Another day of sun

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    « Quindi anche lei è Inghilterra, mh. » Kira l'ha guardato, piuttosto accigliata, con le gambe che ciondolano fuori dal bracciolo della poltroncina, tra le dita il cellulare di Dash, sul quale schermo scorre ogni tanto il pollice destro. « Ammetto che non capisco perché ancora tu sia qui e non ovunque lei sia. » Dash ha inarcato un sopracciglio nel sentire quelle parole, fingendo di mantenere l'attenzione su Quattrocchi che gli gironzolava attorno, festante quasi gli avesse appena detto che era l'ora della passeggiata fuori. « Certo che non capisci, Kira. Non avevo dubbi che lo potessi fare. » La sorella, di rimando, gli aveva dedicato un bel dito medio, senza troppi fronzoli o cerimonie. « Beh, se le cose stanno così vorrà dire che posso tranquillamente andare. Ops, ma tu guarda, come vola il tempo quando ci si diverte, eh? » Il ragazzo l'aveva guardata, sbattendo platealmente le palpebre, mai nascoste dagli occhiali in sua presenza. « Lo sai come ci siamo lasciati. E' stato a tratti davvero fastidioso per tutto quel tanto che ho..sentito, ma per il resto è stato tutto molto "calma piatta". No isterismi, no rabbia, no odio. Niente di niente. » E' un qualcosa al quale non è abituato, Dash, il concludere una storia in maniera tanto pacifica quanto agrodolce. Forse perché, in tutta onestà, lui non è mai stato davvero con qualcuno al di là di Victoire. Non si è mai impegnato veramente, non si è mai compromesso come quando stava con lei, decidendo persino di provare a mantenere viva la storia seppur li separassero miglia e miglia di distanza. « Mh, allora davvero, continuo a non capire perché ne parli ancora se non hai alcuna intenzione di rivederla. Cioè dai, che palle. » Chi ha detto questo? Ha pensato lui, decisamente infastidito dall'approccio super d'impatto della ragazza. Come se ne dovessi essere sorpreso, tra l'altro. Non sono mai stati due gran chiacchieroni loro due, preferendo probabilmente sempre più i fatti alle parole - soprattutto nei primi anni in cui la signora Poppins l'ha portata a casa, quando c'era qualcosa che frenava palesemente la sua lingua, tanto da saper comunicare solo grazie alla Legilimanzia. Eppure non è quella la prima volta in cui Kira esprimeva i suoi giudizi piuttosto taglienti, soprattutto parlando della sfera amorosa di Dash. « Okay, hai ragione, forse si è fatto davvero tardi. Devi andare a studiare per quel tuo esame, sbaglio? » Ha tagliato corto, il biondo, con la parvenza di un sorriso tra i filamenti dorati della barba, a farle capire che sì, è decisamente irritato, ma che gli passerà a breve. Da quel breve scambio di opinioni, sono passati alcuni giorni. Giorni in cui Dash ha rimuginato molto sopra la faccenda Weasley, diventando colui che mai avrebbe potuto immaginare di diventare, da una sfumatura caratteriale dal quale solitamente scappa quando si palesa nelle donne che ha di fronte. La pippa mentale. Ha cominciato a farsi domande, su domande, arrivando quasi ad interrogarsi sui massimi sistemi pur di smetterla di pensare su ciò che fosse meglio fare. Non voglio turbarla. Neanche Lizzie. Ricomparire dal nulla può essere uno shock. Magari si è rifatta già una vita. Magari si sente in dovere di parlarmi per cortesia ed educazione, preferendo stare da tutt'altra parte. E se magari ora mi odia? E' nel bel mezzo dell'ennesimo ciclone fatto di "magari" che si ricorda chi è veramente. Non l'uomo pippa mentale, ma Dash Meachum. Il solito irriverente, un po' arrogante ma pur sempre affascinante Dash. Per questo motivo, indossata una camicia dal collo alla coreana, con sotto un paio di pantaloni beige, si presenta all'appuntamento di cui Maggie, la sua assistente vocale personale, pre installata sul cellulare, gli ha ricordato per tutta la giornata. Sono le cinque e trenta del pomeriggio quando spinge la porta del Ghirigoro per farsi spazio con il bastone per entrarvi. Gli ha parlato Lilah della lettura di "La fille Atomique - Storie di una rivoluzione al femminile". "Sai? Si fermerà solo da me e alla Fiera dello Studente, come tappe qui in Inghilterra. E' la prima cosa davvero grossa che mi capita per le mani da quando sono proprietaria". Gli aveva detto la mora, con quel suo tono di voce conciliante e dolce, tanto da destare in lui un sorriso altrettanto compiaciuto, pieno d'orgoglio per la strada che Vicky aveva fatto, da qualche anno a questa parte. Sei ossigeno puro. Gliel'aveva detto più di una volta. Era per lui, non avvezzo ai complimenti e alle paroline dolci, il modo per ricordarle quanto fosse stata un qualcosa di totalmente improvviso, che gli era scoppiato tra le mani decisamente per caso. Ma ora eccola lì, inaspettata non più solo per lui, ma per tutta la platea di persone che ha radunato per ascoltarla decantare alcuni tratti del suo libro. Lui rimane in disparte, senza fari notare, tra uno scaffale e un altro, mentre salta di testa in testa per leggere l'approvazione e l'eccitazione che molti provano nel sentirla parlare. C'è un moto improvviso di orgoglio che lo scuote e lo costringe a piegare le labbra nel risentire, tra le parole che proclama con quel suo tono di voce soffice ma allo stesso tempo che ti rimane impresso, l'esatta efficacia che la sua scrittura ha sempre avuto. Un particolare, quello, che gliel'ha fatta apprezzare fin da subito, quando il suo nome era ancora quello di James Ridley. Annuisce, di tanto in tanto, prima che il le parole lascino il posto al firma copie. Fa una stima mentale di quanto persone siano presenti in sala, aspettando che una buona parte di esse si mettano in fila, prima di farlo anche lui. Diligentemente aspetta il suo torno, con la punta del bastone che ticchetta contro il pavimento, di tanto in tanto, a cadenzare il tempo che passa fin quando anche l'andarsene dell'ultima persona davanti a lui provoca uno spostamento di aria che l'avverte del suo turno. E' allora che
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    lascia scivolare la sua copia lungo il tavolo, sotto il suo viso, aiutandosi con la vista di una persona al suo fianco. Vicky ha la testa abbassata, già pronta a firmare il libro e un ciuffo di capelli color grano è scappato dal suo chignon, andando a dondolare di fronte ai suoi occhi. Si morde il labbro, con le labbra che si incurvano automaticamente verso l'alto. « La dedica puoi farla a Brooklyn. » Proclama con un tono di voce che, improvvisamente, si è arrochito, forse per il troppo carico d'aspettative che si sente addosso. Forse perché con quel nome ce lo chiamava solo e soltanto lei quando voleva fargli perdere le staffe. Il sorriso si apre ancora di più quando, sempre con l'aiuto del vicino, la vede alzare gli occhi per puntarli su di lui. Avevo dimenticato questa sfumatura. « Bentornata in patria, Weasley! » La saluta così, dopo due anni di lontananza, con la loro storia che era andata avanti, nonostante tutto, separatamente. « Ti direi che sono sorpreso di trovarmi ad un evento del genere, con un tuo libro tra le mani di tutti, ma te l'avevo già predetto, no? » Il 01 Novembre 2017, quando lui era dovuto fuggire ad Hogsmeade dopo che la "Voce della Radio" aveva fatto il suo nome durante il discorso pubblico tenuto in diretta nazionale, arrivato alle case di ogni magico del Regno Unito. Passeggiando per le stradine di Hogsmeade, lui le aveva detto che avrebbe scritto un libro sull'Odissea moderna che si era ritrovata a vivere sotto la Ribellione. Il tema è quello, la trama non esattamente, ma non ci sono andato troppo lontano, dai. « Credi che troverò la comparsata della Vipera almeno nei titoli di coda? » La solita smorfia sarcastica compare sulle labbra dipingendone un viso decisamente giovane. « Sai, ci tenevo tanto ad essere ricordato come il fantomatico direttore di Daily News, che licenzia James perché scrive sotto pseudonimo. »
     
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    « Dobbiamo rimandare le ultime date del tour. » Janet Swinson, la sua responsabile del reparto marketing le rivolge uno sguardo di vivido dispiacere mentre accarezza la copertina vellutata di una copia del suo libro che soggiace sulla sua scrivania. Vicky dal canto suo sembra lontana anni luce, avvolta in un pullover color mostarda, seduta in una poltroncina scomoda al piano superiore del Ghirigoro. Un appuntamento inaspettato che Victorie era sul punto di declinare. E lo avrebbe fatto se solo Janet non avesse insistito con così tanta urgenza. « Le vendite vanno bene - anzi! Benissimo. Questa faccenda dell'arresto ha risvegliato tanto interesse del pubblico generalista. » Le dita affusolate della bionda seguono i netti contorni delle lettere dorante in copertina. La fille Atomique - Storie di una rivoluzione al femminile, il suo manifesto, divenuto il target di un pubblico generalista. Non è così che sarebbero dovute andare le cose. I grandi occhioni da cerbiatta della giovane Weasley saettano in quelli dell'editrice, freddi e inespressivi. « E' una cosa positiva! Di questo passo passeremo alla prossima fase entro la fine dell'anno. Possiamo puntare al mercato europeo e nord-americano. Ho avuto una chiamata dal Canada. Il gruppo dei Gauthier vuole acquistarlo. Gli avvocati sono pronti a negoziare delle ottime percentuali. » Niente male. In fondo la mia casa editrice sta gioendo perché ora agli occhi dell'opinione pubblica tutto ciò che ho scritto ha meno valore di quanto ne aveva prima. In fondo è questo ciò che compriamo, questo quanto vogliamo: abbiamo una strana fascinazione nei confronti dell'irrilevante. Cerchiamo lo scandalo, il complotto, le fake news. Ci piace tutto ciò che non ha senso. « Mi stai ascoltando? Vic! » Janet inclina appena la testa per ricercare il suo sguardo quasi come le fosse sorto il dubbio in merito alla portata dell'attenzione della sua interlocutrice. Effettivamente Vic sembra lontana, e in un certo qual modo lo è davvero. Le parole della sua editrice le giungono come un eco giunto da lontano. « Si ti sto ascoltando. » La voce rauca, il tono seccato; è chiaro che non sta affrontando quelle nuove prospettive di carriera con lo stesso entusiasmo adoperato nella prima parte della sua carriera. Non più lontano di un anno prima Victoire Weasley era seduta nello stesso ufficio contenta di aver ricevuto l'approvazione per andare in stampa. Quella sera aveva stappato diverse bottiglie di champagne in compagnia di tutta la sua famiglia, gioendo per un nuovo capitolo. Ce l'avrebbe fatta; finalmente sarebbe stata in grado di dirsi completamente indipendente, in grado di offrire a sua figlia una vita piena, in una bella casa, magari a Londra, esattamente dove sarebbero dovute restare da sempre. « Qui ci sono le permesse per un seguito. Un libro inchiesta sulla vita di Byron Cooper. Farebbe i milioni allo stato attuale! Considerato poi che il processo durerà sicuramente diverso tempo.. » Sul serio? Victoire si morse il labbro inferiore, prendendo a giocherellare con le pagine della copia del libro presente di fronte a sé. « ..se riusciamo a metterlo su nella finestra di tempo del processo, si venderà da solo. » Un sorriso amaro quello di Vicky, mentre annuisce tra se e se. « Non m'interessa. » Taglia corto incrociando le braccia al petto mentre getta lo sguardo fuori dalla finestra. E' un pomeriggio uggioso; la pioggia non ha dato un attimo di tregua alla Capitale per tutta la settimana. « Come prego? » « Ce l'ho già un lavoro. Non m'interessa. » Ripete con altrettanta svogliatezza scoccando la lingua contro il palato. Dondola la gamba accavallata mentre tamburella con impazienza le unghie smaltate di nero sul bracciolo della poltroncina. « Si ma questo è un caso editoriale. Non ti sto proponendo una serie di articoli. Ti sto offrendo la possibilità di continuare a fare ciò che sai fare meglio. » Vuole dire che come gionalista faccio schifo. C'era d'altronde una grossa differenza tra lo scrivere libri d'inchiesta e alimentare la macchina dell'informazione con articoli su base quotidiana. « Jen, senza offesa ma mi hai cancellato cinque date della promozione.. » « Rimandate.. » « Cazzo Jen lo sappiamo entrambe che io quelle date non le vedrò mai più! » Era una questione di principio. Vicky non aveva mai sentito il bisogno di partecipare a tutti quei gruppi di lettura, o alle interviste a cui era stata sottoposta. Non aveva bisogno di parlare del libro, spiegare il motivo per cui lo aveva scritto. E' tutto là. Non ho bisogno di biglietti da visita. Tutto ciò che dovevo dire l'ho scritto. Ed effettivamente, a parole, coi gesti, nella sua vita quotidiana, la giovane Weasley non era mai brava quanto lo era quando prendeva una penna in mano. Quella era la sua arma, e quello era l'unico modo in cui riusciva a esprimersi al cento per cento. Persino quando guidava l'Eco della Rivolta, i suoi interventi erano attentamente scritti e pensati. Aveva bisogno di tempo e di un costante supporto cartaceo. Non sono altrettanto brava a presentarmi in tempo reale. Non so pormi con la gente, nel mondo civile. Appaio o inopportuna, o snob. O entrambe le cose contemporaneamente. « Alla luce di ciò che hai fatto l'altra sera non sei più nella condizione di trattare la tua posizione. » Di fronte a quella risposta, la bionda si alzò di scatto in piedi, farfugliando una trafila di parole indicibili, afferrando la propria borsa in un raptus di rabbia e abbandonando di colpo l'ufficio in cima al palazzo di Diagon Alley. Sbattutasi la porta della stanza alle spalle, provò un senso di inadeguatezza scoppiando a piangere. Scivolò con le spalle contro il muro e restò lì per diverso tempo prima di tornare in strada.
    La pioggia colpiva l'asfalto in maniera cadenzata quando scostò il portone adiacente alla libreria. Poche erano le persone che correvano a Diagon Alley da una parte e dall'altra con diverse buste colme di compere. I primi regali di Natale, con molta probabilità. Quest'anno si inizia presto. D'altronde, le prime luci natalizie avevano già iniziato a imperlare tutta la città già dall'inizio di Novembre, mentre la prima foga degli acquisti stava già iniziando a coinvolgere clienti di ogni età ed estrazione sociale. Incollò istintivamente il naso contro la vetrata principale della libreria deserta. Era lì che aveva iniziato il tour di promozione del libro; lì era iniziato tutto. Ed è sempre qui che sta finendo. Il campanello attaccato alla porta suonò, mentre la giovane Weasley calcò un passo alla volta le assi laccate del negozio, guardandosi attorno con un senso di estraniamento. Al di fuori di lei, un ragazzo sedeva a un tavolino posto al secondo piano. Una signora di mezz'età sfogliava un libro per bambini accanto agli espositori delle ultime novità. Vicky raggiunse istintivamente la saletta interna della libreria, là dove si era tenuto il suo primo incontro con i lettori. In quell'occasione aveva firmato diverse copie di qualche ammiratore; persino alcuni degli ex ribelli si erano presentati per acquistare un volume da farsi firmare. Prese dallo scaffale uno dei libri, andando a sedersi su una delle poltroncine nella saletta. Si sedette lasciando cadere la borsa a terra, e prese a carezzare le pagine ruvide. "A mia nonna, la donna più ribelle che io conosca" diceva la dedica iniziale. Di scatto volse lo sguardo in fondo alla sala, verso la scrivani a cui era stata seduta ai tempi a firmare decine di copia sorridendo e stringendo le mani educatamente. « La dedica puoi farla a Brooklyn. » Brooklyn. All'inaugurazione si erano comportati da due bravi colleghi pronti a collaborare per un bene superiore. Vicky aveva sorriso al suo fianco facendogli gli stessi complimenti che avrebbe fatto a un qualunque altro compagno di viaggio. « Ti direi che sono sorpreso di trovarmi ad un evento del genere, con un tuo libro tra le mani di tutti, ma te l'avevo già predetto, no? » Vicky aveva firmato il suo volume con la stessa dedizione che aveva utilizzato per tutti gli altri, impegnandosi a concedergli una dedica speciale. Non sa se ci è riuscita. A dirla tutta non ricorda neanche cosa ha scritto. Probabilmente era una delle solite battute spiritose del cazzo. Resta lì ad accarezzare ancora una volta la copertina vellutata, sbattendo il piede nervosamente a terra. Infine afferra il proprio cellulare; seppure sia registrato nella sua rubrica, conosce il suo numero a memoria, quindi lo compone lasciando squillare diverse volte. « Ehi.. sei in ufficio? » Il nostro cazzo di ufficio che sta andando a rotoli perché ci hanno arrestato l'ex Governatore dei ribelli? « Ti va di prenderci un caffè? No.. non lì. Non mi va di venire a Cherry Island. » Ci vorrebb un battito di ciglia per smaterializzarsi a Fort Augustus, eppure, non ne ha voglia. Forse ha bisogno del ritmo caotico della città, o forse le sta semplicemente piacendo quell'atmosfera piovosa di Londra. O forse è solo immobile, bloccata. Lì inchiodata su quella poltrona. « Sono al Ghirigoro. Ho bisogno di parlare con qualcuno. » Non qualcuno, non uno qualunque, ma questo decide di tenerselo per sé. Non sarebbe giusto altrimenti. [...]
    Non sa per quanto tempo è rimasta lì, ferma, immobile, il mento poggiato sulle nocche e un'espressione spiritata. Una tazza di tè ormai fredda sul tavolino accanto a sé. Qualcuno deve averla data per pazza. Inerme nello stesso punto da chissà quanto, sembrava non avere la voglia di andare da nessuna parte. Quando infine i passi di Dash vennero annunciati dal ticchettio famigliare del suo bastone, si voltò quanto bastasse per osservarlo, prima di puntare gli occhi sulla poltroncina di fronte alla sua permettendogli di trovarne la collocazione con più facilità. Anche dopo tutto quel tempo, Vicky continuava a conoscere le sue abitudini o quanto meno le sue necessità. Provava sempre un certo senso di invasione, ogni qual volta saltasse nella sua testa anche solo per poco per riuscire a collocare gli oggetti e le persone nello spazio. « Scusa se ti ho chiamato così di punto in bianco. So che siamo pieni di lavoro e anche che la situazione non è delle più rosee.. » Probabilmente è anche colpa mia. « Non sapevo cosa fare. » Disse scoccando la lingua contro il palato, mentre fa cenno alla ragazza del piccolo baretto di portare loro due caffè. « Ho avuto un colloquio di merda con la mia editor. Mi hanno cancellato diverse date. Dice che non c'è più bisogno della mia persona per promuovere il libro. D'altronde ora hanno tutta la pubblicità del mondo con Byron dietro le sbarre. » Si massaggia le tempie per poi sospirare scuotendo la testa. « Sono fuori.. mi hanno tagliata fuori. A meno che non decida di scrivere un libro inchiesta su di lui - Cristo santo! non si regolano per niente. Jen pensa solo ai cazzo di soldi! » Compie una leggera pausa tempo in cui solleva lo sguardo nella sua direzione. « Sto iniziando a capire che cosa si provava a lavorare per il Daily Prophet non sotto copertura. » Metterci la faccia è sempre una merda. Un momento sei sulla cresta dell'onda, il momento dopo.. sei fuori. « Praticamente dovrei scrivere roba in base agli indici di gradimento. Senza contare che tra le righe, in maniera nemmeno poi troppo sottile, mi è stato detto che devo riabilitare la mia immagine dopo l'altra sera. » Pausa. « In pratica sono spacciata. » Di nuovo. Ancora una volta sono riuscita a rovinare tutto. « E ovviamente del mio libro ci fanno quello che vogliono.. finché mi pagano rispettano le clausole contrattuali. » Un momento stai su, il prossimo, non esisti più. « Non so cosa fare. Cioè - non che ci sia poi molto da fare però.. mi sembra tutto così.. fuori. »


     
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