When tomorrow comes.

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    "L'ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili. Il pessimista sa che è vero.” C’era una scritta davanti al bar in cui Sheila Wright era solita recarsi quasi ogni pomeriggio a prendere un caffè. Era sempre stata lì, da quando la ragazza ne aveva memoria, impressa sul muro di pietra con uno spray nero. Le persone avevano cominciato a non farci più caso, passandoci accanto senza rivolgerle neanche uno sguardo. Ci si abita a tutto, col tempo. Era una calligrafia dalle forme arrotondate e a tratti anche un po’ tremolanti. Forse per l’artista quella era la sua prima opera. Qualche volta aveva provato ad immaginare chi fosse stato l’artefice di tale pensiero. Per chissà quale ragione, aveva attribuito quella calligrafia ad una donna. Sheila aveva immaginato fosse una studentessa, magari solo di qualche anno più piccola di lei. Indossava un paio di occhiali rotondi ed un berretto rosso, un basco, come quello che indossano le ragazze per le vie di Parigi. Le pareva di vederla, anche lei seduta in quello stesso bar, a sorseggiare una cioccolata calda e a fissare quel muro di pietra, intonso, immacolato, dalle linee asimmetriche. I punti di congiunzione tra un masso e l’altro parevano un labirinto ideato dalla mente di un bambino. Era arrabbiata. Si perché solo un sentimento forte, come la rabbia, poteva spingere una studentessa modello a compiere un atto simile. Un pensiero impossibile da contenere, che doveva essere gridato al mondo intero. Sheila l’aveva immaginata mentre si recava in qualche negozietto per comprare una bomboletta di vernice. Probabilmente il commesso l’aveva guardata accigliato nel servire qualcuno di così diverso dai suoi clienti abituali. Forse, poi, lei aveva avuto un ripensamento, lì, davanti a quella parete, fissando le venature della pietra che si dipanavano senza un senso logico, cambiando direzione improvvisamente, come se stessero scappando da qualcosa. Il dito poggiato sulla testina di spruzzo, senza ancora esercitare alcuna pressione. Magari stava facendo una cazzata. Non doveva esserci nessuno per strada a quell’ora. Se l’avesse fatto o meno nessuno l’avrebbe saputo. Sarebbe stato il suo piccolo segreto. Ma no. Non riusciva più a tenerselo dentro. Doveva gridarlo a tutti, condividere con qualcuno quell’idea che pareva gridare ogni cellula del suo corpo. Chissà perché aveva scelto proprio quella frase. Cosa era successo nella sua vita da studentessa modello per deluderla in quel modo? Un brutto voto? Un professore che non la capiva? Un ragazzo che l’aveva mollata? I motivi potevano essere infiniti. Ora Sheila guardava la gente, aspettandosi che, prima o poi, una donna col basco rosso sarebbe passata lì davanti, tenendo la mano ad un bambino. Avrebbe lanciato una fugace occhiata alla scritta ed avrebbe sorriso ripensando a quel giorno di tanti anni fa in cui aveva comprato una bomboletta spray.
    Sheila aveva sempre mantenuto un atteggiamento di costante sfiducia nei confronti della realtà e della vita, ma non si sarebbe definita una pessimista poiché quella sua visione negativa la aiutava a non aspettarsi niente, così che non sarebbe mai rimasta delusa da ciò che le accadeva intorno. Al contrario di quanto ci si potesse aspettare da una presentazione simile, la giovane Wright viveva con estrema serenità. La sua movenza nei confronti della vita era quello di chi affronta il corso degli eventi giorno dopo giorno, senza farsi troppi progetti, senza portarsi appresso fardelli inutili colmi di preoccupazioni alle quali non aveva una soluzione. Non amava definirsi uno spirito libero perché le ricordava tremendamente sua madre, ma forse, in fin dei conti, le somigliava più di quanto avrebbe mai voluto ammettere. Quel Vodka Lemon le procurò un piacevole pizzicorino infondo al palato. Chiuse gli occhi lasciando che fosse la musica a guidare i suoi movimenti, il suo corpo e la sua mente. Le luci colorate esplodevano davanti ai suoi occhi come fuochi d’artificio. Le pareva di vederli anche con le palpebre chiuse. Le piaceva che quel pezzo non avesse parole a cui dover dare ascolto, da capire e che sarebbero state d’intralcio alla sua volontà di non pensare a nulla, ma solo un ritmo da cui lasciarsi guidare. Aveva perso Giselle da quando erano andate l’ultima volta al bar. Si era messa a parlare con quel tipo che per tutta la sera non le aveva staccato gli occhi di dosso. Prima che Sheila si dissolvesse tra la folla lui le aveva lanciato un’occhiata, facendole intendere che, se solo avesse voluto, ci sarebbe stato posto per entrambe. Lei aveva trattenuto una risata sguaiata, mascherandola con un sorriso che le arrivava da una parte all’altra della faccia, per poi alzare il cocktail nella sua direzione, come per ringraziarlo, rifiutando gentilmente l’offerta e andando avanti. Una parte di lei, una molto piccola, quella non disgustata, apprezzava il coraggio che aveva spinto uno sconosciuto a non accontentarsi di una sola conquista notturna. Non era preoccupata nel lasciarle la collega da sola con un tipo. Tutte le ragazze che lavorano in un locale notturno imparano in fretta a dover gestire ogni tipo di situazione con la massima calma e professionalità. E poi, se fosse successo qualcosa, l’avrebbe saputo immediatamente. Giselle aveva una voce particolarmente acuta, simile al miagolio di un gatto, e se avesse gridato era più che probabile che tutto il locale si sarebbe voltato a guardarla. Inoltre, nonostante interpretasse di continuo il ruolo della francesina un po’ svampita, tra gli spogliatoi de “Le Rouge et le noire” girava ancora la storia di quella volta in cui schiaffeggiò un cliente che le aveva infilato una mano nel reggiseno, facendogli sanguinare il naso. Si accorse che il suo drink era vuoto perché tirando su con la cannuccia si ritrovò in bocca soltanto il sapore annacquato del ghiaccio disciolto. Avrebbe voluto picchiettare nella spalla del primo che passava, porgergli il bicchiere, chiedergli di riempirglielo e restare lì, a ballare sulle note di un brano che non conosceva. Ma non era certa che quel piano funzionasse e l’altra opzione -forse quella peggiore- era smettere di bere. No, era la sua serata libera ed aveva bisogno di scaricare la mente prima di tornarsene a casa.
    Abbandonò la pista malvolentieri, scivolando tra la folla e procedendo non con poca fatica in direzione del bancone. Incontrò lo sguardo di Giselle, ancora lì dove l’aveva lasciata, rivolgendole un sorriso divertito e una sciabolata di sopracciglia. Alzò una mano tentando di attirare l’attenzione del barista al quale chiese una birra. Ne bevve un generoso sorso, grugnendo un po’ per il fatto che il barista le avesse svuotato la bottiglia dentro uno stupido bicchiere di plastica. Ma d’altronde era così che funzionava in posti come quelli, mhm? Temevano che le persone potessero darsele in testa prese dai vortici dell’ubriachezza e avrebbero così fatto chiudere il locale una volta per tutte. Perché ormai le cose andavano in quel modo. A nessuno importava della droga che scorreva a fiumi sotto gli occhi di tutti, almeno finché non ci scappava il morto. Lì le cose sarebbero cambiate, almeno per qualche settimana, massimo mesi. Poi tutto sarebbe tornato come prima. Come i pezzi di un bicchiere rimessi insieme con la colla: tutti sapevano cosa era successo, ma facevano finta di niente. Far finta di niente. Era qualcosa che a Sheila era sempre riuscito bene. Lascia andare. Si rigirò il bicchiere tra le mani, le braccia ben posate sopra il bancone. Spostava il peso da un piede all’altro, dondolando sul posto lentamente, senza seguire il ritmo della musica. Cercò nuovamente Giselle nel punto dove l’aveva lasciata, ma lei non c’era più. Era sparita, insieme al suo accompagnatore. Non se ne preoccupò. Probabilmente erano in pista che ballavano. Frugò nella tasca dei jeans, sfilando il cellulare e lanciando uno sguardo allo schermo che si illuminò nel momento in cui lei pigiò uno dei tasti laterali. Nessun messaggio. Se Giselle avesse abbandonato il locale, sicuramente le avrebbe mandato almeno un messaggio. Lo rimise a posto, lanciando un’occhiata verso la pista da ballo, cercando di scorgere la chioma di Giselle. Una testolina bionda pareva riflettere i colori delle luci stroboscopiche sparate dai macchinari appesi ai margini della stanza. Sembrava sola. Che fine aveva fatto il suo aitante accompagnatore? Aveva trovato una coppia di fanciulle che si era mostrata propensa a ciò a cui lei e la francesina avevano detto di no? Afferrò il bicchiere, scivolando via dal bancone, sgusciando tra la folla, cercando di salvare la birra dai balli e le gomitate della gente. Non era un’impresa facile. Si sentiva un po’ sbronza. Raggiunse la chioma bionda che si muoveva a ritmo di musica. Le luci intermittenti la facevano apparire e scomparire come un fantasma. Quando la raggiunse, le poggiò una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. «Ehy, Gis.» E fu in quel momento che la vide, quando la ragazza si voltò verso di lei. Sheila spalancò gli occhi e le sue labbra si schiusero appena per la sorpresa. Forse aveva sobbalzato. Cazzo. Non era Giselle. Misty.. «Scusa.» Chissà se aveva sentito la sua voce sopra la musica. «Ho sbagliato persona.» Vattene subito di lì, Sheila.


    Edited by let the sunshine. - 11/4/2021, 20:15
     
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    Non so. Mi sembra che il mondo stia impazzendo. Questo l'ultimo messaggio inviato da Artemis, prima di spegnere il telefono e accendere i sensi. Non vorrebbe affatto trovarsi lì, ma il suo account Wiztagram - quello falso, ovvio - le comunica che, effettivamente, è il posto giusto dove recarsi. Non vorrebbe, esatto, ma deve. Controlla un'ultima volta quella storia, visualizzandola quasi a rallentatore, dicendo a se stessa che magari si sbaglia. Magari non è lui. Magari non è quello il luogo. Avvicina le dita alle tempie e stringe gli occhi sino a ridurli a due fessure sottili, nel vano tentativo di concentrarsi sul presente e non viaggiare oltre con la fantasia. Non le fa bene pensare troppo: è il motivo per cui sono trascorsi due anni e lei non ha ancora concluso niente. Poco importa non abbia mai avuto la reale intenzione di concludere, l'unica consapevolezza è che dovrà farlo - ogni ritardo la porta soltanto un passo più vicina al baratro. O lui o Hector. Non ci sono altre opzioni, in virtù della promessa che è stata costretta a compiere. Sangue cerca sangue. Improvvisamente lo vede, proprio lì, rosso e denso: cola dal naso di Adam, incessante. Lo fa diventare estremamente pallido, gli fa perdere conoscenza. L'ha ucciso con le sue mani, Artemis. Non ha neanche avuto bisogno di estrarre la bacchetta - è bastata una coltellata alla gola, lì dove uno dei centri vitali più importanti distribuisce nutrimento al cervello. No, un attimo. Non sta colando dal suo naso, il sangue. Sta colando dagli occhi di Artemis. Se li sfiora, in completo panico. Sto per morire. Li chiude, li stringe così forte da dimenticare dove si trova, perché è lì - cosa cazzo sta succedendo... Dopo alcuni secondi buoni li riapre. E' in piedi in un locale di Diagon Alley, le luci psichedeliche rosse la costringono ad abbassare lo sguardo per non rimanere accecata. Ha una birra in mano. Sembra felice, ma sta solo fingendo. E' circondata da gente che balla spensierata. Porta la birra alle labbra, certa che non farà effetto pur implorando possa servire a qualcosa. Ti prego, stordiscimi. Alza il braccio destro in alto, calandosi nella parte della ragazza che è andata ad una festa e vuole dimenticare tutto, in particolare il vero motivo per cui è lì. «Ehi.», un tipo le si avvicina da dietro, sente il suo alito pesante sul collo. Non gli risponde, Artemis, continuando a ballare e non distogliendo l'attenzione dall'obiettivo. Sa già che non farà nulla contro Adam, ma non riesce lo stesso a distrarsi. Abbassa lo sguardo, cazzo - si impone, perché effettivamente continuare a fissarlo potrebbe avere un effetto controproducente. Lui potrebbe accorgersi di lei. E a quel punto sarebbe molto più difficile ucciderlo. «Andiamo in bagno?», il tipo le accarezza un fianco, sembra particolarmente insistente. Artemis, per una frazione di secondo, si chiede: perché no? - se non è la birra a stordirla, quanto meno sarà altro. Qualunque altra cosa. Qualunque altra cosa sarebbe meglio di questo. Perché davvero non riesce più a sostenere lo sguardo del target, anche se non è affatto rivolto a lei. Potrebbe essere l'ultimo azzurro che vedrò prima di morire - sa di che colore sono i suoi occhi grazie alle infinite foto sulla Wiznet. In fondo è un reale, no? E sa anche che potrebbe trattarsi dell'ultimo volto osservato prima di morire. Perché lui si difenderà. Eccome se si difenderà. Tutto si riduce alla vita di Adam o a quella di Artemis, alla fin fine. «No.», risponde così, dandogli una spallata per toglierselo di torno. Si sposta di qualche passo più avanti e si ritrova circondata da nuove persone. Perde di vista Adam. Meglio così. Beve un altro sorso di birra - anzi, se la scola tutta, fino alla fine. «Non sei gentile.», la voce di prima le si avvicina di nuovo, sempre da dietro, sempre subdola. Le dice persino: ti ho detto di venire in bagno, troietta - ed è a quel punto che Artemis stringe le dita sino a conficcare le unghie nel palmo della mano. Non fargli del male - si impone, anche se è perfettamente consapevole che sarebbe capace di farlo. E' stata addestrata per questo. Sente già i muscoli che guizzano nei polpacci, quasi si percepisce mentre lo fa cadere a terra avvinghiando la propria caviglia alla sua, per poi lasciarlo lì, steso sul pavimento. «Togliti dal cazzo, seriamente.», il suo tono di voce, se possibile, è ancora meno gentile di prima. Sa bene che potrebbe farlo incazzare. Forse ci spera, per finire in una rissa che sì, a quel punto le farà davvero dimenticare il motivo per cui è lì. Avanti, testa di cazzo. «Ehy, Gis.», un'altra voce la coglie di sorpresa. E' estremamente familiare. Sa già chi vedrà nel momento in cui si volterà in quella direzione. Lo fa, giusto per mettere in chiaro a Sheila Wright che è l'ultima persona che ha bisogno di vedere. Il suo sguardo è chiaro e cristallino: non adesso. «Ho sbagliato persona.», Sheila sembra cogliere al volo, tanto che Misty tira un sospiro di sollievo. Non dovrà preoccuparsi anche di lei. Tuttavia, se Misty accantona subito l'opzione Sheila, il suo interlocutore non sembra affatto essere della stessa idea. «Ci vieni anche tu con me? Dai, facciamo una cosa a tre.», agguanta la mano della ragazza e la strattona in direzione di Misty, osservando con sguardo languido il proprio trofeo. Sta per avvicinarsi di nuovo - lui e le sue mani sudicie - quando Artemis gli pesta un piede, ammonendolo:
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    «Non ci provare.», risponde, lapidaria, tirandosi dietro Sheila e dileguandosi - stavolta per davvero - tra la folla. Non dice una parola finché non arriva all'angolo opposto della sala, quello gestito più decentemente - nel senso che ci sono dei tavolini e dei camerieri a mantenere una parvenza d'ordine. I suoi capelli si tingono di un rosso acceso per assomigliare a quelli di una ragazza seduta all'interno del privé. Subito dopo, risponde al tipo messo lì a fianco a gestire la lista degli accessi alla sala riservata: «Ciao, sono passata poco fa - ero andata a recuperare la mia amica.», rimane subito interdetta per il proprio spirito d'iniziativa, per due motivi: numero uno, non è affatto detto che la ragazza dai capelli rossi si fosse momentaneamente allontanata dal privé poc'anzi; numero due, ha definito Sheila amica. Morgana, allora la birra ha fatto effetto: sono ubriaca. La dea fortuna, comunque, sembra essere dalla parte di Artemis, almeno per i cinque minuti a seguire, tanto che le viene spalancata la strada verso il privé senza alcun problema. Beh, ottimo. Prende posto ad uno dei tavolini più in disparte, e solo dopo un silenzio vergognosamente lungo si decide a parlare: «Quando si dice "non accettare un no per risposta".», commenta, accennando un sorriso in direzione della ragazza. Morgana, che cazzo sto facendo? Noi ci odiamo. Subito dopo scrolla la testa, ordinando a un cameriere un Martini. Si immagina già a giochicchiare con l'oliva, di fronte ad una Sheila presumibilmente stralunata. «Come stai? Dopo il delirio del Golden Match, intendo.», aggiunge poi, in un ulteriore tentativo di tessere una conversazione normale con quella che, ormai da tempo, è la sua nemesi. O qualcosa di molto simile. Riaccende il cellulare, notando un nuovo messaggio: dove sei? - sorride, digitando istantaneamente la risposta: al patibolo, vale?
     
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    Per un attimo si ritrova a pensare che non sia davvero lei. E’ sicuramente un gioco di luci mischiate ai primi effetti dell’alcool. In realtà è davvero Giselle, che la guarderà con lo sguardo contrariato perché l’ha lasciata sola con quel tipo strano. Si sarebbe giustificata dicendo che aveva inteso male, che in realtà lei volesse rimanere con quel tipo, che lo trovava interessante. In realtà non ci aveva pensato molto quando si era dispersa tra la folla con il drink in mano. La verità era che le frullavano già troppe cose in testa in quell’ultimo periodo. La partenza di suo fratello, pagare l’affitto, l’ultima novità di suo padre e la sua biondona di città.. Erano un sacco di cose da metabolizzare. Quella sera voleva solo staccare un po’, bere un altro paio di drink e poi tornarsene a casa. Una cosa estremamente tranquilla, che sfiorava la banalità. Ma più la guardava negli occhi, più realizzava che quella ragazza dai capelli biondi che le stava davanti non era affatto Giselle. Non apparteneva al suo presente, ma ad un passato dove i problemi di quella sera non esistevano. Doveva andarsene di lì. Non aveva intenzione, né tanto meno voglia di inscenare una discussione al centro di quella pista da ballo. Non era il caso ed era troppo sobria per certe cose. Ma proprio mentre sta per fare retromarcia e tornarsene al bancone, qualcuno l’afferra per il polso, trascinandola. In un primo momento è invogliata a tirare un pugno a chiunque abbia deciso di fare una cosa del genere. Ma Sheila conosce gli ubriachi e i maiali. Ha a che fare con gente del genere praticamente ogni sera e sa che la carta migliore è mantenere la calma. «Ci vieni anche tu con me? Dai, facciamo una cosa a tre.» Guarda prima lui, i suoi occhi semichiusi acciecati dalle luci e dai troppi drink ingurgitati quella sera, poi sposta lo sguardo verso Artemis al suo fianco. E’ una situazione così paradossale da farla quasi ridere. «Non credo riusciresti a reggere il ritmo, dolcezza..» dice alzando un po’ il tono della voce, sporgendosi appena verso l’uomo in modo che lui la sentisse al di sopra della musica. Ma se lei riesce a mantenere una certa compostezza, forgiata grazie ad anni di lavoro come spogliarellista, Artemis non sembra essere della stessa filosofia. Prima che se ne renda conto, la bionda schiaccia il piede dell’uomo, e trascina via la gitana ancora confusa dall’accaduto. Lei la segue, ancora un po’ intontita dall’accaduto. Aveva come l’impressione che la sua mente ci stesse mettendo il doppio del tempo per elaborare gli eventi. Abbassò di poco lo sguardo osservando la mano di Misty avvolta attorno al suo polso, come due vecchie amiche che stanno andando in bagno insieme per rifarsi il trucco e parlare del tipo carino che hanno adocchiato in mezzo alla pista. Ma non sarebbe accaduto nulla di tutto quello. Sheila ci avrebbe messo la mano sul fuoco, in proposito. Scioglie la presa solo nel momento in cui si ritrovano dall’altra parte del locale, quello con tavolini e camerieri che portavano le maniche della camicia arrotolate mettendo in mostra le braccia piene di tatuaggi. Si fermano solo quando si ritrovano davanti un energumeno vestito in giacca e cravatta e con indosso un paio di occhiali da sole scuri -davvero? Perché mai qualcuno dovrebbe indossare degli occhiali da sole dentro un locale come quello? Forse per darsi un’aria più minacciosa?-. Lo sta ancora mettendo a fuoco quando le parole di Artemis si fanno chiare in tutto quel brusio: «Ciao, sono passata poco fa - ero andata a recuperare la mia amica.». Si voltò lentamente, Sheila, girando prima gli occhi e poi la testa. I capelli rossi della ragazza al suo fianco la fecero per un attimo sobbalzare. Sapeva che era una Metamorfomagus, ma non si aspettava un cambiamento in quel preciso momento. O forse lei era ancora bionda ed erano solo le luci a colorarle la capigliatura. Non le sarebbe interessato in un altro momento, ma la birra nelle vene la faceva diventare particolarmente curiosa. Poi.. Come l’aveva definita? Una sua amica? Davvero? Oh, ma perfavore.. pensò mantenendo nonostante tutto un’espressione imperturbabile. E questa da dove esce fuori? Vera come una banconota da 3 galeoni. Se poi sapessi che mi sono ripassata tuo fratello, qualche volta... Tornò a guardare il gorilla davanti a loro e si accorse che la stava fissando. Così, Sheila sorrise. Non un sorriso normale, ma uno di quelli che ti arriva da un orecchio all’altro, mostrando la dentatura perfetta, somigliando ad uno strano ed inquietante quadro appesa alla parete di una casa infestata. Fortuna volse che il tipo si lasciò convincere senza troppe moine e, scansandosi, liberò loro l’accesso nel privé. Prima che la Wright se ne possa rendere conto, si ritrova seduta ad un tavolino, gli occhi puntati su quelli di Artemis che le sta davanti. Improvvisamente non si trovano più lì. E’ un pub completamente diverso. Non c’è musica assordante, ma note appena accennate che escono da degli autoparlanti, così leggere che a tratti non è possibile riconoscere la canzone in sottofondo. Stanno bevendo una Burrobirra e Misty indossa la sciarpa dei Corvonero. Ridono, parlando di stupidaggini. Quanto tempo è passato da quel ricordo? Non riesce a quantificarlo. «Quando si dice "non accettare un no per risposta".» Avrebbe voluto dirle che non era la prima volta, che c’era abituata, ma restò in silenzio. Si limitò ad annuire, una sola volta con un singolo cenno del capo. Misty ordinò un Martini, Sheila chiese un Mojito. Il cameriere la guardò per un secondo prima di andare via. Forse in quella parte della sala si bevevano drink più sofisticati di un Mojito. Che poi perché diamine aveva preso da bere? Se ne sarebbe dovuta andare di lì. Non aveva niente da spartire con Artemis Ayres. Non più, ormai da diversi anni. «Come stai? Dopo il delirio del Golden Match, intendo.» Già. L’ultima volta si erano viste in quell’occasione, quando la Ayres era capitombolata in mezzo a lei e al giovane Samuel Scamander, facendo osservazione sul vestito non poco appariscente che Sheila aveva addosso. Schiuse le labbra per rispondere, ma in quel momento arrivò il cameriere servendo difronte a loro i cocktail. Sheila fece per tirare fuori il portafogli, ma il cameriere disse che qualcuno aveva già provveduto a pagare i drink. Si guardò intorno, ma non vide nessuno in particolare che le stesse
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    guardando. Afferrò il bicchiere e bevve un sorso. «Bhè..» si schiarì la gola, tamburellando le dita sul bicchiere di vetro. «Io e la mia amica siamo andate via prima che potesse accadere tutto quel macello.» Sai, il ragazzo che le interessa ha cominciato a pomiciare con un’altra ed abbiamo deciso di sbronzarci altrove. Ma quella parte la pensò e basta. Si disse che erano affari di Jill. Né di Misty, né suoi. Fece roteare la cannuccia di carta dentro il bicchiere, miscelando il contenuto. Forse doveva chiederle qualcosa anche lei. Era così che funzionava tra persone mature, no? «E tu? Eri lì quando sono arrivati gli Auror?» Rimase in silenzio, in attesa di una risposta. C’era qualcosa a cui non riusciva a smettere di pensare: quella situazione era paradossale. Quanto tempo era passato dall’ultima conversazione che avevano fatto senza urlarsi addosso? Forse erano entrambe un po’ brille o forse solo un po’ provate da tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi. Eppure si vedevano spesso alla Corte, ma ormai avevano imparato a farsi scivolare addosso lo sguardo, senza scambiarsi una parola. Allora perché in quel momento non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse disagevole quel silenzio? Bevve un altro sorso. «Come mai non sei al Moulin Rouge? E’ finalmente fallito quel posto?» Si strinse nelle spalle, lasciandosi scivolare verso lo schienale della sedia. Nonostante tutto, però, sulle sue labbra c’era un sorriso. Un sorriso a metà tra il divertito e il sarcastico.


     
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    Sono attimi di tensione, quelli in cui Artemis Ayres viene squadrata da cima a fondo dal buttafuori del privé. Mantiene la calma, avvezza all'impassibilità della cacciatrice - non per altro, si tratta della divinità cui è devota. Non abbassa lo sguardo, puntando l'azzurro ghiaccio delle proprie iridi nelle lenti degli occhiali da sole dell'uomo mastodontico. Sfacciata, la Metamorfomagus arriccia le labbra, sottintendendo con la propria espressione: ha per caso intenzione di farci aspettare ancora? - e alla fine, dopo un confronto interminabile, le si apre davanti un ambiente fatto di luci soffuse e di un leggero chiacchiericcio. Prende posto nel primo tavolo libero che trova, seguita a ruota da Sheila. Non so neanche perché me la sono portata dietro. Forse perché l'ha vista sola e circondata da un rumore assordante in grado di stordirle i sensi. Forse perché sono state entrambe adescate. Sa perfettamente che la mora non abbia bisogno di protezione - come lei stessa, d'altro canto. Siamo noi, quelle pericolose - è un dato di fatto. Se solo la gente sapesse cosa si cela sull'altra faccia della medaglia, nella vita di Artemis Ayres, probabilmente rabbrividirebbe. Così come rabbrividisce lei stessa, al pensiero di pedinare il proprio target. Al pensiero di avvicinarglisi, di carpire le sue abitudini e di provare ad attaccarlo.
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    Non credo di esserne in grado - è una consapevolezza, quella della Corvonero, che si alterna ad attimi di sparuto coraggio e convinzione: attimi in cui è così profondamente attaccata alla sopravvivenza, al battito del cuore e al respiro rapido e silenzioso, che ritiene d'esser capace di schiacciare chiunque, persino un reale. O lui, oppure io. «Io e la mia amica siamo andate via prima che potesse accadere tutto quel macello.», annuisce, la Corvonero, le punte dei capelli che virano verso un rosa acceso. Direi che vi è andata piuttosto bene. Essersi risparmiate gli attimi di panico successivi all'arresto di Potter equivale a poter dire di aver passato una bella serata, il giorno del Golden Match. Non essere legate al cercatore dei Falcons vuol dire non soffrire - proprio come la sua migliore amica, Dory, sta facendo in quell'esatto istante. Il cuore di Artemis si stringe di colpo, mozzando le parole che aveva sulla punta della lingua. Sceglie di non rispondere, bevendo piuttosto un sorso del Martini appena servito al tavolo. Mordicchia l'oliva, concentrandosi sul sapore salato e sulla consistenza gommosa. «E tu? Eri lì quando sono arrivati gli Auror?», poggia il bicchiere sul tavolo, piegando lievemente la testa di lato. «Sì. Anche quando sono arrivati i giornalisti - elementi ben più pericolosi degli Auror, oserei dire.», curva le labbra in un sorriso fugace. Potrebbe apparire sarcastico, ma è realmente sentito. «Non tutti, ma quasi.», si corregge, ripensando alla Weasley. Deve pur sempre esistere l'eccezione che confermi la regola. Interrompe la conversazione per mandarle un messaggio, assicurandosi che sia tutto a posto. Beh, di certo non può esserlo davvero, non prima che questa storia si concluda: al momento l'obiettivo è che non vada peggio del solito... In attesa di una sua risposta, sgranocchia le patatine servite insieme al cocktail. «Come mai non sei al Moulin Rouge? E’ finalmente fallito quel posto?», ecco, mi sembrava stesse andando troppo bene per essere vero. L'antagonismo tra lei e Sheila non ha radici antiche, ma dal momento in cui è nato non si è più spento. Non c'è un motivo definito dietro il punzecchiarsi reciproco: semplicemente, ad un certo punto della loro vita, due amiche legate - ma con caratteri esageratamente forti e non avvezzi a compromessi - hanno iniziato ad allontanarsi. Prima la freddezza, poi le frecciatine gratuite. Tutto in un circolo vizioso destinato a perpetuarsi senza fine - e senza, parimenti, logica. «Non mi risulta. La nuova stagione ha fatto colpo sul pubblico della Corte dei Miracoli. Alek è sempre in prima fila.», eccola, la stoccata in risposta alla Wright. Conclude gustando un altro sorso di Martini, facendo vagare lo sguardo in direzione della sala, come se avesse addotto un'informazione di poco conto. Sa, tuttavia, che non è così. Il nome di Marchand significa qualcosa per Sheila. «Mi chiedo se sia lo stesso per il Rouge et Noir.», un battito di ciglia va a suggellare il puro sarcasmo insito in quelle parole. Si lascia scivolare sullo schienale della poltroncina rosso fuoco, Artemis, in attesa della prossima reazione di Sheila. Anche se non ero qui per l'ennesima battaglia. Ne sta già combattendo una: aggiungere lo screzio tra lei e Sheila sarebbe controproducente. «Dovresti venire. Qualche volta.», come facevi un tempo. Questa proposta particolare è, tuttavia, sincera. «La compagnia teatrale che ospitiamo ha appena vinto il premio della critica magica scozzese. Sono convinta che sbancheranno anche qui a Londra.», a meno che non venissi al Moulin Rouge solo per fare un piacere a me, quando eravamo ancora unite. «Sempre che teatro e cinema siano rimasti tra i tuoi interessi.», si sente in dovere di aggiungere, quasi svelando ad alta voce il pensiero appena formulato.
     
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    «Sì. Anche quando sono arrivati i giornalisti - elementi ben più pericolosi degli Auror, oserei dire. Non tutti, ma quasi.» Il rapporto di Sheila con i giornalisti non era sempre stato dei migliori. Da prima che ne diventasse il tutore, Aleksandr Marchand era sempre stato un personaggio di spicco all’interno della vita sociale del Mondo Magico. Che la sua faccia fosse apparsa di sbieco tra le pagine di qualche sciocca rivista da parrucchiere era stato un effetto dell’aver cominciato a gravitare attorno a questa figura. Una bimba straniera apparsa da un giorno all’altro all’interno della Corte. Da dove veniva? Chi era? Una figlia segreta del signor Marchand tornata dopo tanto tempo? Ma a Sheila non era mai importato niente. Aveva sempre provato a mantenere un profilo piuttosto basso, ma quando proprio non riusciva ad evitare qualche flash, regalava loro la sola splendida visione del suo anulare destro. Per fortuna, con il passare del tempo, la sua vita non fece più troppa audience ed i giornalisti si erano presto stancati della figlia adottiva del capo della Corte dei Miracoli. Sheila lo aveva considerato un vero e proprio colpo di fortuna. Si sforza di trattenere una risata nel vedere come il corpo di Artemis reagisce alla provocazione sul Moulin Rouge. Sono particolari molto piccoli di cui forse si accorgerebbe solo chi, come lei, conosce la bionda da molto tempo. Aveva notato il guizzo dei muscoli delle braccia, sottopelle, attraversarla fino alla punta delle dita. Le sue sopracciglia si erano alzate di poco e le sue pupille ingrandite. Ma forse era solo un gioco creato dalle luci all’interno del locale. «Non mi risulta. La nuova stagione ha fatto colpo sul pubblico della Corte dei Miracoli. Alek è sempre in prima fila.» L’angolo destro delle labbra di Sheila si alzò inevitabilmente verso l’alto. Ridondò nella sua mente come Misty fosse sempre stata brava a tirar fuori la risposta giusta al momento giusto. Era una cosa che aveva sempre ammirato di lei, ma che aveva cominciato ad infastidirla quando lei aveva cominciato ad usare questa dote per risponderle per le rime. Erano due ragazze di un’intelligenza brillante e sofisticata eppure spesso si erano trasformate in due bambine quando c’era da cantarsele in mezzo al corridoio. «Mi chiedo se sia lo stesso per il Rouge et Noir.» Ed è qui che Sheila scoppiò a ridere, chiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle. Infine inspirò con le narici, rilasciando l’aria tramite un sospiro che le uscì dalle labbra. «Bhè, mi auguro seriamente che non sia così. Sono più che convinta nel sostenere l’ipotesi che ad Alek non interessi affatto vedere la sua figlioccia ballare mezza nuda su un palco.» Afferrò il bicchiere portandoselo alle labbra. «Non tanto per me, ma penso che sarebbe in grado di compromettersi con chiunque azzardi un commento un po’ troppo spinto..» aggiunse prima di bere un piccolo sorso, l’ultimo che lasciò il bicchiere ripieno solo del ghiaccio ed una piccola fettina di limone. Sheila non aveva mai avuto problemi a parlare del suo lavoro, almeno con chi era a conoscenza di ciò che facesse. In verità non ricordava di averne mai fatto parola con Artemis, ma in qualche modo era certa che lei sapesse che il suo lavoro a “Le Rouge” non si limitasse solo a servire ai tavoli. Quando aveva cominciato ad esibirsi sul palco, lei due già non si parlavano da un pezzo. Ripensò a ciò che Misty aveva detto, al fatto che Alek fosse sempre in prima fila agli spettacoli del “Moulin Rouge”. Chissà come reagiresti nel sapere che il tuo amato fratellone è invece in prima fila ai miei di spettacoli. A quel pensiero non poté fare a meno di trattenere un sorriso beffardo, apparentemente fuori contesto se visto dall’esterno. Si morse le labbra costringendosi a non vomitarle addosso quelle parole. In primo luogo, era più che sicura che Ades non le avesse raccontato della loro piccola tresca e questa era una delle parti di quella storia che le piacevano di più. In verità a Sheila non importava niente del fatto che Artemis sapesse o meno. Si era sempre convinta che nessuno le dovesse niente e, di conseguenza, lei non dovesse niente a nessuno, tantomeno spiegazioni che riguardassero il suo agire, la sua volontà. Inoltre, quello che era successo, non era accaduto per fare un dispetto alla Ayres o qualcosa di simile. Era accaduto e basta e non c’erano bisogno di chiarimenti. Doveva ammettere, però, che il pensiero che tutto ciò fosse un segreto era piuttosto eccitante. «Dovresti venire. Qualche volta.» Quella frase, pronunciata con una sincerità sprezzante, colpì Sheila in modo inaspettato. Se lo ricordava il “Moulin Rouge”. Ricordava quella sensazione di venir catapultati in un’altra epoca quando si varcava il portone d’ingresso. Il drappeggio del sipario, gli ospiti adornati dei loro abiti eleganti, l’adrenalina che elettrificava l’aria poco prima dell’inizio dello spettacolo. Erano sensazione piacevoli che nel ricordarli le sembrava ancora di toccare. In qualche modo, però, aveva come l’impressione di non entrarci niente in tutto quello. Lei era un tipo di ballerina totalmente diversa da quelle che varcavano il palco del Moulin, così sofisticate da sembrare appena uscite fuori da un carillon. Forse era cambiata. Forse entrambe lo erano. «La compagnia teatrale che ospitiamo ha appena vinto il premio della critica magica scozzese. Sono convinta che sbancheranno anche qui a Londra.» Sheila prese in mano il bicchiere. Il ghiaccio si era sciolto un po’, andando a depositarsi sul fondo. Lo bevve tutto d’un sorso, rendendosi conto che non ci fosse rimasta neppure una goccia di gin. Solo ghiaccio sciolto aromatizzato da una stupida fetta di limone. «Sempre che teatro e cinema siano rimasti tra i tuoi interessi.» Riposò il bicchiere sul tavolo e
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    un dito si posò sul bordo, cominciando a percorrerlo in modo lento, quasi volesse saggiarne la consistenza. Un giro, un altro giro. «Lo sono.» si affrettò a chiarire. «Ma non posso dire la stessa cosa per quanto riguarda i nostri coetanei.» quella frase le uscì fuori come se fosse il risultato di un pensiero fatto e rifatto più e più volte, un pensiero nato da una consapevolezza ponderata e reale. «Guardati intorno.» Con un leggero gesto del capo chiese silenziosamente alla ragazza di guardarsi intorno, come a volerle far porre lo sguardo sulle persone intorno a loro: giovani di ogni età intenti ad ingurgitare un drink dietro l’altro senza far troppo caso a ciò che avevano dentro il bicchiere. Lo aveva fatto anche lei qualche volta, questo era ovvio. Forse addirittura più volte rispetto a quello che voleva in realtà ammettere. Sapeva, però, che avebbe capito a cosa si riferiva. Per quanto le facesse fatica ammetterlo, Misty non era una sciocca. «Secondo te, quanti di questi che sono stasera qui sono interessati ad una compagnia teatrale che ha appena vinto il premio della critica magica scozzese le chiese stringendosi un po’ nelle spalle, ripetendo le parole che la ex Corvonero le aveva detto poco prima. «Quella in cui viviamo è un’epoca bigotta dove è più importante apparire piuttosto che essere. Se un giovane dovesse scegliere tra una serata in discoteca con la prospettiva di sballarsi e una serata a teatro, cosa credi che sceglierebbe?» scosse la testa, con triste rammarico, mentre lo sguardo si spostava dal bicchiere vuoto agli occhi cerulei di Misty. «I teatri perdono sempre di più giovani mentre si riempiono in modo inesorabile di vecchi impellicciati che odorano di naftalina.. » fece una smorfia, arricciando il naso e corrugando le sopracciglia. «Ma sicuramente sai meglio di me chi siano i tuoi clienti più fedeli..» Si strinse ancora nelle spalle. Il suo non era un discorso mirato a ferirla, in realtà. Semplicemente era un modo per mettere in luce una realtà che lei aveva notato con i suoi stessi occhi. Adesso era davvero curiosa di sapere come la pensasse la bionda seduta davanti a lei.
     
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    «Bhè, mi auguro seriamente che non sia così. Sono più che convinta nel sostenere l’ipotesi che ad Alek non interessi affatto vedere la sua figlioccia ballare mezza nuda su un palco. Non tanto per me, ma penso che sarebbe in grado di compromettersi con chiunque azzardi un commento un po’ troppo spinto..», Artemis inarca vistosamente le sopracciglia. Come se mi riferissi ad Alek nello specifico. Io intendevo il "pubblico" in generale. Non pronuncia quelle parole ad alta voce, tuttavia, ritenendolo un commento parecchio acido che non avrebbe effetto di agevolare il naturale fluire della conversazione. Sempre che naturale si possa definire. Non si parlano da secoli, lei e Sheila, se non attraverso dichiarate frecciatine o sguardi a un passo dall'essere omicidi. «Penso di riuscire ad immaginarlo.», si limita ad affermare, prima di appoggiare le labbra al bicchiere per bere un sorso di cocktail, macchiandone il vetro col rossetto magenta. «Anche Hector farebbe lo stesso.», non è mai riuscita a chiamarlo padre, nonostante abbia ricoperto quel ruolo, per lei, ben più a lungo di quanto non abbiano fatto i genitori naturali. Come se non bastasse, il signor Megalos è sempre stato un tipo preciso, caratterialmente parlando - da qui si comprende quanto, in modo attento ed oculato, tenga d'occhio i suoi Prescelti. Non c'è verso di potergli sfuggire. Lo si può fare solo all'interno della propria mente, al riparo da intrusioni indiscrete. Ammesso che non abbia sviluppato capacità di Legilimanzia. Di tutto, per l'appunto, ci si potrebbe aspettare dal Patriarca degli Hikesioi. Per cambiare discorso e non concentrarsi troppo sull'argomento padri, Misty propone alla Wright di presenziare a qualche spettacolo del Moulin Rouge. Così, in memoria dei vecchi tempi. Non sa neanche perché l'abbia fatto, o almeno non ne conosce il motivo profondo: le è venuto spontaneo formulare quella domanda, quasi una prosecuzione logica del flusso di pensieri attivato poc'anzi. Benché Sheila le abbia rivolto un sorriso completamente fuori luogo - tanto da farle credere di esser presa per il culo. Motivo per cui le dita delle mani di Artemis iniziano a stringersi intorno al piede del bicchiere, smaniose di far pressione su qualcosa. «Lo sono. Ma non posso dire la stessa cosa per quanto riguarda i nostri coetanei.», Artemis cerca di concentrarsi sulle parole della ragazza. Sheila la invita a guardarsi intorno. Le rifila il proprio punto di vista in merito alla frequentazione dei teatri. «Quella in cui viviamo è un’epoca bigotta dove è più importante apparire piuttosto che essere. Se un giovane dovesse scegliere tra una serata in discoteca con la prospettiva di sballarsi e una serata a teatro, cosa credi che sceglierebbe?», Artemis si prende alcuni istanti prima di risponderle. Non che Sheila non abbia ragione - il fatto che la clientela abituale del Moulin Rouge sia prevalentemente costituita da adulti navigati è innegabile. Così al Moulin, così in tutti i teatri d'Inghilterra e possibilmente del mondo magico - e babbano, se proprio la si vuole esporre in modo completo. Eppure, la Wright, agli occhi di Artemis, non si è soffermata abbastanza su un altro aspetto della questione.
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    «Il fatto che sia un'epoca bigotta non vuol dire sentirsi autorizzati a non cambiare le cose, puntualizza la Corvonero, scuotendo lievemente la testa. E' un argomento che la fa vibrare d'orgoglio e coraggio. Il teatro è la sua passione, così come la natura lo è per altri e le creature fantastiche ed il Quidditch per altri ancora. «Con questo non voglio farti sentire obbligata a venire - fermo restando che tu stessa mi hai appena confermato quanto le opere teatrali incontrino il tuo interesse.», si affretta a precisare. Per quanto fiera del lavoro svolto all'interno del Moulin Rouge, non è nel suo stile conquistarsi clienti in quel modo: sono loro a venire, di propria sponte, senza nessuna costrizione alle spalle. Artemis fa solo pubblicità - annuncia di quel progetto lì, di quello sconto là, di quell'altra occasione ancora. Ma non inizia a tartassare i miscredenti per invogliarli a presenziare in platea. «Voglio semplicemente dire che arrendersi implicherebbe assistere alla morte di pezzi di cultura.», innegabile, senz'ombra di dubbio, è anche il fatto che il teatro sia cultura. A prescindere dallo spettacolo più semplice - il classico cabaret -, teatro vuol dire comunque impegno. Lavoro. Ogni battuta è mirata, pensata e creata per andare a parare da qualche parte. Nulla è lasciato al caso. Teatro è arte. E l'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. E' una citazione che ha sempre molto affascinato Artemis: l'arte è la rappresentazione del mondo - ne rivela la vita, appunto - ma ha anche la funzione di rinnovare i popoli. Arte è tradizione e innovazione insieme. E' un ritorno al passato con uno sguardo al futuro. Come si può non restarne incantati? E' vero, come sostiene Sheila tre quarti di maghi e babbani preferiranno una serata in discoteca a sballarsi piuttosto che una tranquilla rappresentazione teatrale che inizia alle nove ed entro mezzanotte chiude i battenti. «Finché esisterà anche solo una minoranza di appassionati pronti ad acquistare un biglietto, beh, the show must go on.», sorride, fiera di auto-includersi nella minoranza sovracitata. «Per il resto, il mio modesto parere, è che chi snobba il teatro non sa davvero cosa si perde.», detto questo, sgranocchia alcune noccioline che sono state servite insieme ai cocktail, giusto per fare una pausa nel discorso pieno d'anima che ha appena fatto - come già sottolineato, Artemis si infervora parecchio quando si parla di arte e spettacolo. Non per altro, si è anche iscritta al primo anno dell'omonimo corso al college dell'Accademia di Hogwarts. «Certo, avere infiniti interessi non è fisiologico - per esempio io non sono una grande appassionata di Quidditch: l'ultima partita che ho visto è stata quella del Golden Match. Ma appunto, sarebbe stato ancor meno fisiologico non darmi l'opportunità di valutare se il Quidditch potesse piacermi davvero.», fa una breve pausa, per poi continuare: «Quello che la gente dovrebbe fare, secondo me, è soltanto testare, senza scartare nulla a priori. Per trovare il proprio vero interesse.», commenta, prendendo un ultimo sorso di cocktail e valutando se ordinarne un altro. «Quello che chiedo alle persone non è di acquistare un abbonamento a teatro, ma solo un biglietto. Per un solo spettacolo.», sorride, sinceramente convinta delle proprie parole.

     
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    «Penso di riuscire ad immaginarlo. Anche Hector farebbe lo stesso.» Si limitò a guardarla, senza dire niente. Non aveva mai incontrato Hector, neanche quando erano più vicine. C’erano sempre state cose su cui aveva avuto l’impressione di non dover girare troppo attorno e la famiglia di Artemis era una di quelle cose. Aveva notato più volte quando la ragazza non si sbilanciasse troppo in quell’ambito e aveva riscontrato lo stesso atteggiamento nel fratello di lei nel periodo in cui si erano più avvicinati. Lei ed Ades erano arrivati anche al punto di raccontarsi cose di un’intimità quasi tangibile, cose che Sheila non si aspettava di dire o di sentirsi dire. Grazie ad una confessione del fratello maggiore di lei, era venuta a sapere che i loro genitori erano morti quando erano solo dei bambini ed era stato proprio Hector, un amico di famiglia, a prendersi cura di loro da quel momento in poi. Misty non le aveva mai detto certe cose, neanche quando erano amiche. Non la biasimava, comunque. Non doveva essere facile. Forse, pensandoci attentamente, era questo uno dei motivi per cui si erano allontanate: erano troppo simili. Troppo orgogliose, troppo cocciute, troppo impegnate a non farsi vedere fragili. Eppure, entrambe avevano perso la propria famiglia d’origine ed erano cresciute al fianco di un uomo che aveva fatto loro da padre. In qualche modo erano più simili di quanto in realtà volessero ammettere. «Il fatto che sia un'epoca bigotta non vuol dire sentirsi autorizzati a non cambiare le cose Mentre lei parlava il suo sguardo si spostò sul tavolino accanto. Due ragazzi, palesemente ubriachi, parlavano e ridevano ad alta voce, facendosi foto con il telefono e lanciando, di tanto in tanto, commenti poco galanti e gradevoli alle due ragazze in un altro tavolo. Perché impegnarsi tanto in qualcosa quando non ne vale la pena? La Wright non aveva mai speso tempo dietro le cause perse. Se qualcosa non ne valeva la pena, lei finiva per accantonarla, ripetendosi che la vita era troppo breve per sprecarla dietro simili stupidaggini. «Con questo non voglio farti sentire obbligata a venire - fermo restando che tu stessa mi hai appena confermato quanto le opere teatrali incontrino il tuo interesse.» Annuì con un piccolo cenno del capo. Fu in quel preciso istante che un cameriere si avvicinò a loro per ritirare i loro bicchieri vuoti. Senza troppe cerimonie, Sheila ne ordinò un altro, attendendo che anche la ragazza seduta davanti a lei facesse lo stesso. «Voglio semplicemente dire che arrendersi implicherebbe assistere alla morte di pezzi di cultura.» Arte. Crescere con accanto Alek a farle da padre, per Sheila aveva significato circondarsi di arte. L’uomo non le aveva mai negato la libertà di essere sé stessa, facendole però capire quanto impalpabile fosse il confine tra essere liberi ed essere allo sbaraglio. In qualche modo, anche la libertà stessa aveva delle regole e disobbedirle significava automaticamente privarsi del privilegio stesso. Esprimere sé stessi senza arrecare danno al prossimo, guardare il mondo da più punti di vista. Se fosse tanto facile saremmo tutti liberi. «Finché esisterà anche solo una minoranza di appassionati pronti ad acquistare un biglietto, beh, the show must go on. Per il resto, il mio modesto parere, è che chi snobba il teatro non sa davvero cosa si perde.» Sorrise, guardandola. Era sempre stata estremamente testarda, Artemis. Era uno dei motivi per cui l’ammirava, ma allo stesso tempo uno dei motivi per cui la loro amicizia era finita. Forse entrambe erano troppo testarde, forse entrambe avrebbero dovuto fare un passo indietro. Si, come quando si ammira un’opera d’arte: a volte se la si vede troppo da vicino si osserva solo una piccola parte di ciò che l’artista voleva comunicare. Ma non era così semplice. «Certo, avere infiniti interessi non è fisiologico [...] Quello che la gente dovrebbe fare, secondo me, è soltanto testare, senza scartare nulla a priori. Per trovare il proprio vero interesse. Quello che chiedo alle persone non è di acquistare un abbonamento a teatro, ma solo un biglietto. Per un solo spettacolo.» Testarda. Ma anche una sognatrice. «Sai.. Dovresti seriamente valutare l’idea di mettere da parte il teatro e dedicarti alla politica. Se avessi fatto questo discorso in pubblico avresti raddoppiato la clientela domani.» Fa una risatina sporgendosi indietro, contro lo schienale della sedia, nel momento in cui il cameriere posò il vassoio con sopra i loro cocktail sul tavolo. Si infilò la mano nella tasca dei jeans, tirando fuori il portafoglio e pagando i drink di entrambe. «Lascia.. Faccio io.» disse con noncuranza, rinfilando il portafogli in tasca.
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    Non appena il cameriere se ne andò, lei prese il suo bicchiere, alzandolo in direzione della bionda, come a voler proporre un brindisi. Poi bevve un lungo sorso, scartando la cannuccia e bevendo direttamente dal bicchiere. Riposò il drink, facendo schioccare la lingua nel palato. «Forse, semplicemente, mi sono stancata di provare a cambiare le cose.» Si strinse nelle spalle, con naturalezza, l’aria più pensierosa del solito. Se la sé stessa di qualche anno fa l’avesse sentita, probabilmente le avrebbe dato un pugno in faccia. La giovane Sheila era una ragazzina dal temperamento focoso, che scattava come una molla tenuta in tensione per troppo tempo non appena si verificava un fatto che non le tornava. Per anni aveva ribattuto quando la gente la trattava con superficialità a causa dei suoi tratti stranieri. Si era ribellata sempre a quei pregiudizi gratuiti ai quali era costantemente sottoposta dalle persone. Poi, semplicemente, un giorno aveva detto basta. Aveva iniziato a farsi scivolare addosso tutte quelle parole perché, si diceva, alla fine erano solo quello: parole. Non le interessava se qualcuno avrebbe trovato sgradevole la sua compagnia. Se ne sarebbe fatta una ragione. Era stanca di provare ad entrare nella testa delle persone. «Naturalmente non escludo che ci sia qua e là qualche sprazzo di speranza, ma continuo a sostenere che la maggior parte delle persone non siano altro che sempliciotti che si limitano a tirare avanti senza guardarsi minimamente intorno, senza capire che, infondo, la vita è un viaggio e ciò che possiamo fare è arricchirla come meglio possiamo.» si portò la cannuccia alle labbra, bevendo un generoso sorso. «E’ un po’ anche il motivo per cui faccio il mio lavoro: soldi facili.» Alla fine bastano un paio di incontri nel privé, due moine in più e si guadagna abbastanza per arrivare tranquilli alla prossima settimana. Non si era mai spinta oltre con i clienti. E se lo aveva fatto non era stato per soldi. «Comunque ti dirò: mi sento più vecchia di quanto sia a starmene a parlare di certe cose. Forse non sono abbastanza ubriaca..» una risatina le uscì dalle labbra. Alzò lo sguardo verso Misty sciabolando un paio di volte le sopracciglia, come se in quelle parole ci fosse chissà quale messaggio cifrato. In realtà ciò che voleva dire era: beviamo o continuiamo a comportarci da nonne ancora per molto?

     
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    «Sai.. Dovresti seriamente valutare l’idea di mettere da parte il teatro e dedicarti alla politica. Se avessi fatto questo discorso in pubblico avresti raddoppiato la clientela domani.», rimane un attimo allibita, Artemis. Quello è davvero un complimento? Ne è abbastanza certa, poiché per quanto lei e Sheila si siano allontanate - molto, negli ultimi anni -, la Corvonero può comunque affermare di conoscerla abbastanza. Sì, ha proprio l'aria di essere un complimento. Che l'atmosfera tra le due amiche del passato si stia infine riscaldando, anziché raggelarsi come al solito? Quando poi offre da bere per entrambe, non lasciandole il tempo di ribattere, la posizione della Wright non può che confonderla sempre di più. Ci odiamo? Non mi sopporti? Ti sto simpatica? Sinceramente, non ci capisco più nulla. «Forse, semplicemente, mi sono stancata di provare a cambiare le cose.», incuriosita dalla piega che la conversazione sta prendendo, Artemis soppesa con cura le parole di Sheila. La mora sostiene di essere stanca, di non aver più tempo per i presunti casi persi. In parte, Misty non può che darle ragione. Dall'altro lato, però, c'è qualcosa che continua a non tornarle, come delle frasi senza punteggiatura. Perché se è vero che la Wright è stanca di cambiare le cose... «Mi sembra al contrario che tu lo stia facendo proprio in questo istante.», è anche vero, appunto, che Artemis è una persona senza peli sulla lingua. O meglio, inizialmente non lo è affatto - appare piuttosto schiva e scostante, alle conoscenze superficiali. Quando prende confidenza, però, essere diretta è la sua arma di scelta. «Voglio dire, Sheila..», non si sente ancora di utilizzare il diminutivo che era solita affibbiarle tempo addietro. Shey. «Mettendo da parte il discorso sull'arte e il teatro - non che non sia la mia priorità, lo faccio di lavoro e ci credo sul serio, però..», beve un sorso del cocktail che le è stato offerto dalla ragazza. «Tutto questo. Noi due qui a questo tavolo.», vaga con lo sguardo nel privé in cui hanno preso posizione. «Probabilmente non significa niente ed è solo gentilezza reciproca.», commenta, come a voler fare un piccolo passo indietro, per paura di ferirsi. In fondo non hai ancora svelato le tue carte. Mi riservo il beneficio di non farlo anch'io. «Per di più ci siamo incontrate per caso e non c'era nessun programma dietro.», questo è assolutamente vero ed innegabile. Non c'era un appuntamento dietro quell'incontro, né tanto meno un desiderio specifico di vedersi e parlare. E' stato il destino a metterle sotto lo stesso tetto per una sera, ma il destino non può essere la risposta ad ogni cosa. Se ammettessi che il destino è una forza sovraumana impossibile da modificare, probabilmente mi sarei già accoltellata al petto da sola. D'altro canto, Artemis è la persona più destinata, se così si può dire, di tutte, in quel locale. Destinata ad uccidere, senza via d'uscita alcuna. Eppure continua ad essere convinta che il destino non sia la risposta, che il destino, per quanto sia improbabile e difficile, possa essere in qualche modo modificato, deviato in un senso diverso. Che l'uomo possa esserne artefice. Che una mente pensante possa prendere decisioni consapevoli e ridisegnare traiettorie stabilite da altri. «Però siamo comunque qui a parlare, noi, sottolinea quel noi come se fosse l'aspetto più assurdo di tutto quel contesto. Perché, in effetti, lo è.
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    «Voglio dire, avresti potuto lasciarti scivolare addosso le cose, come sostieni di voler fare in quanto stanca, e andartene via. Avrei potuto farlo anch'io.», aggiunge, portando alle labbra il bicchiere e bevendo un altro sorso del cocktail. «Però siamo rimaste qui. Se questo non è provare a cambiare le cose...», fa spallucce, per poi concludere: «- allora non so davvero cosa sia.», per la prima volta sincera nel corso dell'intera serata, Artemis fronteggia Sheila con lo sguardo. Voglio davvero vedere come andrà a finire. Perché o questo è il reinventarsi della nostra storia, o ne è l'epilogo. Non ci sono vie di mezzo. «A che punto siamo, Sheila?», a quello in cui riponiamo nella borsetta i nostri effetti personali e ce ne andiamo, o a quello in cui torniamo ad essere complici? Perché ogni tanto propendo per la prima opzione, ogni tanto mi sembra che la seconda sia l'unica cosa che vorrei. Forse non sono stanca di provare a cambiare le cose, forse sono stanca, invece, che rimangano sempre allo stesso modo. Che si snodino immortalate in un unico senso. Forse sono stanca di non provare a cambiarle, le cose. «..Forse non sono abbastanza ubriaca..», capta l'ultimo frammento del discorso di Sheila ed è a quello che si riallaccia, ironizzando: «Oppure lo siamo troppo. Ubriache, intendo.», commenta, riflettendo che, in effetti, quella potrebbe essere un'altra spiegazione. Una spiegazione al loro ritrovarsi ad un tavolino di un bar a conversare in modo tranquillo. O sono ubriache, oppure è la realtà - e se tutto questo è reale, allora non è vero che le cose non stanno cambiando.
     
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    «Mi sembra al contrario che tu lo stia facendo proprio in questo istante.» Ed è in quel momento che Sheila alzò lo sguardo, incontrando quello di Artemis. Fu come essere catapultata indietro nel tempo, ad un passato che sembrava appartenere ad una vita fa. Era come quando si ripensa ad un sogno: alcune immagini sono ben chiare nella nostra mente, altre invece sono sfuocate, ovattate, forse non sono mai accadute davvero. Ma la Writgh lo sapeva bene: quelle giornate passate insieme a ridere insieme alla Ayres erano accadute davvero, non erano un bizzarro gioco della sua mente. Non avrebbe neppure saputo dire bene come erano arrivate a quel punto. Si erano allontanate in modo progressivo, quasi senza rendersene conto, entrambe forse troppo orgogliose per guardarsi indietro e cercare di capire cosa stesse accadendo. A Sheila non era andato a genio il modo di comportarsi di Misty, sempre così misteriosa, sviante quando la Wright cercava di capire cosa stesse accadendo. Alla Ayres, sicuramente, non erano andati bene molti dei comportamenti di Sheila, sempre così superficiale, sempre così apatica nei confronti della vita che le scorreva davanti. Non si erano mai dette quelle cose in faccia, però, se non sottoforma di frecciatine quando avevano cominciato ad essere sempre meno carine l’una con l’altra. Una vita fa. Forse non era vero niente e davvero si era sognata tutto. «Mi sembra al contrario che tu lo stia facendo proprio in questo istante.» Cambiamento. Subire mutamenti, modificarsi, trasformarsi. Tante cose erano cambiate nel corso della giovane vita della Wright. Aveva cambiato tante volte il luogo di accampamento finché non si era trasferita definitivamente a Londra, aveva cambiato famiglia, aveva cambiato il modo di vedere sua madre. Negli ultimi mesi aveva cambiato anche il modo di vedere la donna al fianco di suo padre: se prima l’aveva considerata solo una ricca donna annoiata dai confort della vita, ora che aveva dato alla luce la piccola Margot -gioia degli occhi di Sheila- trovava la sua presenza più tollerabile. A non essere mutato in tutti quegli anni era il rapporto ormai sfumato con Artemis. «Tutto questo. Noi due qui a questo tavolo.» Cosa pensi che stia accadendo, Misty? «Probabilmente non significa niente ed è solo gentilezza reciproca.» Avanti e indietro. Era come trovarsi in un’altalena. Sheila afferrò la cannuccia e bevve un lungo sorso del suo cocktail. Inghiottì e sospirò rumorosamente. «Probabilmente.» enunciò pacata, dopo aver fatto scoccare la lingua sul palato. «Per di più ci siamo incontrate per caso e non c'era nessun programma dietro.» Annuì, prima di farsi avanti con il busto e prendere ancora un sorso. Qualcuno definiva il caso come un avvenimento che si verifica senza una causa definita e identificabile, contraddicendo così ogni teoria deterministica che assegna ad ogni accadimento una precisa causa. Per Sheila, il caso aveva un significato diverso. Per la Wright il caso era un evento accaduto per cause che certamente vi sono ma non sono conosciute, non-lineari, sconnesse, intricate, che non presentano una sequenza causalità-effettualità necessitata tale da permettere l'identificazione di esse e la predicibilità degli effetti. Quindi se si erano incontrate, in fin dei conti c’erano sicuramente dei motivi, anche se magari non gli apparivano ancora così chiari. A volte le cose, gli avvenimenti, sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai casuale, è li che ti aspetta a modo suo. Vuol dire che alle volte il caso aspetta proprio te e non per caso, ma per destino appare come caso. Cogli il positivo che il caso per destino ti offre. «Voglio dire, avresti potuto lasciarti scivolare addosso le cose, come sostieni di voler fare in quanto stanca, e andartene via. Avrei potuto farlo anch'io. Però siamo rimaste qui. Se questo non è provare a cambiare le cose... allora non so davvero cosa sia.» Ed è in quel preciso istante la Wright che si rese conto di quanto Artemis avesse ragione su tutta quella situazione. Forse quel loro bizzarro comportamento, infondo, era solo un modo per riprovarci. O se non proprio riprovarci, magari era il loro modo per dire “ehy, io esisto, ti ricordi?”. Lei ricordava. Dimenticarsi dell’amicizia che c’era stata con Artemis era pressappoco impossibile, nonostante sembrasse far parte di una sua vita precedente. D’altra parte, però, ricordava anche quanto quel loro allontanarsi le avesse fatto male e quante volte avesse dovuto ripetersi che non le importava fino per convincersi che fosse veramente così. Il suo orgoglio era stato ferito e lavorare per guarirlo era stato un percorso non troppo breve. Artemis era stata un tassello che aveva contribuito ad intrecciare la corazza di indifferenza che Sheila si era costruita intorno in tutti quegli anni. «A che punto siamo, Sheila?» A che punto siamo? Forse ci voleva troppo coraggio ad ammettere che erano cresciute, che non erano più due ragazzine, che potevano andare avanti. Forse era più facile restare così com’erano, scambiandosi sguardi di indifferenza, vomitandosi addosso frecciatine ben mirate, senza troppi impegni, senza doversi sforzarsi di cambiare le cose. Cambiare le cose.
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    Restare così com’erano. A che punto siamo? «Forse siamo proprio dove dovremmo essere.» Aveva senso? Forse si, forse no. In quel momento le sembrava la cosa più giusta da dire. «Oppure lo siamo troppo. Ubriache, intendo.» Sheila punta gli occhi su Artemis fissandola per una manciata di secondi. Infine scoppia a ridere. Fu una risata sincera che con molte probabilità Artemis non le vedeva fare da un sacco di anni. Si posò una mano sul collo, massaggiandoselo un paio di volte. Posò il bicchiere sul tavolino, mentre la risata si affievoliva sempre di più fino a sparirle infondo alla gola. Sul suo viso, però rimase l’ombra di un sorriso. «Si, hai ragione.. Forse lo siamo troppo.» quelle parole le uscirono con un risolino, tanto che alla fine fu costretta a schiarirsi la gola. Era strano ridere con lei dopo tutto quel tempo. Non ricordava l’ultima volta che lo aveva fatto, né quale fosse il motivo. Una volta avevano riso fino alle lacrime quando Anastasia Handler era scivolata a causa dei suoi tacchi vertiginosi ed era caduta con le chiappe sul pavimento durante il ballo di fine anno. Il tutto era stato reso ancora più comico dal fatto che era accaduto mentre Anastasia era intenta a sbraitare contro Camille Redford che, a detta della Handler, le aveva soffiato la corona da Reginetta. «Quindi, immagino che sia l’ora di andare..» Posò entrambe le mani sul tavolo facendo forza sulle braccia per alzare dalla sedia la sua esile figura. Una volta in piedi afferrò il bicchiere e scolò il resto del contenuto. Inspirò a fondo e l’aria le riuscì dalle labbra con un sospiro. «Ci vediamo in giro.» Ci vediamo in giro. Era un passo avanti, un enorme passo avanti. Aveva messo sul tavolo l’idea di rivedersi, seppur senza allargarsi troppo. Non era mai successo prima di allora. Riposò il bicchiere e lanciò un’ultima occhiata ad Artemis prima di sorriderle appena, girarsi e sparire tra la folla. Era l’ora di tornare a casa.

     
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