Torre di Divinazione

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    a Torre di Divinazione è raggiungibile tramite una botola a cui si accede grazie ad una sottile scala d'argento. Vi è un perenne odore di incenso e di fiori, che proviene da una pentola di rame, sospesa nel grande caminetto che emana eccessivo calore. Tutta la sala è illuminata da una soffusa luce scarlatta, proveniente dalle lampade drappeggiate con veli e stoffe rosse. Nella stanza si trovano vari tavolini circolari, circondati da piccoli e bassi sgabelli e da pouf di chintz dove gli studenti siedono a capannelli, per seguire la lezione. I muri circolari sono completamente coperti da grandi scaffalature, dove, oltre ad un grande assortimento di tazzine da tè fondamentali per leggervi i fondi, vi sono appoggiate vecchie penne malconce e parecchie sfere di cristallo per predire il futuro.

    Questa discussione rientra nel progetto quotidianità


     
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    11 marzo

    Dopo lo scontro di quella mattina il suo umore era sceso vertiginosamente sotto le scarpe. A pranzo era tornata in camera; fortunatamente non c'era nessuno. E così aveva cominciato a urlare nel cuscino cercando di scrollarsi di dosso tutta la rabbia accumulata. Savannah l'aveva seguita per diverso tempo, quasi come un angelo custode. E quando quelle urla si erano trasformate in lacrime, aveva guardato ai drammi incompresi di Mia con aria scettica. « Wow. Mi manca avere i tuoi polmoni cazzo. Ti prego smettila di fumare, altrimenti queste performance non potrai più farle. » Mia l'aveva osservata con uno sguardo assassino, asciugandosi le lacrime e rimettendosi in piedi. Non piangeva per qualcosa nello specifico. Forse era solo lo scombussolamento emotivo generale degli ultimi giorni il problema. Dal Golden Match in poi d'altronde, è stato tutto un ridicolo rollercoaster. [...] Alla fine aveva deciso di affrontare i problemi uno per uno, cominciando da quello più pressante: i sin eater imbecilli. E per questo aveva bisogno di un consiglio, e anche forse una persona adulta che potesse dirle rassicurarla sul fatto che non era da sola. Bussò quindi alla porta della Torre di Divinazione poco prima di cena; sapeva che il quarto anno aveva finito da poco la lezione, quindi probabilmente la Branwell sarebbe stata ancora lì. E aveva ragione. « Prof? Posso? » Attese qualche istante, togliendosi il cappuccio della felpa nera che aveva indossato per poi sedersi su uno dei tavolini di fronte alla cattedra. « Non voglio rubarle troppo tempo. » Pausa. « Da domani inizio a capire chi ci sta per quella cosa di cui si è parlato all'assemblea. Tenterò di essere molto discreta. » Un parolone considerato che si trattava di Mia e che già era riuscita a litigare con Alyssa in merito. « In merito vi tengo aggiornati. » Abbassa lo sguardo e annuisce tra se e se. Sarò discreta sì. Discrettissima. « Volevo però parlarle di un'altra cosa. Alyssa. » E dicendo ciò lo sguardo colpevole si solleva sul volto della bionda. « Stamattina ho provato a parlarci della.. gita di ieri.. e non è andata bene. Non vuole saperne niente. Abbiamo litigato.. di brutto. » Perché nonostante fossero state dette poche cose, Mia aveva accusato abbastanza la cattiveria con cui certe parole le erano state dirette. Forse anche certe notizie nello specifico. « Adesso non so come fare. Io ci tengo a lei.. però.. - va beh è stata una stronza! » Sbotta di colpo con una nota di risentimento. « E poi se ne frega un po' di tutto e di tutti. E io voglio aiutarla, però mi tratta come se fossi una cretina. Cioè boh.. non lo so.. » Si stringe nelle spalle. « Senza contare che si è presa con quel coglione di Asa King che ha visto come si è comportato! Non so proprio che pesci pigliare. Ogni tanto avrei voglia di prenderla per le spalle e confessarle un po' di tutto per lasciarla stesa sopra il gabinetto per ore. » Giusto così per sport. « Crede ci sia una strategia migliore? »


     
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    « E questo per davvero poteva sembrare un coltello secondo Thompson? » Borbotta tra sé e sé la bionda mentre si rigira tra le dita la tazza bianca sul cui fondo si è depositato tutt'altro che un coltello fatto dei residui di caffè. « Cioè, secondo quale Dio potrebbe mai esserlo? E' evidentemente un manico di scopa, no? » Continua allungando la tazza verso la cattedra, lì dove Miu Miu se ne sta appollaiata. Risponde con uno sbuffo assonnato, tirando appena su la testa dalla palla di pelo nella quale si è raggomitolata e non sembra dar maggior appoggio alla disperazione in cui la Branwell sente di star nuotando all'idea di avere una classe di tali ciechi. « Oh certo che tu proprio..sai davvero come essere empatica, sì. » Le lancia un'occhiata mentre continua a risistemare i materiali usati per la lezione, lo stomaco che nel frattempo prende a brontolare, indicandole che è quasi ora di cena. « Dovrei dar ascolto a Carrie quando dice di prenderci un cane. Te lo meriteresti. » A quel dire, la gatta grigia si alza sulle zampe, soffiando fuori tutta la sua disapprovazione e la bionda la fissa, con un sopracciglio arcuato a mo' di sfida. Una sfida di sguardi che è certo sarebbe andata avanti se Mia Wallace non fosse entrata nell'aula. « Oh certo mia cara, vieni pure. » Le indirizza un sorriso mentre poggia il sedere contro la scrivania, dando una leggera botta alla micia, affinché si sposti di qualche centimetro per farle spazio. Un miagolio basso fa da sottofondo alle parole della mora, alle quali la professoressa annuisce. « Ecco sì, discrezione, considerando che dobbiamo ancora capire la parte logistica della cosa, a partire dall'ubicazione. » Le fa eco, abbassando di nove ottave la voce, con le mani che si infilano nelle tasche della gonna color cachi che le arriva fino ai piedi. « Perché se si rimane nei paraggi è un conto -» tipo non lo so, la Stanza delle Necessità? «- se invece si usa l'altro luogo è tutto un altro paio di maniche e io e la professoressa Lindstörm dobbiamo lavorarci sopra. » L'altro luogo inteso come il Centro. Perché improvvisamente Pervinca si sente in uno di quei film in bianco e nero, dove lei è la spia e deve parlare in mezzo codice per paura che ovunque ci sia qualcuno pronto ad ascoltarla. Come se fosse possibile poi, questa stanza è protetta da tremila incanti. Ma per quanto abbia immaginato che fosse lì solo per parlarle della questione allenamenti, ben presto si rende conto che la questione è ben diversa ed improvvisamente torna a pizzicarle la nuca dal fastidio provato proprio il giorno prima per colpa di Alyssa. E il fastidio è evidente dal modo in cui continua a cambiare posizione: prima accavalla i piedi, poi le gambe, no però la gamba destra sopra è meglio, no forse era meglio la sinistra, ma così mi fa male il culo, allora mi rimetto con i piedi a terra, però le braccia al petto, sì. « Crede ci sia una strategia migliore? » Si accorge solo in quel momento di aver corrugato le labbra in una smorfia davvero poco convinta, così si rilassa, fissando la ragazza. « Sinceramente Mia? Ieri l'ho messa di fronte al fatto che o decide di collaborare, perché è inevitabile, o fin quando potrò la proteggerò e poi beh, se non vorrà nemmeno allenarsi, creperà male. » Lineare e chirurgica all'esterno quanto all'interno sente una morsa stringerle lo stomaco nel pensare, anche solo vagamente, quell'eventualità ultima. « Ovviamente zero reazioni, zero risposte, non s'è nemmeno presentata a lezione, la gnorri. » Continua, scoccando la lingua contro il palato. « Se la prendiamo di petto e la mettiamo di fronte ai fatti, non caveremmo un ragno dal buco. La terapia d'urto non sembra servire a niente con lei. Se l'assecondiamo, facendole le carezzine, non ricaveremmo altro al di fuori di lei che fa il cazzo che le pare, come sempre. » Ma proprio una sin eater stronza come me mi meritavo? « Riattivarla potrebbe essere gratificante per la frustrazione ma poi? Se si è messa in testa che non vuole collaborare, non collaborerà. » Si stringe nelle spalle, effettivamente rattristata. « E' palesemente in negazione. è come se avesse spento completamente il cervello. » Fissa Mia, prima di allungare una mano per carezzare il pelo della gatta al suo fianco. « C'è bisogno di qualcosa o di qualcuno che lo riaccenda. Di certo non King che due negazionisti alleati non fanno nemmeno mezzo cervello insieme. » Dice mentre nella sua testa si stanno palesando vari scenari. Fare un intervention stile Arancia Meccanica, usare qualche suo caro per farla ragionare. Oppure no, fermi tutti, dirle che qualche suo caro è stato preso dalla Loggia. Le fregherà qualcosa almeno di questo, no? Poi l'idea. « La mandiamo in terapia. » Uh, sì, facile facile. « Facciamo venire tipo Adam, la chiamo a ricevimento, poi la chiudiamo qua dentro con lui e buttiamo via la chiave fin quando non si riprende. » Fa una pausa, prima di parlare di nuovo. « Oppure ci provo semplicemente io. Un'ultima volta. La metto davanti alle sue paure con un Molliccio. » Gli occhi, che finora hanno vagato per la stanza, tornano a quelli cerulei di Mia. « Che ne dici? »

     
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    Ascolta il discorso della Branwell, annuendo di tanto in tanto con convinzione. A quanto pare siamo sulla stessa barca. Alyssa non vuole sentir ragione. E se non sente nemmeno la sua lycan. « E' palesemente in negazione. è come se avesse spento completamente il cervello. C'è bisogno di qualcosa o di qualcuno che lo riaccenda. Di certo non King che due negazionisti alleati non fanno nemmeno mezzo cervello insieme. » Alza gli occhi al cielo scuotendo la testa. « Ah! E' come portare avanti una discussione con due terrapiattisti. » La rabbia repressa che traspare da quelle parole è chiaro non abbia a che fare solo con l'atteggiamento negazionista di Alyssa. E' stata ingiustamente cattiva con Mia, e la Wallace non l'ha affatto gradito. A essere gentili con la gente ecco cosa si riceve. Dovevo scaraventarla dalla finestra dritta nel lago. « La mandiamo in terapia. Facciamo venire tipo Adam, la chiamo a ricevimento, poi la chiudiamo qua dentro con lui e buttiamo via la chiave fin quando non si riprende. Oppure ci provo semplicemente io. Un'ultima volta. La metto davanti alle sue paure con un Molliccio. Che ne dici? » Adam. Per un istante il suo sguardo divenne sognante. E infatti io mi chiedo perché non mi ritrovo più spesso nella testa Raiden.. ADAM! Volevo dire Adam porca puttana basta! Mia - concentrati. Ok. Sospira e scuote la testa, seguendo il ragionamento di Pervinca Branwell con attenzione. Di scatto tira fuori dalla tasca della felpa un pacchetto di dolciumi gommosi iniziando a mangiucchiare in silenzio, allungando la busta in direzione della professoressa. « Scusi.. è che ragiono meglio con gli zuccheri. » Resta un po' a pensarci su, dopo dice azzarda una soluzione diversa. « Attivarla non servirebbe, è vero, specie perché odierebbe solo chiunque si metta a confessarle un po' di tutto. Sempre che non sia già attiva, tra l'altro, senza esserne consapevole. A questo punto mi sono fatta l'idea che in realtà sono già tutti attivi.. circa. » E chi ci ha mai capito qualcosa di tutta questa roba. « Mandarla in terapia sarebbe un ottima cosa - anche al di là di questa cosa. E dico così.. semmai dovesse servire che qualcuno la accompagni - sa così.. per sicurezza.. io mi offro volontaria. » Per sicurezza, certo Mia. « Però.. sto pensando a un'altra cosa. Il legame tra lycan e sin eater dovrebbe essere molto forte no? E' una di quelle cose che non puoi combattere - se ho capito bene.. » Beh.. questa è una roba! « E se diciamo.. - ipoteticamente parlando - lei prof si trovasse davvero in pericolo o in una situazione scomoda? Una cosa ovviamente controllata.. andrebbe studiata.. però se stuzzicassimo una cosa che Alyssa non può proprio ignorare? » Si stringe nelle spalle. « L'istinto del sin eater - o quello che è, insomma.. » Stira un sorriso eloquente e inclina la testa di lato sentendosi per un istante gloriosamente geniale. « Poi se non funziona la mandiamo in terapia.. però secondo me questa non è una cosa che si risolve per vie tradizionali.. forse bisogna solo farle riscoprire la sua natura. » Si stringe nelle spalle. « Qualche altro sin eater tra i più esperti di questa roba forse potrebbe darci delle informazioni più specifiche in merito. Non so. » Traumatizziamola e poi mandiamola in terapia, la stronza. Se lo merita!


     
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    « Signor Crouch? » Una voce lontana giunge ovattata « Signor Crouch! » ripete di nuovo. Qualcosa gli tocca la spalla: sobbalza. « Tarrant.. » Ci impiega qualche istante, per mettere a fuoco quel quadro sbiadito che è il viso dell'anziana signora Peterson. « Qui ce la faccio. Va' a riposare un po', d'accordo? » Parole che svolazzano nell'atmosfera cupa di un'infermeria mai così piena. Ha bisogno di qualche minuto, per decifrarle. Sono ore, o forse giorni -è certo di aver perso la cognizione del tempo, ormai- che non si dà tregua, Tarrant. Da quando il castello è stato attaccato, infatti, non ha mollato l'infermeria per un solo istante. « No.. » Borbotta, sovrappensiero, lo sguardo fisso in un punto non ben definito, come un'automa « Non posso. Ci sono ancora un sacco di bende da cambiare. E la signorina Potter..- Sì la signorina Potter ha bisogno di quell'intruglio che ho lasciato a riposare. Per non parlare di Ja- » Jackson, lo sguardo si adagia sulla brandina vuota alle spalle dell'infermiera: è sporca di sangue. Già, Jackson non ce l'ha fatta.. « Non è colpa tua. Hai fatto il possibile, Terry.. » Le dita della donna si stringono attorno alla sua spalla, ma Tarrant si allontana, come d'istinto: il contatto fisico, l'ha sempre messo a disagio. « Ho fatto il possibile.. - » Ma Jackson è morto comunque. Cala lo sguardo: i suoi vestiti sono ancora sporchi del suo sangue. « Va' a riposare, adesso. Ci vediamo domattina, okay? » « Ci vediamo domattina.. » Ripete, in automatico, prima di avviarsi, senza sapere nemmeno dove stia andando. Le sue gambe, infatti, sembrano muoversi da sole, mentre il suo sguardo continua a vagare nel nulla. Non si sente bene, Terry. La sua bacchetta, da quando ogni cosa ha avuto inizio, sembra starlo consumando dall'interno. Gli resiste, ad ogni incantesimo di magia bianca. E lo ha fatto per tutto il tempo, in quelle giornate. Persino con Jackson. Jackson.. si sofferma, aprendo le mani strette a pugno. Riesce ad intravedere ancora il suo sangue incrostato sotto le unghie. E allora alza il capo di scatto, come colpito da chissà quale fulmine. Avanza, d'improvviso, marciando a grandi falcate. E' solo quando è giunto a destinazione, con un balzo giù dalla scaletta argentata, che alza finalmente il capo. Sa che la troverà lì. Si addentra nella saletta come una furia, ed è un'unica domanda, ciò che trapela dalle sue labbra, a denti stretti. « Tu lo sapevi? » Nello sguardo cerchiato dalle occhiaie, uno spettro sinistro che assai poco gli appartiene.


    Edited by the secret window - 8/6/2022, 00:21
     
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    Non è decisamente un bel periodo per lei. Le è difficile persino riconoscersi nel riflesso che ha di sé nello specchio, effettivamente segnato dalla paura che ha provato per i figli durante l'attacco e la preoccupazione dei giorni seguenti. Non dorme se non aiutandosi con qualche pozione, ha il volto scavato dalla stanchezza che si trascina dietro dai primi giorni passati in infermeria per stare al fianco di Carrie, costantemente ansiata per la sanità mentale degli altri due. Si rende conto che quell'occupazione non è per lei solo geografica, no, è anche e soprattutto mentale. Si sente schiacciata dalle cose non dette, dalle cose non fatte. Si sente perennemente spossata mentre si trascina in giro per il castello nel tentativo di stemperare gli animi degli studenti, cacciando un paio di urli quando la situazione diventa insostenibile. Così come lo è diventato l'evitare questa e l'altra interazione. Chi l'ha vista in giro in quei giorni può di certo raccontare di quanto sia stata schiva, evitante. Perché non ha nulla da dire. Forse invece perché sa che se cominciasse, gli argini non reggerebbero e la diga spazzerebbe ogni cosa. Così passa il tempo tra il fingere di avere ancora un briciolo della sua vena pimpante, riversandola nell'organizzare attività per riempire il tempo degli studenti, e rintanarsi nella sua torre, adducendo quella o l'altra scusa. Ed è proprio lì che si trova. Sta tentando di concentrarsi sul lavoro di gruppo che ha intenzione di proporre l'indomani, per chiunque vorrà fare qualcosa, ma è difficile. Difficile com'è ignorare la voglia che ha di bere proprio quella bottiglia di rum che la guarda dalla vetrinetta di fronte a sé. Vorrebbe solo annegarci dentro e toccarne il fondo. « Tu lo sapevi? » Alza lo sguardo dal foglio e lo fissa, annoiato, in quello di Terry. Gli occhi hanno un sussulto, sgranandosi appena, quando scorge una sfumatura sinistra nel suo. Deglutisce, ricomponendosi in una facciata di pura freddezza. « Si usa bussare nel mondo civilizzato. » Commenta laconica. Anche perché, a sapere che eri tu, non ti avrei fatto entrare. I rapporti con Terry, ultimamente, semplicemente non esistono. Non più dopo quella cavalcata in estate. Si è sentita in colpa per tanto tempo, credendo di avergli scaricato addosso fin troppa merda da reggere. E' il mio dolore, non il tuo. Ma poi al senso di colpa si è sostituita la rabbia. Quella di un animale ferito, che viene abbandonato alla sua sorte moribonda. Lo fissa con espressione algida, con il mento e il naso verso l'alto. « Cerchi rogne, Tarrant? » Chiede, poggiando la penna sul foglio. « Non stuzzicare il lupo che dorme. » Una minaccia per nulla velata alla discussione furibonda che potrebbe innescare una sua ulteriore parola messa fuori posto. Perché è lì lì per scoppiare da giorni e la basta davvero poco, specie se è lui a chiederle il conto. « Non ho niente da dirti. » Se non ci fosse il tatuaggio a frenarmi comunque sarebbe così. Non gli deve alcuna spiegazione così come non ha alcuna voglia di parlargli. « Sai già dov'è la porta. Puoi benissimo tornare ad ignorarmi come hai dimostrato di saper fare tanto bene. Buona serata. » Un cenno del capo verso l'uscita prima di tornare ai suoi affari.

     
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    « Cerchi rogne, Tarrant? Non stuzzicare il lupo che dorme. » Di norma, ad una risposta del genere, il nostro Terry avrebbe girato i tacchi trotterellando via mestamente. Da che ne abbia memoria, infatti, Tarrant non si è mai considerato un tipo particolarmente combattivo. Figuriamoci poi se contro..Pervinca Branwell: praticamente un suicidio assistito. Ma c'è qualcosa di diverso in lui, oggi come da qualche tempo a questa parte. Qualcosa che lo induce a restare, nonostante tutto. Nonostante lo sguardo dell'amica, mai così gelido nei suoi confronti, lo stia squadrando dalla testa ai piedi. Stringe i pugni e serra la mascella, ed è quando lei lo manda via apertamente, che agisce. « Sai già dov'è la porta. Puoi benissimo tornare ad ignorarmi come hai dimostrato di saper fare tanto bene. Buona serata. » Uno scatto fulmineo il suo, del quale neanche sembra rendersene conto. Si sente un Tarrant altro mentre balza in avanti, repentino, battendo le mani con violenza sopra il legno della scrivania, aldilà della quale, Pervinca Branwell aveva deciso di ignorarlo. « Sto parlando con te! » Si sente urlare, quasi senza riconoscersi. Perchè no, Tarrant Crouch non alza mai la voce. Tarrant Crouch non ribatte mai. Tarrant Crouch...Shhh! Il suo riflesso lo osserva dalla superficie lucida di un fermacarte. Ha un dito di fronte al naso e la bocca, come ad intimarlo di fare silenzio. Batte le palpebre due o tre volte, prima di ritrarsi immediatamente. « S-sto pa-parlando con te.. » Borbotta, esitante, scegliendo consapevolmente di gettare ovunque il suo sguardo, ma non sul proprio riflesso. E' così, che incontra gli occhi della bionda. E non sa esattamente di chi avere più paura, adesso. « Non puoi dire così.. » Quasi un lamento il suo, mentre una voce non troppo lontana continua a chiamare il suo nome. Scuote la testa. Parlo io adesso. Hai già combinato abbastanza guai. « Non puoi dire così quando sono morti dei ragazzi.. - Esita - i nostri ragazzi » La fronte aggrottata, lo sguardo preoccupato, in quella tregua con sè stesso che sa durerà ben poco. « Perchè non mi hai detto nulla? »


    Edited by the secret window - 8/6/2022, 00:23
     
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    « Sto parlando con te! » Ha avvertito il suo avvicinamento ancor prima di venir investita dalla sua voce, eppure la violenza e la furia di cui sono impregnati i suoi gesti la fanno sobbalzare sulla sedia tanto da sgranare gli occhi, per qualche istanti spaesati e spaventati. Lo fissa così, con le dita ormai vuote perché la penna le è scivolata dalla mano e con una strana sensazione di disagio mai provata prima in sua presenza. Vorrebbe reagire, la belva dentro di sé vorrebbe scaraventargli in faccia la sua stessa scrivania. Vorrebbe urlargli contro. "Come ti permetti? Come osi?" In fondo quello è il suo spazio vitale, quello è il suo rifugio e lei l'ha già invitato ad andarsene con le buone. Pensa, pensa tanto Pervinca ma non fa nulla. Si fronteggiano per degli istanti di silenzio tombale, attimi in cui il suo sguardo muta, si indurisce, torna freddo e calcolato. Perché se la rabbia che gli anima gli occhi non è da Terry, quel gelo, che le fa provare quasi freddo, non è altrettanto da lei. Evidentemente è vero che i tempi cambiano. « Troppo conveniente parlarmi ora. » Quando tu hai bisogno di risposte, quando tu vuoi qualcosa da me. E quando io avevo bisogno di te, chi parlava con me? Di certo non lui. Lui che ora la trafigge con i suoi ritrovati balbettii, con la sua insicurezza, con quelle parole che la colpiscono, con una ricercata lentezza che le fa mancare il respiro tanto da costringerla a distogliere lo sguardo. Perché quando lui parla dei morti, lei se li sente addosso, uno per uno. Come se fosse stata lei ad ammazzarli, con quelle stesse mani che tremano sotto i suoi occhi. Si conficca le unghie nei palmi e si aggrappa al dolore che si provoca per non pensare al senso di colpa. « Ho fatto quello che ho potuto. » Si ritrova a dire capendo che altro non è che un improvvisato balsamo per la propria anima. « I più piccoli erano al sicuro. » Continua deglutendo a fatica il magone. « Le situazioni al campus e la tenuta sono -» aggrotta le sopracciglia per lo sforzo di rimanere chirurgica, distante come un soldato dovrebbe fare. Ma io non sono un cazzo di soldato, io non ero d'accordo, non lo supererò mai. «- sfuggite al controllo. Non doveva andare così, nessuno l'ha voluto. » Riesce a concludere quella cortina di ferro che ha deciso di mantenere. Seppur non convinta di quel piano, non ha intenzione di mostrare la forza di Inverness adorna della sua indecisione. I panni sporchi, dopotutto lei lo sa bene, si puliscono in famiglia. « Non avresti potuto fare nulla, la storia era già stata scritta. » Risponde poi alla sua domanda. Non avresti potuto fare la differenza sul campo, non avresti potuto far cambiare idea né al Ministero né ad Inverness. E' così che doveva andare anche secondo le mie visioni. « Ma tu sapevi..lo so che lo sentivi che sarebbe successo qualcosa. » E' allora che una nuova consapevolezza la coglie e la porta a trafiggerlo con gli occhi d'artemisia. « Quando ti ho parlato.. -» stringe il pugno intorno al legno della scrivania « - dei miei fratelli, una parte di te sapeva che sarebbe successo. Inverness non piega la testa. Soprattutto non quando l'Inferno è di nuovo tra noi e nessuno si è preso la briga di insegnare qualcosa..ai nostri ragazzi. » E' quella la motivazione che non le ha ancora fatto perdere il lume della ragione. Mettere il tutto in prospettiva. Perderne eventualmente alcuni per salvarne la maggior parte. Il dilemma del treno. « La Loggia non ha misericordia. Né per loro né per noi né per nessuno. Ciò che è stato sarà di nuovo. » Lo sguardo per qualche istante diventa vacuo mentre sembra ricalcare dei versi profetici. « Tanto vale farsi trovare pronti questa volta. »

     
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    Le parole della bionda aleggiano sbiadite in quell'atmosfera pregna di confusione. Le percepisce, Tarrant, ma non le ascolta davvero. Nella sua testa, infatti, il pensiero che dei ragazzi, i suoi ragazzi, siano morti, non gli permette di immagazzinare altre informazioni. Giustificazioni o spiegazioni che siano. La morte non ha mai una giustificazione. Questo è ciò che ha sempre creduto. O quanto meno...sempre da che ne abbia memoria. Sa infatti che qualcuno, in un angolo recondito del suo cervello, non la pensa come lui. Sa che a quel qualcuno, dell'ingiusta fine di quei ragazzi, non gliene frega niente. Non se ne gratifica, perchè la considera di certo uno spreco, ma non se ne cura comunque. « Non avresti potuto fare nulla, la storia era già stata scritta » E nelle parole di lei, gli sembra quasi di sentire lui. Così fatalista, così dannatamente freddo e calcolatore. « Per una volta la biondina dice qualcosa di sensato, mh. Quasi mi piace » Indietreggia, Tarrant, serrando così tanto i pugni da sentire le unghie penetrargli la carne. Ma Pervinca continua a parlare. Imperterrita infatti, l'amica continua a sbattergli in faccia la realtà. Una realtà che aveva già fatto capolino, qualche tempo fa, quando si era aperta con lui, raccontandogli quanto era accaduto ai suoi fratelli, dall'altro lato del mondo. Una realtà che l'aveva scosso dall'interno, distruggendo quel mondo fatto di rose e fiori che abilmente si era creato negli ultimi anni per sfuggire a..beh, tutto. Da quel momento, quel preciso istante, Terry non era stato più lo stesso. Qualcosa si era spezzata dentro di lui, e mostruosi demoni erano riusciti a fuoriuscire da quelle pericolose crepe. Scuote la testa, mentre lei parla ancora. Non puoi parlare così..no no no. Pensa, indietreggiando così tanto da trovarsi con le spalle al muro. E' allora che sbotta. « Jackson è morto! » Urla. Te lo ricordi, Jackson? Aveva soltanto quindici anni. Era appena riuscito ad entrare nella squadra di Quidditch e sognava di giocare tra i Falcons un giorno. « Ero dentro la sua testa, quando è morto. Lui non..- Loro non meritavano questo. E tu lo sai. Voi lo sapevate. » Uno sbuffo annoiato da qualche angolo della stanza. Scuote la testa con violenza. « Sapevate cosa significa morire. E lo avete fatto lo stesso. Io mi fidavo di Inverness. Di te. Ma voi..voi.. - » « Siete mostri? Perchè, noi cosa siamo, Tarrant? » « STA' ZITTO HO DETTO! » Un ruggito tonante il suo, mentre quel fermacarte sferico riposto sulla scrivania esplode di colpo in mille pezzi.


    Edited by the secret window - 8/6/2022, 00:31
     
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    Delle recriminazioni di Tarrant, al momento, non se ne fa nulla. Le bastano già i suoi sensi di colpa, che probabilmente non l'abbandoneranno mai. Le bastano quelle morse allo stomaco, quelle fitte ai polmoni ogni volta che pensa ad un ragazzo morto nello scontro. Non doveva morire nessuno, non gli innocenti. L'avevo detto, nessuno mi ha ascoltato. Eravamo due contro il mondo intero. Come dormono gli altri la notte? Come ci riescono? Le bastano i suoi di pensieri e per fortuna le parole di lui non fanno altro che scivolarle addosso, arrabbiata com'è con quell'indifferenza dimostrata nel corso dei mesi, ora più che mai acuita da quel suo voler parlare. Già, ora, peccato che è un tantinello tardi, ora. « Non c'è stato alcun sacrificio sull'altare di Inverness, Tarrant. Nessuno di noi ha ucciso i ragazzi. » Ripete quelle parole con condiscendenza, come se stesse parlando con qualcuno duro di comprendonio. Fa di tutto per non pensare al volto di Jackson quando è stata proprio lei ad informarlo che avrebbe giocato nella squadra di Quidditch come titolare. Fa di tutto per non pensare a suo padre, che le aveva scritto appena qualche mese prima, chiedendole di tenerlo sott'occhio vista la difficile situazione famigliare alle spalle. Stringe i denti e respira a fondo, tentando di non focalizzarsi sul tremolio che ha preso a scuoterle leggermente le membra. « Ma se vuoi continuare a cercare febbrilmente un cattivo, fai pure. In fondo hai ragione, i ragazzi si meritano di morire smaciullati da un demone della Loggia Nera, così come hanno fatto tanti in passato. » Riporta la discussione sul vero punto focale, sull'obiettivo reale della presa. Quello che lui sembra così così preso nell'ignorare di sana pianta. Conveniente, ancora una volta. « STA' ZITTO HO DETTO! » Riesce a parare le braccia davanti la faccia per non ferirsi con i vetri che la inondano grazie ai riflessi. Da lì in poi accade tutto in pochi secondi. Scatta in piedi, con la sedia che vola all'indietro e la scrivania che trema sotto il suo peso. Non si accorge nemmeno del balzo che fa in avanti per travolgere l'uomo e appiccicarlo al muro, con il gomito contro la sua gola. « Io vivrò anche con questo rimorso. Ma almeno io so che è stato un incidente, involontario, mentre cercavamo di salvare quante più vite possibili dalle menzogne che ci circondano, mentre cercavamo di dare una chance di sopravvivenza a tutti. » Gli urla contro, mentre usa la forza della lupa per sbatterlo ancora una volta contro il muro dell'ufficio. « La tua scusa qual è? » Ruggisce come una belva. « Quando toglievi le vite senza scrupoli, senza un vero motivo se non quella cieca devozione ad un essere ignobile? » Lo fissa mentre i loro nasi si sfiorano. E' probabilmente la prima volta che affronta quel discorso con lui ed ora è lì, riverso su un piatto d'argento, pronto ad essergli servito con una rabbia tale da rendere i suoi lineamenti quasi irriconoscibili. « Vuoi davvero darmi del mostro? Fallo pure ma prima abbi la decenza di guardarti allo specchio e magari i tuoi discorsetti del cazzo ti appariranno per quello che sono: incoerenti e senza senso se escono dalla tua bocca. » E' allora che sbatte le ciglia e con un enorme sforzo di volontà fa un passo indietro per dargli le spalle mentre respira a fondo. « Il tuo dolore non vale più del mio. Oggi come mesi fa. » Se mi fossi stato vicino, avresti condiviso con me questo peso magari. Sibila fuori con gli occhi che irrimediabilmente si lucidano per il dolore e la rabbia. E lo guarda così, con il mento alto e una smorfia che le fa arricciare il naso. « Vattene! »
     
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    Si ritrova scaraventato al muro, Terry, il braccio dell'amica pressato contro la gola. La fissa con sguardo sbarrato, il cuore che inizia a battere veloce per la paura, mentre gli manca il respiro. Sotto la presa di lei, si trova completamente nel panico. D'altra parte, Terry non è mai stato un cuor di leone, e questo si sa. Da che ne abbia memoria, ha sempre optato per la soluzione più pacifica possibile, in qualsiasi situazione. La violenza -inutile specificarlo- non gli è mai piaciuta. Nè tanto meno -e questo, di nuovo, è altrettanto inutile specificarlo- è mai stato capace di reagirvi. Quindi socchiude gli occhi e li stringe forte, Terry, mentre inizia a tremare, come se si aspettasse -completamente passivo per com'è- di venire colpito da un momento all'altro. E gli urla contro, la lupa, mentre lo sbatte un'altra volta contro il muro; le pietre delle pareti che cozzano dolorosamente attraverso la sua schiena. « Non farmi male non farmi male non farmi male.. » Farfuglia in un filo di voce. « La tua scusa qual è? » Poi però, quelle parole arrivano, esplodendo tra loro come un fulmine a ciel sereno. « Quando toglievi le vite senza scrupoli, senza un vero motivo se non quella cieca devozione ad un essere ignobile? » Riapre gli occhi dunque, l'uomo. Nello sguardo iracondo di lei, si rivede riflesso. E quel Tarrant, gli sorride. « No..io non.. - » Borbotta « I-io non ho fatto niente a n-nessuno.. » Scuote la testa e annuncia, come in un mantra « Io sono una brava persona ». Una frase -quella- che in terapia, la dottoressa Grant lo incitava a ripetere ogni qualvolta qualcosa dentro di lui iniziasse a vacillare. O qualcuno. « Sono una brava persona, sono una brava persona, sono una brava persona.. » Continua a ripetere, lo sguardo che si fa vacuo d'improvviso, prima di chiudere gli occhi nuovamente. Sono una brava persona, sono una brava persona, sono una... - Riapre gli occhi. Sorride. « Di darti del mostro, non me ne frega un cazzo » La sua voce si fa più profonda, mentre nello sguardo aleggia una scintilla che ha del..Diabolico. « In fondo posso anche capirlo, sai? Dev'essere frustrante, per te, per voi, svegliarvi la mattina e raccontarvi stronzate su stronzate per autoconvincervi del contrario.. »
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    Si stringe nelle spalle, in un sospiro, lo sguardo che cala sul pavimento. Le schegge di vetro sono ancora lì. E cazzo, se avrebbe voglia di conficcargliene una in mezzo alla gola. Puoi buttarmi merda addosso quanto vuoi. Ma a Terry, grandissima puttana, tu non puoi permetterti di trattarlo così. Poi però, una voce che non gli appartiene aleggia d'improvviso tra i suoi pensieri. Socchiude gli occhi. Se mi fossi stato vicino, avresti condiviso con me questo peso magari. « Oh fanculo » E infine li riapre. « Vattene! » « I-io.. - » La voce è di nuovo tremante. « Non so cosa.. - Non.. - » Si avvicina titubante. Percepisce il suo dolore, forte e chiaro. Gli pulsa dentro. E allora la sfiora appena, con le punte delle dita. Vorrebbe fare qualcosa. Cazzo, vorrebbe fare qualsiasi cosa per lei. Ma alla fine si ritrae, quando sotto la scarpa, il rumore dei vetri rotti sembra colpirlo come una scossa elettrica. « Io vorrei aiutarti, ma non posso.. - Non posso.. » Respira a fondo, cercando di celare la voce rotta dal pianto « Scusa » E a quel punto si affretta ad uscire fuori dall'ufficio. Un ultimo briciolo di dignità rimasto a dargli la forza di fuggire via prima di scoppiare a piangere.
     
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