In the eye of a hurricane there is quiet

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    « In the eye of a hurricane
    There is quiet
    For just a moment
    A yellow sky »


    « Scusate se interrompo queste..mh..belle parole. Ma mi sembra importante darci una risposta sulla questione degli investitori, prima di fare i partigiani sulla stampa. » Era stato nientemeno che il tono piatto di Percival Watson a colmare il silenzio che le parole di Albus si erano lasciate dietro. Il giovane Potter aveva passato un fine-settimana praticamente insonne, chiuso nello studio di casa propria - solo lui e la macchina da scrivere. Sembrava quasi tornato ai tempi della scuola, quando si isolava dal mondo intero e riversava ogni briciolo di cuore in fiumi di inchiostro e pergamena. La scrittura era sempre stata per lui uno strumento per capire il mondo: nel descriverlo, lo spiegava a se stesso, definendosi in relazione ad esso. Ciò che prima era solo un caos emotivo nella sua testa, una volta impresso su pergamena diventava un pensiero completo, articolato e programmatico. Chiuso dietro le porte di quello studio, Albus aveva scritto in due giorni più di quanto non avesse fatto negli ultimi due anni e mezzo. Ad un certo punto il cestino accanto alla scrivania si era riempito così tanto di bozze gettate, che le scartoffie avevano iniziato a moltiplicarsi sul pavimento. Eppure le sue dita continuavano a battere, a cancellare, a strappare e a battere di nuovo. Gli occhi grigi del ragazzo non sembravano volersi staccare da quei fogli di fronte a sé mentre le parole nella sua testa si materializzavano frenetiche sotto il suo sguardo. Gli sembrò quasi di uscire da uno stato di trance quando andò a battere il punto finale, ritrovandosi a spostare le iridi sottolineate da pesanti occhiaie violacee sulla scrivania di fronte a sé, dove erano ammassati diversi mucchietti di fogli. Due editoriali e un pamphlet. Per un istante, uscito da quella bolla, ebbe come la sensazione che quelle cose le avesse scritte qualcun altro - un'entità terza, impossessatasi del suo corpo per riversare su carta ogni pensiero che custodiva in testa. Sospirando profondamente, si era passato le mani tra i capelli, alzandosi dalla sedia per andare in cucina e rendersi conto solo in quel momento che era lunedì mattina. Ho dormito? Ho mangiato? Ricordo di aver sentito i miei fratelli. Si era sentito confuso, incerto dei propri stessi movimenti negli ultimi due giorni, come se pur durante i piccoli riposi, le pause e i diversi richiami fisiologici, la sua testa non avesse mai smesso di rimanere concentrata sul groviglio di parole da battere a macchina. Le stesse parole che Percival Watson si sentì di stroncare di netto durante la riunione del pannello amministrativo, scansandole in favore della più venale delle questioni. Albus, con chissà quanto caffè in corpo, il volto bianco e gli occhi scuri come la pece, aveva fissato il rampollo dei Lancaster come se fosse pronto ad azzannargli la giugulare da un momento all'altro. « Fammi capire. Stai suggerendo di.. » si guardò velocemente intorno, senza tuttavia posare lo sguardo su nessuno, aggrottando la fronte e arricciando le labbra come stesse cercando delle parole che in realtà aveva già. Riportò quindi lo sguardo sul coetaneo, sollevando le sopracciglia in un'espressione interrogativa. « ..non fare nulla? » Si inumidì le labbra in un gesto nevrotico. « Non lo so, vogliamo dedicare la prima pagina alla soppressione dei Berretti Rossi ad Hogwarts? » Il giovane Lancaster tenne lo sguardo fermo in quello di Albus senza scomporsi, fissandolo con quella sua solita aria di superiorità che il moro tanto odiava. Come se tu avessi la cazzo di verità in tasca, tu e il tuo titolo nobiliare del cazzo. Non sei riuscito a parlare con la tua ragazza per quasi un anno e ti permetti pure di trattarmi come fossi un ragazzino idiota da tenere a bada. « Sto suggerendo di non perdere altri investitori. Purtroppo viviamo in un mondo in cui le opinioni si stampano con i soldi..non con le belle intenzioni. » A quel punto della situazione, Albus stava ribollendo di rabbia. Uno stato d'animo, il suo, manifestato dal tamburellare nevrotico delle sue dita sulla superficie del lungo tavolo. « Però finché ci sta da applaudire e fare gli splendidi, le belle intenzioni e le opinioni fanno comodo, vero? » disse tra i denti, con un tono innaturalmente carezzevole, come se si stesse impegnando più del dovuto a non urlare in faccia all'ex Caposcuola. Voleva piccarlo sul vivo, ma evidentemente non riuscì nel suo intento, perché sotto lo sguardo guerrafondaio di Albus, Percy distese un sorriso, annuendo appena. « Allora quando vuoi lo capisci. » Watson schioccò dunque la lingua sul palato, alzandosi in piedi. « Bene, se tutti sono d'accordo direi di procedere oltre. Mi sono preso la libertà di prendere contatti in Finlandia per altri investimenti. Vi lascio consultare i fogli che troverete di fronte a voi così potremo vagliare insieme ogni opzione, a cominciare dalla mia famiglia, che ha dato la propria disponibilità ad entrare nel progetto. Albus..vuoi cominciare tu a leggere? »
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    [...] « Non ci sono per nessuno, Brenda. » disse velocemente, passando di gran carriera di fronte alla scrivania della segretaria prima di varcare la porta del proprio ufficio e sbattersela violentemente alle spalle. Buttò la giacca del completo sullo schienale del divano, allentandosi con veemenza la cravatta prima di fargli fare la stessa fine e proseguire poi a slacciarsi i bottoni dei polsini e arrotolarsi la camicia fino alle maniche. Il suo ultimo briciolo di contegno fu indirizzato ad estrarre la bacchetta, chiudere gli occhi e prendere un respiro profondo prima di mormorare « Muffliato. » E lì, presa quell'accortezza, l'acqua sfondò gli argini. « VAFFANCULO!! » urlò a pieni polmoni, così forte da sentirsi la gola bruciare per quel raptus di rabbia che lo portò a sferrare pugni a casaccio contro il muro. Tutta la rabbia stratificata, la frustrazione, il senso di impotenza e umiliazione - tutto quanto venne sfogato tra urla e pugni. Con l'adrenalina della follia in circolo, Albus non riusciva nemmeno a percepire il dolore su quelle nocche piene di sangue. Eppure una parte di sé, persa chissà dove, sapeva bene quanto controproducente fosse quell'anestetico naturale. Il dolore fisico è il segnale che il nostro cervello ci manda per farci capire che qualcosa non va, che stiamo arrecando dei danni al nostro delicato sistema. Il dolore, paradossalmente, è nostro alleato: la seconda difesa dal pericolo subito dopo la paura, lo stimolo necessario ad innescare il nostro innato istinto di sopravvivenza. Ma Albus in quel momento non lo sentiva, così come non lo aveva mai sentito tutte quelle volte che si era trovato in mezzo ad una rissa. Arrivava dopo, insieme ai sensi di colpa e agli sguardi delusi delle persone a lui care. Però lì, in quel momento, c'erano soltanto lui, il muro e la rabbia. Una rabbia cieca, che lo portò ad afferrare la prima cosa che trovò sulla scrivania per scagliarla con forza contro il muro scheggiato e macchiato di sangue, mandandola in frantumi. Fu solo il rumore stridulo dei vetri rotti a riportarlo alla realtà, rendendosi conto di cosa avesse appena scagliato. Gli occhi neri di Albus incontrarono le facce sorridenti di Mun e dei bambini, intatte nella fotografia intorno alla quale giaceva la carcassa in brandelli della cornice rotta. Prese un profondo respiro, passandosi le mani sul volto stanco e arrossato dietro cui si celava il pulsare pressante del sangue e di un terribile mal di testa. Crollò a terra, con la faccia riversa tra le mani tinte di quel rosso che ormai gli aveva imbrattato tanto il viso quanto gli indumenti. E pianse. Pianse come un bambino che non ritrova la mamma, singhiozzando disperato fin quando il suo corpo esausto dallo stress e dalla mancanza di sonno non cedette, facendolo addormentare lì, sul pavimento di linoleum del proprio ufficio.
    Quando riaprì gli occhi, la luce mattutina che riempiva la stanza dalle ampie vetrate era ormai scomparsa, lasciando posto al buio della sera, illuminato soltanto dalla lampada accesa sulla propria scrivania. Aggrottò la fronte, sbattendo le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che non era più sul pavimento, ma sul divanetto, con una coperta gettata addosso. Il suo sguardo andò istintivamente a cercare una risposta nell'ambiente, trovandola nella figura di Amunet, seduta alla poltrona della scrivania. « Che ore sono? » biascicò con la bocca impastata mentre si rimetteva lentamente a sedere, inspirando l'aria tra i denti e contraendo i muscoli facciali in un'espressione di dolore. Adesso lo sentiva. Alle nocche e alla testa. Si alzò a fatica, facendo leva con la mano sul bracciolo di pelle per raggiungere un armadietto appeso al muro, da cui prese una pozione che tracannò velocemente. Non mi era mancato questo schifo. Un preparato basilare che col tempo aveva imparato essere il miglior compagno per la cura delle conseguenze dei propri raptus violenti. Non si poteva dire che il riformatorio non fosse un luogo istruttivo. « Lo so cosa stai per dire. » disse piano, senza voltarsi. Che sono instabile e inaffidabile. Che prendere a pugni un cazzo di muro non serve a nulla. Che se non riesco a ragionare lucidamente te ne andrai. Che sono un pessimo esempio per i bambini. Che hai già visto dove porta questo tipo di temperamento e vuoi tenerlo lontano dalla tua famiglia. « Lo conosco già il discorso. » chiosò velocemente, scuotendo il capo prima di avvicinarsi all'armadietto degli alcolici, quello che si era illuso sarebbe servito a festeggiare successi e accogliere ospiti. Bella inaugurazione - pensò, mentre si versava un bicchiere di incendiario e ne buttava giù un sorso generoso. Avrebbe voluto dirle che a ben vedere, di controllo ne aveva esercitato a sufficienza. Avrebbe voluto indicarle il muro e dirle che quello avrebbe potuto essere il suo amico - che, probabilmente, qualche anno fa lo sarebbe stato. Ma non lo fece, forse perché anche in quel caso sapeva fin troppo bene quale sarebbe stata la risposta di Mun. Ormai abbiamo litigato così tante volte che potrei recitare lo stesso copione a memoria cambiando solo le informazioni sensibili, e non cambierebbe una virgola. Tirò su col naso, voltandosi infine verso la mora. « Hai sentito le buone nuove? Abbiamo nuovi investitori dalla Finlandia. » Una bella notizia, sì, ma che il suo tono sardonico sembrava voler storpiare in un qualcosa di negativo. « Cioè, non li abbiamo ancora materialmente, ma è solo questione di tempo. È arrivato il tuo amico a salvare la giornata.. » Stirò un sorriso sarcastico, che di lieto aveva ben poco. Gli occhi puntati in quelli di Amunet. « ..da me, a quanto pare. » Buttò giù un altro sorso di liquido ambrato, portandosi il bicchiere alle labbra meccanicamente. « Ma sicuramente non ti sto comunicando nessuna novità. » Perché è vero che Watson è attaccato ad ogni centesimo, ma che abbia passato l'intero fine settimana a studiarsi un piano per salvare questo gruppo editoriale, tra le mille magagne che l'arresto di Byron ha comportato, mi sembra difficile da credere. « Mi chiedo solo cosa voglia, tutta quella brava gente, in cambio dei propri soldi. Non hanno dove altro spenderli, in Finlandia? Oppure hanno un tale buon cuore da mettersi a far beneficienza ad un gruppo editoriale inglese che è già sull'orlo del fallimento nella sua prima settimana di vita? » Incurvò le labbra all'ingiù e sollevò le sopracciglia in una smorfia che voleva ostentare dubbiosità riguardo la risposta a quelle domande. « Chissà dove lo nascondevano, questo buon cuore, quando tu eri incinta di Lily e rischiavamo la vita per reperire il minimo indispensabile. » Fin dall'inizio di quel progetto, Albus si era rivelato piuttosto intransigente sulla questione degli investitori. La sua etica inflessibile lo aveva portato a respingere più di un'offerta da parte di persone con cui non voleva essere in alcun modo associato. Ovviamente aveva dovuto fare qualche eccezione, ma anche lì ci era andato col colino a maglie strette, scegliendosi solo quelle personalità che se non si erano mai davvero mosse in loro favore, quanto meno si erano dissociate come potevano da quelli che si erano mossi a loro sfavore. Soldi sporchi. Gli stessi che hanno finanziato gli scempi di Kingsley, della Zabini e di Marchand. Preferisco andare in bancarotta piuttosto che farmi ricattare da certa feccia. « Ma suppongo che si sentiranno molto stupidi quando scopriranno quale grande piano celato sia già in moto per scagionare Byron Cooper..a spese di tutto ciò per cui si è battuto e della nostra stessa integrità morale. » Vuotò il contenuto del bicchiere, poggiandolo sul carrello. « Grazie, ma no grazie. »

    « I'll write my way out
    Overwhelm them with honesty
    This is the eye of the hurricane, this is the only
    Way I can protect my legacy »



     
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    « DAILY PROPHET! EDIZIONE DEL MATTINO! FRESCO DI STAMPA SIGNORI! » La voce solitaria dell'edicolante di zona nel quartiere magico di Edimburgo le fa gelare il sangue nelle vene. Fosse stato per Mun non avrebbe più aperto un giornale almeno per un paio di settimane. E' una domenica mattina plumbea nella capitale Scozzese e Mun ha abbandonato contro ogni previsione il nido poco dopo aver fatto colazione coi bambini. Ha lasciato tutto in mano a Tris, che si è offerta di tentare di stanare il kraken dallo studio in attesa dell'arrivo di Sirius. Immaginava fosse preoccupata per Albus; forse sarebbe pure riuscita a parlargli. Quei due hanno una forma di intesa che non capirò mai fino in fondo. Una strategia che avrebbe scoperto piuttosto in fretta che si era rivelata inutile. « Stava dormendo. Non ho avuto il cuore di svegliarlo. Credo ne avesse bisogno. » Il tono sin troppo apatico della giovane Morgenstern continuava a insospettirla. Perché non stava dando di matto come lui? Per quel poco che conosceva della ragazza si sarebbe aspettata una mobilitazione in massa delle truppe. Niente di più lontano dalla realtà. Quella mattina all'uscita dalla Città Santa c'erano come al solito due guardie che la salutarono cordialmente prima di tornare ai loro affari. « Grazie comunque. » Disse piuttosto scoraggiata prima di concludere la breve comunicazione telefonica. A quel punto l'istinto prevalse e avvicinatasi all'edicolante afferrò un copia del Prophet da una pila ben fornita, passando all'uomo due falci. Da lì si spostò verso la stazione dei taxi volanti. Avrebbe potuto smaterializzarsi, ma a dirla tutta si sentiva decisamente stanca dopo la notte insonne appena passata; spezzarsi era un rischio che non era pronta a correre specie durante un giorno decisivo per il suo futuro. « Dove andiamo Miss? » La mora sorrise cordialmente prima di immettersi sul sedile posteriore dell'auto. « Lancaster's Castle per favore. » [...] Il tichettio dell'orologio scandisce il religioso silenzio in cui Amunet Carrow e Percival Watson stanno analizzando le carte che hanno per le mani. Resoconti finanziari per lo più, specie per individuare eventuali tagli di spesa. Se tutto va bene avremmo tutti i nostri soldi al proprio posto, ma per la riunione di domani bisogna essere pronti a tutto. Mun non ci sarà; è convinta che il suo fidanzato adotterà una strategia tutto cuore zero logica. Proverà a combattere i bilanci con la buone intenzioni e le questioni di principio. In altre circostanze si sarebbe sentita in colpa per quel agire completamente contro Albus, ma considerato il modo in cui aveva deciso di mettere in chiaro il voler essere lasciato da solo a lavorare, immaginava che anche Mun avrebbe dovuto lavorare da sola, o avvalersi di altre risorse. « Tris era troppo calma oggi. » Essordisce di scatto lasciando cadere l'evidenziatore viola sopra la pagina che stava analizzando fino a pochi istanti prima. E' chiaro che sta per fare un'osservazione che il suo interlocutore capirà. « Vivo all'ombra del suo palazzo da quella che ormai mi sembra un'eternità. Quella ragazza ha un forte problema di gestione della rabbia. Sbatte di continuo porte e finestre, cammina con la stessa grazia di un ippopotamo quando è nervosa e ti risponde male anche quando non le hai fatto niente. Quando ce l'ha col mondo.. ce l'ha col mondo veramente. » Gli rivolge uno sguardo eloquente. « Oggi sembrava appena uscita da un percorso zen. Era troppo calma. » Byron Cooper è stato arrestato e lei era zen. Sta tramando qualcosa. Non avendo altro da aggiungere e restando quella un'osservazione atta puramente a metterlo in guardia, alla fine scosse la testa sospirando, chinando infine la testa sopra il fascicolo che ha di fronte. « Prospetto quindici, pagina quarantanove.. » E così continuarono a lavorare per tutto il giorno, evitando di parlare di questioni di natura personale e affrontando quel problema in un'ottica puramente professionale, come due veri e propri soci. Fungenvano bene Percy e Mun; quando avevano un obiettivo in comune non c'era verso per distogliergli dall'obiettivo. Trovavano ogni distrazione fastidiosa; persino l'elfo che annunciò il pranzo risultò poco gradito. E alla fine, dopo mille strategie e diversi piani all'attivo, la giornata finì; solo allora ci furono una serie di considerazioni di natura personale. Il carattere di Albus non era facile, e alla luce del modo in cui sembrava aver preso la questione, sarebbe stato più intrattabile del solito. Aveva sperato Mun, in un primo momento, che una volta tornati dalla festa a Cherry Island, ne avrebbero parlato insieme, elaborando una qualche forma di strategia di azione. Invece il moro aveva deciso di chiudersi nello studio, uscendo solo per motivi puramente fisiologici. Le prime volte ci aveva provato con le buone; Albus amore ti va di parlare? No. Albus voleva scrivere. E qualunque cosa stesse scrivendo doveva averlo allienato completamente. A metà della prima giornata trascorsa seguendo quel ritmo la luce nei suoi occhi scuri come la pece aveva iniziato a traballare. Verso sera, sembrava letteralmente andato. L'unica cosa che aveva reputato giusta era tenere i bambini distratti e lontani dalla furia distruttiva del kraken. Su tutto il resto non so come comportarmi. Perché effettivamente Albus e Mun non erano mai stati così punti sul vivo come quella volta. Sembravano però avere priorità differenti e anche approcci completamente opposti. Di una cosa però era certa; una cosa che realizzò mentre, chiusa nella camera da letto poco prima dell'alba, aveva ripreso tra le mani l'edizione di quel sabato del Prophet. Facciamo schifo a lavorare separati. Lei pensava solo al tornaconto personale, lui pensava solo alle questioni di principio. E già a quel punto la paura del fallimento sembrò insinuarsi nel suo cuore.
    Lizzie aveva insistito affinché venisse organizzato un pijama party a casa di Apolline Delacour. Immaginava che neanche Vicky doveva passarsela nel migliore dei modi, così, grazie alla complicità dei suoi parenti acquisiti era riuscita a distogliere i bambini per un'altra serata dagli evidenti problemi che sembrava affacciarsi nella loro famiglia. Con un bicchiere di vino in mano, si raggomitolò sul divano aspettando che Albus rientrasse. Forse alla luce della sconfitta di oggi sarà più incline a parlare. Eppure, nonostante il passare delle ore, di Albus nemmeno l'ombra. Dopo una breve chiacchierata via caminetto con la segreteria, la piccola Carrow apprende che Albus non ha mai lasciato l'ufficio da quella stessa mattina. Alza gli occhi al cielo e sospira, rimettendosi le scarpe e afferrando contemporaneamente le chiavi della macchina. Proprio il modo in cui pensavo di passare il lunedì sera. Beh.. immagino che non sarebbe lunedì se non facesse schifo. [...] Mai quanto quest'ufficio. Sollevò le sopracciglia con fare sorpreso nel ritrovarsi di fronte a una vera e propria scena del crimine. Si era precipita lì in fretta e furia, non sapendo cosa aspettarsi. Quando Albus aveva uno dei suoi momenti tutto era possibile, tant'è che prima di sollevarlo da terra con l'ausilio della bacchetta si era persino premurata di controllargli il polso, colta da una palese quanto insensata forma di ansia. L'ansia non andava bene. Si era ripromessa di non permettersi più di cadere preda all'ansia, e quindi per tenersi occupata, dopo aver trasfigurato la giacca di lui in una morbida coperta, decise di rimettere in sesto la stanza. Non riusciva a starsene con le mani in mano, né intendeva attendere il suo risveglio all'interno di un ambiente così tossico. Ripulì tutto, fermandosi solo quando il Reparo si aggrovigliò attorno alla cornice che Albus aveva posato orgogliosamente sulla sua scrivania il primo giorno in cui erano andati insieme a Cherry Island. Afferrò la foto delutendo e osservò i volti paffuti dei bambini. Jay salutava energicamente qualcuno dietro la macchina - suo padre nella fattispecie - mentre Lily continuava a fare la linguaccia al fratello ridacchiando, nonostante Mun la intimasse a guardare verso l'obiettivo. Un momento felice che il giovane uomo logorato che ora giaceva sul divano a pochi passi da lei, aveva ritratto con un ampio sorriso, insistendo sul fatto che avrebbe scattato la foto perfetta. Ma vedi nulla è perfetto. Nemmeno questo lo è. Lasciò infine che anche le spoglie della cornice riprendessero vita, incastrando dietro il vetro cristallino le morbide figure sorridenti di tre dei quattro membri della famiglia. La sistemò infine in libreria, iniziando a trafugare assente tra i titoli Albus aveva deciso di portare lì. Alla Ricerca del Tempo Perduto; ricorda quel poderoso volume. Lo aveva con sé la sera in cui aveva tentato di dargli ripetizioni e glielo aveva visto sfogliare qualche volta anche durante il Lockdown. Sei proprio un tipo da Proust. Lo afferrò, sedendosi alla sua scrivania, e quasi con una nota di aperta sfida, posò le gambe accavalate sopra la scrivania, agitando appena la bacchetta per versarsi due dita di liquore in un bicchiere. Restò lì a leggere in silenzio per diverso tempo, finché una frase nello specifico non coincise con il risveglio del bell'addormentato. « Che ore sono? » Non alzò gli occhi dal libro, anzi fece finta di sentirsi infastidita da quel improvviso scambio intimo con Proust. « E' solo l'ora di cena. Anzi forse anche qualcosa in più.. » Controllò l'orologio sul polso prima di tornare a leggere. « Oh no no, l'ora di cena è proprio passata da un po'. » Il tono piatto e indifferente, insolitamente freddo. Era arrabbiata, ma a dirla tutta non aveva nemmeno la forza di sbraitargli contro. Restò quindi in silenzio, aspettando che si ridestasse da quello che sembrava un lungo riposo di cui doveva avere bisogno dopo le ultime nottate insonni. E infatti, forse colto da quella palese assenza di suoni fu proprio il ragazzo a rompere il silenzio. « Lo so cosa stai per dire. » Ah si? Oh no, Albus. Tu non hai la più pallida idea di cosa sto per dire. Mun era spesso morbida con lui; era destinata a cedere con facilità, ma in quella circostanza non riusciva a fare i conti con l'atteggiamento da lui tenuto negli ultimi giorni. « Lo conosco già il discorso. » Sollevò un sopracciglio, decidendo solo allora di osservarlo da sotto gli occhiali da vista, osservando i suoi movimenti lenti e meccanici. « Di quale discorso stai parlando? » Una recita ad opera d'arte quella della piccola Amunet Carrow che non indietreggiò neanche di un passo di fronte all'apparente indifferenza del ragazzo. Dovrai pur sapere a qualche livello di essere partito completamente per la tangente. « Proust? » Gli indicò la copertina prima di tornare sull'ultimo passaggio che aveva letto prima del suo risveglio. « Desideriamo essere capiti, perché desideriamo essere amati, e desideriamo essere amati perché amiamo. La comprensione degli altri è indifferente, e il loro amore è importuno. » Scoccò la lingua contro il palato richiudendo con un improvviso tonfo il libro stringendosi nelle spalle. « No, non ce la faccio. Continua a dire un sacco di stupidaggini. » Pausa. « Tu che ne pensi? »
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    Ma evidentemente Albus preferiva parlare d'altro e non attese oltre prima di passare direttamente al dunque. Un comportamento che certamente si aspettava e che avrebbe tenuto ben poco a bada il suo animo riottoso. « Hai sentito le buone nuove? Abbiamo nuovi investitori dalla Finlandia. Cioè, non li abbiamo ancora materialmente, ma è solo questione di tempo. È arrivato il tuo amico a salvare la giornata.. da me, a quanto pare. » Non si sarebbe aspettata certo una reazione positiva in seguito a quella riunione. A dirla tutta, una parte di sé era certa che sarebbe tornato a casa sbattendosi la porta di entrata iniziando a urlare e spaccare ogni cosa che gli capitasse a tiro. Tutto sommato hai arginato i danni. Sono stupita. Il senso di apparente perplessità con cui accolse quel velo di accuse che alleggiava nel discorso del moro, la portò a sospirare e togliersi gli occhiali da vista mettendo il libro da parte. « Ok, immagino che non vuoi parlare di Proust. » « Ma sicuramente non ti sto comunicando nessuna novità. » Perspicace. Ma non abbastanza evidentemente. « Beccata! » Commentò con tono intriso di ironia e altrettanto pacato, alzando gli occhi al cielo con una punta di disinteresse. Sembrava piuttosto fiera del suo operato, quasi vittoriosa. D'altronde almeno io ho portato qualche risultato. Si era imposta di non alterarsi, qualsiasi cosa lui avesse detto. Prese quindi a dondolarsi sulla sedia fissando il soffitto con un attenzione che no meritava mentre ascoltava il resto del suo discorso. « Mi chiedo solo cosa voglia, tutta quella brava gente, in cambio dei propri soldi. Non hanno dove altro spenderli, in Finlandia? Oppure hanno un tale buon cuore da mettersi a far beneficienza ad un gruppo editoriale inglese che è già sull'orlo del fallimento nella sua prima settimana di vita? Chissà dove lo nascondevano, questo buon cuore, quando tu eri incinta di Lily e rischiavamo la vita per reperire il minimo indispensabile. » Scosse la testa, Mun, mentre una risata di scherno riempiva il vuoto lasciato dalle implicite accuse di lui. Ma Mun non si sentiva in colpa; non questa volta. Anzi, semmai, vedeva quei tentativi di Albus come uno sbattere il piede a terra di un bambino a cui era stato tolto il giocattolo. « Ma suppongo che si sentiranno molto stupidi quando scopriranno quale grande piano celato sia già in moto per scagionare Byron Cooper..a spese di tutto ciò per cui si è battuto e della nostra stessa integrità morale. Grazie, ma no grazie. » A quel punto si portò il bicchiere di liquore alle labbra posando per la prima volta con attenzione lo sguardo su di lui. Le occhiaie stavano prendendo il sopravento e aveva una brutta cera, segno che i suoi ritmi erano completamente alterati. Albus era uno che non faceva molto facilmente pace con scombussolamenti fisiologici. Amava mangiare e dormire quanto necessario, ed era evidente che non era stato capace di supplire a nessuna delle due esigenze. « Oh per piacere Albus, smettila di fare il ragazzino! Possono essere stati rinchiusi in un bunker antiatomico finlandese o a casa del fottuto Alek Marchand. Sinceramente non m'interessa. Con l'integrità morale non si pagano le bollette, o il mutuo.. o per quel che vale, se t'interessa ancora, non si paga nemmeno un matrimonio. » Prese un altro sorso di alcol rivolgendogli uno sguardo contrariato. Posò il bicchiere sulla superficie in legno e abbassò lo sguardo, roteando il cristallo con fare pensierosa. Fredda e calcolata come una iena pronta ad azzannare. Lo sguardo corse per qualche istante sulle sue nocche deglutendo. Non le piaceva parlare in quel modo, passare per la parte spregiudicata della situazione. Non è così. Io ci tengo a quello che stiamo facendo. Eppure, nonostante lo pensasse non lo disse. Le sembrò quasi un retrocedere; non gli avrebbe concesso così tanto terreno. In quel momento era certa che Albus avrebbe utilizzato ogni spiraglio per dar sfogo al barlume di instabilità che si stava insinuando nella sua mente. « Quando mi hai detto di voler fare l'imprenditore.. » Deglutì ripensando all'esatto momento in cui ne avevano parlato per la prima volta. Erano felici, così illusi dalla prospettiva idealista di quel progetto da pensare che sarebbe filato davvero tutto liscio. « - mi hai detto Mun voglio fare l'imprenditore, voglio costruire qualcosa per i bambini. Credevo fossi pronto a tutto. » Ma non lo sei. Tu non sei affatto pronto. « Gli affari non si fanno con le buone intenzioni, Albus. Ci sono tanti soldi di mezzo. Prima lo realizzi, prima possiamo superare questa crisi. » Prima che sia troppo tardi. « Non hai tempo di scrivere cazzate politiche in difesa di Byron Cooper. Stiamo perdendo tutti i nostri risparmi. Qui dentro abbiamo messo quasi tutto. » Allarga le braccia e sgrana gli occhi. « Cristo santo, riprenditi. Devi fare gioco di squadra, altrimenti sei fuori! Non ti vanno bene i finlandesi, tira fuori qualcos'altro! Qui però ci vogliono soldi, altrimenti la tua indignazione non riusciamo nemmeno a stamparla! Né questa, né le prossime.. » Perché tanto con Albus Potter è solo questione di tempo prima che un'altra questione di principio risvegli il diffuso sentimento di indignazione. « Oggettivamente tu cos'hai fatto Albus? Stai qui a criticare i finlandesi e le loro intenzioni mentre tu sei rimasto a macchinare la tua grande vendetta editoriale chiuso in un fottuto studio per due giorni. Poi al terzo giorno sei collassato sul pavimento del tuo ufficio. » Batté le mani in maniera plateale. « Complimenti! » Imprenditore dell'anno.



     
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    L'aveva saputo sin dal primo momento, quando il germoglio dell'intuizione aveva cominciato a spigare tra i suoi pensieri, che qualunque cosa stesse per nascere, era un qualcosa di grande. Ogni contratto firmato, ogni stretta di mano, ogni pietra posata su quel luogo aveva contribuito a formare nella testa di Albus l'idea che quello non era un semplice gruppo editoriale, ma molto di più. Si trattava di un mutamento radicale che non coinvolgeva solo la vita del giovane Potter, ma dell'intero mondo magico. Quando poi aveva parlato di fronte a tutti, ecco che la consapevolezza era arrivata, schiacciante e innegabile, di aver messo un piede oltre la soglia della storia. Qualunque cosa succedesse, ci era entrato di diritto, con i propri valori, le proprie idee e le proprie forze. Quel giorno, Albus lo sapevo, era il primo di un nuovo capitolo - quello in cui avrebbe smesso di essere soltanto il figlio di Harry Potter agli occhi di tutti. E per quanto tragicamente fosse finita quella serata, per quanto destabilizzato e fuori di sé lo avessero reso gli eventi, Albus non aveva smesso di pensare a quella responsabilità, che è forse la più grossa: essere responsabili di se stessi. Mentre batteva freneticamente a macchina i propri discorsi, il moro poteva distintamente percepire gli occhi del mondo magico puntati su di sé, in attesa di una risposta. Cosa farà adesso Albus Potter? Se lo chiedevano tutti, i giornali in primis. Ogni prima pagina parlava degli avvenimenti del sei Novembre, riportando la foto dell'ex Serpeverde a fianco del fu Governatore. Era il suo primo banco di prova, il test a cui la storia lo stava sottoponendo per vedere di che pasta fosse fatto. È qui che il mio nome assume un significato. È oggi, in questo momento, in questa finestra di tempo ingannevole e fuggiasca. È così che verrà proclamata la mia sentenza. E quindi aveva scritto per giorni interi, chiuso in una stanza con i propri pensieri. Aveva rivisto quelle pagine innumerevoli volte, perfezionandole fin quando non le aveva reputate adatte nella forma e nel contenuto. Non c'erano accuse mirate tra quelle righe - semplicemente perché non aveva prove di nulla, non ancora - ma c'era l'esposizione accurata del marcio sepolto sotto la Restaurazione. C'era la disamina accurata di un sistema politico corrotto e antiquato, che non permetteva altre opzioni se non la deriva autoritaria o la completa instabilità. E c'era poi, ovviamente, la critica spietata al sistema d'informazione, su cui il Ministero aveva sempre detenuto il quasi completo monopolio..fino a quel momento. Coincidenza delle coincidenze, perbacco! Per quanto complessi e arrovellati fossero i suoi ragionamenti, su carta si districavano in maniera chiara, con frasi abrasive che lasciavano davvero poco spazio all'interpretazione. Era stato questo il materiale dei due editoriali e del pamphlet che aveva scritto: una bomba buttata sull'intero sistema, con fatti e dati insindacabili alla mano. Ovviamente non si aspettava che i suoi scritti venissero accolti con piacere dal consiglio amministrativo, ma la verità era che dell'opinione di quattro burocrati gli importava davvero poco - principalmente perché nel cuore Albus sapeva di aver ragione, pur sapendo anche che molti non l'avrebbero vista alla stessa maniera. Che fosse però proprio Mun, quella a non dargli credito, il giovane Potter non se lo era aspettato. « Oh per piacere Albus, smettila di fare il ragazzino! Possono essere stati rinchiusi in un bunker antiatomico finlandese o a casa del fottuto Alek Marchand. Sinceramente non m'interessa. Con l'integrità morale non si pagano le bollette, o il mutuo.. o per quel che vale, se t'interessa ancora, non si paga nemmeno un matrimonio. » Alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo con aria irritata. Era inconcepibile, per Albus, pensare di prestare un progetto talmente delicato e concettualmente nuovo come quello del Gruppo Peverell, alle stesse persone che fino a pochi anni prima lo avrebbero voluto vedere dietro le sbarre di Azkaban, o addirittura sottoterra. Persone che, Albus lo sapeva, si sarebbero avventate come sciacalli su tutti i suoi sforzi per vanificarli, trasformandoli in un prodotto del loro pensiero stantio. Un pensiero in via di estinzione, sterile nel più naturale senso della parola - ovvero incapace di produrre altra vita, e che dunque può sopravvivere solo in maniera parassitaria, consumando e inquinando ciò che lo minaccia finché non ne rimane più nulla. È sempre stata questa la loro strategia e sempre lo sarà, fin quando ci sarà qualcuno che glielo lascia fare. « Beh, che in casa Carrow con l'integrità morale non si sia
    mai pagato nulla, questo lo sapevo. »
    rispose caustico, stirando un sorriso sardonico a palpebre strette. « Quando mi hai detto di voler fare l'imprenditore..mi hai detto Mun voglio fare l'imprenditore, voglio costruire qualcosa per i bambini. Credevo fossi pronto a tutto. Gli affari non si fanno con le buone intenzioni, Albus. Ci sono tanti soldi di mezzo. Prima lo realizzi, prima possiamo superare questa crisi. » « Lo so! Lo so, che ci stanno tanti soldi di mezzo. » sbottò stizzito, prendendo un grosso respiro per evitare di mettersi a urlarle in faccia in malo modo. Che lo stesse innervosendo era evidente: si muoveva a scatti, nevrotico, tenendo ogni più piccolo muscolo a ciascuna delle parole dette dalla mora. Non capisci. Tu semplicemente non capisci. Continui a vivere in quella cazzo di scatola in cui sei sempre vissuta e non ne esci nemmeno se ti minacciano di morte. Porca puttana, siete uguali, tu e Watson. Due animaletti addestrati. « Non hai tempo di scrivere cazzate politiche in difesa di Byron Cooper. Stiamo perdendo tutti i nostri risparmi. Qui dentro abbiamo messo quasi tutto. Cristo santo, riprenditi. Devi fare gioco di squadra, altrimenti sei fuori! Non ti vanno bene i finlandesi, tira fuori qualcos'altro! Qui però ci vogliono soldi, altrimenti la tua indignazione non riusciamo nemmeno a stamparla! Né questa, né le prossime.. » Rimase in silenzio per qualche istante, fissandola a fronte aggrottata, con uno sguardo che sembrava sforzarsi di dare un ordine a qualcosa che un ordine non lo aveva affatto. « Scusa, ma tu, per venir qui a parlare, le hai almeno lette le mie cazzate politiche? Hai quanto meno una vaga idea di quale sia il punto della situazione o sei soltanto venuta qui con i tuoi tacchetti a piangere miseria? » « Oggettivamente tu cos'hai fatto Albus? Stai qui a criticare i finlandesi e le loro intenzioni mentre tu sei rimasto a macchinare la tua grande vendetta editoriale chiuso in un fottuto studio per due giorni. Poi al terzo giorno sei collassato sul pavimento del tuo ufficio. Complimenti! » Sbottò a ridere, scuotendo il capo con lo sguardo puntato al soffitto e le sopracciglia sollevate in un'espressione di puro sbigottimento. Io non ci credo che con tutte le cose successe negli ultimi anni, tu davvero hai il coraggio di venire qui e ridurre il tutto a una questione di finanziamenti. « Spiegami, Mun..con chi devo fare gioco di squadra? » le chiese con tono affettatamente sereno, sbattendo le palpebre dopo un lungo silenzio. « Con quelli che prima ancora di volerci sbattere in galera andavano in giro col marchio nero tatuato sul braccio? Con persone che hanno fatto la propria fortuna non si sa come e non si sa quando? » Sbuffò una risata dalle narici, ma anche quella breve ilarità durò poco. Dietro alla risata, gli occhi di Albus erano due tizzoni ardenti, infuocati da una rabbia che a quel punto era quasi certo Mun non potesse o non volesse comprendere. Fece un paio di passi avanti in direzione della mora, con le palpebre ridotte a due fessure e un tono di voce sibilato a denti stretti. « Con quelli che hanno preso il nome di Byron - no, anzi, che hanno preso il mio nome, e l'hanno trascinato nel fango? » Sputò quella domanda retorica con rabbia, piccato anche solo dall'idea che Mun potesse prendere in seria considerazione l'eventualità di prostrarsi ai piedi di chi li aveva obbligati a nascondersi come ratti per mesi. « No, Mun. Non andrò a mendicare dai vostri ex compagnetti di burraco. Non ho intenzione di lasciare ai miei figli un'eredità costruita su ipocrisia e corruzione. » Fece un altro passo avanti, posizionandosi di fronte a Mun con gli occhi piantati nei suoi e muovendo le mani come a scandire un concetto che sperava le fosse ben chiaro. « Io non sono come tuo padre. » scandì con forza, a un palmo dal suo volto. La mia parola vale qualcosa. Il mio nome vale qualcosa. Vale ciò che devo a me stesso e ai miei figli. « E non provare a farmici diventare solo perché tu non riesci a vedere nient'altro al di là del fottutissimo marcio a cui ti ha abituata. » Scosse il capo con fervore, inumidendosi le labbra velocemente. « Sì, io sono pronto a tutto. Ma evidentemente io e te intendiamo due cose ben diverse con questa frase. Per te, essere pronti a tutto, significa rinnegare qualunque valore e forma di dignità pur di galleggiare insieme al resto della spazzatura. Per me, invece, significa lottare con le unghie e con i denti per proteggere l'integrità di ciò che abbiamo costruito. Altrimenti questo luogo non sarà altro che una carcassa di vetro lasciata agli avvoltoi di una società morente. » Perché è così: loro hanno bisogno di noi più di quanto noi abbiamo bisogno di loro. Loro stanno morendo, lentamente, dal giorno in cui Byron ha posato la prima pietra su questo isolotto. E con i loro ricatti e le loro intimidazioni vogliono farci credere di essere il nostro biglietto d'oro per la sopravvivenza, quando in realtà è l'esatto contrario. Hanno perso tutto e vogliono solo trovare una nuova mangiatoia per sopravvivere e continuare a speculare. « Vuoi il mio piano? Ecco il mio piano: lavorare onestamente. Voglio che si parli di questo arresto su tutte le nostre piattaforme di informazione. Non stiamo per fallire dall'oggi al domani. Venerdì, dopo la trasmissione della partita Bats contro Cannons, andrò a prendermi tutti gli investitori puliti delle radio e dei giornali sportivi che manderemo in fallimento. » Fece una pausa. « Non potranno rifiutarmi, perché sanno che in fallimento ci andranno eccome. Pensi che ai milioni di spettatori del Quidditch importi qualcosa delle mie opinioni politiche? Pensi che gliene importerà qualcosa, agli investitori concorrenti, quando capiranno che li stiamo mandando a picco? » Scosse il capo. No, non gliene importerà nulla. Perché se non vogliono perdere tutti i loro soldi, dovranno trovare qualcosa in cui investire. E saremo noi la scelta. Magari la faranno con delle riserve, ma alla fine andrà così. Il Gruppo Peverell è una macchina inarrestabile, ed è tempo che noi per primi cominciamo a vederlo e trattarlo come tale. Una stupidaggine come il Quidditch muove più soldi di quanti me e te insieme potremmo mai immaginare. E su questo, il coltello lo abbiamo noi dalla parte del manico. « Poi manderemo in onda il processo a Byron Cooper. Il primo processo in chiaro nella storia del mondo magico. » Sarà un boom di ascolti, tanto tra i nostri sostenitori quanto tra i nostri detrattori. La fissò in silenzio per qualche istante, a pochi centimetri dal suo volto, prima di scansarsi bruscamente, aprendo un cassetto della scrivania per estrarre il pacchetto di sigarette e accendersene una. Raggiunse a grandi falcate la vetrata, facendo scattare la maniglia di una finestra per far entrare l'aria fredda della sera nella stanza. Si appoggiò quindi con una spalla contro la parete di vetro, incrociando le gambe e rivolgendo uno sguardo serio a Mun. « Se non riuscite a vedere che questo posto non è una semplice azienducola come tante altre, evidentemente non avete le palle o la testa per creare - o anche solo immaginare - un'alternativa alla mediocrità. » Si portò la sigaretta alle labbra, lasciando che il silenzio venisse colmato dallo sfrigolio della carta combusta. « Se non volevate credere in nulla, forse avreste dovuto investire nel bocciodromo dell'Astra. Ma siete in tempo: ho sentito che stanno ancora elemosinando in giro. » La fine che si meritano e dalla quale non sarò certo io a salvarli. Semmai, sarò quello che gli darà l'ultima picconata.


     
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    « Beh, che in casa Carrow con l'integrità morale non si sia mai pagato nulla, questo lo sapevo. » Gli occhi della piccola Carrow brillarono di una luce riottosa nel semibuio della stanza fresca di arredo. In passato Mun era stata la prima a criticare e discostarsi dai modi e dalle credenze della sua famiglia, e non intendeva certo rimangiarsi le parole, eppure, nel momento stesso in cui il giovane Potter decise di scendere lungo quella scia, qualcosa mutò. C'è un patto non scritto, secondo cui in una relazione, non si dovrebbe mai andare troppo affondo sulle rispettive famiglie. La sua non era perfetta, e Mun non aveva mai tentato di nasconderlo, ma il fatto che Albus fosse pronto a puntarle contro il dito non le andò giù lo stesso. Spesso si era chiesta da dove venissero le ricchezze della sua famiglia, cosa faceva di preciso Abraxis Carrow per potersi permettere di passare intere giornate sotto terra a torturare la minore dei suoi pargoli. Che tipo di lavoro svolgeva in quel suo studio al secondo piano della maestosa Alexandria e che cosa facevano di preciso tutti gli uomini che andavano e venivo nei pressi di Cambridge? E in ultima istanza, come facevano a permettersi di mantenere quella casa, i gioielli che Sagitta indossava costantemente o anche semplicemente tutti i giocattoli e i vestiti di cui lei stessa aveva sempre goduto. Quando era piccola, Mun si faceva tante domande; lentamente, dentro di sé si è data diverse risposte. Nessuna era esatta, perchè il padre aveva deciso di portarsi molti dei suoi segreti nella tomba. Tracce della sua attività ricomparivano ovunque; persino durante il suo tirocinio ad Azkaban, Mun aveva scovato diverse pratiche in cui era riuscita a riconoscere in ultima istanza l'elegante marchio di fabbrica metaforico di Abraxis Carrow. Non è come se non lo sapesse; lo sapeva, ma pur sapendolo pensava di aver in qualche maniera dato un'immagine differente di sé, riabilitando in un certo qual modo anche ciò che c'era prima di lei. Cos'altro avrebbe dovuto fare? Si era illusa che usando parte dei soldi della sua eredità per quel progetto, avrebbe in qualche maniera lavato la sua onta. Quelli sono soldi sporchi. Di sangue. Ma possono creare qualcosa di migliore. Non si era sentita in colpa; non aveva provato un senso di instabilità nel contribuire, nonostante quelli fossero i soldi di Abraxis Carrow. Sarebbe comunque stato impossibile farli tornare da dove erano arrivati, né aveva senso farne una questione di principio. Mun si era detta che da tutto quel male, sarebbe sorto qualcosa di migliore. Qualcosa che aiuterà tante persone. Che cambierà davvero qualcosa. Questa l'unica speranza che ha sempre avuto. « Scusa, ma tu, per venir qui a parlare, le hai almeno lette le mie cazzate politiche? Hai quanto meno una vaga idea di quale sia il punto della situazione o sei soltanto venuta qui con i tuoi tacchetti a piangere miseria? » Corrugò la fronte scuotendo la testa. « Io piango miseria? Io. Certo! » In quel momento si sentì terribilmente sottostimata, come se lì dentro fosse solo una specie di valore accessorio. Qualcosa di irrilevante - lei e le sue idee. Lei e le sue soluzioni. Nonostante avesse passato un intero fine settimana cercando di rimediare al danno mediatico del venerdì appena passato, lei piangeva miseria e si stava lamentando. In realtà aveva assunto un atteggiamento estremamete pragmatico, cercando di pensare in primis a come arginare il danno il prima possibile. Sulle situazione al limite di ordine organizzativo, Mun era una macchina da guerra; riusciva a trovare mezzi e soluzioni, rigirarsi le frittate e trasformare svantaggi in vantaggi come nessun altro. Quei modi puntigliosi dalla precisione chirurgica erano sempre stati una sua specialità. Che si trattasse di una festa o di un intrigo a scuola, di una vendetta personale o un qualche complotto marginale contro i piani alti, Mun riusciva sempre a trovare una risposta. Non sarà quella più piacevole, ma di certo è la più efficace. « Spiegami, Mun..con chi devo fare gioco di squadra? Con quelli che prima ancora di volerci sbattere in galera andavano in giro col marchio nero tatuato sul braccio? Con persone che hanno fatto la propria fortuna non si sa come e non si sa quando? Con quelli che hanno preso il nome di Byron - no, anzi, che hanno preso il mio nome, e l'hanno trascinato nel fango? No, Mun. Non andrò a mendicare dai vostri ex compagnetti di burraco. Non ho intenzione di lasciare ai miei figli un'eredità costruita su ipocrisia e corruzione. » Lo lasciò parlare, Mun, osservandolo con un velo di freddezza inaudita. Non era impressionata dalle velate accuse che continuava a sciorinare a patto di ergersi al di sopra di tutto il resto, persino di lei e di Percy. L'altra sera aveva messo Albus su un piedistallo che agli occhi della piccola Carrow non aveva la più pallida idea di come gestire. La rabbia e l'impeto del momento stavano offuscando la sua ragione e Mun non intendeva lasciarsi investire da quel suo attacco di ego maniacale. « Io non sono come tuo padre. E non provare a farmici diventare solo perché tu non riesci a vedere nient'altro al di là del fottutissimo marcio a cui ti ha abituata. » E non batté ciglio nemmeno di fronte a quelle parole, nonostante la pungessero sul vivo, nonostante Albus la stesse guardando letteralmente e metaforicamente dall'alto verso il basso. Fece violenza psicologica su se stessa anche di fronte all'evidente vicinanza di lui, mostrandosi poco impressionata da quel suo gioco sporco.. e lo lasciò parlare guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida, intimandolo a gettare fuori tutto mentre stava già preparando la sua controffensiva. Aveva effettivamente un piano. Mi fa piacere sapere che quanto non hai passato due giorni chiuso da solo per scrivere solo ed esclusivamente cazzate politiche. E sprazzi di quelle cazzate politiche, Mun le aveva effettivamente lette. Quanto meno, aveva avuto modo di passare in rassegna diverse delle bozze che Albus aveva lasciato sparse sul pavimento dello studio prima di partire in pompa magna per la riunione di quella mattina a Cherry Island. Non poteva certo essere tacciato di complottismo. La passione che ardeva nell'animo del giovane Potter era condivisibile, e probabilmente in molti leggendo quei suoi interventi, gli avrebbroe dato ragione. Però il mondo non è pronto. Non lo era durante la Restaurazione tanto quanto non lo è adesso. Del fatto che quella loro società dovesse essere accompagnata verso il cambiamento, Mun era certa. Non si può irrompere nelle vite delle persone e sbattere loro in faccia una serie di verità che non sono mai stati pronti ad accettare. Troveranno altro a cui aggrapparsi pur di non abbandonare il loro quieto buon vivere. Mun ci teneva troppo ad Albus per lasciarlo agire d'istinto senza pianificare un tattica calcolata al millimetro prima di gettare nel mondo la sua istintiva risposta. Il problema di ciò che Albus e Mun vedevano come una situazione drammatica, era proprio il fatto che erano in pochi a vederla come drammatica. Tolti eventi sporadici che erano stati abilmente insabbiati o ridimensionati agli occhi dell'opinione pubblica - a partire dal gioco sporco dello Shame, e fino alla questione di cui erano venuti a conoscenza il primo settembre - il mondo magico era sereno. Le borse avevano ripreso a crescere, specie dopo l'insediamento del Progetto Minerva, la crisi di diversi sistemi si era via via attenuata. La gente guardava al futuro con molta più fiducia rispetto a tre anni fa. Albus rischiava di risultare davvero il cattivo della situazione.
    Prese le distanze, e Mun, rimasta in apnea durante tutto il suo discorso, sospirò portandosi il bicchiere alle labbra. Aveva la gola secca e i muscoli leggermente indolenziti, segno che era rimasta in tensione durante tutto il tempo in cui lui aveva parlato. « Se non riuscite a vedere che questo posto non è una semplice azienducola come tante altre, evidentemente non avete le palle o la testa per creare - o anche solo immaginare - un'alternativa alla mediocrità. Se non volevate credere in nulla, forse avreste dovuto investire nel bocciodromo dell'Astra. Ma siete in tempo: ho sentito che stanno ancora elemosinando in giro. » Mun sorrise scuotendo la testa decidendo di non ritenersi neanche più offesa dal suo continuare a inserirla nella stessa categoria di persone con cui non aveva più niente a che fare da anni. Osservò il ragazzo dall'altra parte della stanza con un'aria fintamente civettuola; un misto di malizia e pietà, di rassegnazione e indifferenza. In quegli occhi di ghiaccio, resi più freddi dal solito dalla portata della situazione, vi era tutto: rabbia, frustrazione, forse addirittura delusione. Si sentiva in un certo qual modo umiliata dalle parole di lui, dal modo in cui tentava di porsi al di sopra di tutto, persino di lei. Sono sempre stata dalla tua parte. Non ci posso credere.. mi stai davvero trattando in questa maniera. Istintivamente accavallò le gambe e sorrise, annuendo tra se e se sulla scia di un pensiero che non si sarebbe tenuta per se stessa. « E' buffo.. » Disse a sguardo basso sulla scia di un sorriso amaro. « ..per uno che si sta impegnando così tanto a essere la cosa più distante possibile da papà.. » E dicendo ciò sollevò finalmente lo sguardo a mo di sfida, mentre il sorriso sprezzante dalle labbra color vinaccio si allargava sul volto pallido. « ..parli esattamente come lui. » Pausa. « Anche lui era pronto a sacrificare qualunque cosa per una causa - qualunque! » Il veleno che sprigionò fu evidente tanto quanto l'aggressività passiva che logorava gli occhi di ghiaccio di lei. Si strinse nelle spalle rivolgendogli un finto sguardo di scuse. Era sincera; pensava veramente che quello fosse un discorso fuori luogo, e soprattutto offensivo. E all'offesa, Mun avrebbe risposto con un'offesa ancora più grande. Vuoi essere diverso da loro. Ma ti comporti esattamente come loro. Sprezzante di tutto pur di raggiungere un obiettivo. Infine si alza, volteggiando ancora una volta la bacchetta per aggiungere altro liquore nel bicchiere di cristallo che la raggiunse in volo mentre stava già facendo il giro della scrivania, per ridurre le distanze con la figura del moro. « Finalmente ho capito sai? Capisco che non t'interessa di quanto sarà difficile, o di quante persone dovrai calpestare pur di fare giustizia. » Ma la giustizia di chi? La tua? Siamo certi che questa è la via migliore per giungere a un mondo migliore? Per un istante, si rese conto di trovarsi di fronte a un empasse non indifferente. Una parte di sé si chiese se erano iniziate così le mire espansionistiche di quelli che sono venuti prima di loro. Volevano cambiare il mondo. Avevano delle idee. E poi è degenerato. Non importava quale matrice avessero quelle idee. Quelle di Albus, non erano meno radicali di quelle di suo padre o di quelle di Norwena Zabini. Vuoi plasmare il mondo. Lo capisco. Lo voglio anche io. Ma così stiamo solo facendo ciò che hanno fatto quelli prima di noi. Sull'altro lato della barricata, però. « D'altronde quando la storia parlerà di questo momento, non parlerà certo di cosa hai detto o fatto qui dentro giusto? Ciò che conta è cosa avrai detto là fuori. Nella folla che ti acclama! » Gli rivolge uno sguardo divertito, mentre stira uno sguardo sprezzante e leggermente perplesso compiendo ancora qualche passo nella sua direzione. Ciò che Albus proponeva comportava diversi tagli; reparti che avrebbero dovuto accantonare per il momento in attesa che la situazione finanziaria migliorasse. Sempre che migliori. E se migliora, quanto ci vorrà? Per quanto tempo dovremmo giocare alla roulette russa? No. Gli affari non sono un gioco d'azzardo. Nonostante le previsioni, la serata dell'inaugurazione aveva dimostrato quanto in fretta si potesse cadere sempre più in basso. « Le coperture non sono un mio capriccio e se non riesci a vederlo, tanto vale tornare dai tuoi amichetti di scorribande e pianificare il prossimo attacco al potere brutto e cattivo che minaccia la tua integrità. » Lo studia dalla testa ai piedi con sdegno scuotendo la testa. « Questa azienducola mediocre non è solo una tua valvola di sfogo Albus! Tu non puoi solo fare la cosa giusta per te. Cherry Island ha promesso posti di lavoro, hai preso accordi per tutti i reparti con tante persone. Che cosa dirai a queste persone? Alt signori! Vi ricontattiamo tra un paio di mesi. Non avrete uno stipendio fisso. Sfamate le vostre famiglie alla mensa dei poveri.. non sono affari miei! » Ti rendi conto di quanto suona ridicolo? « Il Quidditch è una bricciola al momento! Tu proponi di fare fare beneficienza. Pagare la gente indispensabile, vivere di pane e acqua, in attesa che la maxivendetta mediale di Albus Severus Potter attecchisca. » Scuote la testa. « Sei un cazzo di egoista.. ed egocentrico. E ti stai montando la testa. » E mi stai anche mettendo da parte. Ma quell'ultima parte, decise di tenersela per sé.
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    Se anche Mun si fosse sentita messa da parte dal momento in cui Philip Collins era entrato a Cherry Island, il punto non era quello. Avrebbe preferito che parlassero, avrebbe preferito che progettassero insieme un modo per uscirsene, invece di dover accorrere da Percival Watson disperata, convinta che il suo fidanzato avesse dato di matto. « La verità è che ti sei sobbarcato di questa responsabilità da solo perché sotto sotto sei certo di essere migliore di tutti noi. Di avere una qualche forma di integrità morale e di tempra che a tutti gli altri manca. Sai chi altro faceva così? » Una domanda che lasciò alleggiare lì tra i due posti a pochi metri di distanza. Si strinse nelle spalle sollevando le sopracciglia con un velo di intrinseca delusione, mentre inclinava la testa di lato, soffermandosi in maniera casuale su dettagli insignificanti della stanza, denotando un senso di indifferenza nei confronti di tutte le sue belle parole. « C'era solo una persona con cui avresti dovuto fare squadra. » Disse infine azzardando un ulteriore passo nella sua direzione. La brezza serale la investì di colpo portandola a stringersi leggermente nelle spalle. « Ma tu hai deciso di fare tutto da solo. Di struggerti in quell'ufficio battendo come un matto su quella macchina da scrivere come se non ci fosse un domani. » E a quel punto deglutì, colta da un senso di amarezza e profonda delusione. « Avrei dovuto capire che se è successo una volta tu avresti continuato ancora e ancora e ancora a tagliarmi fuori. » L'ombra di una vecchia faida alleggiò tra i due, mentre Mun stringeva i denti alzando il mento per osservarlo con uno sguardo colmo di rabbia e risentimento. « Qui non sei nel tuo letto. Non puoi scoccare le dita e avere il controllo. Devi meritartelo.. » Pausa. « ..devi guadagnartelo. » Il controllo e il rispetto. Fece una giravolta su se stessa allisciandosi il vestito, prima di scostare il quadro dietro qui di trovava la cassaforte che avevano fatto istallare durante i lavori di ristrutturazione. Inserita la combinazione e premuta la manopola, la aprì osservando con un velo di tristezza i troppi contanti che conteneva. Troppo pochi per cambiare il mondo. O anche solo smuoverlo. Diverse migliaia in monete d'oro e sterline, oltre ai diversi contratti confidenziali. Mun afferrò una delle mazzette, scorrendone le dita tra le banconote con un senso di palese eccitazione prima di sentirne l'odore. L'odore del vero potere che assaporò a pieni polmoni. « Vuoi che Percy e tutti gli altri ti trattino con rispetto e ti seguano? Inizia a parlare la loro lingua.. a modo tuo. Perché vedi Albus.. » E dicendo ciò accarezzò la mazzetta con la stessa premura con cui accudirebbe un piccolo cucciolo indifeso. « ..c'è una grande differenza tra un grande uomo e un grande personaggio. E per adesso.. stai facendo solo il personaggio. »


     
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    « E' buffo..per uno che si sta impegnando così tanto a essere la cosa più distante possibile da papà..parli esattamente come lui. » Inarcò un singolo sopracciglio, portandosi la sigaretta alle labbra in religioso silenzio mentre la fissava apaticamente. No ti prego, elabora questa considerazione accuratissima. « Anche lui era pronto a sacrificare qualunque cosa per una causa - qualunque! » A quelle parole, un sorriso comparve istintivamente sulle labbra del giovane Potter, che scosse la testa nel prendere un tiro e sbuffarlo successivamente fuori dalla finestra, nell'aria fredda della sera che cominciava a insinuarsi nell'ufficio. « Mi sa che la natura della causa e del sacrificio fanno un pelino di differenza, sai? » disse, quasi allegro. Se tanto siamo arrivati al momento della discussione in cui buttiamo là cazzate alla cieca, neanche ha senso incazzarsi, no? « Genocidio contro un paio di settimane di ristrettezze economiche. Stessa cosa. » I paragoni si sprecano. Inclinò appena il capo, rivolgendole uno sguardo divertito che sembrava volerle chiedere se stesse facendo sul serio o se, semplicemente, le stesse tentando un po' tutte pur di spuntarla in qualche maniera. « Finalmente ho capito sai? » Sollevò il mento, guardandola con l'aria altezzosa di chi era interessato a sentire dove volesse andare a parare con quella domanda retorica, preparandosi al contempo alla controffensiva. « Capisco che non t'interessa di quanto sarà difficile, o di quante persone dovrai calpestare pur di fare giustizia. D'altronde quando la storia parlerà di questo momento, non parlerà certo di cosa hai detto o fatto qui dentro giusto? Ciò che conta è cosa avrai detto là fuori. Nella folla che ti acclama! » Le parole della mora non sembrarono turbarlo eccessivamente, rispecchiandosi negli occhi fermi e smeraldini del ragazzo. Sì, non mi importa di quante persone dovrò calpestare, se queste non si sono fatte alcun problema a calpestare me, te, la mia famiglia e chiunque non si piegasse alla loro egemonia. Non mi interessa quanto soffriranno, perché in ogni caso non sarà nemmeno un decimo del dolore che hanno inferto e dei danni che hanno causato. Per loro è bastato un reset. Si sono illusi che portando indietro le lancette dell'orologio, i loro peccati sarebbero stati lavati. Ma non è così. Forse alcuni sono disposti a dimenticare - addirittura a perdonare - ma io no. Ho visto un'intera civiltà morire per mano di quelle persone che osservavano i cadaveri impilarsi per strada senza battere ciglio, bevendo da flute di costoso champagne e discutendo della borsa. Ho visto gente perdere il lavoro, venir messa fuori legge sulla base di nulla più che un nome. Ho visto Hogwarts decimarsi, costringendomi a prendere in mano una zappa per seppellire i miei compagni a dozzine. Quindi sì, Mun, non mi interessa quanto sarà difficile o quante persone dovrò calpestare pur di fare giustizia. Rimase qualche istante in silenzio, lasciando che la sigaretta continuasse a consumarsi mentre la fissava con serietà. « Conosco modi peggiori per fare giustizia, sai? » disse chiaro, lasciando che i propri occhi indugiassero in quelli di lei per trasmetterle esattamente la portata e il significato di quella frase. Un po' ipocrita da parte tua, farmi la lezione. « Le coperture non sono un mio capriccio e se non riesci a vederlo, tanto vale tornare dai tuoi amichetti di scorribande e pianificare il prossimo attacco al potere brutto e cattivo che minaccia la tua integrità. » Sbuffò sonoramente, roteando gli occhi mentre prendeva l'ultimo tiro di sigaretta prima di gettare il mozzicone nelle acque scure di Loch Ness, che ne inghiottirono subito il piccolo scintillio rosso. Chiuse la finestra con uno scatto secco, approfittando della filippica di Mun per farsi strada verso il bagno adiacente, lasciando la porta aperta mentre si faceva scorrere l'acqua fredda sulle nocche scorticate, medicandole poi alla bell'e meglio tra quel poco che aveva per il primo soccorso e l'ausilio della magia. A quel punto aveva la netta sensazione che Amunet le stesse tentando davvero tutte pur di farlo innervosire e provare dunque il proprio punto, anche a discapito della logica di fondo all'interno delle sue stesse parole. Tu vuoi una soddisfazione che non avrai, Mun. Voleva pungerlo sul vivo, farlo scattare in difesa del proprio orgoglio, gettandogli accuse e frecciate mirate a mandarlo in escandescenze. Perché in fin dei conti era quello il suo punto, no? Che Albus era instabile, era fuori controllo, e dunque non vedeva nulla con chiarezza. Non le importava quanto i suoi principi fossero giusti o condivisibili: importava solo screditare il suo metodo in favore di un'altra soluzione. A casa mia, questa si chiama manipolazione. « Sei un cazzo di egoista.. ed egocentrico. E ti stai montando la testa. » Terno! Sbuffò una breve risata secca, scuotendo il capo mentre si asciugava le mani disinfettate. « Altro? » chiese sarcasticamente, continuando a darle le spalle per completare l'opera sulle proprie mani, per poi spegnere la luce e uscire dal bagno chiudendosi la porticina alle spalle. « La verità è che ti sei sobbarcato di questa responsabilità da solo perché sotto sotto sei certo di essere migliore di tutti noi. Di avere una qualche forma di integrità morale e di tempra che a tutti gli altri manca. Sai chi altro faceva così? » Mh, sentiamo. Con quest'escalation, io azzarderei un paragone con Grindelwald. Ma che dico Grindelwald?! Voldemort! Osiamo. Tenne per sé quei pensieri sarcastici, appoggiandosi con la schiena al muro antistante e incrociando le braccia al petto, ascoltandola senza evadere dal suo sguardo. « C'era solo una persona con cui avresti dovuto fare squadra. » Ah ma quindi non me lo dici chi altro faceva come me? Dovrei arrivarci da solo? Ingiusto da parte tua. Tuttavia stese un sorriso dai tratti truffaldini, sbattendo appena le palpebre. « Ecco, arriviamo al vero problema. » Perché è questo, vero? Il problema è che ti sei sentita messa da parte in favore di..bo..una macchina da scrivere..per un paio di giorni. « Ma tu hai deciso di fare tutto da solo. Di struggerti in quell'ufficio battendo come un matto su quella macchina da scrivere come se non ci fosse un domani. Avrei dovuto capire che se è successo una volta tu avresti continuato ancora e ancora e ancora a tagliarmi fuori. Qui non sei nel tuo letto. Non puoi scoccare le dita e avere il controllo. Devi meritartelo..devi guadagnartelo. » Sollevò le sopracciglia, preso in contropiede da quell'ultima affermazione. Difficilmente Albus e Mun parlavano della loro dinamica intima al di fuori della stessa, e il fatto che lei l'avesse tirata fuori in quel contesto significava soltanto una cosa. Sei davvero all'ultima spiaggia, se ti appigli a quello per argomentare il tuo fastidio. Tuttavia non commentò, seguendo i movimenti di lei nell'ambiente con la stessa attenzione di un'aquila che segue quelli di un tenero coniglietto. La guardò avvicinarsi alla cassaforte senza muoversi di un centimetro, lasciando che la aprisse e ne estraesse una mazzetta di contanti per..annusarli? « Vuoi che Percy e tutti gli altri ti trattino con rispetto e ti seguano? Inizia a parlare la loro lingua.. a modo tuo. Perché vedi Albus..c'è una grande differenza tra un grande uomo e un grande personaggio. E per adesso.. stai facendo solo il personaggio. » Rimase in silenzio ancora per un po', osservandola con le labbra arricciate a voler contenere un sorriso. Poi, serenamente, alzò un braccio a mezz'aria per indicarla eloquentemente - lei e la sua preziosa mazzetta da annusare. « E poi sarei io il personaggio. » fu il suo unico commento all'intera faccenda. Dopo questa mossa, neanche ho bisogno di argomentare, guarda. Prese un profondo sospiro, staccando la schiena dal muro per raggiungere Mun e la cassaforte ad ampie falcate. Si mise prepotentemente tra le due, sfilando il denaro dalle dita di lei con poca grazia e rimettendolo al suo posto, dietro la chiusura secca e pesante della cassaforte. Fatto ciò, si voltò in direzione della ragazza, stendendo quello che aveva tutta l'aria di essere un sorriso solo apparentemente sereno. « Spiegami una cosa, Mun. » scandì piano, tenendo le iridi smeraldine incollate a quelle di lei. « Quando vai per i salotti a fare la donna d'affari, dai sempre per scontato che il tuo interlocutore sia deficiente? » Inarcò automaticamente un sopracciglio, come a scandire l'ultimo battito di quella domanda prima di chinarsi leggermente in avanti verso di lei.
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    Non è una mossa molto saggia, prendere per il culo le persone in maniera plateale e aspettarsi che siano troppo idioti per comprenderlo. « Torniamo un passo indietro, ok? » disse piano, muovendosi di poco in avanti per costringerla a ruotare leggermente. « Ciò che tu mi vorresti far credere è che se oggi io dovessi accettare i soldi sporchi dei Finlandesi, il Gruppo Peverell sarebbe salvo e vivremmo tutti felici e contenti. Un lieto fine a cui il mio egocentrismo si sta ingiustamente opponendo. » Ricapitolò quel concetto in poche parole, accompagnandolo con lenti passi in avanti che avevano lo scopo di farla progressivamente indietreggiare. « Però, se dovessimo aspettare una settimana o massimo due per intercettare degli investitori puliti - in quel caso pioverebbe fuoco su Cherry Island e interi reparti si troverebbero a chiedere l'elemosina per strada. » Beh, che dire? Ha senso. Continuò a muovere passi misurati in avanti fin quando la schiena di Mun non andò a cozzare contro il bordo della scrivania, sulla cui superficie Albus andò a poggiare lentamente i palmi in corrispondenza dei fianchi di lei. Sorrise sardonico, avvicinando il viso al suo. « Gli stipendi arrivano per tutti a fine mese, Mun. Nessuno si vedrà togliere il pane di bocca. » chiosò infine, ancorando lo sguardo in quello della mora per coglierne ogni espressione. Ma tu questo lo sai benissimo. E infatti non è il motivo per cui ti stai inalberando, ma piuttosto un modo per far inalberare me e vincere la discussione su una base prettamente emotiva. Prese quindi un grosso sospiro, inumidendosi le labbra mentre abbassava lo sguardo sulle gambe di lei, riportandolo al suo viso poco dopo. « Sono altri i tuoi problemi in tutta questa storia. E ti dirò esattamente quali siano. » Portò una gamba in avanti, intersecandola a quelle di lei per obbligarle a divaricarsi quel tanto che bastava a far spazio al corpo di Albus tra di esse. Fu solo naturale, a quel punto, che la spinta del suo corpo la portasse a sedere sulla scrivania. Ed era proprio lì che Albus la voleva, a continuare quel gioco tra gatto e topo che tra loro era sempre esistito. Poggiò una mano sul suo ginocchio, risalendo piano lungo la coscia. « Innanzitutto ti sei sentita messa da parte. E sappiamo bene entrambi quanto poco ti piaccia - non ricevere attenzioni. » Inclinò leggermente il capo di lato con un sorriso, come ad aggiungere un altro peso su quella bilancia. « Le mie specialmente. » Quelle le hai sempre volute tutte. Te le divori. « E poi.. » Rimase in silenzio per qualche istante, dandosi il tempo di far scivolare la mano sotto il tessuto della sua gonna, raggiungendo con lentezza disarmante la sua sensibilità, che prese ad accarezzare con tocchi leggeri del pollice. Il sorriso sulle labbra del ragazzo cambiò presto natura, facendosi più malizioso mentre si spingeva contro di lei, sollevando il mento per osservare dall'alto le espressioni negli occhi di Mun a quell'esigua distanza che c'era ormai tra i volti. « ..sei sempre stata così impaziente. » Scandì quelle parole una a una, sussurrandole appena come un soffio sulle labbra di lei, lasciando che il polpastrello del pollice ne tracciasse il ritmo lento sul suo corpo. Fece per chinarsi in avanti a baciarla, ma proprio quando le loro labbra furono sul punto di sfiorarsi, il moro virò fluidamente la traiettoria, lasciando scorrere le proprie sulla pelle della sua guancia per raggiungerle l'orecchio e sussurrarle poche parole. « Chi lo ha detto che non siamo nel mio letto? » Pausa. « Tu? » In seguito a quelle parole, la pressione delle dita di Albus sull'intimità di Mun si fece più presente, mentre col busto si chinava sempre più in avanti per portare di rimando la schiena di lei a reclinarsi verso la superficie della scrivania. Portò la mano libera sull'incavo del ginocchio di Mun, spostandole la gamba quando bastava ad allacciarsi al suo busto. Movimenti, i suoi, accompagnati da una scia di baci che lasciò lungo il collo della ragazza, aumentando di secondo in secondo la posta in gioco in un crescendo di eccitazione che non sembrava accennare a frenarsi. Chiuse le labbra sull'incavo del suo collo, succhiandone la pelle mentre anche la mano che le teneva fermo il ginocchio risaliva il profilo della coscia di Mun, arrivando al suo fianco solo per poi virare sulla superficie del tavolo e chiudersi intorno al bicchiere di incendiario che Mun aveva lasciato a metà. Afferrato il contenitore, si ritirò da lei con un sorrisino, indietreggiando quanto bastava a lasciarsi cadere sulla poltrona. « Lo vedi che sei impaziente?! » Le scoccò quindi un veloce occhiolino, portandosi il bicchiere alle labbra per prenderne un sorso lento senza mai staccare gli occhi dai suoi. Si prese tutto il suo tempo per sorseggiare il liquore, assaporandone il sapore pungente anche quando scostò il bicchiere, passandosi la lingua sulle labbra e schioccandola poi contro il palato nell'atto di abbandonarsi serenamente sullo schienale della poltrona di pelle girevole. « Facciamo così. » esordì infine, guardandola di sottecchi mentre faceva roteare nel bicchiere ciò che era rimasto del liquido ambrato « Dammi un po' di fiducia - e soprattutto tempo - per prendermi quegli investitori. Poi, se dovessi sbagliarmi, mi arrenderò e farò come dici tu, aprendo le porte ai Finlandesi. » Rimase in silenzio per qualche istante a fissarla, chinandosi poi in avanti per poggiare il bicchiere sulla scrivania e spingerlo nella sua direzione. « Abbiamo un patto? »


     
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    Qualcosa nell'aria resa pungente dalla ventata gelida cambiò con una lentezza quasi metodica, che portò nello sguardo del giovane Potter una sorta di calma e serenità improvvisa che prima non aveva dimostrato. Di scatto le sue spalle si erano raddrizzare, i suoi movimenti si erano fatti più ferini, e il modo brusco ma pur sempre gentile con cui le sottrasse il denaro fu l'ennesima riprova del fatto che qualcosa nel discorso di Mun l'aveva turbato, o meglio, aveva reindirizzato le sue energie. Credo di sapere quale parte, ma mi riservo la possibilità di ripensarci. Non vorrei certo cadere nella trappola della malpensante. A Mun piacevano i suoi giocattoli, che si trattasse di braccialetti di dubbio gusto, anelli di fidanzamento o mazzette di soldi; con altrettanto fervore, il giovane Potter si divertiva a sottrarglieli come una forma di punizione. « Così maleducato. » E quindi da quel momento gli concesse tutta la sua attenzione stirando un leggero sorriso e sollevando il mento a mo di sfida nel vederlo avvicinarsi. « Spiegami una cosa, Mun. Quando vai per i salotti a fare la donna d'affari, dai sempre per scontato che il tuo interlocutore sia deficiente? » Restò un po' a pensarci su con un'espressione estremamente sopra le righe, malandrina, come se avesse davvero bisogno di riflettere sulla questione. Dava gran peso a quell'interrogatorio, lasciandogli prendere le redini della situazione con la solita maestria che lo contraddistingueva. Decise addirittura di sollevare per qualche istante lo sguardo verso il soffitto come se le parole adatte si trovassero da qualche parte nell'etere. La risposta che ottenne da quel momento di raccolta con se stessa sembrò essere di suo particolare gradimento considerata l'espressione soddisfatta con cui rispose. « Si. » Un'unica sillaba contrassegnata da uno sfavillante candore, accompagnato da uno sbattere le lunghe ciglia nere con insistenza. Una risposta che lasciò cadere con leggerezza e un velo di dispetto, senza articolare ulteriormente ciò che pensava. « Torniamo un passo indietro, ok? » Torniamoci. Una risposta mentale accompagnata da un leggero cenno della mano atto a invitarlo a proseguire. « Ciò che tu mi vorresti far credere è che se oggi io dovessi accettare i soldi sporchi dei Finlandesi, il Gruppo Peverell sarebbe salvo e vivremmo tutti felici e contenti. Un lieto fine a cui il mio egocentrismo si sta ingiustamente opponendo. » Indietreggiò senza opporre resistenza alcuna. Anzi, semmai, fu lei per prima ad anticipare i passi di lui, rendendosi docile e pronta a rispettare i patti di quella che era la legge naturale tra preda e cacciatore. La legge più basica che schiavizzava entrambi l'uno al cospetto dell'altro senza remora alcuna. « Che i loro siano soldi sporchi è una tua supposizione. » Mun stava giocando tanto quanto giocava Albus. Lo sguardo da scolaretta intercettata per un'interrogazione a sorpresa ricercava quello del ragazzo con plateale innocenza e apparente spirito credulone. Portò le mani dietro la schiena e lo fissò di sottecchi con un velo di finto imbarazzo. Il tipico da che vuoi che ne sappia io, apparentemente ignaro del fatto che il lupo cattivo ce l'aveva di fronte. « Però, se dovessimo aspettare una settimana o massimo due per intercettare degli investitori puliti - in quel caso pioverebbe fuoco su Cherry Island e interi reparti si troverebbero a chiedere l'elemosina per strada. » Indietreggiò ancora, sorridendo teneramente prima di inumidirsi le labbra. « Tante cose possono cambiare in due settimane. » Una splendida ninfetta pronta a stare al gioco ma anche una scolaretta un po' troppo saputella per il suo stesso bene. E lì, la sua schiena venne a contatto con la scrivania; lo sguardo di entrambi sembrò accendersi di un suggestivo desiderio nascente che sparse benzina sul fuoco nell'esatto momento in cui Mun venne costretta a saltare sulla scrivania. « Gli stipendi arrivano per tutti a fine mese, Mun. Nessuno si vedrà togliere il pane di bocca. » Il tono carezzevole con cui esalò quelle parole la portò a sorridere con un velo di malizia. Albus le spiegava ovvietà che non poteva certo pensare le sfuggissero, solo per il gusto di assumere quell'atteggiamento giocoso che smuoveva fiumi di passione tra i due innamorati. « Sono altri i tuoi problemi in tutta questa storia. E ti dirò esattamente quali siano. Innanzitutto ti sei sentita messa da parte. E sappiamo bene entrambi quanto poco ti piaccia - non ricevere attenzioni. Le mie specialmente. » Lo sguardo di ghiaccio di lei seguì con vivido interesse la traiettoria della sua mano, inumidendosi nuovamente le labbra. Aveva la gola secca, come se avesse camminato per settimane nel deserto illudendosi di vedere oasi idilliache ad ogni passo lungo un'arida distesa infinita. « Allora è proprio vero che sei egocentrico. » La voce vellutata venne accompagnata da uno sguardo malizioso mentre sbatteva le ciglia, cercando di farsi più vicina, ignorando con non poche difficoltà il pericolo reale della sua vicinanza; il respiro caldo contro il suo viso, gli occhi da predatore, i capelli che sfioravano appena la fronte di lei. « E poi.. » La velocità con cui raggiunse la sua intimità la sorprese; solitamente quei giochi duravano molto di più, eppure quella volta, il giovane Potter decise di manifestare la sua autorità con una guerra lampo. Un leggero suono acuto si sprigionò dalle labbra di lei nell'esatto momento in cui i polpastrelli di lui sfiorarono il punto più sensibile di lei, portandola a sorridere socchiudendo gli occhi in un senso di goduria che aveva l'aria di racchiudere un momento indimenticabile. Strinse le dita attorno al polso incriminato, senza tuttavia scostargli la mano, né protestare in alcun modo contro il suo atteggiamento poco professionale. Professionali, io e te, non lo saremo mai fino in fondo. « ..sei sempre stata così impaziente. » E infatti spingersi ulteriormente contro il suo tocco leggero fu istintivo, constellato di movimenti e tentativi maldestri. « Chi lo ha detto che non siamo nel mio letto? » « Io. » Ammette sfacciatamente mentre si appresta a sfilargli completamente la cravatta sbottonando diversi bottoni della sua camicia per saggiare con la punta della lingua la pelle di lui. « Tu? » « Mhm.. » Il battito cardiaco aumenta di secondo in secondo man mano che la vicinanza dei due si fece sempre più impercettibile, ansimando con un velo di svergognata soddisfazione contro il suo orecchio, aggrappandosi al suo collo. E poi qualcosa successe. Sul più bello, la situazione subì un'improvvisa battuta d'arresto mentre il moro si lasciava cadere sulla poltrona di fronte a lei, con la fronte leggermente lucida e un chiaro sorriso trionfante. « Lo vedi che sei impaziente?! » Restò completamente di sasso mentre lo osservava incredula. Davvero? Sei davvero così stronzo? « Facciamo così. Dammi un po' di fiducia - e soprattutto tempo - per prendermi quegli investitori. Poi, se dovessi sbagliarmi, mi arrenderò e farò come dici tu, aprendo le porte ai Finlandesi. » « Vaffanculo! » Una risposta istintiva seppur divertita e sorpresa, che non ebbe nemmeno il tempo di passare per il filtro della ragione. Gli riservò uno sguardo torvo mentre riprendeva contatto col pavimento, muovendosi quanto bastasse per prendersi un altro bicchiere in cui versò dell'altro liquore, questa volta con movimenti meno calmi e diligenti. Se lo portò alle labbra scuotendo la testa, superando la scrivania per raggiungere la finestra. Estratta una sigaretta dal pacchetto se la portò alle labbra e la accese in fretta e furia incollando la schiena contro la parete opposta rispetto alla posizione del ragazzo. Incrociò le braccia al petto e prese a battere il piede ritmicamente a terra in attesa di calmarsi. Per un po' non disse niente, godendosi il fumo della sigaretta e osservandolo con un misto di dispetto e frustrazione.
    « E' questo il tuo modo di parlare d'affari? » Sollevò un sopracciglio incollando il capo contro il muro mentre osservava con un velo di palese complicità la figura di lui ancorata alla poltrona del potere. Gli donava; Albus aveva un carisma innato che a molti altri con molte più risorse di lui mancava. « Buffo.. » Asserì di scatto pensierosa, rivolgendogli un sorriso compiacente mentre gettava la cenere fuori dalla finestra. « ..ho passato anni in compagnia delle ipotetiche future menti più brillanti di questo paese. Non avevano e non hanno tutt'ora neanche la metà del tuo carisma o della tua passione. » Devi solo imparare a usare nel modo giusto, questo tuo carisma. Non si vergognò né di rivolgergli un complimento così sincero, né di giungere a una constatazione piuttosto ovvia che in passato l'aveva portata di scegliere lui a discapito di tutti gli altri. Mi volevano con Nathan, ad un certo punto con Thomas, forse prima ancora con Percival. « Per rispondere alla tua domanda di prima ancora una volta - sì! Quando vado per i salotti do per scontato che le persone siano imbecilli. » Pausa. « I miei salotti sono fatti di uomini, poche donne.. nessuna ragazzina. Quelle della mia età servono per scaldare i letti - a loro piacciano quelle giovani, a volte anche molto più giovani di me. » Deglutì con apparente indifferenza spostando lo sguardo di lato mentre si stringeva nelle spalle. « Quelli della tua età solitamente si chiamano Douglas, Montgomery, Malfoy, Zabini eccetera.. » Non devo certo farti tutto l'elenco. Avanzò qualche passo nella sua direzione con estrema calma, inclinando appena la testa di lato. « Nessuno di noi due funge in mezzo a loro. Forse non fungiamo da nessuna parte se non qui.. » E dicendo ciò indicò lo spazio tra loro due stringendosi nelle spalle. Una sensazione quella che aveva avuto sin dal primo momento in cui aveva messo piede nelle celle sotterranee assieme ad Albus. Qualunque cosa ci fosse lì fuori non aderiva alla sua personalità come quel piccolo nucleo separato che si erano costruiti un pezzo alla volta. « Quando ero più piccola guardavo a questi uomini importanti con ammirazione. Volevo essere una di loro, alla pari. E loro guardavano me.. ma non desideravano la stessa cosa. Credevano che fossi in mezzo a quelle feste per trovare un buon partito, per ottenere favori o per sigillare accordi che si sarebbero tenuti nelle stanze ai piani alti senza di me. » Posò i palmi sulla scrivania puntando lo sguardo negli occhi di lui. « I Finlandesi non mi considereranno mai. Ma spero che tu non sia così sciocco da pensare che proprio in virtù di questo non mostrarmi le attenzioni che merito ti avrei lasciato firmare l'accordo a mani nude. » Riprese il bicchiere che in precedenza le apparteneva e se lo portò alle labbra. Sapeva di tabacco. Il sapore di lui e ora anche il suo. Lo osservò con occhi da candida cerbiatta mentre assaporava il liquido pungente. « Per me sono dispensabili. Loro, quelli di prima, e quelli che tenteranno di attaccarsi come funghi a questo progetto pur di saltare sul carro del vincitore dopo. Sono vermi. Forse sono sempre rimasti ai margini nei salotti che mi hanno dipinta come un pezzo di carne, ma non hanno fatto nemmeno niente per invertire la rotta. » Sollevò per un istante lo sguardo inumidendosi le labbra. « Credo di volerli vedere ancora bruciare come il primo giorno. La disfatta del bocciodromo non mi è bastata.. mi sento.. come dire.. insoddisfatta. Come se ci fossi quasi arrivata e poi sul più bello ci sia stato un inghippo. Mi sento come se dovessi fare da me.. cosa che farò alla fine.. se non ho alternative. » Ti suona famigliare? Sorrise con un che di apertamente maliziooa, mentre si metteva a sedere a gambe incrociate sopra la superficie in legno color mogano della scrivania di lui. « Però, mi sono detta, i soldi ci servono. » Pausa, mentre gli afferra con poca grazia il polso, osservandolo con la stessa innocenza altera di prima. « Insisto. » Insisto che tu mi dia ascolto. Almeno in parte. Troviamo un compromesso diverso.
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    Improvvisamente afferrò la propria bacchetta rimasta sulla scrivania, roteandola per qualche secondo in aria; diversi oggetti di arredo all'interno della stanza presero a roteare nell'aria mutando lentamente forma, finché tra i due si andò a materializzare una banalissima scacchiera babbana con tutti i pezzi necessari per cominciare una partita. Il bianco dalla parte di Albus, il nero dalla sua. Mun non era mai stata un'abile giocatrice di scacchi magici, ma era abbastanza certa che quello non era nemmeno il passatempo principe di Albus. Una situazione che sembrava solo sottolineare la solennità del momento. Se avesse sentito quel racconto in altre circostanze l'avrebbe definito una situazione molto simile alle botte da orbi. Non sembrava essere davvero interessata al gioco in sé, seppur avesse intenzione di gettarci in mezzo tutta la sua competitività, ma a quello che il gioco poteva rappresentare in quel quadretto così lontano dai soliti spazi in cui condividevano i loro momenti più intimi. « Visto che vuoi giocare d'azzardo, giochiamocela. » Asserì infine rivolgendogli uno sguardo di sfida. Giochiamo, ma di strategia. Impariamo a farlo. Scese dalla scrivania e prese posto sulla poltrona di fronte a sé accavallando le gambe con estrema grazia. « Se vinco io rifiuteremo i finlandesi, ma tu mi aiuterai a trovare le coperture necessarie per ammortizzare il buco in bilancio già da domani e - » E Mun? « ..mi aiuterai a finire col bocciodromo. Per sempre. » Voglio che ricevano il colpo di grazia. Li voglio fuori. Sempre più fuori. Sempre più disperati. Stirò un sorriso innocente sbattendo le ciglia con insistenza. « Se vinci tu, aspetteremo. Ma poi ricercheremo comunque le coperture altrove. E in più.. » E dicendo ciò intrecciò le dita appoggiando i gomiti sulla scrivania, per poi posare il mento sopra le nocche. « ..io soddisferò qualunque altra tua richiesta. » Si inumidì le labbra a quel punto, inclinando appena la testa di lato con un'apparente calma ferina. « Dicevo sul serio. Questo non è il tuo letto. Dovrai essere più convincente per placare le mie ambizioni. » Pausa. « Qui, il controllo devi guadagnartelo. » E scandì ogni parola con estrema malizia e sensualità, prima di accendersi una seconda sigaretta con movimenti lenti e calcolati, posando lo sguardo su di lui in una muta quanto silenziosa attesa. Infine gli rivolse un leggero cenno di invito. « Inizia il bianco. A te l'onore, Signor Potter. »


     
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    « Vaffanculo! » Una risata genuina abbandonò le labbra del ragazzo, che si strinse nelle spalle e riprese tra le mani il bicchiere offerto a Mun e da lei scansato. Beh, immagino che me lo berrò io allora. Non che si aspettasse arrendevolezza dalla mora: la conosceva ormai abbastanza bene da sapere che qualunque proposta le avesse messo sul piatto, di certo non sarebbe stata accettata nell'immediato. Figuriamoci, a volte non accetti neanche quando ti do ragione perché "che significa che mi dai ragione?". Stirò un sorriso tra sé e sé a quell'idea, scuotendo leggermente il capo con aria divertita. Per quanto a volte potesse essere frustrante, il loro rapporto era fatto così: avevano discusso fin dal giorno zero e forse, sotto sotto, un po' gli piaceva farlo. « E' questo il tuo modo di parlare d'affari? » Aggrottò la fronte, alzando gli occhi al soffitto con aria pensosa mentre sorseggiava l'incendiario, quasi stesse ponderando la risposta ad una domanda difficile. Storse le labbra, riportando poi lo sguardo su di lei, all'altro capo della stanza, e annuendo con fermezza. « Credo proprio di sì, sai? » Forse non ho considerato questa cosa come un'opportunità. Chissà. Magari certi investitori potrebbero venirne persuasi. Riflessioni ironiche, le sue, prodotte mentre appoggiava le gambe sulla superficie della scrivania, ponendo un tallone sopra il collo dell'altro piede. « Buffo..ho passato anni in compagnia delle ipotetiche future menti più brillanti di questo paese. Non avevano e non hanno tutt'ora neanche la metà del tuo carisma o della tua passione. » La fissò come se si aspettasse un però, in seguito a quella frase. Uno che, almeno sul momento, non sembrò arrivare, ma la cui incombenza, Albus sentiva lo stesso sulle spalle. « Dal tuo tono, non sembra un complimento. » sottolineò dunque, inarcando un sopracciglio e portandosi il bicchiere alle labbra. E forse per te non lo è, non del tutto, almeno. « Per rispondere alla tua domanda di prima ancora una volta - sì! Quando vado per i salotti do per scontato che le persone siano imbecilli. I miei salotti sono fatti di uomini, poche donne.. nessuna ragazzina. Quelle della mia età servono per scaldare i letti - a loro piacciano quelle giovani, a volte anche molto più giovani di me. » Sospirò pesantemente, raggiungendo la bacchetta per rimboccarsi il bicchiere con altro incendiario. Ok, stiamo parlando di questo. Mi serve un altro drink. Albus, almeno intuitivamente, sapeva come fosse fatto il mondo di Mun: una piramide di spazzatura. Che dentro di esso ci fosse sfrenato sessismo e strumentalizzazione sessuale di ragazzine, di certo non lo sorprendeva, ma non per questo non lo faceva arrabbiare. In fin dei conti, lì dentro Mun ci era cresciuta, e nonostante avesse ampiamente superato la maggior parte delle dinamiche imparata nel tempo, scrollarsele totalmente di dosso non è mai un affare semplice. Perché rimane comunque lì, come un sistema preinstallato. E forse hai trovato il modo di approcciarti ad esso in maniera diversa, ma la sua presenza rimane immutata. Un sistema degli uomini per gli uomini. Albus aveva spesso trovato buffo il modo in cui romanzi e film idolatravano il potere seduttivo delle donne nel muovere pedine ai piani più alti; quelle figure femminili venivano dipinte come scaltre, come volpi in un mondo di lupi, come menti acute che avevano trovato il modo di aggirare il sistema dal suo interno, strumentalizzando per il proprio tornaconto quelle che erano le loro catene. All'inizio, quelle figure lo avevano solamente infastidito, attirandogli persino accuse velate di sessismo da alcuni famigliari - poi, col tempo, aveva iniziato a capire il perché di quel fastidio e a razionalizzarlo. Non era sessismo, ma l'esatto contrario. Che il ruolo della donna sia dietro le quinte e che la seduzione sia la sua arma è una grandissima cazzata. Una bugia in piena faccia per dar lustro a un qualcosa che, di per sé, è e rimane svilente. L'aveva capito col tempo, che quel suo fastidio altro non era se non senso di frustrazione idealistica nei confronti di una posizione che trovava ingiusta. Ci aveva messo un po', ma alla fine, al nocciolo, ci era arrivato: quelle donne scaltre non esercitavano potere, non lo avevano mai, ma lo prendevano solo momentaneamente in prestito dagli uomini che lo detenevano. E quello era esattamente il tipo di bugia con cui le ragazze dell'alta società venivano farcite sin da piccole, creando in loro l'illusione di un'importanza che non avevano fino in fondo. E poi ti chiedi perché io sia disposto a tutto, pur di fare giustizia. « Quelli della tua età solitamente si chiamano Douglas, Montgomery, Malfoy, Zabini eccetera.. » Watson, Carrow. Non pronunciò quei cognomi, ma l'idea sembrò stagliarsi piuttosto evidente nello sguardo che le gettò. Trovava controproducente, ignorare certe realtà fattuali, perché se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, è anche vero che i meriti dei figli non devono essere estesi ai padri e al resto del parentado. « Nessuno di noi due funge in mezzo a loro. Forse non fungiamo da nessuna parte se non qui.. Quando ero più piccola guardavo a questi uomini importanti con ammirazione. Volevo essere una di loro, alla pari. E loro guardavano me.. ma non desideravano la stessa cosa. Credevano che fossi in mezzo a quelle feste per trovare un buon partito, per ottenere favori o per sigillare accordi che si sarebbero tenuti nelle stanze ai piani alti senza di me. » Buttò giù un sorso di incendiario, bloccandosi anche lì dal commentare. Perché lo sapeva, Albus, che quelle persone continuavano a pensare la stessa identica cosa di prima. Per loro non è cambiato nulla. Solo che prima ti vedevano come la loro puttana, e adesso come la mia. Il che, ovviamente, nella loro prospettiva è una grossa caduta di stile. D'altronde il problema non è il concetto in sé, ma il tipo di persona con cui lo applichi, no? « I Finlandesi non mi considereranno mai. Ma spero che tu non sia così sciocco da pensare che proprio in virtù di questo non mostrarmi le attenzioni che merito ti avrei lasciato firmare l'accordo a mani nude. Per me sono dispensabili. Loro, quelli di prima, e quelli che tenteranno di attaccarsi come funghi a questo progetto pur di saltare sul carro del vincitore dopo. Sono vermi. Forse sono sempre rimasti ai margini nei salotti che mi hanno dipinta come un pezzo di carne, ma non hanno fatto nemmeno niente per invertire la rotta. » Però sei comunque disposta a farli entrare nel nostro progetto, a farli arricchire ulteriormente con il nostro lavoro e ad insozzarlo. Che Albus fosse inflessibile sulle questioni di principio, questa era cosa nota. Sembrava fosse quasi un retaggio di famiglia. Abbiamo sempre rischiato tutto, spesso e volentieri senza alcuna copertura a farci da rete di sicurezza. Il tutto perché la nostra coscienza emotiva ci dettava la strada da seguire - forse la più impervia, quella con meno possibilità di riuscita, ma anche la più giusta. E alla fine l'abbiamo sempre spuntata..contro gli altri. « Credo di volerli vedere ancora bruciare come il primo giorno. La disfatta del bocciodromo non mi è bastata.. mi sento.. come dire.. insoddisfatta. Come se ci fossi quasi arrivata e poi sul più bello ci sia stato un inghippo. Mi sento come se dovessi fare da me.. cosa che farò alla fine.. se non ho alternative. » La fissò insistentemente, mentre un angolo delle sue labbra si incurvava a tracciare un sorriso malizioso in risposta a quelle ultime frasi. « Non mi dire.. » fu la sua unica risposta, mormorata a voce bassa ma abbastanza udibile, mentre inclinava il capo di lato e inarcava un sopracciglio. « Però, mi sono detta, i soldi ci servono. » Si fissarono in silenzio per qualche istante. « Insisto. » E allora penso proprio che siamo giunti alla classica situazione di stallo alla messicana, Mun. Osservò con attenzione scrupolosa i movimenti di Mun, sorseggiando di tanto in tanto il liquido ambrato nel proprio bicchiere mentre lei faceva comparire una scacchiera sotto i suoi occhi vigili. Non disse nulla, non le chiese dove volesse andare a parare, attendendo pazientemente che fosse lei stessa a spiegargli quell'alternativa. E la spiegazione non tardò ad arrivare. « Visto che vuoi giocare d'azzardo, giochiamocela. » Sbuffò una piccola risata a quelle parole, lanciandole uno sguardo divertito da sotto le ciglia. « Hai un'idea strana del gioco d'azzardo. » Che io sappia, gli scacchi sono tutto tranne quello. Un gioco a cui Albus non era mai stato bravo - o meglio, sul quale non si era mai davvero impegnato. Sapeva come muovere i pezzi e conosceva intuitivamente alcune strategie, tipo quelle di apertura, ma oltre ciò, per lui gli scacchi erano un passatempo tanto ammirevole quanto nebuloso. Ho sempre guardato Hugo giocarci. Nei suoi occhi potevo vedere quella scintilla di chi è in completo controllo della situazione: mentre muoveva un pezzo, stava già pensando a come l'altro avrebbe risposto e alle proprie mosse successive. Lo guardavo e potevo capirlo, che lui, nel fissare la scacchiera, non vedeva soltanto un miscuglio casuale di pezzi: vedeva una logica, una razionalità, un piano. Ma soprattutto, vedeva l'avversario. Io non ci sono mai riuscito. « Se vinco io rifiuteremo i finlandesi, ma tu mi aiuterai a trovare le coperture necessarie per ammortizzare il buco in bilancio già da domani e - mi aiuterai a finire col bocciodromo. Per sempre. Se vinci tu, aspetteremo. Ma poi ricercheremo comunque le coperture altrove. E in più..io soddisferò qualunque altra tua richiesta. » La fissò a palpebre leggermente strette, bevendo in silenzio dal proprio bicchiere mentre tentava di capire dove, di preciso, volesse andare a parare. « Dicevo sul serio. Questo non è il tuo letto. Dovrai essere più convincente per placare le mie ambizioni. Qui, il controllo devi guadagnartelo. » Abbassò lo sguardo sulla scacchiera per pochi istanti, riportandolo poi alla mora. « Inizia il bianco. A te l'onore, Signor Potter. » Poggiò il bicchiere sul tavolo, togliendovi i piedi dalla superficie lignea mentre prendeva uno dei pedoni tra pollice e indice. Se lo portò di fronte al volto, rigirandoselo sotto gli occhi per qualche istante prima di metterlo giù con un sospiro. Non lo mosse: lo poggiò nella stessa identica casella in cui si trovava prima. Reclinato quindi il busto contro lo schienale e congiunte le mani sugli addominali, portò le iridi color smeraldo a Mun. « Però vedi, Mun, al di là di tutto io ho un problema con questa soluzione. » Ovviamente Albus aveva un problema - come sempre. Fece una pausa, fissandola intensamente negli occhi mentre giocherellava tranquillo con i propri pollici. « Tu non ti fidi di me. » Spiegò, scandendo quelle parole con chiarezza mentre si stringeva nelle spalle. Semplice e lineare. Le qualità che hai descritto, quella passione e quel carisma, tu non le vedi davvero come dei punti di forza, ma come un pericolo. Le vedi come un possibile danno a ciò che, secondo te, dovrebbe basarsi sulla logica e sui dati. Le mie emozioni sono una minaccia alla ragione, secondo te. « Forse, da qualche parte nel tuo subconscio, pensi che io non sia pronto a fare tutto questo - o che non ci sia affatto tagliato. D'altronde io, del vostro mondo, non ho mai fatto parte, no? Nel bene e nel male. » E questo ci hai tenuto a sottolinearlo, a modo tuo. « Ma quando devi appendere un chiodo al muro non usi un altro chiodo. Usi un martello. » Il punto è proprio questo: che apparteniamo a due mondi diversi - io e loro. Logos e Pathos. Ma alla fine della giornata, tutto ciò che facciano non è forse dettato proprio dalle nostre emozioni? Scelte emotive che solo in seguito giustifichiamo con la logica. Ma tu questo lo sai. Ed è proprio per questa ragione, che mi poni di fronte una scelta emotiva. Inarcò un sopracciglio con aria allusiva, portandosi il bicchiere di incendiario alle labbra per prenderne un piccolo sorso. Il silenzio venne tagliato dal rumore del vetro che si poggiava sul legno della scrivania, seguito immediatamente dalle parole di Albus. « No. » disse candidamente, scrollando le spalle con un sorriso sereno stampato in volto. Si alzò agilmente dalla sedia, prendendo un'altra sigaretta dal pacchetto e accendendosela con un tocco veloce della bacchetta. « Vedi, Mun, tu prima mi hai parlato del tuo mondo e hai detto delle cose molto interessanti, riguardo il ruolo delle ragazze nel chiudere negoziati. » disse retoricamente, raggiungendola a passi lenti per posizionarsi alle sue spalle. Poggiò un palmo su un angolo della sedia di lei, portandosi la sigaretta alle labbra e prendendone un tiro. « E buffamente, è come se stessi dando per scontato che qui - » Si spostò quanto bastava per mettersi di fronte a lei, indicando l'ufficio con un movimento circolare dell'indice mentre appoggiava la schiena contro il bordo della scrivania « - ci troviamo ancora in quel mondo. » Sorrise, stringendosi nelle spalle con leggerezza nel portarsi ancora una volta la sigaretta alle labbra. Però non è così. Per me, questo progetto, non è una partita a scacchi. Giocare a scacchi significa seguire delle regole comuni ben precise e delineate, e quindi le cose sono due: o loro stanno alle mie, di regole, oppure io sto alle loro.
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    Ma sappiamo entrambi che nessuna delle parti ha davvero intenzione di farlo. Quindi alle mie, di regole, ce li devo portare in maniera differente.
    « Lo sai perché lo penso? » Fece una pausa, fissandola da sotto le ciglia come se si aspettasse una risposta che, ovviamente, lei non poteva dargli. « Perché analizzando la tua offerta, tanto lo scenario di vittoria quanto quello di sconfitta risultano..modesti. Sono pressoché identici, con una sola differenza sostanziale. » Fece una pausa. « Se io vinco, tu farai tutto ciò che ti chiedo. » Abbassò lo sguardo sulla scacchiera, accarezzandone il bordo col polpastrello dell'indice. « A me, quindi, converrebbe giocare, perché ho più da guadagnare rispetto a quanto abbia da perdere. » Sembra proprio una situazione ideale. D'altronde a me pochi giorni non fanno la differenza: se le coperture le trovo domani o le trovo sabato, è la stessa cosa, fin quando sono pulite. Sospirò, riportando lo sguardo a lei. « Hai detto che non siamo nel mio letto, ma in sostanza la partita si incentra proprio su ciò che tu farai nel mio letto. » E allora qual è la differenza? Cosa vinci, davvero, tu? Cosa devo meritarmi, davvero, io? Il tuo consenso? È un qualcosa che mi stai concedendo ma che altrimenti non mi daresti? Perché in quel caso non credo di volerlo. « Tanto vale mettere in palio solo quello, se tutto il resto deve essere pressoché la stessa cosa, non credi? » Prese un tiro di sigaretta, facendo una pausa. « Tanto vale che sia evidente, che sei tu - il trofeo. » Sospirò, inclinando il capo di lato come se stesse per porle una domanda di fondamentale importanza, la cui risposta si sarebbe rivelata tanto ingannevole quanto cruciale. « Con questi termini mi stai implicitamente dicendo che, qualora io dovessi scegliere di non giocare e fare semplicemente ciò che mi pare - il che, ricordiamocelo, è un'opzione nel mio ventaglio - ci perderei, passami il francesismo, la possibilità di scoparti come voglio. » Spinse leggermente il mento in alto, forzando le labbra ad incurvarsi all'ingiù in una smorfia mentre sollevava entrambe le sopracciglia, sottolineando quel pensiero a cui ormai era evidente che Albus fosse poco incline. « Pensi che, al di là di quanti giorni aspettiamo, non ti aiuterei a trovare degli investitori - fintanto che siano puliti? Pensi che non ti aiuterei a chiudere con l'Astra, a patto di farlo coi giusti metodi? Non devo giocarmelo, tutto questo: mi basta rispondere semplicemente di sì. Quindi le cose sono due: o tu senti di dovermi concedere qualcosa in cambio, oppure non ti fidi del mio piano e stai cercando di farmi cambiare strada come si faceva ai vecchi tempi. » Le scoccò uno sguardo eloquente, come a chiederle quale delle due. In ciascuno dei due casi, innanzitutto mi sento offeso - per me e per te -, e in secondo luogo non sono certo portato ad accettare. Riprese velocemente il bicchiere, buttando giù un sorso di incendiario e spegnendo la sigaretta nel posacenere. A quel punto fu istintivo, riallacciarsi uno a uno i bottoni della camicia con un sospiro, incrociando poi le braccia al petto per rivolgerle uno sguardo serio. « Non giocherò a questi termini. » Fece una pausa, inumidendosi le labbra. « Puoi scegliere di fidarti o di non fidarti, ma non andremo molto avanti se non è chiaro a entrambi che il punto non è vincere. Il punto è cambiare il gioco. » Si chinò quindi sulle proprie ginocchia, prendendo i palmi di Mun tra le proprie mani: le strinse saldamente, attento tuttavia a non farvi troppa forza. Posò un bacio sulle sue nocche, sollevando poi lo sguardo nei suoi occhi con quella solita certezza adamantina tipica della tempra di Albus. « Tu ci credi, che possiamo vincerla questa battaglia? Che possiamo cambiare tutto, anche noi stessi? Ho bisogno di saperlo. » Ci credi, in me?


     
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    « Però vedi, Mun, al di là di tutto io ho un problema con questa soluzione. Tu non ti fidi di me. » L'espressione di Mun cambiò sul colpo. Sollevò un sopracciglio piuttosto perplessa, sospirando pesantemente, prima di abbandonare la posa civettuola, alzando gli occhi al cielo. Si adagiò sulla sedia, assumendo una posizione di difesa a braccia conserte; un cambio di rotta che ruppe completamente col suo atteggiamento imperniato di malizia e giocosità. Ecco che ci risiamo. Tu non ti fidi di me, Mun. E' sempre andata così. Strinse i denti mordendosi la lingua, osservandolo un'espressione che aveva tutta l'aria di esibire un inizio di frustrante arresa. Si attendeva già un discorso sentito un milione di volte; l'uomo ferito dalla mancanza di fiducia della propria donna cattiva, gelosa, possessiva, invadente e rompicoglioni. E l'elenco potrebbe continuare a oltranza tanto che ci siamo. « Forse, da qualche parte nel tuo subconscio, pensi che io non sia pronto a fare tutto questo - o che non ci sia affatto tagliato. D'altronde io, del vostro mondo, non ho mai fatto parte, no? Nel bene e nel male. » No. Non ho detto questo, ma sembra che tu sia tornato al punto in cui capisci solo ciò che ti fa comodo. « Sei impulsivo. Punto. » Tagliò corto rigirandosi il braccialetto d'oro bianco sul polso senza una ragione apparente. Ormai spazientita cambiò leggermente posizione sulla sedia negandogli ulteriori contatti visivi, puntando piuttosto lo sguardo alla sua sinistra sull'interessante movimento dei tessuti che decoravano la lampada sulla scrivania di lui. « No. Vedi, Mun, tu prima mi hai parlato del tuo mondo e hai detto delle cose molto interessanti, riguardo il ruolo delle ragazze nel chiudere negoziati. E buffamente, è come se stessi dando per scontato che qui ci troviamo ancora in quel mondo. » Non fece caso agli spostamenti di lui, nonostante si trovasse ormai di fronte a lei. Prese a dondolare la gamba nervosamente incrociando le braccia al petto in una stretta ancora più convinta di prima, volgendo lo sguardo nella direzione opposta alla sua di proposito. Le supposizioni di Albus risultarono assurde - non voglio sentirti! - tanto quanto le appariva assurdo ormai tutto ciò che stava accadendo. Stava iniziando a rimettere in prospettiva tutte le parole di lui, tutto ciò che le aveva detto, tutto ciò che era successo negli ultimi giorni. Forse non eri affatto fuori di te. Forse eri perfettamente lucido; mi hai lasciata fuori razionalmente. Non volevi che io alterassi le tue supposizioni integerrime. Di fronte a quell'ipotesi il sorriso di lei si fece caustico, gli occhi più riflessivi, imperniati di una palese amarezza. « Lo sai perché lo penso? Perché analizzando la tua offerta, tanto lo scenario di vittoria quanto quello di sconfitta risultano.. modesti. Sono pressoché identici, con una sola differenza sostanziale. Se io vinco, tu farai tutto ciò che ti chiedo. A me, quindi, converrebbe giocare, perché ho più da guadagnare rispetto a quanto abbia da perdere. » Si inumidì le labbra a quel punto Mun, colta da un velo di sfiducia e rammarico che non nascose affatto. Era come se avesse parlato contro un muro. Non voleva ascoltarla, e lei dal canto suo iniziava a dubitare di se stessa. « Tutto cambia affinché nulla cambi.. » Le sue parole risultarono un sussurro rauco e amaro, ma non sentì di doversi spiegare, specie perché, Albus non sembrava aver finito. Continuava a sentirsi addosso il suo sguardo; aveva la sensazione che lui dal canto suo tentava in tutti i modi di inchiodarla e giudicarla. Paranoia; la sua era pura paranoia. Il figlio del Prescelto contro la figlia di un assassino, a sua volta colta nel vortice della pena capitale. « Hai detto che non siamo nel mio letto, ma in sostanza la partita si incentra proprio su ciò che tu farai nel mio letto. Tanto vale mettere in palio solo quello, se tutto il resto deve essere pressoché la stessa cosa, non credi? Tanto vale che sia evidente, che sei tu - il trofeo. Con questi termini mi stai implicitamente dicendo che, qualora io dovessi scegliere di non giocare e fare semplicemente ciò che mi pare - il che, ricordiamocelo, è un'opzione nel mio ventaglio - ci perderei, passami il francesismo, la possibilità di scoparti come voglio. » Le guance di lei avvamparono sul colpo; sapeva cos'era quella sensazione. L'aveva provata diverse volte, seppur non le abbia mai dato un nome. Umiliazione. Il nodo alla gola che provò istintivamente le impedì di dire qualunque cosa. Fu naturale quanto irrazionale girarsi appena sulla sedia mordendosi il labbro inferiore. La guerra assopita che aveva dentro sembrò pronta a suonare le trombe mentre si aggrappava ai braccioli della poltroncina quasi come se cercasse un punto di inerzia, nonostante fosse seduta. Era solo un gioco. Volevo solo giocare. Ma non lo era forse sempre con Mun? Non era forse un gioco ad averla portata a consegnare il suo libro di Pozioni ad Albus? Non era stato forse un gioco ad averla portata sul treno a Capodanno dell'anno scorso? Un gioco l'aveva fatta perdere chissà dove durante il rave. Un gioco. E' sempre un gioco. Anche Ryuk era un gioco; calcare il marmo bianco delle case dei signori altolocati lo era, così come lo era sottrarre un braccialetto o un paio di orecchini in qualche negozio di lusso a Londra. Era un gioco anche studiare la Legilimanzia, compilare la lista delle trappole durante il Lockdown e ricordare il nome di ogni fottuto abitnte castello di Hogwarts. Ogni volta era solo un gioco. Un gioco perverso e malato. Ma era pur sempre un gioco. « Pensi che, al di là di quanti giorni aspettiamo, non ti aiuterei a trovare degli investitori - fintanto che siano puliti? Pensi che non ti aiuterei a chiudere con l'Astra, a patto di farlo coi giusti metodi? Non devo giocarmelo, tutto questo: mi basta rispondere semplicemente di sì. Quindi le cose sono due: o tu senti di dovermi concedere qualcosa in cambio, oppure non ti fidi del mio piano e stai cercando di farmi cambiare strada come si faceva ai vecchi tempi. » Scoccò la lingua contro il palato, scacciando il più possibile il velo di frustrazione che provava. Sembrava ci fosse un muro nella comunicazione dei due; lui non capiva lei e lei non capiva lui, e ognuno restava fermo sulle proprie convinzioni senza smuoversi di un solo millimetro. « Non giocherò a questi termini. Puoi scegliere di fidarti o di non fidarti, ma non andremo molto avanti se non è chiaro a entrambi che il punto non è vincere. Il punto è cambiare il gioco. » Socchiuse le palpebre in un muto cenno di assenso rassegnato, mentre un sorriso amaro si dipingeva man mano sulle labbra di lei. Nonostante le avesse preso le mani, ricercando il suo sguardo, Mun sfuggì, guardando altrove. Forse per vergogna o per rabbia; forse per dispetto. Non era importante il perché; tutto ciò che voleva è costringersi a non riservargli quel contatto così intimo. « Tu ci credi, che possiamo vincerla questa battaglia? Che possiamo cambiare tutto, anche noi stessi? Ho bisogno di saperlo. » E lì per qualche istante, Mun rimase in silenzio, supina, senza alcuna intenzione di reagire. Non sembrava trovare stimolo alcuno di reagire, né di mettersi ancora a discutere. Sono stanca. Cazzo, sono davvero stanca di essere sempre io quella che non si fida quando in fondo è chiaro che il problema è un altro. « Intendi me. Non noi stessi.. sono io che devo cambiare me stessa. » E' solo a quel punto che si alza, confrontandosi per qualche istante con le turbolenti iridi di lui. Gli rivolge un sorriso amaro mentre si stringe nelle spalle, ritraendo le mani per mettere le giuste distanze rispetto a quel improvviso moto di tenerezza da lui dimostrato. Non può farci i conti, né vuole farlo. Allo stato attuale è confusa e sconfortata. Non capisce o non vuole capire. Oppure semplicemente il problema è stato un altro sin dal principio. « A cosa dovrei credere di preciso eh? Troviamo gli investitori purché vadano a genio a te. Liquidiamo l'Astra usando i metodi giusti - i tuoi! » Allarga le braccia a mo di rassegnazione scuotendo la testa. « E' proprio di questo che parlo! Tu ti senti migliore di me.. e in virtù di cosa di preciso? Del fatto che tuo padre è Harry Potter? Complimenti! Sei nato nella famiglia giusta. Vuoi un applauso? » Strinse i denti e indietreggiò di diversi passi incrociando le braccia al petto. Anche quella sensazione la conosce: giudizio. Quello di Albus è piuttosto un pregiudizio. Inizio a pensare che qualunque cosa io dica o faccia, a te non andrà mai bene finché non farò esattamente ciò che tu vuoi. Devo sbattermi e lottare, altrimenti non c'è gusto, ma in ultima istanza devo compiacerti. Dov'è allora il cambiamento in tutto questo? « Tu ti riempi la bocca di belle parole, Albus, ma fai esattamente ciò che ti hanno insegnato: giudicare chi non ha il cognome giusto. » Alza gli occhi al cielo come se ricercasse una forma di autocontrollo che in quel momento non possiede più. « Ciò che mi dà fastidio di più è che al di là di tutto tu a me non hai chiesto chi erano questi investitori. Hai deciso per partito preso che sono disonesti: perché li ha scovati Percy. Non mi hai chiesto se avessi un piano - avevi già il tuo. » Si stringe nelle spalle mostrandogli un sorriso dal sapore amaro. Quell'idea precedente si sta materializzando con sempre più forza nella sua testa; Albus non ha mai voluto coinvolgerla in quella decisione. E' andato in ritiro con se stesso perché voleva decidere da solo. « Da quando siamo qui dentro non fai altro che prendere le distanze. Io ti dico che non fungiamo da nessuna parte, tu ribatti che apparteniamo a due mondi differenti. » Forse la verità è che l'unica che non funge da nessuna parte sono io. Sono una cazzo di scappata di casa. Non posso tornare indietro e a quanto pare non posso andare nemmeno avanti, perché non vado bene da nessuna parte. Sono intrappolata in un limbo cazzo, nel nulla. « Ogni volta tu metti in dubbio la mia fiducia in te, quando l'unico problema qui è che tu scappi di continuo a gambe levate dalla consapevolezza che sei tu a non fidarti di me. A volte mi sembra che tu ti stia sforzando di vedere solo ciò che ti piace di me ignorando completamente ciò che evidentemente non ti piace. » E' così semplice. E poi quando non puoi ignorare supponi sempre che io abbia un piano malvagio. Che sia pronta in ogni circostanza a dare il peggio di me. Che da un momento all'altro brucerò il mondo solo perché ne ho voglia. E forse Mun aveva represso gran parte della sua indole, di ciò che conosceva, di ciò che gli era più naturale fare; qualcosa di cui aveva dato ampiamente sfoggio in quella circostanze come in molte altre prima di allora. Non era pulita, forse non lo sarebbe mai stata del tutto. Però ci sto provando; a modo suo, ci stava provando. Evidentemente non è abbastanza per te.
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    « Rispondimi sinceramente, Albus: ci sarà mai qualcosa che ti farà cambiare idea su di me? Andrai mai oltre questi pregiudizi o per te resterò sempre un trofeo della tolleranza dei Potter nei confronti della pecora nera dei Carrow? » Visto che parliamo di trofei, spiegami qual è la differenza. « Farai mai squadra con me, oppure arriverai sempre con un piano già pronto dopo un paio di giorni di ritiro spirituale nel mirabolante mondo integerrimo di Albus Potter? Perché dovrei darti la mia fiducia se tu in primis non mi dai la tua? Ogni volta che succede qualcosa di importante tu sparisci o ti rivolgi altrove. » Mi chiedo come mai tu non abbia chiamato Fawn anche questa volta. Meglio ancora Maya. In barba all'avarizia, chiamiamole tutte! « Ho capito.. il Gruppo Peverell è la tua eredità. Ma se è così abbi le palle di dire che non vuoi il mio aiuto, né t'interessa la mia opinione. » Pausa. « No! Invece tu la butti sulla scopata, e poi mi fai sentire in colpa anche su quello, umiliandomi! Beh indovina, Albus, a quanto pare è l'unica cosa che so fare: scopo, mento e costruisco intrighi internazionali in giro! Sembrerebbe che è questa la natura di noi Carrow. » Ti odio per come mi fai sentire. Ti odio perché mi metti di continuo in discussione. E' ingiusto cazzo! E in quel momento, Mun si sentiva sporca, inadatta, mediocre. « Sai dove ho già visto quello sguardo? » Gli puntò l'indice contro ormai rassegnata. « A casa dei tuoi.. la prima volta che siamo andati a cena da loro. Ci ha messo un po' il vecchio buon Harry ad accettare che avevi messo incinta una Carrow. Eccolo! E' proprio quello lo sguardo. » Di tutte le persone che immaginavo avrebbero tentato di farmi sentire inadatta o fuori luogo, tu eri davvero l'ultima. « Secondo me ciò che vuoi sentirti dire non ha niente a che fare con la fiducia. Se dubiti di quella, non so nemmeno cosa dirti. Ciò che vuoi in realtà è che io ti dica di si. Ammettiamolo.. sin dal principio avevi già deciso che qualunque cosa avessi detto o fatto, sarebbe stato fumoso. » Abbassa lo sguardo. « Vorrei davvero che tu tentassi di capirmi qualche volta. Non solo quando sono carina e docile, o quando sto al gioco. » E lì si stringe nelle spalle, scardinata dalle sue stesse emozioni. Le stesse che imputa ad Albus e che ora non riesce più a tenere a freno mentre avanza diversi passi nella sua direzione. « Spiegami qual è il mio ruolo in tutto questo, Albus? A cosa servo io? Il mio posto di preciso qual è? Vuoi che sorrida e annuisca? O vuoi che cancelli completamente ciò che sono? Perché quello non posso farlo. Ce l'ho marchiato addosso. » E fa male. Specie quando sembra che non ci sia più un posto per me da nessuna parte. « Non posso tornare indietro e cambiare il passato. »

    Now I'm in the position it's either sit here and let him win
    Or put him back outside where he came from, but I never can
    'Cause in order to do that I'd have to open the doors
    Is that me or the fear talking? I don't know anymore





     
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    « Intendi me. Non noi stessi.. sono io che devo cambiare me stessa. » Alzò gli occhi al cielo, inspirando ed espirando profondamente mentre abbassava lo sguardo e scuoteva leggermente il capo. Perché devi sempre storpiare le mie parole? Perché ci devi vedere ogni volta dei significati reconditi? « Chi ti ha mai chiesto di cambiare nulla, eh, Mun? » disse stancamente, risollevando lo sguardo nei suoi occhi. Già solo quella risposta di lei era tutta un programma: la mora non aveva capito cosa Albus le stesse dicendo, o quanto meno non voleva farlo..per qualsivoglia ragione. In poche parole aveva già espresso un intero pensiero, uno che comportava richieste esorbitanti da parte del giovane Potter, così come il presupposto che a lui non andasse bene il tipo di persona che lei era. E io sono stanco di venir sempre accusato da te. Sono esausto di dovermi addossare tutte le insicurezze che ti trascini dietro semplicemente perché non puoi prendertela con chi ne è davvero responsabile. Sono pieno fino all'orlo del tuo dipingermi a targhe alterne come il salvatore della tua vita oppure come l'orco che ti tiene prigioniera. Sono stanco, stanco e basta. « A cosa dovrei credere di preciso eh? Troviamo gli investitori purché vadano a genio a te. Liquidiamo l'Astra usando i metodi giusti - i tuoi! E' proprio di questo che parlo! Tu ti senti migliore di me.. e in virtù di cosa di preciso? Del fatto che tuo padre è Harry Potter? Complimenti! Sei nato nella famiglia giusta. Vuoi un applauso? » Sbottò una risata secca, alzandosi in piedi in un raptus di foga. « Sei proprio incredibile! Appena esaurisci le argomentazioni, passi subito alla sindrome di Cenerentola. Stai facendo la bambina. » E di certo, in quella circostanza, non c'era nulla di malizioso o divertente in quell'affermazione. Albus trovava davvero infantile quel suo modo di fare: quel buttarsi in terra e piangere quando semplicemente non le veniva data ragione. Il copione era sempre lo stesso. Avevano punti di vista diversi, se li comunicavano, litigavano, e se per puro caso Albus le forniva argomentazioni una in fila all'altra, Mun dava in escandescenze. Perché è questo il tuo modo di fare, no? Se non puoi vincere una discussione in maniera civile, ti metti a piangere e gridi all'ingiustizia fin quando il prossimo non si impietosisce o non lascia la presa. Nemmeno rispondi al nocciolo in sé: no, fai solo la vittima. « Tu ti riempi la bocca di belle parole, Albus, ma fai esattamente ciò che ti hanno insegnato: giudicare chi non ha il cognome giusto. Ciò che mi dà fastidio di più è che al di là di tutto tu a me non hai chiesto chi erano questi investitori. Hai deciso per partito preso che sono disonesti: perché li ha scovati Percy. Non mi hai chiesto se avessi un piano - avevi già il tuo. » Aprì la bocca sbigottito, sbattendo appena le palpebre come se si stesse interrogando riguardo la serietà della ragazza nel pronunciare quelle parole. « Ma mi prendi per il culo? Il padre di Percy è un cazzo di nostalgico di Grindelwald - lo sanno anche i muri. E io dovrei accettare l'investimento suo e dei suoi amici? No Mun, non è che faccio supposizioni, ma semplicemente non sono il tipo che fa la voce grossa e poi chiude entrambi gli occhi quando gli passi i soldi. » E scusa se è poco. Su quel punto, Albus era fermissimo: non gli importava quanti punti di vista ci fossero sulla medesima situazione, o quanto i maghi della finanza intorno a sé cercassero di convincerlo ad accettare quel denaro - chi con una storiella e chi con un'altra -. Albus semplicemente non lo avrebbe preso perché glielo imponeva la sua coscienza. Abbiamo fatto una guerra, abbiamo combattuto, abbiamo visto gente morire e ci siamo messi noi stessi, nelle condizioni di morire. Per cosa? Per rinnegarlo il giorno dopo? Per sedere a tavola con le stesse persone che ci hanno mandato contro l'Inquisizione e far finta che nulla sia successo? Non capirò mai come tu possa essere a tuo agio con tutto questo anche solo momentaneamente. « Da quando siamo qui dentro non fai altro che prendere le distanze. Io ti dico che non fungiamo da nessuna parte, tu ribatti che apparteniamo a due mondi differenti. Ogni volta tu metti in dubbio la mia fiducia in te, quando l'unico problema qui è che tu scappi di continuo a gambe levate dalla consapevolezza che sei tu a non fidarti di me. A volte mi sembra che tu ti stia sforzando di vedere solo ciò che ti piace di me ignorando completamente ciò che evidentemente non ti piace. » « Io? Io non mi fido di te? Cazzo, Mun, non sono io quello che è saltato immediatamente alla conclusione che tu fossi uscita di testa perché per due giorni sei stata a scrivere. » E lo sapeva, Albus, che tutte le persone intorno a lui l'avevano vista a quella maniera: come se avesse perso il senno. Era sempre così quando si trattava di lui: la sua rabbia e il suo modo di rispondere ad essa venivano puntualmente interpretati come una spada di Damocle che incombeva sulle teste di tutti. Se il giovane Potter si rintanava in sé stesso, se non rendeva conto ogni cinque secondi dei propri movimenti, se non stava sotto gli occhi di un secondino, allora significava automaticamente che si fosse imbarcato in una missione kamikaze di cui avrebbero pagato tutti le conseguenze. Il problema non è nemmeno che tu non ti fidi di me. Qui nessuno si fida di me. Mi vedete sempre come un danno da contenere, come una minaccia da dover gestire. « Sai dove ho già visto quello sguardo? A casa dei tuoi.. la prima volta che siamo andati a cena da loro. Ci ha messo un po' il vecchio buon Harry ad accettare che avevi messo incinta una Carrow. Eccolo! E' proprio quello lo sguardo. » Rimase in silenzio a fissarla, senza parole. Ogni frase che Mun gli gettava addosso era fango spalato in piena faccia gratuitamente. Finisci, dai. Quanto più in basso sei pronta ad andare, Mun? Era morbosamente curioso di scoprirlo, nonostante ognuna delle sue parole gli provocasse una ferita. Quelle accuse, Albus non sentiva di meritarsele. Non lo aveva mai sentito, ma quella sera meno di sempre. Perché almeno le altre volte avevi un alibi. Potevi dire che la tua rabbia fosse una risposta alla mia. Ma oggi non è così. Non dopo che ti ho proposto un compromesso. Non dopo che ti ho detto che i tuoi, di compromessi, mi sarebbero stati bene anche senza il bisogno di convincermi con trucchetti sessuali. No. Tu oggi stai semplicemente sparando a zero senza appiglio alcuno. « Secondo me ciò che vuoi sentirti dire non ha niente a che fare con la fiducia. Se dubiti di quella, non so nemmeno cosa dirti. Ciò che vuoi in realtà è che io ti dica di si. Ammettiamolo.. sin dal principio avevi già deciso che qualunque cosa avessi detto o fatto, sarebbe stato fumoso. Vorrei davvero che tu tentassi di capirmi qualche volta. Non solo quando sono carina e docile, o quando sto al gioco. » Rimaneva in silenzio e la fissava, aspettando di vedere quali altre cartucce lei gli avrebbe svuotato addosso, mentre nel suo cuore cresceva un sentimento di rabbia, frustrazione e delusione. Già..perché io ti sono stato vicino solo quando era facile. Ti ho capita solo quando era comodo. Sei una fottuta bugiarda. « Spiegami qual è il mio ruolo in tutto questo, Albus? A cosa servo io? Il mio posto di preciso qual è? Vuoi che sorrida e annuisca? O vuoi che cancelli completamente ciò che sono? Perché quello non posso farlo. Ce l'ho marchiato addosso. Non posso tornare indietro e cambiare il passato. » A quel punto Albus avrebbe voluto andarsene. Avrebbe voluto prendere di peso la poltrona e mettergliela di fronte con un "vai, sei il capo, buona fortuna", uscendo poi dalla stanza con uno sbattimento di porta tale da scardinarla.
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    Avrebbe voluto andarsene da suo fratello, passare la notte sul suo divano e non vederla per almeno una giornata. Perché è disgustoso, tutto questo. È disgustoso, ciò che mi hai appena detto senza farti mezzo problema. E lo meriteresti davvero, di rimanere da sola con te stessa a riflettere su tutto questo schifo. Ma la realtà era che a quel punto Albus era troppo arrabbiato e troppo ferito persino per fare tutte quelle cose. E quindi non fece niente. Rimase in silenzio, fissandola con la più profonda delusione che le avesse mai riservato. Perché questa volta, Mun, il limite lo aveva passato sul serio. « E allora vattene, Mun. Se pensi tutta questa merda di me, se sei fermamente convinta delle tue parole, lasciami. Perché mai dovresti accettare di sposare una persona così? Perché mai dovresti prestarti a un simile stillicidio? Solo perché ti ho messa incinta? » disse a voce bassa, graffiata dal dolore di arrivare a suggerirle una simile soluzione. Perché se mi odi così tanto, se sono davvero questo mostro che stai descrivendo, allora non ha alcun senso che tu rimanga insieme a me. « Non puoi amare qualcuno che ti fa tutto questo, no? » Le sue labbra andarono a stirarsi in un sorriso che un sorriso non lo era affatto. Una linea amara e tremula, sovrastata de iridi plumbee che si erano ormai fatte lucide, mentre si stringeva nelle spalle con semplicità disarmante. « Di cosa hai paura? Delle battaglie legali? Tranquilla, non opporrò resistenza. Hai paura delle ripercussioni sui bambini? Beh, di certo se la passerebbero molto peggio con in casa due genitori pieni di odio e livore. » Nel dar voce a quei pensieri, il moro si sentì mancare l'aria dai polmoni al punto da dover prendere un respiro profondo con la bocca per ricacciare indietro tutto il panico e il dolore che provava alla sola idea. La boccata di chi è sul punto di annegare e cerca in tutti i modi di salvarsi la vita. Perché avrebbe dovuto farlo davvero - salvarsi la vita - se lei avesse scelto di proseguire per quella strada. Nulla sarebbe più stato come prima. Boccheggiò, scuotendo il capo alla ricerca di parole fino a stringersi nelle spalle in un moto di sconfitta, come ad accettare l'ineluttabile. « Io non lo so qual è il tuo ruolo, Mun. Forse mi sono illuso che saremmo riusciti a trovare ciascuno il proprio, insieme, con facilità. Ma evidentemente, se covi tutto questo rancore nei miei confronti, il tuo ruolo non è accanto a me. » Lo sguardo del ragazzo si puntò per qualche istante nel vuoto, completamente assente mentre tra di loro scendeva un silenzio pesante. Non è giusto che sia così. Non è giusto che faccia così male. Non sono perfetto, non ho mai preteso di esserlo, ma non mi merito tutta questa merda. Tirò su col naso, deglutendo e sollevando lo sguardo al soffitto per asciugare quelle lacrime che gli bruciavano negli occhi ma che non voleva far scendere. Si scostò quindi bruscamente, avvicinandosi alla scrivania per aprire il cassetto in cui aveva riposto la cartellina contenente tutto il materiale che Percy aveva portato alla riunione quella mattina. La fece cadere sul tavolo e la indicò velocemente a Mun, curandosi di non incrociare lo sguardo col suo. « È il prospetto per gli investitori di Watson, con tutto il resto di cui si è parlato alla riunione. Scegli tu. Non mi importa. » disse in un soffio di voce rotta, pronunciando quelle parole contro la netta sensazione di avere la bocca asciutta e impastata. Solo allora sollevò lo sguardo arrossato negli occhi di lei. Non mi sono mai sentito più distante da te quanto mi ci sento ora. « Te lo sei guadagnato. » D'altronde è vero, che negli affari vince chi si fa meno scrupoli. Quelle furono le sue ultime parole caustiche prima di poggiare il dito sulla corona del re bianco, ancora al suo posto sulla scacchiera. Il rumore della pedina che cadeva fu l'unico nella stanza prima che i passi di Albus lo portassero ad oltrepassare la mora e a prendere la strada della porta, che varcò diretto verso l'uscita. Comunque lo sapevamo entrambi che l'avresti vinta tu quella partita. Non è proprio il mio gioco. Mentre scendeva le scale a due a due, estrasse il cellulare dalla tasca, cercando di trovare nella rubrica il numero di James a dispetto delle lacrime copiose che gli appannavano la vista. Una volta trovato, schiacciò il pulsante di chiamata, portandosi il telefono all'orecchio. « James? Posso dormire da te stanotte? Sì..no tranquillo, ti spiego dopo. Ho solo..ho solo bisogno di un posto in cui stare. Il divano va benissimo. Ok. A tra poco. »

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