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Era sempre stato un passo difficile quello tra il provarci ed il riuscirci, per River Cassidy o in generale, per gli abitanti del mondo visti dai suoi personalissimi occhi del colore del cielo. Provaci davvero, gli era stato detto tante, troppe volte, in poco più di trent'anni di vita, provaci con tutto te stesso, provarci con tutta la forza che hai in corpo e vedrai che riuscirai, continuavano poi, quelle poche figure appartenenti ad una realtà che mai era stata la sua. Erano frasi, periodi, idee che lo trapassavano appena, lo annoiavano quasi ormai, perché conosceva fin troppo bene: erano passeggere, leggere come i pensieri di una mente instabile, che proprio non riusciva ad aggrapparsi ad un valore, ad un qualcosa di spessore che fosse una. Un po' ci aveva provato, forse, qualche tempo prima. Sì, l'ex Grifondoro aveva provato a pensare che forse potesse addirittura scegliere di voler essere come gli altri, non tutti, ma una forte maggioranza di suo ex compagni di scuola, che se non avevano già messo su famiglia, sicuramente traballavano tutti al proposito d'inginocchiarsi davanti alla futura madre dei loro figli. Certo, River sapeva quanto invero non fossero proprio tutti perfettamente sani, normali per antonomasia; per un frequentatore di club per spogliarelliste e taverne di ben poco rispetto come lui, i segreti erano una sorta di piccolo successo quotidiano, un tesoro da custodire e tenere a caldo fin quando non sarebbero serviti per ottenere dell'altro. Fin quando Christian non avrebbe deciso che non sarebbero serviti per pratiche di tutti i giorni come estorsione, ricatto, baratto di ogni sorta. Semplici scambi di favori ormai per River, quel bambino troppo cresciuto che non conosceva realtà che non fosse quella della propria famiglia, che non era nato nel lusso ma ricco c'era diventato, a forza di incanalare tra lui e quella stessa realtà, apparentemente falsa, una distanza così grande da sembrare sempre più una scalata senza meta. Era difficile per River, concernere. Era diventato improponibile perfino scegliere, per il maggiore dei Cassidy: c'erano solo le commissioni di Christian, le chiamate a notte fonda, le richieste di favori che, ormai, avevano anche smesso di pesargli. Era sempre stato così, tra loro: River era bonaccione, gentile, buono, ma si perdeva con la stessa facilità con cui il fratello era abile nel tirare tutta quella famiglia sgangherata che erano i Cassidy fuori da brutti guai. Un River diciassettenne aveva rischiato più e più volte di perdersi già allora e solo Christian era riuscito ad avere presa su di lui, a dargli quella speranza che gli era sempre mancata, senza la quale non era mai stato autosufficiente; anche se poi, alla fine, morto c'era davvero. Camminava, certo, urlava a squarciagola, cantava fino a graffiare le corde vocali ed era sempre pronto a far festa, con quel tono di voce da far impallidire chiunque, ma il mondo aveva smesso di fargli male e gli sguardi accusatori delle persone avevano perso la loro presa di giudizio su di lui. Era libero, River. Anche se il prezzo della libertà lo pagava ogni giorno. Ultimamente s'era anche preoccupato di darsi un tono, di trovare un lavoro che sarebbe parso onesto anche a sé stesso; la prima cosa che aveva pensato quando aveva firmato il contratto di JD Silente, era stata di correre a dirlo ad Erin per festeggiare, per divertirsi, per fare casino insieme come avevano fatto... fino a qualche mese prima. L'aveva stretto tra le mani, l'aveva guardato e l'aveva piegato, mettendoselo in tasca e ispirando forte dalle importanti narici, decidendo così di non spingersi fino all'officina dove sapeva lavorasse la Scamander. No. Se ci fosse riuscito, se l'avesse convinta della parvenza delle sue buone intenzioni, comunque lei avrebbe avanzato domande sull'altro lavoro che River non avrebbe abbandonato in ogni caso, a favore di qualunque buona paga sul mercato. Nell'ultimo periodo prima della rottura di quella loro storia d'amore, - l'unica, la sola che per lui contasse davvero - e secondo il parere di lei trascinata avanti a lungo, aveva visto il viso angelico di Erin rigato dalle lacrime fin troppe volte per poter decidere consciamente di mentirle di nuovo. L'avrebbe fatto, ma non ce l'avrebbe fatta a vederla soffrire, ancora e ancora, per causa sua. Non capiva, River, era ingenuo: un bambinone alto quasi due metri e lungo come un insetto stecco, che avrebbe anche scelto beatamente e senza remore di essere egoista, per com'era fatto, se quella però non fosse stata l'unica persona al mondo a dargli l'illusione che quel suo cuore atrofizzato potesse provare ancora qualcosa. Era stato amore a prima vista dai tempi di Hogwarts e, quella sua cotta senza speranza era stata trascinata fino al giorno in cui, forse, River aveva sul serio valutato di prendere un'altra strada, di fare un'altra scelta, di guardare oltre la miseria e l'orrore in cui sguazzava senza ritegno, lontano da qualsiasi senso di colpa. Ed anche se ci aveva pensato ed Erin, quando aveva scoperto sua principale attività, l'aveva pregato più e più volte di farlo, di fare quello che facevano i loro coetanei, di lasciar andare Christian ed il suo mondo, River non ci aveva mai provato davvero. Aveva annuito, perché l'aveva amata con tutto il suo cuore, ma aveva continuato, perché non riusciva a smettere. Perché quel mondo era anche il suo. E come qualunque altra fragile anima in pena, facile alle dipendenze e sempre schiava di qualcosa, forte solo all'apparenza e distrutta al suo interno, dopo l'inevitabile fine aveva continuato la sua vita da solo, senza mai mettersi apposto davvero. E finché non lo avrebbe fatto, finché non avesse raggiunto la famosa cima di quella famosa vetta, finché avesse continuato a camminare, ridere, scherzare e urlare raccontandosi che tutto potesse aggiustarsi da solo, tutti, intorno a loro, ne avrebbero anche continuato a pagare le conseguenze. « Lo sai che ti amo, vero? Ti amo così tanto. Noi siamo fatti per stare insieme, tu sei fatta per stare con me. Capito? Ti amo, ti... » Provò a continuare la frase, River. Ci provò davvero a dirle qualcosa di nuovo che Erin non sapesse già, per messaggio, con la voce contorta dell'ubriacone che era, reduce dall'ennesima azzuffaglia da cui era uscito vivo per miracolo. Stava per mettere insieme una frase di senso compiuto, quando non volendo franò addosso alla montagna di rifiuti davanti casa sua. In quel cadere, metafora di tante cose, smosse qualcosa nell'area dello stomaco, rigettando l'anima e tutti gli organi annessi; o almeno, quella fu la sensazione che ebbe, brutta come rare volte. Era l'ennesima giornata in cui non arrivava lucido alla sera, in cui i muscoli gli bruciavano e la faccia sembrava quella di un personaggio di Terminator. Non era cosciente, River: il dolore dei lividi era tanto forte da stordirlo e l'alcol che ancora scorreva nelle sue vene a stento l'aiutava a stare in posizione eretta. Aveva camminato dritto fino a casa sua, sfracellandosi a terra proprio nel momento in cui l'aveva trovata e, suo malgrado, in un frangente minuscolo di sanità, si era reso conto di aver coinvolto di nuovo Erin senza volerlo. Riuscì a mettersi in piedi decidendo, mentre sgranava gli occhi anelando lucidità, di entrare in casa, bere un bicchiere d'acqua e scriverle che invece era tutto apposto. Per scusarsi, lasciarla in pace, così come voleva lei. Ma nell'avvicinarsi alla porta, inciampò su un gradino e ruzzolò di nuovo a terra, addormentandosi poi proprio sui gradini di casa sua. Finalmente in pace.
« Ti sei ubriacato. » Fu proprio la voce di Erin a fargli aprire di nuovo gli occhi, appollaiato, lurido e sporco di sangue e di terra. Quand'era arrivata? Sbatté le palpebre, per scacciare il sonno, la stanchezza, la confusione. Vide il viso di lei, bella - bellissima come sempre, un angelo, il suo angelo, prima di sentirsi trascinare per il polso dentro casa sua, incapace di opporre resistenza, sia per la velocità dell'azione che per lo stato di salute in cui attualmente si trovava. « Non voglio più saperne un cazzo. Non m'importa un cazzo di quello che è successo e di come è successo. » Aspetta, Erin. Fammi spiegare. Prima un bicchiere d'acqua. Mentre la bionda continuava a dirgli quelle cose che in qualche modo gli apparivano giuste, ma confuse, facendogli montare una strana rabbia da dentro, River si diresse verso la cucina. Prese una bottiglia d'acqua non di frigo da sotto il tavolo e, svitando il tappo, se ne scolò mezza con un sorso solo. « Senti Erin, io non volevo, io... Quelli! Quelli ce l'avevano con noi per l'ultimo carico di Bristol e sono venuti a cercarmi... io ho smesso con queste fottute stracazzo di robe. Me l'avevi chiesto tu! Me l'hai chiesto ed io... » Tentò di spiegarle perché, perché quella specifica volta fosse andata a finire di nuovo così, di reindirizzare la colpa, di convincerla che davvero lui non se la fosse cercata. Non quella volta. Ma le parole apparivano forzate e di troppo anche a lui e vedere la sua faccia, triste e sconvolta, gli dava quella strana sensazione che ormai non ci fosse più nulla per cui lottare, anche se continuava a farlo. « Ma la devi smettere. La devi smettere. Non me ne frega niente se hai deciso di fare quello che fai -» Abbassò gli occhi, River, socchiudendoli appena per ritornare in quell'oscurità che gli era più familiare di una luce che non voleva vedere. Stava decisamente meglio sul freddo marmo di quelle fottute scale. «- ma non devi più coinvolgermi. Che cazzo vuol dire quel vocale? Non ne posso più, River. Non esiste che mi dici quelle cose, ubriaco, facendomi capire che stai male ed inevitabilmente facendomi sentire in colpa se non faccio nulla per pararti il culo. Perché è solo per questo che sono qui. » Faceva male come la prima volta, come le ultime discussioni che avevano affrontato negli ultimi mesi prima di quel presunto addio, che forse tanto addio poi non era mai. La guardò, River. Finalmente alzò gli occhi su di lei, incrociando quelli chiari dell'amore della sua vita, della donna a cui avrebbe voluto dire "andrà tutto bene", ma non poteva. Perché lei, giustamente, delle cazzate di River ne era satura. Eppure non l'aveva tradita, né l'avrebbe mai fatto e quello che lei chiedeva a lui, era ancora più difficile di un giuramento di fedeltà eterna, tanto difficile per i suoi coetanei. « È l'ultima volta. » Annuì, River, acconsentendo, dandole tutta la ragione che meritava, sperando di riconquistarsi in parte la sua fiducia. « Va bene. » disse, abbassando lo sguardo ancora, senza aggiungere altro. Stava pensando a cosa dire, ma niente di quello che avrebbe detto le sarebbe piaciuto, dunque si arrovellava. E mentre pensava, taceva. E mentre restava zitto, si allontanava ancora di più. « E adesso dammi un buon motivo per non sbatterti la porta in faccia. » Non disse nulla di quello che si aspettava. Non voleva mentirle, né voleva fare promesse che non poteva mantenere. Ma non voleva nemmeno che se ne andasse. Dunque la guardava con degli occhi da cane bastonato, lucidi, gonfi, prossimi alle lacrime. L'unica stronza che riusciva a far piangere River Cassidy era l'unica stronza che River Cassidy amava. « Anzi, no. Me ne vado. » Partì alla rincorsa, River, abbandonando la bottiglia, l'acqua, tutto: quella cadde a terra, mentre River rincorse la bionda, bloccandola per un braccio sull'uscio, ponendosi con tutta la sua stazza proprio di fronte all'ingresso per impedirle di sparire ancora. « Tina. Piccola. Hey, hey » La guardò negli occhi, River, chiedendole dapprima scusa con lo sguardo. Poi li chiuse, avvicinando il suo naso a quello piccolo di lei, accarezzandole delicatamente una ciocca bionda prima di metterle le mani sul cranio, in modo da formare una sorta di blocco in cui esistevano soltanto loro due. Respiro nel respiro. Occhi negli occhi. Lacrime di lui contro le gote di lei. « Mi dispiace. Mi dispiace. Devi credermi, non te ne andare così, cazzo » Gli dispiaceva davvero, per tutto. Per essere quello che era, per sapere di non meritarsi una persona come lei, per non essere in grado di prendere una scelta che avrebbe rivoluzionato la sua vita. Per non poterle dare quello che, se fosse stato diverso, li avrebbe finalmente resi felici, più di chiunque altro. Perché loro ci erano davvero quasi arrivati alla perfezione, insieme. « Io non posso deludere Christian, non posso. Non ora. » Prese un respiro lungo, profondo. Un respiro di delusione, un respiro di rabbia, di tristezza. Di malinconia di quelli che erano stati. « Lui conta su di me. » Soprattutto in questi tempi bui ed incerti, tempi in cui tutto sta per cambiare. « Senza di te è tutto più difficile cazzo, non riesco nemmeno ad essere lucido per stare dietro agli affari... Lui conta su di me, non posso deludere mio fratello. » Che non accettasse essere seconda a Christian, era un pensiero che lo tormentava da sempre, ma non gliel'avrebbe sottoposto ancora. Sviava dagli argomenti che importavano davvero a lei, rendendola partecipe della sua vita e di quello che provava comunque, perché l'amava. L'amava così tanto e la desiderava talmente forte da anteporre il suo bisogno egoistico di averla accanto su ogni pretesa da lei avanzata. Sapeva che non era giusto, ma l'idea che invece lei si potesse convertire alla sua vita e non il contrario, era ciò che lo spingeva a riprovarci ancora e ancora. Non vedendo la realtà. Non arrendendosi alla sua esasperazione. « Piccola... » disse con voce profonda, bassa, seduttiva, proprio come le parlava mesi prima, come quando in quella casa ci avevano vissuto assieme, consumando fino all'ultima goccia di quell'amore dannato e senza grandi speranze. « Non ce la faccio senza il mio angelo. » Troviamo una soluzione, perché da solo non ci riesco.
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