She had a marvelous time ruining everything

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    Gli occhi nocciola seguono distrattamente il passaggio di Amy e Brittany, che le rivolgono un saluto spicciolo, prima di lasciare il piccolo parcheggio privato dello stadio di Quidditch. Quando la sorpassano le sente ridacchiare in lontananza, e per un istante, uno soltanto, Malia si convince che stiano parlando di lei. Non c'è ragione per cui dovrebbero farlo, eppure le risate sguaiate e acute delle due coetanee le infondono un profondo senso di fastidio addosso. Non è mai riuscita ad instaurare un particolare legame con il gruppo delle cheerleader: ha tentato più e più volte, nel corso dell'anno passato, di condividere con loro qualcosa in più rispetto agli spogliatoi femminili, senza mai avere successo. Tra loro sembra esserci un muro d'incomunicabilità che, se all'inizio sembrava non toccarla minimamente, negli ultimi tempi riesce quasi a provocarle una punta di fastidio. È più facile parlare con June.
    Sbuffa, improvvisamente colpita dalla leggera brezza serale che preannuncia l'avvicinarsi dell'autunno, e che la obbliga a stringersi nella propria giacca di jeans leggera. Ferma sul posto, Malia rivolge un'occhiata rapida alle porte scorrevoli dell'edificio, che si aprono per lasciar passare un gruppetto di persone, prima di controllare l'orario sullo schermo del proprio cellulare. L'allenamento della squadra si è concluso già da un'ora abbondante, e gli ultimi giocatori rimasti sono in procinto di lasciare la struttura. Non più di una decina di minuti fa, Malia stava attraversando il parcheggio, diretta verso la solita Passaporta per Londra, quando il suo sguardo è caduto, quasi per caso, sulla sagoma di una moto solitaria, a lei ben nota, parcheggiata in un angolo. Ed è con la stessa, apparente, casualità che i suoi piedi hanno deviato direzione per poterla raggiungere, e sostare lì accanto. E ora aspetta, in silenzio, col bacino poggiato delicatamente alla carrozzeria lucida della motocicletta, attenta a non graffiarla, mentre la penombra scende nel parcheggio e le ultime figure, esauste dopo una giornata di lavoro, lasciano quello spazio. Di tanto in tanto avverte l'impulso di allontanarsi il più in fretta possibile, lasciar perdere. Si domanda se non sia un atto di sottile prepotenza, quello di attendere James proprio lì, ferma davanti alla sua moto, quasi a non volergli dare una via d'uscita facile. Eppure resta, trattenuta forse dalla propria testardaggine, o piuttosto dal desiderio di rivolgergli, dopo una settimana di silenzio, anche solo una parola fugace. Ha provato più volte ad avvicinarlo, dopo quella sera, senza mai trovare l'occasione adatta, tra allenamenti e terzi incomodi sempre presenti nelle vicinanze.
    E dunque eccola lì, strategica e determinata, non tanto ad avere l'ultima parola, quanto più, semplicemente, a parlare: senza piangere né frignare, questa volta, ma dire le cose come stanno. La vicenda di Dave (o del presunto tale) e la conseguente reazione di James le hanno dato da pensare a sufficienza nei giorni precedenti, fino a giungere a quella conclusione. Fanculo. O la va o la spacca. Annuisce con fermezza, tra sé e sé, quasi a volersene convincere. ...Probabilmente la spacca, ma dettagli.
    « Malia, tutto okay? » Individua la figura di Ted, lì di passaggio, rivolgerle un'occhiata curiosa. « Ohi Ted, sì. Ma James che fine ha fatto? » Lancia un'occhiata in direzione delle porte dell'edificio, immobili. È caduto nello scarico della doccia? « A Richard servivano un paio di firme del capitano per dei documenti. Mi sa che non ti conviene aspettarlo - ci metterà un po'. » E in effetti un po' di tempo passa prima che il maggiore dei Potter faccia capolino da quelle porte scorrevoli: e per la precisione altri tre quarti d'ora, che Malia trascorre tentando di distrarsi a guardare video di cadute divertenti dalle scope su Wiztagram. La luce del giorno, nel frattempo, ha abbandonato il parcheggio, lasciando spazio a quella artificiale dei lampioni che circondano lo spazio aperto, che iniziano ad accendersi ad uno ad uno. L'ennesima occhiata sullo schermo del cellulare le conferma di aver perso l'ultima Passaporta per Londra, e che i camini chiuderanno nel giro di poco. Perfetto. Questa notte mettiamo su una tenda nello stadio di Falmouth, Mals.
    Quando, finalmente, vede una figura avvicinarsi nella penombra, si affretta a scendere dalla sella della moto, sulla quale si era appollaiata per comodità, in quel lasso di tempo che le è parso infinito. Ad ogni passo di James, le pare di avvertire sempre di più una particolare morsa allo stomaco. Al ragazzo rivolge un sorriso debole, quasi timido, che per nulla si addice alla sua indole sempre tanto espansiva e diretta. « Lo so che non vuoi vedermi » lo anticipa sui tempi, non appena è abbastanza vicino da riconoscerla sotto la luce giallastra del lampione. « E che non mi vuoi nemmeno parlare. » Si morde il labbro inferiore, guardandolo con un'aria quasi supplicante. Da quando sono diventati così? Da quando il loro rapporto, nato come la cosa più naturale e istintiva del mondo, si è trasformato in qualcosa di difficile? Così serio e pesante, ad un tratto? « Ma me li daresti cinque minuti? » Studia la sua reazione, attenta. Cinque minuti per ascoltarmi, niente di più. Malia comincia a pensare che la colpa di quella deriva sia proprio loro: che per via degli innumerevoli scherzi, battute e della leggerezza, hanno messo in secondo piano perfino quei momenti di serietà che sarebbero stati necessari. E adesso è esploso, tutto insieme. « Non ti ho detto tutto quello che avrei dovuto, l'altra sera » dichiara, emettendo un sospiro leggero. E forse per te sarà stato anche abbastanza, ma per me non lo è, affatto. « E poi ho anche ripensato alle cose che mi hai detto tu, e... » La scarpa da ginnastica calcia un paio di pietre sul terriccio chiaro, mentre la mora infila le mani nelle tasche della giacca di jeans e sospira con una certa enfasi, lasciando quella frase a metà. Solleva il capo, puntando gli occhi nelle iridi scure di lui e inarcando le sopracciglia. « Per favore? » Solo cinque minuti.



    Edited by ÄPESHIT - 11/9/2020, 20:02
     
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    I primi giorni di allenamento non sono stati dei migliori; paradossalmente, tornare al lavoro era stato peggio di quanto si aspettasse. James Sirius Potter aveva sempre fatto di tutto per tenere insieme i pezzi della propria vita; sembrava essere destinato a dividersi tra brandelli di vita che semplicemente non volevano incastrarsi. Ultimamente era stato peggio del solito. Per la seconda volta di fila, il suo compleanno era risultato terreno fertile per dissapori e vecchie rancori. Boh.. speravo che questa volta andasse diversamente; questo quanto aveva detto a Ted negli spogliatoi una volta rimasti da soli dopo l'uscita di scena del resto della squadra. Era tutto strano; tra le condizioni cagionevoli di Fred e sempre più tensioni, i Falcons sembravano ormai una bomba a orologeria. Aveva salutato l'amico dopo aver parlato del più e del meno, tentando di tastare le acque su qualche argomento rimasto in sospeso. Di Joy, Ted non voleva parlare, tanto meno voleva condividere i motivi per cui le cose si erano messe così male tra di loro. Se James conoscesse anche solo un po' meno la situazione del giovane Lupin, probabilmente avrebbe insistito in merito, ma in quella situazione, l'istinto gli disse che era meglio non scavare in un pozzo senza fondo. « Tu vai. Mi hanno chiamato ai piani alti. Devo ancora firmare il nuovo contratto. » Il rinnovo di James come capitano per la prossima stagione, non era stato certo una sorpresa; in quel momento era forse il più solido della squadra. Probabilmente era anche il più solido nella vita - il meno problematico, avrebbe detto qualcosa, eppure, nonostante questo, ultimamente il maggiore dei Potter sembrava tutto fuorché solido. Sembrava aver perso la capacità di abbandonarsi alla leggerezza, e aveva meno tolleranza che mai verso qualunque cosa andasse anche di poco fuori dagli schemi. Di quei tempi, di cose che andavano secondo i suoi piani, poi, ce ne erano troppe. Era già da un po' che tutto sembrava andare sotto sopra, obbligandolo a rimettersi in discussione anche quando, avrebbe preferito semplicemente bersi una birra e andare a letto. James Potter non era solito mettersi in discussione - non nel modo in cui era costretto a farlo ultimamente. Il suo vissuto era stato piuttosto lineare per un po'; finché non lo è stato più.
    Fu una riunione piuttosto stancante quella con i manager. Le pressioni iniziavano a sentirsi anche dall'altro. Tutti avevano percepito all'interno del club che la squadra mancava di sintonia. « Beh, forse se volevate meno drammi, avreste dovuto assumere gente che non parte da una base così personale. » Cazzo; andare al lavoro o presentarmi a casa della nonna è diventato praticamente la stessa cosa. Non gli era dispiaciuto inizialmente; era stato forse il più felice a sapere prima di Malia e poi di Fred; l'unico con cui aveva decisamente più problemi era Rudy. A tutto ciò si aggiungeva June che ora sarebbe diventata parte della famiglia allargata per vie traverse. Di certo al di là dei legami famigliari, i problemi erano più complessi, e non riguardavano solo ed esclusivamente legami di sangue. « Ma tu troverai una soluzione vero? Sei una specie di capobranco no? » Quella non sembrava un'ipotesi; più uno statement. James non si era mai sentito un capobranco; la sua famiglia, per quanto unita, era fatta di tante sensibilità differenti. Anche il suo gruppo allargato di amici viaggiava pressoché nella stessa direzione. Il più delle volte, per superare la tempesta illesi in diatribe tra quel tipo di personalità, bisognava solo mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e attendere. Attendere che la tempesta passi. Annuì quindi, il giovane Potter, seppur non particolarmente convinto e affondante le mani nelle tasche, si congedò senza aggiungere altro, dirigendosi verso il parcheggio della grande struttura di Falmouth. Il tempo stava lentamente iniziando a cambiare, persino al Sud. Le giornate si accorciavano e una frescura sempre più invadente, stava iniziando a spazzare anche gli ultimi sprazzi dell'atmosfera estiva.
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    A testa bassa, seguì il percorso verso la propria moto, accorgendosi di essere in compagnia solo quando, estratte le chiave, alzò lo sguardo sulla sagoma dei veicolo. « Lo so che non vuoi vedermi. E che non mi vuoi nemmeno parlare. » Non ci voleva, asserisce mentalmente mentre sospira, superando Malia e posando il borsone sulla sella della moto. « Perché mai? L'allenamento è andato abbastanza bene. » Abbastanza bene per una squadra dimezzata che rischia di finire in fondo alla classifica. Fare finta di niente era la cosa migliore in quel momento, così James decise di buttarla sul lavoro. Un'imposizione quella che aveva preso sin da quando si era sbattuto la porta di casa di Malia e Hugo. Era la cosa migliore. I Falcons non potevano permettersi di perdere altri giocatori, né potevano rischiare altre modifiche. Bisognava lavorare con ciò che avevano e farlo funzionare. « Ma me li daresti cinque minuti? » Sistema il suo borsone, controllando lo stato della moto, senza dare troppo peso alle parole di lei. « Non ti ho detto tutto quello che avrei dovuto, l'altra sera. E poi ho anche ripensato alle cose che mi hai detto tu, e... » E' ancora arrabbiato, e al solo pensiero dell'altra sera - la sera del rave - ogni suo briciolo di autocontrollo sembra sgretolarsi. « Che sorpresa.. » Commenta sottovoce, cercando di armeggiare meglio la borsa prima di voltarsi verso la mora. La guarda dall'alto verso il basso e sospira. « Per favore? » Deve essere bellissimo essere una donna vero? Sbatti le palpebre da cerbiatta e improvvisamente è tutto apposto. E James sa di essere particolarmente sensibile a quel tipo di atteggiamenti - solo che non sopporta il fatto che Malia deve fare sempre così. « Non mi hai detto tutto quello che avresti dovuto? » Incrocia le braccia al petto e la osserva con una pattina di perplessità. « A me sembra che hai detto abbastanza. Hai chiesto scusa - per cosa non mi è chiaro, e secondo me non è chiaro nemmeno a te - ci vuoi bene, siamo la tua famiglia, taralucci e vino e hasta la vista. » Si stringe nelle spalle con più tranquillità. Ha avuto il tempo di sbollire, e seppure quella storia di lei e di Charlie ancora non gli va giù, la discussione avuta con Richard, ha messo ulteriormente in prospettiva una cosa che già James in prima persona stava metabolizzando da parecchio tempo: bisognava mettere le giuste distanze, non solo per la propria sanità mentale, ma anche e soprattutto per la squadra. « Cerchiamo di non peggiorare la situazione. I manager ci stanno addosso.. in due anni questa squadra si è ridotta allo schifo. Onestamente, che altro c'è da dirsi? »


     
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    La reazione immediata di James, freddo e distaccato, non la colpisce. Testardo almeno quanto lei, il maggiore dei Potter di certo non si sarebbe lasciato ammorbidire tanto facilmente da un'espressione da cucciolo bastonato. « Non mi hai detto tutto quello che avresti dovuto? A me sembra che hai detto abbastanza. Hai chiesto scusa - per cosa non mi è chiaro, e secondo me non è chiaro nemmeno a te - ci vuoi bene, siamo la tua famiglia, taralucci e vino e hasta la vista. » Aggrotta la fronte, inclinando leggermente il capo. Tarallucci e vino? Nemmeno questo la sorprende, in fin dei conti: quello che James ha inteso dalle sue parole, appena qualche sera prima, è stato chiaro fin da subito - così come lo è stata la sua reazione, che non è passata inosservata dalla mora. « Cerchiamo di non peggiorare la situazione. I manager ci stanno addosso.. in due anni questa squadra si è ridotta allo schifo. Onestamente, che altro c'è da dirsi? » Annuisce di rimando, gli occhi nocciola che si scostano da quelli di lui al pavimento. Sospira, stringendosi nelle spalle, colta da un improvviso brivido di freddo, e infila le mani nelle tasche della felpa scura. « Hai ragione. » Con la punta della scarpa da ginnastica si ritrova a disegnare, quasi distrattamente, sul terriccio scuro. « Lo so che siamo messi male, e l'ultima cosa che volevo fare era peggiorare le cose, credimi. » Insomma, ci mancava solo questa. A partire dal suo ingresso, il clima all'interno della squadra non è mai stato dei migliori, e non sempre unicamente per colpa della mora: tuttavia le riesce difficile non sentirsi responsabile delle sorti avverse di quel gruppo. « Però, visto che la situazione è questa, tanto vale mettere in chiaro le cose. » Incrocia le braccia al petto e punta gli occhi in quelli scuri di lui, con aria risoluta. « Ho fatto un po' di cavolate quest'anno. Con la squadra, ma anche con te. Con un sacco di cose. » Si stringe nelle spalle, lasciandosi andare ad un sospiro amaro. « Però, ogni volta che combinavo qualcosa, o avevo da lamentarmi, tu c'eri sempre; per farmi stare meglio e farmi capire dove sbagliavo - con una pazienza che a volte nemmeno mi meritavo. » Perfino quando facevo partire le scenate di gelosia su Sam e June, mi stavi a sentire. Lo guarda, avvertendo quasi un improvviso moto di fastidio per se stessa, e per il proprio modo di essere: per essere sempre la solita superficiale, poco attenta ai dettagli, incapace di cogliere i segnali al momento opportuno. Ecco, come ti ho “spolpato”. A poco a poco, e senza rendermene conto. Non è vero? « Forse mi ci sono abituata troppo, a questa cosa. Non ho mai pensato che fosse dovuto, né volevo darti per scontato, però... » Però alla fine le intenzioni contano poco, no? « E poi alla conferenza tu hai detto quelle cose... E avevi ragione. Sono stata una bambina. Però poi è diventato tutto strano all'improvviso, non so nemmeno io come. E ho pensato di averti stancato, e poi, boh... » Sbuffa, in evidente difficoltà. È complicato provare a spiegare ad alta voce qualcosa che ha confuso anche lei dal primo momento, una situazione che non è riuscita a gestire. Quella degli ultimi mesi con James è stata un'escalation di eventi e situazioni che non ha saputo gestire, dall'inizio alla fine.
    Ha come l'impressione di non essere in grado di trovare le parole adatte, quelle che possano fargli intendere esattamente cosa sente. E, in fondo, se prova a ridurre in un pensiero di senso compiuto quel groviglio di emozioni, quel che viene fuori è un concetto semplice: « Mi sei mancato in questi mesi, James. » Questo è il punto. Ferma sul proprio posto, studia la sua espressione con curiosità, come a voler cercare chissà quale indizio nella sua reazione. « Mi è mancato stare sul tuo divano a guardare film del cazzo, e mangiare schifezze, e inventarmi pretesti idioti per passare del tempo insieme. » "Ho dimenticato le chiavi, Hugo non è a casa, mi fai compagnia?" Quando, in assenza di motivazioni valide, se ne usciva con certe scuse palesemente campate in aria, aveva sempre un po' la sensazione che il ragazzo facesse semplicemente finta di non accorgersene. « Mi sono mancati i tuoi messaggi, e perfino quel dannato album delle figurine dei giocatori di Quidditch. » Un sorriso mesto appare sulle labbra piene, mentre soffia una mezza risata dalle narici. Quell'album, a cui mancano ancora un bel po' di figurine, l'hanno acquistato all'inizio della stagione, con l'impegno di unire le forze per riuscire a finirlo, almeno per una volta. Malia si chiede se sia rimasto ancora lì, sul tavolino da caffè del salotto di James, pronto ad accogliere una nuova aggiunta. E anche gli scherzi telefonici a Jenna, tutte le ore passate a parlare del nulla, tutte le volte in cui speravo succedesse qualcosa. Un'eventualità che anelava e da cui fuggiva al contempo, Malia, quasi divisa tra i propri desideri e tutti i timori legati ad un passo del genere. James non era un ragazzo qualunque, con cui avrebbe potuto troncare i rapporti facilmente, nel caso in cui le cose fossero andate male: ormai lavoravano insieme, ed erano quasi di famiglia. Il pensiero di rovinare le cose su più fronti aveva frenato in più di un'occasione la sua spontaneità, lasciando la loro relazione sospesa in un'indeterminatezza quasi snervante. Ma alla fine, cautela o no, le cose hanno comunque trovato il modo di andare per il peggio. Sbuffa, pesantemente. In mezzo a loro, guidata dall'impazienza di quel discorso, la scarpa di Malia ha scavato una specie di piccolo fosso sul terreno: una linea spessa che ora li divide. « Io lo so che ho fatto una cazzata. Che sono un'idiota e che ti ho rotto il cazzo. » Se qualcosa ha compreso dalle parole di James, è che fare finta di nulla non è giovato a nessuno dei due. Quasi senza pensarci, compie un passo verso di lui, venendo immediatamente inondata dal profumo deciso della sua colonia. « E probabilmente ti meriti una persona diversa, più matura. Però l'altro giorno non sono stata evidentemente chiara nel farti capire quanto ci tengo. E che in questi mesi qualcosa c'era, almeno per quanto mi riguarda. E c'è ancora. » E nel parlare, accenna allo spazio che li divide, a rendere palese ciò a cui si sta riferendo. E io che pensavo di nascondermi dietro ad un dito, e invece devo stare qui a ribadire l'evidenza. « E non sono qui a pretendere nulla, perché capisco che c'è la squadra di mezzo, i manager, e tutto quanto - e so anche che tu sei preso da altre situazioni, e non voglio mettermi in mezzo; però sentivo di doverti dire queste cose, perché quando non dico le cose, finisce che poi va solo peggio. E perché tu l'altro giorno hai detto che mi sono stancata di te e dovevo farti sapere che questo non è vero, proprio questo non lo è. » E pronunciate queste parole, stringe le spalle al petto, sentendosi improvvisamente più leggera.
     
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    A tratti James si chiedeva come fosse possibile che Malia avesse la capacità di essere così cieca. Probabilmente determinate cose erano destinate ad andare in quella direzione. Che James avesse una specie di soft spot per la mora, lo avevano capito anche i muri. Più e più volte, in molti avevano fatto battute in merito, ma nonostante ciò, il giovane Potter aveva sempre fatto finta di nulla. Non certo perché temesse che l'amicizia con Malia finisse - quello non lo considerava propriamente possibile. Una parte di sé però, aveva assistito abbastanza a lungo ai comportamenti della giovane Stone per sapere che beccarsi un palo in piena fronte era più che possibile. Il suo orgoglio maschile lo avrebbe sopportato? Probabilmente no. Si era leccato le ferite diverse volte; come quando l'aveva vista uscire con un perfetto coglione durante gli anni di scuola. Poi l'aveva vista uscire dall'inferno del Lockdown insieme a un suo compagno di squadra. E infine, quando quella storia era finita, la giovane Stone aveva semplicemente deciso di rispedire al mittente ogni sua attenzione, rilegandola a una dimensione prettamente amichevole. Pensare che Malia fosse semplicemente stupida sarebbe stato davvero semplice; gli sarebbe piaciuto avere una così bassa considerazione di lei. Ma quella era la ragazza che aveva fatto la sua parte nei ribelli, che era sopravvissuta al Lockdown. Era una che non si arrendeva davanti a nulla e che soprattutto sapeva cavarsela letteralmente in qualunque situazione ingegnandosi in ogni modo possibile per ottenere ciò che desiderava. Malia non era stupida; preferiva semplicemente non vedere, ignorare, vivere sulla superficie. Forse sfuggiva a ciò che semplicemente era troppo scomodo. Certo, anche James si era fatto molti scrupoli; il fatto che i due si fossero ritrovati nella stessa squadra non aveva certo reso la situazione semplice. Alla regola de nel palazzo e nell'ufficio però, il giovane Potter era pronto a non crederci più di tanto. Erano amici da troppo tempo per non riuscire a restare pacifici qualora le cose fossero andate in una direzione sbagliata. Tu però hai preferito troncare ogni caso, cazzo. E James, piuttosto che ammettere di essere stato friendzonato a più riprese, preferiva subire un'improvvisa castrazione. Psicologicamente, non c'era poi molta differenza. « [...] Forse mi ci sono abituata troppo, a questa cosa. Non ho mai pensato che fosse dovuto, né volevo darti per scontato, però... » Annuisce spazientito, James. In quel momento non ha voglia di ascoltarla. Non vuole vederla. È stanco delle continue scuse di Malia Stone. « E poi alla conferenza tu hai detto quelle cose... E avevi ragione. Sono stata una bambina. Però poi è diventato tutto strano all'improvviso, non so nemmeno io come. E ho pensato di averti stancato, e poi, boh... » Si. Mi hai stancato veramente. Era vero. Con Malia era tutto bello, semplice, spontaneo, finché non diventava sfiancate. In quel momento si sentiva così; stanco di dover parlare. Riaffrontare gli stessi problemi a cui era chiaro ci fosse un solo rimedio: il tempo e forse un po' di distanza. Forse non c'è nemmeno una soluzione, adesso. « Mi sei mancato in questi mesi, James. Mi è mancato stare sul tuo divano a guardare film del cazzo, e mangiare schifezze, e inventarmi pretesti idioti per passare del tempo insieme. Mi sono mancati i tuoi messaggi, e perfino quel dannato album delle figurine dei giocatori di Quidditch. » Facevano tante cose insieme, Malia e James, e dire che non le fosse mancata a sua volta, era una bugia cronica. La giovane Stone era sempre stata parte integrante della sua vita, sin da quando era adolescente. Un giorno Malia non c'era, e il giorno dopo era comparsa, così dal nulla, a occupare un posto a tavola a casa di sua nonna, tra i suoi cugini più piccoli. Per molto tempo il maggiore di casa Potter non l'aveva visto come altro se non una ragazzina un po' svampita. Faceva tutti quei giochi scemi ancora un po' infantili assieme ad Albus e Fred, mentre James dal canto suo aveva ormai altri grilli per la testa. Poi le cose erano cambiante e la differenza d'età coi fratelli e cugini più piccoli si era via via fatta sempre meno sentire. Malia non era più una bambina; e lui, riusciva a vederla sempre meno come la tredicenne impacciata con cui Albus e gli altri perdevano le loro giornate a sparlare di compagni scemi e drammi da dirette radiofoniche del primo pomeriggio. Il problema di James e Malia è che non si trovavano mai. Probabilmente aveva iniziato a vederla davvero una volta tornato tra le fila dei ribelli. Erano entrambi cambiati ai tempi. Lei portava negli occhi gli orrori del Lockdown e lui si portava addosso l'abisso di assenza e disperazione che si respirava fuori dalle mura di Inverness. Una chiacchierata, quella di Malia e James a Ness Island come tante altre, che tuttavia portava con sé tanti non detti, tanta leggerezza nel tentare di lasciarsi alle spalle il grigio che li scuoteva riempiendoli di timore e incertezze. A te però quello non è mancato. Ti manca solo la spalla che ti faccia ridere. Ti manca scherzare e ridere fino a crepapelle. E anche a James mancava tutto ciò; con Malia era semplice d'altronde essere leggero, viaggiare su quella linea di superficialità. Ma non era forse anche questo ciò che li aveva portato fino a lì? Non era forse l'improvviso richiedere da Malia una serietà che evidentemente l'ha spiazzata? Tu da me ti aspettavi che facessi il coglione, che stessi dalla tua parte indipendentemente da cosa avresti fatto. Ma tu, Malia, hai sbagliato. Non avevi il diritto di giudicare Fred in un contesto lavorativo. E forse neanche fuori dal contesto lavorativo. Quella resta comunque una cosa tra te e lui. E va bene essere arrabbiata, ma non mentre stavamo lavorando. E da lì, tutto era precipitato. Finché non erano giunti al punto in cui lei aveva baciato Charlie. James non ci aveva più visto. « Io lo so che ho fatto una cazzata. Che sono un'idiota e che ti ho rotto il cazzo. » Si. Mi hai rotto il cazzo Malia. E non c'era assolutamente nulla di razionale in quel risentimento, perché nonostante tutto, in quel momento James era geloso. Provare il sapore misto del tradimento e la presa in giro l'aveva portato al punto in cui lasciare lo zio con un occhio nero era l'unica cosa che potesse risultargli logica. Voleva gonfiarlo di botte e basta. Perché lui sapeva. L'ha sempre saputo. « E probabilmente ti meriti una persona diversa, più matura. Però l'altro giorno non sono stata evidentemente chiara nel farti capire quanto ci tengo. E che in questi mesi qualcosa c'era, almeno per quanto mi riguarda. E c'è ancora. E non sono qui a pretendere nulla, perché capisco che c'è la squadra di mezzo, i manager, e tutto quanto - e so anche che tu sei preso da altre situazioni, e non voglio mettermi in mezzo; però sentivo di doverti dire queste cose, perché quando non dico le cose, finisce che poi va solo peggio. E perché tu l'altro giorno hai detto che mi sono stancata di te e dovevo farti sapere che questo non è vero, proprio questo non lo è. » Dire che quelle parole non volesse sentirsele dire era una grossa bugia. James aveva sempre manifestato un trattamento di riguardo nei confronti di Malia. La cercava, la spalleggiava, la difendeva. Probabilmente ad un certo punto ha semplicemente deciso di non provarci proprio in virtù di tutte quelle ragioni che avrebbero complicato tutto qualora un rapporto tra loro non fosse funzionato. Non poteva essere estromessa dalla famiglia, né voleva che i suoi fratelli o cugini prendessero una posizione in merito. Malia è famiglia; e la sua, era diventata per lei il numeroso nido che non aveva mai avuto e per il quale era tagliata. A ciò si era aggiunto il suo sbattere il muso in direzione di qualunque essere che respirasse riservando al maggiore solo pacche sulla spalla e bonari gesti di affetto.
    Se fosse stato più crudele, James l'avrebbe colpita dove faceva più male. Le avrebbe fatto notare che il suo essere giudicante era proprio il motivo per cui erano giunti a quel punto. Adesso sai cosa ci si sente, per esempio, quando vuoi qualcosa che non ti spetta. Un po' come ha fatto il tuo migliore amico, Albus, che hai giudicato per prendere le parti dell'altro tuo migliore amico, Fred, che alla fine hai giudicato a sua volta perché è sparito. Si avrebbe potuto farlo. Avrebbe voluto davvero essere così crudele, mettere davanti il suo essersi sentito ancora e ancora mortificato dalla superficialità di Malia, dal suo essere una persona evitante. « No. Non ti aspetti niente. Ma mi dici comunque queste cose nel momento in cui qualunque cosa mi renderebbe comunque un pezzo di merda. » Perché è così. James e Lilic uscivano ormai da tempo; le cose andavano bene. James stava bene. E poi c'era il dubbio; il dubbio che l'unico motivo per cui Malia facesse tutto ciò, seppur involontariamente, era perché improvvisamente si era vista mettere da parte. Ti sono state tolte le attenzioni e ora di colpo ti accorgi che le rivuoi. « Cugino Dave era Charlie. E a me non va giù. Non mi va giù e non mi andrà mai giù. E non voglio giustificazioni, non voglio che tu mi dica che eravate ubriachi o che non lo sapevi. » Non mi frega un cazzo. Non mi va giù e basta. E forse peccava di immaturità a sua volta, ma quella cosa gli faceva semplicemente schifo. « Il problema non è Charlie o il cugino Dave. » Il problema è che - cazzo! - sei stata con un compagno di squadra per un sacco. Non ti sei fatta alcun cazzo di scrupolo in un sacco di occasioni. Tipo con Fred. Ah questa è buona. Ci abbiamo riso sopra al fatto che ti sei spalmata addosso a Fred. « Il problema è che ci sarà sempre un Charlie o un cugino Dave, o uno scompenso del passato. Ed io di tutte queste cose mi sono rotto il cazzo. » In quel momento, James non era nelle condizioni di ascoltare veramente cosa Malia gli avesse detto. Non voleva farlo. Divorato dai risentimenti, voleva solo chiudere quel capitolo. « Ho pazientato. Un sacco. Ma evidentemente, Malia, ciò che tu vuoi è essere trattata male. Vuoi essere mortificata. Ti accorgi delle cose solo quando esco con un'altra persona, quando non mi va. » Scuote la testa e sospira. « Io però non ti tratterò male. Preferisco non trattarti. E adesso a me non va proprio di trattarti. » Le parla in completa onestà, tentando di tenere a bada la rabbia e la frustrazione che gli suscitato a più riprese negli ultimi tempi e non solo. Di scatto si morde il labbro inferiore e sposta lo sguardo di lato, mentre sale in sella alla sua moto ricercando il casco. « I cinque minuti sono scaduti. » Ma invece di indossarlo, quel casco lo passa alla mora. « Avanti! Non ci sono più passaporte a quest'ora. Dove ti porto? » Perché nonostante tutto, di lasciarla lì di notte non gli andava. E di restare a pensare a come facesse per tornare a casa men che meno.


     
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    Aveva capito mentre parlava, Malia, che nessuna delle cose che avrebbe detto in quel momento avrebbe portato a buon fine. Col tempo aveva imparato a interpretare con facilità ogni sguardo, ogni smorfia, ogni sospiro di James. E non perché si sforzasse di porvi particolare attenzione: era una di quelle cose che succedono in maniera naturale, senza farci troppo caso, come gli occhi si adattano al buio della notte. Ci adattiamo alle persone delle quali ci circondiamo, iniziamo a coglierne dapprima i segnali più evidenti, e pian piano anche quelli più sottili. Capì che quella conversazione non avrebbe portato a niente di proficuo dalla prima occhiata del ragazzo, eppure andò avanti, imperterrita, perché paradossalmente "risolvere le cose" non era più un obiettivo, per lei. La Stone non è una che si muove per calmare le acque, avrebbe commentato stancamente chiunque avesse con lei un minimo di confidenza, vedendola in quel parcheggio, quella sera, ad alimentare il vento di quella tempesta in cui - in parte inconsapevolmente - si era cacciata.
    Se avesse voluto essere diplomatica, corretta, conciliante, avrebbe di certo evitato certi giri di parole: sarebbe stato sufficiente ribadire il proprio affetto ed il dispiacere provato, rinnovare le scuse per la situazione incresciosa provocata e buonanotte a tutti. Ma Malia non era mai stata diplomatica, né aveva idea di cosa significasse. In quel momento era semplicemente stanca di tutto: delle incomprensioni, dei litigi, dei silenzi di guerra e di quella estenuante gara di passivo-aggressività, che li aveva portati fino a quel punto. Come una bambina, era convinta che mettere tutto alla luce del sole, così, senza più tergiversare, avrebbe finalmente squarciato quel velo di implicito tra loro. Su quello si concentrava. C'era però, alla fine, un sottile masochismo nel voler menzionare certi punti, ed un pizzico d'immaturità nel voler ribadire: "Io alla fine, ci sono sempre stata. Intorno a noi c'era un casino ma io c'ero. Sono solo stata fraintesa". Una presunzione, quella, che il capitano dei Falcons non avrebbe accettato, e che fu infatti pronto a farle notare.
    « No. Non ti aspetti niente. Ma mi dici comunque queste cose nel momento in cui qualunque cosa mi renderebbe comunque un pezzo di merda. » Strinse le labbra in una linea sottile, senza sapere come rispondere. Fece spallucce, puntando gli occhi nocciola in quelli scuri di lui, adombrati dalla penombra che era calata sul parcheggio. « Cos'altro avrei dovuto dirti? » È questa la verità, e io dovevo dirtela. Non potevo (volevo) fare altrimenti. « Cugino Dave era Charlie. » Inarcò le sopracciglia. Eh? Quell'informazione, lanciata lì, senza preavviso né contesto, la spiazzò. Il ragazzo che aveva baciato la sera del rave non doveva avere più di una ventina d'anni, gli occhi chiari e i capelli rossicci. Il classico Weasley. Dave Weasley. « Non dire cazzate » Una specie di smorfia divertita le accarezzò le labbra, mentre incrociava le braccia al petto. Era sicura che quello fosse uno scherzo - doveva esserlo. Charlie era il suo allenatore, e non era nemmeno presente a quella festa... Lo sguardo di James, però, rimaneva immutato, freddo e rigido sin dall'inizio. Lentamente, la giovane Stone iniziò a realizzare. « Cazzo. » « E a me non va giù. Non mi va giù e non mi andrà mai giù. E non voglio giustificazioni, non voglio che tu mi dica che eravate ubriachi o che non lo sapevi. » Quello era veramente Charlie. Oh, porca puttana. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare l'enormità del casino in cui si era cacciata con le sue stesse mani, perché James continuò a parlare, scoccando una freccia dopo l'altra. « Il problema non è Charlie o il cugino Dave. Il problema è che ci sarà sempre un Charlie o un cugino Dave, o uno scompenso del passato. Ed io di tutte queste cose mi sono rotto il cazzo. » Si morse il labbro, stringendosi di più nella propria felpa scura. Gli guardò le scarpe, come una bambina colta in flagrante. Tu spolpi le persone. Era questa, la verità? Era davvero stata così egoista con James, a tal punto da portarlo allo stremo della propria sopportazione? « Non hai mai detto niente » sussurrò, a mezza voce, scuotendo piano il capo e ricacciando indietro le lacrime. Piangere era stupido. In quell'istante, decise che James non se lo meritava. « Ho pazientato. Un sacco. Ma evidentemente, Malia, ciò che tu vuoi è essere trattata male. Vuoi essere mortificata. Ti accorgi delle cose solo quando esco con un'altra persona, quando non mi va. Io però non ti tratterò male. Preferisco non trattarti. E adesso a me non va proprio di trattarti. » Quella era la conclusione di James. Quelle le parole con cui aveva intenzione di chiudere definitivamente la conversazione, con cui voleva lasciarla. Non ti voglio più trattare. Come un argomento troppo sfiancante del libro di Storia della Magia, uno di quei incantesimi da imparare troppo complessi che decidi di lasciar perdere e rimandare a dopo la pausa caffè. In quel frangente, Malia si sentì una deficiente, per un milione di motivi: primo fra tutti, aver pensato, sinceramente, che quel confronto potesse avere un briciolo d'importanza nella mente di James; per essersi illusa che, se proprio non avesse cambiato nulla, avrebbe quanto meno disteso le cose, inaugurando un nuovo periodo per loro, uno di riassestamento, seppur di moderato distacco e altalenante. Ma James aveva chiaramente deciso di voltare pagina: non sulla situazione, non sui suoi sentimenti, non sulla loro amicizia: su di lei. Lo dimostrò salendo con una mossa rapida sulla propria moto, decretando la fine dei cinque minuti gentilmente concessi.
    Malia rimase a guardarlo, e le parve di sentire qualcosa spezzarsi, da qualche parte. Inaspettatamente, si vide porgere il casco della moto, in un gesto che faticò a comprendere. « Avanti! Non ci sono più passaporte a quest'ora. Dove ti porto? » Scosse piano la testa, mentre un sorriso mesto compariva sulle sue labbra. Ma sei serio, James? « Non ti preoccupare. Adesso chiamo Hugo e mi faccio venire a prendere da lui. » E piuttosto ci torno a piedi, a Londra. Sospirò. Ed era sul serio decisa a non dire più nulla, lasciar cadere lì la questione, farlo volare via sulla sua moto ed evitare di parlarne ulteriormente ma - come prevedibile - non ne fu capace. Quella dei cinque minuti, decise, era solo una cortesia. « È che potevi dire qualcosa. » Si strinse nelle spalle, a questo punto decisa a prendersi l'ultima parola. « Se davvero farmi compagnia è stato così snervante, se veramente hai dovuto pazientare tanto a lungo... Potevi parlare. Era un rischio che potevi prenderti. » In quella situazione, di certo Malia non era la vittima; ma nemmeno la sola carnefice. « Io avrò le mie colpe, lo riconosco: sarò anche stata presa da altro, da scompensi del passato, e quello che vuoi, ma tu... » Tu qualcosa la potevi fare. Si strinse nelle spalle, improvvisamente colta da quella realizzazione. « Il peggio che poteva capitarti era un rifiuto. Ti faceva così paura? » Fece un passo avanti, decisa a fronteggiarlo con quella domanda, che in realtà non richiedeva alcuna risposta. Serrò la mascella. « Tu sei uno che le cose le fa, James, non che aspetta che vengano fatte. » Perché non l'hai fatto? Perché non ti sei fatto avanti quando l'avresti desiderato? « Se ti interessava così tanto... » Si strinse nelle spalle, senza completare quel pensiero, ma lasciando aleggiare la sua naturale conclusione nello spazio fra loro. Forse non ti interessava davvero. O forse non hai avuto le palle. Una delle due. Sospirò, facendo spallucce e compiendo un passo indietro, volendosi distanziare da lui, come a scrollarsi tutta quella situazione di dosso. « Ma alla fine è andato tutto per il meglio. » Più o meno. « In questo modo evitiamo di creare problemi alla squadra, giusto? » Gli rivolse un sorriso triste, nonostante tutto. Perché tra tutti gli scenari che avrebbe potuto immaginare come conclusioni di quella conversazione, questo, forse, era quello più doloroso. « Ci vediamo domani all'allenamento. » Lo salutò seccamente, restituendogli il casco e voltandogli rapidamente le spalle, pronta a dirigersi verso l'uscita del parcheggio.

     
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