O la va o la spacca. Era lo spirito con cui Daphne si era alzata quella domenica mattina, dopo una nottata passata a rigirarsi sotto le coperte, maledicendo la sua stupida immaginazione che continuava a far comparire sul soffitto della stanza scenari diversi su cosa sarebbe potuto accadere l’indomani. E visto che l’immaginazione era una bella stronza, erano assai rari quegli scenari che avevano infondo un lieto fine. E per “lieto fine”, Daffy intendeva tipo ricevere una chiamata che dicesse
“Eeeeehy, no tranquilla, non c’è nulla di cui parlare, ci vediamo domani e ci facciamo una birretta, mhm?”. Sì, perché affrontare le proprie responsabilità era qualcosa di maledettamente difficile per la giovane Baker. Non le era mai dispiaciuto vivere in quello che lei considerava “il limbo della vita”, quella zona grigiastra in cui nulla è definitivo, in cui nulla è così grande da dover diventare
indissolubile. Era consapevole che tutto ciò fosse incredibilmente egoista. Si, egoista, magari lei lo era. Perché vivere alla giornata e pensare anche agli altri difficilmente sono due opzioni che coesistono. Ovviamente c’erano dei punti fissi nella sua vita, cose ma soprattutto persone che fungevano da caposaldo ai quali Daphne potesse aggrapparsi per non volare troppo in alto. Erano loro a permetterle di sbirciare fugacemente aldilà di quella sua zona di comfort, una finestra nel mondo reale che tanto temeva e con il quale prima o poi avrebbe dovuto fare i conti. Perché è facile nascondersi dietro una maschera, un’espressione sorridente che fa credere a te e agli altri che va tutto bene. Ignorare è molto più semplice di dover affrontare. Così, incapace di restare ancora sotto le lenzuola, si era alzata ed aveva aperto la finestra. Erano circa le cinque e mezza del mattino e all’orizzonte un raggio di sole faceva timidamente capolino da dietro le colline. Il suo sguardo si posò sulla montagna di abiti ammassati sulla scrivania, pensando che quel “prima o poi devo metterli a posto” non sarebbe mai arrivato. Scelse un paio di pantaloni ed una felpa col cappuccio che si tirò sopra la testa dopo essersi legata i capelli. Infilò le scarpette da ginnastica, e le cuffiette alle orecchie impostando la riproduzione casuale. Cercando di fare il meno rumore possibile scese al piano di sotto ed uscì dalla porta principale, infilando la chiave dell’ingresso sotto lo zerbino. Cominciò a correre, l’aria mattutina che le pizzicava la punta del naso tingendola di un leggero rosso scarlatto.
Punti fissi. Era come se quelle due parole le si fossero stampate in mente.
Punti fissi. I suoi genitori, Oliver, la sua famiglia.
Punti fissi.. June, Sam... Poi c’era lui. Collocare Dean da qualche parte, dare un nome a ciò che c’era tra loro, era più difficile di quanto volesse ammettere. Dean era la sua cotta adolescenziale, quel tipo che sperava di incontrare alle feste ma con il quale puntualmente non ci provava mai perchè era più facile gettarsi tra le braccia di qualche altro facilotto piuttosto che affrontare l’idea di prendersi una porta in faccia. Poi, nel corso degli anni c’erano state delle evoluzioni di termine. Dean era diventato “l’amico bonazzo di Sam” e -non senza una sana dose di imbarazzo che però lei aveva sempre provato a nascondere- “il tipo che l’aveva vista fare il bagno nuda”. Era dovuto passare un bel po’ di tempo prima che si trasformasse nel “cavaliere al Midsummer” con il quale c’era scappato un bacio dietro una cascata. Tempo durante il quale Daffy era tornata alle vecchie abitudini:
meglio un uovo oggi che una gallina domani. Era tutto più semplice finché non entravano in ballo i sentimenti. Si perché è sempre colpa loro, entrano nella tua testa e rovinano tutto. C’erano stati dei momenti in cui aveva riflettuto su dove l’avesse portati quell’onda che entrambi avevano cavalcato forse con un po’ d’ingenuità. Dal suo canto, Daphne non aveva mai voluto fargli pressioni anche perché non aveva mai avuto un chiaro quadro della situazione. In un primo momento aveva persino pensato che Dean non fosse così interessato a lei. Si era detta che l’unico motivo per cui lui poteva averla invitata al Midsummer era perché si trattava di una
preda facile. Che ci fosse dell’interesse da parte sua, lei non era mai riuscita a celarlo del tutto. C’era sempre stata presente quella vena di stupido imbarazzo che pareva trasformarla e spingerla a comportarsi in modo completamente stupido. E, stranamente, quello le andava bene. Sì, perché fare la scema era una cosa che le veniva bene, mentre fare la seria ed affrontare qualcosa di più era maledettamente difficile. Tornò a casa un’ora dopo, si infilò nella doccia e rimase lì sotto per una buona manciata di minuti, gli occhi chiusi e il silenzio.
La quiete prima della tempesta. Chissà se quella era l’espressione giusta con la quale avrebbe poi descritto quel momento. La mattina passò con estrema lentezza. Si era attaccata a June come una cozza, provando a parlare con lei di qualsiasi cosa le passasse per la testa, cercando di non pensare. Dopo pranzo, però, Juniper era uscita di casa e lei si era ritrovata sola. Aveva passato il resto del pomeriggio a bighellonare per la casa, passando dal divano al porticato, sotto il quale fumò l’ennesima sigaretta della giornata. Un paio di volte, passando davanti allo specchio in camera sua, si chiese se non fosse il caso di indossare qualcosa di diverso rispetto alla tuta un po’ troppo larga che la faceva sembrare un fagotto. Esisteva un
dress code per questo genere di cose. Ci aveva rimuginato un po’, per poi convincersi che stava esagerando. Stava per cambiare idea per l’ennesima volta quando il campanello la fece scattare sull’attenti. Il suo stomaco parve fare una capriola. Rimase per qualche istante immobile, i muscoli sul punto di scattare. Si accorse di aver trattenuto il respiro.
Si comincia. Si precipitò giù dalle scale, fermando i suoi passi difronte alla porta aldilà della quale si trovava Dean.
Inspira. Espira. Essere codarda non era qualcosa che le si addiceva. Avvolse le dita attorno alla maniglia, girò la chiave e la porta si aprì, rivelando la presenza del biondino fermo sul suo zerbino.
« Ehy! » «Ehy..» Tirò un sorriso sulle labbra, passandosi una mano sui capelli, grattandosi nervosamente la nuca. Ora che se lo ritrovava davanti le pareva che il coraggio di cui si era caricata se la fosse data a gambe levate.
« Come va? » Come va, Daffy? Domanda apparentemente ingenua che richiedeva una risposta troppo impegnativa. La Harpie si strinse nelle spalle, facendo un passo indietro con la mano posata sulla porta, in modo da far spazio a Dean per entrare in casa.
«Ieri abbiamo fatto la spesa ed abbiamo il frigo pieno di birra, quindi benone..» Dentro la sua testa quella frase sembrava più divertente. Ora si sentiva solo un’inguaribile cretina. Cercò di soffocare quella risatina isterica che le salì su per la gola, riuscendoci solo in parte.
« Mmh..non ho sentito June questi giorni. Immagino che i Falcons se la stiano passando brutta con questa storia di James. » Richiuse la porta per poi annuire, dopo qualche secondo di silenzio. Riusciva a percepire in modo chiaro ciò che stava pensando anche lui: ci stavano girando intorno. C’era solo un modo per uscire da quella situazione: uno dei due doveva dimostrarsi più coraggioso. In quel momento, Daphne Baker si sentiva tremendamente vigliacca. Forse quella conversazione sarebbe andata avanti in eterno. Magari Daphne avrebbe aperto il frigo, preso un paio di quelle birre di cui aveva parlato e si sarebbero messi sul divano a parlare del più e del meno, come se nulla fosse. Stava pensando ad una risposta da dare, magari che fosse più divertente rispetto a quella data precedentemente, quando fu Dean a spezzare quel silenzio.
« In realtà non voglio parlare di June. » Ed ecco l’innesco della bomba che viene strappata via. Daffy fu certa di averne sentito il rumore.
« Voglio parlare di quello che è successo alla festa.. » pausa
« ..tra noi, dico. » Ed eccola là, la bomba che scoppiava. Se da una parte era grata a Dean per aver fatto il primo passo, dall’altra le parve di sentire le gambe tremare. Ora che erano a quel punto si chiese se fosse realmente pronta ad affrontarlo. Forse aveva bisogno di altro tempo.
Avevano bisogno di altro tempo.
« Che sta succedendo, Daphne? Dove siamo? » Già. Se lo era chiesto anche lei. Se lo stava chiedendo da giorni, ormai. Averne parlato con June e con Sam non era bastato a schiarirle le idee, non era bastato a farle avere una visione lucida di tutto quello che fino ad allora aveva vissuto solo come un bel sogno.
« Io non ci sto capendo più niente. Non so come devo comportarmi quando siamo insieme io e te, né quando siamo coi nostri amici e nemmeno quando siamo in pubblico. [...] Però ho come l'impressione che siamo arrivati a un punto in cui o è una oppure è un'altra, mi capisci? » Si, eccome se lo capiva. Abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello di Dean per un altro secondo in più. Si sentiva sbagliata, come se tutta quella situazione fosse solo colpa sua. E forse in verità era proprio così. Perché se avesse lasciato perdere le paranoie e tutto il resto, forse avrebbero continuato così, con quello spirito che li contraddistingueva, o magari tutto si sarebbe aggiustato da solo come un puzzle i cui pezzi si incastrano uno dietro l’altro. Si, perché
qualcosa da aggiustare c’era e quella era Daphne.
« Io non ho mai voluto pressarti su nulla, Daphne. E non hai idea di quanto mi possa sentire una merda, in questo momento, a pensare che questo discorso possa sortire proprio quell'effetto. Ma la verità è che..io semplicemente non ci riesco più a vivere nel dubbio. Voglio il pacchetto completo. Etichette annesse. L'ho detto. È così e non lo tirerò indietro. Ma se non posso averlo..allora preferisco non avere nulla. » I suoi occhi si ingrandirono, mentre il resto del volto e del corpo rimasero immobili, come una maschera. Percepì un groppo all’altezza della gola. Aveva l’impressione che qualcuno le ci stesse stringendo attorno le dita, riducendo la trachea e rendendole difficoltosa la respirazione. Quindi era a questo che erano arrivati. Forse era ciò che si intendeva per
diventare grandi; sapersi dover prendere delle responsabilità che prima parevano non esserci. Era questo che le stava chiedendo Dean? Di crescere? E lei era pronta per farlo? C’erano due cose che la spaventavano in quella situazione. La prima era dovuta al pensiero di impegnarsi. L’aveva sempre spaventata, soprattutto visti i suoi precedenti. Le sue relazioni passate erano finite per svariati motivi tra cui c’era quello di non sentirsi pronta e forse neppure all’altezza di poter sostenere una cosa del genere. Ma dall’altro lato, a fare da pesante contrappeso a tutte queste paranoie, c’era la paura di poter perdere Dean. Si perché anche se non sapeva dare un nome a ciò che avevano, era chiaro che l’ex Grifondoro si fosse conquistato una posizione che andava oltre all’essere considerato un semplice amico. Forse perché, infondo, Daphne non lo aveva mai considerato solo un semplice amico. Si passò ancora una mano tra i capelli, in un gesto che aveva dell’ossessivo. Inspirò a fondo e solo allora trovò la forza di parlare.
«Non lo so, Dean.. Non lo so dove siamo..» La sincerità disarmante di quelle parole la costrinse ad abbassare lo sguardo. Percepì chiaramente il muro che si era costruita attorno che vibrava, come scosso da un terremoto.
«E non voglio che tu ti senta in colpa.. Voglio dire.. Sapevamo di dover affrontare questa discussione, prima o poi..» Non sarebbe mai successo se avessero tutti aspettato te, Baker. Inspirò ancora, spostando il peso all’indietro e poggiandosi al tavolo dietro di lei. Posò le mani sul legno liscio e lucido facendoci scivolare i polpastrelli sopra.
«A tratti ho pensato di saperlo, ma poi mi dicevo che probabilmente mi stavo sbagliando..» Aveva lo stomaco sottosopra. Detestava vederlo in quel modo, ma ancora di più odiava il pensiero di essere lei colei che gli stava facendo del male.
«Io non sono brava in certe cose.» Quelle parole le scivolarono sulle labbra, con la stessa velocità di un pensiero. Era inutile girarci troppo intorno. Doveva essere coraggiosa, come lo era stato lui.
«La maggior parte delle mie relazioni passate si è conclusa con un disastro e in alcuni casi la colpa è stata mia..» Sua, che credeva di essere invincibile. Sua, perché l’idea di essere legata a qualcuno la faceva sentire un cane con il guinzaglio troppo corto.
«Mi spaventa l’idea di tenerti legato a me e allo stesso tempo mi terrorizza l’idea di poterti perdere..» Oggi oppure domani.. Sono significative le possibilità che tu un giorno possa odiarmi.. L’aveva detto. In qualche modo era riuscita a dire qualcosa che provasse, anche se forse solo in parte, a dare una spiegazione a tutto quel tormento che si portava dentro.
«Quella sera, al Golden Match.. Credo di essere stata presa dal panico.» Si strinse nelle spalle, arricciando le labbra. Ma si stava solo giustificando e Dean, invece, si meritava una spiegazione.
«E se un giorno dovessi rovinare tutto? Cosa accadrebbe? Perché Dean, forse non lo sai, ma io sono dannatamente brava a rovinare tutto..» specificò scandendo le ultime parole con più enfasi, come a voler sottolineare il concetto.
«Lo so cosa mi dirai, che pensare a ciò che potrebbe accadere non ha senso e che dovrei pensare solo a ciò che voglio ora..» borbottò con enfasi come se stesse citando chissà chi.
«Ma non posso fare a meno di pensarci e sai perché? Perché sono pazza, Dean!» Alzò lo sguardo, pronunciando quelle parole con un’innata naturalezza.
«Ti ricordi l’altra sera quando mi sono accorta di essere sudata? Bhè ho gridato ogni cinque minuti per mezz’ora dopo che te l’ho detto. Sono insicura da morire. Soffro di panico, claustrofobia, aracnofobia, fobifobia. Parlo da sola, parlo col mio rospo; fino a due anni fa parlavo con uno psicologo del fatto che il mio rospo ogni tanto mi risponde con la voce di mia madre e al Golden Match quando quella stupida cameriera carina ti ha passato il bicchiere di vino stavo per uccidere qualcuno perché mi ossessionava l’idea di voi due che fate sesso in una cella frigorifera!» Prende fiato. Più parlava più il suo tono andava sempre più in alto e le parole fluivano più velocemente.
«Perché la cella frigorifera? Perché qualche settimana fa io e June eravamo un po’ ubriache e nessuna delle due aveva la forza di alzarsi dal divano per prendere il telecomando e così ci siamo viste un documentario su come le costruiscono.» Pausa. Inspirò fissando Dean nei suoi enormi occhi chiari.
«E come ti accennavo prima, io sono pazza.» Era una spiegazione plausibile a tutto il caos che aveva in testa?
«Ecco. Mi sono aperta. Adesso sai per certo a cosa potresti andare incontro. Sei felice?»