Pumpkin Spice Latte.

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    Si dice che l'uomo più felice della Terra riuscirebbe a usare lo Specchio delle Brame come un normale specchio, vale a dire che, guardandoci dentro, vedrebbe se stesso esattamente com'è. Si diceva che molti uomini si fossero smarriti a forza di guardarcisi, rapiti da quel che avevano visto, coccolati da quel velo di Maya che si erano stretti intorno agli occhi, oppure avevano perso il senno perché non sapevano se quel che esso mostrava fosse reale o anche solo possibile. Ninfadora Weasley aveva sempre provato un particolare fascino per i manufatti antichi, spalleggiata da sua madre e dall’innata curiosità che la donna pareva aver trasmetto alla figlia. Le era capitato, qualche volta, di fantasticare su ciò che avrebbe potuto vederci riflesso. Suo padre le aveva confessato che, quando aveva undici anni, aveva avuto modo di trovarsi davanti a quello specchio e di vedere sé stesso stringere in mano la Coppa del Mondo di Quidditch. Lei ci aveva fatto una risatina e Ron aveva finto di mettere il broncio. Anche i sogni di Dory erano cambiati negli anni. Quando aveva sette anni sognava di sposare Merton Graves, il violoncellista de “Le Sorelle Stravagarie”. Aveva il suo poster appeso sopra la scrivania e Rudy ed Hugo la prendevano sempre in giro. A tredici anni aveva già maturato il desiderio di diventare giornalista. Forse, se si fosse riflessa allora nello Specchio delle Brame si sarebbe vista vestire i panni da redattrice di un famoso giornale, con addosso uno di quei tailleur con la gonna appena sopra il ginocchio. Era ambiziosa, la maggiore di casa Weasley. Aveva tanti interessi che coltivava come si fa con una piantina sperando che cresca forte e sana. Aveva sempre avuto le idee chiare. Ma le cose erano un po’ cambiate. Non sapeva più cosa avrebbe visto in quello specchio. O forse si stava solo sforzando di non pensarci. Molti uomini si sono smarriti a forza di guardarcisi. Forse, in quel periodo così incredibilmente fragile della sua vita, anche lei avrebbe fatto quella fine. Temeva quel riflesso, il suo riflesso. I suoi occhi di un azzurro brillante, come il mare quando non ci sono onde, ed il suo sorriso, lo stesso che pareva essersi congelato nel suo volto quando quell’incantesimo lo aveva colpito in pieno, fermando il tempo, in mezzo alla polvere e ai detriti. «Prendi ancora le pillole per l’ansia che ti ho segnato?» Tana per te, Weasley. Ninfadora si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mordendosi l’interno della guancia con i denti. La donna che le stava seduta di fronte alzò lo sguardo nella sua direzione. «Oh, si. Una ogni mattina e un’altra in caso di emergenza Le venne da ridere, ma cercò di trattenersi. Una volta in caso di emergenza si consigliava di rompere un vetro, mentre ora ti davano una pillola. Davano pillole per qualsiasi cosa, così diceva sua madre. Dory aveva smesso di prenderle circa un anno fa, ma le portava sempre dietro, contenute dentro il loro flacone, arancione come la divisa di un detenuto. Allargò un sorriso sulla faccia, ergendosi dritta sulla schiena mentre lo sguardo della terapeuta la studiava per alcuni secondi. Sperava di essere stata convincente almeno un po’. «Quindi ti sei divertita a quel ballo..» Quella di Meredith era una constatazione piuttosto che una domanda. Dory alzò lo sguardo, incontrando quello della donna che la osservava da sopra i suoi occhiali dalla montatura scura. La ragazzina annuì. «Si. C’erano Olympia ed anche Oliver.». Non menzionò il fatto che si fosse limitata a girare per Portland a scattare foto. Eludere dei particolari non significava necessariamente mentire. «E anche la vacanza con tua cugina è andata bene.» Dory annuì. L’ultima volta che aveva visto la donna era stato inizio giugno. Non era poi così sicura che la terapia le fosse utile perciò, con una serie di scuse, stava cercando di diradare le sedute. «Si. Abbiamo visto dei posti stupendi.» Incrociò le braccia al petto, lasciandosi scivolare sullo schienale della poltrona sulla quale era seduta. Il modo di fare di Meredith la stava infastidendo. Quelle non erano domande. Non sapeva neppure perché le stava rispondendo. La donna dalle lenti
    spesse se ne stava in silenzio, annuendo leggermente e, a tratti, scarabocchiava qualcosa su di un taccuino. Sulla scrivania della donna era posato un fascicolo. Da quella distanza, Dory non riusciva a capire se ci fosse scritto sopra il suo nome. «Temo che per oggi il nostro tempo sia finito, Ninfadora.» Non chiamarmi Ninfadora. «Ci vediamo martedì prossimo, va bene?» Dory ispirò l’aria tra i denti in un lungo sibilo, esibendo un’espressione dispiaciuta. Forse un po’ troppo. «Caspita, proprio martedì, mhm? Avevo intenzione di trattenermi al lavoro..» «Possiamo fare il giorno dopo..» Dory si alzò in piedi afferrando la borsa e posandosela sulla spalla. «Un disastro.. Un disastro di settimana..» «Allora potremmo..» «Facciamo che la chiamo io, ok? Appena trovo uno spazio libero nell’agenda sarà la prima cosa che farò..» Gesticolava. Non riusciva a tenere ferme le mani, come se ciò servisse a rendere credibile ciò che le stava uscendo dalla bocca e a distrare la terapeuta dai suoi piedi che si muovevano piano verso la porta. Le sembrava di essere tornata bambina e di dover raggiungere la tana senza essere vista. «Ma, Ninfadora..» «NON-» -CHIAMARMI NINFADORA! Si morse le labbra, costringendosi al silenzio. Fece una risatina forzata. Doveva tirare fuori un tono dolce come lo zucchero. «... Non si preoccupi signora Thompson.. Settimana prossima le mando un messaggio per organizzare il nostro prossimo incontro..» aprì la porta della stanza e si infilò per metà tra l’uscio e lo stipite. «Buonaserata!» Non le diede tempo di aggiungere altro. Uscì fuori chiudendo la porta davanti a sé. Rimase un attimo a fissarla, lo sguardo posato sulla targhetta dorata con su inciso il nome di Miss Thompson. Inspirò dalle narici finchè i suoi polmoni non furono colmi d’aria per poi espirare lentamente dalle labbra leggermente schiuse. Si sentiva esausta, come ogni volta che usciva da quella stanza. Forse avrebbe dovuto smettere di andarci. Meredith le faceva sempre le stesse domande, come se l’unica cosa da fare fosse farla parlare, svuotarla completamente da ogni parola, quando la verità era che Dory, spesso, ambiva solo al silenzio. Uscì dallo studio alzando il naso verso l’alto. Era una bella giornata di sole. Tirò fuori il telefono per mandare un messaggio ad Arthur, avvertendolo che sarebbe tornata a casa solo per l’ora di cena. Aveva detto alla professoressa Roberts che sarebbe passata da lei verso le cinque per consegnarle una ricerca. L’aveva terminata in anticipo e ciò era un bene perché poteva concentrarsi sull’ultimo rullino di foto che ancora non aveva sviluppato.
    [...] «Un Pumpkin Spice Latte, grazie.» La ragazza con addosso la tipica divisa verde la guardò reggendo in mano un bicchiere di carta ed un pennarello nero. «Nome?» «Dory.» Pagò ed uscì con in mano la sua bevanda stagionale preferita. Le piaceva l’autunno: i colori, le giornate più miti e Starbucks che abusava di cannella per la gioia della giovane Weasley. Era ciò che le serviva per rilassare i muscoli, per lasciarsi alle spalle quella sensazione di disagio che la terapia le aveva lasciato addosso. Forse poteva mandare un altro messaggio ad Arthur chiedendogli se aveva voglia di mangiare cinese quella sera. Ma prima che potesse sfilare il telefono dalla tasca dei jeans una capigliatura bionda familiare attirò la sua attenzione. «Guarda un po’ chi ha sputato il gatto.» Si fermò davanti al ragazzo, portandosi il bicchiere alle labbra e bevendone un piccolo sorso. «Il secondo miglior giocatore di Scacchi Magici della scuola.» Sollevò le sopracciglia, senza però riuscire a trattenere un sorriso. «Ho una crema lenitiva per le scottature in borsa, nel caso la scorsa sconfitta bruci ancora.» Alzò leggermente le spalle ma, nonostante il suo tono da finta saputella, il suo viso si era addolcito. Sembrava passata una vita dall'ultima partita disputata. «Insomma, come stai? L’ultima volta che ci siamo visti avevi addosso un vestito da vero damerino.» Bevve un altro sorso della sua bevanda calda, facendo riferimento alla serata del Midsummer. Il sapore di spezie la faceva sempre sentire meglio.
     
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