conoscere, eppure verso la quale è spontaneamente attirata. Guardare in quell'abisso le ha fatto a lungo paura, ma un parte di sé sa cosa aspettarsi. Tris ha avuto l'occasione di vivere con la sua parte più esasperante per anni; non ha realizzato fino in fondo che quella creatura - lei - altro non era che il fondo dell'abisso, la sua parte più degenere. Seppur a livello subconscio sa cosa c'è in fondo al tunnel, non ha mai realizzato che quella è pur sempre se stessa; tutto ciò che accade in mezzo tra la sua versione più innocente - la giovane dodicenne che non aveva mai visto il mondo fuori da Tatev - e quella lei, il doppio, sono solo infinite sfumature che le appartengono. La giovane Morgenstern non sarà mai lei, ma come tutti, potrebbe diventarlo, perché quella è la radice ultima che nessuno di noi vuole accettare o abbracciare. Eppure, potenzialmente vive da qualche parte, dentro di noi.. e là fuori.. tra gli alberi di una selva oscura. Il parassita esiste e si plasma in base a chi lo ha generato. E Tris, ne aveva generato uno terribile. Quei pensieri forse non li fece davvero, ma in qualche maniera la loro essenza venne istintivamente assimilata nella sua mente in medias res. Certo è che ad un certo punto riaprì gli occhi, dopo aver ripreso fiato, mettendosi a sedere a schiena dritta con un improvviso slancio. Sollevò lo sguardo in quello di lui e lo osservò nello stesso istante in cui le mani lo attirarono ulteriormente a sé facendo leva sulla cintura di lui. « Sei sicuro? » Gli chiese di conseguenza in un sussurro. La mano scorse istintivamente il braccio di lui con gentilezza mantenendo il contatto visivo prima di afferrare la sua camicia da sotto il colletto facendo cedere tutti i bottoni in uno strappo solo. « Di volermi conoscere fino in fondo.. intendo.. » Sollevò un sopracciglio rivolgendogli un sorriso malizioso da sotto le ciglia, carezzando il busto scolpito di lui con uno sguardo colmo di desiderio. « Beh.. chi sono io per negartelo » Parole espresse sull'orlo di un sospiro e una finta indifferenza, prima di saltare giù dal tavolo gettandogli le braccia al collo, avventandosi sulla sua bocca. Lo spinge nella direzione opposta mentre si abbandona a un bacio che ha ancora il suo sapore, e ciò sembra infervorarla ulteriormente, portandola ad armeggiare coi bottoni dei suoi jeans mentre lo spinge con ben poca gentilezza verso la terrazza, perdendosi in quel contatto stimolato dall'urgenza e un evidente velo di passionalità. Una Grifondoro in Tris c'è sempre stata, pronta al rischio e all'avventura; devo solo darle modo in scoprire dove vuole portarmi. Giunta ai confini con la terrazza, affonda una mano nella tasca posteriore dei suoi jeans, mentre vinta la barriera dei boxer si scosta appena per incontrare il suo sguardo, rivolgendogli un'espressione eloquente. « Anche io sono contenta di rivederti » Un sussurro il cui respiro pesante si infrange contro il volto di lui, mentre si muove con iniziale incertezza prima di prendere il via con più confidenza. Superato l'odioso filtro dell'imbarazzo, il cui snodo Tris sembra scacciare non senza combattere una guerra interna perpetua, dimostra più sicurezza e generosità nel modo in cui lo guarda, nella maniera cui sparge baci delicati sullo sterno di lui, sostituendo a tratti alle labbra, la bianca fila di denti smaliziati. La mano nella tasca esercita una pressione possessiva sulla carne di lui, emettendo al contempo leggere risate scaltre. E lo osserva. Percy è bello; di una bellezza marmorea e ideale, di fronte alla quale Tris resta spiazzata. Vi è nella sua figura dai lineamenti classici, una vulnerabilità che solo ora vede, eppure c'è anche qualcos'altro. Qualcosa che non conosce, che vuole comprendere ed esplorare. Continua con quei movimenti lenti e calibrati, mentre di scatto la mano liberatasi dalla tasca si avventa sulla bacchetta di lui nella fondina ancora attacca alla cinta penzolante. La estrae impugnandola mentre lo sguardo di lei oscilla da un polso all'altro. Le metafore del mondo magico, pensa tra se e se con un velo di malizia e sincero divertimento. Ci mette un po' prima di decidersi. Richiama a sé la gonna svolazzante, inclinando appena la testa di lato mentre la rindossa con pochi facili movimenti. « Ok. Abbiamo finito qui. » Pausa, accompagnata da un leggero sollevare le spalle con indifferenza. Poi si scioglie in un sorriso sornione facendogli l'occhiolino. « Chiudi gli occhi bellezza, stiamo per tornare coi piedi per terra. Reggiti forte! » Un'idea che sembra materializzarsi nella sua testa con la stessa velocità con cui ha colto l'opportunità di rivederlo, di stare assieme a lui, di viverlo senza filtri o complicazioni. Basta metafore o discorsi sui massimi sistemi; voglio vedere com'è la vita vera. E infatti, avvicinatasi ulteriormente per ricercare un contatto diretto tra i loro busti, Tris rotea la bacchetta e insieme si smaterializzano al punto di partenza. La festa è non troppo lontana, la musica in sottofondo, gli applausi, le risate. Nel buio della foresta, gli occhi di Tris brillano di una forma di lussuria differente. Sono perfettamente riparati al ridosso di una delle cabine le cui luci sono spente. Tutto attorno a loro tace e odora di natura incontaminata - la foresta, il luogo principe di quelli come loro sembra essere loro muta complice e testimone. « Noi dobbiamo stare un po' di più in mezzo alla gente. E' interessante.. la gente. Solo per un po'.. » Pausa. « Goditi il bagno di folla » Scelta di parole decisamente poco oculata. E infatti, chiusa quella parentesi, la giovane Morgenstern si avventò sulle sue labbra finché la schiena di lui non incontrò un tronco alle proprie spalle. Ed è lì che, senza preavviso alcuno Tris si staccò, piegandosi sulle ginocchia e abbassando quanto bastasse i jeans di lui per permetterle di dimostrargli tutto l'altruismo che il giovane Serpeverde le aveva in precedenza addossato. La palese situazione al limite del rischio e la sicurezza che sembrò dimostrare nel non demordere, fecero il resto. Il pericolo sembrava accenderla, scoprirne un nuovo lato che non sembrava nemmeno di conoscere. Camminare sul filo del rasoio era ciò che aveva fatto per tutta la vita; la lama nella folla, una bestia inferocita sotto il naso di tutti. Con quelle premesse i suoi capelli castani seguono i movimenti celeri del capo; labbra di velluto si spingono a conoscere una sensazione nuova che converte tutti i suoi preconcetti in un mucchio di smaniate fobie. Quando si sente più sicura accompagna quei movimenti con le mani, mantenendo erto lo sguardo verso l'alto alla ricerca di una conferma nelle espressioni di lui. Non è l'approvazione ciò di cui ha bisogno, bensì il riscontro, la condivisione. Pretende risposte là dove non le ha fino ad allora cercate, negli occhi di colui che non ha mai avuto il coraggio di guardare fino in fondo. Voglio vederti davvero. Voglio sapere tutto, conoscere tutto; voglio scoprire cosa mi sono persa.



     
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    C'è sempre una parte nascosta, una che celiamo per paura di essere giudicati, di non essere adatti, di essere esclusi. A volte la nascondiamo persino a noi stessi, costruendoci addosso la narrativa della persona che crediamo di voler essere. Percival, questo, lo aveva fatto per tutta la vita. Spaventato dalla sola idea di accettare le proprie contraddizioni, si era trincerato in una zona sicura che potrebbe essere facilmente riassumibile con il termine ignavia. Aveva indubbiamente evitato molte grane, in primis quella di fare i conti con il proprio passato e con le persone che lo avevano preceduto. I suoi genitori, quelli biologici, un contegno non lo avevano mai avuto: sfondando ogni argine, si erano abbandonati agli istinti più bassi che l'animo umano potesse concepire, punendo tuttavia quei momenti in cui le espressioni naturali fuoriuscivano dai loro figli. Che Percy fosse cresciuto come un maniaco del controllo e dell'ordine, non era poi questa grande sorpresa, alla luce di ciò che aveva dovuto vivere sulla propria pelle. Fin dalla più tenera età era stato condizionato a legare a doppio filo l'espressione di se stesso con il terrore di sbagliare, di fare passi falsi, di rivelare troppo e di essere conseguentemente punito. Lasciarsi andare e lasciarsi vedere erano presto diventati un sinonimo di debolezza, qualcosa di cui gli sarebbe stato chiesto il conto se mai fosse venuto fuori. Contegno, eleganza e dignità: questi erano quindi sorti come dei mantra all'interno della sua testa. Tutto era subordinato ad essi, schiacciato dall'opprimente bisogno di mostrarsi sempre perfetto e senza macchia alcuna. Una macchina, sostanzialmente. Perché solo una macchina potrebbe permettersi l'assenza di pulsioni e istintualità. E dunque non c'era spazio per l'accettazione di quella natura sensuale tipicamente umana, governata dall'impulso inconscio. Tutto ciò che riguardava quella sfera, Percival lo aveva vissuto come uno sfogo da nascondere e di cui vergognarsi, che doveva essere per lo più taciuto e tenuto comunque sotto controllo all'interno delle più appropriate circostanze. Ci era voluto molto tempo, forse pure troppo, per far sorgere quelle domande che dovrebbero essere spontanee nel momento in cui si vive una simile esperienza di coppia. Io cosa voglio? Cosa vuole il mio partner? Connettersi l'uno all'altro non è un qualcosa di meccanico o calcolato, è qualcosa che succede e basta, ma bisogna volerlo. La volontà di mostrarsi e accettare il partner è necessaria nel momento in cui si vuole andare oltre il semplice atto fisico. E forse il giovane Watson si era convinto di averlo fatto, perché in fin dei conti c'era davvero poco della sua mente che fosse stato celato a Tris dal legame tra lycan, ma non lo aveva davvero scelto in maniera consapevole. Non si era abbandonato - semmai si era prestato.
    Regalarsi a lei in maniera totalmente altruistica portò nella sfera emotiva del ragazzo una sensazione completamente nuova. Eppure, nonostante il suo atavico terrore nei confronti dei cambiamenti, gli piaceva. Gli piaceva guardare le diverse espressioni che si alternavano sul viso di lei, sentire le contrazioni muscolari del suo ventre e gli spasmi che le attraversavano gli arti come scariche elettriche. Una luce, quella, sotto la quale non l'aveva mai davvero vista, forse proprio per la stupidità di precludersi quel lato dell'esperienza sessuale. Perché lo aveva fatto? Col senno del poi, non avrebbe saputo rispondere a una tale domanda. C'era qualcosa di elettrizzante, nel donarsi completamente per dare piacere a qualcun altro - qualcosa che lui non aveva mai sentito ma che gli pompava il sangue nelle vene facendo rimbombare un forte battito cardiaco contro la sua cassa toracica. Tutto ciò che sentiva era la volontà di spingersi oltre, di fare tutto ciò che era in proprio potere per farle toccare l'apice del piacere. E quando il momento arrivò, un profondo senso di appagamento si diffuse sotto la pelle del giovane, non più cieco ai propri desideri o a quelli della ragazza che amava. Improvvisamente, vedeva tutto con rinnovata chiarezza, come se qualcosa che fino a quel momento gli aveva ostacolato la vista si fosse di colpo tolto di mezzo, espandendo i suoi orizzonti fin dove l'occhio umano poteva arrivare. Ora la vedeva, davvero. Ma soprattutto vedeva se stesso, la propria natura, i propri desideri e i propri impulsi. Non lo indebolivano. Anzi: l'accettazione lo rendeva padrone, tutore di un controllo che trascendeva la spicciola disciplina.
    Nel silenzio creatosi, Percy ebbe il tempo di riprendere fiato, sbuffando una piccola risata di pura estasi mentre si allontanava dall'intimità di Tris, poggiando alcuni baci leggeri sulla pelle del suo interno coscia prima di riacquistare una postura eretta. « Sei sicuro? » Ridacchiò, alzando il mento con un'espressione di sfida disegnata nelle iridi cerulee mentre lei gli strappava letteralmente la camicia di dosso. « Di volermi conoscere fino in fondo.. intendo.. » L'occhiata di lui, sottolineata da un leggero ma sicuro cenno d'assenso, rispecchiò fino in fondo la malizia di quella di Tris, pronto a percorrere quella strada insieme a lei. « Beh.. chi sono io per negartelo » Prima che potesse capire altro, le braccia di lei erano avvinghiate attorno al suo collo e le loro labbra incollate. Un muto invito che il ragazzo non ebbe bisogno di farsi ripetere, abbandonandosi con foga a quel bacio mentre si lasciava spingere all'indietro senza opporre alcuna resistenza. Questa volta non aveva una finestra aperta sulla mente di Tris, non sapeva cosa volesse fare o come, ne' tanto meno cosa provasse nella precisione; poteva solo fidarsi e lasciarle il timone della barca. E non lo fece con timore, ne' tanto meno con riserve. Non provava paura, ma piuttosto una bruciante e maliziosa curiosità, connaturata da un'urgenza di congiungersi definitivamente. L'impazienza non era un sentimento tipico del giovane Watson, ma sentirlo in quelle circostanze provocava un dolce tepore di eccitazione sotto la sua pelle alabastrina. Un lieve gemito abbandonò le sue labbra quando le dita di lei superarono la barriera dei suoi indumenti. « Anche io sono contenta di rivederti » Fu una breve risata senza voce, strozzata dal fiato corto, quella che uscì dalle sue labbra con un senso di vertigine. « L'ho potuto notare. » rispose veloce, con voce roca e gli occhi che gli brillavano di desiderio. C'è un iniziale velo di leggero imbarazzo nel modo in cui Percy e Tris vanno a incontrarsi nuovamente dopo tanto tempo con quei passi ancora incerti. Eppure a spazzarlo via ci volle poco, sotto il peso insistente degli sguardi che si scambiavano vicendevolmente, dei respiri affannati e dei tocchi leggeri delle loro labbra sulla pelle dell'altro. La paura di mostrarsi in un certo senso vulnerabile venne presto soppiantata dal piacere di quei contatti totalizzanti tra loro, dal senso liberatorio di non doversi ergere un muro attorno per preservare un'impressione di innaturale compostezza. Era bello, non dovere qualcosa, ma semplicemente essere. E fu proprio in quell'ebbrezza che Percy non si accorse dei movimenti di lei fin quando non gli estrasse la bacchetta dalla fondina, lasciandolo per qualche istante sgomento e vagamente frustrato. « Ok. Abbiamo finito qui. » Per un istante tornò quel terrore di aver fatto un passo falso, di essersi sbottonato troppo ed esposto al rifiuto. Ma fu solo un istante, breve, spazzato presto via dall'occhiolino eloquente della mora. « Chiudi gli occhi bellezza, stiamo per tornare coi piedi per terra. Reggiti forte! » Ebbe a malapena il tempo di coprirsi prima che un vortice magico li avvolgesse, togliendogli letteralmente la terra da sotto i piedi e catapultandoli nel bel mezzo del boschetto dell'isola, molto più vicini alla festa di quanto non lo fossero prima. Il vociare, ora, gli permetteva addirittura di distinguere stralci di conversazione tra i presenti: un chiaro segnale di quanto fossero prossimi alla folla dell'evento. Nell'elaborare questo pensiero, lo sguardo corse immediatamente alla ragazza con un brivido di timore, come a volerle chiedere se quella fosse davvero la decisione più saggia. A finire su tutti i giornali d'Inghilterra è un attimo, Tris..davvero un attimo. Ma intorno a loro regnava il silenzio, il riparo di una natura che era parte integrante del loro dna, della loro essenza più profonda. E tra quegli alberi, in qualche modo, Percy si sentiva allo stesso tempo protetto ed eccitato dalle varie prospettive che l'ambiente gli offriva. « Noi dobbiamo stare un po' di più in mezzo alla gente. E' interessante.. la gente. Solo per un po'.. Goditi il bagno di folla. » Una risata cristallina risalì dal cuore dell'ex Serpeverde. « Così poco dignitosa! » sussurrò sardonico, scoprendo la dentatura bianca prima che le loro labbra si incontrassero nuovamente e la sua schiena andasse a cozzare contro il tronco di un grosso albero. Fu solo un attimo, quello che Percy si concesse per guardarsi intorno furtivamente mentre lei iniziava a scendere, ricambiando la generosità che lui le aveva mostrato poco prima. Al contatto delle labbra di Tris, il ragazzo chiuse gli occhi, rigettando la testa all'indietro e mordendosi il labbro inferiore con forza per evitare di produrre un qualsiasi suono. Col respiro affannato, riaprì pian piano le palpebre, cercando gli occhi di lei con un senso di affamato bisogno a lui quasi del tutto nuovo. Le sue dita avanzarono a intrecciarsi ai capelli di Tris, scostandoglieli dal viso e assecondandole al contempo i movimenti del capo. Quel senso di proibito che il vociare in lontananza conferiva all'intera situazione, se possibile, lo eccitava ulteriormente, attirando le sue iridi a tenersi fisse in quelle di lei come a voler condividere in tutto e per tutto quella vertigine di piacere mista al rischio. La tensione saliva di secondo in secondo, temprandogli gli arti in uno slancio tutto teso a cercare ogni millimetro di quel contatto. Le dita affusolate del ragazzo si strinsero ancor di più sulla nuca della mora, mentre un piccolo gemito attutito lasciava le sue labbra nel momento esatto in cui, come in uno slancio di frustrazione, il suo capo si riversò nuovamente contro la corteccia dell'albero. Cazzo, Tris, sono vicino. Parole, quelle, che gli sfuggirono in parte involontariamente, e in parte con l'intenzione di un preavviso. Bastarono pochi istanti per far sì che alle parole seguissero i fatti: un abbandono completo a quella sensazione di intenso piacere che scosse ogni terminazione nervosa del suo corpo, costringendolo a cercare con la mano libera l'appoggio solido dell'albero.
    d153
    Col respiro affannato e il cuore che gli batteva come un tamburo, Percy ebbe bisogno di qualche istante per riprendere fiato e lasciare la presa sulla chioma di lei. I suoi arti si distesero lentamente, lasciando nella muscolatura il ricordo di quelle sensazioni tramite il rilascio di un vago torpore che lo portò pian piano a riaprire le palpebre, cercando lo sguardo di lei con un sorriso di pura estasi. Rise, attenuando la sonorità della propria risata quanto più poteva mentre appoggiava la nuca all'albero con le iridi rivolte al cielo stellato coperto dalle fronde. « Non smetti mai di sorprendere, eh? » Ancora ridacchiante, pronunciò quelle parole scuotendo leggermente il capo in un moto ironico, lasciandosi poi scivolare lentamente verso il basso, di fronte a lei. Non disse altro, puntando semplicemente gli occhi in quelli di Tris mentre le sue dita percorrevano lente il profilo che partiva dalla caviglia di lei fino al fianco, intrufolandosi sotto l'ampia gonna. Semplici carezze che mostravano una malizia di gran lunga attenuata, seppure presente. Non c'era più titubanza nel modo in cui la toccava, ne' tanto meno in quello con cui avvicinò il volto al suo, cercando il suo bacio come fosse il senso ultimo della vita sulla Terra. E mentre le sue labbra si spostavano a tracciare il contorno dei tratti di Tris, le dita si avvolsero intorno alla sua caviglia, dandole uno strattone per attirarla a sé con un risata divertita. La aiutò quindi a sistemarsi a cavalcioni sulle proprie gambe, facendole presa sui fianchi per instaurare un ritmo lento che metteva a contatto le reciproche intimità senza tuttavia andare oltre. Con quei movimenti, Percy ritrasse il viso, distaccandosi da ogni bacio per poter godere del suo sguardo, specialmente nel momento in cui, con uno strappo secco del tessuto, si disfece della gonna. « Occhio per occhio, bellezza. Questo è per la camicia. » E detto ciò, si assicurò che le gambe di Tris fossero ben intrecciate alla sua vita prima di puntellarsi sull'albero per rimettersi in piedi. Questa volta fu la schiena di lei a cozzare contro la corteccia mentre le labbra di Percy ricercavano contatti più profondi con la sua pelle, assaporandone ogni millimetro man mano che scivolava lentamente ad annullare anche l'ultima distanza rimasta tra loro. Al ritmo stabilito dal proprio bacino, succhiò avidamente il punto più morbido e sensibile del collo di lei, gustandosi appieno l'emozione totalizzante di quel momento. In mezzo agli alberi come due fuggitivi, c'erano solo Tris e Percy, coinvolti in quell'unione fatta di respiri pesanti e di un ritmo che si faceva man mano più incalzante. Gli occhi di lui attanagliati a quelli di lei ogni qualvolta le loro labbra non si incontrassero, vennero distratti per un istante da un rumore in lontananza. Lo scricchiolio di alcuni rametti, passi, risate forti di un gruppetto di ragazze e ragazzi. Li sentiva sempre più vicini, farsi strada tra le fronde dall'altro lato del bungalow, probabilmente per raggiungerlo e trovarvi riparo: magari per bere qualche alcolico nascosto o giocare a qualcosa di stupido e adolescenziale. Un guizzo malizioso attraversò le iridi cerulee dell'ex Serpeverde, che non sembrò affatto scoraggiato da quell'invasione di campo - anzi! Premendo l'indice sulle labbra di Tris come ad intimarla al silenzio, continuò a muovere il proprio bacino con lentezza, attento a risucchiare ogni espressione dello sguardo di lei mentre la dentatura bianca si scopriva tra piacere e adrenalina. Il gruppetto era sin troppo vicino. Li sentì aprire la porta della casupola, sbattendosela alle spalle tra le risate generali prima di accendere la luce all'interno dello spazio. A loro non bastava che sperare che nessuno si affacciasse alla finestra, ma a quel punto l'idea di rischiare non faceva altro che aumentare la posta in gioco delle sensazioni che provava.


     
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    Quando Tris e Percy si erano incontrati sul treno, si erano detti che sarebbero andati coi piedi di piombo. Avevano bisogno di riscoprire la loro dimensione, eppure, qualcosa non era stato del tutto giusto nei loro piani. I due, più che andarci piano si erano nuovamente fermati con la stessa velocità con cui aveva preso la palla al balzo proponendosi di riprovarci. C'era un grosso sentimento tra i due; era innegabile, dal modo in cui in fondo, si cercavano, e tentavano di capirsi. Non erano perfetti, né sembravano fungere al di là di ciò che li circondava, ma ciò non sembrava impedire loro di incaponirsi, rifiutandosi di andare avanti. Sarebbe stata la mossa più naturale, dopo quell'anno e mezzo di pausa; andare oltre, lasciarsi alle spalle quell'amore e cercare qualcosa che fosse evidentemente affine alle loro rispettive indoli. Eppure siamo ancora qui. E lei, Tris, non si era mai sentita più vicina e più in comunione con Percy come in quel momento. Dedicarsi a lui sembrò offrirle una prospettiva completamente differente sulla sua indole, sull'immagine che di lui si era dipinta nella testa. Si rese conto di non aver capito niente e di aver grattato solo la superficie di ciò che entrambi potevano essere. Il vociare distante sembrò alimentare ulteriormente il suo desiderio, la voglia di suscitare altre reazioni simili a quelle che, man mano che proseguiva, riusciva a scatenare in lui. Non ne aveva mai abbastanza di vederlo così, come se quella fosse la migliore gratificazione di cui potesse farsi portatrice. Non staccò gli occhi da lui nemmeno per un istante, nemmeno quando lo stesso ragazzo interrompeva il contatto visivo, colto dal trastullo di quell'intimo momento che sembravano condividere con estremo ardore. E non si sentì nemmeno per un istante da meno, né provò imbarazzo o la netta sensazione di essersi prestata a una forma di mancanza di rispetto della propria persona - lo aveva pensato in passato, più volte di quanto è disposta ad ammetterlo. In quel momento, tuttavia, nulla le risultò poco dignitoso, o fuori dalle righe; si gettò in quell'esperienza senza pensarci, con la testa libera da ogni costrizione o convenzione sociale. Percy le aveva chiesto l'altra lei, eppure, ciò che realizzò conto in quel momento, è che non era mai stata diversa. Io sono questa. Sono anche questa. Lo sono sempre stata. Aveva solo troppa paura di ammetterlo, come se dar sfogo ai suoi desideri, potesse in qualche maniera destabilizzare la sua posizione, il timore che incuteva, o la stima che le persone provavano nei suoi confronti. Celava quel suo lato, per paura di non riuscire a nasconderlo, per timore di essere scoperta. Ma Tris e Percy, non stavano facendo niente di male, né nei loro intenti c'era una mancanza di buon costume. C'era rispetto e un reciproco amore che seppur non si siano mai decantanti più di tanto, era lampante non si fosse mai spento. Ma l'amore ha bisogno di essere nutrito, custodito; e bisogna amare se stessi. E forse, in fondo, sotto una supponenza senza precedenti, e una sicurezza del tutto fasulla, per molto tempo Tris e Percy non si sono mai amati davvero. Non abbastanza da ammettere di volere anche questo, di averne bisogno. Cazzo, Tris, sono vicino. Si fermò per un istante, colta da un'improvvisa ennesima sorpresa che la colse alla sprovvista. Fu solo un istante, non più di un battito di ciglia, che tuttavia nella sua mente si distese all'infinito per decidere per l'ennesima volta incontro a quale destino andare. Quelle parole le trasmisero la netta sensazione di un altro bivio. Bene. Fu l'unico fugace quanto compiaciuto sussurro che Tris gli rivolse prima di andargli incontro con ancora più foga, colta dalla netta necessità di andare fino in fondo, esplorare ogni sensazione a lei sconosciuta e inedita. Una curiosità che accolse con entusiasmo, e che, inconsapevolmente fece germogliare nel suo cuore un'emozione del tutto inedita in quel contesto. Gioia. Euforia. Rise appena sotto voce mentre si passava il dorso della mano sulle labbra, colta da un moto di pura elettricità. Era divertente, e intenso, e del tutto inedito. Si sentì la pelle d'oca solo all'idea di ripercorrere mentalmente quegli attimi in cui il corpo di lui si era teso all'estremo sotto i suoi tocchi, orgogliosamente consapevole di essere stata la fonte di quel intenso piacere. « Non smetti mai di sorprendere, eh? » Sospirò spensierata, permettendosi di fare spallucce con un che di angelico. « Faccio solo ciò che mi va di fare.. » Annuncia con estrema serenità mentre osserva il moto lento della mano di lui che si intrufola sotto la sua gonna, costringendola a farsi più vicina. Corrispose il suo bacio con foga, lasciandosi pervadere da una nuova ondata di dolce torpore; leggeri brividi lungo la schiena, le diedero la dimensione dell'effetto che sortivano le dita di lui sulla propria pelle. Ne voleva di più; non si vergognò quindi accompagnare la sua mano sempre più in alto lungo la sua gamba, facendosi sempre più vicina. Il calore delle loro carni a contatto, la pervase di una nuova ondata di desiderio, che giunse con estrema puntualità, guidata da pesanti sospiri. Gli accarezzava i capelli spargendo baci sulla sua fronte, sulla tempia, e poi tra i capelli, muovendosi lentamente in un via vai che aveva tutta l'aria di una dolce tortura calcolata, atta ad aumentare il desiderio di entrambi. Il velo del suo pudore venne smembrato in un istante; uno strappo netto che la costrinse a mugolare appena, osservandolo con sguardo torvo. « Occhio per occhio, bellezza. Questo è per la camicia. » Istintivamente le dita di lei si strinsero sulla mascella di lui, esercitando una pressione controllata, ma volutamente gentile solo a metà. Mantenne lo sguardo fisso nel suo. « Dì la verità.. vuoi rovinarti con le tue stesse mani. » Si sentì stranamente scoperta, vulnerabile, in uno spazio che offriva loro come unico riparo le tenebre, ma nonostante ciò, il suo sguardo sembrò brillare di una luce luciferina, che venne accompagnata da un leggero distendere le labbra in un ghigno lussurioso. Ripresa quota, Tris intrecciò saldamente le gambe attorno ai fianchi di lui, cercando appoggio contro l'albero alle proprie spalle, puntellando le scapole contro la corteccia. Uniti finalmente nella più intima delle unioni, si avvinghiò al suo collo, rilasciando sospiri pesanti contro il suo orecchio, che tormentò a tratti con leggeri baci, a tratti mordicchiandone la punta con un vigore eccessivo. Una danza fatta di baci e morsi, di sospiri, e sorrisi euforici, di estasi e una punta di estrema lussuria, dovuta all'eccessivo rischio che entrambi correvano consapevolmente. Un rischio che, si fece palpabile, non appena passi sempre più prossimi, vennero percepiti da entrambi. L'emergenza negli occhi di lei fu palpabile; un ennesimo movimento di lui, la distolse per qualche istante dal palese panico che sembrò insinuarsi nel suo cuore.
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    E se ci beccano? Lo sguardo di lei incollato a quello del giovane, mentre veniva intimata a fare silenzio. Ci fu un momento in cui la giovane Beatrice Morgenstern provò la netta sensazione di una disapprovazione cronica. Si era aspettata di giungere fino a quel punto? No. Decisamente no. Eppure, le spinte di lui, mentre i passi si fanno sempre più vicini andando incontro alla casetta prossima al punto nella foresta in cui si trovano, lente e decise, non fanno altro che distoglierla dalla palese sensazione di aver superato la linea. Un'altra spinta e un'altra ancora, e di scatto il piacere si fa sempre più intenso man mano che comprende che quei ragazzi erano lì, dietro quelle mura, a un passo da dove si trovavano loro, e non intendevano muoversi probabilmente per molto tempo ancora. Ricercando sempre di più la sua vicinanza, Tris mantenne il contatto visivo con la casa, per più del dovuto, lasciandosi pervadere dal complesso senso di piacere che provava e che tentava di mettere a tacere contro il collo di lui. Di più, disse piano ad un certo punto, richiedendo un contatto sempre più approfondito, mentre guidava la sua mano sotto il proprio top, stringendo le sue dita, attorno a quelle del ragazzo, ricercando al contempo il suo sguardo. Sapeva, Tris, cos'era quella sensazione: libertà. Il libero arbitrio di cui si è sempre sentita portatrice, e che pure non ha mai approfondito fino in fondo, non capendo quanto in fondo la libertà di agire partisse dalle piccole cose, dalle cose semplici. E in un certo qual modo non si sentì mai libera come in quel momento, colta dalla netta sensazione di essere pronta ad arrivare fino in fondo. Venne colta dal desiderio di mostrargli esattamente ciò che lei vedeva, e allora la presa sulla mascella di lui tornò, guidando con ben poca gentilezza il suo sguardo da lei alla cabina dalle luci accese. Guarda cosa stai combinando, asserì piano tra un sospiro pesante e un altro, lasciando dolci baci lungo il suo profilo. E' colpa tua, continuo aggrappandosi con la mano libera al tronco, assecondando i suoi movimenti con sempre più ardore, annullando qualunque forma di colpevolezza di entrambi. Le cose si fanno in due, e in quel momento, Tris comprende di volerlo, di trarre un piacere smisurato dalla situazione; ad un certo punto, persino il desiderio di restare in silenzio, venne sostituito da una leggera scia di gemiti aspirati, cosciente del fatto che, il gruppetto era comunque troppo impegnato per fare caso a loro. Le ci volle poco infine, prima di sentire una netta pressione, che fece lentamente contrarre il suo corpo sempre di più, colta dalla netta sensazione di aspirare a una sensazione molto simile a quella già provata in precedenza, che tuttavia si manifestò con ancora più emergenza e intensità, costringendola ad aggrapparsi al suo busto, affondando il volto contro l'incavo del suo collo, lungo il quale rilasciò una scia di baci, più pronunciati. Lingua e denti, si alternarono con possessività ricercando l'apice del piacere; mostruoso trastullo che la portò a un senso di piacevole torpore sonnolento.

    Non parlarono molto, nemmeno quando, allontanatisi dalla compagnia, ricercarono nuovamente il contatto diretto con la sabbia, di fronte al bungalow di cui erano state consegnate loro le chiavi appena giunti a Portland. Si era coperta alla bell'e meglio con la gonna che aveva risistemato legandosela in vita senza troppe presente. Non sarebbe resistita, per molto in ogni caso, perché, nonostante quel silenzio, e la necessità di una pausa, Tris non era stanca, né intendeva andare a dormire troppo presto. Si tolse i sandali, abbandonandoli sul terreno ruvido, mettendosi a sedere a pochi passi dalla riva. Centinaia di lanterne presero il volo in lontananza, e lei sorrise, colta da una palese sensazione di serenità. Lo sguardo ricadde sul ragazzo al proprio fianco, posando gli avambracci sulla sua spalla, stampandogli diversi baci sulla guancia. « Allora ci siamo persi proprio tutta la festa. » Pausa. « E i gossip. » Altra pausa tempo in cui scoppia a ridere con leggerezza. « E Malia ubriaca, probabilmente. » Si massaggia leggermente il collo, sentendo un leggero senso di fastidio. Non capendo di cosa si tratti, ricerca il cellulare nella borsetta, e accende la telecamera, solo per essere messa di fronte a un segno piuttosto eloquente che probabilmente avrebbe assunto un colore violaceo entro la mattina seguente. Grazie tante. « Oh, ora si che potrò dire di averle dato buca perché sono andata a visitare l'isola. Ci crederà sicuro. » Con la fortuna che si ritrovava, e l'intuito della mora, probabilmente sarebbe stata messa sotto torchio prima del mattino. Decise di conseguenza di scongiurare quella possibilità almeno per il momento, spegnendo il cellulare. Questione risolata. Batteria scarica. Rimase per un po' in silenzio, godendosi il suono delle onde del mare, il vento tra i capelli e la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. Era tranquilla ed estremamente serena - felice, addirittura spensierata. Ogni tanto studiava con la coda dell'occhio il ragazzo, sorridendo, tornando tuttavia nella sua dimensione, senza sapere esattamente cosa dire o cosa fare. Ricercò nella borsetta il pacchetto di sigarette, se ne accese una e ispirò profondamente prima di passargliela. Continua a pensare a quanto appena successo; non si sente strana, né in imbarazzo. Sembra quasi che abbia voglia di parlarne, come se avesse appena scoperto esattamente dove stesse la crepa nel muro che sembrava dividerli da sempre, e avesse voglia di buttare giù tutto quanto. « Una promessa è una promessa, eh? » Solleva un sopracciglio osservandolo con eloquenza. Le sembrava di aver scoperto l'acqua calda. Ha sempre percepito una forte attrazione tra loro; c'è sempre stata, tuttavia non hanno mai saputo come dare sfogo alle loro rispettive personalità, senza la paura di essere giudicati dall'altro o da chi stava loro attorno. Eppure, ora, Tris si sentiva più sicura si sé che mai, come se avesse raggiunto un nuovo grado di consapevolezza di se stessa e di loro. « Fammene un'altra.. » Asserì istintivamente, facendosi più vicina, strofinando la guancia contro la sua spalla. « Promettimi.. » Disse, iniziando a pensarci, mentre sollevava lo sguardo verso l'alto, cercando l'ispirazione giusta per dare sfogo ai suoi stessi pensieri. « Promettimi che non sarà l'ultima volta. » Un sorriso poco raccomandabile si materializzò sulle sue labbra. « Così.. » Continuò mordendosi appena il labbro inferiore. « Cavolo.. » Disse colta improvvisamente da una folgorante realizzazione. « Sono quasi dispiaciuta che tu abbia lasciato i parrucconi dell'Astra. » Si strinse nelle spalle, scoppiando a ridere. « Questa si che era una gran bella ragione per indossare un vestito da squinzie e il tacco dodici. » Non è proprio da me, ma.. « Mi sarei ben volentieri sacrificata. » E che sacrificio. L'idea di loro due nell'alta società la divertiva alquanto, non solo perché insieme sapevano essere davvero poco convenzionali, ma anche perché, se possibile, Tris era una delle ultime persone che i parrucconi avrebbero voluto tra loro, anche solo per una sera. Si inumidisce le labbra, sospirando. Accarezza istintivamente la sua coscia, posando la tempia contro la sua spalla. « Posso chiederti.. uhm.. » Si stringe istintivamente nelle spalle. Per molto tempo, Tris si è convinta che il loro fosse il massimo dell'intensa che due persone potessero avere. Poi il corso stesso degli eventi ha dimostrato loro l'esatto contrario. E ora, tutto era diverso; diverso da prima, persino rispetto agli inizi. Era come stare con la stessa persona che pensava di aver conosciuto fino in fondo, realizzando che in fondo, non aveva fatto altro che scoperchiare appena una personalità ben più sfaccettata. Erano più adulti, più consapevoli, più sicuri. Tutto ciò sembrava piacerle sin troppo; alimentava nuovamente la voglia di ritornare al discorso di prima. « ..cos'è cambiato? » La sua non era una domanda inquisitoria, né aveva davvero bisogno di parlarne. Voleva però farlo; sentire il suono della sua voce. Sentirlo parlare, anche solo per il gusto di parlare, senza dire nulla di rilevante. « Oltre al fatto che hai scoperto che ho un culo dalle foto di Wiztagram, s'intende. Lo so che prima non ne eri consapevole. » Gli dà una leggera gomitata e scoppia a ridere.



     
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    Il misto di adrenalina, paura e piacere era un cocktail emotivo che il giovane Watson non aveva mai provato in vita propria. Una combo micidiale che sembrava annullare qualunque cosa non fosse compresa tra lui e Tris. Pur non avendo più quel contatto mentale ed emotivo tipico della natura lycan, in un certo senso Percy sentiva di averlo lo stesso; magari non ne aveva la certezza matematica, ma le sensazioni di Tris erano palpabili, così come palpabili erano le parole non pronunciate scritte nei suoi occhi. Di conferme, non aveva bisogno: tutto ciò che aveva bisogno di sapere era lì. E forse lo era sempre stato, ma erano solo stati troppo timorosi di allungare una mano e toccarlo, quasi come se temessero che qualcosa potesse morderli all'improvviso. Cani randagi. Per quanto potessero sembrare posati e controllati, Percy e Tris altro non erano che cani randagi pronti a mordere la mano che li nutriva per puro e semplice istinto di sopravvivenza - per paura. In fin dei conti non è semplice scrollarsi di dosso il proprio trascorso, ne' tanto meno le lezioni di vita che ne si sono tratte a lungo. Ciò che i due giovani avevano fatto, era stato iniziare insieme un percorso che li aveva portati fino a questo punto: lo sblocco, la capacità di dire "ho bisogno di te perché lo voglio" anche senza dirlo necessariamente a parole. Mentre il loro ritmo si faceva più pressante in un crescendo di sensazioni miste, lentamente anche la casetta e i ragazzi che vi erano all'interno cominciarono a sparire sullo sfondo, a non costituire più una preoccupazione. C'erano solo loro due e il vago brivido di un rischio calcolato. Nel sentire la ragazza aggrapparsi a lui con più tenacia, Percy intensificò la presa sulle sue gambe, lasciando che lei le guidasse una mano sotto il proprio top per lasciar giocare i polpastrelli con la punta del suo seno. Si morse il labbro inferiore con una certa forza, assaporando quel momento nella consapevolezza della sua fuggevolezza, della sua unicità e della sua bellezza. E mentre condividevano il raggiungimento del tanto agognato apice, Percy non poté fare a meno di sorridere estasiato, tuffandosi sulle labbra della ragazza con un trasporto tale da annullare qualsiasi dubbio riguardo cosa ci fosse tra loro.

    Si era arrotolato i jeans fino alle ginocchia, lasciando che le dita dei piedi nudi entrassero a contatto con la sabbia umida della riva, dove la lenta risacca le bagnava di tanto in tanto. Dopo tanto tempo, Percy si sentiva finalmente in pace col mondo. Sereno. Mentre osservava le lanterne alzarsi in lontananza, appoggiò il capo su quello di Tris, a sua volta posatasi sulla sua spalla. « Allora ci siamo persi proprio tutta la festa. E i gossip. » Fece eco alla risata di lei, lanciandole uno sguardo piuttosto eloquente. « Non ci dormirò la notte, con questo peso sulla coscienza. » Ma se la festa era un evento unico nel suo genere, i gossip di certo non sarebbero tardati ad arrivare. Non dubitava, Percy, che all'indomani i social e le pagine patinate dei magazines sarebbero stati tappezzati da tutti gli scoop - o presunti tali - della serata appena trascorsa. Con tutti i giocatori di Quidditch, i rampolli e i saranno famosi che c'erano - si trattava proprio di un fattore inevitabile. Uno che, tuttavia, loro due erano riusciti a schivare. Ma forse l'assenza è comunque qualcosa di cui parlare. Chissà. « E Malia ubriaca, probabilmente. » « Su quella avremo sicuramente occasione di recuperare. » Di certo la probabilità di vedere Malia ubriaca era molto più alta rispetto a quella di vedere uno di loro due in preda ai fumi dell'alcool. Alla Stone non serviva di certo la scusa di una festa. « Oh, ora si che potrò dire di averle dato buca perché sono andata a visitare l'isola. Ci crederà sicuro. » Leggermente confuso da quelle parole, si sporse con occhio clinico per capire di cosa stesse parlando. Sbuffò tuttavia una risata, quando individuo il succhiotto violaceo che le aveva lasciato poco prima. « Penso che non ci avrebbe creduto a prescindere, Tris. » disse ironico, sollevando le sopracciglia per rendere più chiaro il messaggio. Andare a visitare l'isola è una scusa davvero terribile.
    Quando lei gli passò la sigaretta accesa, Percy accettò di buon grado di prenderne un paio di tiri, sbuffando le nuvolette di fumo verso la trapunta di velluto punteggiata di stelle. Nonostante il silenzio, il giovane non sentiva che ci fosse imbarazzo tra di loro: solo la volontà di godersi quel raro momento di serenità nelle loro vite così rocambolesche. Reclinò dunque la schiena, appoggiando i gomiti sulla sabbia e buttando appena la testa all'indietro con gli occhi chiusi per godersi la leggera brezza marina sul viso. « Una promessa è una promessa, eh? » Aprì una palpebra, osservandola mutamente come se stesse aspettando il proseguimento di quelle parole con un sorriso divertito stampato sulle labbra. « Fammene un'altra.. Promettimi.. Promettimi che non sarà l'ultima volta. Così.. » Rise, di gusto, portandosi una mano al cuore con aria ironicamente solenne. « Se hai una Bibbia in borsetta lo rendiamo ufficiale. » E in fin dei conti, se Tris ne avesse davvero tirata fuori una, il Serpeverde non se ne sarebbe nemmeno stupito chissà quanto. Ormai coi Cacciatori aveva imparato a non dare niente per scontato. « Cavolo.. Sono quasi dispiaciuta che tu abbia lasciato i parrucconi dell'Astra. Questa si che era una gran bella ragione per indossare un vestito da squinzie e il tacco dodici. Mi sarei ben volentieri sacrificata. » Sospirò, rimettendosi a sedere con la schiena più dritta mentre le passava la sigaretta. La scelta di lasciarsi alle spalle l'Astra era stata piuttosto naturale. Se da un lato non sentiva più di condividere davvero qualcosa con quelle parole, dall'altro l'orgoglio era stato di certo il motivo portante della sua scelta. Lo avevano espulso con la scusa delle parole rivolte a Nate, quando era piuttosto evidente che le vere ragioni fossero altre, solo per poi reintegrarlo a guerra finita. La logica del trasformismo. Percy la capiva; anzi, riteneva pure che fosse necessaria alla sopravvivenza di un costrutto così evanescente come era l'Astra. Tuttavia il giovane Watson non era tipo da accettare la carità, ne' tanto meno da credere di averne bisogno.
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    Così, con gentilezza, aveva semplicemente declinato l'offerta. Non mi è mai mancato il quarto giocatore per bridge, in questi due anni. Evidentemente si può vivere lo stesso. Non le disse, Percy, che con ogni probabilità la libido di entrambi sarebbe scesa ai minimi storici durante una festa dell'alta società: non voleva rovinare il divertente quadretto che si era formato anche nella sua di testa, facendolo sorridere tra sé e sé. « Posso chiederti.. uhm.. » Mentre il tono di lei si faceva più serie, sfociando in una leggera titubanza, gli occhi cerulei di lui si volsero a guardarla con aria interrogativa. « ..cos'è cambiato? Oltre al fatto che hai scoperto che ho un culo dalle foto di Wiztagram, s'intende. Lo so che prima non ne eri consapevole. » Rise, genuinamente divertito da quell'affermazione. Sollevando un indice, le scoccò uno sguardo malizioso. « Odio rovinare l'idea diffusa che si ha di me, ma quello lo avevo notato già ad Hogwarts. » Si strinse nelle spalle con semplicità. « Però ho trovato sempre molto utile e divertente il fatto che un po' tutti mi vedano come un alieno privo di pulsioni umane. Utile perché, chiaramente, rende più facile osservare senza essere notati. » E anche per tante altre cose, ma quello era un discorso molto più lungo, complesso e serio di quanto la situazione non richiedesse. Così si limitò a buttarla sulla leggerezza, scrollando subito dopo le spalle per poi prendere un sospiro. Volse lo sguardo al mare tinto di scuro, osservando le leggere increspature delle piccole onde notturne. « Sinceramente non lo so, cosa sia cambiato. Cioè, in maniera spicciola potrei dire che cercare un aiuto professionale e riceverlo siano stati di certo due fattori determinanti, ma ecco..non penso sia proprio quello il punto di tutto quanto. » Un po' come chiedersi se sia nato prima l'uovo o la gallina. Giungere alla consapevolezza di dover cambiare qualcosa nella mia vita è stato il passo più importante. Ma se dovessi dire come ci sono arrivato..non saprei. « Sono successe così tante cose. » disse, in un filo di voce quasi sorpreso dalla vastità di esperienze che suo malgrado aveva vissuto negli ultimi anni. Nel pronunciare quelle parole, scosse appena il capo tra sé e sé, lasciando vagare lo sguardo sull'orizzonte come alla ricerca di una risposta. « Forse avevo bisogno di maturare tutti i cambiamenti repentini che la mia vita ha subito. O forse perdere il legame lycan ha destabilizzato le certezze su cui ho stupidamente fatto troppo conto. » Sospirò, stringendosi nelle spalle mentre si voltava a guardarla con un piccolo sorriso sereno sulle labbra. Non sapeva, Percy. E per una volta nella sua vita si arrendeva al fatto che semplicemente, non si può sapere sempre tutto. A volte la vita emotiva è troppo complicata persino per la nostra stessa comprensione: un labirinto di domino in cui è impossibile al primo tassello. Perché in fin dei conti tutto è connesso, tutto ha un senso anche quando apparentemente non sembra avercelo. E Percy aveva vissuto semplicemente troppo per rimanere immobile in convinzioni che ormai, era evidente, gli stavano troppo strette. « E' l'estate tra il terzo e il quarto anno di scuola. » disse improvvisamente, in un guizzo intuitivo. « Tre mesi sono pochi. Eppure a Giugno ero alto un metro e settantadue e a Settembre ero due metri precisi. Avendo sempre qualcuno che si occupava di ogni mia necessità, non mi sono accorto di nulla fin quando non sono andato a mettermi la divisa scolastica. » Ridacchiò, scuotendo il capo al ricordo. « Ci ho provato in tutti i modi. Theo si stava ammazzando dalle risate. E a pensarci, per quanto a me sembrasse una cosa tragica, forse dall'esterno faceva davvero ridere. » D'altronde immaginarsi quel lampione di Watson tutto rosso in viso mentre si dimenava in ogni maniera per farsi entrare un maglione, doveva essere davvero una scena divertente. « Ma ad un certo punto puoi lottare quanto ti pare: se quegli abiti non ti entrano più, devi necessariamente prenderne della tua taglia. » E Percy, negli ultimi anni, aveva dovuto fare una pulizia molto profonda del proprio armadio. Troppi erano stati gli abiti nei quali era cresciuto a vista d'occhio, troppi quelli che ormai gli si sarebbero strappati addosso al minimo movimento. Vivere in una simile costrizione, in un simile disagio e in uno stato di costante calcolatezza è semplicemente qualcosa che nessun essere umano può sopportare. Il giovane Watson si era sentito compresso da tutto ciò che si era ostinato a portare con sé pur quando l'evidenza gli urlava di lasciarselo alle spalle. E ad un certo punto non ce l'aveva fatta più: aveva dovuto mutare per essere se stesso, per respirare. « Volevo te, Tris. E' una cosa tanto semplice quanto scontata. Non ero felice senza di te. » E quindi ho dovuto fare qualcosa a riguardo.


     
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    « Odio rovinare l'idea diffusa che si ha di me, ma quello lo avevo notato già ad Hogwarts. Però ho trovato sempre molto utile e divertente il fatto che un po' tutti mi vedano come un alieno privo di pulsioni umane. Utile perché, chiaramente, rende più facile osservare senza essere notati. » Alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa, Tris. Tuttavia, restò in silenzio lasciandolo sciorinare quel suo ragionamento coi propri tempi. Sapeva che tutto sommato non gli stava chiedendo una cosa semplice. Parlare, per Percy e Tris non era mai stata la cosa più agevole del mondo. Eppure sembrava piacerle - fare domande, ascoltare, conoscere. Per la prima volta lo faceva senza sentirsi di entrare in acque ostili; non aveva la sensazione di essere invasiva, o di tastare un territorio che non la competeva. Forse avremmo dovuto fare così, da sempre. Da subito. Eppure, ai tempi, sembrava più facile comunicare a gesti e parlare piuttosto di strategie, raccontarsi di problemi accademici e lamentarsi di questo e quell'altro corso, sparlare su qualche compagno che non incontrava i loro gusti, e concentrarsi su tutto tranne che su loro stessi. Non avevano avuto un brutto rapporto, Percy e Tris; avevano solo peccato di superficialità e leggerezza. « Sinceramente non lo so, cosa sia cambiato. Cioè, in maniera spicciola potrei dire che cercare un aiuto professionale e riceverlo siano stati di certo due fattori determinanti, ma ecco..non penso sia proprio quello il punto di tutto quanto. Sono successe così tante cose. » Abbassa lo sguardo a quel punto, sospirando pesantemente. « Già. » Indaga con apparente serenità il volto di lui; Percy e Tris ne hanno passate tante insieme, l'ultima delle quale, è un segreto che insieme custodiscono assieme a Greg. Non ne possono parlare. Nessuno può a parte il Corvonero - eppure, quella era stata solo una delle ultime prove affrontate insieme. Assieme a quella c'era il treno, prima ancora lo shame, e prima ancora la guerra, a trasformazione, il lockdown, la perdita di ogni sicurezza. Anche Tris aveva dovuto abbandonare man mano tutte le sue certezze, eppure, sapeva comunque che non sarebbe mai stata in grado di comprendere fino in fondo cosa aveva provato lui. La mia vita era già in questa maniera; ero pronta. Probabilmente non ho fatto altro che prepararmi per tutta la vita per questo momento. Percy invece, era stato relegato a una vita all'opposto rispetto alla sua. « Forse avevo bisogno di maturare tutti i cambiamenti repentini che la mia vita ha subito. O forse perdere il legame lycan ha destabilizzato le certezze su cui ho stupidamente fatto troppo conto. » Il legame le mancava tanto. Ogni tanto mi manca proprio non sentirmi sola. Mi manca sapere che mi basterebbe chiudere gli occhi per essere ovunque. Mi manca poter parlare una lingua che non sapevo neanche di conoscere, e cucinare il curry o impastare il pane. Era strano quel loro legame; non dava infinite possibilità, contrariamente a quanto si potesse pensare, eppure, a volte sembrava fosse possibile per ciascuno di loro attingere a una fonte di conoscenza inesauribile. La coscienza collettiva. « E' l'estate tra il terzo e il quarto anno di scuola. Tre mesi sono pochi. Eppure a Giugno ero alto un metro e settantadue e a Settembre ero due metri precisi. Avendo sempre qualcuno che si occupava di ogni mia necessità, non mi sono accorto di nulla fin quando non sono andato a mettermi la divisa scolastica. Ci ho provato in tutti i modi. Theo si stava ammazzando dalle risate. E a pensarci, per quanto a me sembrasse una cosa tragica, forse dall'esterno faceva davvero ridere. » Sgranò gli occhi colta da un senso di tenerezza. Riusciva a immaginarselo un Percy frustrato. Ogni cosa che risultasse fuori posto era per il ragazzo un momento di aperto sconforto. In questo, Tris non gli aveva mai reso la vita facile; tendeva ad essere decisamente più disordinata, e sembrava persino provarci gusto nel dargli fastidio. Quel racconto tuttavia, gettò su di lui una luce decisamente differente.

    « Ma ad un certo punto puoi lottare quanto ti pare: se quegli abiti non ti entrano più, devi necessariamente prenderne della tua taglia. Volevo te, Tris. E' una cosa tanto semplice quanto scontata. Non ero felice senza di te. » Il rossore nelle guance di lei divenne a quel punto visibile. Inutile tentare di nascondersi; la giovane Morgenstern aveva sempre dovuto lottare per tutto. Ha lottato per tentare di farsi capire, per trasmettere la sua passione e la lotta ai suoi compagni e amici. Ha dovuto aggrapparsi con le unghie e coi denti a ogni brandello di vita che il destino le abbia mai concesso. La sua vita, seppur ancora agli esordi, è stata una lotta continua in cui, spesso e volentieri ha sentito di non ricevere mai abbastanza. Non si è mai fossilizzata troppo sul poco riscontro avuto tanto sul piano personale quanto sul piano pubblico, ma in fondo, ha sempre desiderato sentirsi quelle poche parole. Ha sempre sperato che un giorno, sarebbe stata scelta, senza chiedere o pretendere niente, senza doversi sbattere i pugni sul petto, per rivendicare ciò che le spettava. « Nemmeno io.. » Disse infine deglutendo. « E comunque.. non sembri un alieno privo di pulsioni umane. » Il suo tono viene colto da una nota di divertimento mentre cita le parole del ragazzo. « Sei solo un po' ermetico. Un po' tanto. » Si stringe nelle spalle. A dirla tutta, Tris è l'ultima persona che può parlare di ermetismo. E' espansiva quando vuole, ha imparato a buttarsi nelle situazioni, a pretendere di più; ha addirittura imparato a conoscere e amare la sua giovane età. Sa quando è il momento di divertirsi e quando invece è fuori posto. Ma non sono stata forse anche io così? Non mi sono forse rifiutata di esprimermi? Per paura, per incapacità, per insicurezza.. « Sono contenta che tu abbia cambiato idea. So che.. uhm.. non te l'ho resa facile, però.. » Si stringe nelle spalle. « Ammetto che avevo un po' paura. Cioè forse ho ancora un po' paura. In fondo, non puoi restarci male, se non hai nulla per cui restarci male. » Però io ci rimanevo comunque male. Quando sentivo il tuo nome. Quando vedevo il tuo numero in rubrica. Ci rimanevo male quando nonostante tutte le provocazioni, tu restavi fermo sul tuo punto. « Però la verità è che manchi addirittura al gatto. » Oh sì. Il mio grande grillo parlante è un gatto randagio che nonostante abbia raccolto io dalla strada, alla fine si è affezionato di più a te. Questione di affinità, immagino. In fondo, Tris era più tipa da cani e seppure lei e il loro gatto avevano legato abbastanza da capirsi e comprendere i loro rispettivi territori, era innegabile che Giuda preferisse per molti versi Percy. « No capisco perché non te lo sei preso. Si stende ancora sulle tue felpe e fa le fusa » Un vero Giuda. Io gli do da mangiare, e lui cerca comunque te. Abbozza un leggero sorriso. La verità è che lei e il gatto hanno legato davvero - sulla mancanza di Percy soprattutto. D'altronde se il gatto si stende sulle felpe, significa che qualcuno le rispolvera ancora. E lì, mentre lo fissa, mentre ripercorre tutti i mesi di assenza e di aridità emotiva, si rende conto che in fondo, di quanto il suo gatto sia ingrato le interessa poco. Sta bene, e oltre che serena, è felice. Si sente in pace con se stessa e desiderata. E non c'è cosa più bella e remunerativa per una Morgenstern che il senso di appartenenza. « Ah- al diavolo il gatto! » Dicendo ciò, si avvicina al suo volto incollando le labbra contro le sue, mentre si muove nella sua direzione, prendendo posto sulle sue gambe a cavalcioni, approfondendo il contatto col corpo di lui, inizialmente senza grandi pretese. « Senti.. ma la posso avere una di quelle foto di te all'inizio del quarto? » Chiede tornando sulle sue labbra ridacchiando appena. « No.. dico davvero. » Altri baci e risate, in un misto di dolcezza e desiderio. « In cambio ti lascerò vedere le mie foto coi capelli a caschetto.. o ancora prima a scodella » Terribili. Grazie al cielo non vivo più in un monastero. [...] Molto dopo, seduta sul piccolo porticato della cabina che si affacciava sulla spiaggia, avvolta solo di un lenzuolo bianco, Tris adagiò il capo sulla spalla del ragazzo. E per la prima volta si sentì una ragazza normale. Guardando sorgere il sole, si rese conto che, per la prima volta dopo ere, stavano affrontando una situazione nella più naturale delle maniere. Andiamo a una festa, facciamo l'amore tutto la notte e guardiamo l'alba insieme; tutto ciò, Tris non pensava di desiderarlo, perché nel suo mondo non pensava più fosse possibile. Dopo tanto tempo, non c'erano stati morti, né complicazioni, né imprevisti. Non avevano dovuto lottare per un pezzo di serenità, era semplicemente successo. E seppur sapesse che ciò non avrebbe lavato via, né le questioni irrisolte che li attendevano a casa, né tanto meno le troppe responsabilità che ricadevano sulle spalle di entrambi, in quel momento, mentre un disco arancione faceva capolino all'orizzonte, si sentì serena e in pace con se stessa e il mondo. E' così che è fatta la serenità? « Percy? » Asserisce ad un certo punto mezza addormentata, con gli occhi ancora puntati sull'orizzonte. « ..ti va di passare un'estate normale con me? » Sbadiglia rumorosamente prima di ridere leggermente. « Tipo che andiamo a ballare e ci prendiamo una sbronza epocale con persone improbabili.. » Si stringe nelle spalle senza sapere nemmeno lei cosa propone. Forse voglio solo avere vent'anni. Anche solo per un paio di settimane. « ..tipo che saliamo in macchina, ma non mettiamo mai in moto perché troviamo altro da fare. » E' tranquilla, quasi come se dipingesse la vita di qualcun altro. Una vita che non potrebbero mai permettersi a lungo andare, ma che Tris desidera anche solo per un istante. « Tipo che andiamo a visitare un museo insieme e facciamo cose normali.. non lo so, della serie andare a cena o.. andare a fare bungee jumping? Oppure per esempio cose tipo imparare a cucinare dai video su internet. » Si ecco.. cose così. « Non lo so.. anche andare a comprare vestiti e parcheggiarti fuori dal negozio, anche se non so esattamente come fare per renderti l'attesa stancante.. però ecco, hai capito. Voglio comprare un bel vestito e poi andare mangiare un dolce in due mentre ci guardiamo profondamente negli occhi.. » Scoppia a ridere. « Non capisco perché certi idioti lo fanno, ma voglio capire. » Probabilmente molte erano ipotesi davvero improbabile per i due, ma a ben pensarci Tris era certa che avrebbero potuto riderci sopra. « Che dici? » Vuoi avere vent'anni insieme a me? Solo finché dura. Finché la realtà chiamerà di nuovo. E a ben guardare, la realtà chiama sempre troppo presto.


     
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6 replies since 2/7/2020, 10:30   187 views
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