Diagon Alley

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    iagon Alley - luogo pubblico.



    Questa discussione rientra nel progetto quotidianità




    Edited by {LAST HORCRUX} - 24/1/2021, 19:16
     
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    « Okay quindi anche il regalo per i miei è andato. » Spunta mentalmente quell'ennesima riga nella lista dei regali da fare, mentre escono dal Ghirigoro con qualche galeone in meno nelle tasche e qualche buona busta in più tra le mani. L'aria fredda le fa friggere all'istante la poca pelle lasciata scoperta dalla sciarpa e il cappellino, sentendo un'improvvisa ondata di calore pervaderle le guance. Uno squittio lascia le sue labbra, seguito a ruota da una risata piena mentre si stringe all'amica. Fin da subito con Cami è stato semplice persino il contatto fisico, da sempre un tasto dolente per la giovane Potter, ma ci sono fin troppe tangenze tra le due per non far sentire Olympia irrimediabilmente a suo agio in presenza della mora. « Ora è la volta di tuo fratello. Ci ho pensato un po' sopra e ti direi assolutamente no accessori per la scopa perché è il regalo più impersonale del mondo. Il primo a cui chiunque penserebbe senza conoscere altro della persona se non il suo amore per il Quidditch. E proprio perché io non conosco altro che questo di Caleb e ho pensato proprio ad un salto da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, è un deciso no. » Sciabola le sopracciglia ramate con eloquenza, mentre lancia un'occhiata alla vetrina agghindata del negozio appena citato, passando poi oltre senza pensarci due volte. « E qui mi è venuto in soccorso Santo James da Godric's Hollow: qualcosa da intenditore, qualche pezzo speciale da reperire in un nuovo negozietto che ha aperto proprio dietro l'angolo, dice. » Camminano per qualche istante in silenzio, mentre gli occhi verdastri della rossa si soffermano più volte sulle decorazioni della via principale, il naso perennemente all'insù. « Sono anche più belle di quelle dell'anno scorso. Guarda quella renna zompettante là! » Indica alla mora l'ennessima meraviglia che si muove sopra le loro teste prima di riabbassare lo sguardo per ritrovarsi di fronte al Quaffle's Specialist. « Okay, dovremmo esserci. Da quello che ho capito, ci sono pezzi per ogni fascia di prezzo. Si trova anche l'occasione ad un prezzo stracciato, come mio zio Ron che è riuscito a prendere una maglia di un..tizio famosissimo ai suoi tempi a nemmeno una decina di galeoni. » Che poi secondo me se la terrà per lui, altro che regalarla a qualcuno. Le fa un cenno con il capo verso la porta, mordicchiandosi il labbro inferiore. « Allora gli diamo una possibilità? »


    Edited by anesthæsia¸ - 27/12/2020, 19:18
     
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    Cami vien fuori dal Ghirigoro con un'aria soddisfatta. Ha acquistato una copia del nuovo giallo Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle - suo padre è un amante del genere -, mentre per mamma ha scelto un'agenda con la copertina decorata simil-mosaico. Cammina al fianco di Lympy ed è inaspettatamente, incredibilmente felice. Si sente leggera come una piuma. Le sembra di non aver nulla da nascondere - anche se, le proprie bugie, sono impossibili da contare sulle dita di una mano... «Secondo me Lily sarà felicissima. Essendo un'appassionata di creature magiche, con quel quaderno d'illustrazioni impazzirà. L'avrei voluto io stessa!», ridacchia, commentando uno degli ultimi acquisti dell'amica. Per non parlare del libro di testo dedicato a Godric Grifondoro! - Quanto mi piacerebbe scoprire qualcosa di più su Tosca Tassorosso, invece. Me lo riprometto sempre e ancora non mi sono documentata!, si sofferma a pensare. Immersa nelle proprie riflessioni sulle Casate Hogwartsiane, si interrompe soltanto quando Lympy inizia a darle consigli sul regalo per Caleb. Suggerisce di recarsi da Quaffle's Specialist, un negozio di nicchia indicato dal fratello James. Sì, quel James Potter che tutti conoscono e che è un bravissimo - e bellissimo - giocatore di Quidditch. Impossibile da negare persino agli occhi affatto maliziosi della dolce Cami. «E' un'idea geniale. Davvero! Troveremo un sacco di cimeli che lo faranno andare in fibrillazione! Cioè, noncheiovogliafarglivenireuninfarto, ovvio, però hai capito no?, dice tutto molto velocemente, stringendo la mano di Lympy attraverso un guanto di lana morbida e calda. «Oh! Quasi dimenticavo!!!»,
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    salta in aria, piccola fata smemorina che si è appena ricordata della missione più importante del pomeriggio. «Per te!», tira fuori un thermos decorato con alcuni personaggi della Disney a tema Natale. E' il regalo per Lympy - è scartato perché, all'interno, Cami si è permessa di versare un po' di thè aromatizzato. «Ce l'ho uguale.», ridacchia, mostrando il thermos gemello e iniziando a sorseggiarne il contenuto. «Comunque ovvio che gli diamo una possibilità. Anche due, anche tre. Appena finiamo entriamo e lo svaligiamo! Tu pensi di comprare qualcosa qui?», domanda, sedendo su una panchina proprio di fronte al negozietto. Tutto intorno, le luci di Natale che le sfiorano il viso.


    Edited by daydreaming - 25/12/2020, 17:09
     
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    «Oh! Quasi dimenticavo!!! Per te!» La rossa arriccia la fronte, presa in contropiede da quel repentino cambio di tono nella mora e si ritrova tra le mani un termos dalle illustrazioni coloratissime che ritraggono alcuni tra i suoi personaggi Disney preferiti. « Ma Cami che fai? » Si ritrova a commentare, guardando prima il regalo e poi la mora con un largo sorriso che si apre da orecchio a orecchio, parzialmente nascosto dalla larga sciarpona. « E' bellissimo e utilissimo per una bevitrice di tè e tisane come me. Grazie davvero. » Abbassa gli occhi sul termos e nota subito la specifica laterale di materiali ad impatto zero. « E ti ringrazia anche l'ambiente! » Le luccicano gli occhi ogni qualvolta qualcuno intorno a lei si concede quelle piccole accortezze verso la natura. « Pensavo di dartelo dopo, ma già che ci siamo.. » la mano si intrufola dentro la borsa alla ricerca della bustina natalizia nella quale c'è il quadernino magico che ha comprato per Cami, sulle cui pagine si possono imprimere non solo immagini e parole, ma anche il ricordo di profumi e sensazioni, così da rendere più realistici i racconti che ha capito, tra le righe, che Cami si diletta a scrivere, di tanto in tanto. « Ovviamente non puoi aprirlo prima del 25! Patti chiari e amicizia lunga. » Sciabola le sopracciglia, ridacchiando, per poi bere un sorso di quel tè che la riscalda nell'immediato, tanto da farle ringraziare il cielo di averla a portata di mano. « Sinceramente? Non so. Avevo pensato di comprare qualcosa per mio zio, ma se ci ha già fatto una capatina in questi giorni, mi sembra anche un po' ridondante. Di sicuro niente per James, ha già fin troppo Quidditch nella sua vita e non credo di essere troppo qualificata per fargli anche solo qualcosa che gli possa piacere o non abbia già. » Stringe le labbra, decidendo di richiudere il termos, conservando ancora un po' di tè per un secondo momento, per poi spingere la porta del negozio. « Buonasera! » Saluta l'anziano venditore al bancone che ricambia con un cenno misurato del capo. « Squadra preferita? Dove potremmo buttarci? » Si volta allora verso la mora, a ricercarne l'attenzione prima di guardarsi intorno, immersa tra i cimeli antichi dello sport numero uno per generazioni di streghe e maghi. « Tipo questa è la mazza che Kevin Broadmoor diede in testa a Louis Pevensie nel 1963. » Legge da una targhetta placcata d'oro a fianco della teca sulla quale picchietta l'indice. « Mossa che l'ha portato alla sua decima sospensione, in un totale di quattordici. Wow, un tantinello violento il ragazzo! » Commenta, con le sopracciglia che quasi si toccano. « In che ruolo gioca Caleb? »
     
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    « Ma Cami che fai? », la piccola Cami pregusta ogni attimo dell'espressione felice di Lympy. E' quasi emozionata per aver azzeccato il regalo. Le capita raramente di legarsi a qualcuno, ma nell'istante in cui ciò accade diventa un'altra persona. Percepisce un'intesa, nei confronti della Potter, come tra due sorelle. E' una situazione pericolosa, bisogna ammetterlo, perché a restarci fregati ci vuole poco, se si è davvero così facili da conquistare. Eppure, per quanto la tassina desideri essere diversa, avere più polso, mostrarsi più combattiva, alla fine raccogliere i frutti dell'albero coltivato con amore è sempre un piacere. A volte si spendono energie nell'albero sbagliato, ma quando arriva quello giusto mette radici salde e forti. «Ma dai, una sciocchezzina.», si nasconde nella sciarpa per non arrossire visibilmente. Olympia ne approfitta per tirar fuori il suo pacchetto, con estrema sorpresa da parte della Davis. Non c'era assolutamente bisogno! Non volevo un regalo in cambio solo perché l'ho preso anch'io, davvero non dovevi, oddio sono sicura che mi piacerà tantissimo, però tu davvero non dovevi - queste alcune delle frasi che le passano per la testa, ma le sopprime. L'ha fatto perché mi vuole bene. E' così difficile da accettare? Per una come lei sì, indiscutibilmente sì, ma si costringe ad assaporare quell'istante così com'è. Senza aggiungere niente, senza condire con delle parole fuori luogo un momento speciale come quello. «Grazie. Davvero, sono sicura che mi piacerà tantissimo, io... Cioè non sapevo di questa tradizione di tenerli sotto l'albero fino al giorno di Natale... Però, insomma, ci tenevo a... Grazie. Non vedo l'ora di aprirlo. Grazie, grazie, grazie!», si perde in un discorso a metà tra le scuse e la curiosità di scoprire cosa contenga quel delizioso pacchetto. Subito dopo, le due ragazze si avventurano nel negozietto di nicchia a tema Quidditch. «Non so se ti può aiutare, però io a papà comprerò il cd del nuovo gruppo Dancing Monkeys. E' uscito l'altro ieri... E' un gruppo rock seguitissimo in America. Ma sono sicura che tutti i cultori del genere lo conoscano. Chissà, magari anche tuo zio -», è con un tuffo al cuore che riflette sul rapporto profondo che lo zio, nonché il padre, di Lympy avesse con uno dei suoi parenti. Albus Silente. Per un attimo lo sguardo si perde nel vuoto. Poi continua: «- è un appassionato...», scrolla la testa e inizia ad osservare i cimeli del negozio. Guarda con meraviglia una mazza descritta da Lympy - benché, nella sua indole da sedentaria cronica, rifletta: la gente compra davvero queste cose?! « In che ruolo gioca Caleb? », si ridesta dal sogno ad occhi aperti nel momento in cui Lympy le pone quella domanda. «Uh, allora, è un cacciatore nei Black Thestrals! Quindi... Non so, potremmo guardare qualche Pluffa d'antiquariato! - si dice così? Cioè, intendo tipo... Qualche Pluffa autografata? Pluffa che ha segnato la vittoria di qualche partita import... Ah no, quello è il Boccino. Comunque mi complimento col mondo del Quidditch per la scelta di nomi così carini: Pluffa ricorda un sacco Puffola. E Boccino... Non so, sa di tenerino.», si pente subito dell'osservazione stupida che ha fatto, per cui ammutolisce per i secondi successivi e alla fine opta per una di quelle famose Pluffe d'antiquariato - come l'ha chiamata prima. Paga alla cassa e attende che Lympy decida se acquistare qualcosa o meno. Escono dal negozio decisamente soddisfatte. «Wow! Chi l'avrebbe mai detto! James Potter che mi dà consigli sul regalo di Caleb Davis!»,
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    ridacchia al fianco di Lympy, prendendola a braccetto in attesa di decidere la prossima tappa. E' molto - davvero molto! - attirata da un carretto che cucina crepes alla nutella espresse, ma desiste perché ha appena finito la cioccolata calda. Ha già messo su qualche chilo ed è tipo preoccupatissima per via del metabolismo lento. «Oh! Ma qui vendono articoli a tema sulle Casate di Hogwarts!», gli occhi che brillano, osserva le tinte dorate e nere dei Tassorosso. «Uhm, sì, lo so, tu ci sei tanto abituata. Io però no. Mi sembra una fortuna appartenere a ben due casate! Magicospino e Tassorosso! Sai che.. Secondo me tu saresti stata una perfetta Wampus. O una Serpecorno. Devo decidere.», ipotizza, sorridendo in direzione della rossa mentre la immagina con la divisa delle due casate di Ilvermorny.
     
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    «… E poi vorrei provare quelli.» Savannah Hamilton indicò un paio di occhiali da sole dalla montatura dorata che si trovavano in una bacheca alle spalle della commessa. Questa, fasciata nel suo tailleur elegante, scattò sull’attenti sorridendo con entusiasmo alla studentessa bionda. «Ci sono arrivati proprio stamattina!» Li sfilò dal loro supporto, inondando le orecchie della Serpeverde con informazioni inutili sulle lenti e il design della montatura. Cose che, una promettente studentessa di moda come la Hamilton, sapeva già senza che quella commessa dallo chignon cotonato si mettesse a spiegargliele. Li indossò con pigrizia, piegandosi in avanti per riflettersi sullo specchio ovale poggiato sopra il bancone. Sistemò i capelli dietro le orecchie, muovendo il capo a destra e a sinistra per potersi ammirare meglio da qualsiasi angolazione. La commessa, che ricordava essersi presentata appena aveva messo piede là dentro ma della quale aveva dimenticato il nome solo dopo una manciata di secondi, se ne stava lì in piedi, come in attesa, le dita delle mani intrecciate tra loro e posate sul grembo. Sembrava il manichino esposto di un negozio per commesse petulanti. «Si. Mi piacciono.» con un solo gesto, e senza neppure troppo entusiasmo, Savannah si sfilò gli occhiali, passandoli alla donna che, sempre con quel sorriso esageratamente gentile, si apprestò a raggiungere la cassa. La Hamilton la seguì, continuando a far vagare gli occhi cerulei tra gli scaffali. Quel giorno era particolarmente annoiata. Vedere tutti così in ansia per gli imminenti M.A.G.O. l’aveva stancata e, dal suo canto, conosceva svariati modi per contrastare un’ansia da esami, ma alcuni metodi riguardavano cose con il quale al momento non aveva voglia di confondersi, come i ragazzi, o che non erano ancora state organizzate, come qualche festa esclusiva. Le era rimasto solo lo shopping compulsivo e, per fortuna, poteva sempre contare sulla carta che papà le aveva lasciato per le emergenze. Bhè, se non è questa un’emergenza.., si era detta osservando il modo ordinato con cui -ah, si, Melanie, c’era scritto così sulla targhetta- stava riponendo gli acquisti in una busta. «Quelli me li dia. Li metto subito.» dichiarò la Hamilton indicando gli occhiali da sole che Melanie si affrettò subito a passarle. Li indossò, nascondendo gli occhi chiari dietro le lenti cangianti al rosa. Prese la sua busta di cose, salutò la sciapa Melanie con un cenno del capo ed uscì dalla boutique, ritrovandosi nella folla di gente che aveva deciso di approfittare dei primi caldi raggi di sole. Sbottonò uno dei bottoni dell’elegante camicetta di sartoria, incanalandosi nel flusso di persone, ma restando sempre a bordo strada, lì dove poteva ammirare meglio le vetrine. Si sentiva meglio? Un po’. Fare acquisti era ciò che ci voleva per calmare i suoi nervi. Era un rimedio appurato, come quelli della nonna. Un tocco salutare per qualsiasi cosa. Perfetta. Era una parola che Savannah ripeteva spesso. Era ciò che ambiva di più, ciò a cui, non senza fatica, ambiva ogni giorno: la perfezione. Una perfetta giornata di sole, una perfetta busta colma di perfetti nuovi acquisti, un paio di perfetti occhiali da sole da sfoggiare sul suo viso impeccabile. Camminava così, un po’ sovrappensiero, e per questo notò qualcuno fermo a bordo strada solo nel momento in cui la colpì distrattamente con la spalla. Generalmente non ci avrebbe neppure fatto caso, ma riconobbe con la coda dell’occhio la cascata di capelli dorati di colei contro la quale si era imbattuta. Si fermò di colpo, guardando la giovane davanti a lei. «Elladora!» il suo tono parve quasi sorpreso. Il suo rapporto con l’ultima entrata nel gruppetto non era mai stato troppo intenso. La considerava un piccolo germoglio di girasole non ancora sbocciato. La considerava troppo buona per i suoi gusti, ma non aveva nulla contro di lei. Le ricordava una principessa delle fiabe. Non si sarebbe stupita affatto se un giorno l’avesse vista a parlare con gli uccellini. Eppure aveva il potenziale per permettersi di fare tutto ciò che voleva. «Anche tu ti dedichi allo shopping?»



     
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    Il sabato è il giorno preferito di Ella, senza ombra di dubbio — non c’è niente che ami di più dell’avere la possibilità di risvegliare i muscoli con calma, rotolarsi tra le coperte fino a tarda mattinata con il suo fedele compagno del momento: Jack Kerouac. Ha voltato l’ultima pagina e sospirato all’epilogo di Sulla strada proprio quella mattina, giusto in tempo per scendere in Sala Grande e sbocconcellare qualcosa di leggero. Si è poi dedicata ai pochi compiti arretrati appollaiata su una panchina in giardino, visto che la biblioteca brulicava delle voci e sussurri disperati degli studenti del settimo anno che sudavano sui libri per i M.A.G.O. — la sola vista della miriade di teste piegate sui tavoli le ha fatto stringere lo stomaco, ma si è diretta verso il giardino senza fiatare. Deve ammettere che il pensiero di non scorgere più facce amiche tra i corridoi la inquieta più di quanto vorrebbe — è tranquilla, ora, sembra andare tutto a gonfie vele. Eppure…
    È sicura, a modo suo, che il suo tempo con il gruppetto di amiche è sta inesorabilmente scivolando verso ad una conclusione — perché dovrebbero cercarla o interessarsi di lei, in fondo, una volta approdate verso scintillanti nuovi lidi e promesse universitarie? Certo, lo studentato si trova a pochi passi dal castello, e continuerebbe comunque a vederle per i corridoi, visto che le lezioni dei collegiali si svolgono all’interno di Hogwarts. Ma non sarà la stessa cosa, lo sa — non ha fatto abbastanza per inserirsi durante tutto l’anno, per quella sua maledetta lingua bloccata tra i denti, per la paura di dire qualcosa di stupido, di sbagliato. E proprio la paura di essere lasciata a badare a se stessa l’ha frenata e portata in ogni caso allo stesso risultato. Stupida, piccola Ella…
    Sospira. Il suo telefono segna le tre in punto, e forse è il momento di fermarsi, visto che il tema di Trasfigurazione è ancora lì, a metà, i fogli in grembo e la piuma abbandonata sopra. Si conosce, Ella — non ci sarà verso di finire l’elaborato finché non si sarà tranquillizzata. E quale miglior modo se non il suo piccolo viaggio settimanale a Diagon Alley, motivo per cui proprio il sabato è il suo giorno preferito.

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    Ed ha funzionato — sente ancora intrappolato tra le narici l’odore pesante di carta e inchiostro, l’inconfondibile profumo dei libri che si porta dietro dal Ghirigoro fino al marciapiede che pullula di vita. Si ferma a lato, per infilare con soddisfazione il suo tomo recentemente redatto sui fondatori di Hogwarts, che promette un’analisi più approfondita del loro carattere e delle loro opere, a detta dell’introduzione.
    È mentre è intenta a maneggiare con la chiusura della tracolla che qualcuno la prende in pieno con una distratta spallata — alza la testa, Ella, «Oh- scusami!», nonostante lei fosse quella ferma. «Elladora!», solleva gli occhi, quindi, ad incontrare quelli dell’interlocutrice, sorpresa almeno quanto l’altra bionda, «Savannah!», esclama con trasporto. «Anche tu ti dedichi allo shopping?», annuisce con veemenza, «Sono appena uscita dal Ghirigoro!». Ella, e il suo singolare concetto di shopping, quindi, rivolgono a Savannah un gran sorriso, prima di notare gli occhiali da sole, «Nuovo acquisto?», domanda, incuriosita, «Ti donano, la forma fa risaltare i tuoi zigomi».
     
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    «Sono appena uscita dal Ghirigoro!» Nell’udire quelle parola, Savannah non poté fare a meno che sollevare le sopracciglia nel constatare quanto fosse diverso il loro concetto di “shopping”. Nascosta dagli occhiali da sole, si concesse di socchiudere gli occhi per poter osservare meglio l’espressione di Elladora, così da vicino. Quando Max l’aveva presentata al resto delle Mean, per un solo attimo, Savannah aveva provato a convincersi che quella faccina d’angelo fosse solo una copertura. Magari, si era detta, è la sua arma segreta. Perché alla fine era un po’ il filo conduttore del loro gruppo: facce di porcellana che nascondono delle vere e proprie stronze patentate. Le erano bastati pochi minuti per capire che si era sbagliata di grosso. E se c’era una cosa che Savannah Hamilton detestava era quando le sue ipotesi venivano messe in dubbio o, ancora peggio, completamente smentite. Forse era per questo che non aveva mai legato particolarmente con la Black. «Nuovo acquisto? Ti donano, la forma fa risaltare i tuoi zigomi» A quelle parole, il volto della Serpeverde parve rilassarsi e ciò che comparì sul suo volto fu un sorriso, falsamente modesto, mentre con le dita si portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
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    «Li ho appena presi. Non so resistere davanti a qualcosa che luccica.» Sventolò le ciglia, sollevando appena le spalle. Era come una gazza ladra. «Stai andando da qualche parte?» Non poté fare a meno di far scorrere lo sguardo lungo i suoi vestiti, dall’alto al basso e viceversa. Discutibile, era l’aggettivo che avrebbe usato. Perché, si chiedeva, una ragazza con quelle potenzialità non faceva niente per mettere in risalto ciò che aveva? Non riusciva a capirlo. Era davvero così modesta o fingeva? C’era solo un modo per capirlo, per togliersi ogni dubbio, e poteva approfittarne ora che si trovava faccia a faccia con lei, senza le altre. «Perché se non hai impegni potremmo andare da Starbucks e prenderci qualcosa.» la guarda ancora, stavolta però senza giudizio. Vuole solo capirla, leggere la verità dietro il suo viso. Perché quando Savannah si mette in testa qualcosa diventa praticamente un’impresa impossibile farle cambiare idea. «E se vuoi posso darti una mano con.. Questi.» Indicò i suoi vestiti con un gesto fluido della mano. Contrariamente a quanto si possa pensare, non c’era cattiveria nelle sue parole. Dal suo punto di vista, quella era una proposta che, in un certo senso, doveva avere un che di gentile. Il problema della Hamilton era che non fosse troppo avvezza a quel genere di carinerie. Anzi, diciamo proprio che ne era totalmente estranea. Sforzarsi di fare qualcosa non le veniva mai troppo bene. Ma perché non provarci? Elladora era come una tela bianca sulla quale poteva disegnare.

     
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    «Li ho appena presi. Non so resistere davanti a qualcosa che luccica.», mentre ride, delle piccole fossette le scavano appena le guance, «Ti stanno davvero bene», ripete. A volte avrebbe voluto essere più come Savannah — più coraggiosa, sicuramente, più disinibita. Ma è impossibile sbloccare i piccoli cardini che la intrappolano ancora ad Inverness, a Durmstrang, dove stare in silenzio era sicuramente la scelta più saggia.
    «Stai andando da qualche parte?», domanda Saw, ed Ella si stringe appena nelle spalle, «Oh… in realtà ero venuta solamente a comprare il libro», e, mentre lo dice, slaccia il bottoncino che tiene chiusa la borsa di cuoio, per rivelare il suo tesoro in tutto il suo splendore. Scosta una ciocca dorata dietro all’orecchio, e si perde nel suo solito mormorio: «Sarei tornata al castello…», ma… «Perché se non hai impegni potremmo andare da Starbucks e prenderci qualcosa.», e alle parole della bionda, sul volto di Ella si dipinge un sorriso, che piano piano si allarga, quasi a spaccarle il volto. A prendere qualcosa… con me?
    Si riscuote dal turbinio di emozione in cui la timidezza l’ha intrappolata, ferma ma così, così felice — Perché allora forse non tutto è perduto! —, annuendo. Forza, Ella, forza! «Oh- certo», «E se vuoi posso darti una mano con.. Questi». Segue lo sguardo della ragazza, Ella, e poi la sua mano che velocemente le fa notare i suoi vestiti — una salopette a gonna di jeans, una t-shirt bianca sotto a coprirle la pelle, ed un cardigan lungo ma leggero a coprirle le spalle. Lo sguardo saetta rapido verso l'amica, quindi, che trasuda il concetto di alla moda in una maniera così disinvolta che Ella si ritrova costretta ad ammirarla in silenzio. Negli occhi di Savannah, tuttavia, non scorge la brutalità che da quando l’hanno accolta ha potuto testimoniare, fortunatamente non diretta a lei. Annuisce, quindi, il sorriso che si accorcia e resta lì, dolce come il miele, «Sarà… divertente!», acconsente, quindi, con un velo di preoccupazione ad adombrarle la voce.
     
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    «Ti stanno davvero bene» Savannah era abituata a ricevere complimenti e non aveva mai nascosto quanto riceverne le facesse piacere. Ciò che non riuscì a fare a meno di notare, fu che Elladora fosse sempre propensa a farne. Qualche volta si era ritrovata a guardarla, chiedendosi se la sua propensione a somigliare ad una principessa Disney non fosse solo una recita. Alla fine, pensava, nessuno è così buono. Credeva fortemente nel fatto che ognuno racchiudesse in sé luce ed ombra. Con la Black, però, era giunta alla conclusione che forse in lei non c’era oscurità. O magari -molto più probabile- era solo molto brava a nasconderla. «Oh… in realtà ero venuta solamente a comprare il libro» Shopping estremo, quindi. Abbassò appena lo sguardo, ben celato sotto gli occhiali, giusto in tempo per lanciare un’occhiata al libro nella borsa di cuoio della Tassorosso. La sua espressione rimase comunque imperturbabile. Forse ad Ella i vestiti non interessavano. Magari era una di quelle tipe ecologiste che si battono contro le grandi industrie e comprano i vestiti ai mercatini dell’usato convinte così di salvaguardare il pianeta. E pensare che era imparentata con una stilista. «Sarei tornata al castello…» E magari avrebbe pure passato il resto della serata a studiare. Savannah non si sarebbe stupita nel sapere che quelli erano davvero i suoi programmi. Nonostante ciò, non poté fare a meno di notare l’espressione sorpresa e sorridente della Black nel ricevere il suo invito. «Oh- certo». La guarda mentre lei china lo sguardo, osservando l’outfit che stava indossando, così in contrapposizione con i jeans skinny e la camicia di alta sartoria indossati dalla Serpeverde. Nonostante quelle parole, Elladora non sembrò prendersela. Per un attimo, Savannah ne fu pure infastidita. A prescindere, non avrebbe dovuto permettere a nessuno di dirle cose del genere. Però, analizzando la situazione, si rese conto che il tono che lei stessa aveva usato non era affatto accusatorio. Insomma, non era il tono che avrebbe usato con molte altre persone. Si trattava comunque della cugina di Max. «Sarà… divertente!» La Serpeverde alzò il dito indice. «Lezione numero uno: lo shopping non è divertente Nel dire quelle parole comincia a camminare in direzione del bar, tenendosi al fianco della Tassorosso. «Andar per negozi è una vera e propria guerra dove l’unico scopo è accaparrarsi il capo migliore e che più ti dona. Per esempio, quali colori fanno parte della tua armocormia Si volta a guardarla da sopra gli occhiali da sole. «Insomma, i colori che più ti stanno meglio.» .. per dirlo in parole semplici. Arrivarono al bancone e la Serpeverde ordinò un caffè americano macchiato. Attese che anche Elladora ordinasse e con assoluta noncuranza si apprestò a pagare le bevande. Non ci fece neppure caso, abituata com’era a tirar fuori di continuo il portafogli. «Abbiamo colori molto simili, quindi immagino che anche la tua stagione sia lalight summer. Il contrasto tra pelle, occhi e capelli è molto basso.» Sembrava riflettere ad alta voce mentre stringeva tra le mani il bicchiere di carta. Bevve un sorso di caffè. «Sono più che sicura che i colori che ti stanno meglio sono il rosso crimisi, il lampone, il rosa freddo e pallido, il lavanda, il giallo spento, il verde menta, il celeste baby, il fiordaliso, il navy chiaro e il grigio chiaro e freddo.» Quindi aboliamo subito quella maglietta bianca, mhm? «Allora.. Da quale negozio vorresti cominciare?» Si, era sicuramente una messa alla prova.

     
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    «Lezione numero uno: lo shopping non è divertente.», annuisce con veemenza, Ella, e si ritrova a dover allungare il passo per raggiungere Savannah, che si è già avviata spedita — riesce a tornare al suo fianco grazie alle gambe lunghe, giusto in tempo per sentire il resto della lezione. «Andar per negozi è una vera e propria guerra dove l’unico scopo è accaparrarsi il capo migliore e che più ti dona. Per esempio, quali colori fanno parte della tua armocormia?», Armocromia. Niente panico, Ella. Armocromia. Sicuramente si parla di colori, sicuramente di che colori mi stanno meglio…. Ed ecco il vero problema — alza le sopracciglia, Ella, poco sorpresa di essere già una delusione dal principio. «Insomma, i colori che più ti stanno meglio.», aggiunge Savannah, probabilmente per via del suo mutismo confuso. Almeno quello l’avevo capito. Una magra consolazione.
    Alla ragazza dietro al bancone rivolge un sorriso gentile e un esagitato Uncappuccinoalcaramelloperfavore, perfino abbassando il mento mentre si scosta i capelli dietro alle orecchie. In qualche modo, miracolosamente, la barista deve avere a che fare tutti i giorni con gente come lei, ed il suo ordine arriva immacolato. Non fa nemmeno in tempo a mettere mano al portafogli, che la bionda al suo fianco si è già dileguata verso la cassa. Ella alza le sopracciglia, inizialmente sorpresa, per poi effettivamente ricordare che non è mai stata una cosa così fuori dal comune — in qualche modo, Savannah le ha sempre tempestate di regali e gite fuori porta, oltre al diretto mettere le mani al portafogli alle uscite. «Grazie», le sorride al suo ritorno, «Sinceramente non ho la minima idea di quale possa essere la mia armocromia», ammette, quindi, e Savannah è apparentemente già pronta ad illustrarla per lei: «Abbiamo colori molto simili, quindi immagino che anche la tua stagione sia la light summer. Il contrasto tra pelle, occhi e capelli è molto basso. Sono più che sicura che i colori che ti stanno meglio sono il rosso crimisi, il lampone, il rosa freddo e pallido, il lavanda, il giallo spento, il verde menta, il celeste baby, il fiordaliso, il navy chiaro e il grigio chiaro e freddo». Sbatte le palpebre, Ella, prima una, poi due, poi tre volte — Ma come fa a ricordarsi tutti i colori a memoria?, è l’istantanea domanda che si formula nel suo cervello. Annuisce, cercando di ricordarli. Rosa, lavanda, giallo, verde… che colore è il celeste baby? Non è celeste?, prende un lungo sorso di cappuccino, visibilmente confusa. «Allora.. Da quale negozio vorresti cominciare?», ed eccola, come nel suo peggior incubo in
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    cui si presenta ai M.A.G.O. e non sa nemmeno una risposta. E per quanto scolasticamente parlando è solo la sua ansia che si manifesta nelle ore tarde della notte, se si parla di shopping, Ella è pressoché inutile e ignara. Beve ancora un sorso. «Non saprei», si arrende all’evidenza, quindi, «Una delle ultime volte che ho comprato qualcosa da mettermi penso sia stato in viaggio con mio fratello, quindi due anni fa… e il vestito per il Midsummer, ma quella è un’occasione diversa», conclude, «Iniziamo da dove vuoi».
     
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    «Sinceramente non ho la minima idea di quale possa essere la mia armocromia» le labbra della Serpeverde si arricciarono lievemente, donandole un’espressione pensierosa, mentre le sopracciglia si avvicinarono impercettibilmente. Come era possibile che una ragazza come Elladora non si fosse mai interessata di certe cose? Era davvero così disinteressata al suo modo di apparire o la sua era solo falsa modestia? No, non lo era. Si era fatta domande del genere decine di volte da quando Max l’aveva portata in quel gruppo e ogni volta si era data la stessa risposta. Alzò il bicchiere di carta, posandoselo sulle labbra e bevendo un piccolo sorso di caffè. Savannah aveva cominciato ad interessarsi di certe cose da quando aveva sei anni e sua madre la portava ai concorsi di bellezza per bambini. Si, perché no. Magari lasciare il college ancor prima di averlo iniziato e ricominciare con i concorsi era la cosa migliore da fare. «Una delle ultime volte che ho comprato qualcosa da mettermi penso sia stato in viaggio con mio fratello, quindi due anni fa… e il vestito per il Midsummer, ma quella è un’occasione diversa» Si voltò verso di lei, abbassando la testa quel tanto che bastava per scorgere il viso della Black al di sopra dei nuovissimi occhiali da sole. «A meno che tuo fratello non sia gay o non frequenti l’accademia di moda, fare shopping con lui mi sembra una pessima idea.» si ritrovò a pensare a voce alta. «I maschi non capiscono niente di certe cose. Loro ti dicono che il vestito va bene solo per non perdere più tempo e poter finalmente uscire dal negozio.» concluse stringendosi nelle spalle. «Iniziamo da dove vuoi» La Hamilton arrestò i suoi passi voltandosi verso il negozio indicatole dalla Tassorosso. Guardò l’insegna: una scritta in corsivo su fondo glicine. Le piaceva abbastanza, forse più degli abiti che avevano esposto in vetrina. Stringendosi appena nelle spalle entrò dentro, lasciando la porta aperta con una mano per permettere anche ad Ella di accomodarsi. Subito furono accolte da una commessa con i capelli raccolti in uno chignon ed un ampio sorriso. «Buongiorno, signorine. Posso esservi utile?» Savannah la guardò dall’alto verso il basso e viceversa, come si osserva qualcosa di cui non si è estremamente convinti. La donna, probabilmente solo di qualche anno più grande di loro, continuò a sorridere. «Si, direi di si..» disse con sufficienza precipitandosi a passi lenti e misurati verso una parete di vestiti. «In realtà ho bisogno solo di un paio di braccia che ci porti gli abiti in camerino.» Ne prese uno giallo e lo passò alla commessa, senza neanche guardarla. «Mhm, questo è carino.. Ti piace il pizzo, vero?» Un altro e un altro ancora. Le braccia della commessa erano praticamente piene di abiti. «Ok. Direi che è il momento di provare tutto.»

     
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    14 luglio 2022.

    Distesa sul lettino dello studio medico, Daphne Baker fissava il soffitto. Le pareva di percepire un leggero odore di vernice. Forse era stato tinteggiato da poco. Erano molte le attività fiorite nella già gremita Diagon Alley, negli ultimi tempi. Dopo la scissione tra Inverness e lo Stato Inglese sembrava che ognuno volesse convincere l’altro che poteva cavarsela benissimo da solo. Era come quando due litigano e condividono sui social foto con lo scopo di far vedere all’altro che stanno bene anche così. Eppure, era impossibile non notare l’aria che tirava per le strade, i visi provati della gente. Era come se la leggerezza di fare le cose fosse scomparsa. Daphne non era mai stata una buona osservatrice. Era sempre stata piuttosto superficiale, non tanto perché non le importasse delle cose, quanto perché era in continuo movimento e sembrava proprio non avere il tempo di soffermarsi sulle cose. Aveva sempre preso al volo tutto ciò che la vita le aveva offerto, godendosi l’attimo, vivendo il presente, poco propensa a riflettere sul futuro. Da ormai qualche settimana, però, tutto era rallentato, come se qualcuno avesse premuto un bottone e tutto avesse cominciato a scorrere più lentamente. Aveva la sensazione di muoversi sott’acqua, i movimenti più ampi, i suoni più ovattati. Le pareva di avere a disposizione più tempo di quanto ne avesse mai avuto. Ciò, con il passare del tempo, pareva averle donato la capacità di ascoltare, fermarsi e sentire. A volte, nel silenzio più completo, le pareva di percepire il rumore del sangue che le scorreva nelle vene. Rumore. “Rumore” era una parola piuttosto grande, visto che ancora non aveva riacquistato del tutto l’udito dell’orecchio che le era stato ricostruito. Aveva imparato a convivere con quel ronzio in sottofondo, anche se il medico aveva detto che
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    col tempo sarebbe scomparso. «Abbiamo finito, signorina Baker.» Il dottor Jefferson tolse il manicotto dell’apparecchio per la pressione dal braccio della Grifondoro e rimise il fonendoscopio attorno al collo. Daffy si alzò, sedendosi sul lettino. «Immagino si sia trattato solo di un calo di pressione. Ti prescriverò degli integratori e naturalmente un po’ di riposo.» Come se la mamma non mi costringesse già ad abbastanza riposo. Afferrò la stampella e scivolò giù dal lettino, lentamente, facendo attenzione a non perdere l'equilibrio. Il dottore scarabocchiò qualcosa in un foglio e glielo passò. La Grifondoro lo infilò in borsa. «Una la mattina e una la sera.» Daffy annuì, poggiando il peso sulla stampella. «E’ tutto?» «E’ tutto. Buona giornata.». Appena fuori dallo studio medico lanciò uno sguardo all’orologio. Sua madre sarebbe tornata a prenderla solo tra un’ora. Non era dalla signora Baker sbagliare di così tanto margine, soprattutto da quando cercava di controllare -amorevolmente- ogni aspetto della vita della figlia. Lo faceva per il suo bene, poteva capirla. Dopo l’incidente, i suoi genitori sembravano non volerla perdere d’occhio. Sarebbero arrivati di corsa se solo lei avesse tirato fuori il telefono e li avrebbe chiamati. Poteva solo immaginare quanto si sarebbero spaventati a saperla lì da sola. Prese il telefono. Stava per premere il tasto di chiamata quando si fermò. Da quanto non le capitava di starsene un po’ per conto suo? Da sola. Un po’. Decisamente da un po’. Rimise il telefono in tasca e si guardò intorno. A pochi passi dallo studio medico si trovava la Gelateria Fortebraccio. Si avvicinò passo dopo passo, attenta a non perdere l’equilibrio. «Un cono grande con cioccolato, amarena, pistacchio e lampone.» Erano cambiate tante cose, ma non il suo appetito. Pagò e si sedette sulla panchina adiacente la gelateria.

     
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    « Voglio andare a vedere i rospi. »
    « Non abbiamo tempo. »
    « E' colpa tua che perdi tempo a fare cose stupide. Io ci metto un attimo a vederli. »
    « Dobbiamo andare dall'altra parte, Roxy. E smettila di tirarmi il braccio! Non rompermi le palle! »
    Malia sbuffò pesantemente. I suoi toni soavi furono in grado di far voltare qualche passante dall'aria scandalizzata, alla quale la mora non mancò di rispondere con le proprie occhiate di sfida. Che c'è? Non avete mai avuto a che fare con una bambina petulante, voi? Roxy - quella carogna - nel frattempo piagnucolava e schiamazzava con ancor più veemenza, a questo punto probabilmente con l'obiettivo di vincere la ragazza per sfinimento.
    Più trascorrevano i mesi, e meno la giovane Stone si sentiva adatta a quel ruolo che le era stato imposto. Non era una madre, non era una parente - almeno lei, nonostante il legame di sangue esistente, e anche la notevole somiglianza, non era capace di considerarsi tale - era semplicemente una persona a cui era capitata l'incombenza di tenere a bada una bambina capricciosa e petulante.
    I capricci di Roxy, poi, erano ancor meno ben accetti quel giorno: Malia non metteva piede a Diagon Alley da mesi, oramai, e l'ingresso nel quartiere magico le aveva messo non poca ansia. Aveva infine deciso: sarebbe tornata tra le fila dei Ribelli, a Hogsmeade per la precisione. E dopo una serie di valutazioni era giunta alla conclusione che la sistemazione più sicura sarebbe stata quella di portare Roxy con sé. Da settembre avrebbe cominciato a frequentare Hogwarts, e Malia avrebbe potuto tenerla sott'occhio tutto il tempo. C'erano dei rischi, certo, ma questa soluzione le pareva comunque meno pericolosa rispetto a qualsiasi altra.
    Tutto era pronto: avrebbe raggiunto il villaggio nel giro di una settimana, e aveva deciso di dedicare quella giornata alle ultime commissioni pre-partenza. Era passata alla Gringott a ritirare tutto il denaro che possedeva, da Olivander a fare una manutenzione della bacchetta, e stava valutando se comprare o meno una nuova scopa volante.
    L'aria pensierosa, stava sgarbatamente trascinando per un braccio la bambina quando si accorse di una figura familiare seduta ad una panchina poco distante. « Daffy! » alzò la voce per farsi udire dall'amica, mentre si avvicinava nella sua direzione.
    « Certo, tu puoi perdere tempo con le tue amiche e io invece no! Non eravamo di fretta? » Malia sospirò, leggermente in soggezione sotto lo sguardo di Daphne.
    « Daph... Lei è Roxy, mhm... Roxy, vai a vedere i rospi, però lasciali stare NELLE GABBIE, hai capito? Non tornare qua con animali o te li faccio mangiare. »
    « Va bene ciao! » La bambina ci mise ben poco a dileguarsi, lasciando sole le due ex-Grifondoro. Malia si sedette accanto a Daphne, emettendo un lungo sospiro. « Te lo giuro, se mai mi dovesse venire la malsana idea di diventare madre... fermami. Picchiami. Strangolami prima, piuttosto. » Si lasciò andare ad una leggera risata, prima di osservare con occhio più attento la ragazza, che le pareva leggermente... pallida? « Tutto a posto, Daph? »
     
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    « Daffy! » La giovane Grifondoro sobbalzò in modo evidente e per poco il cono non le scivolò dalle mani. Era abituata ad essere indicata come Daphne Baker, la giocatrice di Quidditch, ma le sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che qualcuno l’aveva chiamata col diminutivo. A parte i suoi genitori, non aveva grandi e significative conoscenze nello Stato Inglese. Tutti i suoi più cari amici le sembravano lontani anni luce. Nel momento in cui il suo sguardo incontrò gli occhi di Malia Stone, il suo cuore sobbalzò, facendole credere che le sarebbe balzato fuori dal petto da un momento all’altro. «Malia!» Quel nome le sfuggì dalle labbra in modo sorpreso, come se si stesse accertando che non fosse uno scherzo. Malia era lì. Non riusciva a crederci. Le ci volsero alcuni secondi per mettere a fuoco anche una seconda figura, più piccola della Stone, ma dai tratti lontanamente simili. Venne presentata come Roxy e la Baker cercò di dedicarle un sorriso sincero prima che questa sgattaiolasse via, lasciando sole le due ragazze. « Te lo giuro, se mai mi dovesse venire la malsana idea di diventare madre... fermami. Picchiami. Strangolami prima, piuttosto. » Sarebbe scoppiata a ridere sguaiatamente, in un’altra occasione. Tuttavia, ciò che riuscì a fare fu dedicare all’amica un
    sorriso sincero, rilassato, come non faceva da tempo. Fu come essere pervasa da una sensazione di benessere, una sensazione elettrizzante. Qualcosa di simile ad una risatina le salì su per la gola. «Me lo ricorderò.» si limitò a commentare per poi lanciare un’occhiata nel punto in cui la ragazzina si era dileguata. «E’ tua sorella?» chiese per poi tornare per un attimo a concentrarsi sul cono che aveva quasi dimenticato di avere in mano. « Tutto a posto, Daph? » Tutto a posto, Daph? Era una bella domanda, quella. Era decisamente difficile rispondere, più di quanto immaginasse. Da dove poteva cominciare? Da quanto tempo non si vedevano, da quanto tempo sembrava che la sua vita stesse andando a rotoli? Sembrava essere passata una vita da quando ridevano e scherzavano insieme, dai bei momenti passati al Midsummer quando avevano fatto il bagno in mare a fine serata. C’era anche Dean. Sembravano ricordi non appartenenti agli ultimi tempi. «Scusa.. Immagino di avere davvero una faccia da schifo..» Abbassò lo sguardo sul cono, cominciando a muovere la palettina sul gelato, senza afferrarlo, semplicemente spatolandoci sopra come se non ne volesse più. «Diciamo che in realtà dovei godermi questo momento, perché non ricordo l’ultima volta che non ho avuto mia madre praticamente attaccata alle chiappe..» Si strinse un po’ nelle spalle tornando a guardare la ragazza seduta al suo fianco. «Penso che arriverà al punto di installarmi un localizzatore nel collo mentre dormo.» sorrise. Era il suo modo di fare una battuta? Già. «Come stai, Malia?»

     
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