Waving through a window

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    « Io qui non c'ero proprio mai venuta. » Malia lancia l'ennesima occhiata curiosa in direzione di Albus, mentre insieme attraversano gli ampi corridoi dell'edificio. Nell'arco della sua vita, la Grifondoro in più di un'occasione si è ritrovata ad avere a che fare con il San Mungo, sia da paziente che da visitatore, tanto da conoscerne abbastanza bene - seppur a grandi linee - la topografia. Il Centro d'Igiene Mentale si trova in una struttura separata, seppur adiacente all'ospedale, in cui orientarsi è più complicato. Il centro d'igiene mentale. Malia si ritrova a ripetere quelle parole un paio di volte nella propria testa, quasi a volerne afferrare un significato più profondo. Fred è al centro d'igiene mentale. Per quanto si sforzi di capire, mentre attraversa guardinga i corridoi e riserva ad Albus un paio di occhiate confuse, qualunque ipotesi che affiora nella sua testa sembra non avere senso. « Non mi piace granché. » Non sembra un bel posto. Di fatto, gli ambienti, grandi e puliti, non sono poi così diversi da quelli della struttura centrale: ma qualcosa, lì dentro, riesce a disturbarla profondamente. Forse è quel silenzio estremo, quasi assordante, che pervade gli spazi e pare forzato. Ogni parola detta risulta eccessiva, fuori luogo, rumorosa - come se lì dentro si dovesse stare perennemente in punta di piedi per non disturbare troppo.
    « È questa la sua stanza? » La voce bassa, si ferma di fronte ad una delle porte, tutte uguali, di uno dei corridoi. Guarda Albus, ricercando in lui una conferma che il numero della stanza sia quello corretto. Si mordicchia un'unghia, nervosa, lanciando un paio di occhiate veloci agli estremi del corridoio, per poi tornare a rivolgere l'attenzione sul moro. « Mhm, come vuoi fare? Vogliamo entrare a turni? Tipo prima tu e poi io? O vice versa? O insieme? Com'è meglio? » È agitata, Malia, per un milione di motivi che non finirebbe mai di elencare, se solo provasse. L'ultima conversazione avuta con Fred risale a più di un mese fa, ormai, a quella famosa festa organizzata da uno degli sponsor dei Falcons. Ripensare a quello strano scambio, e al modo freddo e distaccato con cui il rosso si è allontanato da lei, quella sera, le fa dubitare che anche la visita di oggi possa non essere assai gradita. E poi ci sono i mille interrogativi sugli eventi del rave, che nella sua testa non trovano risposta. E tutte le domande su Fred. Che ci fa lì al CIM? Perché è ricoverato? Che cosa diavolo è successo quella sera? « Vabbè, ok, entriamo insieme. » Questa la delibera finale dei due amici, dopo un breve momento di consultazione. Senza attendere oltre, Malia si avvicina alla porta e bussa qualche colpo con le nocche; quando vengono invitati ad entrare, d'istinto prende la mano di Albus, alla ricerca di quel piccolo conforto non verbale. « Permesso? » domanda, con voce cauta, dopo aver abbassato la maniglia e spinto leggermente la porta in avanti. Di fronte a loro si rivela una stanza semplice, asettica, non diversa dal resto della struttura. L'unica macchia di colore è data da un mazzo di tulipani gialli disposti ordinatamente all'interno di un vaso, sul comodino. Fred è da solo nella stanza, sul letto. Non appena lo sguardo ricade sulla sua figura, la giovane Stone sembra voler ricercare dei segni: una qualche ferita o contusione evidente, qualcosa che effettivamente possa giustificare la sua presenza lì. Ma Fred ai suoi occhi appare illeso, e Malia avrebbe quasi tirato un sospiro di sollievo, nel vederlo così, non fosse per il suo sguardo indecifrabile. I due ragazzi accomodano silenziosamente nelle poltroncine accanto al letto, e solo allora Malia sembra notare il leggero disagio che aleggia in quello spazio. C'è un po' d'aria in questa tensione. Se lei e Fred un mese fa sembravano aver chiarito, più o meno, non è certa di quali siano i rapporti tra i due cugini. E pensare che un tempo eravamo inseparabili. La mora si lascia andare ad un breve sospiro e, determinata a rompere quell'impasse, inizia a frugare celermente all'interno della propria borsetta a tracolla, che emette rumori di ogni genere al passaggio della sua mano. Dovrei fare un po' di pulizia qui dentro, prima o poi. « Ti abbiamo portato delle cioccorane. » Si dice che il cioccolato faccia sempre stare un po' meglio, dopo tutto. Mentre parla, tira fuori dalla borsetta un pacco dimensione maxi degli snack preferiti del mondo dei maghi, e lo porge al ragazzo. « Potrei averne mangiata una mentre venivamo qui » ammette, accennando ad un angolo aperto della confezione, con un'espressione a metà tra il colpevole e il divertito. « Tra l'altro, ci ho trovato vostra zia Hermione! » Sorride, mentre recupera dalla tasca della giacca di jeans la figurina della madre di Hugo, mostrandola poi ai due ragazzi. È solo quando cala di nuovo il silenzio, qualche momento più tardi, che Malia si rigira la figurina tra le mani per un paio di secondi, e poi parla di nuovo, puntando gli occhi nocciola in quelli del giovane Weasley. « Come stai, Fred? » Che ti è successo? Perché sei qui dentro? Perché non parli?
     
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    « Io qui non c'ero proprio mai venuta. » Lui invece sì. Più di una volta da quando era bambino. Inizialmente le sue visite erano state sporadiche: da bimbo, Albus era l'ombra di suo padre, lo seguiva ovunque, anche lì, quando il signor Potter andava a trovare i genitori di Neville Paciock. Poi a lungo non ci era più tornato. Aveva ripreso con la fine della guerra, quando diversi suoi compagni erano stati internati per periodi più o meno lunghi; il giovane Potter, in quell'occasione, aveva fatto il possibile per dare una mano. « Vedi? Ti porto a vedere il mondo. » disse, ricambiando l'occhiata di Malia con un mezzo sorriso che tradiva il suo intento di alleggerire la situazione. « Non mi piace granché. » Dubito ci sia qualcuno a cui piace davvero questo posto. In fin dei conti era pur sempre un centro di igiene mentale. Lì dentro tutti avevano una storia poco felice alle proprie spalle, qualcosa che li aveva spinti con forza a dover richiedere aiuto, spesso con grande dolore. E si sentiva: impregnava l'aria come come un odore acre che non ti si toglie dai vestiti per giorni interi. Nel camminare, Albus cercava di incrociare il meno possibile lo sguardo dei pazienti, sentendosi tuttavia addosso il loro, silenzioso ed inquieto.
    « È questa la sua stanza? » Abbassò lo sguardo verso il foglietto che teneva in mano, quello su cui una delle infermiere al front desk aveva scritto loro il numero della stanza. Annuì, stropicciando il pezzo di carta e mettendoselo nella tasca dai pantaloni prima di fare un respiro profondo e mettere la mano sulla maniglia. « Mhm, come vuoi fare? Vogliamo entrare a turni? Tipo prima tu e poi io? O vice versa? O insieme? Com'è meglio? » Stava per entrare, quando le parole dell'amica lo obbligarono a fermarsi, voltandosi in sua direzione con un'espressione vagamente confusa in volto. « E' pur sempre Fred.. » fu la sua unica risposta. Con tutti i drammi che possono esserci stati, è comunque quello con cui siamo stati culo e camicia per anni. Dubito ci siano tattiche da adottare con lui: ormai ci conosce come le sue tasche. D'altronde, sebbene Albus avesse affari privati di cui discutere con il cugino, era certo che non fosse quello il luogo né il momento per metterli in piazza. Prima di discutere ciò che era successo al rave, avrebbe aspettato che Fred si fosse rimesso. « Vabbè, ok, entriamo insieme. » Annuì, lasciando che Malia battesse le nocche sulla porta e aprisse loro la via verso l'interno della stanza. « Ehi Fred.. » disse piano, richiudendosi la porta alle spalle prima di accomodarsi su una delle poltroncine al capezzale del letto. Teso come una corda di violino, scrutò i lineamenti del rosso, cercando indizi circa ciò che era successo alla festa. Sapeva poco, per lo più ciò che aveva letto su Strega Moderna - e che ovviamente aveva preso con le pinze - e ciò che Fawn gli aveva raccontato. Fu Malia, poi, a rompere l'imbarazzo con alcune frasi sulle cioccorane, facendolo sorridere. « Come stai, Fred? » « Sai già quando ti dimetteranno? »

     
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    « CHE DIAVOLO TI E' SALTATO IN MENTE? » tuonò Angelina, fissando il suo primogenito con occhi di fuoco e un tono di voce tale che avrebbero potuto sentirla perfino dal marciapiede oltre l'ingresso nascosto del San Mungo. Nello studio del dottor Renfield c'erano solo lei, George, lo psichiatra e un Fred pallido come un lenzuolo. Angelina lo fissava, sì, ma suo figlio a sua volta fissava il paio di pantofole che indossava. Ne poteva comunque sentire gli occhi addosso; peggio, poteva avvertire il senso di profonda delusione che la madre stava spargendo per la camera, con le sue urla ripetute ma ancor di più con l'impercettibile tremare delle mani. Fred sapeva cosa stava pensando. Ci sei caduto un'altra volta, in quella spirale di idiozia che speravamo ti fossi lasciato alle spalle. Ti abbiamo dato fiducia. Ti abbiamo dato spazio. E ancora una volta, ti troviamo più morto che vivo. Non era un'esagerazione, lo stesso dottor Renfield si era arrabbiato tanto quanto Angelina, quando aveva capito che il malessere di quello straccio a forma di Fred Weasley II arrivandogli sotto mano era solo un mucchio di incipienti reazioni avverse alla terapia. « Dillo che ti vuoi ammazzare! Ma, fosse l'ultima cosa che faccio, tu non diventi anche un drogato, Fred Weasley. PERCHE' TI AMMAZZO PRIMA! » Istintivamente, Fred batté violentemente un pugno contro la scrivania in legno massiccio dello psichiatra. « COME TE LO DEVO DIRE CHE NON MI SONO DROGATO! » « Datti una calmata Freddie.. » mormorò roco George, gli occhi scuri dietro un paio di occhiali. Non sembrava neanche più lui, quel giorno aveva perso tutta la voglia di scherzare. Il guaritore era stato molto chiaro con i signori Weasley, che erano stati chiamati nonostante Fred fosse ormai maggiorenne. Erano loro i referenti in caso di emergenza e ciò che gli era capitato aveva rischiato di diventarlo. Il dottor Renfield si schiarì la voce oltre la scrivania. « Abbiamo trovato tracce di alcol e.. altre sostanze, dalle analisi. » No, non è possibile. Non mi sono fatto. Ho solo bevuto un po' di champagne! « Voglio essere molto chiaro con voi. La terapia che Fred sta seguendo non è una passeggiata, richiede controlli periodici. E' molto efficace, l'avete potuto constatare tutti, ma.. non si scherza. E' una fortuna che ti abbiano portato qui in tempo. » Il rosso strinse forte l'asta della flebo che era costretto a portarsi dietro. Erano ormai più di ventiquattr'ore che stavano cercando di reidratarlo e ristabilire le concentrazioni giuste di Litio nel sangue del ragazzo. Fred si sentiva uno straccio, fisicamente; ancor di più, si sentiva uno straccio moralmente ed emotivamente. Aveva stretto i denti e fatto di tutto per rigare dritto, non si era concesso vizi ed era stato molto attento ad osservare il calendario dei controlli. Non aveva sgarrato mai.. tranne una volta.
    Odiava il profondo senso di stupidità che sentiva dentro ma odiava molto di più le occhiate deluse di chi gli stava intorno. Come se ci avessero sperato ma, in fondo, l'avessero sempre saputo che qualcosa sarebbe andato storto. Cosa mai va' per il verso giusto con Fred Weasley?

    [...] Qualcuno bussò alla porta. Era il terzo giorno di degenza. Odiava quel posto: gli ricordava il periodo che vi aveva passato una volta uscito dal Lockdown e, successivamente, quando i suoi ve l'avevano trascinato alla ricerca di una diagnosi. Aveva spento il cellulare: dopo aver parlato con Juniper e aver capito che era successo un vero e proprio casino, si era premurato che anche a lavoro sapessero che era ricoverato in ospedale e aveva dato forfait virtuale. Provò a tacere ma bussarono di nuovo. « Occupato. » sbuffò fissando il soffitto. Dall'altra parte della porta, tuttavia, non doveva essersi sentito distintamente, perché i visitatori entrarono. Malia e Albus trovarono un Fred vestito di una vecchia maglietta, un paio di pantaloncini corti e ancora la flebo al braccio, disteso sul letto come una salma sul tavolo autoptico. « Permesso? » Riconobbe immediatamente la voce di Malia e schizzò a sedere sul letto - beccandosi per giunta un lieve capogiro - e solo allora vide anche Albus. « Ehi Fred.. » Il corpo del battitore si era talmente irrigidito da sembrare, sì, una salma sul tavolo autoptico. Di tutte le persone, paradossalmente, non si aspettava una loro visita.. o per meglio dire, non ci sperava. E perché mai? Entrambi erano stati, senza tanti giri di parole, le persone più importanti della sua vita e avrebbe sempre nutrito, per ognuno di loro, un affetto immortale. Ma Malia è anche quella che mi ha dato involontariamente del pazzo, qualche settimana fa. E Albus.. siamo ad un punto morto. Io col lavoro, lui col college e i bambini. Non ci abbiamo ancora davvero riprovato. E ora eccoli qua. « Sorpresa. » mugolò, con un finto sorriso dettato perlopiù dall'imbarazzo. E di imbarazzo, in quel momento, Fred ne aveva da vendere. « Ti abbiamo portato delle cioccorane. Potrei averne mangiata una mentre venivamo qui. Tra l'altro, ci ho trovato vostra zia Hermione! » Istintivamente, lanciò un'occhiata alla porta che si erano richiusi alle spalle. Un tempo, Hugo sarebbe stato il primo ad entrare da quella porta, già con una chiara visione di cosa fosse successo e come uscirne. Ma Hugo non si era presentato e non credeva che l'avrebbe fatto più. L'ennesimo rapporto che ho incasinato. « Grazie mille, spero non abbiano da ridire.. sono abbastanza nazisti su quello che posso o non posso far finire nel mio corpo, vai a capirli. » e fece spallucce. E poi ci son cose che ci finiscono senza che neppure lo sappia. Se non è sfiga questa. Li invitò a sedersi sulle poltroncine presenti nella stanza e si piazzò sul ciglio del letto, le lunghe gambe abbandonate a penzoloni oltre il bordo. « Come stai, Fred? » « Sai già quando ti dimetteranno? » Scosse la testa, non sapeva dirlo ancora. Il dottore gli aveva fatto mille discorsi con mille spiegazioni sull'equilibrio del farmaco e Fred, francamente, non ci aveva capito un'acca se non che avrebbe dovuto avere pazienza. E zitto pure. « Mi sento come.. come se mi avessero staccato la testa, l'avessero usata come bolide in una partita della Lega Bulgara e me l'avessero riattaccata. » fu l'unica spiegazione che poté dare. Aveva continuamente mal di testa e una certa nausea. E quella maledetta stanchezza. Strinse le lenzuola tra le dita. « Rave del cazzo. » Sapevo che non ci sarei dovuto andare. « Mi hanno trovato merda in corpo, droghe varie, non lo so.. ma io non ho toccato niente, solo champagne! » si sentì di giustificarsi, quasi avesse paura che anche loro, come tutti gli altri, lo guardassero come l'ennesimo caso perso. E poi, c'era l'elefante nella stanza. « Comunque.. non è proprio per le droghe che sono stato male. E'.. per le medicine che prendo, che hanno fatto reazione con le droghe. » Malia non doveva aver capito - come avrebbe potuto? non era stato sincero con lei - ma Albus non sembrava esserne troppo sorpreso. Dopotutto, in casa Potter-Weasley era diventato il segreto di Pulcinella. Difficile nascondere qualcosa troppo a lungo, nella Tana e dintorni. « Ma tu lo sapevi già, vero? » domandò al cugino. Chi te l'ha detto? Mun o quel ficcanaso di Hugo? Sospirò, rivolgendosi a Malia. « Non mi hanno messo qua perché avevano finito i posti letto su al corpo centrale. Io.. sono un paziente del CIM.. già da un po'. Da quando sono tornato a casa. » Si bloccò, lo sguardo chino e le gote rosse quasi quanto i suoi capelli. Di nuovo quella tremenda vergogna: di sentirsi debole, di aver mentito e omesso. Di sentirsi il fantasma del ragazzo che gli altri due avevano amato, di non essere all'altezza di quel ragazzo. Di sentirsi rotto.

     
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