Orion's belt

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    « Nooo, non ci credo! Guarda! » Si era distratta all'improvviso, nel momento stesso in cui il suo sguardo era caduto sulla porta finestra che portava al terrazzo. Aveva lasciato andare la presa sul braccio di Erik per raggiungere il vetro, al quale si incollò con la verve di chi, oltre lo stesso, ha appena visto l'ottava meraviglia del mondo. « Si vedono le stelle! Cioè, non solo non sta piovendo » Cosa di per sé più unica che rara, visto quanto piove da queste parti « ma si vedono davvero le stelle! » A quel punto - visto che per quella sera sembrava aver perso ogni contegno, considerati lo sguardo luminoso da stregatto, il naso incollato alla vetrata, e il tono euforico - non si tirò indietro neppure dal battere le mani per esternare tutta la gioia che aveva in corpo. All'improvviso, dopo tutti quei mesi passati a fare la persona adulta e responsabile, nell'arco di una serata pareva che le sue impostazioni di sistema fossero state resettate. Nell'arco di poche ore - e l'alcol questa volta non c'entrava davvero nulla - sembrava essere tornata l'esserino iperattivo che tutti conoscevano. Rimase lì senza muoversi per ancora qualche secondo, poi si voltò verso il biondo con l'aria di chi ha appena preso una decisione di fondamentale importanza. « Stanotte facciamo i pazzerelli veri, Erik. » Pausa tattica, mentre sulle sue labbra cominciava a dipingersi un sorriso contento. « Dormiamo fuori. Un cielo così limpido non ci ricapita più. »
    E così, una ventina di minuti dopo, giusto il tempo di una rapida doccia, mettersi addosso un pigiama e raccattare il necessario per dormire, o i due si erano trovati fuori. Fawn, ancora euforica, smetteva di sorridere solo per condividere questa o quell'altra informazione riguardo una particolare stella visibile in cielo quella notte, o per ascoltare quello che Erik aveva da dire in risposta. E, per la prima volta dopo molti mesi, poteva dire di essere davvero serena. Per la primissima volta da Natale - o forse ancor prima di Natale - se avesse potuto lasciare che qualcuno sbirciasse in quella sua testolina, il suddetto ci avrebbe visto soltanto un caleidoscopio di colori. Ci avrebbe percepito soltanto una genuina contentezza. «...lo sai come mi è venuta questa fissa delle stelle? » Gli chiese all'improvviso. Sulle labbra le si era dipinto un sorriso tinto di malinconia, ma nel tono di voce si era insinuata una nota appena affettuosa. « Mi è venuta perché mio nonno diceva sempre che la nostalgia di casa non ha senso. Diceva - » Si schiarì appena la voce, lanciandosi in un'imitazione di quello che doveva essere una sorta di nonno salice, mentre mimava le virgolette con la mano libera, quella che non era impegnata a giocherellare coi capelli del ragazzo, la cui testa era poggiata sulle sue gambe: « 'il cielo è lo stesso a New York come in Oklahoma, come in Australia, come anche a Tokyo.' » Emise uno sbuffo di risata, prima di scuotere appena la testa. « Che adesso suona scontatissimo, ma al tempo mi ha davvero aiutata a sentirmi meno sola e, soprattutto, a smettere di farmi domande riguardo al perché i miei avessero deciso di spedirmi in mezzo al nulla, strappandomi ai miei amichetti e alle mie questioni importantissime di bambina delle elementari. Certi drammi che non hai idea. » Scosse appena la testa, ridendo di gusto. « Poi comunque, superato lo shock iniziale, l'Oklahoma era anche un bel posto. Un posto dove, diciamocelo, avevo una specie di vita parallela. Te l'ho mai detto? Del nome Cherokee segreto? » Si soffermò per un attimo ad osservarlo, quasi stesse tentando lei stessa di ricordare se gli avesse mai accennato della questione. Conoscendola, probabilmente no. Un po' perché il discorso non era mai capitato, ed un po' perché - si rese conto - non gli aveva mai parlato davvero di determinati retroscena della propria infanzia. Non l'aveva fatto con cattiveria o l'intenzione di nascondergli qualcosa, semplicemente era molto più brava a permettere agli altri di aprirsi con lei che non a fare il contrario. Forse non è solo per te che è semplicissimo parlarmi, si ritrovò a pensare. E, di botto - come succedeva sempre, d'altra parte - i suoi pensieri virarono altrove. Virarono verso il fatto che non passassero una serata così tranquilla da molto tempo. Da prima di Natale. Perché dopo Natale sono stata io a tenerlo a distanza di sicurezza. Emise un sospiro, picchiettandogli la spalla con le dita della mano libera. « Voglio vedere quanto sei bravo col multitasking. Ti ricordi che prima ti ho detto come si chiamano le stelle dei pesci e dei gemelli? Ecco, io ora ti dico ancora un'altra cosa, ma tu tieni a mente le stelle, così controllo se mi hai ascoltato o no. » Si chinò a stampargli un leggero bacio sul naso, prima di sollevare a sua volta lo sguardo verso il cielo stellato. « In questi mesi... io non ce l'ho avuta con te. Penso sia importante che tu lo sappia. » Fawn, la donna delle virate d'argomento improvvise. Aveva continuato ad accarezzargli i capelli con dolcezza, lo sguardo tuttavia testardamente rivolto verso l'alto. « Se sono stata distante - e so di esserlo stata - non è perché sentissi il bisogno di farti stare male o farti capire qualcosa o boh, lanciarti altri, incomprensibili, segnali di fumo che non hai colto. E se ti ho dato quest'impressione, credimi, mi dispiace da morire. » Fece una pausa, il tempo di deglutire e prendere un grosso respiro. « Io... ci sono rimasta male. Chiamalo egoismo, chiamalo come vuoi, ma non avrei voluto scoprire cose di quel calibro sfondando io una porta in maniera così prepotente, senza che tu lo volessi. » Tornò a guardarlo. Forse, a quel punto, ci si sarebbe aspettati dell'agitazione, vista la sua proverbiale reputazione di persona irrequieta, eppure era serena. Ed estremamente ferma, anche, segno del fatto che fosse alquanto sicura del concetto che gli stava presentando, seppure a bassa voce. « Il fatto che avrei potuto non sapere mai niente, mi ha scombussolata. E ho dovuto metabolizzarlo. Dovevo capire che fosse una cosa più grande di me nello specifico.» A quel punto, negli occhi parve insinuarsi una sorta di muta preghiera. Un: ti prego, capisci che non voglio rinfacciarti nulla. Voglio solo chiarire le cose una volta per tutte. Voglio che da oggi vada di nuovo bene. Che torniamo di nuovo noi. O che diventiamo anche migliori di come non fossimo. « No, più che capirlo dovevo accettarlo, perché qui non si tratta di un concetto logico. E io sono lenta. Però ho preferito - anzi, mi è sembrato più giusto - darti delle certezze, anche piccole e un po' per volta, che non rischiare di confonderti, confondere me stessa, e rovinare magari tutto quanto con le mie stesse mani. » Lo sguardo nuovamente fisso sulle stelle, aveva preso a disegnare cerchi concentrici con l'indice sulla spalla di lui. Quei mesi tra loro, in effetti, erano stati particolari. Nella prima settimana subito successiva alle scoperte, Fawn semplicemente aveva direttamente evitato di incrociarlo per troppo tempo. E non sapeva neppure quanto ci avrebbe messo a ritrovare un proprio equilibrio, se l'avrebbe mai ritrovato, se solo non ci fosse stato lo scossone di Capodanno. Assurdo, forse, ma da quel punto in poi aveva iniziato ad avvicinarsi di nuovo per il semplice motivo che non aveva potuto fare altro che quello. Perché in fondo, per quanto confusa potesse essersi sentita su tutto il contorno, non aveva mai davvero dubitato di essere innamorata di Erik. « Forse non ha senso per te, e forse il messaggio che è passato è l'opposto, ma io mi sono comportata così proprio perché non solo ti amo, ma prima ancora di amarti ti rispetto. Perciò avevo bisogno che ci fosse anche la testa, in tutto questo, oltre il cuore. » Poi, ancora più piano, aggiunse: « Però non voglio che succedano più... queste cose. Te lo chiedo per favore. » Poi, riportando lo sguardo su di lui per un secondo, gli scompigliò i capelli in un tentativo non tanto di cambiare l'argomento, quanto di alleggerire l'atmosfera, Di fargli capire, in maniera più lampante se il suo tono e il suo modo di fare in generale non fossero stati sufficienti, che non stesse tentando di mortificarlo. « Allora... queste stelle? »
     
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    « Nooo, non ci credo! Guarda! » Si voltò veloce oltre lo schienale del divano per seguire la figura di Fawn, corsa ad incollare il naso contro il vetro della finestra. Mosse il capo a destra e sinistra, con l'occhio guardingo di chi stava cercando di capire cosa stesse accadendo. « Un'altra corsa di scope clandestina? Giuro che questa volta mi sentono. Sono sempre quei quattro ubriaconi imbecilli, ve'? » Già pronto a dirne quattro agli ormai noti disturbatori della quiete notturna, il giovane Marchand si alzò tutto infervorato dal divano, calcando a grandi passi la distanza che lo divideva dalla finestra per incollarvi a sua volta il naso. Con un veloce movimento di occhi scrutò il cielo a sopracciglia aggrottate, come un vecchio pronto a rovinare la giornata di qualche giovanotto troppo baldanzoso. Settant'anni e non sentirli. Ma nulla. « Si vedono le stelle! Cioè, non solo non sta piovendo ma si vedono davvero le stelle! » Impegnato com'era a cercare qualche cavalcatore di scope, ad Erik il dettaglio delle stelle era completamente sfuggito. Eppure, facendoci caso in seguito alle parole della mora, non poté che aprire appena le labbra in un'espressione stupita. Era insolito poter godere di una tale visuale, senza nuvole, pioggia o nebbia. Lì ad Hogsmeade, nel profondo della nordica Scozia, erano ben poche le volte in cui una tale occasione andava a verificarsi. « Stanotte facciamo i pazzerelli veri, Erik. » Con un sorriso ironico a incurvargli le labbra, Erik inarcò un sopracciglio in un'espressione maliziosamente interrogativa. « Dormiamo fuori. Un cielo così limpido non ci ricapita più. » Close enough. Annuì convinto, sempre pronto a cogliere qualsiasi occasione potesse vederlo immerso nella natura. « Però ricordati di portare lo spray antizanzare, che a te pungono pure le mosche. » disse, ridacchiando, mentre si avviava a prendere l'occorrente per dormire all'aperto. Sennò facciamo come l'estate scorsa, che con le tue punture ci potevo giocare a unire i puntini e farci un disegno come nella settimana enigmistica.
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    Con un paio di sacchi a pelo arrotolati sotto le braccia e un piccolo zaino con alcuni materiali di prima necessità, la coppia si era avviata verso l'esterno, scovando un posto in cui l'erba non era troppo alta e la visuale abbastanza libera per accamparsi. Il terreno scosceso era completamente libero e cadeva morbidamente per chilometri fino alla tenuta di Hogwarts e poi al castello. Sebbene fosse così vicino a casa loro, Erik si stupì di non esserci mai passato - o quanto meno di non averci mai fatto realmente caso. Quante cose ti perdi quando tieni il naso sui libri invece che all'insù. «...lo sai come mi è venuta questa fissa delle stelle? » Steso a terra sul proprio sacco a pelo azzurro, col braccio piegato a reggersi la nuca, voltò appena lo sguardo in direzione di Fawn, come a chiederle mutamente quale fosse la risposta a quella domanda retorica. « Mi è venuta perché mio nonno diceva sempre che la nostalgia di casa non ha senso. Diceva - 'il cielo è lo stesso a New York come in Oklahoma, come in Australia, come anche a Tokyo.' Che adesso suona scontatissimo, ma al tempo mi ha davvero aiutata a sentirmi meno sola e, soprattutto, a smettere di farmi domande riguardo al perché i miei avessero deciso di spedirmi in mezzo al nulla, strappandomi ai miei amichetti e alle mie questioni importantissime di bambina delle elementari. Certi drammi che non hai idea. » Sbuffò una risata, scuotendo il capo prima di riportare lo sguardo alle stelle, così luminose da sembrare a un passo da loro, come se Erik avesse potuto toccarle allungando semplicemente l'indice della propria mano. Un'utopia. « L'utopia è là nell'orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino dieci passi e l'orizzonte corre dieci passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l'utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare. » Perché anche loro non smettessero di provarci, a toccare quelle stelle con un dito. « Poi comunque, superato lo shock iniziale, l'Oklahoma era anche un bel posto. Un posto dove, diciamocelo, avevo una specie di vita parallela. Te l'ho mai detto? Del nome Cherokee segreto? » Ci rifletté sopra un attimo, mettendo su un'espressione pensosa prima di scuotere il capo e schioccare la lingua sul palato. « No, mi sa che questa non me l'hai mai raccontata. » Il che è strano, dato che dell'altro sappiamo pure quante volte si va in bagno durante la giornata. Erik e Fawn erano entrati presto in confidenza, trovando naturale il parlarsi tranquillamente di tutto senza apporre filtro alcuno. Tranne quello. Il viso del biondo si rabbuiò per un istante al pensiero di ciò che le aveva tenuto nascosto, di come era arrivato a farlo e delle motivazioni che lo avevano spinto in un angolo di paura. Tuttavia cercò di scansare quel vortice di considerazioni, sforzandosi di non rovinare innanzitutto per se stesso quel momento di pace e serenità che aveva agognato così tanto. « Voglio vedere quanto sei bravo col multitasking. Ti ricordi che prima ti ho detto come si chiamano le stelle dei pesci e dei gemelli? Ecco, io ora ti dico ancora un'altra cosa, ma tu tieni a mente le stelle, così controllo se mi hai ascoltato o no. » Ridacchiò, chiudendo appena le palpebre mentre lei gli stampava un piccolo bacio sul naso. « In questi mesi... io non ce l'ho avuta con te. Penso sia importante che tu lo sappia. » Ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione di groviglio allo stomaco, quella volontà disperata di dimenticare mista all'impossibilità materiale di farlo. A modo suo, Erik aveva sempre cercato di sfuggire dal proprio passato: alle volte andandogli incontro come un toro in corsa, altre invece voltandogli le spalle nell'utopica convinzione di poterlo in questa maniera cancellare. E così, in una maniera o nell'altra, era sempre stato destinato a riviverlo. Una maledizione, quella, da cui non sapeva più come fuggire e contro la quale era stanco di lottare. « Se sono stata distante - e so di esserlo stata - non è perché sentissi il bisogno di farti stare male o farti capire qualcosa o boh, lanciarti altri, incomprensibili, segnali di fumo che non hai colto. E se ti ho dato quest'impressione, credimi, mi dispiace da morire. » Alzò una mano, come a cercare di fermarla. « Fawn.. » Ma lei non lo ascoltò. « Io... ci sono rimasta male. Chiamalo egoismo, chiamalo come vuoi, ma non avrei voluto scoprire cose di quel calibro sfondando io una porta in maniera così prepotente, senza che tu lo volessi. Il fatto che avrei potuto non sapere mai niente, mi ha scombussolata. E ho dovuto metabolizzarlo. Dovevo capire che fosse una cosa più grande di me nello specifico. No, più che capirlo dovevo accettarlo, perché qui non si tratta di un concetto logico. E io sono lenta. Però ho preferito - anzi, mi è sembrato più giusto - darti delle certezze, anche piccole e un po' per volta, che non rischiare di confonderti, confondere me stessa, e rovinare magari tutto quanto con le mie stesse mani. » Più parlava, e più Erik si sentiva in colpa per averla messa in una simile situazione - il che era una delle ragioni cardine per cui aveva sempre evitato di aprire quella porta. Non si trattava di mancanza di fiducia nei suoi confronti, quanto piuttosto di un gesto che per lui aveva intenzioni altruistiche. A che pro dirle di ciò che gli era successo? Di ciò che lui aveva fatto? Si trattava di infliggerle una sofferenza a cui non vi era rimedio e che, conseguentemente, nessuno avrebbe mai potuto curare. Io ne so qualcosa. E poi l'egoismo: quella era una componente che comunque non poteva negare. L'egoismo di non volersi ritrovare a vedere qualcosa cambiare nella maniera in cui lei lo guardava. Un egoismo legato alla paura del rifiuto, del rigetto spontaneo che una qualsiasi persona con saldi principi morali avrebbe avuto di fronte alle sue confessioni. In fin dei conti, pur con tutte le attenuanti del mondo, Erik Marchand era pur sempre un assassino. « Forse non ha senso per te, e forse il messaggio che è passato è l'opposto, ma io mi sono comportata così proprio perché non solo ti amo, ma prima ancora di amarti ti rispetto. Perciò avevo bisogno che ci fosse anche la testa, in tutto questo, oltre il cuore. Però non voglio che succedano più... queste cose. Te lo chiedo per favore. » Ci fu un momento di silenzio, durante il quale Erik non seppe cosa dire. « Allora... queste stelle? » Sospirò, rotolando di lato sul materassino e appoggiando la tempia sul palmo, col gomito puntellato a terra per farsi equilibrio. « E' un po' difficile tornare a parlare di stelle dopo questa parentesi. » Disse, rivolgendole uno sguardo eloquente come a dirle: lo capisci, vero? Un altro sospiro abbandonò le sue labbra mentre lanciava un'occhiata al cielo, quasi a interrogare quei punti luminosi sul da farsi prima di riportare lo sguardo a Fawn. « Vabbè..dirti che non me la sono presa per la tua reazione mi sembra superfluo. Anzi, mi ha pure stupito che tu non abbia fatto i bagagli dopo Natale. » In fin dei conti, era un po' quello che mi aspettavo ogni volta che l'eventualità di questo discorso ha sfiorato la mia mente negli ultimi anni. « E questa è anche la ragione per cui non ti ho mai spinta. Dovevi metabolizzare. » Si strinse nelle spalle. « E' normale. Un mio qualsiasi intervento avrebbe potuto fare più danno che giovamento. » Come se Fawn fosse un oggetto di cristallo in bilico su una mensola, Erik si era ben guardato dal toccarne un qualsiasi punto, troppo timoroso di danneggiare il processo di comprensione e guarigione che la ragazza stava affrontando per colpa sua. Si guardò intorno con aria circospetta, come ad accertarsi che non ci fosse nessuno intorno prima di parlare nuovamente, questa volta a voce più bassa. « Fawn..io non posso cancellare queste cose. Non posso cancellare, in primis dalla mia testa e dalla mia coscienza, il fatto di aver letteralmente tolto la vita a delle persone. Non importa quanto fossero feccia: di fronte a tutte le strade che avevo davanti, io ho deciso di imboccare la peggiore. Pensavo che mi avrebbe dato pace. Pensavo che porre fine alle loro esistenze fosse giusto..sia per me che per tutti gli altri a cui avevano fatto del male. » C'era dolore in quelle parole, nel suo tono di voce, nel suo sguardo torbido come le acque di un mare in tempesta. Era evidente che parlare di quella situazione scatenasse in lui emozioni e ricordi estremamente negativi, pregni di una sofferenza inimmaginabile. Erano poche le persone a poter dire di avere una storia come quella di Erik - fortunatamente! - ed erano ancora meno quelle a poter comprendere cosa il ragazzo potesse passare ogni singolo giorno della propria esistenza. « Tu mi dirai pure che si meritavano di morire - e a livello emotivo, concorderei - ma l'entità di ciò che ho fatto è molto più grande. Non solo per punire loro, ho punito innanzitutto me stesso, ma l'ho fatto pure con un sacco di gente che non c'entrava nulla. Gente che per colpa mia ha dovuto piangere la morte di un padre, di un marito, di un fratello, di una persona cara. Gente che magari non sapeva nulla, ma a cui io ho tolto la possibilità di scegliere. » Quello era il suo castigo. Ogni giorno che passava, Erik sapeva di dover portare con sé quel fardello schiacciante, di dover fare i conti con l'idea di non essere meno un mostro di quanto non lo fossero i suoi aguzzini. « Cazzo ti immagini quanto debba essere terribile svegliarsi una mattina e..non lo so..trovare la propria madre con la gola tagliata? » La sua voce si spezzò nel porre quella domanda con un filo di voce, mentre tutto il senso di colpa e il tormento che aveva sempre vissuto in silenzio veniva fuori all'improvviso. E quando la diga delle emozioni di Erik si apre, la terra comincia a tremare. Forte. Una scossa sismica che fece accendere qualche luce dalle case in lontananza, mentre un vociare concitato segnalava il fatto che in molti stessero uscendo dalle proprie dimore per prepararsi a un terremoto - evento insolito in Scozia. Di colpo, mentre lo sguardo ceruleo del ragazzo veniva attirato da quegli eventi, serrò le labbra, prendendo un respiro profondo per darsi il tempo di spingere via quelle sensazioni. Pian piano le scosse cominciarono a perdere di potenza fino a cessare del tutto, lasciando una calma piatta interrotta solo dai distanti interrogativi concitati degli abitanti di Hogsmeade. Dopo un po', calmatosi, prese un sospiro, riportando lo sguardo a Fawn. « Non ho altri scheletri nell'armadio. » riprese, sempre a voce bassa. « Ma voglio che tu sappia che, tra le tante ragioni per cui ho taciuto, la più importante è che non volevo farti affrontare.. » cercò una parola che potesse descrivere quel marasma di situazioni, ritrovandosi incapace di utilizzare un vocabolo singolo che potesse racchiuderle tutte. « ..beh, tutta questa merda. » Si strinse nelle spalle. « Non era mancanza di fiducia, la mia. Sì, ci stava molta paura e molto egoismo, ma stiamo parlando di cose terribili. Cose da cui non si può scappare. E - cazzo - lo so quanto sia orribile farci i conti. » Se nemmeno io riesco ad accettarle in me stesso, figuriamoci qualcun altro! « Non volevo scaricare il peso della mia coscienza sulle tue spalle. » Tutto qui.

     
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    Avrebbe potuto lasciar semplicemente perdere. Lasciar cadere il discorso nel dimenticatoio, accorciando le distanze tra lei ed Erik in altra maniera. Una meno esplicita, più fumosa, certamente indolore. Ci aveva riflettuto a lungo, sulla modalità più consona di affrontare il tutto. Ci si era arrovellata cervello ed interiora, così tanto da arrivare a dubitare persino che la terra sulla quale poggiava i piedi fosse reale. Fawn, in fondo, dietro la facciata di eterno buonumore era anche questo - un'overthinker. Una persona la cui profondità era allucinante e che forse, proprio perché ne era spaventata in prima persona, aveva permesso di rado alle persone di accedere a quella parte di lei. Aveva un talento nel mostrare agli altri non tanto ciò che volevano vedere quanto ciò con cui sentiva potessero fare i conti. E quindi sì, forse sarebbe stato più saggio lasciare che la situazione si appianasse da sola - dopotutto era già sul punto di farlo - che non riaprire quel discorso lasciato volutamente in sospeso. Eppure, in fondo al cuore, aveva sentito non sarebbe stato giusto. Nei confronti di Erik ma, soprattutto, nei confronti del sentimento che lei stessa provava per quest'ultimo. Per questo, al suo « E' un po' difficile tornare a parlare di stelle dopo questa parentesi. », esalò un sospiro. Per un attimo, solo un breve attimo, nello sguardo chiaro della mora si riflesse un vago senso di colpa. Ma venne sostituito presto dalla decisione, la stessa che utilizzò per stirare un sorriso a mo' di scuse. « Me ne rendo conto. » Commentò, in un tono che tuttavia sembrava comunicare di più un era necessario, che non un dispiacere. « Vabbè..dirti che non me la sono presa per la tua reazione mi sembra superfluo. Anzi, mi ha pure stupito che tu non abbia fatto i bagagli dopo Natale. » Si sistemò meglio, puntellandosi a sua volta sui gomiti per poterlo guardare. « Non ho mai pensato di fare i bagagli. » Disse piano in risposta. Era conscia del fatto che fare un'affermazione del genere l'avrebbe portata ad abbandonare, almeno temporaneamente, l'immagine che dava al mondo. A negare per direttissima quel io non ho bisogno di nessuno, ma - di nuovo - a quel punto le pareva superfluo nascondersi dietro le porte a vetri. Era evidente che i criteri applicati a tutti gli altri, non fossero esattamente gli stessi che riservava ad Erik Marchand. E dire che togliere il disturbo era la mia reazione preimpostata fino a qualche anno fa. Tuttavia era ancora una persona cerebrale quanto emotiva, ed aveva la forte necessità di integrare testa e cuore, fare in modo che parlassero la stessa lingua e riuscissero a comunicare chiaramente tra loro perché il suo stato emotivo non si trasformasse prima in un groviglio indistinto di elementi contrastanti e poi in un peso che l'avrebbe schiacciata, portandola a reagire in una maniera scostante e distruttiva. Perciò, nell'udire le ragioni per le quali il giovane non l'aveva pressata, si limitò a scoccargli uno sguardo grato. Non tanto perché credesse realmente che un suo intervento avrebbe potuto fare danni, quanto perché sapeva, a posteriori, che avrebbe finito per distorcerne il senso, aggiungendovi delle sovrastrutture che non avrebbero avuto senso di essere.
    « Fawn..io non posso cancellare queste cose. Non posso cancellare, in primis dalla mia testa e dalla mia coscienza, il fatto di aver letteralmente tolto la vita a delle persone. Non importa quanto fossero feccia: di fronte a tutte le strade che avevo davanti, io ho deciso di imboccare la peggiore. Pensavo che mi avrebbe dato pace. Pensavo che porre fine alle loro esistenze fosse giusto..sia per me che per tutti gli altri a cui avevano fatto del male. Tu mi dirai pure che si meritavano di morire - e a livello emotivo, concorderei - ma l'entità di ciò che ho fatto è molto più grande. Non solo per punire loro, ho punito innanzitutto me stesso, ma l'ho fatto pure con un sacco di gente che non c'entrava nulla. Gente che per colpa mia ha dovuto piangere la morte di un padre, di un marito, di un fratello, di una persona cara. Gente che magari non sapeva nulla, ma a cui io ho tolto la possibilità di scegliere. Cazzo ti immagini quanto debba essere terribile svegliarsi una mattina e..non lo so..trovare la propria madre con la gola tagliata? » Me lo immagino eccome. Ma? Ma non sono loro il punto. E sul fatto che determinate persone non dovrebbero nemmeno calcarla, questa terra, presumo non saremo mai d'accordo. Era inevitabile che il suo grado di compassione nei confronti di determinate persone non fosse lo stesso che avrebbe riservato a chiunque altro. Ed era così per una serie di ragioni, forse non propriamente oggettive, ma che andavano a formare la complicata rete emozionale della giovane americana. In primis, c'era l'impossibilità di fare pace con l'idea che qualcuno potesse vivere con sé stesso dopo aver commesso atti tanto deplorevoli ed atroci; poi l'indignazione nello scoprire che fosse così. E c'era anche dell'irrazionale, ma profondamente radicata, cattiveria nel rendersi conto che un certo tipo di trattamento - uno peggiore di quello che si riservava normalmente alle bestie - tra tutte le persone, fosse toccata proprio all'unica alla quale lei non avrebbe voluto vedere torto nemmeno un capello. Questo la rendeva una cattiva persona? Forse. La rendeva irrazionale ed ingiusta? Di nuovo - forse. Non sapeva, in realtà, come avrebbe reagito trovandosi al posto di lui, non aveva idea se avrebbe effettivamente imboccato anche lei la stessa strada, ma non voleva nemmeno arrovellarsi attorno a determinati interrogativi, dei quali non sarebbe in ogni caso venuta a capo. Strinse le labbra in una linea sottile, esalò un sospiro e passò a mordersi l'interno guancia. Avrebbe voluto dire molte cose, ma sentiva fosse essenziale far sì che finisse di parlare. Alla terra che tremava sotto di lei, quasi non fece caso. Di nuovo, il suo punto fisso era Erik. Istintivamente, ne cercò la mano per poggiarvi sopra la propria. Con delicatezza, in un silenzioso. Non mi muovo. « Non ho altri scheletri nell'armadio. » Strinse la presa. « Ma voglio che tu sappia che, tra le tante ragioni per cui ho taciuto, la più importante è che non volevo farti affrontare.. beh, tutta questa merda. » Però va bene averla affrontata da solo? Va bene fare sempre tutto, da solo? « Non era mancanza di fiducia, la mia. Sì, ci stava molta paura e molto egoismo, ma stiamo parlando di cose terribili. Cose da cui non si può scappare. E - cazzo - lo so quanto sia orribile farci i conti. Non volevo scaricare il peso della mia coscienza sulle tue spalle. » Di nuovo, Fawn prese un enorme respiro. Non le era ancora chiaro come fare a mettere in fila, in maniera sensata, l'esorbitante quantità di sentimenti che in quel momento le si agitavano dentro. Una parte di lei, seppur piccola, avrebbe tanto desiderato soltanto stringere Erik a sé, forse persino chiedergli scusa per aver dato quel tono pesante ad una serata che fino a quel momento era stata bellissima. « Vedi... ci concentriamo su due cose diverse. » Cominciò piano, in tono così delicato che per un attimo non parve nemmeno lei. La sua voce, in quel momento, era intrisa di così tante cose che, se solo avesse potuto sentirsi dall'esterno, si sarebbe spaventata da sola dell'intensità che aveva impresso in un suono così flebile. « E va bene così. È normale. » Scosse appena la testa. « So di non poterti sollevare dal peso di quello che senti. E non poterlo fare non è piacevole, su questo non posso darti torto. » Una pausa. Una che, tuttavia, era drammaticamente opposta a quella vissuta a Natale, nell'appartamento della Corte. Se il primo silenzio era stato intriso di distanza, quello attuale sembrava avere la funzione di annullarla del tutto. « Ma tu non hai soltanto scaricato il peso della tua coscienza sulle mie spalle. Non è solo quello che hai fatto, il punto. E sì, forse non stai con una persona oggettiva o con una persona abbastanza giusta da guardare oltre te. » Si tirò su a sedere, stavolta per bene, interrompendo così il contatto. Chinò appena il capo, il viso ora seminascosto dai lunghi capelli scuri, lo sguardo fisso sulle proprie mani. Ci si stava picchiettando le gambe, quasi quel ritmo fisico potesse aiutarla a riordinare i suoi pensieri in maniera tale da renderli comprensibili al destinatario non appena espressi. « Ma se non mi concentro su di te almeno io, su come stai, sul perché stai in un certo modo... allora chi lo fa? » Tu, dopotutto, non ti puoi vedere. Non davvero. Immaginava, Fawn, che per Erik causa - la sua infanzia, cioè - e la conseguenza - gli omicidi - fossero imprescindibili, ma per lei non era lo stesso. Nella sua ottica, si trattava di due avvenimenti sì collegati, ma che comunque, per quanto conseguenza diretta l'uno dell'altro, avevano un proprio impatto sulla psiche di lui. « Non ti sto dicendo che tu debba parlarmene. Se non te la senti, dopo questa sera possiamo mettere via la cosa. Mi conosci, non sono di quelle persone che fanno pressioni. Ma penso anche che tu debba poterlo fare. » A quel punto si voltò nuovamente verso di lui anche col busto, cercando nuovamente la mano del ragazzo per un contatto. « Dirmi: 'Fawn, oggi sto una merda', o 'Fawn, oggi questa cosa non mi va' o 'Fawn, per assurdo oggi voglio parlare di cosa x anziché di cosa y', senza sentirti come se fossi sempre sul punto di dire troppo o di fare un passo falso. Una relazione non dovrebbe essere un perenne camminare sulle uova.» Di nuovo, la mano libera di lei corse al suo viso, accarezzandogli la guancia. « Non posso entrare nella tua testa, è vero. Non posso fronteggiare certe cose al posto tuo. Ma posso tenerti la mano mentre lo fai. Posso camminare al tuo fianco con cognizione di causa. Posso stare seduta accanto a te con cognizione di causa.» Con un movimento leggero, andò a spostare una ciocca ribelle dal suo viso. « Fa la differenza, credimi. E sì, forse non l'ho scoperto nella migliore delle maniere, forse avrei preferito che fossi tu a dirmelo, ma a conti fatti... questa scoperta non è stata un passo indietro. Non per me. » Non per noi. Non per la relazione, a lungo termine. « Prima... non capivo. C'erano delle cose che mi sembravano strane, e non le capivo, e non capivo per quale ragione non le capissi. » Scosse appena la testa. Si riferiva, ovviamente, al fatto che per quanto bravo con l'autodisciplina, si trattava di una cosa di dimensioni così enormi da non poter essere celata del tutto. E, per quanto i dettagli strani fossero stati a conti fatti piccoli, non erano stati sufficientemente insignificanti perché l'americana non cominciasse a farsi due domande. « Adesso è diverso. » Ed è un diverso che mi piace di più. Perché è più reale. « Non è anche questo, il punto dello stare insieme? Trovare la maniera di capirsi davvero? » Fidarsi del fatto che l'altro, alle volte, possa vederti in maniera più lucida nella tua interezza?


    Edited by anagapesis - 25/7/2020, 01:20
     
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    My mind ship-wrecked this is the only land my mind could find
    I did not know it was such a violent island
    Full of tidal waves, suicidal crazed lions »


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    « Vedi... ci concentriamo su due cose diverse. E va bene così. È normale. So di non poterti sollevare dal peso di quello che senti. E non poterlo fare non è piacevole, su questo non posso darti torto. » Sospirò, portando lo sguardo alle stelle, mute testimoni delle azioni che Erik aveva compiuto nella sua vita. Sempre a nascondersi, sempre ad agire nella notte. E in fin dei conti, i suoi atti erano proprio quelli che soltanto nelle tenebre potevano venir svolti. Si era sempre chiesto, Erik, cosa ciò dicesse su di lui, sul tipo di persona che era. Perché tutti quanti lo ritenevano un pezzo di pane, un cuore d'oro con un forte senso della giustizia e della misericordia, un empatico. Eppure lui non si vedeva come tale. Non riusciva a guardarsi allo specchio e dire "sì, sono fiero di me stesso". Come poteva? « Ma tu non hai soltanto scaricato il peso della tua coscienza sulle mie spalle. Non è solo quello che hai fatto, il punto. E sì, forse non stai con una persona oggettiva o con una persona abbastanza giusta da guardare oltre te. Ma se non mi concentro su di te almeno io, su come stai, sul perché stai in un certo modo... allora chi lo fa? » Sbuffò una risata tra l'amaro e il sarcastico dalle narici, scoccandole uno sguardo con la coda dell'occhio e il sopracciglio alzato. « Un secondino? » O un dissennatore, oppure l'infermiere di un reparto psichiatrico. Chissà dove finirei se tutta questa roba dovesse venir fuori un giorno. Chissà cosa mi merito o di cosa ho bisogno. Di certo, Erik non pensava di meritarsi quella vita: stare a piede libero, averla passata liscia su ciascuno dei suoi crimini, studiare per una carriera che non vedeva l'ora di cominciare e avere l'amore di una ragazza bellissima. Si sentiva come se tutte quelle cose, lui le avesse rubate. Aveva vinto il gioco della roulette russa, senza alcuna capacità, senza alcun merito, solo con tanti colpi di fortuna messi uno dietro all'altro. C'era gente che aveva pagato per molto meno, e poi c'era lui, che sedeva su una pila di cadaveri a fumarsi una metaforica sigaretta. « Non ti sto dicendo che tu debba parlarmene. Se non te la senti, dopo questa sera possiamo mettere via la cosa. Mi conosci, non sono di quelle persone che fanno pressioni. Ma penso anche che tu debba poterlo fare. Dirmi: 'Fawn, oggi sto una merda', o 'Fawn, oggi questa cosa non mi va' o 'Fawn, per assurdo oggi voglio parlare di cosa x anziché di cosa y', senza sentirti come se fossi sempre sul punto di dire troppo o di fare un passo falso. Una relazione non dovrebbe essere un perenne camminare sulle uova. » Tirò un altro sospiro, sollevando la schiena per mettersi a sedere con le ginocchia al petto. « Lo so, Fawn. E con te mi sento davvero di poter parlare di qualsiasi cosa. Ma questo.. » si strinse nelle spalle, scuotendo appena il capo. « ..questo era diverso. Non si trattava di raccontare una brutta giornata al San Mungo o di una figura di merda. Sono cose agghiaccianti. Cose che mi ero ripromesso di portarmi nella tomba. » A conti fatti, Erik non sapeva se avrebbe mai confessato quegli accadimenti alla ragazza nel caso in cui non fosse stato spinto dalle circostanze a farlo. Sapeva di rischiare, specialmente con la presenza dello Shame in agguato, ma aveva scelto ancora una volta di giocare alla roulette russa. Per quanto inaspettato fosse stato il risultato, anche lì ne era uscito in piedi: e su questo, per lui, era davvero difficile mettersi il cuore in pace. « Non posso entrare nella tua testa, è vero. Non posso fronteggiare certe cose al posto tuo. Ma posso tenerti la mano mentre lo fai. Posso camminare al tuo fianco con cognizione di causa. Posso stare seduta accanto a te con cognizione di causa. Fa la differenza, credimi. E sì, forse non l'ho scoperto nella migliore delle maniere, forse avrei preferito che fossi tu a dirmelo, ma a conti fatti... questa scoperta non è stata un passo indietro. Non per me. » Ed era esattamente ciò, che lui non comprendeva. Come faceva Fawn a giustificarlo? E perché, nonostante questo, si sentiva come se il peso dal suo petto non fosse svanito? Se alla prima domanda non sapeva davvero come rispondere, sulla seconda aveva cominciato a farsi un'idea: semplicemente, non stava a Fawn perdonarlo. Non stava a nessuno, in realtà. Perché il perdono altrui può aiutare a non sentirsi soli, ma non guarirà mai certe ferite. Ed Erik sapeva di non potersi perdonare - di essere arrivato a un punto tale della sua vita in cui il danno che si era inflitto da solo era semplicemente troppo grosso per essere sanato. Tutto ciò che poteva fare era imparare a convivere con la propria colpa senza impazzire nel processo. « Prima... non capivo. C'erano delle cose che mi sembravano strane, e non le capivo, e non capivo per quale ragione non le capissi. Adesso è diverso. Non è anche questo, il punto dello stare insieme? Trovare la maniera di capirsi davvero? » Rimase in silenzio per qualche istante, portando nuovamente lo sguardo alle stelle prima di prendere la mano di Fawn. Lasciò intrecciare le proprie dita a quelle di lei, portandosi il palmo della ragazza alle mani per stamparvi un bacio. « Immagino di sì. » disse piano, nel mentre di stenderle un piccolo sorriso incerto. « Anche se per me rimarrà sempre un mistero, la tua comprensione. » Sospirò. « Ma forse è così che ci ha reso questo mondo. Disillusi e anche un po' cinici. » Fece una pausa, portando lo sguardo in quello di lei. « Di sicuro lo ha fatto con me. E immagino che per te e tutti gli altri, il lockdown abbia avuto un effetto simile. » A un certo punto, semplicemente ti abitui ad essere circondato da morte. Chi non riesci a salvare, chi devi uccidere, chi devi lasciar morire. Scelte obbligate che finiscono per condizionarti in eterno, per connotare la tua vita e la tua personalità di una violenza che forse non riconosci in te, che non credevi di avere, ma che ti è stata imposta in maniera altrettanto violenta. E così ci si abitua a tutto, anche alla morte, anche alle ingiustizie. Le mie, di ingiustizie, forse sembrano pure più giustificate di tante altre, a questo punto. « Sai, da quando è venuta a galla la storia dei sin eater, una parte di me ha sempre voluto cercarne uno. Forse in maniera un po' egoista. » Si strinse nelle spalle. « Ho sempre pensato che affidare i miei peccati a una persona che deteneva il potere di assolvermi da essi, fosse l'ennesima occasione che qualche buona stella mi ha lanciato dal cielo. » Ma alla fine non l'ho mai fatto. « Ci ho pensato un sacco. Poi però ho capito che non sarebbe servito a nulla. Sì, magari sarebbe il mio biglietto per il paradiso - ammesso e non concesso che una cosa del genere esista davvero - però.. » io non penso di meritarmelo. Al di là del mio pentimento, non può andare così. Non può bastare il senno del poi per essere ammesso nelle schiere celesti. Se nessuno mi ha punito in Terra, qualcuno dovrà pur farlo in cielo. « ..non lo so. Credo che in fin dei conti non servirebbe a nulla. Posso essere assolto da un prete, da un sin eater, da una giuria, persino da te..ma la pace - » scosse il capo « - quella è una cosa che non avrò mai. » Fece un'altra pausa, lasciando che sulle sue labbra si stendesse un sorriso amaro. « E forse è giusto che sia così. Forse è il mio contrappasso dantesco - essere diventato il carceriere di me stesso. » Una solitudine, quella, dalla quale era impossibile fuggire. Non importava quante persone gli si stringessero attorno e gli donassero la loro comprensione: Erik sapeva che in fin dei conti, da quel punto di vista sarebbe sempre stato solo, diviso con una linea netta dal resto del mondo. « Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra »

     
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    Only infinite shades woven into the same tapestry, light and dark. One man's monster is another man's beloved. The wise know that."



    « Lo so, Fawn. E con te mi sento davvero di poter parlare di qualsiasi cosa. Ma questo.. »È diverso? « ..questo era diverso. Non si trattava di raccontare una brutta giornata al San Mungo o di una figura di merda. Sono cose agghiaccianti. Cose che mi ero ripromesso di portarmi nella tomba. »
    In un movimento istintivo, quasi dovesse metabolizzare un colpo, distolse lo sguardo dal viso di Erik, annuendo tra sé. Si umettò le labbra, sollevando una mano come a chiedergli implicitamente scusa per l'interruzione. « Capisco il tuo punto di vista. E non intendo criticarlo, perché posso solo immaginare, e nemmeno lì del tutto, come tu ti sia sentito. Come tu ti senta. Ma voglio chiederti una cosa: se la mettiamo così, significa che non possiamo parlare anche delle cose agghiaccianti? Come funzionerà, in futuro? » Il viso appena inclinato, proseguì a bassa voce, rendendosi conto che le domande che gli stava ponendo non fossero del tutto retoriche. « Se dovesse succedere altro, di terribile, e visto come gira il mondo non sto nemmeno ad escluderlo a priori, ognuno si tiene la sua cosa terribile per sé e si rassegna al fatto che andrà come deve andare, se mai l'altro venisse a saperlo? » Una pausa dove gli occhi dell'americana rimasero puntati in quelli di lui, carichi di una per lei insolita serietà, a confermare il peso di quel pensiero, la sua importanza. Una lunga pausa in cui ne scandagliò la figura con lo sguardo. « Diamo per scontato di essere abbastanza bravi a nasconderci? » In virtù di che cosa - un falso senso di serenità, che comunque fa acqua da tutte le parti? Di apparire perfetti agli occhi l'uno dell'altra mentre, non appena si gira, raccogliamo merda a mani nude, nella flebile speranza di non venirne sommersi? « Puntiamo tutto sulla presunta cecità della nostra controparte? » Strinse le labbra, abbassando lo sguardo. Con quella serie di domande, Fawn, che in fondo non si smentiva davvero mai, stava facendo due cose contemporaneamente. Una, la più palese, era stabilire i termini e le condizioni della loro relazione - per capire se questi potessero andarle bene - l'altra, più implicita, comunicargli che cosa l'avesse davvero ferita, e cosa l'avesse spinta ad imporsi quella lontananza psicofisica, della quale aveva sofferto in prima persona. Non poteva nemmeno contarle, le volte in cui la distanza avrebbe voluto annullarla. Perché in fondo aveva solo diciannove anni, perché amava Erik da morire, perché in quei sei mesi, mentre sbrogliava la sua matassa di dolore, checché potesse dirne, si era sentita sola. E stupida. E cieca. Si era sentita in colpa per non aver insistito abbastanza, per aver fatto affidamento sul fatto che, vista la loro complicità, sarebbe stato lo stesso Erik ad aprire l'argomento, un volta che si fosse sentito pronto. Visto com'erano andate le cose, era evidente che abbastanza pronto, non lo fosse stato mai. « A me, in tutta onestà, una cosa del genere non andrebbe un cazzo bene. » Un'affermazione, quella, espressa con incrollabile decisione. Un controsenso, forse, per una persona così incline a cercare il compromesso, una persona che spesso quello stesso compromesso riusciva pure a trovarlo. « E non perché voglia per forza sapere le tue cose, o quelle di chiunque altro, ma perché è devastante per me, non capire. Vedere che stai male, non avere la minima idea del perché e, non ricevendo risposta, convincermi pure di allucinare draghi nel preoccuparmi. E poi sbattere la faccia sul fatto di non aver mai allucinato un cazzo. Ignorance isn't bliss; it's misery Con lo sguardo sembrava trapassarlo da parte a parte, tanto questo era carico di emozioni. Vi si erano depositate tutte quelle che aveva tenuto sopite da Natale. Era sempre così, con Fawn. Ti diceva una cosa, ma potevi star sicuro che nel suo cuore se ne stessero agitando altre mille; esprimeva un pensiero, ma quel pensiero si ramificava in potenze di dieci. E così, adesso, gli stessi occhi che aveva puntato in quelli del giovane Marchand, erano un gorgo: c'era l'amore, certo, ma c'era anche un tassativo non voglio un castello di carte, per quanto bellissimo, e pure qualcosa che ad una prima occhiata sarebbe apparso fuori posto. Un non voglio finire come i miei genitori, che si traduceva in una ben visibile punta di dolore. « Non mi sono innamorata di te perché sei bello, simpatico e intelligente. O meglio: anche. Però mi sono sempre resa conto che fossi un essere umano. E gli esseri umani... non sono perfetti. Gli esseri umani hanno un vissuto, hanno luci e ombre, ma dire stiamo insieme per stare soltanto col lato migliore di qualcuno, non è più stare insieme. È... cercare compagnia. » Quando ho deciso di stare con te, ero pronta anche alle ombre. Tu lo eri, pronto alle mie ombre? Ora che ho visto le tue, sei pronto a mostrarmi quelle future? O boh, volevi compagnia ed io sono riuscita ad essere asfissiante abbastanza da farti abituare alla mia? « Per questo ti ho detto che capire non fosse un passo indietro. » Distolse lo sguardo, puntandolo ora su di un punto imprecisato davanti a sè. Come si sentiva, in quel momento? Non lo sapeva. Provava sensazioni contrastanti. Da un lato aveva espresso il proprio pensiero, e per lei era importante che Erik potesse comprendere; dall'altro, però, si sentiva ancora incerta. Riguardo cosa di preciso, non avrebbe neanche saputo dirlo.
    Si riscosse solo quando sentì le labbra di lui sul proprio palmo e, nel tornare ad osservarlo, emise un sospiro tremolante.
    « Immagino di sì. Anche se per me rimarrà sempre un mistero, la tua comprensione. » Scosse appena la testa, come intenerita da quell'affermazione. « Ma forse è così che ci ha reso questo mondo. Disillusi e anche un po' cinici. Di sicuro lo ha fatto con me. E immagino che per te e tutti gli altri, il lockdown abbia avuto un effetto simile. » Parve rifletterci un attimo. Riportò effettivamente la mente al lockdown. Uno dei ricordi più vividi che aveva, uno dei più terrificanti, risaliva ai giorni che avevano seguito Natale - quelli in cui diverse persone, prese dalla disperazione, con come ultima goccia quella permanenza forzata all'interno della sala comune di Corvonero, da quella torre si erano gettate. Bambini. Ragazzi più grandi. Ripensò ai morti, alle volte in cui lei stessa avrebbe voluto smettere di correre perché quella stessa morte, creatura onnipresente, potesse acciuffarla. Si trovò a reprimere un sussulto, le spalle rigide, inspirando rumorosamente tra i denti. Pensò a tutta la gente che avevano sepolto. Tutta la gente che, alla fine, non ce l'aveva fatta ed era arrivata al proprio capolinea prima del tempo. Cosa mi ha insegnato il lockdown? Come mi ha resa? Già, cosa ti ha insegnato, Fawn? « Sai, da quando è venuta a galla la storia dei sin eater, una parte di me ha sempre voluto cercarne uno. Forse in maniera un po' egoista. Ho sempre pensato che affidare i miei peccati a una persona che deteneva il potere di assolvermi da essi, fosse l'ennesima occasione che qualche buona stella mi ha lanciato dal cielo. » Sbatté le palpebre, lentamente, per imporsi una nuova lucidità. « Ci ho pensato un sacco. Poi però ho capito che non sarebbe servito a nulla. Sì, magari sarebbe il mio biglietto per il paradiso - ammesso e non concesso che una cosa del genere esista davvero - però.. .non lo so. Credo che in fin dei conti non servirebbe a nulla. Posso essere assolto da un prete, da un sin eater, da una giuria, persino da te..ma la pace - quella è una cosa che non avrò mai.» Per quanto si sentisse impotente al pensiero, quella era una cosa che non distava troppo dalla comprensione della rosso-oro. Credimi, questo lo capisco. Perché poteva non essere la stessa cosa, ma era certa che non sarebbe mai riuscita a perdonarsi di aver castato una Cruciatus contro il proprio migliore amico. Non importa nemmeno se Albus mi ha perdonata; non cambia i fatti. Non cambia che io abbia torturato una persona. Posso darmi tutte le attenuanti del mondo - ma una Cruciatus resta una Cruciatus, per la mia coscienza. « E forse è giusto che sia così. Forse è il mio contrappasso dantesco - essere diventato il carceriere di me stesso. » Per l'ennesima volta, Fawn incamerò una grossa quantità di ossigeno. « Vuoi capire la mia comprensione? » Gli chiese, guardandolo con trasparenza. « So cosa significa fare cose terribili, so cosa vuol dire conviverci e... ti vedo. » Vedo come ci convivi. Vedo che non ti dai pace e che, a conti fatti, non serve che ci sia qualcun altro a fustigarti, lo fai già da solo. « In tutta onestà... non volevo dirti - » Si bloccò per un attimo, quasi solo l'idea di continuare la ferisse. « - della Cruciatus. Non volevo ti rendessi conto che fossi in grado di fare una cosa simile. Puoi dirmi che non è la stessa cosa - e oggettivamente ti do ragione - ma ti garantisco che il senso di colpa... penso abbia lo stesso sapore per tutti.» Deglutì, mandando giù un boccone amaro. « Quelle urla, Erik, non me le toglierà mai dalla testa nessuno. Mai. » Come nessuno mi libererà mai dal pensiero che avrei potuto ucciderlo. Semplicemente farlo fuori. In virtù di cosa, presumibilmente, di salvare un'altra vita? Era davvero la scelta migliore che potessi fare? « Perciò... quando te l'ho detto, non mi aspettavo che mi facessi sentire meglio. Non puoi farlo. So che vorresti, lo apprezzo, te ne sono grata, ma.. » Si strinse nelle spalle, come a rafforzare il concetto. Quell'impossibilità. « Forse è per questo che non ho la pretesa di farlo io per te. Vorrei, ma non è sufficiente. »
    Ne cercò di nuovo la mano, forse per accertarsi che fosse ancora lì.
    Forse per aggrapparcisi. La prese tra le proprie, silenziosa, senza sforzarsi di riempire la pausa creatasi tra loro. Nonostante la sua pesantezza, sentiva dovessero restare qualche attimo così. Senza imporsi di parlare.

    « È vero - il lockdown mi ha resa una persona diversa. Il dopo mi ha resa una persona ancora diversa. Ho visto gente suicidarsi, altri li ho visti morire, altri ancora non sono riuscita a salvarli. Le mie priorità sono cambiate. Ma un po' di cose buone, il lockdown me le ha insegnate. » Lo sguardo si spostò sul prato, incerta com'era sul volere o meno guardarlo negli occhi. Il lockdown, ad anni di distanza, restava un argomento molto sensibile. « Mi ha insegnato che nessuno è senza peccato. Letteralmente, nessuno. Mi ha insegnato a combattere, in generale. » Per i miei affetti, per me stessa, per le cose in cui credo. « Una conclusione che ho tratto grazie al lockdown è che voglio vivere. Veramente. E lo sai cosa significa... per me? Che non importa quante cazzate faccia, vorrei che alla fine della fiera, quando sarà il mio turno di tirare le cuoia, le cose buone che ho fatto siano di più di quelle orribili. » Pensare di non fare errori, anche terrificanti, negherebbe la mia umanità. Io sono fallibile esattamente come te. « Non è uno pseudo-inno alla vita, Erik, veramente. Voglio solo dire che sì, magari nei tuoi archivi ci sono cose orribili, cose delle quali ti penti, cose che ti mangiano da dentro. Non voglio toglierti le tue ombre, né il diritto a conviverci. Voglio solo... che tu comprenda di non essere solo quello. » A quel punto, lo sguardo smeraldino saettò nel suo. Aveva gli occhi più lucidi, ora. « Per sbrogliare la matassa ci vorrà tempo. E olio di gomito. E.. impegno, e volontà, e...e anche capire da dove cominciare. » E anche questo non toglie che faranno male sempre. « Però non sei solo quello. Non sei le tue scelte sbagliate. » Non sei il mostro che pensi di essere. « Non riporterà indietro nessuno, ma - » Gli fece un mezzo sorriso, forse un po' malinconico. « il mondo non viaggia all'indietro. E il bene che fai, nella vita, conta qualcosa. Il fatto che tu voglia farlo, è importante.» E non per smacchiarti la coscienza, come sarebbe facile pensare, ma per gli altri. Per coloro che quel bene lo ricevono. « È per questo che sono rimasta. Perché... vedo anche questo, non solo quello che mi hai mostrato a Natale. E mi va bene tutto il pacchetto. » E se il pacchetto comprende accompagnarti all'inferno, beh, va bene lo stesso.


    « if i tell him the words that are crouching in my mouth, they will not look like love, they will not wear off. they will not roll down the shower drain like perfume. they will burrow into his skin like the ink of a tattoo.

    tell him it's okay.
    tell him everything he's done, it's okay.
    here it is, the pardon i was created to give. the last chance, my fist around his pulse, to tell him i have known him completely, and i haven't found him innocent, but close enough.»





    Edited by anagapesis - 3/8/2020, 20:44
     
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