Tre Manici di Scopa

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    re Manici di Scopa - luogo pubblico.



    Questa discussione rientra nel progetto quotidianità


     
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    Sabato 19 dicembre 2020

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    Riuscire ad incastrarsi per una colazione in tarda mattinata nell'ultimo sabato prima delle festività natalizie era stato un vero e proprio miracolo. Troppo impaziente e preoccupata di arrivare in ritardo, June si era presentata ai Tre Manici di Scopa alle 10.45, ben un quarto d'ora in anticipo, ritrovandosi a fare avanti e indietro davanti alla porta del locale, troppo emozionata per stare ferma. Non sapeva perché ma l'idea di poter mostrare a due studenti più giovani ciò che il College aveva da offrire la elettrizzava e, al contempo, la spingeva ad adoperarsi al massimo per risultare all'altezza del compito. La trovava una grande responsabilità: l'istruzione universitaria era importante anche nell'ambito sportivo, soprattutto perché permetteva di mantenere aperte porte secondarie in caso di seri infortuni o ritiri forzati, e si era assunta il compito di mostrare a Lucy e Bart che non era tutta teoria e noia mortale. « Hey, Dean! » Salutò l'amico dietro il bancone con un gesto della mano accompagnato da un sorriso vagamente imbarazzato. « Sto aspettando i miei due pupilli del BOA per colazione. Offro tutto io. » Rivolse un occhiolino al compagno Senior e si accomodò al tavolo che le venne indicato, scorrendo distrattamente la homepage di Witzagram per ingannare l'attesa.

     
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    Headphones in testa si dirige verso Hogsmeade in uno degli ultimi weekend liberi prima delle vacanze natalizie. Si riteneva soddisfatto per le scelte capitate per il progetto BOA, forse non poteva chiedere di meglio sia per la scelta di DCAO che per quella di giochi e sport magici. La Rosier, la tutor per giochi e sport magici, aveva dato appuntamento a Bart ai Tre Manici di Scopa per una colazione insieme in modo da poter parlare meglio in presenza.
    Si presentò in perfetto orario aprendo la porta del locale alle 11, spaccando l’orologio, non sapendo nemmeno se fosse stato il primo ad arrivare, ma a quanto pare la tutor era già lì. Si immobilizzò per qualche secondo riconoscendo la Rosier. Giocatrice professionista per i Falcons, ma soprattutto una bellissima ragazza, l’aveva già vista in giro per il castello, ma ritrovarsela davanti era diverso. «Hey! Juniper, giusto? Sono Bart, piacere!» Cercò di superare quel primo imbarazzo causato anche dagli occhi azzurrissimi della ragazza superando l'uscio del locale e abbassandosi le cuffie al collo, staccando la musica dal telefono grazie al pulsante nelle cuffie.
     
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    Corre per le strade di Hogsmeade e quasi ci rimette un ginocchio e forse la faccia, Lucy, ma fortunatamente riesce a mettere le mani avanti per attutire la scivolata. Il ritardo ed il gelo scozzese di dicembre possono solo essere una ricetta per il disastro, in fondo — fortunatamente, riesce a rialzarsi dalla caduta quasi illesa, Lucy. Fa per pulire le mani sui pantaloni, prima di ricordarsi fulmineamente che sta per incontrare la sua tutor, almeno ufficialmente, che, tra l’altro, è anche una grande star del quidditch — non può presentarsi in ritardo e con i pantaloni bagnati di terra, sangue e soprattutto dignità.
    Trova il pacchetto di fazzoletti — che sicuramente le ha infilato Alice — nello zaino, e ne estrae uno tenendo il pacchetto con la bocca mentre traffica per richiudere lo zaino e camminare allo stesso tempo.
    Quando spalanca la porta del locale, finalmente, Lucy è in ritardo di dieci minuti — non così male, dopo tutto, la corsa a qualcosa è servita — e adocchia sia June che Bart già accomodati. Una mezza corretta che urla mi dispiace, si fionda su una sedia libera quasi senza respirare, «Lucy», fa a June, per poi voltarsi verso Bart e ripeterlo anche a lui — in realtà, lei lo conosce bene per i resoconti di Alice, ma le sembra più intelligente presentarsi, in quel momento. «Scusate il ritardo, davvero», si mette la mano sul cuore, «Purtroppo non posso dire che sarà l’ultima volta che succederà», ammette, perché si conosce, «Però scusate».
    È con una risata nervosa che affronta poi la situazione, specificando a June che «Sono la sorella di MJ e Arthur, comunque… cugina di James e Ted», come a dire sì, ci siamo già viste mille volte, ma non ho mai avuto il coraggio di affrontare una conversazione perché ti ammiro troppo.
     
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    Pochi minuti più tardi, la porta del locale si aprì nuovamente. June sollevò lo sguardo dal telefono, appena in tempo per incontrare a figura di un ragazzo, alto su per giù quanto suo fratello Theseus. Gli sorrise, quando si presentò come Bart, ed allungò la mano destra nella sua dirzione, stringendogliela con entusiasmo. « Piacere di conoscerti, Bart. Puoi chiamarmi June. » Le formalità non erano mai state il suo forte e ci teneva a instaurare un buon rapporto. Tra un paio d'anni potremmo anche giocare insieme... o essere avversari. « Accomodati pure, se non sbaglio Lucy dovrebbe essere qui a momenti » Gettò una rapida occhiata allo schermo del telefono. « ma nel mentre possiamo decidere cosa ordinare. Personalmente sto morendo di fame e non vedo l'ora di mettere le mani su una tazza di caffè bollente! » Ridacchiò e gli passò uno dei menu, aprendo il proprio per pura curiosità. Sapeva già cosa ordinare: caffè, spremuta, un toast con doppio formaggio e una fetta di cheesecake. Stava per fare cenno ad una cameriera, quando un ragazzina si fiondò sulla sedia libera, in un turbine di capelli rossi. June ridacchiò, vedendola tanto di fretta e con il fiatone. « Non fa niente, davvero. » Io sono la prima ad essere in ritardo, di solito. Alle sue parole annuì, scostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Lo sospettavo, visto il cognome. Se hai ereditato la stessa energia dei tuoi cugini sono sicura che te la caverai benissimo. Oh, spero ti abbiano parlato bene di me » O che non te ne abbiano parlato affatto, nel caso di Arthur. Potrebbe essere un tantino imbarazzante se tu fossi a conoscenza del nostro flirt adolescenziale. « altrimenti mi toccherà fargliela pagare al prossimo allenamento. » Sollevò entrambe le sopracciglia, con aria complice, spingendo un menù nella sua direzione. Alle volte ancora si stupiva di quanto fosse ampia la famiglia Weasley-Potter anche se, a ben pensarci, non era poi così diversa dai vari gradi di parentela che si intrecciavano tra le famiglie purosangue. « Comunque » Riprese, facendo un cenno alla cameriera con la mano. « pronti per ordinare? » Le cose più importanti per prime. E' risaputo che si ragiona meglio con la pancia piena. « Io prendo una tazza di caffè - bollente, per favore - un toast al doppio formaggio, un spremuta d'arancia e una fetta di cheesecake ai frutti di bosco. Grazie. » Sorrise alla ragazza e lasciò il tempo di ordinare ai due adolescenti, per poi sporgersi leggermente verso di loro. « Innanzitutto, come mai avete pensato a Giochi e Sport Magici? Lo so che ve l'ho già chiesto ma vorrei capire in generale cosa vi aspettate da un'esperienza come quella del College. » Si appoggiò al tavolo con il gomito destro, sistemando il mento sulla mano. « Anche perché sto progettando un paio di cose, per farvi avere un'idea di come si svolge il tutto, ma è ancora tutto in forse. » Probabilmente dovrò vendere la mia anima a Charlie Weasley per ottenere la sua benedizione, ma ne varrà la pena.

     
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    Si sbloccò non appena Juniper gli strinse la mano per presentarsi. Era fan di Quidditch, ma non si era mai sbilanciato sul scegliere una squadra preferita. Il campionato inglese era davvero competitivo e tutte le squadre riuscivano a dire la propria sul campo. Le Harpies, i Falcons e i Cannons erano le squadre più titolate nel campionato inglese e negli anni si contendevano sempre il titolo di campioni. Era contento di essere lì in presenza di una giocatrice professionista ed aveva altissime aspettative per quel tutorato. La scelta di giochi e sport magici per Bart era spinta più dalla passione per quello sport che per altre motivazioni, la sua seconda scelta per il progetto BOA era stata DCAO.
    Si accomodò sentendo le parole di June, la giocatrice disse a Bart di chiamarla così in modo da non formalizzare la cosa. Ed ora che dovrei ordinare? In effetti non era un tipo da colazione il Crouch, ma il pensiero venne interrotto non appena dalla porta dei tre manici di scopa entrò l’altra ragazza che avrebbe preso parte al tutorato insieme a lui. Rispose alla presentazione con un cenno della mano: « Bart, piacere » In realtà la conosceva di vista e sapeva chi era grazie ad Alice, ma non aveva mai avuto modo di parlarle.
    «Per me- » Era arrivato il tempo di ordinare per la colazione, ma effettivamente non aveva alcuna idea di cosa ordinare: « - direi una bella tazza di caffè e prendo anche io un toast al doppio formaggio ed un donut. » Buttò lì la sua ordinazione non sapendo davvero cosa prendere. « Devo dire che ho scelto giochi e sport magici più per passione che per altre motivazioni infatti è stata la mia prima scelta. Seguo da quando sono piccolo il campionato inglese. » Rispose subito a June quando richiese nuovamente il motivo della scelta per quella facoltà: « Non ho idea di cosa mi aspetta al college, ma non mi tiro indietro la prendo più come una sfida personale, ecco. » Nel gruppo creato dalla Rosier aveva fatto una battuta sul più teorico che pratico, ma era davvero all’oscuro di quello che avrebbe dovuto affrontare una volta approdato al college. Non sapeva se l'approccio per la facoltà ed il futuro studio al college fosse quello giusto, ma dentro di sé aveva una voglia di voler spaccare tutto.
    « Cosa avevi in mente June? » Era entusiasta e molto curioso di sapere cosa aveva in mente la Rosier per quel tutorato. Sperava in cuor suo di poter avere modo di mostrare quello che sapeva fare in campo.
     
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    «Hey, Gin. Quel tipo laggiù non ti stacca gli occhi di dosso da almeno dieci minuti. Temo che dopo undici si possa parlare di stalking.. O Guinness World Record, questo non te lo so dire.» Lexie Cooper si piegò in avanti, sporgendosi oltre il bancone, avvicinandosi pericolosamente al viso della ragazza seduta dall’altra parte, fermandosi ad un palmo dal suo naso e sciabolando le sopracciglia in modo allusivo. Aveva un sorrisetto sornione e le gote arrossate. Rimase così per qualche secondo, indicandole con un impercettibile gesto del capo -e che solo lei potesse vedere- il ragazzo seduto vicino alla finestra. «Capelli biondi, occhi azzurri. Non è male. Ma devo avvertirti per evitare sorprese: ha ordinato un thé alle ortiche Scivola indietro, riafferrando lo strofinaccio con cui stava pulendo il bancone di legno e rivolgendo all’amica uno sguardo come a voler dire “Eh, dai..”. Perché chi diamine ordina un thé alle ortiche alle diciannove? Un pazzo criminale, ecco chi. «Se vuoi baciarmi, per fargli capire che è tempo perso, fai pure.» borbottò con tono noncurante, quasi fosse una cosa all’ordine del giorno per sfuggire alle avances di qualche losco predatore. Si strinse nelle spalle, sbattendo le ciglia con fare civettuolo, per poi sbuffare in una risata mentre riponeva lo strofinaccio sotto il lavandino. «Altrimenti posso portargli un altro di quei cosi e dire che glielo offre gentilmente la splendida moretta seduta al bancone.» Alzò le mani, mostrando i palmi alla migliore amica. «Ai suoi ordini, miss.» Concluse spostando un piede all’indietro ed il peso in avanti in modo da potersi destreggiare in una profonda riverenza. Le fece un occhiolino voltandosi solo un attimo, quel tanto che bastava per afferrare due bicchierini di vetro e posarli davanti a Virginia, uno accanto all’altro. «Intanto questi li offre la casa..» Prese il Whisky Incendiario e tolse il tappo. «E con la casa intendo me stessa medesima, perché i galeoni nella cassa ce li metto io.» Riempì i bicchieri a metà e, con un dito, ne fece scivolare uno più vicino alla ragazza. «A chi ci vuole male, miss.» Sollevò lo shot in direzione della ragazza e se lo lasciò scivolare in gola con un solo sorso. Inspirò, facendo entrare l’aria da una fessura delle labbra e l’aria parve alleviare di un poco la scia infuocata lasciata dal Whisky. «Allora-» si schiarì la gola, prendendo i bicchierini vuoti ed infilandoli nel lavandino. «-novità?»



     
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    Ginny guarda di sottecchi nella direzione indicatale da Lexie, soffocando una risata divertita. «Ma sei scema, Coop? Mi fissa le spalle come stratagemma per sbirciare il tuo davanzale.», solleva le sopracciglia con fare allusivo, arricciando le labbra in un sorriso sbarazzino. «Comunque no. Passo. Decisamente passo.»,
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    borbotta la principessa, affondando il viso nel cocktail servitole dall'amica e gustando una buona manciata di patatine. Ha stranamente fame nell'ultimo periodo - di solito l'appetito le passa poiché intenta a cucinare pietanze su pietanze ed obbligata a continui assaggi per procedere agli aggiustamenti. «Intanto questi li offre la casa.. E con la casa intendo me stessa medesima, perché i galeoni nella cassa ce li metto io.», gli occhi verdi di Ginny si fanno giganteschi mentre osserva Lexie stappare il Whiskey Incendiario, impossibilitata a fermarla in tempo. «Non so se considerarti stronza perché mi impedisci di pagare oppure la migliore amica che esista al mondo perché mi servi su un piatto d'argento l'ubriacatura.», e Morgana solo sa quanto ne ho bisogno adesso. Tra il legame lycan che si è riattivato e le riunioni indette da Beatrice, Ginny davvero non sa più che pesci prendere. Soprattutto perché continui ricordi, continue sensazioni - a volte positive, a volte decisamente tragiche - la assalgono senza che lei riesca a capirne la ragione. E' come se mi mancasse un pezzo. La soluzione per completare un puzzle. Si sente monca, Virginia: incapace di giocare ad armi pari con un nemico indiscutibilmente più forte di lei. La Loggia. Sa cos'è, ne parlavano tutti prima e ne parlano tutti adesso - Inverness è in fermento da giorni. Eppure... E' come se non l'avesse mai vissuta. «Allora - novità?», Ginny solleva lo sguardo in direzione di Lexie. Non voglio turbarti. E' a conoscenza dei pensieri di Lexie in merito all'argomento. Non vuole rincarare la dose.. Ma non saprei in che altro modo spiegarti come mi sento. «Non so, Lex.. E' meglio non parlarne qui, in realtà., commenta, sottovoce, riferendosi all'ambiente piuttosto frequentato dei Tre Manici di Scopa. «Più che altro..», a parte il fermento della Città Santa, gli arresti e tutto... «Mi sento strana. A volte capisco, a volte.. Non capisco, Lex, ti giuro. Sono tempestata di sensazioni orribili e.. Mi sembra di non averle mai vissute. E' come se le stessi sperimentando adesso per la prima volta..», ed è tremendo. Sia per gli incubi, sia per il fatto di non capirci più niente, come se mi mancasse la chiave di lettura dell'intero contesto storico. «Ed è tremendo. Perché io..», quando c'è stato il Lockdown... Io ero lì. «Io ero lì, ma è come se non ci fossi mai stata.»
     
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    «Ma sei scema, Coop? Mi fissa le spalle come stratagemma per sbirciare il tuo davanzale. Comunque no. Passo. Decisamente passo.» cacciò il labbro inferiore all’infuori, in un’espressione drammaticamente rattristata per poi scuotere appena la testa con un sospiro. «Oh, Gin. Sei brutale...» piagnucolò premendo entrambe le mani all’altezza del cuore, riferendosi alla decisione con cui la moretta aveva scartato thè alle ortiche. Ma poi, in un attimo, gli angoli delle sue labbra si sollevarono verso l’alto, rivelando in realtà un’espressione furbetta. «... E mi piace!» sciabolò le sopracciglia, per poi rilassare le spalle ed abbandonarsi ad un sorriso più sincero. «Non so se considerarti stronza perché mi impedisci di pagare oppure la migliore amica che esista al mondo perché mi servi su un piatto d'argento l'ubriacatura.» Fece scivolare il bicchierino di whisky sul bancone, posizionandolo davanti a Virginia. «Non è colpa mia.. Mi disegnano così.» ammise con una certa nonchalance, come se essere descritta in entrambi i modi appena detti da Gin facesse parte della sua normale routine. Svuota il bicchierino in un solo sorso senza staccare gli occhi dalla ragazza seduta al bancone e dall’espressione pensierosa che ha dipinto in volto. Crucciata in quel modo le ricordava drammaticamente suo fratello. Ma Gin era diversa. Gin le voleva bene e sapeva che avrebbe camminato in punta di piedi pur di non farle del male. Ciò bastò per rassicurarla. «Non so, Lex.. E' meglio non parlarne qui, in realtà. A quelle parole non poté fare a meno di far scorrere lo sguardo sulla sala. C’era un gruppo di studenti in un angolo che ridevano a voce alta, una donna che non aveva ancora ordinato niente perché stava aspettando l’arrivo di qualcuno e thè alle ortiche che ora aveva tirato fuori il cellulare e ridacchiava guardando qualcosa. A quell’ora il locale non era decisamente gremito, ma evidentemente Gin voleva parlare di cose serie. «Più che altro.. Mi sento strana. A volte capisco, a volte.. Non capisco, Lex, ti giuro. Sono tempestata di sensazioni orribili e.. Mi sembra di non averle mai vissute. E' come se le stessi sperimentando adesso per la prima volta.. Ed è tremendo. Perché io.. Io ero lì, ma è come se non ci fossi mai stata.» “Come se non ci fossi mai stata”. Senza rendersene conto, le sue spalle si erano irrigidite ed aveva trattenuto il respiro. Per quanto le loro vite fossero andate avanti, il Lockdown aveva lasciato delle ferite, lesioni a malapena cicatrizzate, che formicolavano non appena venivano sfiorate. E per quasi ogni cosa, più che il trauma in sé, la parte difficile era stata andare avanti, quando le acque si erano calmate lasciando ognuno di loro in balia di ben altri mostri: quelli delle loro menti, quelli che impedivano di aprire gli occhi, quelli che sussurravano sospetto negli occhi di chiunque si trovasse vicino. Ricordava il momento in cui venne a sapere che Virginia era stata obliviata. Ci aveva messo un po’ per promettere che non ne avrebbe fatto parola, nonostante continuasse a pensare che non era giusto. Si, i suoi crolli emotivi erano finiti, ma a quale scopo? «Si.. Capisco..» Sta succedendo qualcosa, non è così, Gin? Si drizzò sulla schiena, voltando la testa verso Rick, il nuovo barista arrivato ormai da un paio di settimane. «Ehy, tu!» Il ragazzo dai capelli color carota scattò sull’attenti, voltandosi verso di lei come un soldatino. «Vado in pausa. Il bancone è tuo.» non gli diede neppure il tempo di rispondere che afferrò il pacchetto di sigarette che teneva sotto il bancone ed uscì dalla porta sul retro, non prima di aver fatto a Ginny cenno di seguirla. Si ritrovarono in un vicolino, una stradicciola secondaria completamente deserta. Si infilò una sigaretta in bocca e l’accese. «Qui possiamo parlare tranquillamente. Contrariamente a quanto sembra Rick è un tipo sveglio. Ha già capito che la lunghezza delle mie pause è piuttosto variabile..» Inspirò e rilasciò una nuvola di fumo dalle labbra. Silenzio. «E’ successo qualcosa in particolare per farti sentire così?» poggiò le spalle al muro, guardando la giovane negli occhi. Parlami..

     
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