A half truth

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    L'esistenza di Benjamin Bellow si è condotta in maniera pressocché passiva, nel corso della prima settimana di college. Ha seguito le lezioni, mangiato, studiato il pomeriggio, dormito, imprecato sui testi di Psicologia clinica - e sui principi di terapia, che indubbiamente servirebbe a lui in prima persona -, di nuovo dormito, mangiato e così via. Non ha messo mano al cellulare, ha la casella whatsapp intasata da giorni: gli Herondales continuano a proporre di cenare insieme o anche solo di fare una passeggiata, i ragazzi del club di teatro mandano vocali di due ore canticchiando melodie felici o stilando scalette per gli spettacoli futuri. Insomma, il mondo circostante lo fa sentire un pesce fuor d'acqua. Quel ch'è peggio: non ha la più pallida idea di quanto possa raccontare e, soprattutto, a chi. Come se non bastasse, residui di peccati non smettono di risalire a fiotti su per la gola, facendolo rabbrividire di terrore e correre in bagno nel cuore della notte per non svegliare Tristan. Tutto si conclude metodicamente con un profondo sospiro e sogni di tende vellutate. Il pensiero della manifestazione del trentuno Agosto lo tormenta. Hogwarts gli sembra, di colpo, oscura e pericolosa, a maggior ragione perché la sua popolazione è completamente ignara dell'accaduto. Certo, sia Maeve che Amunet erano lì con lui, a combattere dei mostri senza nome e a sorreggere lo scudo che li avrebbe protetti nell'attraversare il varco verso il mondo reale. Per cui, Benji non esclude che la notizia sia arrivata anche ad altre figure di riferimento nell'ambito scolastico: primi tra tutti i fratelli Potter. L'avrebbe detto lui stesso a Sirius, subito, ma era così felice la sera del banchetto... Benji ha dunque procrastinato. L'ha fatto con tutti, quasi nella speranza che lo scorrere del tempo potesse cancellare gli eventi della sera del rave. Ha trascurato ogni tipo di impegno, ignorando persino le ripetizioni con Mia - e dire che lei c'era. Forse ha paura di incontrarla perché, ne è ormai sicuro, leggerebbe nei suoi occhi quello che Benji cerca di nascondere da mesi e che, praticamente, le ha urlato l'altra sera: proteggila. Ha rischiato di perdere troppo, il giovane sin eater, e in troppo poco tempo. Ha rischiato che altri si sacrificassero per lui, di nuovo. Questi pensieri continuano ad assillarlo mentre cammina per le stradine di Hogsmeade. Sono le sei del pomeriggio ed ha appena concluso un turno particolarmente estenuante da Starbucks. Ruota le chiavi nella serratura, si abbandona sulla poltroncina dell'ingresso, poggiando i gomiti sulle ginocchia e sorreggendo la fronte con le mani. E' stanco. Ha vomitato due volte, ha dovuto inventare a Luxanna che sta male di stomaco. Probabilmente gli è pure venuta la febbre. Preferisce non misurarla per non scoprirlo e non dare... ulteriori preoccupazioni all'ospite che a breve si presenterà alla sua porta. Fortunatamente a casa non c'è nessuno, così potranno parlare faccia a faccia. A dir la verità, per quanto il bisogno di vuotare il sacco con Veronica sia forte, il disagio che lei lo veda in queste condizioni lo supera nettamente. Non vuole essere debole. Non vuole essere inutile. Non vuole che altre vite gli facciano da scudo. Mai più. Per tranquillizzarsi, come d'abitudine, inizia a suonare la solita melodia alla tastiera. Don't stop me now... Chiude gli occhi e gli incubi di sempre tornano in agguato, Veronica che cerca di ucciderlo e poi lo difende... Sua sorella con le orbite completamente bianche... I suoi genitori mano nella mano... Il campanello suona e Benji ha un ulteriore conato. Riversa tutto nel lavadino, inizia a bere dal rubinetto, si lava la faccia. Il campanello suona di nuovo. Cazzo. Ha un capogiro, si ferma, poggia le mani sul tavolo, chiude gli occhi. Inspira, espira. Apre gli occhi e si dirige all'ingresso. Sorride.
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    «Scusa, ero in bagno.», si gratta la nuca e osserva un punto qualsiasi alle spalle di Veronica, solo per non guardarla dritto negli occhi. «Vieni, ho appena aperto un pacco di patatine.», chiude la porta e fa strada verso la cucina. Versa il contenuto in una ciotola e indica a Ronnie il divanetto che ormai ha preso la loro forma, per quante partite hanno giocato alla play. In quel frangente fa mille altre cose: passa una pezza bagnata sul tavolo, tira fuori l'acqua dal frigorifero, apre la finestra, chiude la finestra, serve i croccantini a Pika, va in bagno di nuovo, insomma, tutto pur di non fermarsi. Ha un altro capogiro, ma si riprende praticamente subito e si giustifica con un no vabbè, stavo scivolando, a terra è bagnato e fragorose risate annesse. «Allora... Uhm... Com'è andata questa settimana a Hogwarts?», no ma continua pure il tuo teatrino, Benji. Come se fosse una sconosciuta incontrata per caso in Biblioteca... «E' successo... Qualcosa di strano, tipo?», ecco, ora va meglio. Tanto avreste preso l'argomento, prima o poi. «Mia... Come sta? Non l'ho potuta aiutare coi compiti perché -», non volevo assolutamente vederla, «- ho avuto lezioni tipo a manetta... Il secondo anno di college inizia col botto, proprio...», mente. Alcuni professori neanche si sono fatti vedere. «Tu..» stai bene? «Che hai fatto in questi giorni? Io ieri sono andato al Rifugio, ci lavora la caposcuola Grifondoro, sai? Ho adottato un Mooncalf, troppo figo, te lo devo fare vedere. Si chiama Archibald.», inizia a farfugliare la qualsiasi pur di riempire il silenzio. Non sopporta il silenzio. Non riesce più a trascorrere un secondo senza le cuffie alle orecchie, il silenzio... Lo fa sentire come... Come lì dentro. «Ma lo sai che finalmente mi è arrivata la carta speciale del Black Market?», non fa in tempo a finire la frase che l'ennesimo attacco lo coglie impreparato. Non può arrivare in bagno, per cui vomita nel lavandino della cucina. «Scusa.», non guardarmi, non alzarti da quel divano, non fare assolutamente niente. «E' solo...», cosa? - è solo che non riesco a riprendermi da quello che è successo? «Passerà tempo niente, credo sia un po' di febbre.», e questa, quanto meno, non è una menzogna. E' solo una mezza verità.
     
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    La prima settimana di scuola si era rivelata essere ben lontana dall'idea gloriosa che la giovane Rigby si era prefigurata. Quel tanto agognato settimo anno, quello che lei e i suoi amici si erano prefissati di vivere al meglio sin dal primo giorno, era iniziato con la nota più sbagliata che ci fosse. L'umore della Grifondoro, chiaramente, ne aveva risentito; sebbene provasse a mantenere una facciata di normalità, era evidente che dietro le sue iridi color nocciola frullassero continuamente pensieri di ogni sorta, dipingendo un'espressione perennemente accigliata sul suo volto olivastro. Per non essere ingurgita dal gorgo delle proprie stesse preoccupazioni, Veronica si era data una scansione rigida delle giornate: scuola, lavoro e studio - impegni, quelli, in cui si era gettata con anima e corpo pur di non darsi il tempo necessario a rimuginare sugli avvenimenti del rave. Ogni tanto, lungo i corridoi o in Sala Grande, i suoi occhi correvano ai compagni di avventura, scambiando un veloce sguardo che distoglieva presto. Quasi un segno di riconoscimento, un muto "sì, è successo davvero" che dava ben poco conforto ma che la faceva sentire meno sola. E in fin dei conti, non è che la Rigby volesse proprio saltare il discorso a pie' pari - tutt'altro - ma stava semplicemente in attesa. L'appuntamento che aveva prefissato con Benjamin il giorno del banchetto era stato un impegno in funzione del quale aveva vissuto il resto dei propri giorni, contando alla rovescia le ore che mancavano al momento in cui avrebbe potuto finalmente togliersi quel peso dal petto e sviscerare l'orrore che si sentiva in cuore - le proprie paure, le proprie preoccupazioni, il proprio bisogno di realizzare che tutto fosse reale. Il giovane Bellow era una delle poche persone con cui sentiva di potersi permettere un simile lusso.
    Appena uscita dal Toyland, Ronnie era passata al ristorante cinese di Hogsmeade per prendere qualcosa da asporto da portare a casa dell'amico. D'altronde che a stomaco pieno - specialmente di ravioli - si ragionasse meglio era un mantra del quale rimaneva fermamente convinta. Appropriatasi quindi della busta piena di cibo, calcò le stradine di Hogsmeade fino a casa del ragazzo, fermandosi di fronte alla porta per suonare il campanello. Nessuna risposta. Aspettò qualche istante prima di ripetere l'azione e proprio quando stava per premere il dito sul campanello una terza volta, il portone si aprì di scatto, rivelando un Benjamin che aveva tutto tranne che un colorito salutare. « Scusa, ero in bagno. Vieni, ho appena aperto un pacco di patatine. » Aggrottò la fronte, scrutandolo con l'occhio clinico di un genitore a cui il figlio sta dicendo che ha mal di pancia proprio nel giorno in cui il professore avrebbe dovuto interrogarlo. « Ho portato anche io qualcosa da mangiare. » disse, tuttavia, alzando la busta per mostrarla a Benjamin prima di farsi largo nell'appartamento e poggiare il cibo sul tavolo. Ormai conosceva a memoria le ordinazioni dell'ex Tassorosso: c'erano tutte le cose che lui prendeva solitamente.
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    Lasciato il giacchetto di pelle su un bracciolo del divano, la mora vi si abbandonò con la solita familiarità, scalzandosi le scarpe dai piedi per incrociare le gambe, su cui Pika saltò velocemente per accucciarsi. L'animale riuscì a strapparle un mezzo sorriso e qualche tenera carezza, distraendola abbastanza da non farle notare il quasi scivolone che per poco non fece cadere Benjamin col culo per terra. Prese per buone, infatti, le giustificazioni del ragazzo, annuendo con sguardo assente mentre avanzava una mano verso la ciotola delle patatine per servirsi. « Allora... Uhm... Com'è andata questa settimana a Hogwarts? E' successo... Qualcosa di strano, tipo? » Sospirò, appoggiando la schiena contro i cuscini del divano mentre si mordicchiava freneticamente il labbro inferiore. « E'...andata. Cioè, Hogwarts è sempre la stessa. » Fortunatamente. Una frase, quella, che fino a pochi anni prima avrebbe assunto una certa vaghezza e noncuranza, ma che in seguito al lockdown sembrava avere tutt'altro significato. Che Hogwarts fosse sempre la stessa, d'altronde, Veronica aveva imparato a non darlo per scontato - specialmente ora che gli incubi erano tornati ad affacciarsi sulla sua vita, rendendo plausibile ai suoi occhi un ritorno di quel periodo così buio e terribile. « Mia... Come sta? Non l'ho potuta aiutare coi compiti perché - ho avuto lezioni tipo a manetta... Il secondo anno di college inizia col botto, proprio... » Alzò una mano, come a volerlo interrompere. « Benji..tranquillo. Anche se non avessi avuto nient'altro da fare, direi che per un po' possiamo anche ritenerci esonerati da alcuni impegni. Mia sta bene..per quanto chiunque di noi possa stare bene, ovviamente. » Con ciò che abbiamo visto, è già grasso che cola se nessuno di noi abbia tentato il suicidio. Parole, quelle, che chiaramente non disse per non rendere l'atmosfera ancor più pesante di quanto già non fosse. « Tu..Che hai fatto in questi giorni? Io ieri sono andato al Rifugio, ci lavora la caposcuola Grifondoro, sai? Ho adottato un Mooncalf, troppo figo, te lo devo fare vedere. Si chiama Archibald. » I suoi occhi si illuminarono appena, lo spettro di una luce che in diverse circostanze sarebbe risultata ben più entusiasta. E forse, in fondo al cuore, lo era - come lo era sempre quando si trattava di condividere con Benjamin le piccole cose che davano gioia alle loro vite - ma la pesantezza delle ultime esperienze le rendeva difficile connettersi con quella parte di sé che riusciva a produrre sentimenti positivi. « Un Mooncalf? Sono adorabili. Non vedo l'ora di conoscerlo. » commentò, nel tono più sincero possibile, prima di fare una pausa. « Io..ho studiato..e lavorato. Insomma, ho cercato di mantenere il più possibile la mia quotidianità per non impazzire. » Ridacchiò, inclinando il capo di lato come se avesse fatto una battuta particolarmente divertente. E poi il silenzio. Lo guardò, aspettandosi che lui dicesse qualcosa, che avviasse il discorso per cui avevano deciso di vedersi. « Ma lo sai che finalmente mi è arrivata la carta speciale del Black Market? » « Ah. » pausa « Figo.. » Ma non fece in tempo ad aggiungere altro che il ragazzo si alzò di scatto, correndo verso il lavandino della cucina per riversarvi un conato di vomito impressionante. « BENJI! » Come avesse una molla sotto al sedere, la Grifondoro scansò velocemente Pika, alzandosi a sua volta per raggiungere l'amico e mettergli una mano sulla spalla, spostandola poi sulla sua fronte. « Cazzo, scotti. » « Scusa. E' solo...Passerà tempo niente, credo sia un po' di febbre. » Gli occhi di Ronnie si spostarono sul lavandino, dove alcune chiazze nere si agglomeravano viscose sull'acciaio. Rimase in silenzio, riportando lo sguardo a Benjamin da sotto le ciglia per mormorare « Non è febbre, Benjamin. » Non solo. Gli indicò quindi la sedia con un cenno del capo. « Siediti. » Con la vita da sin eater, Veronica aveva dovuto imparare presto a farci i conti, essendone letteralmente circondata. Quando tuo fratello migliore e il tuo migliore amico vomitano petrolio, devi pur capire come renderti utile. Fece dunque scorrere un po' di acqua fredda nel lavandino, osservando i rimasugli di vomito sparire nello scolo prima di mettere una pezzina sotto il getto e richiuderlo. « Alza il mento. » disse piano, poggiando una mano sulla fronte del ragazzo per reclinargli la testa quanto bastava per potergli appoggiare la pezza bagnata sulla fronte senza che scivolasse giù. L'ennesimo sospiro rassegnato infranse le difese delle sue labbra. « Vai avanti così dal rave? » chiese, con un tono di voce che sembrava sottintendere un "senza avermi detto nulla". « Cosa hai raccontato ai tuoi coinquilini? Intossicazione alimentare? » Perché da che mondo era mondo, nascondere alle persone con cui vivevi i sintomi da sin eater non era affatto facile. Prese la bacchetta, facendo ruotare il polso affinché un bicchiere d'acqua levitasse in direzione dell'ex Tassorosso. « Intanto bevi questo. Per i prossimi giorni ti faccio avere un decotto ad hoc - potrebbe non fermare il vomito, ma ti aiuterà con gli altri sintomi. » Indietreggiò appena, appoggiando un fianco al ripiano della cugina, le braccia conserte e lo sguardo fisso sul viso di Benjamin. « Perché volevi nascondermelo, Benji? Perché dirmi "ero in bagno" quando è evidente che questa cosa ti sta ancora torturando dopo giorni? Non capisco. Eravamo.. » Cosa? « ..eravamo lì insieme. Li abbiamo visti entrambi. Io.. » ..io ho accoltellato me stessa. O qualunque cosa fosse. Ti ho coperto le spalle. Scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli stancamente. « Non capisco. »


     
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    « Ho portato anche io qualcosa da mangiare. », Benji vorrebbe ringraziare, dire: 'non c'era bisogno, ho pensato a tutto!' - ma non riesce, perché è proprio in quel momento che un conato di vomito lo assale. Il pensiero del cibo, poi, non aiuta. Fa strada a Ronnie sino al soggiorno disordinato, intavolando con lei una conversazione assolutamente passiva. Tutto, pur di non tornare con la mente a quella sera. Tutto, pur di non rivelarle ciò che il proprio corpo urla a chiari segnali. Si sta riattivando. Il gene sin eater, la maledizione che tante volte ha sofferto. Sembra quasi dietro l'angolo, terribilmente vicina. Lo inquieta in modo inspiegabile, come se non ne avesse mai fatto esperienza: come se fosse la prima volta. Come se il passato si fosse annullato per far spazio ad un presente identico, ma non per questo meno spaventoso. « E'...andata. Cioè, Hogwarts è sempre la stessa. », ne sei sicura? - non riesce a trattenere quella sensazione, Benjamin. E' dipinta sul suo volto, sotto forma di un'espressione a metà tra il raccapricciato e il disilluso. E' davvero quello che pensi? - Hogwarts, per il Tassorosso, è diventata niente meno che una bomba ad orologeria. Attraversa il cortile per recarsi a lezione di Psicologia e non può fare a meno d'incrociare gli sguardi dei ragazzi che hanno affrontato le tenebre insieme a lui. Insieme a loro. Osserva i loro volti atterriti, ed è proprio in quel momento che gli è perfettamente chiaro quanto Hogwarts non sia più la stessa. «Oh, meno male, insomma... Meglio, perfetto così.», riempie la stanza di parole vuote, da perfetto deficiente che non è in grado di affrontare la situazione. Ma come potrebbe? Come potrebbe, se gli sta davanti la persona che ha rischiato di perdere e per cui avrebbe accettato, di buon grado, la sorte che zanne, artigli, acciaio, lame, buio ed ogni altra sua forma avrebbero decretato per lui? « Benji..tranquillo. Anche se non avessi avuto nient'altro da fare, direi che per un po' possiamo anche ritenerci esonerati da alcuni impegni. Mia sta bene..per quanto chiunque di noi possa stare bene, ovviamente. », ecco che Ronnie corregge il tiro. Ecco il riferimento, per quanto sottile, alla serata del rave. Ecco il mondo che gira intorno agli occhi di Benji, di nuovo, minacciando di schiacciarlo sotto il suo peso secolare. Per quanto si possa stare bene. E' una frase terribilmente vera. Fastidiosamente difficile da accettare, per Benji. Stanno bene oggi, ma domani? Cosa accadrà domani? Cosa accadrà dopo domani? E no, non si tratta solo di ansia. Non si tratta di qualcosa che si può affrontare razionalizzando, attraverso i libri di testo del suo corso di laurea in psicologia. Non è bastato l'acciaio, non sono bastati i lycan. Non è bastato nulla a quanto pare. E la cosa più assurda è che Benjamin Bellow, tormenti a parte, non riesca a fare a meno di pensare alla cosa più frivola del mondo, proprio in quel momento. A quanto sia bella Veronica. E gli fa male, la propria stupidità, gli sembra quasi di fare un torto al genere umano a pensare: Veronica, sei bellissima. Perché quale coglione si soffermerebbe su un aspetto tanto effimero, quando fuori sta per scoppiare la tempesta? Soltanto lui, lui e la sua timidezza, lui ed i suoi sogni impossibili, lui ed il suo innato spirito masochista, lui che si vuole rovinare con le proprie mani. Parla del Mooncalf, ora, subito. E lo fa, continua il teatrino, parla di argomenti assolutamente scollegati, fa riferimenti al tempo, al sole, alla pioggia, alle Converse, a Netflix, ai ravioli, al Quidditch, qualunque cazzo di cosa. Imbottisce il cervello di informazioni, cerca di saturare qualsivoglia forma d'impulso, qualunque accenno di coraggio a tinte puramente autodistruttive. Nega, persino a se stesso. Un abbaglio, ho preso un cazzo di abbaglio. E poi, ancora: si stava sacrificando per me. No, questo non deve esistere. Benji non può permetterlo. Lui deve allontanarla, deve farsi odiare, Veronica non deve battersi per nessuno. Deve battersi solo per se stessa, deve sopravvivere. E poi, ancora: si stava sacrificando per me, ed io la sto trattando di merda. Come se fosse una sconosciuta. E' vero, Benji è impacciato con lei, soprattutto negli ultimi tempi. Soprattutto da Maggio, quando ha definitivamente realizzato cosa significasse quel senso di capogiro allo stomaco nel momento in cui apriva la porta di casa e c'era lei con la solita porzione di ravioli cinesi per due. Ed è vero che si è chiuso a riccio, ma mai quanto adesso. Mai al punto da allontanarla di proposito. Si sente in dovere di farlo, perché lei deve uscirne viva, non deve correre rischi inutili. Ma si sente anche una merda, perché sta raccontando un mucchio di cazzate. A lei in primis. E a se stesso subito dopo. Quel suo tentativo di sminuire la cosa - ma sì, dai, mi passerà come passa a tutti; ma sì, insomma, ci sta, è la mia migliore amica, ci sto a contatto tipo sempre, mi piace per questo, mica per altro; ma sì, suvvia, è solo perché ha una personalità forte e accattivante - è stato completamente vano, nonché falso. Vomita anche i propri pensieri nel lavandino, insieme ad umori, tenebre, terrore, rabbia, odio, peccati, tutto. « BENJI! », Ronnie è subito dietro di lui. Di nuovo. Riesce quasi a vederla mentre pugnala se stessa. « Cazzo, scotti. », cerca di negare, Benjamin, ma stavolta non funziona. La recita è finita. Vorrebbe combattere, ma abbandonarsi a Veronica è così dannatamente semplice.. Lascia che lei lo soccorra. Di nuovo. No, Benjamin, smettila subito. Lei non deve salvarti, non può salvarti, non è la sua missione, deve prendere un'altra strada, devi respingerla, deve salvarsi, deve.. « Vai avanti così dal rave? », . Fa un cenno col capo, impercettibile, senza aggiungere altri dettagli. No, Benji, cazzo, non devi dirle niente, si preoccuperà e basta. Cercherà di fare qualcosa. Si metterà nei guai... Basta, devi lasciarla andare. E lei deve lasciarti andare. Benji... Benjamin apre gli occhi. Si ridesta con difficoltà dal sogno ad occhi aperti, raccontato dalla voce gentile di sua madre. Mamma? Benjamin si abbandona sul divano, la pezza bagnata che sgocciola sulla fronte, restituendogli una piacevole sensazione di fresco. « Perché volevi nascondermelo, Benji? Perché dirmi "ero in bagno" quando è evidente che questa cosa ti sta ancora torturando dopo giorni? Non capisco. Eravamo.. eravamo lì insieme. Li abbiamo visti entrambi. Io.. Non capisco. », davvero non capisci? Davvero ho ancora la possibilità di nasconderlo? Di nascondere la verità a me stesso? - perché non è più soltanto una questione di vomitare petrolio. E' una questione di tenerselo dentro. Tenersi dentro se stesso.
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    «Non voglio che ti preoccupi per me.», la frase più stupida della storia, ma anche la più vera, agli occhi di Benjamin. Perché Veronica sarebbe capace di fare di tutto per le persone a cui tiene, la conosce sin troppo bene. «Non voglio che tu sia parte di questa cosa. A cosa servirebbe? Come potresti aiutarmi?», non puoi farlo. E poi, perché devi soffrire anche tu? Perché devi guardarmi soffrire? - non ragiona lucidamente, Benjamin. Lo pensa, sì, ma non avrebbe voluto dirlo. E' stato uno stronzo. Lei lo ha salvato e lui la sta respingendo nel modo più brutale che esista. Traduzione: togliti dal cavolo perché sei inutile, non puoi alleviare il mio dolore quindi non vedo perché dovresti esserne informata o farne parte. Ma no, Benji non intende affatto questo, anche se le sue parole sono dure. «Veronica.», usa il suo nome per intero. Non lo fa quasi mai. «Scusa.», non intendevo questo. Tu mi conosci. Tu lo sai. E' inutile che fai finta di non saperlo perché lo sai, cazzo, lo sai. C'è davvero bisogno che lo dica ad alta voce? Come se non sapessi leggermi nella mente da sempre, cazzo. Come se non fosse lampante. «E' tutto un casino... Io... Io ho la testa confusa.», c'è solo una cosa chiara e cristallina. «Io non volevo dirtelo, cioè, io già lo so che non... Cioè che tu...», a parole tue, Benjamin, tranquillo. «Cioè, non mi riferisco alla cosa della febbre, del rave, insomma...», si tira a sedere, affonda il viso tra le mani e continua a tenere stretta la pezza bagnata. «Cioè, noi potremmo morire anche domani...», ecco, adesso penserà che sto delirando sul serio. E avrebbe anche ragione. Sto delirando? «Io non volevo dirtelo. Ma tanto ormai è andato tutto a puttane, quindi questa con le altre, no?», perché Benjamin dà assolutamente per scontato che andrà così e basta. Perché è un cazzone, è un deficiente, non dovrebbe fare niente, non dovrebbe dire niente. Quindi, capito, se lo merita che vada tutto a puttane. Se lo merita di perdere Ronnie per la propria idiozia. «Tu mi piaci, ok?»
     
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    Veronica era sempre stata una persona piuttosto pragmatica. Difficilmente la sua testa si soffermava su scenari ipotetici o poco realistici, né era solita andare troppo lontano nell'interpretare situazioni o comportamenti altrui. Ingenuamente, si aspettava sempre una corrispondenza netta tra ciò che vedeva e ciò che c'era realmente. Con un sorriso sulle labbra, la mora si definiva un'empirista. E in fin dei conti lei per prima era piuttosto diretta riguardo ciò che pensava: il classico tipo che la rabbia non sa tenersela dentro per più di cinque secondi senza esplodere. Quante volte le era capitato di dirsi "sì, adesso faccio la scaltra, adesso faccio un bel gioco mentale" per poi afferrare il telefono e urlare nella cornetta tutti gli improperi che le venivano in mente? Troppe per poterle contare. E dalla sua, per farlo, aveva sempre delle ragioni piuttosto oggettive, basate su ragionamenti di causa ed effetto. Con Axel, ad esempio, era stato logico pensare che lui l'avesse mollata perché non la riteneva alla propria altezza nobiliare: questo era ciò che lui le aveva passato e questo era ciò che lei aveva dato per buono, solo per poi sentirsi dire, dopo tempo e acqua passata sotto i ponti, che in realtà la verità era ben diversa. Ci aveva creduto? Non lo sapeva neanche lei. Ma una cosa era certa: ciò che non era lineare e facilmente constatabile tendeva a mandarla puntualmente nel pallone.
    Nel porre a Benjamin quelle domande, una parte di lei si aspettava una risposta pratica che l'altra parte sapeva di non poter ricevere. Quale ostacolo fisico, o precisamente delimitato, poteva essersi mai frapposto nel mezzo della loro comunicazione? Eppure l'indole pratica della Grifondoro sperava ancora in un qualcosa di tangibile - o forse, per meglio dire, in una risposta che non avrebbe fatte nascere altre domande. Quello che ricevette, però, fu l'esatto contrario. « Non voglio che ti preoccupi per me. » Schiuse le labbra, fissando Benjamin con un'espressione tra l'esterrefatto e l'interrogativo. Sul serio, Benjamin? Anche tu con questa storia? Cos'è questa fissa di voi uomini nel nascondere la verità per paura che..bo..ci dia pensiero?! « Beh, mi dicono che il tuo piano è andato proprio alla grande. » commentò sarcasticamente, con una vena pungente nel tono di voce. Si sentiva in qualche modo offesa dalle parole dell'amico, come se quella sua decisione apparentemente altruista celasse in realtà qualcosa di diverso - qualcosa che a lei non andava affatto giù. E di certo a farle accettare quella risposta non aiutava il fatto che quelle parole echeggiassero quasi alla lettera la stessa identica scusa che Axel le aveva propinato per il suo comportamento. Nel sentirsele ancora una volta, fu un moto di frustrazione a montarle nel petto, colorandole le guance olivastre di una sfumatura più intensa mentre sulle sue iridi affluiva un fiume di emozioni e parole soppresse. Mosse un paio di passi nell'ambiante, le braccia incrociate al petto in chiaro sintomo di turbamento, quello che precedeva l'inevitabile esplosione. E infatti, quando capì che la calma non era più riconquistabile, si piazzò di fronte al ragazzo. « Tu non l'hai fatto per me, Benjamin. L'hai fatto per te stesso, e vuoi raccontarti che la motivazione di questa scelta sia quella di proteggermi. Vuoi sapere perché non me lo hai detto? Mh? Perché in quel caso avresti dovuto ammettere che da solo, questa cosa, non la potevi gestire - che hai bisogno di supporto, anche solo morale. E Dio ce ne scampi e liberi, giusto? » È sempre la stessa fottutissima storia ogni volta. Per evitare di fare i conti con le vostre vulnerabilità, dovete farle passare per nostre. Dovete dirvi che state facendo qualcosa di altruista. Ma che dico altruista? Qualcosa di eroico! Quando forse la cosa più eroica sarebbe ammettere che avete dei limiti, come tutti gli altri esseri umani. Odiava quella sensazione: quel sentirsi tagliata fuori dalla vita delle persone a cui dava sempre il cento percento di sé stessa. E forse, quella volta, era ancora peggio, perché Benjamin era l'ultima persona da cui se lo sarebbe aspettato. Tra tutti quanti, eri proprio tu quello che ritenevo diverso. « Non voglio che tu sia parte di questa cosa. A cosa servirebbe? Come potresti aiutarmi? » Fece per aprire le labbra, ma si bloccò, mentre pian piano lo sguardo color nocciola passava dalla frustrazione alla mortificazione. Veronica sapeva benissimo di non avere gli stessi strumenti di Benjamin o Mia per affrontare quella realtà: l'aveva sempre vissuta un po' dall'esterno, al loro fianco, cercando di aiutare come poteva pur senza farne davvero parte. A lei, la Loggia, non aveva concesso l'opportunità di aprire varchi tra mondi o di difendersi con zanne e artigli. La maggior parte della volte si era sentita indifesa, lasciata in balia di un fato crudele che non poteva né comprendere a fondo né combattere con le giuste armi. Nel suo piccolo, tuttavia, aveva sempre dato il massimo - se non per risolvere, quanto meno per non intralciare. Deglutì, sollevando il mento per cercare di nascondere quanto quelle parole la facessero sentire piccola e insignificante agli occhi di Benjamin. « Magari non posso. Ma non stava a te deciderlo. » disse a voce bassa, scuotendo appena il capo come a sottolineare ulteriormente quelle parole mentre il suo sguardo si piantava serio in quello di Benjamin. Tu me l'hai tolta la possibilità di scegliere. Hai deciso arbitrariamente cosa fosse meglio per me, tagliandomi fuori da una decisione che spettava soltanto a me. Tuttavia, quella volta, Benjamin sembrò accorgersi dell'errore commesso nel pronunciare frettolosamente quelle parole. « Veronica. Scusa. » Non disse nulla, distogliendo lo sguardo e portandolo in un punto imprecisato dell'ambiente per non cedere alla pressione di una frustrazione che, lo sapeva, avrebbe potuto portarla anche alle lacrime. Erano poche le persone a cui teneva quanto teneva a Benjamin, poche quelle che riuscivano a scalfire così a fondo la sua scorza dura per intravedere la fragilità che si celava al di sotto di essa. La stessa fragilità che le faceva gli occhi lucidi, in quel momento, creandole il bisogno fisico di non guardare l'amico negli occhi per timore di crollare definitivamente. Lì, di fronte a lui, si ritrovò a detestare la propria emotività; ma soprattutto a detestare il fatto che, a differenza di Axel, Benjamin godeva del privilegio del perdono immediato. Con l'ex ragazzo le riusciva più facile tenere la propria posizione, ma con l'ex Tassorosso non era la stessa cosa: bastava che lui le chiedesse scusa, ed ecco che già la mora cominciava a cedere. « E' tutto un casino... Io... Io ho la testa confusa. Io non volevo dirtelo, cioè, io già lo so che non... Cioè che tu... » Fu solo allora che le iridi di lei tornarono a ricercare quelle del ragazzo. Le sopracciglia della ragazza si aggrottarono istintivamente sul suo sguardo confuso, incapace di predire che piega stesse prendendo quella conversazione. « Cioè, non mi riferisco alla cosa della febbre, del rave, insomma... Cioè, noi potremmo morire anche domani... » Per un istante, le guance di Veronica persero colore e le sue palpebre si spalancarono fino a farla assomigliare ad un cerbiatto che si vedeva venire incontro i fari di un auto senza tuttavia trovare la forza di muoversi dalla strada. Fu una frazione di secondo, ma in quel frangente di tempo la testa della Grifondoro si affollò di ipotesi e preoccupazioni riguardo ciò che Benjamin stava per dirle, senza tuttavia riuscire a fermarsi su nessuna nello specifico. « Io non volevo dirtelo. Ma tanto ormai è andato tutto a puttane, quindi questa con le altre, no? Tu mi piaci, ok? » Ah. Quella ipotesi, però, nel suo cervello non era mai passata. E fu proprio in virtù di ciò che venne assalita da una sensazione di puro shock iniziale, come se quelle parole non avessero alcun senso. Eppure il senso c'era, e man mano che i secondi passavano, scanditi da un silenzio che pareva interminabile, tutto iniziava a tornare. Quelle piccole cose che non aveva notato, quelle che aveva trovato strane, o che aveva ritenuto illogiche - in quell'istante parve tutto quadrare e assumere significato. Solo una cosa, in quel nuovo quadro, le appariva come una nota discordante. Una cosa piccola e stupida, che Ronnie stessa non sapeva quale giovamento avrebbe potuto portarle nel metterla a sistema. Eppure era così da Ronnie, non riuscire a trattenersi dal chiederla. « Perché non mi hai invitata al ballo? » chiese in un soffio, come se stesse ponendo la domanda più importante di tutte, la cui risposta avrebbe decretato il resto delle loro vite.
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    Era davvero così importante saperlo? Avrebbe cambiato qualcosa? L'avrebbe fatta sentire meno confusa di fronte a quella dichiarazione inaspettata? Probabilmente no. Ma in quel momento era ciò che lei voleva sapere più di qualsiasi altra cosa: il motivo per cui Benjamin aveva deciso di andare al ballo con Wednesday Mortimer piuttosto che con lei. E io cosa avrei fatto se tu me lo avessi chiesto? Probabilmente ci sarebbe andata, spiegandosi il tutto con un rimedio reciproco alla solitudine. Ma sarebbe stato vero? O sarei caduta anche io nell'errore di darmi una scusa? Troppe domande a cui non sapeva rispondere. E dopo ciò che avevano vissuto non più di una settimana addietro, l'equilibrio psico-fisico della ragazza non era di certo adatto a guardare con obiettività un qualcosa che già in condizioni normali l'avrebbe lasciata piena di dubbi. Portò lo sguardo fuori dalla finestra per qualche istante, perdendosi nei propri pensieri inconcludenti mentre sotto pelle le si insinuava la netta sensazione che, qualunque cosa avesse fatto in quell'istante, avrebbe avuto delle conseguenze enormi sul suo immediato futuro. Sto facendo la cazzata più grossa della mia vita? Una domanda rivolta all'etere la sua - una che, prevedibilmente, non ricevette alcuna risposta o segnale cosmico. Beh..volevi una scelta, Ronnie. Contenta? Sospirò, avvicinandosi cauta a Benjamin per squadrarlo, con la scusa di togliergli la pezza bagnata dalla fronte. Solo che una volta tolta, non si scansò. Rimase lì in piedi di fronte a lui a fissarlo in silenzio, col battito cardiaco accelerato che le martellava nel petto mentre una mano si posava sulla guancia di lui con la delicatezza di chi ha quasi paura che gli venga morsa. « Potremmo morire anche domani. » ripeté le parole di lui con una sfumatura pensierosa nel tono di voce. E mentre le pronunciava, mosse un passo in avanti, poggiando prima un ginocchio e poi l'altro sul divano per lasciarsi sedere lentamente a cavalcioni sulle gambe di lui. Chinò il capo di lato, facendo scorrere per un istante lo sguardo dagli occhi alle labbra di lui fino a riportarli sugli occhi e trascinare piano il bacino verso quello della sua controparte. « Se dovesse accadere, rimpiangerei di non aver fatto qualcosa per paura. » mormorò infine, prima di avvicinare il viso a quello di Benjamin e chiudere gli occhi, appoggiando le labbra su quelle di lui e facendo scivolare la mano sul suo collo. Magari la sto facendo davvero, la cazzata della vita, ma preferisco maledirmi per averla fatta piuttosto che chiedermi cosa sarebbe stato altrimenti.

     
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    « Beh, mi dicono che il tuo piano è andato proprio alla grande. », coglie subito l'ironia nel suo tono di voce. Non posso che concordare, si trova a riflettere, mentre di nascosto la osserva camminare avanti e indietro nel soggiorno. Sa che sta cercando di trattenersi. Vuole farlo perché Benjamin è steso sul divano, sta male, è provato fisicamente - e mentalmente -, Veronica al cinquanta per cento non ha intenzione di urlargli addosso. Il restante cinquanta per cento, però, non riesce a nascondere la verità, e infatti poco dopo scoppia: « Tu non l'hai fatto per me, Benjamin. L'hai fatto per te stesso, e vuoi raccontarti che la motivazione di questa scelta sia quella di proteggermi. Vuoi sapere perché non me lo hai detto? Mh? Perché in quel caso avresti dovuto ammettere che da solo, questa cosa, non la potevi gestire - che hai bisogno di supporto, anche solo morale. E Dio ce ne scampi e liberi, giusto? », hai ragione. Benjamin l'ha fatto per se stesso. Perché rivelare il proprio conflitto interiore, sino in fondo, farebbe troppo male. Perché sarebbe costretto a portare alla luce ben altre verità oltre all'emozione di costante paura, venuta fuori a causa del rave e dello spiraglio verso il buio profondo da esso aperto. Benjamin l'ha fatto perché non può permettersi di soffrire, non adesso. Non quando gli vengono richiesti forza e coraggio per affrontare qualcosa di più grande di lui. Di loro. Ed è per questo che continua a negare l'evidenza, portando le argomentazioni sull'unica cosa innegabile che ha a disposizione: Veronica non fa parte di quel mondo. E sarebbe estremamente doloroso, per Benjamin, consentirglielo. Resta al sicuro. Non puoi aiutarmi. « Magari non posso. Ma non stava a te deciderlo. », la solita Veronica. Così impavida, così sicura, così tutto. Così emotiva, con la pelle d'oca che si scorge appena tra la T-shirt e le cuciture dei jeans. Perché non è soltanto parolacce e dimostrazioni di forza. Porta dentro sentimenti, come tutti: solo che non lo mostra, e a ben pochi è concesso di entrare in quel mondo interiore, nascosto sotto strati di battute di spirito e indifferenza. E' proprio quel mondo che Benji teme venga precluso, una volta emersa prepotente ogni bugia - o mezza verità - finora raccontata. Prende la propria scelta molto rapidamente, quasi inevitabilmente, come se una tenaglia dall'esterno tirasse a forza ogni parola, una dopo l'altra, impedendogli di riprendersele nell'esatto istante in cui si accorge di averle pronunciate. Tu mi piaci. Adesso non ha più segreti, Benjamin. Non nei confronti di Veronica. Ha ristabilito il sacro patto dell'amicizia, stretto anni ed anni prima, sacrificando la propria sicurezza in favore dell'onestà nei confronti della Grifondoro. Piaci a tutti. E' innegabile. Sei bellissima, non hai paura di niente, sei coraggiosa, sei una forza della natura. Questa volta lo pensa e basta, perché lo spirito di autoconservazione suggerisce di non spingersi troppo oltre. Ha già fatto abbastanza, Benjamin. E' stato sincero. Adesso può tornare con la coda tra le gambe nel proprio angolino, osservando passivamente il districarsi degli eventi nel modo più congeniale a Veronica. Già lo sa: si vedranno di meno. Poi soltanto alle feste comandate e ai compleanni degli amici in comune. Poi toglierà il nomignolo con cui l'ha salvato sul telefono. Poi non si vedranno direttamente più, e sarà tutto soltanto un meraviglioso ricordo - da lui rovinato. Tu piaci a tutti per queste ragioni, ma a me... A me anche per un'infinità di altre cose. Io ti conosco davvero. Io ti ho vista quando sei debole, quando hai paura - come l'altra sera. Sono cresciuti insieme, se così si può dire. Tra ginocchia sbucciate e schiaffi in pieno viso quando se lo meritavano - abbastanza spesso, dato che quando si è complici ci si fa prendere un po' la mano, sino a combinare svariati casini - e più recenti partite alla play, dove si mettono in squadra insieme senza alcun bisogno di mandare messaggi in codice su come agire, poiché conoscono perfettamente l'uno la tattica dell'altra. « Perché non mi hai invitata al ballo? », quella domanda, a scapito di tutto ciò che si è appena detto, spiazza letteralmente Benjamin. In realtà, gira e rigira, la risposta è comunque sempre la stessa. Non sono un Grifondoro. Né di nome, né di fatto. «Ho visto... Quando è iniziata la caccia...», cerca di spiegare quanto sia realmente accaduto, togliendosi l'ennesimo dente di sincerità. «Ovviamente ho seguito te. Perché...», perché volevo invitare proprio te, oltre a farmi male sul realizzare chi ti avrebbe invitato e non fare assolutamente niente per cambiare le cose, «Sarebbe comunque potuto sembrare che lo facevo per... Tipo assicurarmi tu stessi bene. E ho visto che ti ha raggiunta Axel. Direi che non c'è bisogno di aggiungere altro...», immagino sia ben lontano dall'essere un capitolo chiuso. Sa perfettamente come siano andate le cose tra loro due, in passato. Non è aggiornato sui più recenti sviluppi - ed in questo ha fatto dei progressi: ha evitato di farsi del male ulteriore chiedendo -, ma riesce a immaginare che tipo di pensieri abbiano attraversato la mente di Veronica. Ci starei, non fosse così sfuggente e tormentato. E quindi, qualunque cosa possa accadere, l'opzione Benjamin sarebbe una seconda scelta. « Potremmo morire anche domani. », gli scosta la pezza bagnata dalla fronte, ed i loro occhi scuri si fondono in un unico sguardo. Ha paura a interrompere quel contatto, quasi che potrebbe venirgli a mancare per sempre. Vuole imprimersi tutte le sfumature dell'emozione che prova: brivido, voglia di ridere, pericolo ed anche sicurezza. Legge tutto questo nella figura di Veronica... Poi lei accarezza la sua guancia. Quasi istintivamente, Benji porta la mano sopra la sua, esattamente dove vuole che resti. Quante volte si sono toccati, abbracciati, accarezzati... Troppe, davvero. Ma nessuna volta è stata come questa.
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    « Se dovesse accadere, rimpiangerei di non aver fatto qualcosa per paura. », deglutisce, Benjamin, terrorizzato ed eccitato per ciò che sta per verificarsi. Non ci crede. Non ci crede nemmeno quando Veronica si siede sopra di lui, sul divano, e lo bacia. Va letteralmente in tilt, recupera la ragione soltanto alcuni istanti dopo. Se l'è perso. Si è perso il loro primo bacio. Era troppo concentrato sul non sembrare un perfetto idiota dopo aver fatto una dichiarazione di cui sicuramente si sarebbe pentito. Ed è allora che capisce che deve fare qualcosa, o potrebbe perdere la possibilità di farlo per sempre. E' lui che adesso la bacia, portandole una mano tra i capelli e scostandoglieli dal viso di cui ricorda ogni curva e spigolo. Chiude gli occhi per annullare la propria timidezza, quella che costantemente lo caratterizza, quella personalità che si è cucito addosso e da cui non riesce a scrollarsi. La sua mano scende lentamente lungo il profilo della schiena di Veronica, superando il semplice contatto amichevole che finora c'è stato tra loro. Tu mi piaci davvero. Inizia a giocare con le travette dei jeans della ragazza, sino a raggiungere la parte anteriore dell'indumento, dove apre il bottone e tira giù la cerniera. L'unica cosa che gli viene da dire fa abbastanza ridere, ma lui la sussurra ugualmente: «Potrebbe tornare Tommy..», ma non si ferma lo stesso. E' andato troppo oltre per farlo, adesso. Ha preso una scelta, dopo averci rimuginato su mesi interi. Non è tipo da cambiare i piani in corso d'opera. E' per quello che lascia scivolare via i jeans di Veronica, mettendosi a sedere sui gomiti e osservandola come se la vedesse per la prima volta. Sorride, un po' impacciato, poi la bacia di nuovo, questa volta spingendola indietro, verso l'altra estremità del divano, mentre le sue labbra continuano a scendere in basso, sino all'interno coscia, dove si sofferma per darle piacere. Per provarlo lui stesso. Ti volevo da troppo, questa è l'unica cosa che riesce a pensare. Quella di cui si rende conto nel vero senso della parola - perché fino a quel momento, è stato tutto molto soffuso, una sorta di ideale conservato nel proprio cuore, nascosto a doppia mandata, ma pur sempre un ideale impalpabile. Adesso la tocca con le mani, stringe la sua pelle, sa che ne vorrebbe di più e che non può accontentarsi di averne di meno. Vorrebbe chiederle sei sicura? - ma non lo fa. Non è sicuro neanche lui, nel senso che continua ad essere terrorizzato di poter rovinare tutto quello che hanno, dopo averlo fatto insieme. Ma non riesce a staccarsi, non vuole farlo, ed è per questo che si distende sopra Veronica, la bacia sul collo, varca qualsiasi tipo di limite silenziosamente stabilito dalle convenzioni tra due amici. Inizia a muoversi lento, poi più veloce, sulla scia del ritmo dei propri pensieri. Sono tutti focalizzati su di lei.
     
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    « Ho visto... Quando è iniziata la caccia... » Aggrottò la fronte, fissandolo in cerca di una risposta che potesse mettere a tacere ogni dubbio nella sua testa. Perché il comportamento di Benjamin non corrispondeva a ciò che le aveva detto? Perché non invitarla al ballo, quando era evidente che il Midsummer avesse gettato tutti i presupposti affinché lui potesse farlo? Diamine Benjamin, se è vero ciò che dici, ti fai proprio passare le occasioni sotto al naso. « Ovviamente ho seguito te. Perché... » Inarcò un sopracciglio, intimandolo mutamente a proseguire in quella spiegazione. « Sarebbe comunque potuto sembrare che lo facevo per... Tipo assicurarmi tu stessi bene. E ho visto che ti ha raggiunta Axel. Direi che non c'è bisogno di aggiungere altro... » Pardon? Strabuzzò leggermente gli occhi, colpita da quelle affermazioni. Una parte di sé avrebbe voluto controbattere ad ogni virgola di quelle parole, sottolineando quanto fosse assurdo quel ragionamento. Tuttavia decise di abbandonare quel campo di battaglia, riconoscendo a se stessa che, semplicemente, Benjamin era fatto in quella maniera. Scosse quindi il capo, sospirando a fondo prima di piantare lo sguardo nel suo con aria eloquente. « Tu pensi davvero troppo, Benjamin. » fu il suo unico commento. Tipo a livelli malsani. Ma non ti rendi conto di quante paturnie ti sei fatto per uno stupido invito al ballo? Eppure la cosa non la stupiva più di tanto: conosceva Benji abbastanza bene da sapere che spesso e volentieri la sua testa cominciava a vorticare troppo velocemente, producendo un treno di pensieri incapace di arrestarsi. Quella sera ne era la prova. Ma il beneficio di conoscerlo a quel punto stava anche nel sapere come disinnescare la bomba. Era molto semplice, in realtà: bisognava soltanto farlo smettere di pensare. Di solito Ronnie ci riusciva dandogli da mangiare, oppure sfidandolo ai giochi in cui lui era più bravo; quella sera, tuttavia, il procedimento fu molto diverso. Diverso era forse la parola migliore per descrivere quel miscuglio di sensazioni che provò quando la mano di lui scese lungo la sua schiena: perché diverso non era solo il metodo, ma l'intero approccio che stavano attuando l'uno nei confronti dell'altro. Ridefinivano i confini del loro rapporto, scoprendosi a vicenda sotto una luce mai vista fino ad allora. Gli sarebbe piaciuta anche in quel caso? Oppure si trattava solo di una cotta fondata sulle basi idealizzate di un'amicizia profonda? Non poté fare a meno di chiederselo, quando sentì scendere la
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    zip dei propri jeans. « Potrebbe tornare Tommy.. » Ansimante e senza fiato per il contatto appena interrotto tra le loro labbra, lo fissò per un istante senza capirci nulla, ritrovandosi poi a scuotere velocemente il capo. « Chi se ne frega! » fu il suo commento veloce, mormorato concitatamente in un filo di voce prima di incollare nuovamente le labbra a quelle di Benjamin, agevolandolo coi propri movimenti nell'impresa di toglierle i jeans, mentre lei dal canto suo gli sfilava la maglietta. A quel punto era evidente che ci sarebbe stato un prima e un dopo quel momento. Stavano vivendo un punto di non ritorno, un giro di boa completamente imprevedibile. Eppure l'incognita sul destino che li attendeva non sembrò mandare nel panico la Grifondoro - tutt'altro! Provava una certa ebbrezza, nel non sapere, nel fare all in e giocarsi tutto senza alcuna garanzia o tattica. L'intimità, per lei, non aveva mai comportato quel rischio. Quando era successo con Axel, stavano già insieme, mentre le altre sue esperienze erano state più occasionali e nulla avevano avuto a che spartire col senso di fiducia. Per quanto paradossale, quell'esperienza per lei costituiva un territorio completamente inesplorato: si fidava ciecamente di Benjamin, ma lo aveva sempre fatto in maniera diversa. Adesso, tuttavia, quella fiducia sembrava assumere dei connotati diversi: gli stava mostrando l'unica parte di sé che gli era stata preclusa per tutta la durata della loro amicizia. Hai sempre avuto tutto il resto. Hai avuto il mio affetto, la mia fiducia, i miei segreti, le mie parti migliori e anche quelle peggiori. Tutto il pacchetto malandato chiamato Veronica Rigby. E te ne sei preso cura, ogni giorno, più di chiunque altro, senza giudicarmi o buttarmi via quando il prezzo non valeva il contenuto. Io, dalla mia, penso - o forse semplicemente spero - di aver fatto lo stesso con te, anche se a quanto pare non ne sapevo tanto quanto credevo. Eppure..perché non dovrei conoscerti anche così? Perché questo momento deve necessariamente rovinare tutto? Forse lo avrebbe fatto, o forse no. Ma Veronica era il tipo di persona che non sapeva vivere con un rimpianto. Preferiva buttarsi di testa e andare a fondo delle questioni anche a costo di frantumarsi ogni osso nel proprio corpo. Sei dentro di me in ogni caso. Un gemito sommesso abbandonò le labbra della ragazza quando lui scese verso il suo interno coscia, portandola ad arricciare le dita dei piedi e tendere il bacino verso di lui in un istintivo moto di piacere. Ricercava le sue attenzioni, i suoi contatti, il suo sguardo - tutto quanto. E man mano che andava avanti, anche la sua di testa cominciava a svuotarsi di dubbi e pensieri, lasciandolo procedere sul suo corpo prima di agganciare le mani sulla cintura che gli teneva su i pantaloni, slacciandola velocemente per aiutarlo a disfarsi anche di quegli ultimi indumenti rimasti. Una piccola risata cristallina le lasciò le labbra in un moto di pura gioia e divertimento, quando premette entrambi i palmi sul petto di lui, spingendolo quanto bastava a farlo mettere a sedere. Balzò giù dal divano in un movimento giocoso, appoggiando i palmi sulle ginocchia di lui e scendendo piano in ginocchio, fissandolo con uno sguardo che lasciava ben poco all'immaginazione. Non aveva alcuna fretta. Si prese tutto il tempo necessario a mettersi comoda nello spazio tra le sue gambe, accarezzandone la lunghezza in tocchi lenti e calibrati. Fece per sfilarsi l'elastico per capelli dal polso, ma quando l'ebbe tolto, sembrò ripensarci, gettandolo a terra. Serve proprio? - sembravano chiedergli i suoi occhi, quando strinse le dita tra quelle di lui, conducendogli la mano sulla propria guancia in un gesto che voleva guidarlo sul da farsi. Facciamo a capirci, Benjamin. Non sono un tenero fiorellino. Si chinò quindi in avanti col capo, facendo scorrere la punta della lingua sulla sua lunghezza più volte, lenta, fino a chiudervi le labbra intorno. Gli occhi di Veronica non sembravano ricercare alcuna pudicizia - non fuggivano, non evitavano quelli di lui, ma piuttosto li ricercavano come a voler leggere sul volto di Benjamin la conferma dei suoi movimenti. Un gioco, quello, che la Grifondoro sembrò portare volutamente alle lunghe, intensificando di secondo in secondo quel contatto fino a sentirsi bruciare la gola. « Lo vedi che quando pensi un po' meno succedono anche cose belle? » lo stuzzicò, scoccandogli uno sguardo malizioso prima di sfiorare la sua punta con la lingua in un ultimo contatto giocoso. Si riteneva piuttosto soddisfatta - e probabilmente le si poteva leggere quella soddisfazione in faccia, quando si rimise in piedi. Posizione, quella, che tenne solo per poco, giusto il tempo di tornare a cavalcioni delle sue gambe, allacciando le braccia al collo di lui. Non andò fino in fondo, non ancora, preferendo aderire con la propria intimità a quella di Benjamin, facendo scorrere il bacino in avanti e in dietro con lenti movimenti ancheggianti. Il suo respiro cominciò a farsi pesante, inframezzato dai piccoli gemiti di piacere che quella frizione le scatenava nel corpo. Eppure, a parte quel contatto, Ronnie sembrava tenersi a distanza, impostando un gioco volto a vedere fin dove Benjamin fosse pronto a spingersi. Perché secondo me, sotto quel faccino da brava ragazzo e la tranquillità per cui tutti ti conoscono, ci sta altro. E io sono interessata a vedere proprio quello. Voglio vedere il Benjamin che non ha visto nessun altro. « Mmh..lo conosci quel proverbio? » lo incalzò, sollevando il mento per osservarlo con aperta aria di sfida, continuando a muoversi su di lui. « Com'era? Ah sì. L'acqua cheta rompe i ponti. » Sorrise, sfidandolo ancora di più con movimenti più intensi, più calibrati, per poi battere le ciglia con finta ingenuità. « È vero, Benji? » Non provarci nemmeno, a trattenerti.

     
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    « Tu pensi davvero troppo, Benjamin. », una frase semplice che coglie decisamente nel segno. Mai verità fu più assoluta di questa. Mai parole risuonarono maggiormente nell'animo del giovane Tassorosso. Vorrei non farlo. Di certo si sarebbe risparmiato infiniti problemi, scocciature e blocchi mentali causati solo e soltanto, appunto, dalla propria tendenza a pensare troppo. Come si fa a vivere d'istinto? - beh, senza andare troppo lontano lo sta scoprendo adesso. L'ha scoperto al rave quando contava la sopravvivenza, mettere al sicuro Veronica, evitare che si facesse del male. Lo scopre in questo preciso istante, dopo essersi appena ripromesso di non dire nulla, infrangendo la clausola l'attimo dopo. Avvicinando le proprie mani inesperte alla pelle di Veronica, incredibilmente morbida - identica a come l'aveva immaginata, e per questo sorprendente. «Stai dicendo che...», ma non riesce - non è da lui! - ad annullare i pensieri, nonostante l'immagine paradisiaca della ragazza che sogna da mesi gli stia di fronte, un invito non troppo innocente dipinto sulle sue labbra carnose. «Stai dicendo che... Insomma, Ax... Lui... Non...», Axel l'aveva invitata al ballo del Midsummer. Veronica aveva accettato. Per Benji le due proposizioni, messe insieme, significavano una cosa soltanto: lui desidera lei e lei desidera lui. Sicuramente, oltre al fatto di non essere affatto coraggioso, l'idea di mettersi in mezzo a qualcosa di già compiuto - secondo la propria personalissima percezione degli eventi - di certo ha giocato un ruolo non indifferente nel farlo desistere dal rivelare a Veronica le tre fatidiche paroline. Tu mi piaci. Rimbombano tra le pareti della cucina, impregnano la stoffa del divano, fanno tremare la sua voce e rendono affannato il suo respiro. «Pensavo volessi stare con lui lo stesso, nonostante i precedenti tra voi. Benji è a conoscenza di quella storia. Non che abbia intenzione di rivangarla proprio adesso - nel momento in cui stringe Ronnie tra le braccia e smette definitivamente di nasconderle la verità -, ma deve quanto meno chiarire a se stesso, nonché a lei, il motivo per cui abbia tanto atteso. Oltre al terrore di rovinare tutto. Ed oltre ad essere un perfetto idiota, deficiente e cagasotto. E' ancora così che si sente, quando delicatamente abbassa la zip dei jeans di Veronica, adducendo l'ultima scusa del repertorio prima di compiere uno dei passi più folli della propria vita: potrebbe arrivare Tommy. Fermami adesso, ti prego. Sii ragionevole. Fai quello che avrei dovuto fare io, fai quello che mi aspettavo da te: respingimi. Una preghiera assolutamente masochista, silenziosa, necessaria. « Chi se ne frega! », lo prende in contropiede e, Benji deve ammetterlo, una grandissima parte di lui ci sperava - pur non osando ammetterlo. Lei gli sfila la maglietta e lui si sente stranamente accaldato, nonostante il vento fresco dell'autunno che li accarezza da una finestra aperta. Poggia le mani sul suo petto e lo fa cadere sul bracciolo opposto del divano - lasciandolo anche mezzo sbigottito. Cosa sta fac... - pensa, pur sapendolo perfettamente. Lo sguardo malizioso nei suoi occhi scuri lo conosce bene, davvero, ma fino a quel momento non è mai stato rivolto a lui. Se possibile, questo contribuisce a farlo eccitare ancora di più. Riesce solo a bisbigliare: «Oddio, Veronica..», e poi chiude gli occhi per non risultare troppo assuefatto dalla presenza della ragazza, dalle sue azioni, dalla sua lingua che scivola pericolosa tra le sue gambe. Riesce a produrre soltanto mugolii, improvvisamente privato dalla facoltà di articolare due parole di senso compiuto una dietro l'altra. Riapre gli occhi e nota che lei lo sta guardando: questo lo fa avvampare, da un lato, dall'altro sorridere, dall'altro ancora gemere di piacere. Ne richiede ancora, ancora, possibilmente finché Tommy non arriverà davvero. « Lo vedi che quando pensi un po' meno succedono anche cose belle? », si riprende solo dopo alcuni istanti, interrotto prima di arrivare al culmine dell'eccitazione e curiosamente felice di esserlo stato. Perché così potrà continuare. E' un pensiero che non avrebbe dovuto fare, non sulla propria migliore amica, ma non può negare di averlo fatto, di volerlo fare, di non chiedere altro che di continuare a farlo ancora. Lei esaudisce quel desiderio sedendosi sopra di lui, ancora inumidito dalla saliva e inebriato dal calore del suo sesso.
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    Accompagna con i fianchi il movimento di Veronica, mentre le mani vanno a stringerle i glutei - quelli che ogni tanto, ma solo ogni tanto, si era permesso di osservare senza farsi notare. E' in quel momento che ricorda di non aver ancora osservato un'altra cosa. Ed è per questo che si arroga il diritto di sollevare la maglietta che indossa, scoprendone il ventre asciutto e i seni ancora nascosti. Scioglie la fibbia ed è certo, proprio in quell'esatto istante, di aver emesso un altro gemito, prima di avvicinarsi con la lingua al suo capezzolo, ascoltando solo distrattamente l'argomentazione di lei sull'acqua cheta. Con le mani ne stringe la schiena, affondando la testa nel suo petto e continuando ad assecondare i suoi movimenti, chiedendole con lo sguardo di andare più forte, più veloce, di godere lei stessa affinché lui possa farlo. Perché è proprio l'espressione del volto di Veronica ad eccitarlo maggiormente, più dell'atto in sé e per sé. « È vero, Benji? », si sente piacevolmente istigato dalle parole della ragazza, tanto che quando lei si stacca, solo per un istante, Benjamin ne approfitta per alzarsi dal divano, facendola scivolare di fianco - forse un po' sorpresa dall'interruzione. E' a quel punto che la fa piegare sulle ginocchia, il viso rivolto al muro cui il divano è appoggiato. «Suppongo di sì.», risponde, una sicurezza inspiegabile che gli suggerisce di stringerle un seno mentre, eccitato, strofina la sua punta tra i glutei di lei per arrivare, infine, alla sua intimità. Inizia ad aprirla piano, vibrando di piacere e facendoglielo notare senza remore. Poi procede più forte, osservando il corpo di Veronica che si scuote di fronte a lui. Oddio, Veronica... - vorrebbe dirlo di nuovo, ma si sentirebbe patetico a ripeterlo una seconda volta, dopo averlo quasi urlato poc'anzi. La verità è che potrebbe continuare altre tre ore così, o forse altre dieci, o anche per sempre. Quella ragazza gli manda il cervello in tilt, esattamente come aveva previsto sarebbe accaduto. E forse sta sbagliando tutto, forse si sarebbe dovuto negare quell'istante di paradiso per non sprofondare nell'imbarazzo il giorno dopo, eppure continua a premere contro di lei, continua a stringerle il seno, continua a desiderare il suo calore. «Ti faccio male?», le parole gli escono dalle labbra di botto, fulminee, senza dargli tempo di trattenerle. Il pensiero di essersi lasciato trasportare troppo, facendole addirittura male, lo trafigge. Pochi attimi dopo, prima di raggiungere il culmine dell'eccitazione - per la seconda volta, in quel frangente - le sfiora i glutei con delicatezza e vorrebbe... Vorrebbe chiederle se può, ma non vuole apparire impacciato anche in questo. Semplicemente li stringe tra le mani e ne trova il punto centrale, ed è lì che si posiziona, eccitato. Spinge verso l'ingresso ed è certo di non aver mai provato sensazione più appagante fino a quel momento.
     
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