True americans

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    « Foglio delle firme, copie delle email e consenso della segreteria. » Ebbene sì, quella spilletta guadagnata non si sa come, Dean aveva tutta l'intenzione di farla valere sin dall'inizio dell'anno accademico. Per prima cosa, in seguito alla sua nomina, aveva creato una mailing list per gli studenti del suo dipartimento, chiedendo loro se ci fossero eventuali disagi da portare in Consiglio di Dipartimento e, nel caso, di stilargli una lista. Tra i più comuni era emerso il bisogno di un appello straordinario per gli studenti del suo stesso corso, che si trovavano in difficoltò di fronte a diverse sovrapposizioni nel calendario dovute al fatto che le diverse scelte di lingue di ciascuno creassero problemi nell'organizzazione dello stesso. Così, esposto il problema al Consiglio, gli era stato risposto un po' acidamente che la mozione sarebbe stata presa in considerazione solo nel caso in cui un numero sufficiente di studenti lo avesse ritenuto necessario. Cioè in pratica mi hanno accusato velatamente di chiedere roba ad personam. Tuttavia, con il suo solito sorriso cordiale e lo spirito di chi non molla, Dean aveva parato tutte le eventualità che si sarebbero potute presentare, chiedendo agli studenti di raccogliere le proprie firme in un foglio e confermare tramite una mail la propria richiesta (annettendo i nomi degli insegnamenti che intendevano sostenere durante l'appello straordinario). In seguito era passato alla segreteria, chiedendo un consenso formale al riconoscimento di un appello straordinario per il mese di Novembre. Aveva tutte le carte in regola, e come un pistolero del vecchio west, si presentò armato di cartellina nell'ufficio del docente che presiedeva al Consiglio di Dipartimento. Ti ci voglio vedere, adesso, a dirmi di no. « Non poteva aspettare la riunione della prossima settimana? » Testina di cazzo che sei, però. Sorrise, affettato, sistemandosi la tracolla sulla spalla. « Ho preferito lavorare d'anticipo e darle il tempo di esaminare tutta la documentazione, passandola anche agli altri docenti. In questa maniera, la prossima settimana potremo giungere a una decisione e dare risposta agli studenti. Molti di loro, me compreso, si sostengono tramite lavori part time e beneficerebbe molto di un arco più ampio di tempo per organizzarsi. » Cioè, oggettivamente, ma quanto sono forte? Best senior in tutta la baracca. « Servono almeno quaranta studenti per mobilitare tutti questi insegnanti a fare altri appelli, lo sa, vero? » « Perfetto. Ne ho trovati centododici. » Headshot. L'uomo strinse le labbra, appropriandosi della cartellina che Dean gli aveva lasciato sulla scrivania. « Bene..allora immagino non ci saranno problemi. Può andare, signor Moses. Delibereremo sul caso la prossima settimana. »
    L'americano uscì dall'ufficio di Mr Tilley con il petto gonfio e il mento alzato, sorridendo vittorioso in barba a tutti quelli che non avrebbero mai creduto che proprio lui, il famigerato fancazzista Dean Moses, avrebbe mai potuto essere un bravo rappresentante. Una volta fuori dal complesso di edifici, si prese il tempo per aggiornare i propri compagni delle ultime novità tramite la mailing list, rollandosi poi una sigaretta e premendo il tasto di chiamata in corrispondenza del nome di Daphne. « Ehilà, Harpy più bella. Sei uscita da lezione? O meglio, ci sei andata in primo luogo? Io sto per tornare a casa proprio adesso, quindi se vuoi puoi passare da me per pranzo, così magari ti dimostro pure che so cucinare, siccome lo avevi messo in discussione. »
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    [...] Avere un americano in casa significava qualcosa di preciso: innanzitutto, che ci sarebbe sempre stato nel cibo davvero poco salutare nella dispensa e poi, in secondo luogo, che in autunno la casa sarebbe sempre stata invasa dall'odore di torta di zucca. Quell'anno non aveva fatto eccezione. Essendo la torta di zucca uno dei piatti più amati da Dean, legato al ricordo della gentile vicina di casa che lo aveva sfamato per tutta l'infanzia, il ragazzo la cucinava pressoché in continuazione da Settembre a Novembre. Uno dei suoi punti forti culinari, indubbiamente. Un segno di riconoscimento ulteriore per gli americani all'estero è la diversa concezione del pranzo. Nel mondo anglosassone, ovunque si vada, si è soliti fare un abbondante colazione e un pranzo più contenuto. Questo, ad esempio, funziona anche in America. Ma come le lingue hanno dei falsi amici, così lo hanno anche le culture. Perché Dean si trovò a scoprire a proprie spese quanto il concetto di contenuto fosse inteso in maniere molto diverse dagli inglesi. Su questo, Daphne poteva capirlo. « Ho preparato qualcosa di veloce. Sloppy Joe e torta di zucca. » le annunciò, quando andò ad aprirle la porta con un ampio sorriso stampato in volto. Un pranzo contenuto, nei canoni americani, era un grande e grosso panino pieno di roba super unta e calorica. D'altronde c'era una ragione ben specifica per cui Dean aveva sempre preso con filosofia ogni tragedia nel mondo magico: era conscio del fatto che la minaccia più grande alla propria esistenza fosse il colesterolo - il resto sbiadiva sullo sfondo. « Oggi sono andato nell'ufficio del Professor Facciadiculo. » si mise a raccontare, mentre infarciva generosamente i panini aperti, già scaldati nel forno. « Mado', ti giuro, senza prezzo. Non ha potuto dirmi un cazzo: gli ho portato tutto, anche l'anima dei mortacci suoi. Mi deve approvare l'appello straordinario tipo per forza. Te lo dico, sto diventando competitivo su questa cosa dei Senior, forse perché sono quello che ha più da dimostrare dato che nessuno mi ha dato mezzo zellino di fiducia, fino ad ora. Ma glielo faccio vedere io di che pasta è fatto Dean Moses. Rappresentanza al top, ragazzi. » Ridacchiò, chiudendo un panino e passando il piatto a Daphne insieme a una ciotola di insalata che, lo sapeva, sarebbe rimasta pressoché intatta. « Tu invece che mi dici? Come è andata la tua giornata? » Preparato anche il proprio, di panino, Dean si mise finalmente a sedere al tavolo, addentando un grosso morso del proprio lauto pranzo. « Oh, che poi comunque, non per dire ma si avvicina il giorno del Ringraziamento. Dovremmo organizzare qualcosa con anche tuo fratello, Fawn e gli altri americani zozzi a noi noti. »

     
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    «... E poi io gli ho detto “Eh no, Jerry! Se vuoi il pacchetto completo devi assolutamente smettere di frequentare certa gente!” Monica Anderson schioccò le dita in aria, arricciando le labbra in una smorfia irritata. In un solo gesto chiuse lo specchietto che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro il calamaio. Daffy annuì lasciandosi sfuggire un mh-mh da infondo alla gola. Non aveva idea di chi fosse Jerry né del suo gruppo di frequentazioni, né del perché la ragazza volesse che lui smettesse di frequentarli. Forse Monica lo aveva detto, ma la Baker non gli aveva dato alcuna importanza. A dirla tutta, non sapeva neppure perché gliene stesse parlando. Più ci pensava più era certa di non averle dato l’impressione di essere interessata a tutta quella storia. «E lui mi fa “Non dirmi cosa devo fare, bambola!” Bambola? Ma che razza di cafone!» La storia del perché le fosse toccata Boccalarga Anderson come compagna di banco al corso di Storia del Quidditch non aveva niente di avvincente. Quella mattina, semplicemente, aveva spento la sveglia e dopo aver pensato “due minuti e mi alzo” si era riaddormentata. Aveva riaperto gli occhi circa venti minuti dopo, quando June aveva bussato alla sua stanza chiedendole se fosse pronta. Perciò era arrivata tardi e l’unico posto libero rimasto era accanto a Monica. Lei non era una giocatrice di Quidditch. Voleva fare la giornalista sportiva perché, diceva, i giocatori sono tutti così fighi ed intervistandoli avrebbe potuto avere qualche opportunità di rimorchiarli! «Così gli ho risposto “Sai cosa? ‘Fanculo Jerry!”» Beato lui. In quel momento, la giovane Harpie desiderava tanto che Monica mandasse a ‘fanculo anche lei. Di solito non sono una che prega ma se sei lassù, ti scongiuro, salvami Superman! Lanciò uno sguardo disperato al professore. Avrebbe tanto voluto che sentisse il chiacchiericcio e sbattesse una delle due fuori dalla porta. Da vero soldato, Daffy si sarebbe immolata. E invece no. Lui pareva preso nella spiegazione, e Monica era incredibilmente brava a non farsi beccare. Una professionista, la ex Grifondoro non avrebbe saputo definirla in un altro modo. Il professore annunciò la fine della lezione nel momento esatto in cui Daphne aveva cominciato a pensare a quante cose avrebbero fatto meno male di continuare quella conversazione. Bere la lava, fare il bagno a Onyx, sbattere il mignolo contro un tavolino, ... No, forse questo no. Il mignolo era imbattibile, più delle chiacchiere da fila al discount della Anderson. Si alzò di scatto, radunando i suoi libri ed infilandoli nella borsa velocemente. «Scusa Monica, ma devo proprio scappare.» Ho estremo bisogno di una sigaretta. «La prossima volta mi racconti come è finita con Jimmy.» «Jerry.» Ah, già. «Ci vediamo giovedì.» LE rivolse un sorriso tirato, per poi sgusciare via dall’aula come se questa stesse prendendo fuoco. Mentre raggiungeva il cortile a grandi falcate, tirò fuori il tabacco e cominciò a rollarsi una sigaretta. Aveva l’impressione che le tremassero le mani dalla trepidazione. Il tempo di raggiungere lo spazio all’aria aperta e l’aveva già accesa. La nicotina rilassò immediatamente i suoi nervi. Poi il cellulare squillò. Se lo sfilò dalla tasca e dimenticandosi dello stress accumulato durante la lezione non appena lesse il nome che lampeggiava sullo schermo. Pigiò il tasto verde, avvicinandosi il telefono all’orecchio. « Ehilà, Harpy più bella. Sei uscita da lezione? O meglio, ci sei andata in primo luogo? Io sto per tornare a casa proprio adesso, quindi se vuoi puoi passare da me per pranzo, così magari ti dimostro pure che so cucinare, siccome lo avevi messo in discussione. » Quella che le uscì fuori fu una delle risatine più sciocche che lei stessa avesse mai sentito prima d’ora. Era certa che se l’avesse udita fare a qualcun altro sarebbe cresciuto in lei un indomabile desiderio di spaccargli la faccia. «Oh, eeeehy.» ”Ehy”? Davvero, Daffy? «Certo che ci sono stata a lezione, per chi mi hai presa?» Tono falsamente offeso. Ti ha presa esattamente per Daffy Baker, mia cara. Niente di più, niente di meno. «Ah quindi hai deciso di tirar fuori le padelle, finalmente. Guarda che me ne accorgo se è roba da asporto! Sono una professionista dei fast food, non mi freghi, sai?» Sorrise. Aveva già dimenticato la Anderson e Jimmy. No, era Jerry. «Mezz’ora e sono da te.»
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    [...] «Ho portato le birre» annunciò sollevando che conteneva le bottiglie non appena Dean le aprì la porta. « Ho preparato qualcosa di veloce. Sloppy Joe e torta di zucca. » Sloppy Joe? «Dici davvero?» Aveva il tono di una bambina quando, tra i regali scartati la notte di Natale, trova la bambola per cui tanto aveva pregato mamma e papà. «Sembra passata una vita dall’ultima volta che ne ho mangiato uno.» Si chiuse la porta alle spalle per poi seguire il ragazzo in cucina, dove il profumino di carne stufata la costrinse a chiudere gli occhi e ad annusare l’aria ispirando a lungo. «Ok, lo ammetto. L’odore non è male. Sono convinta al 50% riguardo le tue doti culinarie.» « Oggi sono andato nell'ufficio del Professor Facciadiculo. » Daffy annuì, sedendosi dall’altra parte del tavolo, cercando di restare concentrata sulle parole di Moses e non solo sulla preparazione dei panini. Coraggio, Daffy. Sei una donna, puoi riuscire a fare due cose contemporaneamente. « Mado', ti giuro, senza prezzo. [...] Ma glielo faccio vedere io di che pasta è fatto Dean Moses. Rappresentanza al top, ragazzi. » Posò i gomiti sul tavolo, prendendosi la faccia tra le mani. Aveva presente ciò che Dean stava dicendo. Gliene aveva parlato un paio di volte, delle difficoltà incontrate dai suoi compagni di corso e da come si era messo in testa di risolvere il tutto nel migliore dei modi. In quelle ultime settimane sembrava essersi trasformato in un candidato Presidente degli Stati Uniti d’America, di quelli che promettono che aggiusteranno le buche nell’asfalto ma, al contrario di molti, Dean lo aveva fatto veramente. «Dimmi la verità, stai puntando alla tua foto appesa nell’ufficio del Preside come “Miglior Senior della storia”, mhm?» Prese un paio di birre dalla busta di plastica che ciondolava dal lato della sua sedia e, dopo essersi guardata intorno e non aver visto l’apribottiglie, decise di aprirle con il fondo dell’accendino. Principessa, la sua carrozza l’attende. Ne fece scivolare una sul tavolo in direzione di Dean nell’esatto momento in cui lui le presentò davanti il panino che trasudava colesterolo da tutti i pori. Le pupille di Daphne si allargarono, come quella volta che aveva preso quei funghetti che le aveva dato Phil Brown ad una festa. Scosse un attimo la testa, rialzando lo sguardo verso il padrone di casa. «Avrei voluto vedere la sua faccia. L’ho incrociato un paio di volte in corridoio e dà veramente l’impressione di avere un palo infilato in luoghi sconosciuti.» lanciò lo sguardo alla povera ciotola di insalata abbandonata in mezzo al tavolo. Poverina. Avrebbe dovuto mangiarla fingendo di essere una di quelle che non hanno mai fame? «A quanto pare abbiamo un nuovo sceriffo in città.» Si sollevò appena un cappello invisibile dalla testa in direzione di Dean. «Non sapevo di essere al cospetto di uno studente modello. Chiedo venia. Devo sistemarmi anche il tovagliolo sulle ginocchia?» Magari impegnati a mangiare con la bocca chiusa, per iniziare. « Tu invece che mi dici? Come è andata la tua giornata? » Aspettò che l’ex Grifondoro addentasse il panino per poi servirsi finalmente anche lei. Non sapeva come aveva fatto a resistere fino a quel momento. «Oh, caffo, è buoniffimo!» Aveva parlato a bocca piena, ok, questo è vero, ma si era messa la mano davanti alle labbra per farlo. Se l’era cavata a metà, diciamo. Inghiottì il boccone per poi bere un piccolo sorso di birra. «Lo ammetto, lo ammetto.» Lasciò il panino sul piatto per poi alzare le mani verso l’alto. «Le tue non sono solo chiacchiere. E’ davvero uno Sloppy Joe coi fiocchi!» Annuì, dando un altro morso al panino. «Stamani ho avuto Storia del Quidditch. La mia compagna di banco è Monica Anderson. Ogni lezione mi racconta di un tipo nuovo e io passo l’ora a chiedermi in quale girone infernale io sia finita e per cosa debba scontare la mia pena.» Alzò leggermente le spalle. «Sto facendo una lista. Magari se metto apposto le cose il Karma mi sorriderà.» « Oh, che poi comunque, non per dire ma si avvicina il giorno del Ringraziamento. Dovremmo organizzare qualcosa con anche tuo fratello, Fawn e gli altri americani zozzi a noi noti. » Daffy spalancò gli occhi, annuendo e aspettando di finire il boccone prima di parlare. Che signorina «Oh, questa si che è una bella idea!» cinguettò entusiasta. «Potremmo portare ognuno il piatto che va per la maggiore nella propria famiglia. Mia madre fa una torta di patate dolci e una salsa ai mirtilli strepitose!» Addentò un altro pezzo di panino. «Di sicuro nessuno morirà di fame.»
     
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    « Oh, caffo, è buoniffimo! » Si diede il tempo di ingurgitare un bel pezzo di panino prima di allargare le labbra in un grosso sorrisone scintillante. « Eh lo vedi? Donna di poca fede! » Che poi, a ben vedere, ci stava che Daphne non si fidasse delle virtù culinarie di Dean: in fin dei conti il Grifondoro era sempre stato noto per le sue abitudini pressappochiste. Ma sono nato per stupire. Il mondo ha ancora visto solo un decimo di Dean Moses. Per lui era normale prendersi cura di se stesso e occuparsi delle attività più quotidiane; cose come cucinare, pulire, fare la lavatrice e tenere conto dell'economia casalinga gli erano state inculcate fin da piccolo dal migliore insegnante che ci fosse: la necessità. D'altronde, quando vivi con un solo genitore e questo non si prende cura né di te né della casa, sei un po' costretto a capire come far fronte a certe esigenze basilari. La straordinarietà del tutto, però, stava nella capacità ossimorica di Dean di essere incredibilmente maturo e al contempo estremamente irresponsabile. « Lo ammetto, lo ammetto. Le tue non sono solo chiacchiere. E’ davvero uno Sloppy Joe coi fiocchi! » Piegò il capo di lato, come a prendere quel complimento alla maniera dei nobili. Perché tutto impallidisce di fronte all'essere capaci di un ottimo Sloppy Joe. È questo il vero talento. Incidetelo sulla mia lapide. E lo Sloppy Joe, alla fin fine, altro non era se non l'ennesimo simbolo dell'America che lui amava: quella con problemi di obesità, che si beve una birra in veranda con accanto il proprio AK-47 e parla dei bei tempi in cui potevi dire negro senza che nessuno ti guardasse male. Sebbene Dean fosse cresciuto in una grande città, la sua vita era sempre stata ai margini, con quel tipo di persone. Grassi, unti e terribilmente retrogradi. Provava quasi un senso di tenerezza nei confronti di quelle persone. In fin dei conti, aveva un po' imparato tutto da loro: specialmente chi non voleva diventare. « Stamani ho avuto Storia del Quidditch. La mia compagna di banco è Monica Anderson. Ogni lezione mi racconta di un tipo nuovo e io passo l’ora a chiedermi in quale girone infernale io sia finita e per cosa debba scontare la mia pena. » Si mise una mano di fronte alle labbra, soffocando una risata con le guance gonfiate da un altro grosso morso di Sloppy Joe. « Sto facendo una lista. Magari se metto apposto le cose il Karma mi sorriderà. » Strabuzzò gli occhi, ingoiando il boccone e prendendo un sorso di birra prima di parlare, gesticolando ampiamente come al suo solito. « Ma come scusa? Tutta questa roba è intelligence. Sapere i cazzi della gente è fondamentale: puoi ottenerne qualsiasi cosa, quando ne hai bisogno. » Sollevò un dito indice come ad ammonirla. « Oh guarda che io negli anni di Hogwarts ho ottenuto un sacco di privilegi dal farmi amici i quadri. Tolto che pure quelli tra di loro c'hanno certi impicci che non ti dico, ma un sacco di volte mi dicevano quello che facevano i prof, oppure chiudevano un occhio di fronte alle mie malefatte. » Ah bei tempi. Sir Wulfric mi è sempre stato debitore per quel piccolo favore che gli ho fatto con Madama Occhio di Vetro. Si strinse nelle spalle con semplicità. « Certe persone hanno bisogno di parlare a ruota libera e sentirsi ascoltate. » E lui, di quel tipo di persone, ne sapeva qualcosa. Il lavoro da barista era un po' come quello di psicologo sotto certi punti di vista. « Spesso e volentieri è una grandissima sega e ti ritrovi a spegnere il cervello a metà discorso. Ma ti dirò: coi cazzi altrui puoi mettere su un piccolo impero del crimine. » La vita di Dean in poche parole. C'era sempre stato qualcosa nella sua spontanea loquacità, che portava le persone ad aprirsi con lui quasi immediatamente. Non era inusuale per lui trovarsi immerso in discorsi profondi con un perfetto sconosciuto di cui nel giro di poco tempo aveva appreso tutta la backstory, i traumi psicologici e i sogni nel cassetto: il Grifondoro era una sorta di calamita per confidenze. Un onore e un onere, a detta sua. Perché da una parte ti trovi in balia dei fatti di tutti, mentre dall'altra vieni a conoscenza di tante cose che volente o nolente ti fanno connettere con le persone ad un livello più profondo.
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    « Oh, questa si che è una bella idea! Potremmo portare ognuno il piatto che va per la maggiore nella propria famiglia. Mia madre fa una torta di patate dolci e una salsa ai mirtilli strepitose! Di sicuro nessuno morirà di fame. » A quelle parole, fu inevitabile per il biondo stirare un piccolo sorriso che aveva davvero poco a che fare con i suoi soliti. Era più tirato, più amaro. Prese il tovagliolo, tamponandosi le labbra per pulirsi i residui di grasso che il panino gli aveva lasciato. « Mh..tanto sicuro non ne sarei. » disse, forzando un'ironia poco sentita. Non si trattava di una riserva nei confronti di Daphne, quanto piuttosto di un imbarazzo tutto proprio, rivolto solo ed esclusivamente a se stesso. Perché Dean era conscio del fatto che le parole della ragazza fossero state dette sulla scia della felicità che una tradizione come quella del Ringraziamento portava loro. Non era colpa sua, se era andata a colpire un nervo scoperto. Non lo era semplicemente perché non aveva alcuna nozione riguardo l'infanzia di Dean; e questo non era un caso: lui era il primo a non parlarne, a trattare la materia con vaghezza o a sorvolare con ironia per evitare di finire in discorsi che inevitabilmente erano ancora dolorosi per lui. Il giovane Moses era esattamente il tipo di persona che in un rapporto di amicizia ci metteva l'anima, dando conforto e aiuto costante all'altro, senza però condividere le proprie di magagne. Perché lo faceva? Una domanda che aveva tante risposte. Un po' perché non voleva essere compatito, un po' perché nonostante quella sua apertura gli riusciva comunque difficile parlare delle proprie ferite e un po' perché non voleva sentirsi come se stesse mettendo un peso sulle spalle di qualcun altro. Ci ho fatto i conti da una vita, con la mia sfortuna. Preferisco che la gente mi veda come un tipo sempre sorridente e anche un po' superficiale, piuttosto che vederli camminare sui gusci d'uovo ogni volta che mi stanno intorno. Buttò giù un lungo sorso di birra, calando in un insolito silenzio pensieroso. Però, conoscendo Daffy, adesso comincerà a tormentarsi sul pensiero di aver detto qualcosa di sbagliato. Si sentirà in colpa senza neanche sapere per quale motivo. Odiava quelle situazioni, odiava mettere la gente in quella posizione. Si sentiva in colpa per tutti quei piccoli inconvenienti che il suo ingombrante passato portava nelle vite delle persone attorno a lui. Bastava guardare al Ringraziamento: una festa che si passava in famiglia e che tutti ricordavano con teneri e divertenti aneddoti, portando al tavolo quelle pietanze che sulla loro lingua avevano il sapore di un'infanzia felice. E lui? Lui cosa avrebbe portato? Qualcosa a caso, probabilmente, giusto per non sembrare fuori luogo. E avrebbe ascoltato quei discorsi con un sorriso fatto, vivendo per tramite la serenità altrui come un qualcosa che a lui era stato negato e che adesso poteva solo osservare da dietro un vetro. Non avrebbe condiviso niente, schivando le domande con una scrollata di spalle e una battuta divertente. Però un conto sono gli altri..e un conto è Daphne. Prese quindi un profondo respiro, schiarendosi la gola e riportando gli occhi in quelli della ragazza. « Nella mia..famiglia » cominciò, sottolineando quella parola con una veloce alzata di sopracciglia e un tono che sottolineava quanto astratto fosse quel concetto per lui « il piatto che andava per la maggiore era vuoto. » Una spiegazione che, si rese conto, lasciava spazio a interpretazioni delle più disparate. Raccolse quindi il coraggio a due mani, prendendo un altro respiro per forzarsi a continuare. Tanto prima o poi doveva venire fuori comunque. Delle domande se le fanno tutti a un certo punto. Cosa fanno i miei genitori, dove si trovano, come sono cresciuto, perché non si vede mai nessuno della mia famiglia intorno a me. Si nota, è normale. « Sono cresciuto con mia madre. Mio padre non l'ho mai incontrato. E lei, sebbene ci fosse, non era poi così tanto più presente di quanto non lo fosse lui. A me neanche ci faceva caso; se non ci avessero pensato i due vecchietti che vivevano accanto noi, probabilmente non sarei arrivato ai tre anni. » Le scoccò un'occhiata come a farle capire che non era una delle sue solite esagerazioni ironiche. « Non avevamo un soldo. E quei pochi che avevamo, lei li spendeva in.. » cercò di trovare delle parole giuste, non troppo dirette ma neanche troppo vaghe « ..beh, immagino qualunque cosa riuscisse a farle dimenticare la propria vita di merda. » Se all'inizio Dean l'aveva odiata e basta, col tempo aveva iniziato a compatirla. Sua madre aveva ceduto la presa su se stessa, cadendo in un baratro che non poteva controllare e dal quale nessuno poteva salvarla senza rischiare di venirne ingurgitato. Mi sono sentito in colpa, per un po', per non averci provato di più quando mi ha buttato fuori di casa. Ma col senno del poi forse è meglio che sia andata così: avrebbe trascinato a fondo anche me. « Da che ricordo mi sono sempre gestito da solo. Ho imparato a cucinare, pulire e fare tutto quanto. Le feste..per me non esistevano. Magari i vicini mi passavano qualcosa, ma alla fine erano giorni come tutti gli altri..a volte anche peggiori, a dirla tutta. » Lei non le sopportava. Immagino che le ricordassero tutto ciò che non aveva. E quindi ci andava giù più pesante, collassando sul divano. Quante ne ho passate di festività al pronto soccorso, a chiedermi se quella sarebbe stata la volta in cui mi avrebbero finalmente dato in affidamento. Ne conoscevo tanti di bambini a cui era andata così: entravano nel giro di quelle famiglie e le cambiavano in continuazione, oppure venivano sistemati in una casa famiglia da cui dovevano andarsene al compimento della maggiore età, senza prospettive se non quella di ripetere gli errori dei genitori che li avevano fatti finire lì. Ma almeno mangiavano, almeno non dovevano preoccuparsi di riconoscere i segni di un'overdose. « Lei era babbana. Quando ho ricevuto la lettere per Ilvermorny mi ha buttato fuori di casa. » Finalmente le era arrivata la scusa giusta. « Ho fatto un anno lì. Mi ero molto legato ad un compagno e alla sua famiglia - il mio primo vero Ringraziamento l'ho fatto con loro. Quando l'estate mi hanno detto che si sarebbero trasferiti in Inghilterra, si sono offerti di portarmi con loro. » Aprì le braccia, stirando un sorriso che voleva chiudere quel cerchio in serenità. « Ed eccomi qua. » Tutto bene quel che finisce bene, no? Scrollò le spalle, buttando giù un altro generoso sorso di birra in chiusura di quel viaggio nel viale dei suoi ricordi di infanzia. Non è proprio quel genere di storie che ti racconti con gli amici al Ringraziamento. Ecco perché da me non sentite mai nulla. Stirò un leggero sorriso, inclinando il capo di lato. « Non tormentarti. Non potevi saperlo. E comunque per me è un capitolo chiuso da tempo. » la rassicurò, pronunciando quelle poche frasi in un tono di voce più basso e tenero. « Anzi, perdonami per questo improvviso appesantimento dell'atmosfera. Immaginavo solo che prima o poi sarebbe venuto fuori comunque e non volevo metterti in imbarazzo o mandarti in paranoia. »

     
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    « Eh lo vedi? Donna di poca fede! » Daffy lo guardò, con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro, con i gomiti sopra il tavolo e la bocca sporca di salsa. Sua madre teneva una foto simile nell’album dove conservava le foto dei propri figli solo che quella volta erano spaghetti e Daphne avrà avuto due anni. Diede un altro morso al panino, ma non prima di essersi passata il tovagliolo sulle labbra. Per Daphne, il cibo era uno dei piaceri più grandi che la vita potesse darle. Era una fortuna che il suo metabolismo fosse in grado di digerire così in fretta, ma era certa che prima o poi la vita le avrebbe mandato il conto. Un giorno sarebbe finita in ospedale ed un medico dall’aria dispiaciuta le avrebbe detto “Mi dispiace signora, ma le sue analisi non vanno affatto bene”. A volte pensava che se fosse scoppiata tutta d’un colpo, probabilmente sarebbe finita in quel programma che tanto le piaceva, dove persone con una mole assai importante tentavano di riprendere in mano la loro vita e di abbassare il loro peso di almeno due-trecento chili. Ma aveva anche dei difetti. Prese un sorso di birra osservando Dean da sotto le ciglia folte. Si chiese cosa avrebbe detto la sé di quindici anni se l’avesse vista in quel momento abbuffarsi così davanti a Dean Moses. Nonostante ci fosse ancora un filo di imbarazzo -almeno per quanto la riguardava-, probabilmente dettato da quel non sapere esattamente a che punto fosse la loro frequentazione -era giusto chiamarla così?- continuava ad essere d’accordo su ciò che gli aveva detto durante il Midsummer: uno dei pregi di Dean era sicuramente la sua capacità di mettere a proprio agio le persone. Sentiva ancora il bisogno di riempire il silenzio con qualcosa -che la maggior parte delle volte risultava un “qualcosa” di molto stupido-, ma quello era il carattere di Daffy e c’era davvero poco da fare. « Ma come scusa? Tutta questa roba è intelligence. Sapere i cazzi della gente è fondamentale: puoi ottenerne qualsiasi cosa, quando ne hai bisogno. » Daphne alzò lo sguardo su di lui. Aveva la bocca piena, perciò si limitò a spalancare gli occhi come un cucciolo smarrito e a stringersi leggermente nelle spalle. « Spesso e volentieri è una grandissima sega e ti ritrovi a spegnere il cervello a metà discorso. Ma ti dirò: coi cazzi altrui puoi mettere su un piccolo impero del crimine. » Inghiottì il boccone più velocemente che poteva e se ne uscì immediatamente con un «Ma è noiooooso!» piagnucolando come una bambina che non voleva fare i compiti. «Io ci ho provato.. Lo giuro! Ho provato a dire “Ok, Daffy, te la devi sopportare quindi anche solo per passare il tempo prova ad ascoltarla”.. Ma Monica ha un tono così dannatamente acuto.. Sembra abbia ingoiato un fischietto. A volte penso che gli unici altri a sentirla siano i delfini e i cani.» Afferrò la birra bevendone un sorso. «Tu sei avvantaggiato! Devi sopportare ogni sera un branco di gente ubriaca per il quale tu sei come un prete pronto a depurarli di ogni loro peccato. Credo che ormai tutti i baristi di Londra conoscano i cavoli miei..» O bere o affogare, così si diceva. Dean era stato fortunato, a quanto pare invece che adattarsi quello gli veniva proprio naturale. «Non potrei mai fare la barista. Come minimo dopo un po’ esploderei.. L’unica soluzione sarebbe ubriacarmi anche io, ma penso che sarebbe più una rimessa che un guadagno..» Ridacchiò, sfiorandosi il mento e riflettendo seriamente su quelle parole. Addentò un altro boccone di Sloppy Joe, agguantando la bottiglia di birra e bevendone un sorso. « Mh..tanto sicuro non ne sarei. » Mhm? Fu come se qualcuno avesse inaspettatamente premuto un interruttore, spegnendo la luce. Percepì un brivido percorrerle le braccia, ma non ne sapeva il motivo. Daphne sollevò gli occhi, ritrovandosi davanti il sorriso forzato di Dean. Non la stava guardando. Daphne non era mai stata una brava osservatrice: il suo modo di fare frenetico la portava ad essere spesso superficiale e a prestare poca attenzione a ciò che aveva davanti. Ma stavolta era diverso. Conosceva i sorrisi di Dean, quelli dalle tante sfumature, quelli che facevano sorridere anche lei quando lui gliene rivolgeva uno. Non conosceva quello che aveva in quel momento, non l’aveva mai visto. Forse avrebbe dovuto chiedergli qualcosa, ma aveva l’impressione che la lingua le si fosse attaccata al palato. Poi lui alzò il viso, guardandola, e a lei parve, ancor prima che lui parlasse, di essere stata colpita allo stomaco. « Nella mia..famiglia il piatto che andava per la maggiore era vuoto. » Daphne rimase perfettamente immobile. Stava filtrando quelle parole, prendendone una per volta, analizzandole, rendendosi conto solo in quel momento di quanto Dean stesse per mostrarsi a lei. « Sono cresciuto con mia madre. Mio padre non l'ho mai incontrato. E lei, sebbene ci fosse, non era poi così tanto più presente di quanto non lo fosse lui. A me neanche ci faceva caso; se non ci avessero pensato i due vecchietti che vivevano accanto noi, probabilmente non sarei arrivato ai tre anni. [...] » Mentre Dean parlava, Daffy non abbassò mai lo sguardo. Continuava a fissarlo, cercando di cogliere ogni emozione che sfiorasse il viso dell’ex Grifondoro. E più il racconto andava avanti, più intuiva quanto dolore il giovane celasse dietro quel suo perenne sorriso. Si sentiva completamente spiazzata, impreparata. Scioccamente si era abituata, adagiata, ad un clima diverso in compagnia Dean. Quel racconto l’aveva completamente paralizzata, lasciandola senza parole.
    Per un attimo ripensò alla sua di infanzia, ai molteplici Ringraziamenti passati in famiglia, tra le braccia amorevoli di suo fratello e dei suoi genitori. Era uno di quei giorni in cui papà, al tempo Ministro degli Esteri al Ministero Americano, non si tratteneva mai al lavoro più del dovuto e tornava a casa in perfetto orario. Era stata un’infanzia passata sotto i riflettori quella sua e di Oliver, fari da cui la signora Baker aveva sempre cercato di proteggerli. Provò uno straziante senso di colpa difronte alle infinite possibilità che la vita le aveva messo davanti fin dal giorno in cui era nata, occasioni che spesso lei aveva dato per scontate. Ripensò a tutte le cause inutili della sua esistenza ed in quel momento le parvero tutte eccezionalmente piccole, quasi inesistenti. Si era lamentata di cose stupide, a combattere guerre inutili, coccolata da due genitori che non le avevano mai fatto mancare niente. Quanto ti senti piccola in questo momento, Daffy? « [...] Mi ero molto legato ad un compagno e alla sua famiglia - il mio primo vero Ringraziamento l'ho fatto con loro. Quando l'estate mi hanno detto che si sarebbero trasferiti in Inghilterra, si sono offerti di portarmi con loro. » Dean sorrise, ma lei non ricambiò. Aveva lo stomaco sottosopra e qualcosa simile ad una mano chiusa le stringeva la gola. Piccola, ingrata egoista. « Ed eccomi qua. » Daphne si sentiva un’osservatrice. Era come se stesse guardando quella scena da un’altra prospettiva dove i colori parevano più opachi e i movimenti rallentati. Si accorse che si stava mordendo la guancia. « Non tormentarti. Non potevi saperlo. E comunque per me è un capitolo chiuso da tempo. » Davvero? Come si può dimenticare un capitolo della propria vita? Le ferite guariscono, ma le cicatrici restano. Sono sempre lì a ricordarci ciò che siamo stati e che potremmo diventare. « Anzi, perdonami per questo improvviso appesantimento dell'atmosfera. Immaginavo solo che prima o poi sarebbe venuto fuori comunque e non volevo metterti in imbarazzo o mandarti in paranoia. » Fu solo in quel momento che Daffy scosse la testa. Prima impercettibilmente, poi più decisa. Aveva la bocca secca e le si era appiccicata la lingua al palato. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, ma sapeva che sarebbe suonata come una frase compassionevole e Dean non se lo meritava. Sarebbe stata una espressione sciocca, una frase fatta che poteva sembrare gettata lì a caso da qualcuno che non aveva idea di cos’altro poter dire. Inghiottì a vuoto, cercando lo sguardo di Dean e i suoi occhi cerulei. Inspirò lentamente, umettando le labbra prima di parlare. «Non devi chiedermi scusa, Dean.» Si sporse leggermente in avanti, scivolando al bordo della sedia. Teneva le mani sulle ginocchia ossute, scivolando piano avanti ed indietro sul tessuto morbido del jeans. «E ti ringrazio per aver condiviso questa parte della tua vita con me.» Posso solo immaginare quanto sia stato difficile. Avrebbe potuto smorzare la tensione facendolo ridere su quanto neanche la sua famiglia fosse così perfetta come sembrava. I signori Baker, difatti, non erano per nulla eccitati per la vita lavorativa scelta dai figli. Avrebbero preferito vederli incravattati al Ministero, ad intraprendere una vita politica come quella del padre. Sua madre, poi, confondeva ancora la Pluffa con i Bolidi. Ma ti sostengono lo stesso, lo sai. Già. «Tu sei buono, Dean.» Quella frase le uscì di getto, con una sincerità disarmante che stupì anche lei. Si schiarì la voce, passandosi una mano tra i capelli, portandosi una ciocca dietro l’orecchio. «Al Midsummer ti dissi che una delle cose che mi piacciono di te è che sei sempre pronto a dare una mano agli altri.» Gli sorrise timidamente. «Ogni giorno che passa sono sempre più sicura delle mie parole.» Sentì le guance pizzicare e pensò di essere arrossita. «Sei circondato da persone che ti vogliono bene.» Scivolò giù dalla sedia, alzandosi in piedi e raggiungendo Dean dall’altra parte del tavolo. Rimase in piedi davanti a lui, con in faccia un sorriso timido, ma sincero. «Ciò che ti è successo è.. Tremendo..» Che cosa stupida hai detto, Baker. «E scusami per la cosa terribilmente, orrendamente, mostruosamente egoista che sto per dire.. Ma sono felice che quel tuo amico e la sua famiglia ti abbiano portato qui. Da noi.. Da me.» Si strinse nelle spalle. «E poi possiamo portare un sacco di alcool. Ci conosceranno come quelli che portano sempre il vino. Mi sembra una buona tradizione da poter cominciare, non credi?»
     
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3 replies since 22/10/2020, 18:50   126 views
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