Smoke signals

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    «Va be', io stacco». Andrea annuì distrattamente, lanciando uno sguardo all'orologio da polso: mezzanotte e mezza. «Beata te» replicò sospirando, girando attorno al bancone del bar per approfittare del momento di pausa che le veniva concesso dal diminuire dell'affluenza di clienti nel locale. «Tu fai tutta la notte oggi?» Sfilò i tacchi con la punta del piede, tirando a sé uno sgabello solitario lasciato lì dietro da qualcuno, e si sedette lasciando dondolare le gambe per qualche momento, ruotando le caviglie alla ricerca di un po' di sollievo. «È giovedì» disse, accettando il bicchierino di Whiskey Incendiario che Penny, la barista part-time del giovedì, le passò con discrezione. Scandì un grazie prima di vuotarne il contenuto. «E poi Rue deve partire per le vacanze domani, quindi questa
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    settimana sto facendo gli straordinari.»
    Lasciò vagare lo sguardo sulla saletta oltre il bancone, il palco riscaldato da fasci di luce scarlatta osservato dai pochi spettatori seduti ai tavolini circolari, che ascoltavano rapiti le note melliflue della cantante al piano bar. Per qualche secondo, poi, indugiò sul tavolo da gioco più a destra, ancora poco animato considerati gli standard abituali, intercettando lo sguardo del croupier solo per qualche secondo, prima di distoglierlo e puntarlo sul pavimento laccato. «Deve partire con un sacco di amici, vorrei darle abbastanza da farla sentire libera di partecipare alle stesse attività degli altri. E se vuole bere un po' di più non voglio che debba tirarsi indietro perché “non ha i soldi”» continuò, virgolettando queste ultime parole con le dita. Penny annuiva e elargiva qualche sguardo comprensivo mentre asciugava gli ultimi bicchieri lavati, prima di andare via. «Non so come, l'hanno invitata in Costa Azzurra, a casa di amici. Quand'è che si è fatta amici così ricchi?» Ridacchiò, scuotendo la testa, prima di scendere dallo sgabello e seguire la collega sul retro, nel magazzino. «Le ho detto di chiedere quanto avrebbe dovuto spendere comunque, perché non si sa mai che 'sti ricconi siano di quelli cafoni che fanno a vedere che ti ospitano ma poi ti fanno pagare per il posto letto o per il lavaggio delle lenzuola», disse, frugando nella borsa alla ricerca del panino che si era preparata per cena. Ne estrasse due, addentandone solo uno, mentre l'altro lo lasciò nell'armadietto aperto di fronte al suo, avendo cura di richiudere lo sportello di metallo. Poco dopo salutò la collega con un bacio sula guancia e tornò nella sala principale, che stava cominciando ad affollarsi. Infilò rapidamente le scarpe, ancora intenta a consumare la sua cena, sorridendo a denti stretti a un paio di clienti abituali in entrata, prima di scivolare via dal bancone e verso il tavolo da gioco. Si avvicinò al fratello, anche lui piuttosto sfaccendato, con l'aria più disinvolta che riuscì a costruire. «Hai cenato?» Disse, parlandogli alle spalle, con discrezione. «Se vuoi ho un panino in più, te l'ho lasciato vicino alle tue cose» continuò, più come una comunicazione che non una domanda, prima di mordere l'ultimo boccone e allontanarsi, sbattendo i palmi delle mani fra loro per liberarsi delle briciole. «Signor Coleman! Cosa posso portarle stasera? Il solito?»

    Ad Andrea quel lavoro piaceva, più di qualunque altra occupazione avuta precedentemente. Aveva lavorato brevemente per il Pandemonium, che precedentemente occupava quello stesso locale, ma ben presto la clientela da nightclub – per quanto fosse pur sempre clientela di Hogsmeade – si era rivelata, specialmente dopo qualche drink di troppo, più irrequieta di quanto non riuscisse ad apprezzare. Lo spirito di adattamento dei Trambley l'aveva portata a tenere duro senza neanche far caso a se o meno il lavoro le piacesse: pagava le bollette e questo bastava, senza contare che i clienti abituali si erano ben presto affezionati a lei e poteva contare quasi sempre su mance generose. Quando poi aveva chiuso, dopo qualche mese, nonostante si fosse ritrovata disoccupata, non aveva potuto negare a se stessa la sensazione di sollievo nel non dover più frequentare quotidianamente quel tipo di ambiente. Adesso, al Suspiria, tutto era differente: gli orari erano più o meno gli stessi, e pure la paga – sebbene le mance non fossero neanche lontanamente altrettanto soddisfacenti – ma più di tutto era l'ambiente familiare a piacerle. Metaforicamente e non: poter vedere Zip quasi tutti i giorni le portava una gioia e una sicurezza – maniaca del controllo qual era – di cui difficilmente faceva parola. Ma uno sguardo non mancava mai di lanciarlo nella sua direzione, nonostante venisse ricambiato soltanto di rado e i loro scambi consistessero per lo più di domande di carattere del tutto logistico e pragmatico: a lei bastava così. Mentre gli ultimi clienti lasciavano i tavolini antistanti al palco e si avviavano barcollanti verso l'uscita, e i più tormentati rimanevano al bar per un ennesimo drink, Andrea caricava un vassoio dei bicchieri svuotati lasciati in giro. Ogni tanto il colore del cielo che si intravedeva quando qualcuno apriva le porte del locale, rischiarato e tinto di un pigro pallore, ricordava alla ragazza che presto sarebbe arrivato il mattino. Fu solo quando ebbe finito di lavare i pavimenti e l'ultimo cliente ebbe lasciato il locale che Andrea passò accanto al fratello per una seconda volta, quella sera, con un cenno della testa a invitarlo fuori, per fumare una sigaretta. Non era certo che avrebbe accettato, ma ogni tanto era capitato che lo trovasse di buon umore – o quantomeno in vena di tolleranza – abbastanza da concederle quei cinque minuti del suo tempo.
    Andy non era più arrabbiata con lui. Non era neanche risentita, né mortificata. Più di tutto, Zip le mancava, e rivederlo tutti i giorni da quando aveva iniziato a lavorare lì era stato solo catalizzatore di quella nostalgia. Lo aspettò quindi sul retro del locale, poco speranzosa di vederlo comparire dalla porta sul retro, avendo dunque già acceso la propria sigaretta, poggiata alla parete in mattoni scuri.
    L'aria mattutina era umida e appiccicosa, rimasuglio del caldo torrido che si era abbattuto sulla Scozia in quell'ultima settimana. Mal tollerava quel clima, una canadese temprata dai lunghi inverni di Vancouver come lei, e si ritrovava spesso di umore irritabile quando le temperature si alzavano. Era a metà della propria sigaretta quando la figura del fratello minore comparve di fronte a lei, contro ogni previsione. Strinse le labbra in quello che avrebbe voluto fosse un sorriso, chinando la testa per qualche secondo. Fece per porgli l'accendino, ma il ragazzo aveva già provveduto. Pensò a qualcosa da dire, imbarazzata da quel silenzio che, ne era certa, era un modo neanche troppo celato del fratello per dirle: “mi hai chiesto di venire, sono qui, che vuoi?”
    «Hai mangiato il panino?» Fu la prima cosa che le venne in mente, mentre lasciava ricadere il braccio teso verso di lui per offrirgli l'accendino. In lontananza, qualcuno alzò le serrande, pronto ad affrontare una nuova giornata che per i due Trambley non era ancora iniziata. «Rue va in vacanza» fu la seconda cosa le venne in mente. «Parte domani. Cioè, oggi.» Sorride, rivolgendo uno sguardo al cielo. «Va con dei compagni di scuola, in Costa Azzurra. Ha il tuo stesso gusto in fatto di compagnia, pare» azzardò, guardandolo di sottecchi. «Ha amici ricchi, voglio dire. O così si direbbe, a giudicare dal fatto che l'hanno invitata a stare in questa sorta di castello, visto che dovrà ospitare non so quanti adolescenti in tempesta ormonale. Non vorrei essere i loro genitori». Schioccò la lingua, portando alle labbra la sigaretta per aspirarne il fumo. «Sono contenta per lei, comunque. Temevo si sentisse sola, a scuola».
     
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    « Faites vos jeux. » La sua lingua madre gli torna estremamente utile, ogni qualvolta si ritrova a quel tavolo, camicia nera, pantaloni neri stretti, cravatta di un rosso decisamente scuro, con al petto la spilla dorata che riporta il suo nome. Zip, non Zeppelin. Claire, la responsabile della sala da gioco, gli ha detto più volte di quanto i giocatori del suo tavolo si fossero complimentati per la piacevole serata passata, grazie anche alla sua performance, con il suo impeccabile francese ad arrotolargli la lingua in quelle tre frasi in croce che li faceva sentire come James Bond. Coglioni e pure boccaloni. Aveva pensato ogni volta che Claire gli aveva riportato simili commenti, pensando a quanto fosse da dementi veri che una semplice scenetta potesse risultare essere quel di più a tal punto d'aiutare il locale a tenere incollate, qualche minuto in più, le persone al suo tavolo, così da spillare loro ancora più galeoni. Gli occhi chiari del ragazzo seguono le mani dei cinque giocatori che finiscono di puntare. Fa qualche rapido calcolo mentale, per tenere a mente i numeri, prima di dare un colpo di bacchetta alla roulette che prende a girare veloce. « Les jeux sont faits. » Decreta, con un largo sorriso in risposta all'occhiata piuttosto allusiva della signora Smith, ormai sua assidua cliente, nonché fonte continuo di lusinghe e appoggi vari ed eventuali. La pallina esce e prende a girare al contrario rispetto al moto della ruota, producendo quel piacevole suono che riesce a tenere con il fiato sospesi tutti i giocatori, in attesa di sapere la loro sorte. « Rien ne va plus. » Non sono ammesse più puntate perché il piccolo pallino, dalle tonalità chiare, decide di fermarsi. « Oh là là. 27, rouge, impair et passe. Cheval. » Annuncia, alzando gli occhi dalla roulette per puntarli verso la new entry del tavolo, un ragazzo che avrà poco o più di trent'anni, che continua a vincere in maniera decisamente bizzarra. E la cosa prende a puzzargli non poco. « Altra vincita per il signor Alstein. » Muove la stecca sopra il tavolo per avvicinare parte della vincita al ragazzo, raggruppando il resto verso il gruzzoletto del banco. « Estremamente fortunato, a tratti davvero impressionante. » Commenta con un mezzo sorriso che non presagisce niente di buono, mentre lancia un'occhiata alle sue spalle, dopo aver roteato la bacchetta per mandare un segnale a Claire. Riprende poi a gestire il tavolo, con un'espressione impenetrabile, fin quando avverte la nuvola di Chanel n°5 che preannuncia sempre l'arrivo della biondissima caposala e nota uno strato di goccioline che imperla la fronte del ragazzo. « Vado a cambiare le fiches, vogliate scusarmi per qualche istante. » Si congeda, lasciando a Claire il compito di fare il suo lavoro, cercando di indagare la discutibile abilità del signor Alstein. E' proprio mentre cerca di far ragionare il marchingegno incantato che dovrebbe dargli un giusto cambio fiche/galeone, che la voce di Andrea lo raggiunge da dietro. «Hai cenato?» Sospira, Zip, scuotendo appena la testa, senza nemmeno voltarsi. «Se vuoi ho un panino in più, te l'ho lasciato vicino alle tue cose» I lineamenti del suo volto si contraggono appena, mentre si sente di star vivendo un innegabile deja-vu, sintomo di ricordi di un passato ormai lontano, dove Andy si preoccupava di saperlo sempre perfettamente sfamato, persino quando il pasto principale della loro giornata era una scodella di cereali annaffiati dal latte. Lui non risponde, continuando a fare le sue cose e lei alla fine sfila via, pronta a tornare al lavoro. Come sono i rapporti con la mora? Decisamente tesi e fin troppo diplomatici per l'indole piuttosto irascibile del ragazzo. Lavorano nello stesso locale, si scontrano giusto il tempo per rivolgersi un semplice saluto e finisce lì. Non si sono mai davvero parlati dopo tutto. Sono semplicemente rimasti in un limbo di cose non dette che forse riesce ad indispettire ancora di più il giovane. Ma, se in fondo c'è una parte di lui che vorrebbe uscire fuori, per aggredirla come ha fatto molte altre volte, c'è la sua controparte che lo fa rimanere zitto, equilibrato, senza l'ombra di alcuna onda dirompente a minacciare quel fragile castello di sabbia eretto sul bagnasciuga. La controparte che gli fa dire che non gliene frega un cazzo, che possono condividere il sangue, è vero, ma che finisce lì. E' un capitolo ormai chiuso. Un capitolo talmente chiuso da portarlo a muoversi verso la porta sul retro, dopo qualche buon minuto da lei gli fa cenno di uscire a fumare, a turno ormai concluso. Si affaccenda al tavolo, costringendosi a tenersi impegnato, per metterci qualche attimo in più, per farla cuocere a fiamma lenta, nel domandarsi se il suo invito verrà accettato o rifiutato. E non lo fa perché colto da un'improvviso bisogno di attenzioni. No, lo fa perché Zip Tremblay, oltre ad essere un'anima estremamente iraconda, è sempre stata un'anima spezzata da una punta di sadismo. Come se quei minuti di attesa in più gli potessero concedere una forma di soddisfazione per quella sua arrogante e immatura voglia. Alla fine però, quando ha messo al proprio posto anche l'ultimo mazzo di carte, sente di non avere più scuse da raccontarsi per non uscire a fumare come tanto vuole. Così apre la porta, con la sigaretta già stretta tra le labbra, senza alcun cenno di saluto mentre la fiammella dell'accendino accende la punta bianca, andandone a bruciare la carta. Aspira, espira e una nuvola di fumo nasconde per qualche istante la sua espressione, in palese attesa che sia lei a prendere parola. O anche no, fai come ti pare. Nel frattempo le mani corrono al codino, per scioglierlo e dare un po' di sollievo alle radici dei capelli, torturate fino a quel momento dall'asfissiante stretta del laccio, con i riccioli che gli ricadono, inermi, sopra le orecchie. «Hai mangiato il panino?» Annuisce un paio di volte. « Anche se è Led quella a cui piace il prosciutto cotto con la sottiletta. » Un angolo delle labbra si alza appena verso l'alto, con la sigaretta che pende appena di lato. «Rue va in vacanza. Parte domani. Cioè, oggi. Va con dei compagni di scuola, in Costa Azzurra. Ha il tuo stesso gusto in fatto di compagnia, pare. » Alza un sopracciglio, a tradire la curiosità che lo coglie nell'udire quelle parole, suggerendole di proseguire nella spiegazione del concetto che sta formulando nella sua testa.
    «Ha amici ricchi, voglio dire. O così si direbbe, a giudicare dal fatto che l'hanno invitata a stare in questa sorta di castello, visto che dovrà ospitare non so quanti adolescenti in tempesta ormonale. Non vorrei essere i loro genitori» Oh, gli amici ricchi, certo. Un flash del Lockdown lo prende all'istante, quando ha rincontrato Andy al castello e subito dopo lei l'aveva trovato in compagnia della sua nuova cricca. Non che al tempo li ritenesse davvero suoi amici, ma quella puntualizzazione lo fa ridacchiare, scuotendo la testa. « Rue mi è sempre somigliata molto. » Troppo intelligente per farsi fottere dal mondo di merda nel quale è nata. « Avere un paio di conoscenze con i soldi non è mai un male. » Chiude poi il discorso, senza aggiungere che in tutta onestà i suoi amici più stretti non sono di certo dei ricconi stile Astra. Tutti eccetto Azura, chiaramente. «Sono contenta per lei, comunque. Temevo si sentisse sola, a scuola» Ed eccoli lì, Andy e Zip nel ruolo che li ha sempre contraddistinti fin da bambini: lei la mamma, lui il papà dei loro stessi fratelli. Un ponte, quello, che è sempre riuscito ad unirli, azzerando le loro differenze e annullando i loro caratteri forti, almeno per un po'. « E' una roccia, non avevo dubbi che sarebbe riuscita a sottomettere i bevi piscio tempo zero. » Ridacchia, con il fumo che esce dalla bocca unendosi al riso. « Ma a proposito di tempeste ormonali, il discorso dell'ape e del fiore gliel'hai già fatto? » Alza un sopracciglio, in un'espressione divertita, per quanto sia effettivamente serio nella sua richiesta. Non sarebbe nemmeno la prima volta che un pancione si aggira per i banchi di Hogwarts. « Sarebbe proprio nello stile dei Trambley incasinarsi con una cosa del genere. » Un cliché quello, in cui sono caduti anche Carl e Irina, che si sono ritrovati ad aspettare Andrea quando la donna aveva appena diciassette anni. Una volta Carl gli aveva raccontato, sotto i fumi dell'alcol, di come gli fosse apparso strano il vedere la pancia di Irina lievitarsi. "L'ho guardata bene, sbilanciandomi a destra e sinistra per una perizia più accurata e le ho detto 'Irì, forse dovresti smetterla di bere tutta quella birra, tra un po' mi superi, guarda qua che pancetta d'alcolizzata che hai messo su'. Venire a sapere che non fosse birra ma tua sorella è stato un trip, te lo giuro!" « Non può bruciarsi il futuro con la testa che si ritrova. » Sarebbe un vero peccato. Non lo dice, ma lascia che la sua espressione sia a parlare per lui, mentre aspira nuovamente dal filtro. Si poggia meglio con le spalle al muro, lasciando che un piede risalga, scivolando, lungo la parete di mattoncini scuri « Come sta andando a scuola? » Chiede poi, senza ombra di vergogna alcuna nella voce. L'interessarsi delle sorelle è sempre stato naturale per lui, persino per Andrea seppur non sia assolutamente pronto a rivelarlo, neanche sotto tortura. « Immagino che a breve avrà bisogno di fare un giretto a Diagon Alley per il rientro. » Una constatazione, quella, che fa ad alta voce più per sé che per la mora che sta di fronte a lui. Magari le scrivo per chiederle se vuole andarci assieme. Si annota mentalmente, prima di schiarirsi la voce e portare l'indice a grattarsi i capelli, poco sopra l'orecchio destro. « Posso essere utile in qualche modo..finanziariamente parlando? »


    Edited by anesthæsia¸ - 9/8/2020, 19:48
     
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