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    dauntless

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    « Raideeen. » Faceva freddo. Troppo freddo persino per le gelide quattro di mattina di un tipico fine Marzo scozzese. Freddo di montagna, quella vera, in cui fischia il vento delle tormente e l'aria si fa più rarefatta. Raiden respirava pesantemente, cercando di contare i propri passi e procedere più con la memoria che con la vista tra le stradine di Hogsmeade. Visibili nuvolette di condensa abbandonavano le sue labbra ad ogni respiro spezzato. Non è reale. Nulla di tutto questo è reale. Parole che continuava a ripetere nella propria testa, sulla scia di pensieri disperati che sfioravano il delirio febbrile. « Dove seeei? » Chiuse gli occhi, quasi a cercare di schermarsi da quella voce canzonatoria che gli risuonava nella testa. Lontana, ma non troppo. Ogni volta più vicina. Accelerò istintivamente il passo, ignorando quei respiri che si facevano sempre più veloci, spinti da un battito tachicardico. È nella mia testa. Devo solo..devo solo arrivare in camera e cercare gli ingredienti. Fare la pozione finché sono in tempo. Sedici ore. Ho ancora sedici ore. Era questo ciò che erano riusciti ad estorcere ad Aki: il veleno ci avrebbe messo ventiquattro ore per completare la sua azione. Un'azione sottile, degna della più alta tecnologia magica che la crudeltà umana potesse concepire. Erano stati ingegnosi, i pozionisti al soldo del governo giapponese, e ingegnoso era stato il governo stesso a commissionare loro un veleno talmente subdolo che forse nemmeno come veleno in senso stretto poteva essere classificato. Non era infatti la sostanza in sé ad ucciderti: la vita te la saresti tolto da solo, senza ombra di dubbio. Nessuno supera le ventiquattro ore - aveva detto Aki. La maggior parte si suicidavano entro le dodici, mentre i più forti riuscivano a resistere anche fino alle diciotto. Alle ventiquattro ci arrivavano solo casi rarissimi, di solito occlumanti, e le loro morti erano sempre le più brutali. È come subire un potente Dismundo, crescente e continuato, sempre peggiore. La realtà si fonderà sempre più velocemente all'incubo fin quando non diventerà talmente insopportabile da farti perdere il senno. E a quel punto la morte ti sembrerà l'unica risposto, l'unica via d'uscita, l'unico sollievo. Così gli era stata descritta quella sostanza, talmente nuova che nessuno sarebbe riuscito a trovarne traccia tra le pozioni già esistenti. Ma una speranza c'era: l'antidoto, o quantomeno la ricetta che erano riusciti ad estorcere ad Aki con un pressante interrogatorio. Serviva mezz'ora per farlo, e ogni minuto era un minuto prezioso. Stava quasi correndo, con la pelle d'oca e la pelle madida di sudore freddo, quando varcò la soglia dello studentato, schiacciando nervosamente il pulsante dell'ascensore fin quando le porte non si aprirono con uno scampanellio lugubre. Entrò, pigiando confusamente il bottone relativo al quarto piano. La chiusura delle placche suonò nelle sue orecchie in maniera diversa rispetto al solito, come uno stridio di unghie che graffiano su una superficie metallica. « Lo so che sei lìììì. » la voce, questa volta, sembrava provenire dal cubicolo entro cui l'ascensore saliva, proprio sopra di lui, oltre il soffitto i cui neon cominciarono a lampeggiare sinistri. Chiuse gli occhi, contando i propri respiri mentre indietreggiava istintivamente verso l'angolo dell'ascensore, cercando con le mani tremanti il contatto con le placche. Gelo sotto le sue dita. Non riusciva a staccarle, come se le sentisse appiccicate a una parete di ghiaccio e la sua pelle sembrasse in procinto di strapparsi ogni qualvolta lui cercasse di scostarsene. Il vento gli sferzava il viso, graffiandogli la pelle come su mille schegge sottili di ghiaccio vi si stessero abbattendo. Respirava affannosamente, sentendo l'altitudine man mano che l'ascensore saliva, inesorabilmente lento ai suoi sensi. « Non puoi nascondertiii. » Li sentiva urlare, chiedere aiuto, chiamare il suo nome e implorarlo di tendergli una mano. Non ce la facevano più a salire, le loro dita scivolavano sulla roccia levigata dal ghiaccio ad ogni presa. E lui doveva chiudere gli occhi, ignorandoli nella consapevolezza che se si fosse voltato, anche lui sarebbe caduto nel buio, sparendo nel buio della notte e spezzandosi ogni arto nell'impatto con le rocce. Lo sapeva. Lo avevano messo tutti in conto nel momento in cui erano scappati. Sapevano che non tutti ce l'avrebbero fatta, che alcuni sarebbero morti durante la scalata e altri dopo. Usare la magia sarebbe risultato in una morte sicura. Non usarla, invece, nell'incertezza di sopravvivere o meno. Certi avrebbero perso la vita scalando, altri per il freddo, altri ancora nella battaglia una volta giunti alla meta. Lo avevano saputo fin dall'inizio, accettando quel tacito patto di non fermarsi mai, perché qualcuno, in cima, doveva arrivarci, anche a discapito degli altri. Urla strazianti lo pregavano di tendere una mano, di voltarsi. « Non posso. Non posso. » bisbigliò piano, appena udibile persino a se stesso, scuotendo il capo in movimenti tanto millimetrici quanto continui. Un tono disperato, il suo, quello di chi sapeva di aver appena decretato la morte di un compagno - forse più di uno. Di sopravvivere sulla pelle di altri. « Posso sentirti respirare. » Un brivido di terrore corse lungo la sua schiena nel sentire quella voce soffiare sul suo orecchio. Ma aveva troppa paura di voltarsi, di guardare, anche solo di sbirciare. Devo continuare. Erano gli accordi. Mai fermarsi. Mai voltarsi. Devo solo scalare, scalare fin quando non arrivo al prossimo livello, al prossimo tornante. E si aggrappava, Raiden, con le lacrime che si cristallizzavano prima ancora di scendere a rigargli le guance. Il cuore che batteva a mille ad ogni nuova presa sulla roccia, pensando puntualmente che potesse essere l'ultima, che questa volta gli si sarebbe sgretolata sotto le dita o sotto la punta dello stivale. Le mani gli grondavano di sangue, ma continuava, stringendo i denti sotto l'anestetico del freddo che gli faceva perdere ogni sensibilità, minacciando di farlo precipitare in qualsiasi momento. Sentiva la disperazione montargli in petto ad ogni preghiera che ignorava.
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    Dlin-dlon. Improvvisamente era di nuovo nell'ascensore, madido di sudore, con il sangue che gli sgorgava dalle unghie tingendo le pareti dell'ascensore che sembrava aver voluto disperatamente graffiare nella propria scalata. Corse nel pianerottolo, respirando pesantemente fino a svoltare l'angolo e ritrovarsi di colpo al buio, in uno spazio aperto e innaturalmente silenzioso. Di fronte a lui, una distesa di cadaveri. Nemici, compagni, studenti. Tutti morti. Tutti ammassati l'uno sull'altro, preda delle larve e dei topi che si intrufolavano voraci in ogni cavità, scavando coi denti lì dove non potevano entrare. E di fronte a sé, occhi identici ai suoi lo fissavano sull'orlo di un sorriso trionfale. Le chiazze non si sarebbero nemmeno notate sulla divisa nera come la pece, non fosse stato per i capelli incrostati di sangue e il volto tinto di rosso. Scosse il capo, indietreggiando, un passo dietro all'altro. Io non ho fatto tutto questo. Non ho ucciso tutta questa gente. Non ho mai toccato uno studente, un compagno. Abbiamo combattuto. Abbiamo combattuto contro chi dovevamo combattere. Era guerra. Non erano omicidi. Io non li ho uccisi. Eppure, nonostante sapesse coscientemente di non averlo mai fatto, il suo cuore si sentiva comunque responsabile di quell'irreale carneficina di fronte ai suoi occhi, di quell'ammasso putrescente talmente vivido da riempire le sue narici con l'odore pungente di quella pila di cadaveri. « Non puoi fermarti. Non puoi nasconderti. Puoi solo continuare a uccidere, e uccidere ancora, e ancora e ancora. Questa è l'unica strada: non ne esistono altre. » Quasi come in un sogno, alle spalle del doppio, lontano ma ben visibile, si stagliò il profilo di Mahoutoko, colpito da una luce senza principio che creava stupendi riflessi sulla giada. « Sei stato tu a desiderarlo, a sceglierlo. Volevi arrivare al palazzo e conoscevi le alternative: camminare sui loro cadaveri o unirti ad essi. » Continuò a scuotere il capo, negando a se stesso quelle parole mentre continuava a indietreggiare nel vuoto. « Sono loro che ti hanno permesso di raggiungere ogni meta. » Il doppio cominciò ad avanzare, calpestando quei cadaveri come fossero ciottoli su un selciato. « Chi è morto per mano tua, chi per proteggerti, chi sotto la tua guida, chi perché non hai potuto difenderlo. Ma è per te che sono morti. Per farti salire sempre di più. Pentirtene quando eri così vicino alla meta..debole! Guardati le mani e capirai cosa si guadagna ad avere dei ripensamenti! » Gli occhi di Raiden si abbassarono sulle proprie dita, marce e putride come quelle dei corpi martoriati che aveva tutt'intorno. Urlò, cadendo in ginocchio su quello che di colpo tornò ad essere un corridoio vuoto. La sua pelle era intatta, rigata solo dal sangue prodotto nell'ascensore. Le sue dita tremavano e improvvisamente al sudore si erano mischiate copiose lacrime sul suo volto. Ritrovò la stanza a tentoni, chiudendovisi dentro e approfittando di quel momento di quasi lucidità per aprire la valigetta degli ingredienti, estraendone tremante alcune erbe indicate da Aki. Ma due erano gli ingredienti che mancavano, i più difficili da reperire. Solo un posto poteva averli. Prese un bezoar dalla valigetta, mettendoselo in bocca. Sapeva già che non avrebbe funzionato come antidoto, ma sperava che potesse quanto meno rallentare il corso del veleno e fargli guadagnare tempo. Ci vollero tutte le forze che aveva in corpo per sfondare le difese della mente di Mia nel sonno, ritrovandosi all'improvviso nella sua stanza. « Mia, svegliati. Ti prego, ti devi svegliare. » La scuoteva, cercando di mantenere un contegno nel tono di voce che forse non aveva alcun senso di esistere, date le condizioni in cui era evidente che stesse versando. Pallido come un fantasma e madido di sudore, con le labbra cianotiche, le unghie orribilmente spezzate e le mani sporche di sangue. Le sue iridi parevano due pozzi neri ricolmi di immagini che si susseguivano velocemente sulle sue retine, terrorizzando un subconscio che registrava più di quanto la sua mente fosse capace di sopportare o anche solo seguire. « Non ho tempo. Devi andare nello sgabuzzino di Pozioni. Mi serve una piuma di fenice e una fiala di sangue di drago. Mi servono subito, Mia, ti prego, è un'emergenza. Devi venire qui, immediatamente. » le chiese con tono implorante, lasciando che le sue parole si accavallassero l'una all'altra per paura che in un qualunque momento la sua mente potesse precipitare in un nuovo incubo e impedirgli di afferrare quell'unica chance che aveva. Non l'avrebbe mai coinvolta se non fosse stato assolutamente necessario - e lo era, perché Raiden, da solo, non poteva né rubare quegli ingredienti, né tanto meno preparare la pozione. Così, come a dimostrarle la serietà delle sue parole e l'urgenza che le spingeva, si sollevò appena un orlo della felpa, mostrando le vene che risalivano dalla gamba sinistra, ingrossate e tinte di nero. Un traccia che sarebbe sparita nel giro di qualche ora. La fissò, mormorando solo un « Ti prego fai veloce. » prima che il loro contatto venisse bruscamente interrotto. Cadde all'indietro, come se qualcuno lo avesse spintonato con forza all'altezza del petto e urlò, o almeno tentò di farlo, ma nulla sembrò uscire dalle sue labbra. Si dimenava per terra, fissando un punto sotto al proprio letto in cui le cavità oculari vuote della sorella lo fissavano. E ovunque si voltasse era la stessa identica cosa. Sua sorella, sua madre, Hiroshi, i suoi amici, Rudy, Mia, Elaine. Cadaveri sfigurati dalle più indicibili sevizie popolavano ogni angolo di quella stanza dalle cui pareti sgorgavano fiumi interminabili di sangue. Non c'era modo di fuggire alle immagini, né alle urla, né alle risate sguaiate. Non c'era modo se non quello di raggomitolarsi in posizione fetale, coi pugni chiusi e l'istinto sempre più potente di scappare da tutto ciò tramite l'unica via che si stagliava come percorribile nella sua mente. Riuscì solo a sfilare dalla tasca il foglio su cui aveva trascritto il procedimento necessario alla pozione, facendolo scivolare sul pavimento, lontano da sé. Fu quello il suo unico moto di attaccamento alla vita prima di cedere all'istinto, cominciando a battere la propria testa sulle mattonelle fredde. Una volta, due, tre, quattro. Basta, ti prego, basta. Cinque, sei, sette. Un fischio e poi il nero.

     
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    Si era addormentata relativamente tardi, come al solito, blaterando del più e del meno con le compagne di stanza, lamentandosi dei troppi compiti che stranamente aveva finito in tempo per potersi permettere di godere di un weekend relativamente libero e ridendo delle nuove uscite infelici di questo e quell'altro sui social. Alla fine, il messaggio di Harold Bergman era giunto puntuale come una passaporta. "Confermato il caffè di domani?" La giovane Wallace era rimasta un po' a pensarci su, controllando per l'ennesima volta le chat di whatsapp. Ultima comunicazione utile con la chat che prese a scorrere risaliva alla sera prima quando lei e Raiden si erano scambiati una serie di meme imbarazzanti. Poi il nulla. E stupido aspettarmi di essere cercata ogni tanto? Lo cerco sempre io. Razionalmente sapeva che si trattasse della cosa migliore; il giovane Yagami le dava semplicemente lo spazio necessario per decidere i termini in cui quel loro universo alternativo dovesse espandersi e restringersi in base alle sue esigenze. Però io voglio essere comunque cercata di più. Sembro un cazzo di disperata. No basta. Dà quindi conferma dell'incontro che il giorno dopo aveva stabilito con il nuovo conoscente tedesco e mette il cellulare sotto il cuscino, costringendosi a dormire, convinta che, se fosse rimasta sveglia, avrebbe cominciato a pensarci su un po' troppo. « Mia, svegliati. Ti prego, ti devi svegliare. » Mia scalcia e si gira sull'altro lato disturbando il sonno di Ringo che si lamenta, saltando giù dal letto. Viene scossa diverse volte, tempo in cui corruga la fronte con una palese nota di fastidio, prima di riuscire a capire che non sta più dormendo. Tenta di opporsi per qualche secondo, sollevando una mano per scacciare quel fattore di disturbo, ma quando finalmente apre gli occhi convinta si tratti di una delle compagne, sgrana gli occhi nel rendersi conto che entrambe sono ancora a letto. Improvvisamente strabuzza gli occhi, e in un istante scatta mettendosi a sedere. La mano allungata alle proprie spalle pronta a impugnare la lama che tiene nascosta nell'incastro posteriore della testiera del letto. « RAIDEN! » Sussurra di scatto ancora intontita dal sonno, mentre abbandona l'impugnatura della lama. « Ma che cazzo di problemi hai! » Non si fa così. Si porta una mano sul petto tentando di calmare automaticamente i battiti cardiaci accelerati. E lì, piano piano, sul momento, inclina la testa di lato, osservandolo con più attenzione. Inizia a provare una sensazione di malessere, come se le budella le si stessero contorcendo. Sta male. Percepisce appena una fitta alla testa, come se un'emicrania pesante l'avesse di colpo afflitta. Assottiglia appena lo sguardo; è pallido e.. cazzo ma quello è.. Sangue. E' sul punto di chiedergli spiegazioni, quando viene fermata sul colpo. « Non ho tempo. Devi andare nello sgabuzzino di Pozioni. Mi serve una piuma di fenice e una fiala di sangue di drago. Mi servono subito, Mia, ti prego, è un'emergenza. Devi venire qui, immediatamente. » E fu allora che venne messa di fronte all'orrore presente sulla pelle di lui al di sotto della felpa scura. « Ti prego fai veloce. » Prima che potesse ribattere o dire qualunque altra cosa la proiezione di Raiden scomparve, e per quanto Mia provò a sforzarsi di trovarlo, era come se non ci fosse. Non c'è. Non c'è. Chiamarlo fu inutile; il telefono era staccato, e lei era ora lì, in balia al panico senza una spiegazione logica a ciò che aveva visto o ciò che le era stato chiesto di fare. Venne investita da un potete senso di inerzia da cui riuscì a scuotersi solo dopo qualche minuto. Piombò giù dal letto, si mise addosso i vestiti del giorno prima rimasti abbandonati alla bell'e meglio sulla scrivania, e uscì, recuperando solo lo zainetto, il fermacapelli in argento e il pugnale incastrato dietro la testiera del letto. E così partì alla volta dell'aula di pozioni, cercando di muoversi furtivamente per non aattirare l'attenzione di qualche quadro il cui sonno poteva risultare troppo leggero. Trovare nei vari armadietti gli ingredienti come da istruzioni non fu così difficile come si aspettasse. Anche al buio, in assenza di una fonte di luce anche minuscola, Mia sapeva muoversi leggera come una piuma e con una velocità fulminea. Pregò tuttavia che nessuno la cogliesse sul fatto proprio mentre trafugava ingredienti di proprietà della scuola alle quattro passate del mattino. Di solito funziona così. Proprio quando pensi di averla scampata, ecco che accendono le luci e tu sei colta in flagrante. Col culo che mi ritrovo succede proprio questo. Ma perché?! Perché mi metto sempre in situazioni di merda. Ma non successe, e Mia fu in grado di uscire dal castello senza grandi impedimenti; non sapeva a quel punto che tirare un sospiro di sollievo era la cosa meno saggia che potesse fare. Era come se una parte della sua mente si fosse completamente atrofizzata, prendendo quella situazione a compartimenti stagni. Non pensava allo stato in cui aveva visto Raiden, non pensava a cosa avrebbe trovato una volta giunta al quarto piano dello studentato Grifondoro. Tutto ciò che sembrava fungere da cappio attorno al collo sul momento, era l'idea di aver sottratto qualcosa senza permesso. Attraversò la tenuta del castello a passo spedito, passando sotto i colonnati di pietra che fungevano da ponte tra la parte più antica del castello e la nuova area del campus. Solo quando giunse nella piazza comune degli studentati, un nuovo pensiero ossessivo e disfattista prese a insinuarsi sotto la sua pelle.
    E se fosse.. no. Non ebbe il coraggio di dirlo neanche mentalmente. Non poteva concettualizzare l'idea di altre perdite; se solo si fosse lasciata tentare da quell'idea, sarebbe scappata dall'altra parte, convinta di non voler andare a sbattere contro il corpo freddo di Raiden. Cosa avrebbe detto poi? Era un bravo ragazzo? Eravamo amici? Credevo potesse esserci di più tra noi? Non l'ho chiamato per tutto il giorno precedente alla sua morte, perché aspettavo che fosse lui a chiamarmi? Tutte quelle ipotesi terrificanti, accompagnate da un palese senso di colpa, attraversarono il suo subconscio, lasciandola in uno stato che sembrava avvicinarsi all'attacco di panico. Tentò però di non abbattersi; è riuscito ad arrivare fino a Hogwarts. Ha detto di fare presto. Ho fatto più in fretta possibile. Ed effettivamente, controllando l'orario sull'orologio, non era passata nemmeno un'ora da quando si era svegliata di soprassalto. Mancava poco all'alba. E si sa.. l'ora più buia è quella che precede l'alba. Di scatto l'urgenza nei suoi movimenti si fece più palpabile. Prese a correre in direzione dello studentato Grifondoro, azionando il pulsante dell'ascensore nell'atrio diverse volte, quasi come se quell'azione potesse seriamente far scendere l'abitacolo più in fretta. E poi in men che non si dica stava bussando alla porta della sua stanza. « Raiden? Sono Mia. Apri. » Bussò un altro paio di volte, ma non ricevette risposta alcuna. Tentò il pomello della porta; chiusa. Le rimase solo far scattare la serratura con un semplice giro di bacchetta. Forse avrebbe fatto meglio a girarsi dall'altra parte e tornare a dormire, perché l'immagine incontro alla quale andò a sbattere le gelò il sangue nelle vene.
    « Raiden? » Era steso sul pavimento in mezzo a un tumulto che quasi non riusciva a riconoscere come la stanza in cui aveva passato diverse notti nell'ultimo mese; di solito così dannatamente ordinata e costantemente pulita in maniera quasi maniacale, ora appariva un campo di battaglia finito in tragedia. Si sentiva spesso e come se fosse l'unica fonte di caos presente nella vita di lui; Mia ribaltava di continuo il nido di Raiden, lasciando i vestiti un po' alla bell'e meglio, abbandonato bottiglie di birra e confezioni di patatine un po' dove le capitasse, e sfogliando libri disinteressatamente senza poi rimetterli al loro posto. « Raiden? » Lo richiamò ancora una volta con un filo di voce timoroso, avvicinandosi con cautela. « RAIDEN! » La labbra violacee, il viso pallido e sudaticcio, chiazze di sangue qua e là che non sembravano appartenergli, almeno a una prima occhiata superficiale. Controllargli il polso fu la prima cosa che fece, ma nonostante il cuore funzionasse ancora, si rese conto che Raiden era freddo come la morte. Una sensazione che la impressionò oltremodo. « Raiden svegliati! Non so che cosa devo fare. » Ed effettivamente con un pugno di mosche in mano, tutto ciò che seppe fare fu controllare nuovamente lo stadio dell'orrore che le aveva precedentemente mostrato. Le venature scure stavano correndo sempre più verso l'alto minacciando pericolosamente la cassa toracica. Di scatto si allontanò colta da un destabilizzante senso di inerzia. La testa tra le mani, intenta a dondolarsi in preda a profondi spasmi. Tremava come una foglia, a tal punto che non si accorse neanche di aver abbandonato se stessa per trovarsi altrove. Si ritrovò lontano, nell'unico posto sicuro che conoscesse. A casa. E non sarebbe tornata indietro, nella stanza di Raiden, senza l'aiuto di un intervento provvidenziale. « Mia! Mia mi senti? » La voce di Gabriel le giunse lontana e ovattata. « SPEDDY! SVEGLIA! » Trasalì sul colpo quando il fratello le afferrò il mento bruscamente, imponendosi alla sua attenzione. « Ci sei? Respira. » Contò insieme a lei fino a dieci, come più volte gli era capitato nel corso degli ultimi anni, infondendole la stessa calma e sangue freddo che sembrava dominare l'animo di lui. « Prendilo per le ascelle. Portiamolo a letto. » Gabe non c'era, ma per qualche motivo, si sentì comunque come se parte del peso di Raiden fosse retto da lui. Di scatto i suoi movimenti si fecero più sicuri, più precisi. Si asciugò le lacrime e sospirò, trascinando Raiden verso il suo letto, pur avendo ancora la sensazione di essere sul punto di crollare in un pianto disperato. « E' freddo come la morte, Gabe. Sta morendo.. sta.. » Annaspa mentre tenta inutilmente di mantenere la calma. Il giovane Wallace dal canto suo, sembrò essere catturato da un qualcosa ai piedi del letto; lo sguardo basso su un punto specifico nel buio della stanza illuminata unicamente da una lucina soffusa presente sulla scrivania del ragazzo. « Speedy? Guarda qua. » Ricetta dell'antidoto alla mano, pur scossa, ritrovò la concentrazione, focalizzandosi su un problema alla volta. Preparare l'antidoto. Gabe non lasciò il suo fianco neanche per un istante, ma nonostante ciò, non ci fu bisogno alcuno perché intervenisse. Preso il via, Mia aveva seguito alla lettera la preparazione, con una precisione che sembrava non appartenerle neanche. Non sembrò avere dubbi neanche per un istante; in fondo, qualunque cacciatore che si rispettasse sapeva preparare antidoti, e persino Mia, la cui diligenza era sempre stata pari a zero, non aveva potuto sottrarsi dal imparare religiosamente i passaggi fondamentali della preparazione di quei tipi di infusi. Ok. I veleni agiscono in due modi; per contatto o per ingestione. Individuata la fonte nella ferita alla gamba, Mia vi applicò un impacco abbondante costringendolo un po' alla volta a berne un po'. Posò un secchiello al lato del letto e si sedette di conseguenza sulla poltroncina presente dall'altra parte della stanza portandosi le ginocchia al petto e aspettando. Controllò la ferita diverse volte. Lentamente le venature scure si stavano ritirando e nell'attesa Mia restò in tutto quel tempo particolarmente vigile e lucida, cercando di tenersi occupata ripulendo la stanza. Con un colpo di bacchetta fece scomparire le chiazze di sangue dalla moquette e riordinò uno per uno ogni oggetto fuori posto con un'attenzione meticolosa. Gli passò diverse volte il secchiello nelle ore a venire e tentò di tranquillizzarlo come meglio poteva, carezzandogli a tratti il braccio per tentare di rassicurarlo. Shhhhh. Sta passando. Stai bene. Sei al sicuro. Glielo aveva sussurrato diverse volte, pur sentendo un bisogno spasmodico di cedere, forse addirittura scappare. Avrebbe voluto farlo, ma non si mosse. Nemmeno per un istante.
    Lo sguardo vacuo e leggermente lucido era perso nel vuoto biancastro oltre la finestra. Il bicchiere che fungeva da posacenere era ormai colmo di cicche. Non ricordava quante sigarette avesse consumato fino al filtro. Erano passate ormai diverse ore da quando Raiden si era tranquillizzato, sprofondando in un sonno più sereno, che sembrava aver quietato anche lo spirito della giovane Wallace. Poi l'aveva visto tremare come una foglia. Aveva freddo. E così cercare una seconda coperta era stato automatico. La scena di fronte alla quale si era trovata tuttavia aveva cambiato completamente la sua prospettiva sulla situazione in cui si era cacciata. Fino a quel momento, il ragionamento a compartimenti stagni che aveva adoperato sin da quando era stata tirata giù dal letto si era di colpo espanso. Aveva iniziato a chiedersi come Raiden si era procurato quella ferita, chi lo aveva avvelenato e perché. Tutte le risposte giacevano nel suo armadio, tra pile di vestiti scuri ed effetti personali vari. La coperta l'aveva presa comunque, ma non prima di avvicinarsi al corpo del giovane asiatico nell'armadio, accertandosi del suo stato effettivo di salute. Non c'è polso. E' morto. E aveva provato a convincersi che non sapesse sentire il polso, che era talmente stupida da non riuscire nemmeno a capire come distinguere un vivo da un morto. Alla fine però, ogni dubbio era caduto: Raiden aveva un cadavere nell'armadio. Un cadavere. Sto qui a vegliare al suo capezzale con un fottuto cadavere nell'armadio. Era corsa in bagno sul momento, rigettando quel poco che era riuscita a mangiare dell'abbondante ordinazione che aveva fatto a Sturbucks in attesa del risveglio del giovane Yagami. Forse avrà fame quando si sveglia. Deve recuperare. Ha bisogno di energie. Ora la scatola di donuts e i vari pacchi di brioches dolci e salate che aveva ordinato, giacevano sulla scrivania intonse. Tutto sembrava immobile all'interno della stanza, ormai pulita e ordinata, come se a pensarci fosse stato Raiden stesso. L'unica cosa fuori posto era propria Mia. Ancora seduta in poltrona, abbracciata al suo zainetto, col vuoto negli occhi scuri come la pece resi ulteriormente inquietanti dalle sfumature blu notte che avevano assunto i suoi capelli. Era pallida ed esausta; due grosse occhiaie circondavano il volto scavato. Quando percepì i movimenti di lui, il suo sguardo saettò per un istante verso le ante dell'armadio. Lo aveva richiuso alla bell'e meglio ma una mano penzolava comunque fuori dal mobile. Non aveva avuto il coraggio di toccarlo. Se avesse potuto, avrebbe cancellato definitivamente il volto del giovane dalla sua mente. Ma non poteva; non poteva farlo come non poteva cancellare il panico che aveva provato nel rendersi conto di essere sul punto di veder Raiden andarsene. Altrove. Nonostante i movimenti di lui, gli occhi strabuzzati di Mia, continuarono a mantenere lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Non aveva più il coraggio di guardarlo, né era certa di voler sentire cosa avesse da dire. Voglio davvero chiedere? M'interessa? Posso davvero far pace con ciò che è successo nelle ultime otto ore della mia vita? Non ne era certa. Non era certa di niente, ormai. Sapeva solo che provava un profondo disagio; la scia di un terrore sepolto sembrava esserle scivolato sotto la pelle fino al punto da far riaprire vecchie ferite. Non disse quindi niente. Non sapeva cosa dire. Nonostante ci fosse una mano penzolante fuori dall'armadio di Raiden e lei fosse ancora lì, intenta a ignorare tanto il cadavere quanto il ragazzo steso sul letto di proposito, non disse niente. Decise solo di accendersi l'ennesima sigaretta, cambiando canzone sul cellulare, alzando di colpo il volume, nonostante fino a quel momento le avesse fatto solo da soffice sottofondo. Si portò il terzo bicchiere di carta colmo di caffè ormai gelato alle labbra, e continuò a fissare il nulla, pensando al nulla, sentendo il nulla più totale. Solo ad un certo punto, dopo un tempo infinitamente lungo si strappò una cuffietta dalle orecchie. « Ha chiamato Jeff. Gli ho detto che eri con me. » Nient'altro. Non diede alcuna spiegazione in merito; né sul fatto che in realtà non aveva mai risposto al telefono ma gli aveva mandato un messaggio. Né sul fatto che Ronnie l'aveva chiamata per tutta la mattina senza avere alcuna risposta da parte sua. Niente. Solo il rumore della sigaretta da cui continuava ad aspirare e il leggero sorseggiare del caffè. « Mangia. » Disse solo ad un certo punto, con lo sguardo ancora perso, leggermente più lucido. La voce rauca e bassa. Le labbra secche. Una rabbia latente trasformatasi in completa indifferenza. Ne aveva viste troppe in poche ore. E ora non sapeva più nemmeno cosa volesse. Niente. Non voglio niente.


     
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    Se il suo cervello avesse registrato con precisione le immagini che dal suo subconscio avevano preso vita durante lo stato di incoscienza, probabilmente Raiden non sarebbe riuscito a superare la notte. Flash veloci, quelli che come proiettati da una lanterna magica avevano dato vita ad un inquietante spettacolo fantasmagorico all'interno della sua stessa mente. Scene indicibili che ad un certo punto sembravano essersi ritratte come creature fotofobiche, tornando a nascondersi con un sibilo indispettito negli antri più oscuri della mente del giapponese, gli stessi dai quali erano uscite in primo luogo, attratte come topi da una melodia magica che gli era strisciata sotto le vene. I suoi sogni si erano lentamente placati, alternando incubi più sopportabili a scenari assurdi di carattere allucinatorio; un delirio febbrile dal quale solo il suo organismo sembrava ogni tanto svegliarsi, obbligandolo a sporgersi verso un catino per vomitarvi dentro la bile resa più scura dalle rimanenti tracce di veleno che pian piano andò ad espellere. Quando le sue palpebre cominciarono a schiudersi, riprendendo lentamente possesso della realtà, la luce che filtrava dalla finestra sembrò colpirlo con troppa forza, obbligandolo a storcere i lineamenti del viso in una smorfia e a schermarsi gli occhi col dorso di una mano. Fu proprio nel fare quel movimento, che il giovane si rese conto di quanto il suo corpo fosse debole, debilitato come in seguito ad un'impresa particolarmente sfiancante. Le mie mani. Le guardò, osservando il pessimo stato in cui versavano - e solo allora i ricordi della serata appena trascorsa parvero colpirlo, tutti insieme, tutti in un colpo solo. Per qualche istante rimase senza fiato, gli occhi improvvisamente sbarrati a fissare il soffitto e gli organi interni che si torcevano su loro stessi alla sola memoria di ciò che era stato. Le sue iridi saettarono sull'unica altra presenza umana - viva - nell'ambiente, incontrando la figura di Mia seduta sulla poltrona, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. E a quel punto, nell'ambiente ordinato come di certo lui non lo aveva lasciato, i suoi occhi vennero immediatamente catturati come da un magnete a individuare l'unica nota fuori posto: una mano che penzolava fuori dalle ante dell'armadio. Lo ha trovato. Nella foga dell'urgenza, Raiden non aveva pensato al cadavere di Kunisada e al fatto che le probabilità che Mia lo trovasse da sé fossero piuttosto alte. Quando l'aveva contattata, ovviamente, le sue priorità erano ben altre, e produrre altri pensieri logici non gli sarebbe stato possibile. Ma poteva davvero evitare che lei ne venisse a conoscenza? Anche se non lo avesse rinvenuto, Raiden le avrebbe comunque dovuto delle spiegazioni riguardo all'accaduto, e quelle spiegazioni lo avrebbero portato dritto all'ex compagno. Mi sono solo difeso. Ci sarei stato io, al suo posto, altrimenti. Ed era vero, ma quel pensiero sembrò assumere un sapore completamente diverso alla luce di ciò che la sua mente lo aveva costretto ad affrontare poche ore prima. Le parole del doppio sembrarono riecheggiare nuovamente nella sua testa, facendogli correre un brivido lungo la schiena. Non puoi fermarti. Non puoi nasconderti. Puoi solo continuare a uccidere, e uccidere ancora, e ancora e ancora. Questa è l'unica strada: non ne esistono altre. E ci aveva provato, Raiden, a convincersi del fatto che un'altra strada fosse ancora praticabile per lui. Ci aveva provato proprio con quella fuga in Inghilterra, con quel tentativo di lasciarsi alle spalle verità scomode riguardo a se stesso come se allontanarsi da un contesto potesse in qualche modo cambiare ciò che lui era nel profondo. Sei stato tu a desiderarlo, a sceglierlo. Volevi arrivare al palazzo e conoscevi le alternative: camminare sui loro cadaveri o unirti ad essi. Più e più volte, durante la sua vita, Raiden si era detto di non aver avuto scelta: era stato obbligato a diventare un militare, era stato ingannato a sterminare dei soldati per prendere possesso di Mahoutokoro ed era stato imbrigliato da una bugia a perpetrare lo strapotere di un governo dittatoriale. Era più semplice convivere con se stesso, in questi termini. Ma lui una scelta ce l'aveva sempre avuta: poteva rimanere fedele a se stesso, opporsi e morire per il proprio senso di giustizia. Ma io volevo vivere. Ho scelto di vivere, anche a discapito di tutte le persone che sarebbero state sacrificate, per permettermelo. Anche a costo di vendere qualunque senso di umanità albergasse nel mio animo. E l'ho venduto - diavolo se l'ho venduto! Hanno pagato il mio cuore a peso d'oro con soldi, gradi e onorificenze. Tutte cose che io ho accettato. Una consapevolezza, quella, già presente da tempo nel suo subconscio, ma da cui ora non poteva più fuggire. Era sopravvissuto, ancora, ma sempre allo stesso prezzo. Si tirò piano a sedere sul letto, guardandosi intorno mentre cercava di riordinare nella propria testa qualcosa da dire, una qualsiasi. Fissò Mia, che sembrava ignorarlo completamente, e non riusciva a biasimarla. Nemmeno tentò di accedere alla sua sfera emotiva, convinto com'era che ciò che vi avrebbe trovato sarebbe solo stata una conferma di ciò che già da sé pensava. « Mia..? » azzardò, in un filo di voce. « Ha chiamato Jeff. Gli ho detto che eri con me. » Annuì, mesto, passandosi le mani sul volto stanco. È giusto
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    così. Forse adesso capirai anche per quale ragione ti abbia chiesto cosa ti piacesse di me, perché ti abbia detto che non ero esattamente ciò che credevi di vedere. Perché sono questo, Mia. Questa è la mia vita, questa è la mia realtà: piena di morte. E pensavo che questi sei mesi mi avessero disabituato, che mi avessero reso più sensibile e impreparato, ma non è così. E provarlo di nuovo mi fa quasi sembrare innaturale il contrario. Come se in tutti questi mesi fossi morto un po' alla volta, ogni giorno, nel guardarmi allo specchio e vedere una persona che stava solo ammazzando il tempo. E alla fine della giornata il sole tramontava su una personalità evanescente che volevo abbracciare ma che non mi apparteneva davvero.
    Si sentiva come se avesse della colla sotto la suola delle scarpe: voleva muoversi, voleva staccarsi, voleva ballare, ma non riusciva a muoversi. E guardava a quella vita di cui Mia faceva parte solo da lontano. Forse tu a me ci tieni, in qualche forma, ma io sono bloccato in questo punto dal quale non riesco ad andare avanti - dal quale non posso andare avanti. E non è giusto, lo so, che ti abbia costretta a venir qui tu stessa, ma non avevo scel- no! Ce l'avevo la scelta. Ho scelto di vivere, di nuovo. Ho scelto me stesso. I suoi stessi pensieri sembravano accavallarsi l'uno sull'altro in interminabili giri, contraddicendosi e dando sempre più spazio nel suo cuore al senso di colpa. « Mangia. » Si sentiva lo stomaco chiuso e sottosopra, ma allungò comunque una mano verso il sacchetto di Starbucks, conscio di aver bisogno di energie. Mangiò un cornetto controvoglia, forzandosi a mandar giù quel cibo che improvvisamente gli sembrava non avere alcun sapore se non un retrogusto amaro che gli risaliva dalla bocca dello stomaco. Consumò quel pasto in silenzio, senza proferire parola, scoccando di tanto in tanto qualche occhiata furtiva alla Wallace o all'arto penzolante di Kunisada - il convitato di pietra. Poi, ad un certo punto, accartocciò la busta, allungandosi verso il cestino per buttarla. « Mi dispiace. Non sapevo di chi fidarmi. » disse ad un certo punto, di getto, facendo subito una pausa. Cercò lo sguardo di lei, non sapendo se desiderasse incontrarlo o meno. Istintivamente lo voleva, ma non voleva realmente sapere cosa vi avrebbe potuto leggere. Rimase ancora in silenzio, spostando le iridi verso quella mano che sapeva di non poter più ignorare. Sospirò. « Sono venuti a cercarmi dal Giappone. Credo che una parte di me sapesse che prima o poi sarebbe successo. » Scosse leggermente il capo. « Non aveva senso lasciarmi in vita. Hanno solo aspettato che abbassassi un po' la guardia. » Ma evidentemente non l'ho mai fatto, pur se lo credevo. Un ragionamento logico, il suo, pronunciato con il tono razionale di chi nemmeno sforzandosi riusciva davvero a vedere quella situazione come un qualcosa di fuori posto. Ed era certo, Raiden, che questo Mia non potesse capirlo. Come potresti? È giusto che sia così. È giusto che tu sia sconvolta. Qualunque persona normale lo sarebbe. Puntò le iridi scure sul viso della ragazza. « Era o me o lui, Mia. » tagliò corto, riassumendo in quella fredda equazione gli eventi che lo avevano colto alla sprovvista la sera prima. Indicò con un'occhiata la gamba sinistra. « Ma avrei potuto fargli compagnia comunque, se non fosse stato per te. E per questo non potrò mai ringraziarti a sufficienza. » Per un po' non disse nulla, spostando lo sguardo verso la finestra per osservare le chiome degli alberi scosse dal venticello primaverile. Ascoltò i cinguettii degli uccelli e il vociare del campus: una vita che adesso gli appariva così irreale e lontana da sé. E poi, dopo qualche minuto, riprese parola, continuando a guardare oltre il vetro. « Non fingerò di essere una vittima delle circostanze. So di non esserlo. E so di averti messa in una situazione ingiusta. » Non farò gli occhi da cucciolo per attirare la tua compassione. Non me la merito. E anche se fosse, io la compassione non l'ho mai voluta da nessuno. Solo i deboli e gli insicuri si fanno compatire. Non ti chiederò nemmeno di comprendermi, né tanto meno di perdonarmi. Non posso. Non mi spetta di chiederti nulla. « Quello che hai visto..è esattamente ciò che sembra. » Calcò l'avverbio inclinando leggermente il capo in avanti come a volerlo rafforzare. Inspirò una boccata d'aria, sentendo i muscoli attorno alla cassa toracica indolenziti dal movimento. « Quindi se non vuoi più avere a che fare con me, lo capisco. Non farò storie e ti lascerò in pace. » Fece una pausa. « Ma sappi che ti sono comunque debitore..e che mi dispiace davvero. » Non stava bluffando. C'era davvero un dolore profondo, sotterraneo, nel tono di voce con cui pronunciò quelle scuse. Ma eccolo comunque Raiden Yagami, quello vero: una persona che in meno di ventiquattr'ore aveva ucciso, estorto informazioni con la forza, che era stato avvelenato subendo atroci conseguenze e che al proprio risveglio non appariva affatto sconvolto, ma piuttosto ragionava con lucida freddezza. Questo battito cardiaco non indica nient'altro se non che io sia riuscito a sopravvivere per l'ennesima volta.


     
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    « Mi dispiace. Non sapevo di chi fidarmi. » Lo lasciò mangiare in silenzio, mantenendo lo sguardo fisso sulla finestra. A quel punto non sapeva quali immagini si distendessero effettivamente di fronte ai suoi occhi, né tanto meno sapeva cosa fare. Andarsene era una possibilità, una che aveva considerato diverse volte persino mentre Raiden stava ancora dormendo. Restare era un'alternativa che tuttavia sembrava tentarla in ogni caso; voleva sapere cosa avesse da dire, capire cosa era successo e soprattutto incontro a cosa era andata. Non sapevi di chi fidarti.. immagino che dovrebbe lusingarmi. Finalmente mi concedi qualcosa. Wow! Non poté fare a meno di sentirsi stupida. Aveva desiderato così tanto connettere con lui per ragioni che a tratti trovava persino irragionevoli, e ora che si trovava di fronte al fatto compiuto si sentiva come se fosse andata dietro a tutt'altra cosa, a tutt'altra persona. E' proprio ciò che vorresti vivere quando esci da poco con uno. Lui accasciato a terra, quasi morto e un fottuto cadavere nel suo armadio. « Sono venuti a cercarmi dal Giappone. Credo che una parte di me sapesse che prima o poi sarebbe successo. Non aveva senso lasciarmi in vita. Hanno solo aspettato che abbassassi un po' la guardia. » Tutto chiaro. Ora tutto mi è decisamente più chiaro. Lo stava sentendo, Mia, ma era come se non lo ascoltasse e seguisse fino in fondo. Continuava a ripercorrere con la mente gli eventi accaduti poche ore prima, quando lo aveva trovato steso sul pavimento; steso tra chiazze di sangue, freddo e pallido come foglio di carta. Riusciva ancora a percepire il panico che aveva provato, la paura di trovarsi di fronte a una situazione da cui non c'era via d'uscita. Mi hai messo tra le mani la tua vita, la possibilità di essere responsabile della tua morte. E se non fossi stata in grado di andare fino in fondo? Se avessi sbagliato le dosi? Se sull'orlo del panico non fossi stata in grado di fare ciò che dovevo fare? Non sono stata in grado nemmeno di vedere quel cazzo di foglietto; se non fosse stato per Gabriel, tu ora saresti in una sacca di plastica, pronto per l'autopsia. Causa della morte: incapacità di Mia Wallace di agire sotto pressione. In quegli istanti, Mia non aveva pensato a nulla. Aveva tenuto gli occhi cangianti puntati sulla ricetta, pestando, mescolando e roteando la bacchetta con movimenti da manuale, tentando di canalizzare tutta la sua concentrazione su quanto stesse facendo. La parte peggiore era arrivata nell'attesa. Quelle ore erano state infinite. Lo erano state finché non aveva capito che le venature scure si stavano ritraendo. E anche lì si era chiesta più e più volte se fosse stata abbastanza veloce, se l'antidoto era abbastanza forte e se fosse possibile che, in base ai tempi di azione, riportare ripercussioni a lungo termine. E' stata tutta fortuna. Niente di più. Non ero la persona giusta. « Era o me o lui, Mia. Ma avrei potuto fargli compagnia comunque, se non fosse stato per te. E per questo non potrò mai ringraziarti a sufficienza. Non fingerò di essere una vittima delle circostanze. So di non esserlo. E so di averti messa in una situazione ingiusta. » Era me o lui. Dovrebbe farmi sentire meglio? Probabilmente no. In fondo, il problema di Mia non era direttamente relegato solo ed esclusivamente al cadavere nell'armadio. Di certo non era stata un sorpresa piacevole; aveva tentato di dare un senso a quanto aveva assistito per tutta la mattina, ma ciò non cambiava l'esito di come si sentisse. Provava un senso di colpa irrazionale e irragionevole, che la stava lentamente portando alla consapevolezza di non essere affatto più pronta ad affrontare assolutamente nulla. Una foglia al vento in balia degli eventi; è così che si sentiva e così sembravano essersi svolti gli eventi al suo cospetto. Ho passato la vita a pensare che sono cresciuta in un ambiente che mi avrebbe preparato a qualunque cosa. Io dovrei essere pronta ad affrontare qualunque imprevisto. Eppure non è così. Nulla di ciò che ho vissuto mi ha preparato abbastanza da restare al passo. Sono una cazzo di vittima degli eventi. Sono stanca di essere una vittima degli eventi. Provava rabbia nei confronti della sua inettitudine e provava rabbia nei confronti di Raiden che l'aveva messa di fronte a quella consapevolezza. Era colpa di qualcuno nello specifico? Probabilmente no, e questo Mia riusciva a capirlo a livello subconscio. Ed è proprio per questo che mi fai incazzare. Non posso nemmeno prendermela con te. Non posso prendermela con nessuno, se non con me stessa. E non è giusto che io me la prenda con me stessa. Non è giusto che mi senta così in colpa. Non ho sbagliato niente. Volevo solo essere normale. E' davvero così sbagliato desiderare cose semplici? Voler dimenticare? Non pensarci? Soprattutto non ricordare. Perché in fondo, Mia non voleva ricordare. E quella situazione non aveva fatto altro che far riecheggiare i suoi incubi più nefasti, destabilizzando ogni suo tentativo di vivere come se niente fosse mai successo. Il Lockdown non è mai successo, io non sono stata altrove per più di un anno, la mia famiglia non è stata sterminata, io sono felice. Sto bene. « Quello che hai visto..è esattamente ciò che sembra. Quindi se non vuoi più avere a che fare con me, lo capisco. Non farò storie e ti lascerò in pace. Ma sappi che ti sono comunque debitore..e che mi dispiace davvero. » Silenzio, non disse niente, né sembrò più disposta di prima a spostare lo sguardo su di lui. Man mano che Raiden parlava, Mia aveva cominciato ad ascoltarlo con più attenzione, spostandosi di tanto in tanto sulla poltroncina, sfregandosi le mani, inumidendosi le labbra, sospirando. Azioni apparentemente scollegate rispetto al flusso delle sue parole. Giunse quindi in fondo al suo discorso completamente focalizzata sulle sue parole.
    Si passò le mani tremanti tra i capelli sospirando profondamente, mentre lo sguardo si spostava con veemenza dalla finestra sulla moquette, poi su piccoli dettagli insignificanti nella stanza. Il suo zainetto poggiato a terra, la giacca gettata sul letto, un portapenne sulla scrivania, e via così. Aveva gli occhi lucidi e il naso leggermente arrossato, come se avesse già pianto in precedenza e come se stesse facendo fatica a non ricominciare da capo. Lo sguardo scuro si posò infine sulle sue mani; aveva mancato una macchiolina di sangue all'altezza del polso, mentre cercava di eliminare le tracce del pessimo stato in cui lo aveva trovato. Aveva fatto bene, Mia; aveva trovato la ferita, l'aveva medicata e fasciata, aveva trovato il modo di farlo bere l'antidoto e si era assicurata che il sangue sulla pelle di lui non fosse suo. Ho fatto tutto giusto, e allora perché mi sento come avessi sbagliato tutto dall'inizio alla fine? Forse perché era convinta di essere stata chiamata a fare qualcosa che nemmeno lei era certa di poter fare. « Ce ne sono altri? » Chiede quindi di scatto dopo quella lunga pausa di riflessione, tempo in cui ha smesso di guardarlo. « Altri come lui.. » Altri che potrebbero fare le stesse cose. Tirò su col naso aggrappandosi ai braccioli della poltroncina raddrizzando la schiena come se stesse tentando di darsi un tono. Ma non ci riuscì; più che apparire come una persona in grado di metabolizzare in maniera controllata quanto accaduto, aveva l'aspetto di una mina vagante sul punto di esplodere. Non posso nemmeno parlarne con nessuno. Cosa dovrei dire alle mie amiche? Che sono sconvolta perché il tipo che mi scopavo ha ucciso un altro tipo? Lo stesso che a quanto pare era sul punto di fare secco lui. Dovrei dire loro che la responsabilità della vita o la morte di una persona mi è stata completamente scaricata senza che io potessi fare o dire nulla? Dovrei essere contenta, immagino.. ti ho salvato la vita. Ma io non volevo salvarti la vita. Non voglio salvare la vita di nessuno; la sindrome della crocerossina ha rotto il cazzo. Di scatto lo sguardo lucido di lei incontra quello di Raiden per la prima volta; se potesse lo incenerirebbe sul posto. « Perché ti sei fidato di me? » Gli chiede improvvisamente con voce tremante prima di mordersi l'interno delle guance, deglutendo. Si stringe le ginocchia al petto con più decisione, mentre sfida apertamente il suo sguardo dilaniato dal senso di colpa. Vorrebbe tornare sul discorso precedente, ma la verità è che non riesce a fare finta di nulla. « Spiegamelo. A parole tue. Perché vedi Raiden, se devo rischiare di avere una persona sulla coscienza, vorrei almeno sapere che cosa ho fatto di tanto.. importante.. da ritrovarmi in cima alla lista dei contatti di emergenza. » Tira su col naso e scuote la testa, sollevando la testa con fare piuttosto perplesso. « Noi non parliamo di niente. » E dicendo ciò conta sulle dita delle mani tutte le ragioni per cui non si capacità del suo comprotamento. E uno. « Tu non sai assolutamente niente di me.. » Pausa. « - ah no, non è neanche vero. Sai che faccio schifo a scuola.. e che faccio come mi pare. » E due. « E tu non mi dici assolutamente nulla di te, se non probabilmente le stesse cose che dici a Jeff e a chiunque altro. » E tre. Non si capacita del perché fosse stata messa di fronte a tutto ciò. Non c'è un solo motivo per cui questa cosa è avvenuta, non è vero? Non c'è. Avevi solo bisogno di qualcuno, e il qualcuno più vicino si dava il caso fossi io. Tanto lo sai che ci sono. Ti rispondo sempre ai messaggi alla velocità della luce come una ragazzina invasata, non vedo l'ora di venire da te e cerco ogni cazzo di scusa per starti appresso. Certo, deve essere proprio questo il motivo. Un motivo così del cazzo. Scuote la testa tormentandosi la mani. E' chiaro stia cercando di dare un senso a tutta quella situazione, senza tuttavia riuscirci fino in fondo. Se da una parte sa che senza di lei Raiden non ce l'avrebbe fatta, dall'altra non vuole capire per quale motivo sia toccato proprio a lei. « Cosa avrei dovuto fare se fossi morto? » Sono davvero l'unica persona a non essere contenta di fare l'eroina della situazione? Sono davvero l'unica persona a non voler essere utile, a non sentire la necessità di sentirsi dire "ti sono debitore"? « Spiegamelo! Cosa avrei dovuto fare io se mentre ero qui, tu.. » Si ferma di colpo mentre sente scendere una solitaria lacrima sulla guancia sinistra che tenta di scacciare in fretta furia, intenzionata a non abbandonarsi alle lacrime. Mia non piange; non ha mai pianto, né si è mai sentita a suo agio nel farlo di fronte agli altri. Persino quando ha appreso della morte dei suoi cari, è rimasta pietrificata, senza mai versare una sola lacrima in pubblico. Continuo a pensare a quanto eri freddo. A quanto erano brutte quelle scie scure sulla tua pelle. « E poi questa roba.. » Gli indica l'armadio sbraitandogli contro. « ..era me o lui, Mia. Grazie al cazzo Raiden! Dovevi però ammazzarlo per forza? » Abbassa la voce, nonostante il tono si alzi di almeno due ottave. « Ora sono complice di un fottuto omicidio. Semplicemente perché ero la persona più vicina e più reperibile. Mi dà sul culo, se permetti! Mi monti su un casino per una cazzata, e poi mi chiami a starti al capezzale mentre stai tirando le cuoia. No! Hai ragione: non è giusto! » Praticamente visto che sono una grandissima cogliona che si è presa una sbandata per un tipo di cui non sa una sega, ora mi tocca tornare a prendere chissà quale tranquillante per cavalli per riprendermi. Iniziava a capire cosa lui intendesse un paio di settimane prima. Eppure non pensavo fosse così. Non pensavo di doverlo necessariamente vedere. Quelli come noi hanno sempre brutte storie. Credevo però avessimo superato il momento in cui volevamo effettivamente renderci partecipi l'uno della vita dell'altro. « Non me ne faccio niente delle tue scuse! » Disse infine lapidaria, mentre gettava l'accendino stretto tra le mani alle sue spalle. Quest'ultimo gli sfiorò appena la spalla, prima di rimbalzare contro la parete atterrando con un tonfo sul letto. Intreccia le dita tra i propri capelli ispirando ed espirando profondamente. Sto per impazzire, cazzo. Sto seriamente per impazzire. Non riesco a capire un cazzo. Ed effettivamente si sentiva del tutto fuori controllo. Le ci sarebbe voluto del tempo prima di metabolizzare tutto quanto, prima di scendere a patti con quanto era accaduto. Alzò gli occhi al cielo, mentre un sorriso sarcastico si estendeva sulle sue labbra. Ne stiamo veramente parlando con un fottuto cadavere nell'armadio. Pare un cazzo di scherzo. Scocca la lingua contro il palato e ispira a fondo. Per quanto ne sai potrei chiamare gli Auror seduta stante. Potrei denunciarti. Vorrei denunciarti. A quel punto non potresti andare da nessuna parte.. almeno per un po'. Tutti i tuoi sogni di gloria infranti per colpa di una signora nessuna. Vorrebbe dirglielo. Metterlo con le spalle al muro. Ma sa ,Mia, in fondo, che tutto ciò non farebbe altro che farla passare dalla parte del torto. Non lo denuncerebbe in ogni caso, non in quelle circostanze. Non considerate le circostanze. E poi comunque.. la legge dei maghi, lo sappiamo tutti, non è la nostra legge. « Vaffanculo te e il tuo debito! » Di scatto tutto quel gorgoglio di frustrazione sembra risalire fino a farle esplodere la rabbia nelle vene. Si preme le dita sugli occhi e respira faticosamente, prima di scattare in piedi dirigendosi verso la porta del bagno che sbatte alle proprie spalle con sin troppa forza. Non ha voglia di piangere davanti a lui; nel buio del bagno, tuttavia, chiusa la porta a chiave, ruota il rubinetto dell'acqua fredda per coprire i propri singhiozzi e scoppia a piangere, accasciandosi a terra. Io ti odio, Raiden. Ti odio da morire. Non sarebbe uscita per diverse ore, addormentandosi infine sul pavimento con un pesante mal di testa che sembrava far scoppiare le sue tempie. Non seppe dire cosa stesse succedendo oltre quella porta per diverso tempo. Capì fosse già passata da un po' l'ora di pranzo quando il cellulare le vibrò nella tasca dei jeans. L'ennesimo messaggio di Ronnie che le chiedeva che fine avesse fatto. Avrebbe voluto chiamarla, chiederle di vedersi in un posto tranquillo, e invece tutto ciò che fece fu rispondere di star bene e che l'avrebbe chiamata dopo. Penserà che sto scopando. Mai cosa fu più falsa, amica mia. Di questo passo non la do mai più. Spento il telefono, lo appoggiò sul lavandino decidendo di gettarsi sotto la doccia, disinteressandosi completamente a quanto stesse accadendo fuori oltre la porta. Per quale ragione fosse ancora lì, non lo sapeva nemmeno lei. Una parte di sé si raccontava che, voleva essere certa che l'antidoto avesse fatto completamente effetto, prima di andarsene. L'altra, sapeva che una volta uscita, non sarebbe più tornata. Ci mise più tempo del solito a lavarsi, avvolgendosi addosso un grosso asciugamano, per poi uscire finalmente dal bagno con uno sguardo assente e due occhiaie di tutto rispetto. Si appoggiò allo stipite della porta con uno sguardo vacuo, schiarendosi la voce. « Mi puoi prestare dei vestiti per favore? » Un tono apparentemente indifferente, mentre inizia ad asciugarsi i capelli con l'ausilio della bacchetta. Stavano lentamente riprendendo una sfumatura più bluastra, seppur fossero decisamente più scuri rispetto alle ultime settimane. Resta lì per diverso tempo con lo sguardo basso e la netta sensazione di star varcando una soglia pericolosa. Non vuole averci niente a che fare, né vuole sapere più del dovuto, eppure eccola lì, intenta a superare ogni suo limite di buona condotta. Gli ho appena chiesto dei vestiti. E ha un cadavere nell'armadio. Benissimo. Mia Wallace stai diventando una cazzo di psicolabile. « Che cosa intendi fare con.. » Il cadavere.


     
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    « Ce ne sono altri? Altri come lui.. » Distolse lo sguardo dal vetro, posandolo su quella mano che penzolava ancora esanime. Quanto poteva dirle? Il coinvolgimento di Penelope nella situazione gli rendeva difficile gestire quella domanda senza rischiare di essere sorpreso a mentire o di coinvolgere la Shigeko in quell'equazione. Mia conosce me. Non Penelope. Di lei non sa nulla. Scegliere di affidarle la mia vita e questo segreto non può andare a ricaduta anche su qualcun altro. Allo stesso tempo, però, sentiva di dovere alla Wallace quanto meno la verità. E quindi sospirò, annuendo. « Una, che io sappia. È da lei che ho avuto la ricetta per l'antidoto. » Ho avuto - un modo piuttosto vago per riassumere le circostanze in cui aveva ottenuto tali informazioni. Spostò lo sguardo su Mia. « C'è un'altra persona come me..nel campus. » spiegò, fissandola in volto nella speranza che lei non gli chiedesse di fare nomi. Ho già detto a sufficienza. Avrebbe fatto del proprio meglio per coprire la Shigeko, un po' perché quel passato nell'esercito che aveva scoperto di condividere con lei li aveva necessariamente resi complici, e un po' perché l'istinto lo portava a fidarsi di lei pur senza averne davvero grandi motivazioni. « Perché ti sei fidato di me? » E infatti sarebbe stata proprio Penelope quella a cui si sarebbe affidato per l'ingrato compito che aveva rigettato sulle spalle di Mia, ma la bionda doveva occuparsi dei suoi di problemi: di Aki, nello specifico, che non poteva essere certo lasciata da sola. E così il campo si era necessariamente ristretto: non solo aveva bisogno di una persona di cui si fidasse, ma anche di qualcuno che potesse contattare senza lasciarsi tracce alle spalle, che si trovasse nelle vicinanze e che avesse accesso a ingredienti piuttosto rari. Mia Wallace era l'unica persona che rispondesse a tutti quei criteri. Tutti quei ragionamenti si erano dipanati nella mente del ragazzo in maniera immediata, veloce come solo un pensiero improntato alla sopravvivenza poteva essere. « Spiegamelo. A parole tue. Perché vedi Raiden, se devo rischiare di avere una persona sulla coscienza, vorrei almeno sapere che cosa ho fatto di tanto.. importante.. da ritrovarmi in cima alla lista dei contatti di emergenza. » La guardò, senza dire nulla, conscio del fatto che se le avesse risposto in maniera logica, contando sulle dita di una mano tutte quelle ragioni per cui lei fosse la persona di cui più potesse fidarsi in quel frangente, probabilmente avrebbe solo peggiorato la situazione. Il nervosismo di Mia era evidente, e di certo il fatto che Raiden si potesse mostrare ben poco scosso da quegli eventi non avrebbe sortito l'effetto di tranquillizzarla. Quindi rimase in silenzio, piegando leggermente il capo. Si sentiva sconfitto in partenza, gravato da un senso di colpa che non poteva far nulla per risolvere. Io non la volevo questa vita, Mia. A un certo punto l'ho scelta, ma non l'ho mai voluta. Non ho mai sentito il desiderio di circondarmi di morte e trascinare a fondo con me chiunque mi si facesse solo un po' vicino. Tutto ciò che tocco si sgretola. « Noi non parliamo di niente. Tu non sai assolutamente niente di me..ah no, non è neanche vero. Sai che faccio schifo a scuola.. e che faccio come mi pare. E tu non mi dici assolutamente nulla di te, se non probabilmente le stesse cose che dici a Jeff e a chiunque altro. » Non ci provò nemmeno a difendersi, a ribattere o anche solo dare un'altra versione rispetto a quella che Mia stava dipingendo. Non lo fece perché, molto semplicemente, le parole della Wallace corrispondevano alla realtà dei fatti. Loro non parlavano di nulla se non di superficialità, cose che scalfivano a malapena la superficie delle loro essenze. Raiden aveva scelto di condividere con lui solo alcune parti di sé, le migliori, quelle che lo rendevano più spensierato e gradevole al prossimo. Che altro dovrei fare, d'altronde? Secondo te, Mia, potrei connettere con qualcuno se mostrassi la mia realtà? Non avrei nessuno, né amici, né conoscenti. Perché nessuno potrebbe capire - ed è anche giusto che sia così. Io non voglio essere capito. Sperare che qualcuno mi capisca significa sperare di trovare qualcuno che sia altrettanto spezzato, che abbia visto e vissuto le stesse crudeltà che ho visto e vissuto io. E questo, per quanto mi faccia sentire solo, non lo auguro a nessuno. Sentirmi incompreso è l'unica cosa che mi dà speranza - ed è un sentimento così amaramente assurdo che non riuscirei nemmeno a spiegarlo come si deve. « Cosa avrei dovuto fare se fossi morto? Spiegamelo! Cosa avrei dovuto fare io se mentre ero qui, tu.. » I tratti di Raiden andarono a dipingere sul suo viso un'espressione di dolore quando si rese conto che Mia stava piangendo. Ancora. Ebbe un tuffo al cuore, e una parte di lui desiderò fregarsene di qualunque ragionamento logico, alzarsi dal letto per andarle incontro e abbracciarla, facendola sfogare come più preferiva. È già la seconda volta che ti faccio piangere. Lo vedi? Lo capisci adesso perché ti ho fatto quella domanda? Per questo, Mia. Perché non c'è altra strada, non c'è realisticamente un altro modo in cui possa andare. E io non voglio farti piangere ancora, non lo sopporto. Distolse velocemente lo sguardo, frustrato dal crescente senso di colpa che sentiva montargli nel petto. Strinse la stoffa del lenzuolo con le dita di entrambe le mani e serrò la mascella, esercitando tutto il controllo che aveva per frenarsi dal seguire ciò che gli dettava l'istinto. Cosa ne otterrei? Alle brutte ti farei solo incazzare di più, mentre alle belle finirei per rendere ancor più difficile il distacco. Non c'è modo di vincere. Posso solo starmene in silenzio e sopportare, sperando che quando tutto sarà finito tu riuscirai pian piano a tornare alla tua normalità. « E poi questa roba..era me o lui, Mia. Grazie al cazzo Raiden! Dovevi però ammazzarlo per forza? » No, non doveva ammazzarlo per forza. Avrebbe potuto metterlo K.O. e obliviarlo - e quello, a conti fatti, era stato il suo piano iniziale. Quando gli aveva bloccato le vie respiratorie col braccio, Raiden aveva in mente un piano specifico: togliergli l'aria che bastava a fargli perdere conoscenza, portarlo da qualche parte per interrogarlo e poi obliviarlo. Ma Kunisada era riuscito a prendere il coltello e piantarglielo nella coscia. E lì, Raiden aveva reagito unicamente sotto la spinta dell'istinto di sopravvivenza, spezzandogli il collo con un movimento veloce e preciso per evitare che i ruoli si invertissero e che fosse lui, quello a finire in una sacca da morto. Al campo d'addestramento non me lo hanno mai detto per ovvie ragioni, ma quando ho iniziato a fare carriera sì. Un talento naturale. Era questo che i maestri dicevano di me, al campo, quando non ero a portata d'orecchio. Me ne hanno messo a parte solo tempo dopo, quando ho iniziato a prendere le mie prime medaglie. Ero sporco di sangue e i corridoi di Mahoutokoro non erano ancora stati ripuliti dai cadaveri dei soldati sacrificati che avevamo fatto fuori. Lì fu la prima volta che me lo sentii dire. Non fu da un'alta carica, ma dal ragazzo che ci aveva guidati, poco più grande di noi e con un addestramento più lungo alle spalle. Mi si avvicinò, grondante di sangue e sudore, e mi mise una mano sulla spalla con un sorriso. Un talento naturale, impressionante, di quelli che si vedono raramente. Lo presi come un complimento, forse perché all'epoca non avevo nient'altro nella mia vita se non quello, e ormai mi ero disabituato a lodi o riconoscimenti. Ero bravo in qualcosa. In quella cosa. E lo ero in maniera straordinaria. Su due piedi non mi venne da riflettere molto su cosa ciò comportasse, su cosa ciò mi rendesse. Ero il migliore in qualcosa, e questo era tutto ciò che contava. « Ora sono complice di un fottuto omicidio. Semplicemente perché ero la persona più vicina e più reperibile. Mi dà sul culo, se permetti! Mi monti su un casino per una cazzata, e poi mi chiami a starti al capezzale mentre stai tirando le cuoia. No! Hai ragione: non è giusto! Non me ne faccio niente delle tue scuse! Vaffanculo te e il tuo debito! » Non si azzardò a dire nulla, chinando il capo in silenzio. Nemmeno si mosse dal letto. A quel punto era piuttosto certo che Mia desiderasse solo andarsene, e sebbene la parte più emotiva di lui avrebbe voluto trattenerla accanto a sé, la restante parte sapeva quanto ingiusto sarebbe stato da parte sua chiederle una cosa del genere. L'avrebbe lasciata andare senza fare storie, sparendo il più possibile dalla sua vita per evitare che qualcosa del genere si ripetesse di nuovo, o anche solo che l'averlo sotto gli occhi le ricordasse ciò a cui l'aveva costretta. Quando Mia si alzò dalla poltroncinca, Raiden prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi e preparandosi a sentire il rumore della porta d'ingresso che sbatteva come nota di chiusura di qualunque cosa ci fosse stata tra loro. Ma a sbattere, invece, fu la porta del bagno. Rimase interdetto per qualche istante, fissando quel punto della stanza in silenzio, come se si aspettasse che qualcosa accadesse da un momento all'altro. Ma passarono svariati minuti e non successe nulla. A quel punto Raiden si alzò piano dal letto, un po' a fatica, raggiungendo la porta per poggiarvi l'orecchio e battervi piano le nocche. « Mia? » chiese in un sussurro. Nessuna risposta. Sospirò, passandosi una mano sul volto e tra i capelli mentre scivolava piano con la schiena contro il muro, sedendosi a terra a fissare quella mano che penzolava ancora dalle ante. Rimase così per qualche istante, come catatonico, prima di alzarsi in piedi meccanicamente e cercare la bacchetta. Ingerire una pozione ricostituente fu la prima cosa che fece per permettere così al proprio corpo di riacquistare le forze necessarie ad affrontare ciò che aveva di fronte a sé. A quel punto, quindi, impugnò la bacchetta e si castò un incantesimo curativo più potente sulle mani, guarendole del tutto. « Ehy..no! » bisbigliò, prendendo di peso il gatto che aveva iniziato a strusciarsi contro la mano di Kunisada. Lo spostò sulla poltroncina, fornendogli la coperta su cui si accoccolava solitamente, per poi avvicinarsi all'armadio e aprirlo del tutto. L'ex compagno cadde ai suoi piedi a peso morto, con gli occhi sbarrati che lo fissavano esanimi. E Raiden li fissò di rimando, senza alcuna espressione. « Bel casino. » La voce di Eriko, apparsa a braccia conserte al suo fianco, non sembrò granché turbata dalla visione. « Eufemismo dell'anno. » disse, tirando un sospiro prima di chinarsi sulle ginocchia per esaminare i vestiti del ragazzo. « Li usate ancora i localizzatori? » « Certo. Sono in tutte le uniformi. » Alla grande. Se non mi ritrovo una squadra in camera per l'ora di cena potrò ritenermi molto fortunato. Prese quindi a svestire il cadavere con una certa fatica, lasciandogli addosso solo la biancheria e appallottolando il resto per gettarlo nel secchio. « Reducto. » La tenuta si incenerì all'istante, lasciando sul fondo del cestino nient'altro che polvere. E un problema è risolto. « Comunque cerca di vedere il lato positivo della tragedia. » Raiden aveva già le braccia sotto le ascelle di Kunisada quando scoccò un'occhiata ad Eriko, interrogandola con uno sguardo laconico. « Ah ce ne sarebbe uno? » Lei si strinse nelle spalle, rigirandosi tra le dita l'accendino di Mia. « La ragazza non soffrirà quando te ne andrai. Cioè..con questo è taglio netto, niente più zone liminali. » La ragazza: era così che Eriko la chiamava. Non aveva mai pronunciato il nome di Mia, forse perché non voleva darle importanza. Per un istante Raiden rimase a fissarla in silenzio come a volerle chiedere se facesse sul serio, ma di rimando Eriko non batté ciglio. Ah sei proprio seria. Wow. Ora sì che mi hai sollevato l'umore. « Se non ci fossi tu a portare positività, eh? » commentò sarcastico, con un tono tagliente, prima di trascinare il cadavere di Kunisada verso lo sgabuzzino in cui teneva alcuni attrezzi per le pulizie. Lo chiuse lì, liberando così l'armadio per potersi mettere addosso qualcosa. A quel punto bussò nuovamente alla porta del bagno, ma nel non ricevere risposta, decise di buttare giù qualche riga su un foglietto che lasciò sulla scrivania sgombra. Tuttavia, una volta impugnata la penna, ci ripensò, scuotendo il capo e lasciando perdere. Che la avverto a fare? Probabilmente non aspetta altro che io me ne vada per avere la via libera e fare altrettanto. Sospirò, uscendo dalla stanza per bussare a quella di Jeff, chiedendogli in prestito la doccia con la scusa che la sua si era rotta. L'amico non sembrò fargli troppe domande, riempiendolo piuttosto di paturnie riguardo la litigata con Delilah della sera prima e rimproverandogli il fatto di avergli sbattuto il telefono in faccia. A riguardo, Raiden si comportò in maniera del tutto normale, senza cambiare di una virgola rispetto a ciò che avrebbe detto e fatto in circostanze più serene. Si fece quindi la propria doccia e scese poi in cucina, preparandosi una ciotola di noodles ai funghi che consumò lì prima di tornare in camera. A quel punto Raiden era piuttosto convinto che Mia se ne fosse andata, ma gli bastò varcare la soglia della stanza per rendersi conto che la Wallace fosse ancora lì. Giacca e zainetto non erano stati mossi di un millimetro e prima che lui potesse muovere un passo verso la porta del bagno, la serratura scattò, rivelando la figura della mora avvolta da un'asciugamano. Non disse nulla, guardandola in silenzio come a voler comprendere quale fosse il suo umore e - soprattutto - per quale ragione fosse ancora lì. « Mi puoi prestare dei vestiti per favore? » Rimase interdetto per alcuni brevi istanti, annuendo poi in un cenno meccanico. Ruotò sui tacchi, aprendo l'armadio per estrarne una t-shirt, una felpa e un paio di pantaloni scuri della tuta. Piegati in maniera precisa, Raiden li impilò uno sull'altro, avvicinandosi poi a Mia per porgerglieli con un sorriso tiepido e un po' tirato. Non le chiese nulla, ma era evidente che i suoi occhi la seguissero con fare guardingo, cercando di studiarne movimenti ed espressioni al fine di comprendere il motivo che la tratteneva ancora lì. « Che cosa intendi fare con.. » Fu un impulso naturale, quello che lo portò a sollevare un sopracciglio. Tuttavia la sua espressione riprese subito una piega più neutrale mentre si passava una mano tra i capelli, umettandosi le labbra con un certo nervosismo. « Lo seppellirò stanotte. » Eriko aveva suggerito di farlo a pezzi e portarlo in un borsone nella foresta proibita, ma Raiden aveva deciso diversamente. « Ho preso a noleggio una macchina babbana per quarantott'ore. Sul tardi lo farò uscire dalle scale antincendio e lo porterò in qualche bosco fuori dal campus. » Ci aveva pensato: era la cosa migliore con i mezzi che aveva. Le diede quelle spiegazioni senza guardarla in volto, tenendo piuttosto le iridi puntate sui propri piedi, ai quali il gatto si stava strusciando, facendo le fusa. Sospirò, chinandosi per lasciargli una leggere carezza prima di aprire un'altra anta dell'armadio ed estrarne la busta di croccanti. Ne versò alcuni nella ciotolina, e l'animale accorse con dei versetti felici, preoccupandosi di accostare la testolina alle sue gambe in segno di ringraziamento prima di riempirsi lo stomaco. Un piccolo sorriso andò a stendersi sulle labbra del giovane, millimetrico ma genuino. A quel punto, tornati nel silenzio, Raiden si decise finalmente a riportare le iridi in quelle di Mia, fissandola per qualche istante senza dire nulla. Il ricordo delle lacrime di lei tornò a farsi spazio prepotentemente nella sua memoria, obbligandolo a distogliere nuovamente lo sguardo e superarla, tirando su col naso. Se ne stava a distanza di sicurezza, muovendosi nervosamente nella stanza per spostare questo o quell'altro oggetto come se ci fosse davvero qualcosa da mettere in ordine. Quando il disordine, a ben vedere, c'era solo nell'accavallarsi dei pensieri all'interno della sua testa. « È vero che non so nulla di te e che non parliamo di niente.
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    Ma io non parlo di niente con nessuno, perché altrimenti è questo ciò che dovrei dire. Dovrei dire alle persone che l'unica giustificazione alla mia esistenza è che di gente come Kunisada ce ne sta fin troppa. »
    Si avvicinò al letto, tirando su le coperte per rimetterlo in ordine in un moto di nervosismo, come se rendere lo spazio della sua stanza impeccabile potesse in qualche modo dare un senso anche a ciò che provava, facendogli al contempo dimenticare che aveva un morto nello sgabuzzino. « E allora sarei più solo di quanto già non lo sia. » Non avrei nemmeno più con chi parlare di superficialità. Non avrei nulla. E ho perso abbastanza. Ho perso tutta la mia vita. « Perché nessuno vuole ritrovarsi questa merda nella vita. » Batté la mano sul cuscino, schiaffandolo poi al proprio posto e ricoprendolo col lenzuolo. « Quindi io non ho un legame vero con nessuno, qui. Non l'ho voluto per queste esatte ragioni e perché so che dovrò tornare indietro, quando arriverà il tempo, per far sì che quanto meno chi verrà dopo di me non si ritrovi a fare la stessa vita di merda che ho fatto io. » Solo così riusciva a parlarne: dandole le spalle, tenendosi indaffarato come a volersi convincere che stesse in realtà parlando da solo. E infatti si spostò subito verso il bagno, spalancando la porta e prendendo uno strofinaccio da dietro lo specchio per cominciare a spannare il vetro. « Odio averti coinvolta, perché è ingiusto. Ed è l'ennesima ingiustizia che porto nel mondo. Ma al di là dei tecnicismi, di te mi sono fidato perché qualcosa di vero l'abbiamo condiviso, anche se non ne abbiamo mai parlato. » Fece una pausa. « E forse non voglio farlo. Ma tanto ormai sono qui, no? Ormai la frittata è fatta. Sto spannando un cazzo di specchio dopo una nottata che avrebbe mandato al CIM chiunque altro al posto mio. » Puliva quella superficie con foga, concentrandosi ossessivamente su una macchiolina che non sembrava volersene andare. « E tutto questo perché proprio - non - voglio - saperne - di - morire, cazzo! » scandì quelle parole accompagnandole una ad una con un gesto secco della mano sul vetro, riuscendo finalmente a pulire quella piccola macchietta insulta. Gettò con rabbia il panno nel lavandino, nascondendo il viso in una mano e chiudendo le palpebre per prendere dei respiri profondi. Uno. Due. Tre. È sempre quello il nocciolo. Che io non ce la faccio, a lasciarmi morire. È più forte di me. Anche a discapito di tutto il resto, anche a costo di trascinare a fondo tutti gli altri, io continuo a lottare per stare attaccato a una vita che ormai non è più nient'altro se non mera sopravvivenza. Non ho un cazzo per cui vivere, ma continuo a farlo lo stesso, aspettando qualcosa che non so nemmeno quando o se mai arriverà. « Wow.. » disse piano, sbuffando una risata dalle narici mentre le sue labbra andavano a incurvarsi in una linea amara. « ..mi sto lamentando. Con te. » Ne sbottò un'altra, di risata, un colpo solo, ancor più amaro di prima. Complimentissimi, Raiden. A passi più misurati ritornò quindi sull'uscio della porta che divideva la stanza dal bagno, incrociando le braccia al petto mentre riassumeva una postura e un'espressione controllate. « Dimmi solo cosa vuoi fare. Vuoi che ti oblivi? Vuoi che sparisca dalla circolazione? » Scosse appena il capo, freddamente. « Dimmelo e sarà fatto. » Così ti lascerò libera dalla mia presenza e io, dal canto mio, tornerò alle mie miserabili occupazioni.


     
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    Furono gesti meccanici quelli che la portarono a liberarsi dell'asciugamano, iniziando a infilarsi velocemente i vestiti che Raiden le aveva prestato. Non sentì il bisogno né di cercare il riparo del bagno, né tanto meno di coprirsi. Lo fece con la stessa naturalezza con cui l'avrebbe fatto nell'intimità dei suoi spazi personali, attendendo quasi sovrappensiero una risposta da parte sua in merito a quanto intendeva fare del morto che, a ben guardare non penzolava più oltre l'anta dell'armadio. Non fu certa di voler chiedere, tanto meno di voler sapere, eppure, quella domanda la fece comunque.. Combatteva tra la voglia di scappare senza guardarsi indietro e la necessità di restare per cause e motivazioni che le apparivano a tratti estremamente irragionevoli e stupide. Sta bene. Circa. Immagino che il mio lavoro qui è terminato. Ora posso tornare alla mia vita, fare finta di non averlo mai conosciuto. Forse dopo un po' dimenticherò anche, così come ho dimenticato tante altre cose. Sono brava a dimenticare. Posso farcela anche questa volta. Eppure, a giudicare dalla lentezza con cui aveva iniziato a infilarsi i pantaloni della tuta, osservandone i dettagli inesistenti, la realtà sembrava completamente differente. « Lo seppellirò stanotte. Ho preso a noleggio una macchina babbana per quarantott'ore. Sul tardi lo farò uscire dalle scale antincendio e lo porterò in qualche bosco fuori dal campus. » Si fermò per un istante mentre si infilava la maglietta, osservandolo con un'espressione apparentemente neutra. Sollevò un sopracciglio e sospirò; era chiaro avesse difficoltà a stare al passo con quel suo avere già un piano e la certezza matematica di cosa fare. Hai anche avuto il tempo di noleggiare un'auto. Allora hai proprio pensato a tutto. Restò interdetta per qualche istante, prima di inumidirsi le labbra tornando a quel rituale di vestizione, meccanico e meticoloso. Una veloce occhiata andò a pararsi sul gattino ai suoi piedi. Quell'esserino gli voleva sin troppo bene, e in cuor suo per un istate, Mia si chiese se l'animaletto potesse comprendere cosa il suo padrone aveva fatto la notte prima. La sua lealtà era tale nonostante tutto, oppure i gatti erano semplicemente stupidi? Stiamo parlando di cadaveri con un gattino tra le gambe. Una sorta di humor noir, che lasciò Mia in uno stato confusionale. Io non so proprio cosa dire. Davvero, ho finito le parole. Ed effettivamente non disse niente, curandosi piuttosto di indossare la felpa, e iniziare a ripiegare i vestiti del giorno prima con cura, riponendoli sulla scrivania, in attesa di infilarli all'interno dello zaino. « È vero che non so nulla di te e che non parliamo di niente. Ma io non parlo di niente con nessuno, perché altrimenti è questo ciò che dovrei dire. Dovrei dire alle persone che l'unica giustificazione alla mia esistenza è che di gente come Kunisada ce ne sta fin troppa. » Abbassò lo sguardo, Mia, sospirando. Non era certa di voler parlare, a quel punto. Dopo il sonnellino scomodo sul pavimento del bagno, si sentiva se possibile più stanca di prima. Aveva un dolore persistente alla spalla, e voleva solo restare in silenzio, possibilmente pensare senza essere interrotta. Tuttavia, non lo interruppe. Andò a sedersi sulla poltroncina, avvicinando la scatola di donuts che aveva ordinato quella mattina, estraendone una. La osservò da ogni angolazione, mentre il ragazzo parlava, dandole infine un morso che aveva tutta l'aria di voler azzannare il povero dolce con cattiveria. Masticò silenziosamente, puntando lo sguardo sul pavimento, osservando solo di tanto in tanto i movimenti di lui. Il gattino, finito il suo pasto, andò a strusciarsi contro la sua gamba, prima di saltarle gioiosamente sulle gambe, iniziando a fare le fusa. E in quel momento, per quanto tentasse di mantenere il muso duro, Mia stirò un leggero sorriso, accarezzando con gentilezza il suo manto grigio, dandogli modo di appollaiarsi lì sulle sue gambe. Staresti un sacco simpatico a Ringo. « E allora sarei più solo di quanto già non lo sia. Perché nessuno vuole ritrovarsi questa merda nella vita. » Scosse la testa passandosi la mano tra i capelli, continuando a masticare sempre meno convinta, come se un nodo allo stomaco le avesse chiuso di colpo l'appetito. « Quindi io non ho un legame vero con nessuno, qui. Non l'ho voluto per queste esatte ragioni e perché so che dovrò tornare indietro, quando arriverà il tempo, per far sì che quanto meno chi verrà dopo di me non si ritrovi a fare la stessa vita di merda che ho fatto io. » Strinse i denti, Mia, tornando ad accarezzare il manto del gattino che chiuse gli occhi strusciando la testolina contro il palmo di lei. « Beh che dire. Il ragionamento non fa una piega. Piano riuscitissimo. » Commentò a bassa voce con un tono leggermente piccato. Scoccò la lingua contro il palato e abbassò lo sguardo, consapevole di quanto poco le andasse giù tutto quel discorso. Posso capire che tu abbia deciso di non condividere determinate cose con Jeff, Delilah, Bartosz e Tahira, ma non posso accettare che tu abbia deciso di tagliare completamente fuori noi altri. Ti comporti come se tu non fossi come quelli che vivono qui da un po'. Sei arrivato a Inverness come un turista. Mi sembra assurdo che in tutto questo tempo non ti sia nemmeno venuta la curiosità di provare a conoscere i tuoi simili a Nord. Realizzava piano piano, Mia, che Raiden la vedeva come una sua simile solo all'interno di quel complesso universo che avevano costruito all'interno dello studentato. Tutto il resto non veniva contemplato, oppure se veniva contemplato forse per lui non aveva la stessa valenza rispetto alle sue esperienze. Viveva nella sua dimensione, crogiolandosi nell'errata quanto distorta consapevolezza che qualunque cosa ci fosse oltre il Giappone non poteva essere minimamente paragonato a tutto ciò che i suoi compagni d'armi vivevano. E forse è vero. Ma è vero solo in parte. La nostra dose di merda, l'abbiamo avuta tutti. Ed io, da tua pari, non ho bisogno di essere protetta dalle personalità e dalle esperienze di nessuno, tanto meno dalle tue. Ti avrei dato una mano se avessi avuto la lungimiranza di vedermi non solo come la tipa che ti scopi quando non hai altro di meglio da fare. Seguì i suoi movimenti con la coda dell'occhio, prendendo una seconda ciambella ricoperta di glassa alle fragole. Se la girò tra le mani dita, mentre il musetto del gatto ne tastava la consistenza, prima di volgere lo sguardo disgustato dall'altra parte. Lo so.. anche io avrei voglia di cibo vero a questo punto. « Odio averti coinvolta, perché è ingiusto. Ed è l'ennesima ingiustizia che porto nel mondo. Ma al di là dei tecnicismi, di te mi sono fidato perché qualcosa di vero l'abbiamo condiviso, anche se non ne abbiamo mai parlato. » Si fermò dal masticare a metà dell'opera, con una voglia matta di gettare quella dannata ciambella fuori dalla finestra e Raiden assieme a lei. La frustrazione tornò ad abitare i suoi pensieri, la consapevolezza di trovarsi di fronte a una situazione complicata che non aveva affatto creato lei. « E forse non voglio farlo. Ma tanto ormai sono qui, no? Ormai la frittata è fatta. Sto spannando un cazzo di specchio dopo una nottata che avrebbe mandato al CIM chiunque altro al posto mio. » Figurati se vuoi parlarne. Non vuoi mai parlare di un cazzo. « E tutto questo perché proprio - non - voglio - saperne - di - morire, cazzo! » Alzò gli occhi al cielo, consapevole del fatto che non potesse vederla. I rumori molesti della pezza contro lo specchio però, furono abbastanza eloquenti da darle una panoramica piuttosto completa su come si sentisse. « Tranquillo, possiamo continuare a leggerci metaforicamente nel pensiero. Non dobbiamo mica parlarne. » Fu l'unica risposta sarcastica proveniente dalla stanza, mentre gettava metà ciambella nella scatola, ripulendosi le mani dello zucchero in eccesso. Avvicinò il viso alla schiena del gattino, strofinando il nasino contro il suo pelo morbido, prima di sollevarlo, lasciandogli la postazione in poltrona. Attraversò la stanza per appoggiare la spalla contro il muro in una posizione da cui poteva scrutare senza problema alcuno lo stretto ambiente del bagno. Abbassò lo sguardo nel vederlo in quello stato: chino sul lavandino, una mano a nascondergli il viso, la tensione a mille. « Wow.. mi sto lamentando. Con te. » Annuì Mia, spostando lo sguardo rammaricato di lato, quasi non volesse fargli percepire tutto il dispiacere che provava. « Già. » Il suo fu un sussurro appena percettibile, che fuoriuscì dalle sue labbra istintivamente. Non sarebbe stato forse più semplice fare questa conversazione senza un cadavere nell'armadio e senza innumerevoli sensi di colpa? Probabilmente sì, ma a quel punto, la frittata era fatta, appunto. « Dimmi solo cosa vuoi fare. Vuoi che ti oblivi? Vuoi che sparisca dalla circolazione? Dimmelo e sarà fatto. » Soffiò nervosamente, Mia, stringendo i denti e osservandolo con disapprovazione, corrugando la fronte e incrociando le braccia al petto. Per qualche sitante ebbe persino difficoltà a metabolizzare quell'ultima richiesta. Ma stai facendo sul serio? Io ti lancio giù dal quarto piano, cazzo! « Tu proprio non ce la fai vero? » Chiese di scatto sbottando un po' troppo energicamente. « A non lanciare il sasso e nascondere la mano. » Scosse la testa inumidendosi le labbra. Si massaggiò le fronte, chiudendo per un istante gli occhi per richiamare a sé tutta la pazienza di cui non aveva mai disposto. « Sei ridicolo, Raiden! E' questo il tuo modo di affrontare i problemi? » Wow! Eppure la maestra delle scappatoie e del minimo risultato col massimo sforzo dovrei essere io. « Non si può seppellire ogni cazzo di problema! » Senza contare che ti lascio frugare nella mia testa col quasi! Era incredula e in parte addirittura scandalizzata e offesa dalle sue proposte. Di scatto appoggiò la tempia contro il muro chiudendo gli occhi e deglutendo di conseguenza. Sono ancora qui. Davvero non ti fai nessuna domanda? Davvero stai cercando ogni cazzo di scusa per buttarmi fuori? Di nuovo? Questa volta però, Raiden non era più nella posizione di porre alcuna condizione, né sembrava essere in grado di produrre un ragionamento di senso compiuto che non fosse darsela alle gambe, cancellando ogni sua traccia. Roteò su se stessa, incollando la fronte contro il muro. E restò lì, a far rimbalzare leggermente la fronte contro il muro diverse volte, stringendo i pugni e cercando di pensare, senza mettersi fretta alcuna. « Vorrei solo che per una volta contassi fino a dieci prima di parlare.. » Disse di scatto colta da uno sconforto che non riuscì a tenersi per sé. « Che cazzo, Raiden, non ce la fai proprio a dire mezza cosa giusta? Non dico una.. almeno mezza! » Lo sai che non posso lasciarti da solo. Nemmeno se volessi. Nemmeno se tra noi non ci fosse qualcosa. Io non posso.. e non voglio. E sapeva, Mia, che al di là dei suoi desideri più reconditi, lasciare Raiden da solo non era contemplabile. Quella loro natura era fatta così; non sembrava imporre a nessuno assolutamente nulla, ma al contempo sembrava imporsi su tutto il resto al di là delle proprie credenze e delle proprie aspirazioni. Che senso ha parlare davvero di libero arbitrio quando io sento che non ho proprio scelta? Mi sforzerei di più a guardare dall'altra parte che a restare qui. E forse quell'istinto si era affilato ulteriormente nei confronti di Raiden, che uno dei tanti non lo era affatto, ma se così fosse, Mia, a darsi quella spiegazione non ci arrivò. Di scatto sospirò profondamente staccandosi da quel muro che le aveva fatto da appoggio e confidente. A sguardo basso avanzò un passo verso l'uscio del bagno, e poi un altro. E solo allora si fermò sollevando lo sguardo nella sua direzione. « Non ti lascerò da solo. Facci i conti. Non m'interessa se ti va bene o meno. Tu però devi smettere di trattarmi come se fossi la scopata del venerdì sera. Ecco cosa voglio. » Forse è anche colpa mia. Te l'ho lasciato fare. Forse è così che volevo essere trattata. Forse è così che ho trattato anche io te. Non lo so, ma non mi va giù. « Voglio che tu smetta di trattarmi come se avessi bisogno di essere protetta da chissà quale vissuto tragico e chissà quali azioni imperdonabili. Sono nata tra i cacciatori, Raiden! So bene come si torce un collo. E ne riconosco uno quando lo vedo. » So anche molto di più. Ma questa è una storia per un altro giorno. « Sei la prima persona che mi ha ricordato cosa significa essere.. come noi. » Una confessione che lasciò a metà. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, giocherellando distrattamente con l'anelo d'argento che portava sull'indice. Non mi aspetto che tu capisca. Non lo capisco nemmeno io. Però è così. « E' assurdo che tu sia paradossalmente il più scollegato. Tu vivi come se a un'ora da qui non ci fosse un'intera città pronta ad accoglierti. Vivi questa cosa.. tra noi.. » E dicendo ciò indica lo spazio che li divide. « Come se quello che facciamo quando stiamo bene fosse una cosa casuale. Sono passato di qua e boh si dava il caso che una tipa riusciva a fare i giochetti con me sotto il naso di tutti. » Scuote la testa alzando gli occhi al cielo. « Vivi con l'aspettativa di questo glorioso domani, ma fai il testa di cazzo patentato oggi. » Sei un testa di cazzo. Un testa di cazzo gentile, ma pur sempre un testa di cazzo. Mia non ha paura di rigettargli addosso tutte quelle parole, in virtù del chiaro vantaggio che si è guadagnata rispetto a lui nella situazione. Mi hai messo in una situazione di merda, e ora mi ascolti. E' consapevole di aver sempre giocato in difensiva fino a quel momento, aspettando segnali da Raiden, lasciandosi mettere con le spalle al muro, permettendogli di guidare il gioco secondo i suoi tempi e secondo le sue modalità. « Tu vivi in questo universo parallelo in cui la gente su a Inverness non è la tua gente; in cui io non sono la tua gente. Beh indovina, Raiden. Io e te non avremmo mai vissuto proprio un cazzo se non fossimo appartenuti al Branco. » Pausa. Avanza un altro passo mentre lo sguardo di lei, così come il suo tono di voce si ammorbidiscono.
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    « Io sono.. la tua gente. » Azzarda un ultimo passo. E' così vicina che le basterebbe allungare appena un dito per toccare il dorso della sua mano. Non me ne vado. E se vuoi che vada, dovrai dirmelo. Questa volta per davvero e in maniera definitiva. S'inumidì appena le labbra, a quel punto, sospirando affondo, allungando di conseguenza una mano ad accarezzare il dorso della sua. Solleticò appena le sue nocche, stringendo infine le sue dita in una stretta decisa. Il suo sguardo si perse in quello di lui e per un po' non disse assolutamente nulla, né provò a spezzare in alcun modo la quiete creatasi attorno a loro. Lentamente si avvicinò ulteriormente, finché non giunse a gettargli con altrettanta cautela le braccia al collo, abbracciandolo. Lo strinse a sé non curante del fatto che potesse cercare vie di fugga. Questa volta non te lo faccio fare, e infatti intensificò la stretta, carezzandogli dolcemente i capelli sulla nuca, mostrandogli l'unica cosa di cui in quel momento forse entrambi avevano bisogno. Affetto. Posò la guancia contro la sua spalla lasciando scorrere la mano lungo la sua spina dorsale, mentre consentiva a tutte le sue emozioni di defluire attorno a loro, in attesa che lui facesse altrettanto. « Io.. ti voglio bene, Raiden. » Sussurrò di scatto con naturalezza, senza remora alcuna, con un candore spaventoso. « Ti voglio un sacco bene. » Continuò deglutendo. E ho avuto un sacco di paura. Avevo paura di averti perso per davvero. E ci sono un sacco di persone che potrebbero volerti bene. E' solo che tu non le lasci entrare. Lo trattò con gentilezza e delicatezza, abbandonandosi a quella stretta per un tempo che non quantificò, né tentò di accorciare. Gli diede il tempo di abituarsi trattandolo con pazienza e sincerità, lasciandogli una serie di carezze che andavano al di là delle loro differenze, del loro giocare al gatto e il topo e di qualunque parola non detta. Vorrei solo che tu riuscissi a capire che ci sono tante persone che sarebbero disposte ad aiutarti e starti accanto. Sollevò la testa solo dopo un po', posando il mento sulla sua spalla, senza tuttavia trovare la forza di staccarsi completamente. « Se veramente vuoi che le nostre strade si separino, dovrai dirmelo. Questa volta sul serio. Devi mandarmi via. Altrimenti io non vado da nessuna parte. Non m'interessa per quanto resterai.. però.. non voglio lasciarti da solo. » So cosa significa vagare da soli. E' terribile. Non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico. « Io ti ho detto cosa voglio, ora però, devi dirmi tu cosa vuoi. Dimmelo e sarà fatto, Raiden. » Non mi opporrò. Questa volta non farò come mi pare.




    Edited by blue velvet - 25/4/2021, 21:31
     
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    La Germania potrebbe essere un'opzione. Era stato quello il suo pensiero, subito dopo aver pronunciato le ultime parole rivolte a Mia. D'altronde dubitava che la ragazza avrebbe scelto di farsi obliviare, il che lasciava l'allontanamento come unica opzione. Ma la gente come noi non può semplicemente cambiare città. Finché sarò in Inghilterra, ci vedremo sempre, in un modo o nell'altro. E allora la Germania sembrava l'opzione più logica. D'altronde nel proprio piano di fuga dal Giappone, era proprio alla Germania che aveva pensato in prima istanza; tuttavia alla fine non l'aveva scelta, convinto che fosse la mossa più scontata e che lo avrebbero trovato con sin troppa facilità, senza contare il fatto che avrebbe potuto mettere in serio pericolo i nonni che ancora vivevano lì. Ma forse dopo questa tappa intermedia dell'Inghilterra potrebbero dare per scontato che non andrei proprio lì. Certo, comunque evitare la famiglia è fondamentale. Non escludo che li tengano d'occhio. Ma non erano gli unici. Della loro incolumità, Raiden si era accertato fin dal primo momento, contattando Lotte - una lycan tedesca - per chiederle di portare gli anziani coniugi Amsler al sicuro nell'avamposto dei cacciatori situato a Kiel. Controllava spesso che stessero bene, passandogli messaggi tramite l'amica per far sapere a sua volta le proprie condizioni e rassicurarli riguardo lo stato in cui si trovava. Me lo hanno chiesto spesso, di andare da loro. Figuriamoci! Non mi vedono dal funerale di mio padre, quando avevo solo undici anni. Forse in fin dei conti è un bene, e magari le mie origini e la mancanza di un college in Germania mi permetteranno persino di lavorare fin da subito come Auror. Già cominciava a pianificare, Raiden, convinto che da quella situazione ci fosse solo una via d'uscita e che le cose sarebbero sicuramente andate in un certo modo. Era più semplice, per lui, viverla così: guardando all'aspetto pratico, alla fredda tecnica che si impiegava per formulare un piano, piuttosto che a tutto il contorno emotivo di una data situazione. In fin dei conti è per questo che non ho voluto legarmi troppo a nessuno, perché non sapevo come sarebbe andata. Certo, in primis c'è il ritorno in Giappone. Ma ho sempre tenuto in conto anche la possibilità di essere obbligato a migrare altrove per altre necessità. Lo sapevo. Era un margine calcolato. Una vita di margini calcolati, la sua. Peccato che Mia non sapesse cosa fosse un margine, né tanto meno sapeva calcolarlo. « Tu proprio non ce la fai vero? A non lanciare il sasso e nascondere la mano. Sei ridicolo, Raiden! E' questo il tuo modo di affrontare i problemi? Non si può seppellire ogni cazzo di problema! » Puntò lo sguardo in quello di lei, aggrottando la fronte in un'espressione confusa. Cosa ho detto adesso? Cosa ho sbagliato? Fino a qualche ora fa mi hai urlato in faccia e mi hai mandato a fare in culo. Posso solo supporre che tu ti voglia liberare di me in un modo o in un altro, no? E ora neanche questo ti va bene? Sospirò, esausto, passandosi una mano tra i capelli in un movimento nevrotico. « E allora dimmelo tu cosa vuoi che faccia, cosa vuoi che ti dica. Perché io non lo so, Mia. Non riesco a capire. » disse, in un tono stanco che sembrava flettersi quasi in una preghiera. Si sentiva perso, come se stesse brancolando a tentoni nel buio alla ricerca dell'interruttore della luce, tastando tutto tranne quello. « Vorrei solo che per una volta contassi fino a dieci prima di parlare.. Che cazzo, Raiden, non ce la fai proprio a dire mezza cosa giusta? Non dico una.. almeno mezza! » No, non ce la faceva. Forse perché quando si trattava di parlare di qualcosa di più profondo e personale, Raiden si sentiva come bloccato, come se dovesse fare violenza su se stesso per trascinare qualcosa alla luce. E alla fine dei conti, di violenza si trattava, una violenza necessaria a controbilanciare quella che lo aveva portato in primo luogo ad essere così, a vedere il dialogo sulle proprie emozioni come un qualcosa di brutto da dover evitare in tutte le maniere. Ma non era sempre stato così. C'erano stati tempi, pur se lontani, in cui quell'apertura gli era stata insegnata e in cui era stato incoraggiato ad aprirsi onestamente con gli altri; suo padre, tutte queste cose, aveva cercato di incentivarle fin dal primo giorno, creando con lui quel rapporto speciale e un po' fuori dal comune per gli standard della tipica figura paterna giapponese. Ma quegli insegnamenti erano stati invertiti a suon di schiaffi e bastonate, prima dal patrigno e in seguito dai maestri militari. E poi si era fatto semplicemente troppo tardi: Raiden era cresciuto, era praticamente un uomo, e certe cose apprese non avrebbe più potuto disapprenderle. « Non ti lascerò da solo. Facci i conti. Non m'interessa se ti va bene o meno. Tu però devi smettere di trattarmi come se fossi la scopata del venerdì sera. Ecco cosa voglio. » Rimase interdetto da quella richiesta, preso completamente in contropiede da qualcosa che non aveva affatto inserito nei suoi calcoli. Il giovane Yagami, infatti, sembrava aver dato piuttosto per scontato che la Wallace si sarebbe ritratta; la sua reazione di quella mattina, in fin dei conti, gliene aveva dato la prova. Eppure lei sembrava aver cambiato direzione, virando su una strada completamente diversa, una di cui Raiden non riusciva ad intravedere la fine. E questo lo faceva sentire nervoso, come sempre si sentiva quando una qualunque situazione sfuggisse anche solo in minima parte dal suo controllo oculato. Di più, tuttavia, venne colpito dal modo in cui Mia si era definita, vedendosi attraverso i suoi occhi come la scopata del venerdì sera. Un tono di velata accusa aveva appannato quelle parole, portandolo a sentirsi come se per quelle settimane avessero vissuto due esperienze diverse. È questo che pensi? Pensi che non me ne freghi assolutamente nulla? Avevano stabilito dei limiti, era vero, ma Raiden non aveva mai inteso il loro legame come un qualcosa di esclusivamente sessuale, e nel bene o nel male, il fatto che lei fosse lì ne era la prova. Non sarà la dimostrazione più lusinghiera, ma dovrà pur valere qualcosa. E gli dava fastidio, il fatto che lei la vedesse così, specialmente perché solo ora questa visione veniva fuori, quando invece prima non gliene aveva mai parlato. Io ti ho chiesto se quei limiti ti andassero bene proprio perché volevo evitare che ti sentissi così, e tu li hai accettati, Mia. Te li sei fatta andare bene e ti sei comportata come se ci stessi a tuo agio, quando mi pare evidente che non sia così. Riusciva a sentire, come un soffio d'alito accanto a sé, la presenza di Eriko e della sua sfera emotiva: un "te lo avevo detto" che aleggiava informe nell'aria. E a ben vedere aveva avuto ragione, ancora. Perché Raiden glielo avrebbe pure chiesto, a Mia, il motivo per cui avesse accettato delle condizioni che le stavano strette, ma la verità è che lui sapeva già quale fosse la risposta. E per questo non le chiese nulla. « Voglio che tu smetta di trattarmi come se avessi bisogno di essere protetta da chissà quale vissuto tragico e chissà quali azioni imperdonabili. Sono nata tra i cacciatori, Raiden! So bene come si torce un collo. E ne riconosco uno quando lo vedo. » Su quel punto il giovane Yagami scosse il capo vigorosamente. « Non è la stessa cosa, Mia. » Io non sono un cacciatore. Quelli li abbiamo pure in Giappone, ci sono stato a contatto e lo so come operano - come operate. Siamo completamente diversi. L'unica cosa che abbiamo in comune è la capacità di combattere: ma le modalità in cui la usiamo, gli scopi..quelli differiscono drasticamente. Ma non si aspettava che lei lo capisse, in primo luogo perché lui non si era mai azzardato a raccontarle nulla della propria realtà. Lo aveva fatto per proteggerla? No. Semplicemente non gli piaceva parlarne, ricordare, né tanto meno mettere in mostra un qualcosa di cui non andava per nulla fiero. « Sei la prima persona che mi ha ricordato cosa significa essere.. come noi. » Lo sguardo di Raiden si fermò negli occhi di Mia, silenzioso, mentre anche i suoi pensieri frenetici sembravano pian piano acquietarsi, scivolando in una melodia più soffusa. « E' assurdo che tu sia paradossalmente il più scollegato. Tu vivi come se a un'ora da qui non ci fosse un'intera città pronta ad accoglierti. Vivi questa cosa.. tra noi.. Come se quello che facciamo quando stiamo bene fosse una cosa casuale. Sono passato di qua e boh si dava il caso che una tipa riusciva a fare i giochetti con me sotto il naso di tutti. Vivi con l'aspettativa di questo glorioso domani, ma fai il testa di cazzo patentato oggi. » Scosse il capo, questa volta con più leggerezza, facendo un passo in avanti mentre i suoi occhi si tingevano di una sfumatura più sofferente. « Tu vivi in questo universo parallelo in cui la gente su a Inverness non è la tua gente; in cui io non sono la tua gente. Beh indovina, Raiden. Io e te non avremmo mai vissuto proprio un cazzo se non fossimo appartenuti al Branco. » « È più complicato di così.. » disse piano, in un tono di voce più tenero, in cui era tuttavia possibile leggere una nota di frustrazione. Non sapeva nemmeno da dove iniziare a spiegarle come si sentisse, cosa pensasse e perché avesse fatto certe scelte. Raiden non era capace di fare quel tipo di discorsi, di spiegarsi in maniera efficace riguardo situazioni talmente delicate: risultava sempre troppo brusco, troppo sintetico o troppo impreciso, come se non fosse in grado di trovare i vocaboli o le immagini giuste per dare un quadro della situazione che corrispondesse davvero alla sua realtà. « Io sono.. la tua gente. » Rimase a fissarla in volto in silenzio, nella speranza che lei capisse che non la stava rigettando - che non lo aveva mai fatto o che comunque non era mai stata sua intenzione farla sentire così. « Lo so. » disse dopo qualche istante, tenendo gli occhi fermi nei suoi, come a volerle comunicare in quella maniera che lui la sentiva già come parte della sua gente, che la stava ascoltando. Le dita di Raiden risposero al tocco di Mia come un pendolo di Newton, muovendosi di conseguenza ad accarezzarle il palmo con leggerezza. Gli occhi del ragazzo scesero su quel contatto che diventò presto una stretta. Calore. Lo sentiva nella mano di lei e lo sentiva all'altezza del proprio petto: un calore che non sapeva bene come spiegare ma che riusciva in qualche maniera a confortarlo, a farlo sentire un po' meno solo. Risollevò le iridi in quelle di lei, frustrato, come a volervi cercare una conferma che sentiva di desiderare e, al tempo stesso, di non poterle chiedere. E poi, come pezzi combacianti di un puzzle, i loro corpi sembrarono trovare con naturalezza l'incastro di cui avevano bisogno, scivolando in un abbraccio come se nient'altro avesse senso al di fuori di quel contatto. Solo allora Raiden si rese conto di quanto i suoi muscoli fossero stati in tensione fino a quel momento, fin quando non si sciolsero all'incontro con quelli di Mia, plasmandovisi intorno. Le sue braccia scivolarono ad avvolgersi intorno al busto di lei, mentre il suo viso andava a ricercare riparo tra i suoi capelli, inspirandone l'odore a palpebre chiuse. Respirava. Respirava e basta, lasciando la presa sulla propria sfera emotiva per far sì che essa si espandesse pian piano attorno a sé, coinvolgendo la Wallace al suo interno. « Io.. ti voglio bene, Raiden. Ti voglio un sacco bene. » E a quelle parole, il calore nel suo petto sembrò irradiarsi con più forza, facendosi quasi bruciante. Un colpo secco che gli tolse completamente l'equilibrio e l'aria che stava respirando. Parole semplici, quelle di Mia, dette con genuina naturalezza, ma che sembrarono colpire Raiden più di quanto si sarebbe mai aspettato. Fu in quel momento che realizzò con scioccante lucidità quanto avesse bisogno di sentirsele dire. Non ci aveva mai pensato, non ci si era mai soffermato, dando per scontato che l'affetto non avesse bisogno di essere messo a parole. E allora perché si sentiva come se quel bisogno lo avesse sempre avuto e gli fosse stato negato? Serrò le palpebre, cercando di frenare quel moto di commozione che gli faceva pizzicare gli occhi e battere il cuore con più forza del dovuto. E la strinse più forte, come ad aggrapparsi a quella sensazione, a quel sentirsi finalmente a casa. E lui a casa non ci si sentiva da troppo tempo, da prima ancora di lasciare il Giappone. Io non lo so quando è stata l'ultima volta che qualcuno mi ha detto di volermi bene. Non me lo ricordo, ma credo che fosse prima di partire per il campo militare. Probabilmente me lo avrà detto mia madre..sì, di sicuro. Avrò avuto sedici o diciassette anni. Quanto tempo è passato? Cinque anni? In cinque anni nessuno mi ha mai detto "ti voglio bene". E io non ci ho mai pensato. Non credevo mi mancasse, non credevo di averne bisogno. Ma evidentemente era così, perché altrimenti non si sarebbe sentito talmente destabilizzato da una semplice dimostrazione d'affetto. E a quel punto, per quanto tutti quei blocchi interiorizzati glielo rendessero difficile, Raiden sapeva che non sarebbe bastato farle sentire cosa provasse tramite la propria sfera emotiva. Perché è vero, ciò che ci siamo detti qualche settimana fa: che è diverso, sentirsi dire certe cose, anche quando le sai già. Non basta saperle. « Anche io. Ti voglio bene. » Pausa. « Ti voglio davvero bene anch'io, Mia. » Parole, quelle, che pronunciò a fior di labbra, con voce spezzata. Mi avevano tolto pure questo e nemmeno me ne sono reso conto. Tra tutte le cose che mi hanno portato via, la più importante mi è passata sotto il naso come se non contasse nulla. Sentire questo..questo affetto. Sentirmi amato e far sentire amato qualcun altro. Sentirci importanti per qualcuno al di là della nostra utilità pratica. Tutte cose che Raiden non provava dai tempi ormai lontani della propria infanzia: gli erano state strappate un po' alla volta, con malignità subdola, fin quando non aveva semplicemente smesso di aspettarsele, di guardare a se stesso come ad un essere umano che aveva bisogno di altri esseri umani. Si rese conto di quanto quella rimozione fosse stata un atto di violenza attuato su di lui da esterni perché con il calore piacevole arrivò anche lo strisciante e noto senso di vergogna che accompagnava a braccetto ogni suo momento di vulnerabilità. Tuttavia quella volta non reagì secondo l'impulso di chiudersi ed evitare, ma vi si abbandonò, accettando quella dolorosa consapevolezza per accogliere il piacevole calore dell'affetto a cui questi blocchi gli avevano proibito di accedere fino a quel momento. « Se veramente vuoi che le nostre strade si separino, dovrai dirmelo. Questa volta sul serio. Devi mandarmi via. Altrimenti io non vado da nessuna parte. Non m'interessa per quanto resterai.. però.. non voglio lasciarti da solo. Io ti ho detto cosa voglio, ora però, devi dirmi tu cosa vuoi. Dimmelo e sarà fatto, Raiden. » Rimase in silenzio per qualche istante, continuando a tenere gli occhi chiusi e a respirare il profumo dei capelli di lei. Il profumo di quel secondo shampoo che era finito nella sua doccia a un certo punto, durante le ultime settimane. Ci era finito lo shampoo, così come sul lavandino ci era finito un secondo spazzolino da denti, e in camera un accendino di riserva. Io ormai alla tua presenza mi sono abituato. L'ho contata nella mia vita anche al di là dei limiti che ci siamo dati. È così, non è vero? Tirò su col naso, aprendo gli occhi mentre scivolava lentamente col capo all'indietro, permettendosi di riportare lo sguardo negli occhi di lei. Fece risalire una mano sul suo viso, accarezzandolo con dolcezza. La guardava e basta, senza dire nulla, mentre i muscoli delle sue labbra sembravano mossi da piccoli spasmi involontari, indecisi tra il delineare un sorriso tenero e l'accartocciarsi in una smorfia sofferente. Gli stessi sentimenti che si leggevano nelle sue iridi scure, fisse sulle labbra di lei. « Io spero che tu sia sicura di quello che dici. » disse ad un certo punto, in un soffio di voce, mentre alla sua carezza si univa anche l'altra mano, andandole così a incorniciare il viso. « Perché se oggi sono io l'ago della bilancia, ma domani tu dovessi cambiare idea.. » prese un respiro, costringendosi a continuare « ..ci rimarrei molto male. » Io non sono bravo ad avvicinarmi alle persone, Mia. Non è una cosa che mi riesce bene e qui, nello specifico, sto cercando addirittura di evitarlo. Ma con te sta andando diversamente, non è così? Tu continui a spingere oltre ogni limite e ad un certo punto ci arrivi da sola, a farti vicina. E io non posso farci niente, forse perché in fondo mi piace. Mi piaci tu e quindi te lo lascio fare. « Io non voglio che tu te ne vada. Voglio che resti. Per tutto il tempo che abbiamo a disposizione. » Anche a costo di tornarmene in Giappone sentendomi come se mi fosse stato amputato un arto. Perché adesso, nel presente, mi farebbe più male tentare di starmene a distanza. Scosse il capo, tirando su col naso e puntando gli occhi in quelli di lei. « Non ti dirò cosa sia meglio per te. Questa lo sai tu, e se non lo sai è comunque una tua scelta. Se scegli di rimanere..io non ti dirò che faresti meglio a girare i tacchi e starmi alla larga. Non ti allontanerò. » Non sono mai stato quel tipo di persona, quello che sceglie per gli altri. Tengo la gente a distanza ma non la caccio con i bastoni quando si fa troppo vicina. Perché dovrei? Forse perché dal mio punto di vista non ha senso buttare del tempo con me? O perché non penso di meritare questo affetto? Non importa quello che credo io. Tu l'hai visto cosa c'è dall'altra parte di questa barriera: e se tutto questo non ti fa desistere, per quale ragione dovrei essere io a scegliere al posto tuo? « Perché non voglio..allontanarti. » Inclinò il capo di lato, scostandole i capelli dal viso con un'altra carezza, per osservarla meglio. Aggrottò la fronte, come se quell'immagine gli facesse un po' male. Era bella. Mia era molto bella. Sospirò. « Però non voglio farti male. Come prima. O come quella sera in cui sono tornato da Londra. » disse quelle parole in un filo di voce. « Io vorrei vederti sempre come eri quella sera, prima che tutto andasse a rotoli. » Un sorriso tenue andò a incurvare leggermente le sue labbra al ricordo di ciò che era stato. Perché era tutto vero. È vero che mi piace sentire ciò che provi quando ti tocco. È vero che vorrei sentirti dire sempre ciò che vuoi senza il bisogno di tastare il terreno. E poi eri così felice. E neanche lo sai quanto sei bella quando arrossisci. Sospirò, tra la dolcezza e la malinconia, avvicinando il viso a quello di lei per appoggiare la fronte alla sua e chiudere gli occhi. Rimase in silenzio, limitandosi a respirare piano e carezzarle le guance coi polpastrelli dei pollici. Questa cosa potrebbe ritorcersi contro di noi in così tante maniere. Ha il potenziale di fare un male cane, Mia. Io lo so. Ma tu lo sai? Ne sei consapevole? E a quel punto, il fatto di averti ricordato cosa significhi essere come noi, forse non sarà stato un bene. « Però tu me lo devi dire subito quando non ti sta bene qualcosa. Starmi vicina non significa..accettare tutto quanto. » Io non ti avrei toccata con un dito se avessi saputo che la situazione ti metteva a disagio. O comunque prima di farlo avrei cercato di trovare un terreno comune con te. Così mi sento come se avessi fatto la merda e basta. Sospirò, aprendo gli occhi per guardarla, cercando di leggerne l'umore nel colore. La fissò in silenzio per alcuni istanti prima di parlare, soffiando piano sul suo viso. « Mi dispiace. Non volevo fare lo stronzo. » Per quel che può valere. Con la punta del naso, diede un colpetto su quello di lei, strofinandolo piano. Piccoli gesti affettuosi che sembravano preannunciare ciò che Raiden fece in seguito, richiudendo le palpebre e poggiando le labbra sulle sue. Piano, con leggerezza, infrangendo poi con un sospiro ogni barriera rimasta tra loro. Il respiro pesante gli schiuse le labbra, lasciando la lingua libera di intrecciarsi a quella di lei in contatti che sembravano quasi carezze prima di diventare una danza. Intrecciò le dita ai suoi capelli, ricercando la vicinanza del suo viso. E da quel lungo bacio si staccò solo dopo diverso tempo, stampandogliene altri più veloci prima sulle labbra, poi sulla guancia, il naso, la fronte, inglobandola infine in un abbraccio che la ritrovò stretta al petto di lui. Appoggiò il mento sul capo di lei, sospirando. « Dovremmo riposarci. » disse quindi, a voce bassa, posando un bacio leggero tra i suoi capelli. Ci aspetta una notte molto lunga. O quanto meno, aspetta me.
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    [..] Era tardo pomeriggio quando Raiden venne svegliato dal rumore del telefono che vibrava con forza sulla superficie di legno della scrivania. Mugolò, allungando una mano verso l'aggeggio per piazzarselo all'orecchio. « Pronto? » rispose con voce ancora un po' impastata, aggrottando la fronte e tenendo le palpebre praticamente incollate per evitare che la luce lo colpisse troppo forte sugli occhi. Inghilterra: nei mesi tiepidi il sole sembra non tramontare mai. « Salve! Yagami Raiden? » Mugolò in assenso. « Volevo avvisarla che la sua macchina è pronta. Può venirla a ritirare in qualsiasi momento nel nostro punto di Edimburgo. » Raiden aprì di scatto gli occhi, mettendosi a sedere sul letto con quanta più grazia potesse per non svegliare Mia. Si allungò verso la scrivania, buttando giù su un foglietto il nome della via che l'uomo gli dettò e chiudendo la comunicazione con un ringraziamento. Fatto ciò si alzò in piedi, gettando uno sguardo alla Wallace ancora beatamente addormentata. Un piccolo sorriso andò a incurvargli le labbra, e il moro sembrò non resistere alla tentazione di avvicinare una mano al suo volto, sfiorandole i capelli con la punta delle dita. Sospirò, riprendendo la felpa ai piedi del letto e infilandosela sopra la t-shirt che indossava. Questa volta scrisse qualche riga su un post-it che lasciò appiccicato al bordo della scrivania, in modo che Mia lo vedesse subito qualora si fosse svegliata. "Sono sceso in cucina. Torno subito." Poche parole a cui diede seguito immediatamente, attraversando la stanza a passi felpati e chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore. Scese al piano terra, riempiendo due tazze di caffè solubile e trafugando qualche biscotto dal barattolo comune per riportare poi il tutto in stanza. « Ehy? » disse piano, appoggiando le vettovaglie sulla scrivania mentre si sedeva sul bordo del letto, accanto alla mora. Le posò una mano sulla spalla con delicatezza, aspettando che lei aprisse gli occhi. Il sorriso di Raiden era tiepido e tirato. « Ti ho portato un caffè e qualche biscotto. » disse a bassa voce, indicandole la tazza fumante con un'occhiata veloce, prima di afferrare il manico della propria e soffiarvi un po' sopra. Ne prese un sorso, puntando lo sguardo fuori dalla finestra. Sospirò, lasciando a Mia il tempo di svegliarsi e mettersi a sedere, bevendo qualche sorso di caffè e - magari - sgranocchiando qualche biscotto. Avrebbe preparato qualcosa di più consistente da mangiare, se non fosse stato che il tempo iniziava a stringere; per sé stesso avrebbe preso qualcosa da mangiare per strada, probabilmente da qualche fast food per risparmiare tempo. E infatti, dopo un po', riportò lo sguardo sul viso della ragazza. « Ha chiamato l'autonoleggio. La macchina è pronta. » Fece una pausa, guardandola in volto per cercare di carpirne una reazione. In fin dei conti lei aveva sì detto di non volerlo lasciare solo, ma ciò non significava necessariamente che volesse assistere proprio a tutto. Starmi vicina non significa..accettare tutto quanto. Erano state quelle le parole che le aveva rivolto poche ore prima, pur se con intenti diversi. Non voglio obbligarti ad andare così tanto a fondo. D'altronde un conto era la vicinanza emotiva, e un conto era il rendersi disponibili a un'operazione riassumibile nel nome di un reato: occultamento di cadavere. « Penso che uscirò da Hogsmeade per smaterializzarmi ad Edimburgo. È lì la macchina. La porterò qua, parcheggiandola nel vicolo dietro lo studentato e.. » scosse leggermente il capo « ..il resto lo sai già. » Dovrò anche castare un Confundus sul gps per stare sicuro. Una cosa che facevano spesso, in Giappone, quando avevano qualche missione che necessitava di una macchina babbana. Prese un altro sorso di caffè, rimanendo in silenzio per qualche istante prima di far saettare di nuovo lo sguardo in quello di Mia. « Tu cosa vuoi fare? »


     
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    « Anche io. Ti voglio bene. Ti voglio davvero bene anch'io, Mia. » Provò un profondo senso di gratitudine, Mia, ma anche un velo di tristezza che non seppe spiegarsi fino in fondo. Percepiva la profonda ritualità con cui Raiden aveva pronunciato quelle parole, dando loro un significato più carico di quanto si fosse aspettata. Il bisogno di aggrapparsi al corpo di lui, cullarlo, rassicurarlo, si fece sempre più palpabile, come se sentisse il bisogno di trasmettergli tutte quelle emozioni che provava e che per motivi che non seppe spiegarsi, decise di tacere. Lo sguardo di lei si illuminò, abbandonando le sfumature scure; il colore cangiante virò su tonalità più calde: prima divennero color nocciola, poi ripresero diverse sfumature sul verde e infine si stabilizzarono su un brillante color ambrato. Forse non le aveva ancora metabolizzate, quelle emozioni, ma erano lì, si espandevano nella sua cassa toracica fino a minacciare di farle esplodere il cuore nel petto. Ne fu inebriata, fino al punto in cui restò letteralmente senza parole. Non erano necessarie altre dimostrazioni. Bastava quell'abbraccio, quel senso di appartenenza che sentiva fosse reciproco; le braccia di Raiden sapevano di un posto sicuro, un porto in cui approdare senza sentire più il bisogno di partire per mari inesplorati. Sì, io mi sento così. Mi sento come se avessi attraccato, lieta di vedere la terra ferma. Mi piace questo fazzoletto di terra, lo sento mio. Vorrei che fosse mio. Lo è anche per te? Vuoi almeno un po' che lo sia? E infatti, non fu una sorpresa il fatto che Mia gli chiedesse conferma delle sue intenzioni. Voleva sapere; sapere se il voler restare era una costrizione, un imporsi nella vita di lui, oppure se in alternativa lo desiderava a sua volta. Non mi va di restare perché ti senti in debito con me. Non voglio arrivare a pensare che l'unico motivo per cui non mi hai mandato via è perché non te la sentivi di dirmi di no. Non mi serve l'elemosina di nessuno, né voglio diventare una specie di presenza-ricatto. Ti lascerò stare, se essere solo è ciò che vuoi. Non insisterò ulteriormente, non ti disturberò più. Forse per un po' starò male, mi mancherai, mi mancherà parlarti, vederti, sentirti. Ma alla fine andrò oltre. Nulla è per sempre in fondo, non lo sarà nemmeno questo. Lo sapevo già da un po' che non eravamo in ogni caso destinati a durare. Sarà solo un accorciare i tempi. Le leggere carezze sul proprio viso, la portarono a chiudere gli occhi, ricercando il tocco delle sue dita con insistenza; come un gattino, strofinava la guancia contro le dita di lui, sorridendo leggermente. E ad occhi chiusi aspettò, senza dire niente, senza opporsi a qualunque cosa volesse dirle. Di guardarlo negli occhi, per un po' non ci pensò. Aveva paura di cosa vi avrebbe trovato, terrorizzata dall'idea che potesse effettivamente essere quello il finale preannunciato. Io sento quello che senti, ma non posso sapere cosa pensi. Di quello a volte ho paura. Ho paura di cosa potresti dire. Perché è vero: tu, Raiden, non dici mai le cose giuste. « Io spero che tu sia sicura di quello che dici. Perché se oggi sono io l'ago della bilancia, ma domani tu dovessi cambiare idea.. ci rimarrei molto male. » Di colpo sgranò gli occhi, colpita da quelle ultime parole in maniera sin troppo evidente. Non se lo aspettava, né sembrò essere del tutto pronta ad accoglierle. La sorpresa che travolse la sua sfera emotiva la portò a sospirare, sbattendo le palpebre incredula diverse volte. Ci rimarresti davvero così male? Se io cambiassi idea? Era una responsabilità che Mia non aveva affatto preventivato; dall'animo mutevole e incostante, si sentì completamente inadeguata di fronte a quelle parole, come se improvvisamente fosse stata messa di fronte a una cosa così grande da non essere poi molto facilmente metabolizzata e compresa. « Io non voglio che tu te ne vada. Voglio che resti. Per tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Non ti dirò cosa sia meglio per te. Questa lo sai tu, e se non lo sai è comunque una tua scelta. Se scegli di rimanere..io non ti dirò che faresti meglio a girare i tacchi e starmi alla larga. Non ti allontanerò. Perché non voglio..allontanarti. » Annuì sommessamente rotando appena il volto per posare un leggero bacio sul palmo di lui. Prese ad accarezzargli la schiena lentamente provando un miscuglio di sensazioni ed emozioni del tutto inedite. Si sentiva come se finalmente le fosse stato dato credito; qualcuno riconosceva il fatto che fosse una giovane donna in grado di prendere le proprie decisioni, e non solo una bambina infantile con troppe paturnie per la testa. So prendermi cura di me; non ho bisogno di un cuscino per attutire questa caduta. So che mi farò del male, ma voglio farlo comunque. Una parte di sé provò un'estremo senso di inerzia all'idea di buttarsi in una situazione fallimentare già in partenza. Mi fa paura. Mi sento come se fossi un malato terminale e avessi i giorni contati. L'idea di far valere ogni giorno sapendo già che finirà mi spaventa. Però non posso farci niente. La possibilità di fare retromarcia non era più contemplata, ma non azzardava nemmeno pensare a qualcosa che andasse oltre il tempo indefinito che avrebbero avuto a disposizione. Quel limbo le sembrò sufficiente in quel momento, anche se non era certa di quanto ci sarebbe voluto prima che Mia superasse ancora il limite. « Allora non farlo. Non farlo e basta. Non allontanarmi. » Il suo fu un sussurro, mentre accennava un sorriso tenero, scandito da una sincerità disarmate. Mi basta solo questo. « Però non voglio farti male. Come prima. O come quella sera in cui sono tornato da Londra. Io vorrei vederti sempre come eri quella sera, prima che tutto andasse a rotoli. » Sospirò, Mia, consapevole del fatto che non tutto poteva essere ideale. Lo avrebbe voluto, ma la vita le aveva dimostrato nel corso del tempo che nulla era destinato ad essere perfetto. « Però tu me lo devi dire subito quando non ti sta bene qualcosa. Starmi vicina non significa..accettare tutto quanto. » Mantenne gli occhi aperti, anche quando lui incollò la fronte contro la sua; rimase lì a contemplarlo mentre con un candore del tutto inedito si raccontava. Tu, Raiden, ti stai raccontando, e non sai nemmeno quanto sia bello ciò che dici. Tu non te ne rendi conto. Non lo capisci. Forse perché in fondo le buone intenzioni e la sincerità le diamo un po' tutti per scontate. Dovrebbero essere sempre lì, in ogni circostanza. Ma non è mai davvero così. E in questa landa di brutte intenzioni, tu non sei affatto scontato. Ed è per questo che mi piaci. « Sarò sincera. Te lo prometto. » D'altronde, per Mia, la sincerità non era mai stata un problema. Eppure, in quella circostanza, aveva più volte omesso diverse cose; forse per paura di esagerare, forse perché lei in primis tentava di convincersi che non era così importante, né ci sarebbe rimasta male se Raiden avesse troncato con lei di punto in bianco. Dalla serata in cui erano andati insieme al cinema, si era convinta di voler prendere le cose più alla leggera. Però di essere la scopata del venerdì sera non ne vado fiera. Né mi va giù che ti sei scopato la colombiana la sera dopo che sei stato con me. « Mi dispiace. Non volevo fare lo stronzo. » Non disse niente, Mia, convinta che in quel momento qualunque parola sarebbe stata sbagliata, di troppo. Non avrebbe comunque saputo cosa dire, né volle rovinare quel momento. Ricercò piuttosto la sua vicinanza, stringendo la felpa di lui tra le dita, attirandolo a sé, schiudendo le labbra dopo i primi teneri baci, cercando di approfondire con più foga quei baci che giunsero piano piano a lasciarla quasi senza fiato. Vi era in quei contatti tutta l'emergenza che aveva provato nel vederlo steso a terra. Quest'oggi c'è stata più di una volta in cui ho pensato di non sentirti più. Eppure, nonostante tutto, Mia sembrava volerlo più di prima, tant'è che quando lentamente le labbra di lui si staccarono, la giovane Wallace si sentì come se non ne avesse avuto abbastanza. Ispirò tuttavia il profumo di lui, stretta al suo petto, posando istintivamente il mento sulla sua spalla. « Dovremmo riposarci. » Le ci volle un po' prima di staccarsi e osservarlo con un'espressione leggermente timorosa, non sapendo come interpretare di preciso le parole di lui. Si inumidì appena le labbra chiudendo per un istante gli occhi, scuotendo appena la testa con un'aria leggermente confusa. « Intendi qua.. vero? » Dormire. Nel tuo letto. L'incertezza nelle sue parole fu palpabile, tanto quanto il candore con cui di colpo sentì un palese rossore nelle guance nel rendersi conto di aver posto una domanda così sciocca. Era imbarazzata e in difficoltà. « Si.. ok.. » Va bene. Ed ebbe tutto un altro sapore stendersi semplicemente accanto a lui sotto il tiepido sole che penetrava attraverso le serrande abbassate. Intrecciò le dita a quelle di lui, posando la tempia contro la sua spalla, chiudendo gli occhi. Era stanca; non si era nemmeno resa conto di quanto avesse bisogno di un letto comodo, finché non vi si era ritrovata. « Mi hai messo un sacco paura, Raiden. Per favore non farti avvelenare mai più. » Un pensiero remoto, espresso in dormiveglia, prima di sprofondare in un sonno privo di sogni, sereno, nonostante tutto, spensierato.
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    [...] Sbadigliò ancora piuttosto assonnata mentre accettava di buon grado la tazza di caffè che le era stata offerta, stiracchiandosi un po' prima di porgere un leggero bacio sulla sua spalla. « Grazie. » Si alzò di conseguenza, andando a riprendere il proprio cellulare, dandogli il tempo di accendersi, mentre lo osservava con attenzione, quasi aspettasse che dicesse qualcosa. Non era certa di cosa voleva sentirsi dire; certo è che il moro appariva dal canto suo piuttosto pensieroso. « Ha chiamato l'autonoleggio. La macchina è pronta. » E infatti non ero proprio pronta a questo. In fondo però quel momento sarebbe arrivato, e seppur Mia non ci avesse pensato, il piano le era già stato esposto precedentemente in maniera piuttosto puntuale e concisa. Lo seppellirò stanotte. Ho preso a noleggio una macchina babbana per quarantott'ore. Sul tardi lo farò uscire dalle scale antincendio e lo porterò in qualche bosco fuori dal campus. Ripassò mentalmente gli step di quella operazione folle, sospirando profondamente mentre andava a sedersi sul davanzale della finestra accendendosi una sigaretta. Ormai è ciò che faceva ogni qual volta avesse bisogno di pensare, o di calmarsi, o anche semplicemente di snocciolare un po' della tensione che andava a crearsi di volta in volta all'interno di quella stanza. « Ok. » Disse solo con apparente calma piatta e una dose di razionale freddezza. Spostò lo sguardo fuori dalla finestra lasciando cadere un po' di cenere nel bicchiere accanto a sé. « Penso che uscirò da Hogsmeade per smaterializzarmi ad Edimburgo. È lì la macchina. La porterò qua, parcheggiandola nel vicolo dietro lo studentato e.. il resto lo sai già. » Ok. Sto per seppellire un cadavere. C'è una prima volta per tutto. Poteva dire Mia che fosse la cosa peggiore che avesse mai fatto? No. Decisamente no. Non è però nemmeno la più onorevole. Però neanche le armi avvelenate sono onorevoli. Uccidere uno dei miei non è onorevole - o meglio, per me non è contemplabile. Fu così che continuò pensierosa, in un groviglio di pensieri atti a far sì che scendesse a patti con la spinosa questione. « Tu cosa vuoi fare? » Deglutisce quindi e aspira ancora una volta dalla sigaretta sollevando entrambe le sopracciglia chiudendo gli occhi. Sono comunque complice di un omicidio. Al diavolo. Tanto vale che mi accerti che sia sepolto per bene. « E' sabato sera. » Asserisce di scatto con voce atona. « Il campus e lo studentato saranno pieni di gente. Due occhi in più ti faranno comodo. » Per non parlare del fatto che forse trovare una maniera alternativa per tirarlo fuori di qui senza trasportare un cadavere fluttuante per aria non sarebbe affatto male. Si stringe nelle spalle e aspira nuovamente dalla sua sigaretta, spostando lo sguardo su Raiden, ancora seduto sul letto. « Che c'è? E' già morto. Non lo posso ammazzare di nuovo. Tutto il resto è noia. » Tutto il resto è noia, diceva, eppure sapeva che quando si sarebbe trovata di fronte al fatto compiuto, Mia si sarebbe sentita comunque in un palese stato di agitazione. Al solo pensiero che fosse lì, provava un senso di irrefrenabile disagio. Sbloccò il cellulare e mandò qualche veloce messaggio. « Ci serve un alibi. Hai presente? Se parte un'indagine, in tutti i true crime iniziano dalle persone che non hanno un alibi. Quindi.. stasera usciamo. E' troppo strano saltare.. tu esci pure di lunedì, figuriamoci.. ed è vero che Jeff sa che sono con te, ma resta che è l'alibi perfetto. » Si strinse nelle spalle mentre completava il fulmineo invio di messaggio ad Alyssa. Le serviva un abbigliamento adeguato; il sabato sera non si esce mai come degli straccioni. « Stiamo insieme agli altri, ci facciamo un paio di spritz, socializziamo.. come se niente fosse successo. Poi.. ad un certo punto - puff. Ormai nessuno si fa più domande quando non ci vedono. Capiranno che siamo andati a scopare. » Non è quello che facciamo ogni volta? Ormai la loro sgangherata comitiva si era abituata a quel rituale. Mia e Raiden uscivano ogni weekend insieme al resto della comitiva, poi si defilavano in fretta e furia, ciascuno a modo proprio. Accadeva spesso che fossero in posti separati, oppure con gruppi separati, ma alla fine, in un modo o nell'altro, finivano sempre lì. « Se stai scopando non puoi seppellire cadaveri. » Asserì infine sgranando gli occhi con un leggero senso di incredulità. Sono davvero arrivata a parlare di alibi. Benissimo Mia. Di questo passo sei la prossima sulla lista di Philip Collins. « Prendi la macchina. Ci becchiamo qua quando torni. In tanto tenterò di capire cosa offre il palinsesto della serata. » [...] Porca puttana, Alyssa! Ovviamente l'amica aveva attinto al suo armadio, mandandole un outfit perfetto per il sabato sera, e assolutamente non adatto a una serata che prevedeva un occultamento di cadaveri. Se non lo indosso sembrerà che mi sto autosabotando. Perché non dovrei indossarlo? Non ho scuse, cazzo. Se lo indosso però l'autosabotaggio è assicurato. Osservò il vestito color cipria alla cui stampella, la giovane Carter aveva agganciato diverse collane lunghe, sospirando profondamente. Ai piedi del letto un paio di stivali al ginocchio e un sacchetto in cui aveva infilato qualche trucco che potesse risultare alla portata delle competenze basic di Mia. La Wallace sbloccò di scatto il cellulare premendo il tasto di registrazione bruscamente. « Una roba più sono sulla piazza pliz agganciatemi, no eh? Dovevi mandarmi i jeans strappati e il top rosso, come ti avevo chiesto! » La risposta che ricevette fu piuttosto eloquente. "Ma tu sei sulla piazza." Seguito da una serie di emoji che ridono. Mia rispose con il dito medio, prima di gettare il telefono sul letto. Controllò l'ora e infine si trascinò in bagno, consapevole che a quel punto, dopo uno spuntino di tutto rispetto e dopo aver passato più di un'ora a guardare i video dei gattini su Wiztagram, carezzando il pelo del piccolo gattino senza nome di Raiden, il giovane Yagami doveva essere già di ritorno. Decise quindi di prepararsi, chiamando Ronnie e accertandosi dei piani della serata. Ignorò bellamente altri messaggi, convinta che domani sarebbe stato un altro giorno. E per fortuna è domenica; nessuno ha voglia di rompere il cazzo la domenica, e se lo fai, fai proprio schifo. Fu solo quando sentì scattare la serratura della porta che uscì in fretta e furia dal bagno, per accertarsi in primo luogo che si trattasse di Raiden e non di qualcun altro. Tirò un sospiro di sollievo squadrandolo dalla testa ai piedi come se si aspettasse di vedere un altro taglio avvelenato da un momento all'altro. « Tutto ok? » Chiede di scatto cercando di accertarsi della buona riuscita della prima parte del piano. Si prese il suo tempo per ripassare mentalmente quanto appreso per poi prendere a pettinarsi i capelli acconciandoli nella maniera più comoda possibile. « Allora. Gli altri vanno a mangiare da qualche parte a Hogsmeade e poi vanno al Suspiria. Alyssa dice che Jeff ha dato per scontato che ci siamo, quindi ha prenotato anche per noi. Pare ci sia una festa giù al locale. Boh.. si balla.. » Controlla la stesura del rossetto così come la sua tenuta, prima di abbandonare definitivamente il bagno senza troppi rituali, andando a sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania, iniziando a giocherellare assente con il portapenne lì presente. Per qualche istante gli gettò uno sguardo cauto con la coda dell'occhio, cercando di capire come fargli una domanda che sembrava premerle parecchio. « Uhm.. come ci organizziamo? Cioè.. andiamo separati e ci becchiamo là, oppure..? » Si schiarì la voce passandosi una mano tra i capelli colta da un improvviso senso di difficoltà. Non è che ho capito molto che cosa stiamo facendo. Tu l'hai capito? Cioè, noi di preciso come restiamo? Che dobbiamo fare? Dal canto suo, Mia, sembrava essere intenzionata a non dare poi molte cose per scontate, per paura di arrivare sempre al punto di partenza - una sera qualunque post visione di Dirty Dancing in cui si sforza tremendamente di non piangere davanti a un ragazzo che conosce da pochissimo e al quale non dovrebbe essersi legata così tanto. « Cioè.. non lo so.. non so come dobbiamo comportarci. Sai.. per non destare sospetti.. boh.. » Boh.. un dubbio la cui risoluzione sembrava intenzionata a scaricare addosso a Raiden. « Dovremmo comportarci nella maniera più naturale possibile. » Ma quale fosse questa fantomatica maniera più naturale, Mia lo sapeva relativamente. Non avevano mai seguito degli step tradizionali, né ora erano nella situazione più convenzionale possibile. Stiamo uscendo con il gruppo di amici per avere un alibi prima di sparire a seppellire cadaveri. Direi che abbiamo superato il convenzionale già da un po'. « Il punto d'incontro è qui, sotto gli studentati. Alle 8. » Mancava mezz'ora. Mezz'ora per decidere lo statement ufficiale della serata. « Tu che dici? »



     
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    « E' sabato sera. Il campus e lo studentato saranno pieni di gente. Due occhi in più ti faranno comodo. » Non disse nulla, limitandosi ad annuire mentre prendeva un altro sorso di caffè. Glielo aveva detto qualche ora prima: non si sarebbe opposto di fronte a nessuna sua scelta, che lui potesse condividerla a meno. Certo era che, se da un lato sapeva che un altro paio di occhi e di mani gli avrebbero fatto comodo, dall'altro l'idea di coinvolgere Mia così tanto in quel reato non lo faceva stare del tutto in pace. Ma la giovane Wallace ormai li aveva tutti gli strumenti per scegliere da sola cosa fare: aveva visto quanto a fondo nella merda potesse andare la vita di Raiden. Io proprio non lo capisco per quale ragione tu voglia continuare a starmi accanto, a rimanere persino in questo momento. Ma sarei un bugiardo se ti dicessi che voglio il contrario. Sospirò, lanciando un'occhiata al gatto che si stiracchiava sulla coperta, balzando poi sulla scrivania e infine sul davanzale. « Che c'è? E' già morto. Non lo posso ammazzare di nuovo. Tutto il resto è noia. » Aggrottò la fronte, vagamente divertito da quelle parole che sembrarono strappargli una piccola risata sbuffata dalle narici. Scosse il capo tra sé e sé, buttando giù un altro sorso dalla tazza. « Lo sapevo io che dopo questa impresa avrei settato degli standard troppo alti per i futuri fine-settimana. » commentò ironico, con leggerezza. Perché in fondo Raiden era così: non era scosso, non sembrava agitato all'idea di avere un cadavere da seppellire e di tenere il suddetto cadavere in uno sgabuzzino nel mezzo di un complesso che definire come movimentato sarebbe stato eufemistico. Sapeva cosa fare e sapeva come gestire eventuali intoppi nel piano: non aveva nulla di che preoccuparsi, almeno per quanto riguardava se stesso. Su Mia la storia era diversa, di lei si preoccupava. Ma l'hai scelto. E della tua scelta sei tu l'unica responsabile. Un pensiero dai tratti quasi amari, ma che tratteggiava con precisione la visione che Raiden aveva del mondo - la visione che nel tempo aveva maturato, quanto meno. Ed era amara, sì, perché a volte lui stesso avrebbe desiderato che qualcuno arrivasse nella sua vita e gli togliesse ogni scelta pur di proteggerlo, ma ciò non era mai successo. E col senno del poi, forse era meglio che fosse andata così. Alla fine impariamo a convivere con tutto. Sono fatte così, le persone: pensano di morire per qualunque cosa, ma poi si adattano. Anche col rimpianto e col pentimento si può convivere. Ti insegnano a scegliere e a prenderti la responsabilità di quello che impari a prevedere. « Ci serve un alibi. Hai presente? Se parte un'indagine, in tutti i true crime iniziano dalle persone che non hanno un alibi. Quindi.. stasera usciamo. E' troppo strano saltare.. tu esci pure di lunedì, figuriamoci.. ed è vero che Jeff sa che sono con te, ma resta che è l'alibi perfetto. » La fissò per qualche istante, pensoso, sorseggiando dalla propria tazza. Raiden dubitava che ci sarebbero mai state delle indagini, un po' perché non pensava che il corpo sarebbe stato rinvenuto e un po' perché, anche se fosse successo, conosceva abbastanza bene la sua controparte da sapere che la notizia non sarebbe mai venuta alla luce. Troppa gente era morta nelle stesse mansioni di Kunisada, gente di cui il mondo non sapeva nulla e che non sarebbe mai stata ricordata. Era così che funzionava. Quando accetti l'incarico di assassino, accetti anche di fare questa fine: seppellito chissà dove, lontano dai tuoi cari, i quali non sapranno mai che fine hai fatto. Tuttavia era anche vero che non si poteva mai essere troppo cauti. E con loro non c'è mai stato da scherzare. Abbiamo sempre incastrato chi dava troppo per scontato. « Stiamo insieme agli altri, ci facciamo un paio di spritz, socializziamo.. come se niente fosse successo. Poi.. ad un certo punto - puff. Ormai nessuno si fa più domande quando non ci vedono. Capiranno che siamo andati a scopare. Se stai scopando non puoi seppellire cadaveri. Prendi la macchina. Ci becchiamo qua quando torni. In tanto tenterò di capire cosa offre il palinsesto della serata. » Annuì, serio in volto, vuotando ciò che rimaneva del proprio caffè prima di alzarsi in piedi. « Sì..mi sembra una buona idea. » disse, frugandosi poi nella tasca per estrarne il cellulare e posarlo sulla scrivania. Glielo indicò con un cenno del mento. « Tienilo tu. Manda qualche messaggio ogni tanto. Informati con Jeff e Bartosz come se fossi me. Se ti senti creativa, invia pure qualche meme stupido. » Fece una pausa. « Il pin cinque-cinque-otto-due. » Le diede quell'informazione con tranquillità, senza caricarla di chissà quale importanza. In fin dei conti Raiden non aveva nulla da nascondere nel proprio cellulare. Hai visto un cadavere nel mio armadio. Dubito ti scandalizzerai per i messaggi di Jeff.
    [..] "Torno tra dieci minuti". Uno sbuffo pesante uscì dalle labbra del giapponese nel leggere quelle parole scritte velocemente su un foglio che era stato appeso alla vetrina dell'autonoleggio. Sia mai che qualcuno lavori, durante l'orario di lavoro, in questo paese del cazzo. Si appoggiò quindi con la schiena al muro, incrociando le braccia al petto e fissando la stradina di fronte a sé a fronte aggrottata, mentre col piede scalciava qualche sassolino in terra. Il suo sguardo, tuttavia, sembrò venir catturato dal negozio dirimpetto: un piccolo fioraio all'interno del quale una signora anziana si muoveva a fatica per curare le sue piantine. Stava potando un piccolo bonsai. Sorrise, Raiden, tra sé e sé, ricordandosi di come la nonna paterna se ne stava ricurva su quelle stesse piantine, con gli occhiali che le scivolavano giù dal naso e le iridi scure che scrutavano in silenzio i rametti. Solo il rumore delle forbici era ammesso, in quei momenti. Si staccò quindi dal muro, attraversando la stradina. Il suono di un campanellino annunciò la sua presenza, portando la signora a volgere lo sguardo verso di lui e stirargli un sorriso gentile a cui il ragazzo rispose facendo altrettanto. Si guardò un po' intorno, avvicinandosi poi all'anziana. « Da seme? » La donna sembrò piacevolmente stupita da quella domanda, facendo guizzare lo sguardo nel suo. « Sì. Lo coltivo da otto anni. » Raiden annuì, fissando quel bellissimo bonsai con u sorriso. « Te ne intendi? » Scosse il capo con un sorriso. « No, ma mia nonna li coltiva e qualche volta la aiutavo, da piccolo. » si strinse nelle spalle, inclinando il capo di lato per osservare meglio quell'alberello che, ne era certo, avrebbe fatto impazzire la vecchia signora Yagami. Rimasero in silenzio per qualche istante prima che la signora riprendesse parola. « Posso aiutarti in qualche modo? » Pausa. « Questo ancora non lo vendo, te lo dico. » Un sorriso divertito si stese sulle labbra del ragazzo. Sì, come se potessi permettermi un bonsai del genere! Si raddrizzò, facendo per compiere un passo all'indietro e congedarsi, spiegandole di essere semplicemente stato incuriosito da quella pianta per un fattore sentimentale, quando la donna lo tagliò, indicandogli alcuni fiori che teneva intorno al bancone. « Ne abbiamo anche di più piccoli. Sennò sempre per la casa, secondo me, queste orchidee sono molto belle. » « In realtà non volevo una pianta da casa, ero solo.. » Ma l'improvvisa verve da commerciante della donna lo troncò ancora una volta. « Un regalo? Beh allora se non è per la casa consiglierei un semplice mazzo di fiori. » Oddio. Come me ne esco adesso? Cercò di adocchiare l'uscita, buttando uno sguardo nervoso all'autonoleggio ancora chiuso. « Per una ragazza? Con le rose non si sbaglia mai. » « No, io.. » « Proprio oggi mi sono arrivate queste blu bellissime. » E fu lì che lo sguardo di Raiden cambiò improvvisamente di sfumatura, come se un'idea gli fosse guizzata in testa. « Ha detto blu? » [..] L'aveva posata sul cruscotto, quella singola rosa blu. Ne aveva presa una, simbolicamente, assecondando l'istinto di continuare quel gioco che si era andato a innescare tra lui e Mia con la questione delle mimose. Uno scherzo, ovviamente. Ci abbiamo riso parecchio su questa cosa. È un inside joke. E poi adesso ha i capelli blu, quindi è un pensiero carino - cioè nel senso che è divertente. No? Pensieri, quelli, che si dipanarono distrattamente nella sua testa, sotto le note dell'autoradio. E fu proprio tra le crepe di quella distrazione che la voce di Eriko saettò nell'abitacolo dal sedile del passeggero. « Vuoi spiegarmi per piacere quando, precisamente, sei uscito di senno, Raiden? Toh, pure la rosa. Ma che cazzo di problemi hai? Ne abbiamo parlato. Pensavo che avessi capito. E adesso..bo..le porti i fiori e poi andate a seppellire cadaveri insieme? Tanto valeva fare un bouquet di crisantemi, no? » Prese un sospiro, tenendo gli occhi fissi sulla strada di fronte a sé. Se l'aspettava. Lo sapeva che presto o tardi, Eriko sarebbe comparsa per dare i suoi due spicci sulla situazione. « Ha fatto la sua scelta, Eriko. Ha visto come stanno messe le cose e sa anche che il mio tempo qui è limitato. Le informazioni le ha tutte. Quello che decide di fare non è una mia responsabilità. » Parole, quelle, che sentì scatenare un certo effetto nella sfera emotiva della sorella. Era arrabbiata, più di quanto avrebbe dovuto essere. Riusciva a percepire la sua frustrazione e il suo veleno, come se la cosa la vedesse personalmente coinvolta. Forse sei tu quella ad avere dei cazzo di problemi, Eriko. « Oh certo non è mai una vostra responsabilità. » « Ma vostra di chi? » Ma lei non rispose a quella domanda, continuando per la sua tangente. « È sempre di qualcun altro. Ci mettete il centoventi percento e poi chi se ne frega, giusto? Alla fine le informazioni c'erano tutte, quindi sono gli altri ad essere stupidi per crederci. Come se certe cose si potessero scegliere in maniera razionale da un cazzo di catalogo. Dici che te ne vai, ma poi ci dormi insieme, e le porti i fiori, e le dici che le vuoi bene. Chissà, magari ci tieni pure, ma poi te ne vai lo stesso - non è così? Non è così, Raiden? E allora il problema è diverso. Il problema è che sei un grandissimo pezzo di merda a cui bastano due parole per starsene con la coscienza a posto, preparandosi già a lavarsene le mani e a dire "eh sì, ma io ti avevo avvertita, è colpa tua se sei rimasta". » E lì Raiden capì. Capì qual era davvero il nocciolo del problema. E lo fece scattare. Eriko stava per riaprire bocca e continuare a riversare su di lui quel fiume di parole quando, ormai giunto al limite della sopportazione, il ragazzo strinse i denti e diede una forte manata sul cruscotto, inducendo la sorella al silenzio. Un silenzio in cui lui stesso rimase per qualche istante, prima di prendere parola. « Pensavo che il problema fosse semplicemente la tua incapacità di farti gli affari tuoi, ma a quanto pare è più personale. Quindi ascoltami molto bene. » Teneva gli occhi puntati sulla strada, senza espressione, e il tono di voce freddo. « Prima di mancarmi un'altra volta di rispetto, dovresti farti un bell'esame di coscienza e ricordarti chi ti ha raccolta con un cucchiaino quando ti sei comportata come una stupida, fidandoti del primo che passava. Rispondimi, Eriko: chi c'era con te quando sei andata a risolvere il tuo problema? Chi è che si è occupato di tutto? » « Avevi promesso che non me lo avresti mai rinfacciato. » proferì lei, in un filo di voce appena udibile. Riusciva a sentire quanto l'avesse ferita con quelle parole, e di certo non gli faceva piacere. Ma con te è sempre stato così. Alzi la cresta anche quando non te lo puoi davvero permettere. E l'unico modo per fartela riabbassare è così: con l'umiliazione. Annuì, serio come la morte. « Ecco, brava, noto con piacere che siamo passati ad un tono più adatto. Il tono di chi torna al proprio posto. » La sentì tirare su col naso e volgere lo sguardo fuori dal finestrino, cacciando via le lacrime. « Sei uno stronzo. » mormorò, più tra sé e sé che altro, prima di chiudere il collegamento e lasciarlo solo nel tragitto. È vero. Ma non mi hai dato altra alternativa, Eriko.
    Si era lasciato scivolare addosso quella parentesi poco piacevole, alzando il volume della musica e cercando di dimenticare tanto ciò che si era detto con la sorella, quanto i ricordi che la conversazione andava necessariamente a scoperchiare. Aveva spinto tutto via, richiudendolo in un cassetto e concentrandosi sul pianificare la nottata che lo attendeva: l'unico modo che conosceva per mettere da parte emozioni spiacevoli. E alla fine ci era riuscito, richiamando a sé la calma di quel viaggio in solitaria e ciondolando il capo al ritmo della musica che passava sulla stazione radio inglese. Una volta arrivato a destinazione aveva parcheggiato la macchina nel punto premeditato, facendo poi il giro dello studentato per entrare dalla porta principale e tornare in stanza, con la rosa occultata dietro la schiena. « Tutto ok? » Gettò le chiavi sul tavolino, lanciando un'occhiata a Mia, la cui testa sbucava dal bagno. Annuì, sicuro. « Tutto liscio. Tu? Quali sono i programmi? » « Allora. Gli altri vanno a mangiare da qualche parte a Hogsmeade e poi vanno al Suspiria. Alyssa dice che Jeff ha dato per scontato che ci siamo, quindi ha prenotato anche per noi. Pare ci sia una festa giù al locale. Boh.. si balla.. » Mentre Mia si rintanava nuovamente in bagno, Raiden ne approfittò per poggiare il fiore sulla seconda scrivania, nascosto dietro lo schermo del computer e gli ingombranti aggeggi elettronici. « Ok, quindi mi stai dicendo poco velatamente che devo cambiarmi. Ricevuto. » sentenziò, ridacchiando. E in effetti l'uscita di Mia dal bagno sembrò rispondere già da sé a quel dubbio, portando Raiden a prestare più attenzione alla sua figura. Sollevò entrambe le sopracciglia, sorpreso nel vederla vestita in quella che non era di certo la sua tipica mise. Inclinò quindi il capo di lato, arricciando appena le labbra per frenare un sorriso che tuttavia gli si leggeva tranquillamente negli occhi e nel modo in cui la squadrò da testa a piedi. Fece per dire qualcosa, ma lei lo tagliò. « Uhm.. come ci organizziamo? Cioè.. andiamo separati e ci becchiamo là, oppure..? Cioè.. non lo so.. non so come dobbiamo comportarci. Sai.. per non destare sospetti.. boh.. Dovremmo comportarci nella maniera più naturale possibile. Il punto d'incontro è qui, sotto gli studentati. Alle 8. Tu che dici? » Il giovane Yagami si morse l'interno delle guance, frenandosi ancora una volta dal ridacchiare. Le lanciò comunque un'occhiata eloquente, sollevando un sopracciglio. « Beh vedo che sulla naturalezza sei già pratica. » Scosse il capo, sospirando. « Spero nessuno ci interroghi mai. Cederesti subito. » Ridacchiò, incrociando le braccia al petto nell'appoggiarsi contro la scrivania. Rimase così, a fissarla in silenzio per qualche istante senza lasciar trapelare nulla. E poi, semplicemente, si strinse nelle spalle. « Non vedo il motivo di andare separati. Scendiamo insieme. Mica dobbiamo dare spiegazioni a nessuno. Traessero le conclusioni che gli pare. » E detto ciò le scoccò un occhiolino, allontanandosi dalla scrivania per avvicinarsi all'armadio e aprirne le ante. Sospirò, osservando l'offerta decisamente limitata che esso forniva. Beh, almeno non ho l'imbarazzo della scelta. Perché Raiden, di capi semi-eleganti, non ne aveva poi così tanti. E quindi fu naturale pescare ciò che passava il convento. Si infilò un paio di pantaloni scuri e una camicia bianca, abbottonandola alla bell'e meglio. Fatto ciò, richiuse l'armadio e puntò per qualche istante lo sguardo in quello di Mia, osservandola con un sorrisetto indecifrabile mentre si arrotolava le maniche della camicia fino ai gomiti. Non disse nulla, facendo schioccare a un certo punto la lingua contro il palato prima di voltarsi e raggiungere la seconda scrivania. Prese il fiore tra le dita, preoccupandosi di tenerlo ben nascosto dietro la schiena mentre colmava a passi misurati la distanza tra lui e la Wallace. Si fermò di fronte a lei, seduta, squadrandola dall'alto. E dopo qualche frazione di secondo, le mise la rosa di fronte al viso con un movimento fluido. « Essendomi perso la reazione live alle mimose.. » disse, lasciando la frase volutamente incompleta, mentre sollevava un sopracciglio con fare eloquente. Sorrise, indicandola con un cenno del mento. « E poi fa pendant con i capelli. » Pausa. « Ma un po' meno con le guance. » Ridacchiò, porgendole una mano per farle cenno di alzarsi, così da poterla osservare a figura intera. La squadrò da testa a piedi, umettandosi istintivamente le labbra prima di far guizzare lo sguardo nelle sue iridi. Un sospiro uscì con naturalezza dalle labbra del ragazzo nel farsi più vicino, poggiando le mani sui fianchi di lei e sporgendosi in avanti per posarle un bacio sulle labbra. « Comunque sei molto bella. » disse con un tono di voce più basso, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle iridi di Mia. Lo pensava davvero. Gli piaceva quel vestito su di lei. E infatti passò le dita sulla stoffa della gonna, disegnando il profilo della sua coscia con leggerezza. « Posso? Solo un'occhiata veloce, lo prometto. » Ridacchiò, infilando le dita sotto l'orlo del vestito per sollevarlo un po' e sporgersi a dare una sbirciata al di sotto. Un altro sospiro. Mise giù la gonna. No ok, un'altra e poi basta sul serio. E infatti si sporse di nuovo, risollevando velocemente la stoffa per carezzarle il gluteo e stringerlo appena, emettendo un mugolio di dolorosa frustrazione prima di rimettere tutto al proprio posto e fare un passo indietro. « Ok. È stata una cosa un po' kamikaze, ma ne è valsa la pena. » disse, scoppiando poi in una piccola risata. Prese quindi il giacchetto e se lo agganciò al braccio, facendole cenno con un sorriso di uscire con lui dalla stanza.
    La cena era passata indisturbata: erano i soliti, con le solite battute e i soliti punzecchiamenti. Delilah continuava a far pesare a Jeff la storia dell'anniversario, Bartosz cercava di prepararsi il terreno di gioco con una Veronica completamente ignara, Alyssa parlava a macchinetta come al solito, Taahira beveva per dimenticare e Antonio Colombo raccontava della tipa con cui si stava sentendo in quel momento. Nulla di speciale. Mangiarono e si avviarono allegramente verso il Suspiria, di cui Raiden stava per varcare la soglia quando Jeff fece presente che dovevano aspettare ancora un paio di persone con cui avevano appuntamento lì davanti. La prima ad arrivare fu Gabriela, correndo sui tacchi per unirsi al gruppo e salutare tutti i presenti con baci sulle guance, piccole battute e presentazioni rivolte a quei pochi che non conosceva. Quando fu il turno di Raiden, la ragazza mise su un'espressione sorpresa. « Dai, su, quando finisce l'effetto della polisucco? Raiden Yagami con la camicia non si è mai visto. Sei un po' principiante, fattelo dire. » Il giapponese scoppiò a ridere, ricambiando i baci sulle guance che l'amica dedicò anche a lui. Sulle prime quella cosa gli era apparsa molto strana, ma dopo aver visto l'abitudine di Maya e di Antonio nel salutare la gente così, se ne era semplicemente fatto una ragione. « Entro la fine della serata mi aspetto un "so' Lillo"! » commentò proprio Antonio, scatenando l'ilarità di alcuni nel gruppo a cui aveva rotto le palle fino allo sfinimento con un programma comico italiano. Tra questi, anche Raiden, che ridacchiò, stringendosi nelle spalle. « Bah, tutta questa sorpresa non la capisco. » « No ma infatti io non sono sorpreso. Sempre la stessa roba ti metti per venire qua, quindi. » « Ecco, grazie, Jeff. » Risero e nel giro di pochi istanti un'altra aggiunta si unì al gruppo. Quello che Raiden riconobbe subito come il famoso Vincent Vega. Lanciò un'occhiata a Mia, mordendosi l'interno delle guance per trattenersi dal ridere. « Noi non ci siamo presentati, mi sa. » Stava parlando con lui, e Raiden lo capì solo dopo qualche istante, voltandosi a guardarlo e porgendogli prontamente la mano con un sorriso affabile. « Raiden, piacere. » « Harold. » Saltò nella testa di Mia, sussurrandole all'orecchio. « No, non è vero, ti chiami Vincent Vega,
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    ma ok. Come vuoi tu, Vince. »
    ridacchiò nella propria proiezione prima di interromperla. I due ragazzi si strinsero la mano e dopo qualche chiacchiera di circostanza nel gruppo decisero di entrare tutti quanti nel locale. Tuttavia agli occhi attenti del giovane Yagami non sfuggì la piccola tensione che gli sembrò di cogliere tra Mia e Harold, come se ci fosse qualcosa in sospeso che non era stato preventivato. Lo percepiva, che il ragazzo se ne stava in attesa, aspettando il momento giusto per dire o fare qualcosa della cui natura, Raiden non aveva affatto idea. E proprio sulla base di questo dubbio, il giovane Yagami non lo perse mai davvero d'occhio, attento comunque a non fare nulla che potesse risultare innaturale o fuori luogo. Eppure, ogni qualvolta il tedesco sembrasse sul punto di entrare in azione, il giapponese si metteva in qualche modo di mezzo: quando proponendo un brindisi, quando semplicemente con la propria presenza e quando invece cooptando uno dei due. Tutte cose piccole, che non attiravano chissà quale attenzione, ma che sortirono l'effetto che un po' si aspettava: far crescere nel biondo un certo nervosismo. Li conosco quelli come te. Cosa ciò significasse, lo sapeva solo lui. Ma di certo non stava dando ad Harold alcun motivo per indispettirsi con lui in maniera diretta..facendolo però indispettire comunque, forse pure di più. Una strategia dello sfinimento che parve sortire almeno in parte i suoi frutti, perché ad un certo punto Harold non ce la fece più a sopportare quelle continue interruzioni e decise di cambiare schema di gioco, cercando di prendere Raiden in contropiede. « Ehy amico, senti, scusa se ti interrompo. » Perché Raiden lo aveva bloccato a mezza strada, attaccandoci bottone. « In realtà stavo andando a parlare con Mia. » Mi sorprendi, Vincent. « Sai..dovevamo vederci oggi per un caffè.. » Mise su un sorrisetto, il tedesco, stringendosi nelle spalle. Quella notizia prese Raiden un po' alla sprovvista, ma non sembrò darlo a vedere, mantenendo un'espressione piuttosto neutra mentre azzardava serenamente un « Ma non si è presentata. » « Eh. Tipo. » Sospirò, prendendo un sorso dal proprio bicchiere di incendiario. « E vuoi chiederle perché. » Annuì, Harold, in trepidante attesa di essere lasciato andare. Ovviamente. Sospirò, Raiden, lanciando un'occhiata al ragazzo. « Penso le sia passato di mente. Perché è stata con me tutto il giorno. » Secco e preciso. Headshot. « Woooo, Hungry Like the Wolf plays in background, signori. » Sorrise, un po' per la situazione e un po' per le parole di Savannah che si faceva hypeman improvvisata, stringendosi nelle spalle mentre vuotava il bicchiere e lo lasciava sul tavolino più prossimo. « Scusa, amico. » Aspirò l'aria tra i denti con aria grave ma affatto dispiaciuta e detto ciò si dileguò, raggiungendo Mia che stava parlottando con le sue compagne mentre la canzone in sottofondo nel locale cambiava, toccando delle note che lo fecero sorridere. Ma guarda tu il tempismo. Non badò troppo alle altre ragazze, rivolgendo loro una veloce occhiata per scusarsi dell'interruzione prima di concentrarsi sulla Wallace. « Balliamo? » La fissò, trattenendo un sorriso divertito dall'ironia dell'intera situazione. « Cry to me è un po' emblematica, non credi? » Utilizzò il contatto lycan per condividere con lei quel commento nei confronti della canzone che stava suonando, sciogliendosi poi in una piccola risata mentre la conduceva al centro della pista. Fece scivolare un braccio attorno alla sua vita, poggiando la mano libera sul suo fianco e iniziando a muoversi a ritmo. La fissava col mento sollevato e un sorrisetto stampato in volto, seguendo la musica con i propri movimenti senza curarsi troppo di cosa avessero da dire o pensare i loro amici. E non disse assolutamente nulla per tutta la durata della canzone, continuando a tenere gli occhi puntati in quelli di lei per tutto il tempo come a mo' di sfida. Una sfida che, a ben vedere, stava tanto nello sguardo, quanto nei movimenti. A un certo punto si umettò le labbra, sporgendosi lentamente in avanti col busto, seguendo il ritmo, per portarla a scendere con la schiena. Sempre più in giù fin quando non si ritrovò praticamente chino su di lei, cominciando a quel punto la risalita con la stessa metodologia. Non si staccò quando la musica svanì nelle ultime note, lasciando spazio a un'altra canzone. Non sembrava intenzionato a lasciare la pista, non ancora. Tuttavia, mentre la melodia successiva iniziava a suonare, Raiden prese finalmente parola. « Ho parlato con Vincent. » Pausa. « Ci è rimasto un po' male per il caffè di oggi, sai? » Le scoccò un'occhiata, cercando di carpirne le reazioni mentre la faceva voltare, piazzandosi a ballare col petto a contatto con la schiena di lei e il braccio avvolto sul suo ventre. Sorrise tra sé e sé, conscio di non essere visto, e si avvicinò al suo orecchio. « Però ci è rimasto un po' peggio quando gli ho detto che sei stata tutto il giorno con me. » Ops. Ridacchiò, stringendosi leggermente nelle spalle. « Ho fatto male a dirglielo, Mia? » Pausa. « Dovevo farmi gli affari miei? » La domanda che le pose andò volutamente a ricalcare quella che lei gli aveva fatto qualche settimana prima, e nel pronunciarla le labbra di Raiden si incurvarono ancor di più in un sorrisetto.


     
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    Restò interdetta. No scusa.. ma in che senso? Osservò il cellulare rimasto sulla scrivania con una certa diffidenza, chiedendosi in cuor suo se l'universo le stesse mandando un messaggio subliminale o se in alternativa era una specie di test del Superiore. Ancora ferma sul davanzale della finestra, osservò il piccolo gattino intento a rotolarsi sul letto e giocherellare con i ganci della sua giacca, chiedendosi se questo era il momento in cui Mia avrebbe dato prova del suo essere, al pari di qualunque altra donna, una fidanzata psicopatica. Non lo siamo forse in fondo tutte? Delle fidanzate psicopatiche, intendo. Non vogliamo forse tutte avere accesso all'iperuranio becero di chi ci sta accanto? Però Raiden non è il mio ragazzo, e a me non è poi molto chiaro a che punto siamo. Ma forse questo è proprio il segno dall'alto di cui avevo bisogno. Si alzò con aria grave, andando a sedersi sul letto, coprendosi il volto con entrambe le mani, sospirando profondamente come se fosse stata messa di fronte a una grossa responsabilità alla quale non era in grado di far fronte. Di scatto lo schermo del cellulare si illuminò facendola trasalire. E poi vibrò ancora. E poi una terza volta. E Mia dal canto suo sgranò gli occhi allungando la mano per afferrare il dispositivo. Tutte notifiche di un gruppo su cui comparivano i nomi di Jeff e Bartosz. Faccine ridenti e immagini il cui contenuto non era visibile sullo schermo. Si inumidì le labbra passandosi le dita tra i capelli, gettando un veloce sguardo al gatto, quasi come se si trattasse di un testimone oculare cruciale. Cinque - cinque - otto - due. Lo schermo si illuminò e per un istante Mia indugiò non sentendosi propriamente a suo agio di fronte alla tentazione di frugare ovunque. Lasciò scorrere il dito sulla schermata principale; non ha Tinder, non ha app sceme. A quel punto avrebbe potuto frugare nella galleria, nei contatti, tra i suoi social. Aprì invece whatsapp, senza lasciarsi tentare troppo, scorrendo in alto i messaggi del gruppo dei ragazzi per capire il tasso delle risposte di Raiden; decise di rispondere con una serie di emoji che ridono e qualche commento molto generico. E infine, tornata sulla schermata delle chat, lasciò scorrere il dito verso il basso. La sua era tra le prime e ciò la fece sorridere. Non li cancella i miei messaggi. E infatti gli ultimi che si erano scambiati erano come sempre piuttosto eloquenti. Il pollice premette sulle chat archiviate, e lì, ne trovò diverse. Ragazze. Ma anche ragazzi, a onor del vero. Arrotondando con le ripetizioni, non c'era d'altronde da stupirsi che parlasse con tanta gente. Tutte chat che risalivano a molto prima di marzo. L'ultimo scambio con Gabriela risaliva addirittura a dicembre. Si morse istintivamente il labbro, scuotendo la testa. Ok basta, non ne voglio sapere. Non sono affari miei, non è il mio ragazzo. Decise di restare su quella linea per tutto il pomeriggio, ad eccezione di un intervento nello specifico: posta di fronte al rituale di vestizione, aprì l'anta dell'armadio su cui regnava sovrano uno specchio intero e, slacciatosi il reggiseno, posò una spalla contro il mobile sbloccando il cellulare e accendendo la fotocamera. Foto piuttosto eloquenti quelle scattò, a tratti scandite da un vedo non vedo che palesava le sue forme, a tratti decisamente più esplicite. Fatto ciò, fece diverse foto al gattino per far scendere di più in galleria le proprie foto, e infine si scattò un selfie mimando un saluto militare con l'occhiolino e la linguaccia. [...] « Beh vedo che sulla naturalezza sei già pratica. Spero nessuno ci interroghi mai. Cederesti subito. » Alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa. « Dai, non fare il deficiente, è una roba seria! » Ma al contempo la giovane Wallace stava cercando di soffocare una palese risata. « Non vedo il motivo di andare separati. Scendiamo insieme. Mica dobbiamo dare spiegazioni a nessuno. Traessero le conclusioni che gli pare. » A quel punto fece una serie di smorfie atte a nascondere il suo sentirsi effettivamente lieta di sentire quelle parole da parte di Raiden. Ok. Andrò con questo flow. Traessero le conclusioni che gli pare. Giusto. Riprese il proprio cellulare iniziando a scorrere distrattamente Wiztagram, mentre il giovane Yagami sceglieva dalla sua vasta collezione primavera-estate 2021 cosa avrebbe indossato per la serata. Le capitò sin troppe volte di lasciar scivolare lo sguardo ambrato sulle linee della sua schiena, inumidendosi le labbra e giocherellando con una ciocca di capelli che continuava ad arrotolarsi sull'indice senza ragione alcuna. Deglutì ad un certo punto scuotendo la testa, mentre esalava un sospiro carico di frustrazione e attesa, spostando lo sguardo con apparente spontaneità fuori dalla finestra, quasi come se non volesse essere colta a sbirciare con così tanto interesse. Tornò a osservarlo solo quando le si parò davanti, inclinando appena la testa di lato con un'espressione interrogativa e un vago principio di sospetto. E adesso che c'è? Ma prima che la Serpeverde potesse dire qualunque cosa, si ritrovò sotto gli occhi una rosa blu, dalle tinte molto simili ai suoi capelli. Corrugò la fronte apertamente confusa, massaggiandosi il collo mentre un leggero brivido le attraversava la schiena. « Sul serio.. » Disse, tentando di mostrarsi il più possibilmente scettica seppur il suo compiacimento fosse evidente. « Essendomi perso la reazione live alle mimose.. » Ecco che ricominciamo. Le rose, le uscite.. e i cadaveri. Prese la rosa con un leggero senso di incertezza, sentendosi decisamente in imbarazzo. Una difficoltà quella che si tradusse in un improvviso mutamento del colorito delle sue guance, mentre roteava il fiore tra le dita. Un gesto che trovò carino; decise comunque di fare violenza su se stessa per mantenere la questione ferma al semplice gesto carino. « E poi fa pendant con i capelli. Ma un po' meno con le guance. » E lì, seppur divertita, gli riservò un'espressione carica di un misto di disapprovazione e perplessità. « Comunque sei molto bella. » E lì, il rossore nelle sue guance si intensificò ulteriormente, portandola a scostare lo sguardo per qualche istante inumidendosi le labbra, prima di scuotere la testa alzando gli occhi al cielo. Un modo come un altro per tentare di sembrare meno colpita di quanto in realtà lo fosse. « Scommetto che lo dici a tutte. » Lasciò cadere lo sguardo sulla mano che tastava la consistenza del suo vestito e mentalmente si ritrovò a ringraziare Alyssa per quella scelta decisamente fuori dagli schemi. Ok che sarà scomodo, ma questa reazione è impagabile. E comunque ti ringrazio relativamente, Alyssa. Adesso questa cosa della colombiana me la spieghi. « Posso? Solo un'occhiata veloce, lo prometto. » Sollevò il mento sorpresa, mentre un sorriso genuino si allargava sul viso di lei. « Pessimo! » Fu il suo unico commento mentre chiudeva gli occhi coprendosi il viso. La sfacciataggine di Raiden superava di molto quella di Mia, e per quanto fosse effettivamente una tipa intraprendente, l'intraprendenza di lui superava di molto la sua, tanto da metterla costantemente in difficoltà. E' difficile giocare a un gioco che conosci, quando qualcun altro ci gioca meglio di te. A quel punto due sono le cose: o accetti la sconfitta e ci stai, oppure alzi la posta in gioco. Gli lasciò quindi fare, consapevole di quanto fossero calde le sue guance e di quanto forte battesse il suo cuore scosso da mille emozioni contrastanti. Decise comunque di tenersi per sé il proprio asso nella manica, convinta che la pazienza era la miglior virtù che potesse esercitare. « Ok. È stata una cosa un po' kamikaze, ma ne è valsa la pena. » Mia scosse la testa sollevando un sopracciglio prima di spintonarlo verso la porta. « Suuuu, muoviti! Mamma mia, prima di pranzo eri ancora steso al letto, e ora stai già così. Ma come fai! » Mio dio! Incontenibile e incontrollabile!
    [...] Era al terzo drink della serata quando abbandonò il bancone dirigendosi verso il bagno delle signore con l'unico intento di prendere una boccata d'aria. Si accese una sigaretta guardandosi allo specchio, noncurante di chi potesse entrare. « Ieri sera ho detto a Harold che oggi uscivo con lui e poi l'ho pisciato. E ora Harold è qui e anche Raiden è qui. » Parole che Mia dice tutte d'un fiato, scuotendo la testa con un certo nervosismo guardandosi attorno con fare sospettoso, assicurandosi che nessuno dei due è a portata d'orecchio. Non è da sola, ed è lieta che Stacey abbia deciso di darle supporto morale. Sin da quando aveva capito che Harold sarebbe stato parte della comitiva, Mia non aveva fatto altro che tentare di evitare qualunque spiacevole situazione restando palesemente attaccata a una delle sue amiche. « Quando niente, quando troppo. Speedy on fire. » Alzò gli occhi al cielo appoggiandosi contro il lavabo in marmo bianco coprendosi il viso. « E' un casino! UN CASINO TI DICO! Senza contare che Ronnie e Alyssa sono già partite. Minimo se dico qualcosa, quelle fanno pure peggio. » La bionda sospirò annuendo tra se e se. « Boh per come la vedo io la questione è semplice. Con chi sei venuta qui? » Con Raiden. « Da sola. » Stacey le getta uno sguardo eloquente. [color=aquamarine.]« Va beh.. dicevo: con chi hai passato la giornata? »[/color] Con Raiden. « Va beh, ma mica potevo lasciarlo da solo! » « Speedy.. da quando essere onesta è un problema? Digli che non t'interessa e basta. Stai col tuo tipo e sticazzi.. » « Non è il mio tipo.. » « Ok non è il tuo tipo. Allora col tipo con cui evidentemente hai deciso di venire qui. Ti ha pure portato i fiori. » Mia liquidò la questione con un gesto veloce della mano aspirando dalla sigaretta. « Ma stava scherzando. » E lì, Stacey la prende per le spalle obbligandola a guardarla negli occhi. « Mia.. basta! » « Ma noi non.. » La giovane americana scosse la testa prima di superarla dirigendosi verso l'uscita del bagno, lasciando che la sua voce facesse eco in tutto il bagno. « Ti voglio bene, Mia.. ti voglio bene. » E dicendo ciò la proiezione della giovane Graham scomparve lasciandola lì più confusa di prima. Si ma al di là di tutto io mica ho certezze qua. Ok che volevo uscire con Harold solo perché mi rodeva il culo, però.. Soffia pesantemente sentendosi avvampare le guance. Cioè vorrei una roba del tipo "buttati che è morbido". Non abbiamo mica parlato di un'esclusiva. Ok che forse non ha sentito nessuna in questo periodo, ma potrebbe anche aver cancellato i messaggi. E poi comunque, anche se fosse, il fatto che non si è scopato nessuna fino a questo momento, non significa che non lo farà in futuro. Quali sono le mie certezze se non che un giorno se ne andrà e sticazzi? Lasciò scorrere l'acqua nel lavandino osservando il flusso dell'acqua con particolare insistenza. Gabriela però non sembrava nemmeno interessata. Ormai nel gruppo lo sanno tutti che tra noi c'è qualcosa. Lui non lo nasconde neanche. Se la colombiana avesse voluto pisciare attorno al vaso lo avrebbe già fatto, no? E lui neanche l'ha guardata. Nessuno complimento. Manco stai bene stasera. Restò a pensarci per un po', consapevole di quanto poco fosse incline alla cieca gelosia. Io però un paracadute lo vorrei. Lo vorrei davvero.. Ma forse, Mia, stava mentendo persino a se stessa, perché un paracadute non lo stava davvero cercando, né sembrava trovarne uno abbastanza interessante. Oppure vorrei solo essere sicura. Cazzo, dovevo leggermi pure gli sms in quel cazzo di telefono! Brava cogliona, Mia! Sapeva tuttavia che non lo avrebbe fatto, che si sarebbe sentita inutilmente in colpa se fosse andata fino in fondo con quella missione. C'era poi un fattore altro del tutto subconscio ad averla spinta a comportarsi in una determinata maniera: nell'incertezza sembrava starci comoda. L'incertezza la alimentava, l'accendeva di desiderio e di aspettative. L'aspettativa di quando avrebbero fatto un passo in più, di quanto l'avrebbe sorpresa ancora. Non voleva sapere tutto e subito, eppure, il non sapere, sembrava gettare il suo animo in uno stato tumultuoso che a tratti la metteva seriamente in difficoltà. Scosse la testa infine e decise di abbandonare le retrovie, andando a sedersi a uno dei tavoli in compagnia dei suoi amici. « Rissa all'orizzonte, signore. » Disse di scatto Shai dandole un leggero colpetto sotto il tavolo, indicandole Raiden e Harold intenti a parlare in solitaria nei pressi del bancone. Harold le gettò per un istante uno sguardo insistente e, da quello che riuscì a percepire, leggermente astioso. « No va beh, sotterratemi. » « E perché mai. Questo è il momento in cui ti prepari a chiedere loro di smetterla, sperando intimamente che continuino ad ammazzarsi di botte per te. » Mia gettò uno sguardo piuttosto eloquente al migliore amico, scuotendo la testa. « Certo! Perché siamo ancora nel medioevo. » Il giovane Lynch ridacchiò e altrettanto fecero Ronnie e Alyssa. « Cazzo lo voglio pure io uno che piscia attorno al vaso per me. » In tutta risposta, Mia prese il drink che Ronnie aveva davanti, posizionandolo dall'altra parte del tavolo. « Tu sei ubriaca. Questa roba è tanto basic! » « E allora perché non vai a fermarli? » Shai scoppiò a ridere e altrettanto fece Alyssa. « Perché.. » « No no no.. troppo tardi. Sta venendo in questa direzione. » « Fate i vaghi. DCAO FA DAVVERO SCHIFO MIA! » E poi i tre amici sollevarono di scatto lo sguardo nella direzione di Raiden, sorridendo all'unisono, mentre Mia volgeva a sua volta gli occhi ambrati verso il moro, tentando di essere almeno un po' meno sgamabile degli altri tre. Ecco, adesso finisce tutto a cazzo di cane. Ne avevo due, ora ne ho zero. Next step: convento. La drammaticità con cui passò mentalmente in rassegna tutte le sue opzioni, venne frenata di colpo dall'esplicita richiesta di Raiden. « Balliamo? » Come prego? « Cry to me è un po' emblematica, non credi? » Sgranò gli occhi piuttosto perplessa, mentre cercava di elaborare mentalmente una risposta sulla base delle informazioni che aveva. Quasi ignorò la sua proiezione, nonostante fosse ben consapevole di cosa quel commento significasse. Magari hanno parlato del tempo.
    Magari hanno rispolverato insieme il tedesco. Magari non ho niente di cui preoccuparmi.
    Una cosa è certa: Mia non avrebbe mai più visto Dirty Dancing con li stessi occhi. Quando te ne andrai io lo odierò quel film. Questo già lo so. « Uhm.. certo! Perché no. » Asserì infine in apparente scioltezza, accettando la sua mano per dirigersi verso il centro della pista. Il magnetismo che sprigionò quel ballo la lasciò letteralmente senza fiato, tant'è che ad un certo punto fu certa di aver dimenticato come si respirasse. Gli occhi di lei puntati in quelli di lui, mentre lasciava scorrere le dita lungo le sue braccia, ancheggiando sinuosamente giungendo a posare le mani sulle sue, abbassandole leggermente sui suoi fianchi ed esercitando una leggere stratta sulle dita di lui quasi invitandolo a stringerla di più. Noncurante degli sguardi altrui, mantenne alta l'attenzione su quella sfida tra i loro sguardi che a ben guardare aveva il potenziale di una bomba atomica. Non si staccò nemmeno quando la canzone cambiò, non essendo nemmeno certa di aver percepito quel cambio di ritmo. Mia era altrove, e quell'altrove non avrebbe voluto che finisse mai. « Ho parlato con Vincent. Ci è rimasto un po' male per il caffè di oggi, sai? » Provò a sembrare il più calma possibile, seppur, il rossore nelle guance riuscì a tradirla ancora una volta. « Ah si? » Inclinò la testa di lato, sollevando appena il mento con fare spavaldo. Perché nonostante tutto, Mia non intendeva dargli la soddisfazione mostrandosi in difficoltà, né tanto meno intendeva palesare il suo tesa come la corda di un violino. Di scatto, il contatto visivo tra i due venne a mancare; la schiena di lei incollata contro petto di lui. Ne fu lieta. Non era certa di quanto ancora sarebbe stata in grado di mantenere quella faccia tosta senza crollare in preda al nervosismo. « Però ci è rimasto un po' peggio quando gli ho detto che sei stata tutto il giorno con me. Ho fatto male a dirglielo, Mia? Dovevo farmi gli affari miei? » Si inumidì le labbra, dando infine un morso al proprio labbro inferiore, sospirando profondamente, mentre posava una mano sopra a quella che circondava il busto di lei, intrecciando al tempo stesso le dita della mano libera a quelle di lui. Per un po' non disse niente, posando la nuca contro la sua spalla per sollevare lo sguardo abbastanza da da poterlo guardare in faccia. « Ah capisco, quindi oggi ti sei portato dietro la clava. » Disse di scatto scoppiando a ridere. Si voltò, incrociando le braccia attorno al collo di lui, sollevando un sopracciglio. « Dopo mi carichi su una spalla e mi porti nella tua caverna? » Allora sei proprio basic. Ma nonostante tutto, Mia non sembrava affatto dispiaciuta dalla questione. Sin da quando erano approdati al Suspiria, Harold era esistito nella sua testa solo in funzione di Raiden e adesso sembrava essere completamente scomparso. « In ogni caso io penso.. » E dicendo ciò lasciò scorrere l'indice lungo la pelle scoperta sotto la camicia di lui. « ..che sia più che giusta la presenza di Harol questa sera. » Pausa. « Considerato che con noi c'è anche Gabriela.. » E dicendo ciò la voce di lei si alzò di due ottave, inclinando la testa di lato per osservarlo con uno sguardo eloquente. Non disse altro, abbassando gli occhi leggermente, presa in contropiede dalle sue stesse parole. Non avrebbe dovuto parlarne. Scosse tuttavia la testa e sospirò, cercando di scrollarsi di dosso tutta la tensione accumulata in merito. « Immagino che questa tua mossa mi offre il diritto di rendere il nostro fair play meno fair.. » Pausa mentre avvicina le labbra all'orecchio di lui. « ..e più play. » Si strinse di più a lui, stampandogli un leggero bacio sulle labbra, noncurante di chi potesse vederli. Conduce la mano di di lui sulla propria schiena, lasciandola scivolare sempre più in basso, mentre lo osserva con estrema attenzione. « Non devi mica marcare il territorio, Raiden. » Gli disse di scatto senza staccare lo sguardo dal volto di lui nemmeno per un istante, arricciando appena le labbra. « Soprattutto.. credo che per marcare un territorio, dovresti averlo prima rivendicato. » Solleva un sopracciglio inclinando la testa di lato. « Tu senti di averlo fatto? » Parole colme di sfida, quelle della giovane Wallace prima di sospirare. « Dammi il tuo cellulare. » Indietreggiò di un passo allungando la mano nella sua direzione inumidendosi istintivamente le labbra, mentre tirava fuori il suo di conseguenza porgendolo al ragazzo. « Zero-otto-zero-otto-otto-nove » La data di nascita del maggiore di casa Wallace. Gli diede il tempo di inserire il pin prima di fare altrettanto dal canto suo. « Siamo un po' maleducati non credi? Forse è il caso di tornare dagli altri. » Ma nello stesso momento la proiezione di Mia si piazzò alle spalle di Raiden, cogliendolo in un leggero abbraccio dalle tinte luciferine. Avvicinò le labbra all'orecchio di lui e ridacchiò. « Sei ancora interessato a ciò che voglio? Perché vorrei tanto che tu andassi a sederti al bancone assieme ai tuoi amici. » A quel punto indietreggiò di un altro passo, sorridendo con fare malizioso mentre apriva la propria chat, mandando una semplice faccina sorridente. Scoppiò a ridere scuotendo la testa per poi scorrere tra le ultime foto mandandogli una delle foto meno esplicite che aveva scattato quel pomeriggio. La ritraeva di fianco allo specchio; i lunghi capelli color blu cobalto le coprono il seno mentre sorride maliziosamente allo specchio. Digita velocemente solo poche parole. "Foto di ragazzacce. Iniziamo molto male. Ne vedo una marea da dove è arrivata questa. Sono sul punto di cambiare idea." E così facendo, la giovane Wallace si stringe nelle spalle prima di bloccare il cellulare roteandolo tra le dita prima di stringersi nelle spalle. Avrebbe potuto fare la stessa cosa in qualunque momento, utilizzare il suo cellulare, stuzzicarlo in attesa di ogni weekend passato insieme, eppure non l'aveva fatto. Hai avuto tutto ciò in tasca per tutta la sera e non ne avevi la più pallida idea. « Tienilo d'occhio. Chissà quante altre sorprese riserva. » Disse infine sollevando il cellulare di lui, prima di rivolgergli un eloquente occhiolino e un sorriso furbetto. Scoppiò a ridere scuotendo la testa, prima di dirigersi verso il tavolo di Shai, Ronnie e Alyssa. Al party si era aggiunto anche Bartosz. Si sedette di fianco a Ronnie, un po' più lontana di prima, osservando che, in sua assenza la mora aveva pensato di recuperare il suo cocktail e ordinarne un altro. « Prendetevi una stanza cazzo! » Mia scoppiò a ridere chiedendo al cameriere un giro per tutti, aggiungendosi alle tante chiacchiere. Da quella posizione aveva una visione ideale sul bancone e su tutto ciò che succedeva. Sbloccò di colpo il cellulare, e questa volta, nella chat inviò una semplice foto del gatto di Raiden scattata nel pomeriggio. Il cucciolo si stiracchia pigramente sul letto; tuttavia, subito dopo, ne inviò un'altra leggermente più scoperta. "Ho una visione fantastica da qui." Ed effettivamente inclinato il capo di lato, lasciò scorrere lo sguardo sull'intera figura di lui, sollevando infine un sopracciglio sospirando tra sé e sé. Continuò a chiacchierare per diverso tempo in compagnia degli altri. Mandando di tanto in tanto alcune delle foto, andando in ordine, dalle meno esplicite alle più esplicite. Finché, passato diverso tempo e persasi tre quarti dei discorsi fatti dagli altri, si ritrovò in proiezione al bar, là dove Jeff stava spiegando a Raiden, Delilah, Antonio e Gabriela l'ennesima teoria stupida che aveva letto su facebook. Era passata da poco la mezzanotte. Ancora troppo presto per portare a termine i loro piani. « Dici che sono stata abbastanza creativa? » Chiede chiaramente riferendosi alla richiesta che le aveva fatto prima di partire per Edimburgo. « Ho risposto come se fossi te? » Scoppiò a ridere inclinando la testa di lato, pronta a elencare sulle dita di una mano tutto ciò che considerava fondamentale nell'atteggiamento di Raiden nei suoi confronti. « Discreta. Onesta. Ma soprattutto.. sottile. » Perché in fondo tu non sei mica la persona più sfacciata e disonesta che io conosca. « Dovremmo restare ancora un po'.. però.. sarebbe davvero così stupido defilarci semplicemente prima? » Posa i gomiti sul bancone e sospira, massaggiandosi appena il collo. « Mi hai già rovinato la piazza. Tanto vale accompagnarmi a fare un giro. Da soli. » Si schiarisce la voce sbattendo un paio di volte le palpebre. Dicendo ciò lo schermo del suo cellulare si illumina ancora una volta. Questa volta Mia gli mandato l'indirizzo di uno shop per adulti che ha aperto da diverso tempo nella periferia di Hogsmeade. H24 ovviamente. Mia e Ronnie si erano sempre ripromesse di andarci, ma in un modo o nell'altro avevano sempre rimandato. « Forse riusciamo a trovarti qualcosa che ti tenga compagnia durante la settimana. Oltre alla mia creatività ovviamente. » Pausa. « Non vorrei che ti sentissi.. trascurato. »




     
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    « Ah capisco, quindi oggi ti sei portato dietro la clava. Dopo mi carichi su una spalla e mi porti nella tua caverna? » Scoppiò a ridere, sollevando il mento a mo' di sfida, con un sorrisetto che sembrava prendere una piega particolarmente compiaciuta. E annuì, convinto. « Era quello il piano. » disse, con una sfumatura ironica nel tono di voce. Lo divertiva l'idea di stuzzicarla su quel frangente, un po' come aveva fatto con la situazione delle mimose. Perché in fin dei conti, se Raiden non poteva essere definito a tutti gli effetti come un tradizionalista, era comunque vero che il suo approccio con il mondo femminile rispettasse certe dinamiche consolidate da tempo. Quando presi nelle giuste dosi, il giovane Yagami non trovava quei ruoli spiacevoli - anzi! Gli piaceva fare cose come regalare dei fiori, offrire una cena, fare un primo passo e così via: gli veniva spontaneo. Ed era piuttosto certo che non solo Mia, questo lo avesse capito, ma che sotto tutte quelle prese in giro anche a lei facesse piacere ricevere tali attenzioni. Ti si legge in faccia, Wallace. Sei proprio un libro aperto su certe cose. E infatti il moro si morse il labbro inferiore in un'espressione gongolante, protendendosi leggermente in avanti verso il viso di lei. « E perché cambiarlo quando è così evidente che funzioni? » Si umettò le labbra, sollevando un sopracciglio e una spalla all'unisono, mentre l'angolo delle sue labbra si incurvava in un sorrisino sornione. « In ogni caso io penso..che sia più che giusta la presenza di Harol questa sera. Considerato che con noi c'è anche Gabriela.. » La sua espressione mutò a quell'affermazione, portandolo ad aggrottare la fronte con aria leggermente confusa e un po' divertita. « Che c'entra Gabriela? » disse, ridacchiando leggero. D'altronde era vero che con la ragazza colombiana fosse successo qualcosa, e non sentiva nemmeno la necessità di negarlo, ma trattandosi di un paio di parentesi sporadiche e anche un po' lontane nei mesi, non riusciva a comprendere quale nesso ci fosse. Tuttavia il suo sorriso tornò presto a riprendere un tratto sornione, scoccando alla mora un'occhiata eloquente da sotto le ciglia. « O meglio: tu che ne sai di Gabriela? » Si fece più vicino, arrivandole a un palmo dal naso come a volerla sfidare ulteriormente. « Per caso ti sei andata a leggere le mie chat, Mia? » La cosa non sembrò dargli chissà quanto fastidio, e infatti fu naturale il modo in cui le sue parole scivolarono presto in una risata. Semmai lo trovava divertente, e anche un po' tenero: un punto in più su cui stuzzicarla, insomma. Intrattenersi in quell'idea, infatti, sembrò creare in lui uno strano moto di compiacimento, come se avesse ricevuto la risposta che aspettava a una domanda che non sapeva nemmeno di aver posto. Le sue mani scivolarono dunque lungo la schiena della ragazza, adattandosi alle sue forme nel farsi più vicino in quel ballo. « Immagino che questa tua mossa mi offre il diritto di rendere il nostro fair play meno fair..e più play. » Chiuse gli occhi quando le labbra di Mia si posarono con leggerezza sulle sue, ricambiando il suo bacio con la stessa delicatezza con cui poggiò una mano sulla sua guancia, lasciando poi che lei la conducesse lungo il profilo del proprio corpo. Inspirò profondamente, facendo guizzare la punta della lingua fuori dalle labbra per disegnare lentamente il contorno di quelle di lei mentre i suoi polpastrelli affondavano senza remore a far presa sulla sua natica. « Non devi mica marcare il territorio, Raiden. Soprattutto.. credo che per marcare un territorio, dovresti averlo prima rivendicato. Tu senti di averlo fatto? » Ah è così che vuoi metterla quindi. Sollevò un sopracciglio, inclinando il capo di lato mentre si umettava piano le labbra, facendo scorrere lo sguardo su di lei in maniera piuttosto eloquente. Si spostò quindi quanto bastava a precludere la visuale di Mia dal resto del locale, facendo sì che lei desse le spalle al palco. E a quel punto si avvicinò, avvolgendola in quello che doveva sembrare un abbraccio, ma che fu l'ottima scusa per far scivolare le dita sotto la sua gonna, risalendo con lentezza ad accarezzarle la natica. « Dovrei? » sussurrò al suo orecchio, lo sguardo dritto di fronte a sé in un punto imprecisato, distratto ma illuminato da una luce piena di malizia. « Qui di fronte a tutti, Mia? » Sorrise, più tra sé e sé che altro, facendo aderire il bacino a quello della Serpeverde mentre col dito medio andava a sfiorare piano la stoffa che le copriva l'intimità. Un altro sorriso, questa volta accompagnato da una muta risata che sbuffò dalle narici. « Dici cose un po' rischiose per una che arrossisce quando le sbircio sotto la gonna nella solitudine di una stanza. » Avrebbe potuto utilizzare il contatto lycan per quel teatrino? Certo. Ci aveva pensato? Assolutamente. Ma perché farlo quando era così evidente che la Wallace stesse cercando con ogni mezzo di stuzzicarlo? Ah, Mia. Quando capirai che a me non importa assolutamente nulla di essere beccato con le mani nel sacco, né tanto meno di quale opinione possa farsi la gente di me, allora sì che cominceremo a ragionare. « Dammi il tuo cellulare. » La lasciò prendere i suoi spazi, continuando a tenere quel sorrisino tronfio mentre estraeva il telefono dalla tasca, mantenendo lo sguardo fisso negli occhi di lei, con le palpebre appena assottigliate. « Che c'è? Ti sei persa qualche chat di Settembre? » La stuzzicò, facendo uscire dai denti la punta della lingua per sottolineare l'ironia di quell'affermazione prima di consegnarle il dispositivo e prendere in cambio quello di lei, non senza mostrarle un'espressione a metà tra il divertito e il confuso. « Zero-otto-zero-otto-otto-nove. » Le lanciò un'occhiata vagamente sospettosa, per poi sospirare e inserire il pin, sbloccando la schermata principale del telefono. Non sapeva davvero cosa aspettarsi, e di certo nulla in particolare lo colpì: uno sfondo generico, tipiche applicazioni che avrebbe avuto chiunque nella loro fascia di età e diversi messaggi non visualizzati su whatsapp. Che ci devo fare? Decise di aprire la galleria, arricciando le labbra divertito mentre scorreva velocemente le foto. Per lo più si trattava di selfie, meme, foto di gatti, foto con le amiche, screen di chat sparute, roba di scuola e via così. Insomma: tutto nella norma. « Siamo un po' maleducati non credi? Forse è il caso di tornare dagli altri. » Sospirò, bloccando lo schermo del cellulare e mettendoselo in tasca. Fece per aprire la bocca e dire qualcosa quando alle sue spalle comparve la proiezione di Mia. « Sei ancora interessato a ciò che voglio? Perché vorrei tanto che tu andassi a sederti al bancone assieme ai tuoi amici. » Mise su un'espressione ironicamente contrita, alzando gli occhi al cielo con uno sbuffo. « Levati dal cazzo, Raiden - insomma. » Ma non appena disse quelle parole, scivolò subito in una risata, visualizzando la foto che lei gli aveva mandato. Sorrise, scoccandole una veloce occhiata intrisa di pura malizia. Letta la didascalia, si inumidì le labbra, cominciando a digitare qualche parola. "Ok quindi questa per te è una foto da ragazzaccia? Piccina che sei!" Inviò, corredando il messaggio di una faccina ridente con la lingua fuori. « Tienilo d'occhio. Chissà quante altre sorprese riserva. » Si voltò quindi per dirigersi verso il bancone del bar, dove si aggiunse agli amici come se nulla fosse, ordinando un gin tonic e iniziando a parlare del più e del meno, sebbene la sua attenzione fosse sempre rivolta a cogliere qualche vibrazione del telefono. « Oh ma quindi proprio ufficialissimo, mi dicono. » Eh? Sollevò lo sguardo in direzione di Jeff, capendo che si stesse rivolgendo a lui solo per via del colpetto che gli diede alla spalla. « Boh mezzo che sto struscio al limone in mezzo alla pista ci è parsa tanto una dichiarazione di intenti. » Il gruppetto ridacchiò, portando Raiden a sollevare gli occhi al cielo e scuotere il capo. « Vabbè dai, come se fosse la prima volta che lo vedi fare ste cose! » sdrammatizzò subito Antonio, dando un leggero spintone a Jeff e lanciando un'occhiata furtiva a Gabriela, la quale non sembrò scomporsi affatto. « Ma poi, al di là di questo, non è che mi offenderei se ogni tanto ti facessi un po' di cazzi tuoi, Jeff. Così, per dire. » parole che pronunciò comunque col sorriso sulle labbra, più per prenderlo in giro che altro. E lì, tra una cosa e un'altra, cominciarono ad arrivare altre foto. Prima del proprio micio che sonnecchiava, poi altri scatti simili a quello ricevuto in precedenza. Raiden fece sempre attenzione a tenere il telefono in maniera tale da non lasciar trapelare nulla al gruppo, comportandosi con assoluta naturalezza mentre piccoli sorrisi carichi di eccitazione si stagliavano sulle sue labbra ad ogni invio. « Dici che sono stata abbastanza creativa? Ho risposto come se fossi te? Discreta. Onesta. Ma soprattutto.. sottile. » Ridacchiò, comparendo al fianco di Mia che stava ancora in compagnia dei suoi amici. « Mh..non saprei. Io sarei stato un po' più spinto. Ma come antipasto ci può stare. » Le scoccò un'occhiata, sollevando un sopracciglio con aria eloquente. « Dovremmo restare ancora un po'.. però.. sarebbe davvero così stupido defilarci semplicemente prima? Mi hai già rovinato la piazza. Tanto vale accompagnarmi a fare un giro. Da soli. » Rimase per qualche istante a fissarla in silenzio, consapevole del fatto che non avesse alcun bisogno di risponderle per farle capire quale fosse la sua opinione a riguardo. E poi il cellulare vibrò ancora, portandolo a sospirare e lanciarle un'ultima occhiata prima di visualizzare l'ennesimo messaggio. L'indirizzo di un negozio di nuova apertura. Raiden ne aveva sentito parlare, ovviamente. Antonio era stato il primo a visitarlo, dilungandosi in recensioni anche piuttosto dettagliate del luogo. Aveva pensato di farci un salto durante il fine settimana, ma i suoi piani erano stati un po' scombussolati per ovvi motivi. Evidentemente era proprio destino. Sollevò le sopracciglia, schioccando la lingua contro il palato. « Vedo che ci sentiamo alternativi stasera. » « Forse riusciamo a trovarti qualcosa che ti tenga compagnia durante la settimana. Oltre alla mia creatività ovviamente. Non vorrei che ti sentissi.. trascurato. » Ridacchiò, riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni per riportare lo sguardo negli occhi di Mia. « Mh secondo me invece potrebbe essere un'ottima occasione per darti un altro scorcio sul mio paese. Sai..ho saputo che certe nostre cose hanno un certo successo anche qui da voi. » Detto ciò le rivolse un veloce occhiolino, indicandole l'uscita dal Suspiria prima di sparire dalla proiezione.
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    [..] Non aveva dato spiegazioni, Raiden. Si era dileguato e basta, conscio del fatto che i suoi amici avrebbero tirato da soli le somme della coincidenziale sparizione di lui e di Mia. E infatti i loro telefoni non squillarono né durante il tragitto, né quando entrarono nel seminterrato che accoglieva quel negozietto dall'aria un po' losca. Il tipo al bancone non gli rivolse né uno sguardo né un cenno di saluto, continuando a sfogliare la propria rivista e lasciandoli liberi di vagare per l'ambiente un po' buio, illuminato da alcuni neon colorati che cambiavano lentamente sfumatura sotto una musica che - Raiden ne era certo - doveva probabilmente servire a far sentire i clienti più isolati e, al contempo, coprire altri rumori. Lanciò un'occhiata divertita a Mia, poggiando una mano sull'attaccatura della sua schiena per condurla tra gli alti scaffali che dividevano gli stretti corridoi e bloccavano la visuale da un lato all'altro. Il luogo sembrava organizzato in maniera piuttosto logica: più si procedeva verso il fondo del locale, più la merce si faceva peculiare, a tratti persino inquietante. Il primo corridoio sembrava dedicato a riviste e fumetti. « Che ti avevo detto? » disse, ridacchiando, mentre le indicava con uno sguardo l'enorme sezione dedicata ai manga, divisi precisamente per categorie messe in ordine alfabetico. Tutti nomi giapponesi, traslati in caratteri romani, di cui Raiden era piuttosto certo che Mia non conoscesse il significato - quanto meno non di tutti. Fece scorrere il dito lungo gli scaffali, fermandosi su uno in particolare quando i suoi occhi incontrarono un titolo noto. Aggrottò la fronte. Categoria lolicon? Ma dai! Questo è solo un classico schoolgirl. La roba lolicon è tutta un'altra pasta. Una pasta che alcuni paesi avevano messo addirittura fuorilegge, essendo vista in certi casi come equiparabile alla pedopornogragia. E infatti Raiden ridacchiò, scuotendo il capo tra sé e sé nello sfogliare velocemente il manga. Questi mi sa che la roba lolicon vera non l'hanno mai vista. Ma forse quella la tengono più nascosta - come è giusto che sia. Richiuse il manga, sventolandolo sotto il naso di Mia. « Questo mi teneva compagnia quando ero a scuola. » Sciabolò le sopracciglia, allusivo, passandole il fumetto. Era quella la pratica più diffusa tra i ragazzi di Mahoutokoro, che impilavano cospicue collezioni di Seijin-manga nei propri bauli, scambiandoseli spesso di sotto banco. Una pratica che, invece, per i ragazzi occidentali sembrava essere considerata come più settoriale. Parlandone con gli amici lì al campus, Raiden aveva potuto scoprire che la maggior parte di loro reputava la cosa piuttosto strana e che invece preferiva cercare video reali su internet. Una cosa che lui, invece, raramente faceva. Non sapeva darsi una spiegazione vera e propria alla cosa, se non azzardando a pensare che quei disegni fossero più stimolanti dal punto di vista dell'immaginazione e offrissero una gamma di scenari molto più variegata. Ma a prescindere da tutto ciò, Raiden sentiva di avere un rapporto piuttosto sereno con la pornografia e le sue varie estrinsecazioni, cosa che invece non aveva trovato lì in Inghilterra tra i suoi nuovi compagni. « Se avessi visto le divise iper-coprenti delle ragazze a Mahoutokoro avresti capito l'attrattiva di questa roba. » Passò oltre, continuando a camminare a passi lenti tra gli scaffali. Si fermò tuttavia dopo averne compiuti un paio, voltandosi di profilo per scoccare un'occhiata indecifrabile a Mia e dire soltanto « Pagina trentadue era la mia preferita. » Si umettò le labbra, sorridendo sornione tra sé e sé prima di continuare la propria perlustrazione del luogo. Qualora la Serpeverde avesse deciso di controllare di cosa stesse parlando, si sarebbe trovata di fronte a una rappresentazione grafica piuttosto dettagliata della studentessa che si cimentava in un rapporto orale evidentemente portato a termine in maniera piuttosto lodevole. Ad ogni passo in quell'ambiente, Raiden gettava occhiate a Mia, curioso di capire quali fossero le sue reazioni a riguardo e come lei potesse leggere a propria volta la completa mancanza di imbarazzo con cui il giapponese calcava quei corridoi. Perché in fin dei conti per lui era piuttosto buffa quell'aura un po' losca di cui si rivestiva il negozio, occultato in uno scantinato come se fosse un commercio di droghe pesanti. Raiden era abituato ad un ambiente in cui certi punti non venivano offerti, ma proprio sbattuti in faccia: sexy shop a sette piani, locali alla luce del sole in cui si veniva serviti da giovani ragazze in abiti succinti che rispondevano ad ogni fantasia umanamente concepibile, luoghi in cui addirittura si mangiava sui corpi di donne nude e chi più ne ha più ne metta. Quei luoghi, Raiden li aveva frequentati piuttosto spesso negli ultimi anni, insieme ai propri colleghi di lavoro. La loro religione, al contrario di ciò che avveniva in Occidente, non aveva mai posto un ostacolo culturale a pratiche di questo genere, che agli occhi di uno come lui apparivano piuttosto normali e quotidiane. Era quindi divertente vedere come invece, lì, quel tipo di cultura vivesse completamente nell'occulto, taciuta e guardata con una vergogna latente come si guarda a qualcosa di piacevole ma illecito. Guarda tu come si affannano a nascondere questo buco di negozio che, diciamocelo, ha una scelta anche abbastanza limitata. E infatti, quando si introdusse nel corridoio riservato ai sex toys, Raiden tirò un sospiro, guardandosi intorno con una certa delusione. C'erano sì molte cose che lui riteneva troppo strane per i suoi personali gusti, ma non tante quante era abituato a vedere. Prese dunque un dildo dalla forma tentacolare, rigirandoselo tra le mani e mostrandolo a Mia con un sorriso divertito. « Tengono solo la versione basic. » commentò, divertito, prima di rimetterlo a posto e passare oltre, fermandosi a guardare un muro pieno di accessori per il bondage. Aspettò che la Wallace lo raggiungesse, rimanendo per qualche istante in silenzio a consultare quell'offerta prima di muovere qualche passo, posizionandosi alle spalle di Mia. Sospirò, facendole scivolare un braccio attorno al ventre e premendosi piano contro di lei mentre continuava ad osservare quegli oggetti. Allungò una mano, accarezzando la lunghezza di quello che sembrava un guinzaglio attaccato a un collare di pelle nera. « Mh.. » mugugnò pensoso, storcendo leggermente le labbra prima di dare un paio di strattoni secchi al guinzaglio. « ..sembra robusto. » Sorrise sornione tra sé e sé, umettandosi le labbra in un moto divertito, con tutti i sensi tesi a percepire le reazioni di Mia di fronte a quegli oggetti e ai commenti che lui vi faceva. La stuzzicava volutamente, pungolandola per capire cosa la imbarazzasse e cosa no, cosa le provocasse moti di vergogna, rifiuto o eccitazione. Ed era divertente, sondare quei suoi limiti in una maniera talmente blanda come quella che poteva offrire il semplice entrare in un negozio e dare un'occhiata alla merce in vendita. La mano di Raiden, quindi, si spostò altrove, staccando dal muro una stretta cinghia di pelle nera a cui era attaccata una pallina rossa. Se lo rigirò in mano, senza dire nulla, per poi rimetterlo a posto e farsi più vicino al corpo di lei, sfiorandole l'orecchio con le labbra. « Quelle pinzette te le vedo molto bene addosso, sai? » sussurrò, indicandole un paio di mollette dalle dimensioni piuttosto ridotte. Calcò quelle parole facendo risalire una mano sul suo stomaco, arrivando a carezzarle leggero la punta del seno col polpastrello del proprio pollice. Lo pizzicò leggermente con pollice e indice, stampandole un bacio sul collo prima di distaccarsi da lei ridacchiando. La tappa successiva fu una stanza dedicata agli abiti, tra lingerie di ogni tipo e veri e propri costumi che sfociavano anche nel cosplay. Questi ultimi, Raiden li guardò velocemente, passando subito oltre nel reputarli interiormente come fatti male. Sorrise però nel notare con piacere che l'offerta di intimo sembrava piuttosto ben fornita. « Qui invece? Ti piace qualcosa? » chiese sornione, avvicinandosi nuovamente a Mia mentre la lasciava osservare i vari pizzi e tessuti di ogni tipo. Alcuni capi sembravano rispondere a esigenze o fantasie sessuali specifiche, mentre altri erano piuttosto normali, accomunabili all'ordinaria lingerie ma con una nota più spiccatamente sensuale. « Queste, ad esempio, mi sembrano molto funzionali. » disse, indicandole una scatola contenente un paio di slip di pizzo con un taglio preciso in corrispondenza del punto più intimo. Le osservò, intrigato, passando una mano intorno ai fianchi di Mia per farsi più vicino e rivolgerle alcune parole all'orecchio. « Però secondo me tolgono parte del divertimento. » sentenziò, lasciando qualche istante di silenzio tra loro prima di voltarsi a guardarla, puntando lo sguardo sul suo viso. « Capisci a cosa mi riferisco? » le chiese, in un filo di voce roca, interrogandola con lo sguardo senza mai abbassarlo, mentre la mano scivolava dal fianco alla coscia, intrufolandosi sotto la gonna di lei. A quel punto fu piuttosto naturale, dati i movimenti, ritrovarsi di nuovo alle sue spalle, facendosi così più facilmente largo con le dita verso il suo interno coscia e infine sulla sua intimità coperta. « Esattamente. » sentenziò a fior di labbra contro il suo orecchio, tronfio, come se avesse trovato immediatamente prova della propria tesi in quella stoffa appena umida. La accarezzò leggero, con movimenti circolari, premendo appena di più il medio sulla linea della sua sensibilità. Sorrise tra sé e sé, lasciandosi trasportare dalle sensazioni di lei e condividendo a sua volta quel moto di compiacimento che gli risalì nel petto con un gorgoglio eccitato. See? You look so cute when you wet your panties. Sussurrò quelle parole con un tono ancor più basso, premendo la guancia contro la tempia di lei e puntando gli occhi sullo specchio posto di fronte a loro, che li ritraeva solo fino al mezzobusto nella penombra di quell'ambiente tinto dalla sfumatura rossa del neon. La fissò, concentrandosi sul volto di lei mentre la stringeva di più a sé, continuando quel gioco. Sorrise sornione, scoccando un leggero colpetto con la mano sulla sensibilità di lei e lasciando poi scivolare via la mano. Si allontanò, scostando la pesante tenda di velluto che divideva quella stanza dal resto del negozio. Si fermò a guardarla, rimanendo in silenzio per un istante mentre si inumidiva le labbra ancora stese in un sorriso. « Beh, io penso che prenderò quel manga. Tu? Trovato qualcosa che ti piace? »


     
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    the devil inside;

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    Diceva di sé di essere una tipa intraprendente, e a ben guardare, Mia non era una sprovveduta. Per la sua età e per le relazioni interpersonali che intratteneva solitamente, la giovane Wallace era al di sopra delle aspettative. Il dono della sincerità e della schiettezza, così come la totale assenza di peli sulla lingua, la annoveravano nella categoria delle ragazze sopra le righe, che vivevano il proprio corpo e la propria sessualità in maniera libera e priva di pregiudizi. Pur crescendo nel profondo Sud, aveva avuto la fortuna di formarsi in una famiglia che coi propri figli parlava apertamente, a volte anche troppo. A Mia, degli evidenti freni non erano mai stati posti, e lo si vedeva dalla sua capacità di remare incontro al pericolo con un'ingenuità disarmante. Era cresciuta in mezzo a ormoni maschili e una dose imbarazzante di giornaletti porno nascosti sotto i materassi dei fratelli più grandi. Non era certo strano vederla sgattaiolare nelle stanze di qualcuno di loro per sottrarre una di quelle diavolerie per sfogliarsele masticando chewing gum e arruffandosi i capelli da maschiaccio. Aveva otto anni quando aveva scoperto quale fosse la meccanica più naturale di sempre; era stata colpa di Gabriel. Aveva dimenticato il DVD di un filmino rubato a casa di chissà quale amichetto nell'impianto home video di casa. Ad anni di distanza l'aveva preso in giro per diverso tempo, ammettendo di non voler più sedersi sul divano angolare che dominava il loro salotto, svelando a tutti che il tredicenne Gabriel Wallace si faceva le seghe in salotto guardando i porno su grande schermo. Poco male: l'anno successivo il fratello aveva avuto la prima ragazzetta, e tutti erano venuti a conoscenza in breve tempo del fatto che la sua Emily, di una fattoria a est, aveva perso la verginità vicino al ruscello sotto casa assieme a Gabe. Il padre di Emily si era recato a casa loro col fucile, e suo padre, pover uomo, aveva dovuto armarsi di tutta la pazienza del mondo e di una buona dose di magia per impedire al contadino di sparare a suo figlio. Di lì a poco Emily si sarebbe trasferita dalla madre in Texas; nessuno ebbe mai una versione ufficiale sul perché, ma tutti sapevano che il padre di Emily si vergognava di ciò che sua figlia aveva fatto dietro il ruscello con Gabriel. Wow. Un paese colmo zeppo di contraddizioni, l'America; da una parte la patria delle sixteen and pregnant - di cui Mia ha rischiato più e più volte di esserne esponente, ma la cui categoria ha evitato per pura fortuna - dall'altra la patria del puritanesimo. Cazzo, siamo stati fondati dai puritani. E a ben vedere tutto ciò si infrangeva un po' nell'animo di ciascun piccolo uomo e di ciascuna piccola donna che nasceva su suolo statunitense. Mia nello specifico era sì intraprendente e sopra le righe, era sì la ragazzina che aveva perso la verginità in un parcheggio durante una festicciola clandestina, ma era anche la tipa che non amava esternare apertamente quanto risiedesse nelle sue fantasie più fervide. Viveva in una condizione di semi-libertà su cui doveva lavorare tutti i giorni; poco male, considerata la sua fragile età. Poco male soprattutto perché, solitamente, quanto lasciava intravvedere della sua indole, bastava a prendere in contropiede chiunque conoscesse. Forse le piaceva andare dietro ai bravi ragazzi, ai ragazzi pacati, alle personalità miti, proprio per questo. Le dava la parvenza di avere una qualche forma di controllo, di essere in un certo qual modo in vantaggio, così da essere lei a decidere quando lo scherzo durava un po' troppo per i suoi gusti. E molti ragazzi li ha anche fatti scappare tante volte, proprio a causa della sua evidente sfacciataggine. Insomma, pur nascendo e crescendo nel paese fondato in parte dai puritani, Mia era spesso un passo avanti rispetto a chi aveva di fronte. Non quella volta; Raiden sembrava completamente disinteressato dalla palese inesperienza e immaturità, che Mia tentava di celare dietro a risposte caustiche o ironiche. Anzi, era evidente volesse stuzzicarla e spingerla lungo un percorso che la portava di continuo a scavarsi la fossa da sola; della sua inconsapevole ingenuità sembrava bearsi ed esserne addirittura intenerito. La moretta dal canto suo, alzava la posta in gioco di continuo, sperando di poter in un certo qual modo guadagnarsi quanto meno un piccolo vantaggio, ma ogni volta restava piuttosto folgorata dall'ulteriore sfacciataggine di cui il giovane Yagami si rendeva protagonista.. E successe anche quella volta. « Che ti avevo detto? » Entrati nel negozio, lo sguardo della Serpeverde corse subito verso il commesso che non badò minimamente alla loro presenza, continuando a leggere quella che sembrava una rivista dalle tinte erotiche. Seguì quindi il moro, scorrendo con lo sguardo il reparto cartaceo. Conteneva un po' di tutto, persino riviste vintage. Scoppiò a ridere afferrandone una in particolare scuotendo la testa e dandole una veloce occhiata. Questa l'ho già vista. Una delle edizioni con Pamela Anderson in copertina. « Questo mi teneva compagnia quando ero a scuola. » Gli mostrò un sorriso divertito mentre prendeva il fumetto iniziando a sfogliarlo con una nota divertita. Era piuttosto esplicito, e nel soffermarsi su una pagina nello specifico sollevò un sopracciglio riservandogli un sorriso che si tingeva di una crescente malizia. Si capiscono tante cose. Non è che sei proprio cambiato. « L'avevo detto io che sei noiosetto. » Asserì di scatto con apparente indifferenza. « Con tutte le gonnelle presenti a scuola, tu preferivi leggere questa cosa.. » Devo dire che non capisco proprio. Se ora parte la storia strappalacrime del "portavo l'apparecchio e sputacchiavo" potrei volare altissimo. Poco ci credeva; è impossibile che tu sia stato un brutto anatroccolo da piccolo. E non c'era una linea sognante in quel pensiero; fu semplicemente una constatazione dovuta alla caratteristiche fisionomiche del giovane. Secondo me eri carinissimo. « Se avessi visto le divise iper-coprenti delle ragazze a Mahoutokoro avresti capito l'attrattiva di questa roba. Pagina trentadue era la mia preferita. » Gli gettò un'occhiata di sottecchi prima di cercare con apparente scioltezza la pagina indicatale sollevando infine gli occhi ambrati nella sua direzione con una nota divertita. Ah. Capisco. Inclinò quindi la testa per qualche istante, mettendo a soqquadro la sua figura in maniera sin troppo invadente, inumidendosi le labbra prima di sciogliersi in un sorriso più complice. « Non so perché ma tutto ciò mi risulta piuttosto famigliare. » La giovane Serpeverde si prese qualche altro istante per osservare la pagina che aveva aperto, annuendo tra sé e sé come se stesse apprendendo qualcosa di decisamente molto interessante. Si massaggiò istintivamente il labbro inferiore mordicchiandolo appena, prima di richiudere il manga e riporlo sullo scaffale. I fumetti giapponesi erano decisamente sopra le righe e in un certo qual modo particolari. « Non capisco però perché avete questo fetish per le facce sofferenti. Mio dio, qual è il vostro problema gente! Da quando fare un pompino è una sofferenza. Sembra che se la ragazza non ha quell'aria affranta non va bene. Che poi.. come fa a venirti quell'aria così tormentata.. dai che stronzata! » Pausa. « E poi perché tutte hanno le tette enormi. Modelli irraggiungibili! Argh! » Lasciò cadere quel commento stringendosi nelle spalle con una nota di sincera ingenuità, continuando il percorso tra gli scaffali soffermandosi di tanto in tanto con una nota di curiosità. Seppur volesse mostrarsi a suo agio, e nonostante non fosse certamente del tutto estranea a molti di quegli oggetti, il più delle volte non osò mostrare apertamente troppo interesse verso nulla in particolare, convinta che in un modo o nell'altro Raiden l'avrebbe reputata strana. E in fondo, forse si sentiva già piuttosto a disagio all'idea di aver proposto quel posto. Era così, giusto uno scherzo. Non pensavo che ci saremmo venuti per davvero. Forse devo smettere di darti idee. Non c'è proprio modo di vincere con te su questo versante. Giunti quindi nel reparto dei giocattoli, il sorriso sul volto di Mia sembrò allargarsi; un modo come un altro per tentare di nascondere un leggero imbarazzo che provava nel posare gli occhi su questo e quell'altro oggetto. Santo cielo, ma certe cose dove entrano di preciso! A giudicare dalle dimensioni, Mia non volle nemmeno immaginarselo, passando oltre scuotendo la testa. Nella sezione dei plug corrugò la fronte diverse volte di fronte ad altrettante dimensioni decisamente strane, soffermandosi infine sulla sezione che aggiungeva folte code all'estremità dei toys, scuotendo la testa. « She Wolf Tail.. è davvero una roba su cui la gente fantastica? » Forse è meglio non chiedere. Non sono certa di voler sapere proprio tutto. Anche se.. voglio davvero non sapere?Prese a rigirarsi tra le mani uno di dimensioni decisamente ridotte alla cui estremità vi era incastonato un semplice gioiello di pessima fattura, prima di alzare gli occhi al cielo osservando con la coda dell'occhio Raiden. « Tengono solo la versione basic. » Se tutto il resto aveva a tratti incontrato la sua genuina curiosità o un completo rifiuto, la forma del giocattolo che aveva tra le mani, sembrò risvegliare il puro terrore. No ti prego, questo proprio no. E infatti gli mostrò un'espressione di rifiuto scuotendo la testa. In fila indiana non c'erano solo tentacoli, ma anche altre forme decisamente discutibili. Draghi? Sul serio? « Ew.. » Un verso corto e lapidario. « ..ma in che senso la versione basic. Ma poi tu perché le sai tutte queste cose, scusa? » E in parte, era vero che tante cose Mia non le conosceva, ma a dirla tutta non era nemmeno poi tanto vero che non le conoscesse. Trovava semplicemente più adatto non mostrarsi troppo interessata a determinate cose, seppur in certi casi il suo interesse, al di là delle sue parole, era stato lampante. Passando oltre si soffermò su diversi oggetti, analizzandoli per lo più con una nota di divertimento che no era certa fino a che punto volesse mostrare o non mostrare a Raiden. Comportati normalmente. Sii neutrale. Andrà tutto bene. Ormai era costretta a stare al gioco, nonostante fosse evidente quanto in certi momenti si sforzasse a celare un leggero sorriso malizioso, colta dalle vivide immagini che si profilavano nella sua mente. E quando infine iniziarono a inoltrarsi di più nel negozio, restò leggermente sorpresa nel vederlo immobile di fronte a una parete dalle tinte rosse, sulla quale erano agganciate diverse cose. Lo affiancò guardandolo per qualche istante in visto, per cercare di capire dove fosse diretto il suo sguardo; affrontò il tutto con una nota divertita, seppur stesse deglutendo un po' troppo tesa. Infine incrociò le braccia al petto e lasciò vagare lo sguardo tra i vari oggetti proposti; alcuni erano decisamente più interessanti di altri. Venne colta da un leggero senso di inerzia nel momento in cui il petto di lui si incollò alla schiena di lei, portando la mora a indietreggiare leggermente a sua volta per cercare un contatto più tangibile. Non poté fare a meno di sentirsi pervadere da un improvviso senso di eccitazione che la portò a sospirare posando la mano sul braccio che premeva contro il ventre di lei.

    « Mh.. sembra robusto. » Sollevò un sopracciglio con fare scettico, osservando il guinzaglio da lui testato passandosi una mano tra i capelli, sentendosi avvampare di colpo le guance. C'era qualcosa in quegli oggetti che riusciva a metterla a disagio, ma che al contempo stuzzicavano la sua curiosità. Forse perché in fondo, la sua generazione, al BDSM era stata esposta in maniere del tutto distorta, mantenendo tuttavia attorno a tutto ciò che concerneva quel mondo una pattina di mistero. Percorse con dita fredde a sua volta la lunghezza di quell'oggetto, inclinando la testa di lato; la naturalezza era la chiave, ed effettivamente, nonostante avesse sentito il bisogno di schiarirsi la voce, il tono da lei utilizzato nel risponderle, risultò piuttosto tranquillo. « Non lo so.. ad occhio ci vorrebbe la misura più grande. » E detto ciò gli mostrò il guinzaglio accanto, di circonferenza leggermente superiore, sollevando un sopracciglio e scoppiando a ridere. Non penserai mica di potermi prendere sempre in contropiede. Una leggera nota di preoccupazione però prese in ogni caso a tormentarla, convinta a quel punto che Raiden avesse dei gusti decisamene più spinti di quanto avesse immaginato. « Quelle pinzette te le vedo molto bene addosso, sai? » Schiuse appena le labbra, esalando un sospiro colmo di frustrazione nel sentir stuzzicare uno dei suoi punti deboli, emettendo un leggero verso di piacere, prima di chiudere gli occhi nello stesso momento in cui Raiden passò oltre. « Giusto per riprendere il tema della ragazza sofferente.. » Commentò di scatto leggermente piccata, più per il modo improvviso in cui aveva smesso che altro. Avrebbe voluto chiedergli se quelle cose gli piacessero davvero e se, su un certo livello, poteva immaginarsela davvero così. Mia, dal canto suo, non aveva la più pallida idea di cosa volesse, ora men che meno; di certo però, tutto quel girovagare tra quegli oggetti aumentava all'ennesima potenza la tensione che provava. « Qui invece? Ti piace qualcosa? » Si stringe nelle spalle accarezzando distrattamente stoffe e pizzi di ogni tipo. « Boh.. » Disse leggermente perplessa. « ..le fantasie sono scomode. » Commentò solo stringendosi nelle spalle. « Queste, ad esempio, mi sembrano molto funzionali. » Oddio ma queste sembrano uscite da un porno anni '80. Infatti non ne fu poi molto convinta, schiarendosi la voce mentre cercava un modo abbastanza frizzante e sopra le righe per prenderlo bonariamente in giro per quella che le sembrò una vera e propria proposta. Le avrebbe anche indossate, ma l'avrebbero solo fatta ridere. Ma poi perché. No.. niente questa cosa non la capisco. « Però secondo me tolgono parte del divertimento. Capisci a cosa mi riferisco? » Toglierle certo. Ma evidentemente Mia non aveva capito nulla e nell'esatto momento in cui le dita di lui vennero a contatto col suo intimo, le pupille di lei presero a dilatarsi mordicchiandosi leggermente il labbro. « Esattamente. » Arrossì sorpresa da un leggero senso di imbarazzo nell'essere colta con le mani nel sacco in quella maniera, sentendosi pervadere da un improvviso calore all'altezza del basso ventre. See? You look so cute when you wet your panties. Mentre puntava lo sguardo sul loro riflesso allo specchio, si accorse di essere rossa come un peperone; il respiro pesante, mentre poteva percepire nettamente lo stato d'animo vittorioso di lui. Uno stato d'animo, quello, che paradossalmente sembrava smuovere in lei un'ulteriore aspettativa e senso di eccitazione, premendo di conseguenza il fondoschiena contro il bacino di lui, tastando con sfacciata curiosità il grado della sua eccitazione, deglutendo leggermente. « Beh, io penso che prenderò quel manga. Tu? Trovato qualcosa che ti piace? » Come scusa? Sedotta e abbandonata letteramente con una pacca. « Ti odio. » Disse solo brevemente, sistemandosi la gonna del vestito, osservando il proprio riflesso allo specchio. Si premette i palmi freddi sulle guance, ma non vi fu modo di rendere meno palese lo stato in cui l'aveva lasciata. Un brivido lungo la schiena la portò a roteare avanti e indietro le spalle, quasi come se volesse tentare di togliersi di dosso un enorme peso invisibile. Si schiarì la voce e scosse la testa, dando un ultimo sguardo al reparto abbigliamento ridacchiando di fronte a certi travestimenti. C'erano addirittura le divise di Hogwarts, riconfezionate in maniera decisamente più appariscente e sopra le righe. Estrasse una stampella dell'espositore, posizionandosela addosso mentre lo osservava sollevando un sopracciglio. « Se pensavi che la mia gonna fosse corta, questa è praticamente inesistente. » Mia non la trovava chissà quanto gradevole. Sono proprio ricalcate sul modello pornostar. E considerata la sua altezza, era certa che quella gonna non sarebbe stata in grado di coprire letteralmente niente. Ma immagino che è proprio questo il senso. « Ti piace? » Chiese infine inclinando appena la testa di lato, lasciando aderire le stoffe sopra il vestito color cipria, decisamente più lungo, voltandosi a osservare il proprio riflesso allo specchio. « Con cosa ci sta bene, secondo te? » Sta tastando le acque, Mia, perché nonostante Raiden le abbia detto che tastare il terreno non era assolutamente necessario, non è certa di avere veramente il coraggio di chiedere semplicemente cosa effettivamente gli piace e cosa no. Lo supera, attraversando la pesante tenda di velluto per tornare nel reparto immediatamente precedente, sollevando lo sguardo sulla parete color vermiglio, sorvolando con lo sguardo i tanti articoli che avevano precedentemente guardando insieme. « Con questo? » Disse infine, afferrando il guinzaglio che precedentemente il moro aveva testato. Lo lasciò cadere attorno al gancio della stampella, per poi testare i vari colori di un altro articolo che aveva guardando con un certo interesse. Le palline dalle cinghie nere avevano diversi colori. Ne afferrò una verde scuro, posandola sopra la divisa. « E questa? » Chiese nuovamente mettendo a soqquadro la figura di lui con uno sguardo colmo di sottintesi. « O forse preferisci quella blu.. » Disse di conseguenza testando invece lo stesso articolo dalla pallina blu, paragonandolo alla sfumatura dei suoi capelli. Provò a concentrarsi sulle reazioni di lui, man mano che accarezzava diversi articoli. Cinghie, fruste, mascherine per gli occhi e oggetti la cui utilità non era nemmeno certa di comprendere del tutto. Non era scandalizzata, né sembrava provare un rifiuto nei confronti diqualcosa nello specifico, eccetto le cose di dimensioni eccessive, quelle proprio scordatele; si sentiva piuttosto impreparata, inesperta, come se una parte di sé avesse voglia di provare il mondo, di esplorare se stessa e tutto ciò che fino a quel momento non aveva nemmeno pensato di poter immaginare, ma con una dose di preoccupazione e imbarazzo che non riusciva a celare completamente. Posò tutti quegli articoli, divisa compresa, su uno degli scaffali relativamente liberi, passandosi tra le mani un paio di palline fredde dall'aspetto scintillate, giocherellandoci senza ragione alcuna, trovandole piuttosto divertenti. « Mi hai chiesto un po' troppe volte se mi piace qualcosa. » Si inumidì le labbra sollevando il mento. « Mi viene quasi da pensare che saresti pronto a comprarmi davvero qualcosa qui dentro. » Strinse i denti deglutendo, tentando comunque di mantenere vivido un sorriso divertito, seppur stesse assumendo palesi tinte maliziose. « E' questo ciò che ti piace? » Non si mosse di un millimetro ma nel mentre la sua proiezione lo colse alle spalle circondandogli il torso con entrambe le mani mentre posava il mento sulla sua spalla. Soffiò quelle parole all'orecchio di lui con un tono leggero e colmo di malizia. « Comprarmi fiori e giocattoli? Portarmi.. a spasso? Tapparmi la bocca quando serve, per non sentirmi più? » Il tono di voce era divertito, seppur in cuor suo non era certa di sapere come si sentisse nell'avergli esposto tutte quelle cose in quella maniera. Di Raiden si fidava, e forse per questo, non sentì il naturale desiderio di essere ipercritica in merito. « Un po' scomodo considerato che potrei comunque sussurrarti un sacco di cose nell'orecchio. E pensa.. nessuno mi sentirebbe. » Le mani di lei scesero leggermente più in basso, giocherellando appena con la sua cinta, seppur fosse consapevole di essere fisicamente a qualche passo più in là ancora intenta a passarsi tra le mani oggetti vari, ridacchiando sommessamente tra se e se. « Certo, potresti anche chiudermi fuori, se proprio volessi farmi stare zitta.. ma sarebbe davvero così divertente? Privarti di tutto questo solo per non farmi fare ciò che mi pare? » E tu lo sai che farei comunque come mi pare. Dire a Mia di stare ferma e buona era un po' come chiedere a un piccolo colibrì di non sbattere le ali cento volte al secondo. Le dita di lei scesero leggermente più in baso sul cavallo dei suoi pantaloni ridacchiando con un moto di palese compiacimento mordendosi automaticamente il labbro inferiore continuando a fare la vaga. E poi, come se niente fosse, la proiezione svanì, portando Mia a osservarlo nuovamente dalla sua posizione. Restò per qualche istante in silenzio, posando le palline d'acciaio al proprio post, avanzando qualche passo nella sua direzione finché non si trovò decisamente più vicina a lui; abbastanza da poter parlare con un tono di voce più basso. Spostò lo sguardo altrove per qualche istante schiarendosi la voce. Sembrava genuinamente in difficoltà, ma anche intenzionata ad andare fino in fondo nella sua impresa. Parlare, il che, aveva scoperto fosse piuttosto complesso con un tipo come Raiden. « Mi va di provare nuove cose.. » Disse di scatto con un tono di voce che non le riuscì estremamente naturale. Era tesa, colta da un senso di elettrizzante imbarazzo misto all'eccitazione dell'ignoto. « ..con te. » Una specifica quella che sottolineò con una certa convinzione. Avrebbe seriamente preso in giro molti altri se si fossero trovati nella stessa situazione. Forse perché Raiden aveva un modo di fare che la metteva nella condizione di voler scoprire di più; la incuriosiva, la intrigava. E poi mi fido. Mi fido davvero. « Mi va un sacco.. » Continuò non riuscendo a guardarlo effettivamente negli occhi, quanto meno finché non concluse quelle parole. Fece una leggera smorfia atta a mascherare almeno in parte l'imbarazzo, stringendosi nelle spalle. « E solo che non so esattamente cosa.. » Ammette con sincerità, non sapendo cosa l'abbia davvero intrigata così tanto. « ..cioè.. se ti piacciono queste cose, dovrai essere un attimo più specifico. » Perché io vorrei sotterrarmi non avendo proprio la più pallida idea di dove mettere le mani. « Boh.. non è che io.. » Hai capito dai. Conosco solo le scopate tristi. A ben guardare, Raiden non poteva nemmeno stupirsi più di tanto se Mia era tornata da lui, nonostante tutto. E nonostante fosse ormai evidente che tra loro non c'era solo una forte chimica, era indubbio che quella aveva aiutato molto, specie nei primi giorni, a mantenere la giovane Wallace concentrata sull'obiettivo. Sin dalla prima notte insieme, i suoi ormoni erano letteralmente impazziti, ricercando in ogni maniera possibile e immaginabile di farsi spazio nuovamente nella sua stanza da letto per replicare l'esperienza. Ci era rimasta un po' più fregata del previsto, la giovane Wallace, ma ciò non sembrava essere in quel momento per lei motivo di preoccupazione. « ..insomma, hai capito. » Deglutisce mentre il respiro pesante si infrange contro la pelle di lui. Giocherella distrattamente con le sue dita, mentre compie un ulteriore passo nella sua direzione, abbassando lo sguardo. « Vorrei.. non dimenticare mai. » Non precludermi niente. « Indipendentemente da quanto durerà, voglio tutto..vorrei che questo periodo fosse.. indimenticabile. » E forse era sciocco. Forse era la cosa più sbagliata che potesse dire, ma era comunque ciò che sentiva, ciò che voleva. Il cuore prese a batterle all'impazzata, mentre un brivido attraversava la sua schiena. Posò le mani sulle spalle di lui facendosi più vicina, mentre ricercava per la prima volta il suo sguardo. « Mi piace quando mi tocchi, quando mi sorprendi.. mi piace il modo in cui mi sento con te.. » Piccola ma grande. Inesperta ma libera di fare qualunque cosa mi piace e pare. « E mi piace il fatto che nonostante tutto.. mi lasci fare comunque quello che mi pare. » Pausa. « Però, se volessi che io lo faccia un po' meno.. quello che mi pare.. mi piacerebbe comunque.. » Perché mi piaci tu. Mia era il volto dell'incoscienza e della spavalderia, del coraggio al limite della stupidità. E in quel momento ne dava prova senza filtro alcuno. Si sporse appena a mordicchiargli il labbro inferiore, strofinando il naso contro quello di lui. « Sei sicuro di volere solo il manga? » Gli chiese quindi a fior di labbra, mentre tastava con dita colme di desiderio l'eccitazione di lui, soffiando appena sul suo viso schiudendo le labbra colta da un'improvvisa ondata di eccitazione che riecheggiò dentro di lei. Gli diede un leggero spintone, osservandolo con aria di sfida prima di avanzare lungo il corridoio, su cui si trovavano, gettando veloci occhiate colme di malizia alle proprie spalle prima di fermarsi di fronte a un espositore nello specifico che conteneva una piramide di scatole tutte impilate una sopra l'altra. Sopra una tecca di metallo un piccolo aggeggio color rosso fuoco dalla forma ovale con un leggero prolungamento. Sembrava un uovo di dimensioni ridotte; Mia scoppiò a ridere non potendo fare a meno di notare quanto esplicita fosse la sua forma. Sembra un soldatino rosso. Scosse la testa rigirandoselo tra le mani prima di sentirlo vibrare. Aveva azionato per sbaglio i suoi effetti di fronte ai quali sgranò gli occhi. Uhm.. forse un po' troppo. Ma fu la scatola ad attirarla in realtà. Controllabile tramite connessione protetta supplied by Wiznet. « No va beh! » Commentò di scatto, rigirandosi la scatola genuinamente interessata al funzionamento della questione. Ronnie volerà! Ora gliene regalo uno per il compleanno. Dai che figata. Lo controlli col cellulare. Ma non solo poteva essere controllato con il proprio cellulare, bensì con un qualunque altro cellulare. E lì, Mia cercò la figura di Raiden con la coda dell'occhio. Era lì nelle vicinanze, motivo per cui, gli gettò la scatola afferrando il giocattolo esposto per la coda per farlo dondolare di fronte al suo viso. « Uhm.. » Iniziò con una nota di divertimento ridendo appena. Stava per dire un'immensa stronzata, ma voleva dirla lo stesso. « ..che dici.. se passo il mio codice a Vincent, sarebbe un buon modo per ricordarmi dei suoi appuntamenti? » Solleva un sopracciglio osservandolo con aria di sfida. « Diciamo che sono con te e mi dimentico.. potrebbe sempre.. » E dicendo ciò premette il piccolo tasto manuale presente sull'ovetto. « Eh si.. così non potrei proprio ignorarlo. » Disse con lo stesso tono con cui soppeserebbe due confezioni di pizza surgelata al supermercato. « Pensa.. lo sentiresti anche tu.. così potresti dirmi, Mia, ricordati del caffè con Vincent. E' da maleducati non andarci. » Ripose il giocattolo al suo posto, osservandolo per qualche istante con fare pensieroso, per poi rivolgergli uno sguardo eloquente. « Peccato tu mi abbia rovinato la piazza. Ora è inutile. » E dicendo ciò, sospirò con aria teatrale, passando oltre. « Hai deciso quindi cosa prendi? Oltre al manga, ovviamente. La pagina trentadue va studiata più approfonditamente. »




    Edited by blue velvet - 1/5/2021, 15:32
     
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    Perché Raiden sapeva tutte quelle cose? Una domanda la cui risposta sarebbe stata forse più lunga di quanto un simile contesto potesse ritenere adeguato. E forse il giovane Yagami, una risposta vera e propria nemmeno ce l'aveva. Certe cose avevano fatto semplicemente parte della sua vita, da un determinato punto in poi. Con la chiusura delle Logge e il trasferimento a Tokyo, per Raiden si era aperta una serie infinita di possibilità destinate all'intrattenimento degli adulti: possibilità che, ai suoi occhi, erano all'ordine del giorno e che dunque considerava come una componente naturale del proprio tempo libero al pari dell'andarsi a prendere un drink al Suspiria coi propri amici del college lì in Inghilterra. Lui e i suoi colleghi passavano spesso le serate nella parte magica del quartiere di Kabukicho, tra night club e locali di ogni tipo che non lasciavano mai nessuno privo di idee riguardo al come sfruttare il proprio tempo libero. Persino alla luce del sole non era difficile trovare divertimenti di questo genere, sfruttando le offerte di centri massaggi, soapland o degli apparentemente innocui maid cafè di Akihabara. La maggior parte delle volte non succedeva nulla, si guardava senza toccare, ma non era raro che quello svago prendesse una piega più tangibile, in certe occasioni. E questo, per Raiden, era semplicemente normale, tanto che al suo arrivo in Inghilterra era rimasto particolarmente stupito dalla quasi totale assenza di scelta in quell'ambito; cose del genere, nel vecchio continente, venivano guardate come sporche, come roba da nascondere in uno scantinato o di cui usufruire una volta ogni mille, rigorosamente di notte e in segreto. Non che in Giappone la libertà sessuale fosse sbandierata come invece succedeva in Occidente, ma di certo l'offerta di spunti e di luoghi in cui praticarla era maggiore e molto più alla luce del sole. Non c'era quindi da stupirsi se, appena trovato qualche amico lì al campus, il giovane Yagami avesse quasi immediatamente proposto un'uscita serale in un night club - proposta che era stata accolta con un certo imbarazzo e il velato tentativo di fargli capire che da loro non era poi così quotidiano andare in certi locali. Col tempo, tuttavia, ci si era abituato, imparando a regolarsi su quella nuova vita che continuava ancora a vedere come un po' limitante e a tenere per sé certe visioni del mondo che ormai sapeva essere giudicate come controverse da molti in quel paese. Cosa Mia ne pensasse a riguardo, lui non ne aveva idea, ma di certo il modo in cui aveva risposto ai suoi comportamenti in quel negozio gliene dava quanto meno una vaga idea.
    « Ti odio. » Ridacchiò, stringendosi nelle spalle con ironica noncuranza prima di appoggiarsi con le mani alla cornice superiore dell'arcata che divideva i due atrii. La osservava, seguendone i movimenti tra quella scelta di pizzi e costumi dai tratti eccentrici. Classiche fantasie: cameriera, studentessa, infermiera, persino suora. E forse alcune stuzzicavano anche l'interesse di Raiden, ma il punto era un altro: per lui, quei costumi, erano semplicemente volgari. Troppo striminziti, troppo irreali: non rispondevano affatto all'idea di provocante che la sua testa concepiva. Sembrava quasi una contraddizione in termini, trovare certi aspetti della vita incredibilmente naturali, ma provare istintivo rifiuto di fronte a certe forme in cui quelle fantasie si palesavano. « Se pensavi che la mia gonna fosse corta, questa è praticamente inesistente. » E infatti arricciò leggermente il naso quando Mia prese una stampella da cui pendeva un'uniforme da studentessa di Hogwarts decisamente striminzita. « È poco più di una mutanda. » commentò, ironico, sollevando un sopracciglio e facendo schioccare la lingua contro il palato con fare scettico. « Ti piace? Con cosa ci sta bene, secondo te? » Sospirò, inclinando il capo di lato per osservare quella divisa con un certo distacco, cercando tra le sue pieghe qualcosa di interessante che, tuttavia, non sembrò trovare. « Mi piace di più quella vera. » disse, scoccando un'occhiata maliziosa a Mia. Ed era vero. Per qualche strana ragione, Raiden non riusciva a trovare attraente quel costume, preferendo invece di gran lunga il realismo di una divisa concreta. Questa roba non lascia spazio alla fantasia. È un fazzoletto che serve a rivestire i punti più intimi del corpo, senza farlo nemmeno tanto bene. L'uniforme vera, invece..beh..quella è tutta un'altra cosa. Una cosa che non solo alimentava in maniera più concreta il concetto stesso su cui si basava quella fantasia, ma che lasciava spazio al desiderio senza consumarlo totalmente, senza strapparlo via dallo sguardo. A me piace la tua gonna perché è corta, sì, ma posso comunque guardarla e immaginarmi cosa ci sia sotto. Con questa invece no. È tutto semplicemente..lì. E dove sta il gusto in tutto ciò? Era in fondo proprio quella la basa su cui si poggiavano molti divertimenti di cui Raiden era abituato ad usufruire nel proprio paese. Quei maid cafè che frequentava con un certo zelo non presentavano ragazze svestite, ma giovani donne in abiti da semplice cameriera che ti accoglievano con il massimo rispetto, chiamandoti signore o addirittura padrone senza però varcare alcun confine. Ed era proprio questo, a rendere il tutto eccitante: non c'era nulla, ma c'era tutto. « Con questo? » La seguì in silenzio, sorridendo tra sé e sé come divertito nel vederla riprendere il guinzaglio da lui precedentemente indicato. E poi una choke ball. « E questa? O forse preferisci quella blu.. » « Verde per l'orgoglio di casata. Se deve andare con la divisa.. » la assecondò, ironico, avvicinandosi per osservare quegli oggetti con un interesse che decisamente non gli apparteneva. A Raiden non interessava il bondage. Se le sue estrinsecazioni più estreme gli provocavano un moto di personale rifiuto, quelle più soffuse gli erano semplicemente indifferenti. Ciò che aveva provato lo trovava divertente, interessante, sì, ma non al punto di smuoverlo in maniera particolare. Ma il nocciolo era proprio questo: che Raiden, cosa gli piacesse, cosa no e perché, lo sapeva già. Su Mia, d'altro canto, non era troppo certo. E per tale ragione la osservava, studiandone i movimenti nell'ambiente e dandole lo spazio necessario ad esplorare, scoprire e interrogarsi. « Mi hai chiesto un po' troppe volte se mi piace qualcosa. » Sollevò il mento con un sorriso interessato, appoggiandosi con una spalla a uno scaffale. « Mi viene quasi da pensare che saresti pronto a comprarmi davvero qualcosa qui dentro. » A quelle parole, i suoi occhi si illuminarono di un guizzo divertito e le sue labbra si incurvarono ulteriormente, come se quella deduzione giungesse a lui come piuttosto
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    ironica. « Perché no? » In fin dei conti, non ci vedeva nulla di male. Lui aveva i propri gusti, ma si aspettava altrettanto da lei. E se qualcosa le fosse davvero piaciuto, non riusciva a trovare un singolo motivo per non provarlo. Era stata un po' questa l'ottica con cui si era precedentemente mosso tra gli scaffali: un po' per stuzzicarla ironicamente e un po' per pungolare concretamente i limiti e i desideri della giovane Wallace. « E' questo ciò che ti piace? Comprarmi fiori e giocattoli? Portarmi.. a spasso? Tapparmi la bocca quando serve, per non sentirmi più? » Non rispose, continuando a sorridere tra sé e sé mentre lei parlava al suo orecchio, proiettandosi alle sue spalle. « Un po' scomodo considerato che potrei comunque sussurrarti un sacco di cose nell'orecchio. E pensa.. nessuno mi sentirebbe. » Un brivido corse lungo la schiena del ragazzo, portandolo a sospirare istintivamente quando le mani di lei si fermarono sulla sua cintura, rendendo improvvisamente sensibile ogni sua terminazione nervosa. Chiuse le palpebre, abbandonandosi a qualunque sensazione quei contatti leggeri e appena accennati gli provocassero. « Certo, potresti anche chiudermi fuori, se proprio volessi farmi stare zitta.. ma sarebbe davvero così divertente? Privarti di tutto questo solo per non farmi fare ciò che mi pare? » Un mugolio di piacere sfuggì dalle sue labbra nel momento in cui la mano di lei si posò ad accarezzargli il cavallo dei pantaloni, trovandovi la risposta che evidentemente sapeva già di potersi attendere. E poi, semplicemente, sparì, lasciandolo in balia di un'eccitata frustrazione dagli strascichi piacevoli. Aprì gli occhi, puntando quei pozzi scuri nelle iridi di Mia, con un sorriso. Per un istante non disse nulla, limitandosi ad umettarsi le labbra e soffiare una risata dalle narici prima di staccarsi dallo scaffale, avvicinandosi a lei. « Mh..interessante. » disse, apparentemente distratto, mentre accarezzava piano la stoffa di quella simil-divisa, voltandosi poi quanto bastava a scoccarle un'occhiata maliziosa. « Quindi hai dato per scontato che questi giocattoli - » nel dirlo, accarezzò la lunghezza del guinzaglio di pelle « - fossero per te. » Inarcò un sopracciglio, eloquente. « Ma chi sono io per contestare gli scenari che evidentemente si sono palesati da soli nella tua immaginazione, no? » Si strinse nelle spalle. Deduzioni tue, parole tue. Potevi figurarti di usare questa roba su di me, ma evidentemente la tua testa ha preso una strada diversa. Che conclusioni devo trarne, Mia? Sorrise, sporgendosi leggermente in avanti verso il suo viso per sussurrarle alcune parole. « E comunque penso di aver già dimostrato a sufficienza che in silenzio riesco a fartici stare anche senza tapparti la bocca. » La fissò da sotto le ciglia, a pochi centimetri dal suo volto, sfidandola apertamente. « O sbaglio? » Direi che in quel senso, l'ausilio di giocattoli è piuttosto inutile, no? L'abbiamo visto non più di cinque minuti fa. Sarà stato che Raiden, il silenzio sapeva benissimo come ottenerlo in ogni circostanza, oppure il fatto che portarci Mia non fosse poi così difficile in certi frangenti. La giovane Wallace parlava molto e lo faceva a macchinetta, ma aveva determinati tasti che, se premuti, sembravano capaci di toglierle qualunque parola o pensiero logico; e Raiden si divertiva moltissimo a premerli, quei tasti, crogiolandosi compiaciuto negli effetti che riusciva a provocare nella ragazza senza neanche sforzarsi. Non è così difficile come credi, tapparti la bocca, Mia. Non per me, quanto meno. « Mi va di provare nuove cose.. con te. Mi va un sacco.. È solo che non so esattamente cosa.. cioè.. se ti piacciono queste cose, dovrai essere un attimo più specifico. Boh.. non è che io.. insomma, hai capito. » Il sorriso di Raiden si fece più tenero a quelle parole che la Serpeverde pronunciò con un certo imbarazzo, evitando il suo sguardo come se avesse paura di dar voce ai propri pensieri. Abbassò gli occhi sulle loro mani, intrecciando delicatamente le dita a quelle di lei e accarezzandole il dorso della mano col polpastrello del pollice. Un momento intimo, quello, che aveva solo relativamente a che fare con le dinamiche sessuali. Il topic del discorso era quello, ma il vero punto era un altro: la fiducia che Mia stava riponendo in lui. Una fiducia che non era affatto scontata e che non poteva essere semplicemente pretesa sulla base di una chimica o di una presunta complicità fisica. Andava oltre. Perché il corpo non era semplicemente un pezzo di carne tangibile, scisso dalla mente, dalle emozioni e dai sentimenti - e nel loro caso, in quanto lycan, lo era ancora di meno. Un piacevole tepore sembrò irradiarsi dal petto di Raiden nel sentirle dire quelle parole a cui, per lui, fu inevitabile dare una certa importanza. « Vorrei.. non dimenticare mai. Indipendentemente da quanto durerà, voglio tutto.. vorrei che questo periodo fosse.. indimenticabile. » Riportò lo sguardo sul suo viso, senza dire nulla, limitandosi semplicemente a sorridere, senza malizia, scherno o ironia. Riusciva a sentire il battito cardiaco accelerato di Mia, e fu quasi istintivo stringere un po' più la presa sulla sua mano, come a darle un muto segnale del fatto che non fosse sola e che non dovesse sentirsi in imbarazzo nel parlare onestamente con lui. Te l'ho chiesto più e più volte, nelle ultime settimane, di dirmi cosa vuoi, cosa ti piace, cosa desideri. Non era un intercalare o una provocazione. Io voglio davvero saperlo, voglio davvero che tu me lo dica, che tu mi dia modo di farti felice. « Mi piace quando mi tocchi, quando mi sorprendi.. mi piace il modo in cui mi sento con te.. E mi piace il fatto che nonostante tutto.. mi lasci fare comunque quello che mi pare. Però, se volessi che io lo faccia un po' meno.. quello che mi pare.. mi piacerebbe comunque.. » Sbuffò una lieve risata dalle narici nel constatare che Mia, probabilmente, doveva aver preso alla lettera ciò che lui fino a quel momento le aveva mostrato un po' come uno scherzo. Però, anche se non è quello che voglio, mi fa comunque piacere che tu mi abbia preso sul serio - che ti fidi di me al punto da sapere che se pure fosse, non ti mancherei mai di rispetto e non ti farei mai intenzionalmente del male. Che ti piaccio al punto da essere disposta a comprendere anche qualcosa che va al di là della tua comfort zone. « Sei sicuro di volere solo il manga? » Sorrise, dolcemente, annuendo con convinzione. « Sì, voglio solo il manga. » Non le stava mentendo. Dal suo punto di vista, non aveva alcuna ragione di farlo. Era vero che quegli oggetti non lo interessassero, e non lo diceva per farle piacere o perché non ne fosse del tutto certo, ma perché - appunto - Raiden conosceva piuttosto bene i propri gusti e aveva sperimentato abbastanza da sapere cosa e quanto lo eccitasse. Si sporse verso il viso di Mia, appoggiando le labbra sulle sue mentre il respiro gli si faceva più corto sotto il contatto che lei aveva stabilito e da cui si distanziò piuttosto presto. Mugugnò, frustrato, ritrovandosi poi a ridacchiare tra sé e sé e passarsi una mano tra i capelli. « Me la stai facendo proprio scontare, la cosa di prima! » sbottò ironico, seguendola con lo sguardo tra quegli scaffali e le opportunità che essi offrivano. « No va beh! » Afferrò al volo la scatola che lei gli lanciò, corrugando la fronte nel rigirarsela tra le mani per capire di cosa si trattasse. E di colpo, sbottò a ridere. « Controllabile con la Wiznet. Addirittura! » Questo sì che è progresso tecnologico. « Uhm.. che dici.. se passo il mio codice a Vincent, sarebbe un buon modo per ricordarmi dei suoi appuntamenti? » La osservò di sottecchi, sollevando un sopracciglio. « Mh.. magari te lo ricorda pure, ma ci arriveresti all'appuntamento? » Stese le labbra in un'espressione scettica, arricciando il naso e facendo ciondolare il capo a destra e a sinistra come a palesare la propria incertezza riguardo quel punto. « Diciamo che sono con te e mi dimentico.. potrebbe sempre.. » L'ovetto iniziò a vibrare sonoramente, scatenando una risata divertita in Raiden. « Eh si.. così non potrei proprio ignorarlo. Pensa.. lo sentiresti anche tu.. così potresti dirmi, Mia, ricordati del caffè con Vincent. E' da maleducati non andarci. » « Eh sì, mi hai tolto proprio le parole di bocca. » disse, annuendo con fare ironicamente sapiente. « Peccato tu mi abbia rovinato la piazza. Ora è inutile. » Sospirò, stringendosi nelle spalle mentre con la bacchetta richiamava dallo scaffale il manga scelto poco prima. « Peccato davvero. » disse nel passarle accanto, mostrandole velocemente un piccolo broncio prima di scoprire i denti in un sorriso sornione. « Hai deciso quindi cosa prendi? Oltre al manga, ovviamente. La pagina trentadue va studiata più approfonditamente. » Ci pensò un attimo, mettendosi di fronte al viso la scatola di quell'ovetto che lei gli aveva lanciato. La osservò da diverse angolazioni, come se stesse soppesando l'acquisto di un frullatore, per poi farla saltare in aria e riprenderla sotto il braccio. « Su questo mi hai convinto, sai? Penso proprio che possa tornare utile per - come le avevi chiamate? - ah sì! Le giornate aride. » Sciabolò le sopracciglia, facendo uscire la punta della lingua tra i denti prima di passare oltre e avviarsi verso la cassa. Una volta lì, il venditore richiuse la propria rivista con aria annoiata, dando modo a Raiden di gettare un'occhiata alla copertina per capire di cosa si trattasse. Un semplice magazine erotico: foto di ragazze in vestiti succinti e pose provocanti, nulla di speciale. « Fanno due galeoni e ventitre falci. » disse piatto, tamburellando le dita sul bancone fin quando Raiden non gli allungò l'importo indicato, stirando un sorriso di circostanza. A quel punto l'uomo emise lo scontrino e con un movimento della bacchetta fece scivolare tutto in una busta di plastica nera da cui non trapelava nulla del contenuto. Rivolse loro un veloce sorriso tirato di saluto, aggrottando subito la fronte nel rendersi conto che Raiden non se ne stava andando e che, anzi, si stava sporgendo un po' più avanti verso di lui. « Senti.. » disse a bassa voce, ricercando lo sguardo dell'uomo « ..quanto chiedete per la safe room? » La domanda sembrò prendere il commesso in contropiede, lasciandolo per qualche istante ammutolito. Una reazione che portò Raiden a inclinare il capo di lato, sollevando un sopracciglio con aria eloquente. « Dai, non fare lo gnorri. Tutti i posti di questo tipo ne hanno una, non sono nato ieri. » E infatti, nel mondo magico, quella era una pratica piuttosto comune per i negozi e i locali di quella risma. Una safe room non era né più e né meno di una stanza nascosta, funzionante con modalità simili a quella che il giovane aveva scoperto avere la stanza delle necessità dentro al castello di Hogwarts. Si trattava di una semplice porticina, solitamente verso il retrobottega, che qualora aperta avrebbe mostrato un ordinario sgabuzzino delle scope. Infatti, per accedervi, serviva una parola d'ordine specifica messa a disposizione dal negozio, che periodicamente la cambiava per ragioni di sicurezza e di privacy. Ovviamente, per ottenerla, bisognava pagare. E una volta fatto questo, lo spazio era libero per qualunque utilizzo il cliente avesse desiderato farne: la stanza, infatti, modellava le proprie fattezze in base alle esigenze e alle brame di chi ospitava, mutando anche nel mentre dell'utilizzo stesso, qualora si fosse desiderato un altro scenario. In realtà non si trattava semplicemente di luoghi in cui dare sfogo a desideri sessuali: potevano servire a scopi dei più disparati e non erano poche le persone a farne utilizzo anche per altre motivazioni. In Giappone la pratica era abbastanza diffusa e alla luce del sole, ma in Inghilterra sembrava nascondersi sempre dietro altre facciate e una patina di vergogna. Come se ci sia qualcosa di male. E di male, in quello, Raiden non ci vedeva assolutamente nulla - anzi! Se la stanza delle necessità creava scenari che rispondevano ad un bisogno pratico, le safe room adempivano invece anche ad altri scopi. Potevano sì essere plasmate per ricoprire un ruolo specifico, ma potevano prendere anche aspetti molto differenti, qualora il cliente avesse lasciato la propria mente sufficiente libera di essere interpretata. A volte ti si materializzano davanti cose che nemmeno sapevi di volere. E ti scopri un po' di più, ti conosci un po' più a fondo. Ma lo fai in totale sicurezza, nelle modalità che preferisci, con persone di cui ti fidi o anche solo con te stesso. « Mh.. sarebbero cinque galeoni. » Minchia, le fate pagare care qui! L'uomo parlò a voce bassa, evitando lo sguardo di Raiden come se fossero due spie in piena guerra fredda. E a quel punto il giapponese sospirò, lanciando un'occhiata a Mia come a chiederle implicitamente di fidarsi, prima di estrarre dal borsellino altre monete, allungandole sul bancone. Il negoziante le prese in fretta, questa volta senza emettere scontrino, indicandogli con un cenno del capo delle pesanti tende scure alla sua destra. « Recto verso. » sussurrò piano, ancora una volta senza guardarlo. Raiden, dunque, annuì, ringraziandolo e facendo poi cenno a Mia di seguirlo oltre quelle tende, in un retrobottega piuttosto spoglio e poco illuminato in cui erano ammassati scatoloni e imballaggi vari. Individuò immediatamente la porticina e vi si posizionò davanti. « Recto verso. » ripeté, facendo scattare poi la maniglia per trovarsi di fronte a una stanza le cui pareti e il soffitto erano completamente rivestite da specchi. Non vi era arredamento, eccezion fatta per una sorta di divano scuro posizionato al suo esatto centro. Sorrise, rivolgendo un'occhiata alla Wallace prima di chiudersi la porta alle spalle, poggiando a terra la busta dei loro acquisti. « Puoi farla cambiare in qualsiasi momento. Ti basta solo volerlo. » E forse quella era la maniera più adatta per scoprirlo: lasciare semplicemente che affiorasse da sé, senza spremersi a cercare qualcosa di cui non si aveva veramente nozione. Mia avrebbe potuto controllare un desiderio e farlo apparire, oppure avrebbe potuto semplicemente lasciare che la stanza lo facesse emergere da sola, scrutando nel suo animo. A volte è spiazzante, altre invece è tremendamente semplice. Si fece scivolare il giacchetto giù dalle braccia, lasciandolo cadere in terra prima di riarrotolare meglio le maniche della camicia fino ai gomiti. E nel mentre, le lasciò il tempo di osservare quel luogo, guardandola in silenzio per tentare di comprenderne lo stato d'animo. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, Raiden si limitò semplicemente a sorriderle, tranquillo, facendosi silenziosamente più vicino a lei, con passi calmi. Non disse nulla. Le pose soltanto le mani sulle spalle, infilando le dita sotto il collo del suo giacchetto per far scivolare anch'esso a cadere sul pavimento. Non era difficile, a quell'esigua distanza, sentire i reciproci battiti cardiaci farsi più veloci, i respiri più pesanti nell'aspettativa tesa di quel silenzio e quella vicinanza. Appoggiò piano la fronte contro quella di lei, sfiorandole il naso col proprio. Piccoli soffi caldi uscivano dalle loro labbra, carezzando la pelle dell'altro sotto la quale ribolliva un miscuglio di sensazioni e desideri. Non infranse quell'ultima distanza tra loro, per quanto esigua e per quanto ogni cellula del suo corpo gli urlasse di farlo. Rimase lì, a respirare piano su quelle labbra che sfiorava appena, facendo vagare le mani in gentili carezze che partirono dal volto di lei, scendendo lungo il suo collo e le sue spalle fino ad incontrare il tessuto del vestito che si apriva in uno scollo. Lo fece scendere piano, portandosi dietro anche le spalline del reggiseno per far scivolare tutto lungo le sue braccia, scoprendole il busto senza tuttavia toglierle del tutto il vestito. Il respiro di Raiden si fece più pesante quando le sue dita andarono a carezzarle lo stomaco, risalendole sul petto. Il calore della pelle di Mia si irradiava cocente sotto i tocchi di lui, facendogli rimbalzare nel corpo qualunque sensazione lei stesse provando in quel momento. Circondò la sua vita con un braccio, attirandola gentilmente a sé mentre chiudeva l'altra mano sul suo seno, stuzzicandone piano la punta tra pollice e indice. Un sospiro carico di eccitazione sfuggì dalle sue labbra e il suo sguardo andò a piantarsi in quello della Serpeverde. « In realtà quello che mi piace non lo vendono nei negozi. » disse piano, a fior di labbra, senza alcuna malizia nella voce, ma con semplice onestà. « Quegli oggetti non mi interessano davvero. » Sì, possono essere divertenti. Alcuni non mi dispiacciono, ma non ne sento il bisogno. Anzi, quelli che ho davvero provato mi sono stati più di intralcio che altro, perché non sono ciò che cerco. Mosse qualche passo in avanti, conducendola pian piano verso una delle pareti fino a farcela aderire con la schiena. A quel punto fu naturale far scivolare via il braccio dalla sua vita, spostandolo invece a chiedere la mano intorno al polso di lei per portarsela sull'addome, guidandola a risalire lungo il proprio petto fino a fermarsi sul punto da cui i bottoni iniziavano ad essere allacciati. Le carezzò il pollice, posandolo sul bottone come a volerle comunicare di slacciarlo. Prima quello e poi tutti gli altri. La lasciò fare, rimanendo in silenzio durante quel tragitto sul proprio corpo, senza però lasciare mai la presa leggera sul sul polso, guidandole in seguito la mano a lasciare carezze sul proprio petto. « A me piace questo. » Pausa. « Costringerti in una qualsiasi maniera non mi darebbe alcun piacere. » Perché non è ciò che cerco. Non voglio che tu stia ferma come dico io. Voglio che tu mi tocchi, voglio sentire che mi vuoi almeno quanto ti voglio io. Voglio percepire il calore della tua pelle, la sua consistenza, sentire il tuo odore e i suoni che emetti - che siano parole o meno. Non il cuoio duro di una cintura o il freddo del metallo. Era quello, ciò che davvero eccitava Raiden: la dimensione umana di ogni contatto, nudo e crudo, fino in fondo, senza ausili. Era quanto di più semplice e istintivo ci fosse, fin quasi a rasentare l'animalesco: la carne. Che fosse vestita da studentessa o meno, quello era secondario: poteva ritenere la divisa un elemento eccitante, sì, ma non era quello il punto, non lo era mai stato. E non aveva nemmeno senso spiegarlo, perché non c'erano davvero parole per farlo, quindi si limitò a mostrarglielo. Baciarla intensamente, sentire il calore della sua pelle a contatto con la propria, ricercare bramosamente con le mani ogni lembo di pelle raggiungibile, premendo i polpastrelli sulla sua coscia e inglobandola scompostamente a sé in movimenti che non erano guidati da nient'altro se non dal desiderio. E a quello, Raiden non sentiva alcuna necessità di mettere orpelli o costumi vari. Voleva lei e basta. Voleva quell'incastro morboso dei loro corpi che si intrecciavano freneticamente alla ricerca di un contatto ancor più totalizzante, di qualcosa che potesse portarli a fondersi del tutto in un unicum. Era carne, e respiri, e sudore, e saliva, e umori intimi. Insomma, era puro istinto, al di là della logica e del ragionamento. In quel crescendo di passione, le mani di Raiden andarono a intrufolarsi velocemente sotto la gonna di Mia, correndo lungo le sue cosce con carezze pesanti per disfarsi del suo intimo prima di procedere a slacciarsi la cintura, gettandola a casaccio da qualche parte nella stanza. Fece presa sull'incavo del suo ginocchio, veloce, facendola saltare ad intrecciare le gambe intorno al suo busto senza mai staccarsi da quel bacio intenso che sembrava aver preso ormai le sfumature di un'urgenza sempre più pressante. Un'urgenza che lo condusse verso il divano, su cui si lasciò cadere a sedere, facendosi scorrere i pantaloni e i boxer giù dalle gambe quanto bastava a scoprire la propria intimità, facendola entrare a contatto con quella di lei. Non scivolò al suo interno, facendo piuttosto presa coi polpastrelli sulle natiche di lei per condurla in un ritmo atto a farli strofinare l'uno sull'altra. Ci avrebbe pensato al momento opportuno, alle protezioni. Per ora voleva solo sentirla, senza filtri, lasciando che quei gemiti sfuggissero dalle proprie labbra ad ogni contatto, infrangendosi sulla lingua di lei. L'aveva desiderato a lungo, nelle ultime settimane, quel contatto tra loro: sentirla su di sé nella maniera più naturale, aggiungendo benzina sul fuoco di quello che già potevano percepire con il legame che l'essere lycan gli permetteva di stabilire. Possiamo provare quello che ti pare, ma è questo che voglio davvero. Nient'altro.


     
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    A quel punto, era certa, Mia, di non giungere a nessuna risposta concreta, soprattutto quando, nonostante il suo tentare di tastare il terreno, Raiden non si mostrò ricettivo assolutamente a nulla. Rimase confusa e anche più piena di dubbi di quanto non lo fosse inizialmente. Se l'idea stessa di quella deviazione era iniziata come uno scherzo, l'essere effettivamente arrivati fino a lì, aveva messo la giovane Wallace nella condizione di mettersi in discussione e chiedersi cosa la intrigasse e anche e soprattutto cosa intrigasse il suo partner. Aveva tratto delle conclusioni, eppure, giunti al momento clue, era tornata più confusa e priva di riferimenti di quanto no lo fosse inizialmente. Giunti quindi in cassa non fu una sorpresa vederla piuttosto irrequieta, cercando di passare in rassegna tutto ciò che si erano detti durante quella visita. Forse ho sbagliato. Le parole di Raiden di poco prima riecheggiarono nella sua mente portandola a sprofondare in un insolito silenzio, mentre armeggiava con una serie di confezioni di snack presenti in cassa, senza veramente mostrarsi interessata a nessuno di quegli articoli in particolare. Forse immaginava davvero una dinamica ribaltata; ha capito che non ne avevo il polso e ha lasciato perdere. E ha ragione: non ho il polso per fare certe cose. Non so se mi troverei a mio agio a fare determinate cose su di lui. Ho forse l'aria di una mistress? Non so neanche immaginarmici, figuriamoci fare certe cose. E persino quelle certe cose avevano una dimensione davvero vaga nella sua testa. Sono cresciuta con quella merda di Cinquanta Sfumature, ma non sono certo una Mrs Robinson. Il solo pensiero la fece sprofondare in un palese stato di disagio e tensione. Osservava Raiden e non riusciva a immaginarlo in certe circostanze; era come se cozzasse con qualunque idea si fosse fatta di lui. Non riusciva a giudicarlo, né trovava nulla di strano nella questione in sé; era sincera nell'ammettere che sarebbe stata pronta a provare nuove cose, superare i suoi limiti. E' solo che.. forse certe cose non sono proprio in grado di farle. Non mi sento pronta, né penso che mi sentirei a mio agio. « Senti.. quanto chiedete per la safe room? Dai, non fare lo gnorri. Tutti i posti di questo tipo ne hanno una, non sono nato ieri. » Solo allora drizzò le orecchie, corrugando leggermente la fronte piuttosto confusa. Delle safe room, Mia aveva già sentito parlare. C'era un autore americano che aveva scritto un intero ciclo di romanzetti rosa di terza categoria su ciò che accade in quelli ambienti; un Palahniuck del porno spinto. Mia aveva trovato qualche copia a casa di Stacey Graham e da lì, un po' alla volta, durante le estati passate a New Orleans li aveva letti quasi tutti per poi condividerli con le sue amiche di Hogwarts. Alcuni erano strani forti, altri erano intriganti e solo alcuni erano semplicemente noiosi. Tutti avevano di sottofondo questi ambienti, che al pari di una Stanza delle Necessità impiantata nei sobborghi delle grandi e piccole città di tutto il mondo, offrivano per il giusto prezzo un posto in cui consumare notti colme di passione e spesso stramberie. Mia sgranò gli occhi e deglutì, posando al proprio posto con cautela il pacchetto di patatine che aveva tra le mani, sentendosi paradossalmente ribollire le interiora, sapendo che qualunque cosa ci sarebbe stato dall'altra parte di quella porta non poteva essere completamente controllata. Ovviamente, non ci era mai stata, né aveva mai pensato di visitarne una assieme a qualcun altro - non era nemmeno certa esisteressero per davver; una parte di sé venne colta da un palese stato d'ansia persino all'idea di finirci con Raiden. Voleva farlo, ma al contempo aveva paura di quali sembianze potesse assumere quella stanza, quasi come se fosse certa che al di là di ciò che si raccontava e raccontava agli altri, quel luogo poteva metterla di fronte a una qualche forma di devianza che tentava di reprimere. Mia non pensava veramente alla sua sessualità in maniera libera, né credeva che tutto fosse lecito e concesso. Era sì intraprendente e spesso sfacciata, ma in un ambiente protetto in cui potesse decidere fino a che punto svelarsi. Con Raiden tutto ciò che era successo fino a quel momento era andato in una direzione completamente opposta. Non era in grado di nascondersi, né di controllarsi; qualunque cosa facesse, sembrava cadere in quel burrone più in profondità. Più si sforzava di sfuggire, più ne era attratta e più desiderava spingersi oltre. Lo sguardo di lei incontrò quello di lui, mostrandogli una pattina di incertezza. Annuì tuttavia, lasciandosi tentare dalla implicita rassicurazione che lesse nei suoi occhi. Comprese in quel momento Mia che le parole che gli aveva rivolto erano vere. Voglio davvero provare nuove cose con te; ho paura di pentirmene, ma voglio comunque provarci. Stava dentro quel loro legame con tutte le scarpe, anche contro la stessa ragione che le imponeva di dare meno, di lasciarsi coinvolgere anche solo con un po' meno convinzione. Ma Mia aveva preso la sua decisione; aveva deciso di buttarsi senza paracadute. Lo schianto sarà una merda, ma è il viaggio ciò che conta, no? E quindi lo seguì lungo il percorso loro indicato per giungere alla stanza. Per un istante osservò la porta e poi Raiden. Ovviamente non aveva la più pallida idea di come funzionasse effettivamente. Nei suoi libri, Bart Turner non si sprecava poi molto coi contesti o le motivazioni dei suoi personaggi. Era solo la cornice ideale del "famolo strano". E seppur Mia di situazioni e dinamiche nelle safe room ne avesse lette sin troppe, non poteva dire di averci capito veramente qualcosa. Nei libri di Turner ci vanno solo quelli strani forte. E Mia, strana forte non ci si sentiva affatto. Avrebbe quindi voluto chiedergli se era sicuro, ma non fece in tempo, poiché Raiden aprì la porta offrendole uno scorcio su un ambiente assolutamente inaspettato. Non era come se lo immaginava, né quello che avrebbe pensato di poter trovare considerate le conclusioni che aveva tratto nell'ultima mezz'ora. « Puoi farla cambiare in qualsiasi momento. Ti basta solo volerlo. » Lo sguardo ambrato di lei scandagliò l'ambiente a specchi, soffiando via dal proprio volto una ciocca di capelli che non voleva sapere di scollarsi dal proprio viso. Di scatto si schiarì la voce sorridendo, congiungendo le mani di fronte a sé con un senso di leggera ansia, che tentò di scacciare con un profondo sospiro. « C'è un tipo in America che ci ha fatto i milioni con i romanzetti sulle safe room. » Asserì di scatto piuttosto divertita, seppur fosse abbastanza evidente quanto fosse tesa. « Quando ero più piccola incollavo le copertine stampate di grandi classici sopra ai suoi libri. Me ne stavo restavo per tutto il pomeriggio in veranda e.. » Scoppiò a ridere. « Mio papà era convinto che avessi un grande amore per Fitzgerald e Jack London. » Povero papà. Ha sempre pensato che i prof non mi capivano. Invece ero una zappa e basta. Ed effettivamente, qualche classico Mia lo leggeva davvero durante l'estate, ma mantenere alta la concentrazione sui grandi romanzi era sempre stato quasi impossibile per lei. Preferiva quelle storielle a sfondo rosa, di fronte alle quali si stupiva di tutte le cose che non sapeva e che forse non voleva nemmeno sperimentare, ma che in un certo qual modo risvegliavano in lei una voglia matta di scappare su per le scale e rinchiudersi a chiave nella propria stanza. « Non erano un granché comunque.. » E dicendo ciò sprofonda di colpo in un silenzio tombale, gettando lo sguardo in quello di Raiden, mentre il sorriso sul volto di lei si allarga. La calma che il giovane Grifondoro emana sembrava calmare le sue ansie, la lascia in uno stato di palese attesa, portandola ad avanzare un passo nella sua direzione, quasi completamente disinteressata all'ambiente che li circonda. La giacca di lei venne meno, e di rimando Mia sentì il desiderio irrefrenabile di compiere un ulteriore passo nella sua direzione osservandolo con smisurata attenzione, quasi come se volesse creare una mappa dettagliata di ogni tratto somatico di lui. Chiuse gli occhi non appena la distanza tra i loro volti fu sul punto di annullarsi, concentrandosi sui piccoli dettagli di quella scena; i respiri bollenti, i battiti cardiaci accelerati, la pelle d'oca risvegliata ad ogni piccolo contatto. E lo lasciò fare, Mia; si lasciò scoprire facendo scattare il gancio del reggiseno che cadde a terra, sollevando infine lo sguardo sul suo volto, cercando di leggerne le emozioni. Non ce ne sarebbe stato bisogno; poteva sentirlo, ma in un certo qual modo, sembrava ricercare una prova tangibile, qualcosa che potesse ricordare. Le piaceva il modo in cui la guardava, il modo in cui contemplava il suo corpo apprezzandone le forme. Raiden era genuino, spontaneo. Non c'era un solo momento in cui Mia si sentisse fuori luogo, mancata di rispetto o usata. Non in quei momenti; non quando la loro comunione raggiungeva il suo apice. Voleva essere guardata, voleva essere apprezzata, toccata. Nel desiderio di lui trovava la fierezza e la forza di una femminilità che non pensava nemmeno potesse appartenerle. Raiden la faceva sentire una donna. Suscitava in lei la voglia di mostrargli premure che non pensava nemmeno facessero parte della sua indole, non a caso nel momento stesso in cui le circondò la vita tastando il suo seno, Mia provò l'irrefrenabile desiderio di carezzargli la guancia, scostandogli i capelli dal viso. Un gesto di affetto che sembrò darle un'inspiegabile gioia. Non era mai stata una tipa affettuosa, non nella maniera classica del termine, né si era mai immaginata sotto quella luce; eppure con Raiden tutto sembrava naturale, normale ed estremamente bello. Voleva farlo, voleva dispendere tutto quel affetto che volente o nolente esplodeva nel suo petto ogni qual volta si trovassero così vicini. « In realtà quello che mi piace non lo vendono nei negozi. Quegli oggetti non mi interessano davvero. » Prese a carezzargli i capelli sulla nuca, incollando la tempia contro la guancia di lui. « Mostramelo. » Sussurrò di scatto, prima di ricercare il suo sguardo. Io voglio conoscerti. Voglio vedere ciò che nessun altro ha visto. O che, quanto meno in poche hanno conosciuto. Schiena contro una delle pareti, inclinò appena la testa di lato osservandolo con estrema serietà, cercando di interpretare le sue mosse. Sollevò leggermente le sopracciglia sorridendo, mentre aiutandosi con l'altra mano prese a schiudere ciascuno dei bottoni nella sua camicia. Dopo il primo però indugiò per un istante, sporgendosi appena in avanti per baciare la piccola area di pelle che aveva appena scoperto. E continuò così fino a sotto, liberando la camicia dai pantaloni, continuando invece con una scia di baci al contrario, risalendo verso il suo mento. Ad ogni leggero tocco delle sue labbra, un leggero brivido attraversava la sua schiena. Raiden rispondeva ai tocchi semplici; la gentilezza di lei sembrava accendere in lui un fuoco che Mia sentì chiaramente arderle all'altezza del petto con un'intensità inaudita. Era come se quei leggeri tocchi, di lui e di lei stuzzicassero le loro rispettive anime. « A me piace questo. Costringerti in una qualsiasi maniera non mi darebbe alcun piacere. » Lo sguardo di lei ricercò quello di lui, mentre faceva scivolare con delicatezza la camicia dalle sue spalle, lasciandola cadere ai loro piedi senza curarsene minimamente.
    Le dita carezzarono le sue braccia, si strinsero attorno ai suoi bicipiti, ricercando morbosamente di approfondire il contatto con corpo di lui. Lasciò scivolare i polpastrelli lungo il suo torso, con un contatto lieve, che anticipò con leggeri brividi la profonda commistione che provò nel momento in cui le labbra di lui raggiunsero le sue. La mente sgombra canalizzò tutto il suo desiderio in quella danza che approfondì con foga, lasciando vagare le dita lunga la sua pelle. Il mondo iniziava e finiva lì, tra loro, in quelle smaniose dimostrazioni di incontrollata passione. Un fuoco che sembrò accendere la giovane Wallace fino al punto in cui le dita si intrecciarono ai suoi capelli esercitando una presa priva di filtri. Piccoli versi si infransero contro le labbra del moro nell'esatto momento in cui sentì le dita di lui sotto la sua gonna. La mano tra i capelli scese lungo il suo corpo fino a soffermarsi sul fondoschiena, esercitando una presa atta a invitarlo a farsi più vicino, spingendo morbosamente il bacino di lui contro il proprio. Perse il contatto con la terra, nello stesso momento in cui le mani di lei lo aiutavano a slacciare i pantaloni scuri. Gli circondò il viso, agganciando le gambe attorno ai suoi fianchi, respirando la sua stessa aria, beandosi del suo sapore, della qualità dei suoi soffi contro la sua pelle. E infine quando la sua intimità entrò in contatto diretto con la sua, i versi di Mia fecero eco a quelli di lui. Le sensazioni che provò all'altezza del bassoventre furono più forti che mai. Non era solo lei, era ciò che il piacere di lui faceva rimbombare nelle sue interiora. Un desiderio viscerale talmente intenso che non riuscì a controllare. Ad ogni contatto le cosce di lei tremavano, i suoi gemiti contro le labbra di lui erano più intensi. C'era qualcosa di diverso. Andava oltre, molto più delle altre volte, come se quel contatto accendesse in lui un'eccitazione più intensa. L'irrefrenabile voglia di infrangere ogni limite andava in contrasto col suo stabilire quel contatto superficiale in grado di stuzzicare la sua sensibilità esteriore a tal punto da farla impazzire. God, you'll gonna make me cum. Una frase veloce e istintiva che si liberò dalle sue labbra tra un bacio e un altro senza nemmeno accorgersene. Una reazione che arrivò quasi involontaria prima che i versi di lei si facessero più insistenti. « Raiden.. » Un lamento appena sussurrato mentre si distanziava quanto necessario per rendere il contatto tra loro più delicato. « ..possiamo pensarci domani? » Chiede di scatto con voce affannata incollando la fronte contro la sua mentre stuzzica la sua sensibilità. I need to feel you. Pausa mentre si solleva appena per cercare la posizione adatta per intentare un primo incastro tra loro. Non solo un desiderio, bensì un bisogno viscerale. All of you. Un ulteriore gemito mentre schiude le labbra sentendo la sua intimità così prossima a infrangere l'ultima barriera che li separa. C'è un emergenza che sente di non appartenerle completamente e che pure sembra diventare fondamentale anche per lei, al punto che non vuole fermarsi. E in quel momento posa i palmi sullo schienale del divano ai lati della sua testa, avvolgendolo lentamente avventandosi sulle sue labbra mentre percepisce un calore talmente intenso e piacevole da sentirsi completamente travolta. Gli umori di lui a contatto coi suoi, le loro lingue che si incontrano in una danza morbosa; il corpo di lei trema come una foglia a contatto col suo mentre quell'incastro sconvolge irrimediabilmente le sue viscere. Ed è lì che qualcosa cambia e Mia lo percepisce nettamente. Improvvisamente il paesaggio attorno a loro cambia. Un po' alla volta l'aspetto freddo degli specchi assume sfumature verdi. Un prato, alberi, cinguettio di uccellini; fiori che sbocciano e natura incontaminata. Il fruscio di una cascata e di un ruscello che scorre nei pressi del luogo in cui si trovano. Il cielo scuro è tempestato da migliaia di bottoni di madreperla; l'aria profuma di primavera, di erba fresca e dolci fiori colmi di nettare. Un apessaggio bucolico scandito dalla pace più totale. Sono i suoni della rinascita quelli che sente, i suoni della sua infanzia; un luogo incontaminato, privo dell'intervento umano, in cui la natura si espande serenamente e in cui la loro natura non può essere giudicata, né malintesa. Non ci ha pensato, né lo ha desiderato coscientemente, ma quel paesaggio si è comunque disteso di fronte ai suoi occhi, infondendole pace e serenità. Ecco sì; se ci fosse un luogo ideale in cui vorrei essere con te sarebbe questo. Io e te nudi sotto le stelle. La pallida luce lunare incornicia il volto di lui in maniera magistrale, donandogli un aspetto che Mia connota mentalmente come perfetto; la rappresentazione della più ampia forma di bellezza che potrebbe immaginare. E lì, si ferma. Gli accarezza il viso e si distanzia quanto necessario per osservarlo. Vi è una luce diversa negli occhi di lei, una forma di affetto che muta il colore nei suoi occhi fino ad accenderli di un blu non dissimile dai suoi capelli, che invece si spengono riassumendo lentamente la loro tinta naturale. Ecco io sono questa. Senza filtri. Senza trucchi. Senza inganni. Guida la sua sul proprio seno accarezzando al contempo le nocche di lui, mentre si inumidisce le labbra. E per un istante, sembra sia sul punto di dire qualcosa. Qualcosa che sembra morirle in gola nello stesso momento in cui prende a muoversi sopra di lui stabilendo un ritmo che richiede sempre di più, che lo reclama, lo vuole, anima e corpo, e che la porta a esalare uno dopo l'altro gemiti di puro piacere. Prima più lento, maledettamente lento e crudele, più più cadenzato e insolente, concentrandosi tanto sul proprio piacere quanto su quello di lui. La mente di Mia abbandona qualunque forma di razionalità, entrando in contatto con la sua parte più profonda; la giovane lupa instancabile, fiera nonostante la sua giovane età, indomabile. E' allo stato brado, nel suo ambiente naturale, nella notte, tra prati e alberi, a contatto con un'anima che può comprenderla, che può fare anche molto più che comprenderla. Percepisce ogni suo brivido, il respiro di lui brucia sulla sua pelle, e lei ne è inebriata. This is all I want. You. I movimenti di lei si fanno più disperati mentre si aggrappa al suo collo sospirando contro il suo orecchio. Just the way you are. Versi scomposti scandiscono quelle implicite promesse che hanno un sapore completamente diverso rispetto al passato. Mia vuole dirgliele quelle cose, vuole che lui le senta, renderle più tangibili. E lì i suoi sospiri si fanno sempre più cadenzati, mentre si aggrappa con le unghie alle sue spalle ricercando il suo sguardo. You feel so good inside me. E la sente quella la pressione, il piacere che preme con sempre più forza contro le sue pareti mentre ricerca con movimenti disperati di toccare quel punto specifico che costruisce nelle sue interiora interiora un piacere talmente intenso da mandare completamente in tilt qualunque forma di ragionamento razionale. Si avventa nuovamente sulle sue labbra, mentre il corpo di lei scivola contro il suo sempre più vicina a un climax che quando giunge corrode le sue viscere portandola ad avvolgerlo con una serie di spasmi talmente forti da volerlo inglobare. [...] Vorrei averti detto in quel momento che semmai te ne fossi andato, io ti sarei venuta dietro. Lo sapevo già allora che sarebbe stato così. Che seppure mi ero promessa di vivere con te un tempo limitato, ogni giorno quel tempo mi sembrava un accontentarmi. Non è che avevamo una cosa rara; io e te eravamo un cosa unica, l'uno per l'altra. Se c'è qualcosa che realizzai durante quella notte di fine marzo, è che io uno come te non l'avrei mai più trovato, e se anche l'avessi fatto, non l'avrei comunque voluto. Sono stata stupida, lo so, a buttarmi così, a non pensare minimamente a cosa sarebbe venuto e quanto le cose si sarebbero complicate. Ma so per certo che se ad un certo punto della nostra storia-non-storia ho realizzato di amarti, è stato proprio quella notte. Avrei voluto dirtelo. Ho provato a farlo. Ma le parole non sono mai uscite. Avevo paura. Ma questo non significava che ti amassi meno. Ti adoravo, e ti adoro ancora.


     
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    Pensarci domani. Potevano pensarci domani. A cosa? Alle protezioni, certo, ma probabilmente un po' a tutto. Da quel sabato di inizio Marzo che li aveva portati a condividere per la prima volta il letto e molto altro, Raiden e Mia non avevano fatto altro che dirsi "ci penseremo domani". Un domani che veniva costantemente rimandato, forse per paura, forse perché non si sentivano ancora pronti, o forse perché avrebbe semplicemente significato affrontare discorsi di una certa complessità. In fin dei conti era semplice, incastrarsi così: con la spontaneità di chi al domani non ci sta davvero pensando. La loro intera relazione sembrava un appuntamento tra due persone che avevano scelto di fare un picnic nel parco durante una giornata in cui era prevista pioggia; avevano guardato fuori dalla finestra e avevano visto il sole, decidendo così di uscire e stendere la propria tovaglia all'ombra di qualche albero: ed era tutto bellissimo, come dovrebbe essere il perfetto picnic, con gli uccellini che cinguettano, il clima mite e la luce che ti illumina il viso ma non è abbastanza forte da accecarti. Un idillio a cui non avrebbero mai voluto porre fine, ma che consumavano voracemente, trangugiando quel pasto che si erano portati dietro per paura che da un momento all'altro l'acquazzone sarebbe arrivato e si sarebbero visti costretti ad abbandonare il loro appuntamento. Forse quel picnic non avrebbero dovuto programmarlo in primo luogo, sapendo delle condizioni avverse che vi gravavano sopra, ma avevano scelto di farlo comunque, di godersi ogni istante che li separava da quell'inevitabile pioggia destinata a rovinare tutto. « Raiden.. possiamo pensarci domani? » Era combattuto, Raiden. Sentire il suo nome sulle labbra di lei, pronunciato come un lamento simile a una preghiera, percepire il desiderio reciproco che li legava e i brividi fisiologici che scaturivano dall'intenso contatto tra le loro pelli - tutte quelle cose insieme sembravano spingerlo a pensarci domani. Non era una buona idea, questo lo sapeva. Non lo era mai. E infatti, per quanto quel desiderio di sentirla fosse stato forte in lui fin dalla loro prima volta, il giovane Yagami, di rischiare, non se l'era mai sentita. Non era nella sua natura, lasciarsi in balia del caso, né affidarsi a piani B a meno che non fosse strettamente necessario. Non era uno stupido, conosceva bene i rischi di certe scelte e sapeva altrettanto bene che, se lo avessero fatto, si sarebbe creato un precedente dal quale a entrambi sarebbe risultato difficile tornare indietro. Cosa avrebbero fatto la volta successiva? E quella dopo ancora? Sarebbero tornati sui propri passi, all'ordinaria amministrazione? Ne dubitava, specialmente quando in gioco c'era un legame che andava ben al di là della naturale percezione umana. Eppure non ci riusciva, a dar voce a quel no che sapeva di dover tracciare, forse perché in fin dei conti sapeva di non volerlo, sapeva di desiderare ardentemente l'esatto contrario. I need to feel you. All of you. Chiuse gli occhi, mentre un gemito di frustrazione e piacere abbandonava le sue labbra nel sentire le loro intimità così vicine ad infrangere l'ultima barriera che li separava. Era più forte di lui, più impetuoso di quanto potesse realisticamente controllare. Sentirla finalmente su di sé, percepire anche quell'unica sensazione di cui fino ad allora si erano privati, e percepirla amplificata alla massima potenza, non era un qualcosa su cui la sua volontà cosciente riusciva a far presa. Please let me feel you. Parole che esalò a fior di labbra, appena udibile, col respiro che gli moriva in gola in una preghiera disperata capace di portarlo dal desiderio alla vera e propria follia. Ne aveva bisogno, e non riusciva a pensare ad altro. Non c'era un singolo pensiero logico che riuscisse a passare oltre il blocco totalizzante di quell'urgenza. E quando lei scese lentamente ad avvolgerlo, per Raiden fu come se il proprio desiderio più nascosto fosse stato esaudito. Buttò la testa all'indietro, abbandonandosi ad un gemito mentre le sue dita affondavano con pressione maggiore sui glutei di lei, ricercando quanta più profondità possibile in quel contatto tra le loro intimità. Nemmeno si rese conto del mutamento del paesaggio, preso com'era a vivere per quel loro bacio e a condurla in quel ritmo lento che voleva assaporare ogni centimetro della sua pelle. Scivolavano l'uno sull'altra con naturalezza, con una facilità che solo l'estremo desiderio poteva creare. Ed era, appunto, solo naturale - la cosa più naturale che Raiden potesse concepire: talmente semplice eppure così fondamentale da lasciar sbiadire tutto il resto a confronto. Naturale come l'aspetto che assunse Mia quando i loro sguardi si incontrarono e gli occhi di lei si tinsero di azzurro, facendo svanire la sfumatura bluastra dei suoi capelli. Sorrise, Raiden, guardandola con la stessa adorazione con cui si guarderebbe ad un'opera d'arte. Però tu sei più bella, perché sei reale. E posso toccarti. La sua mano andò a carezzarle il viso, scostandovi alcune ciocche di capelli per poterla osservare meglio sotto la pallida luce lunare che gettava un'ombra argentata sui suoi tratti. E bella lo era davvero, così tanto da lasciarlo senza fiato, rendendogli impossibile distogliere lo sguardo dal suo volto. Un'ammirazione quasi sofferta, quella con cui la fissava, come se in qualche modo, quella sua bellezza fosse talmente suggestiva da fargli male. Si lasciò guidare l'altra mano verso il suo seno, sospirando nel sentire il calore che il battito cardiaco di lei emanava sotto la sua pelle candida. Lo accarezza, disegnandone la curva fino alla punta per poi appoggiarvi il palmo e chiuderlo su quella morbida rotondità, ricercando le sue labbra in uno slancio bramoso. This is all I want. You. Just the way you are. Parole che gli fecero ribollire il sangue nelle vene nella più piacevole delle maniere, portandolo a spingersi in avanti col busto e poggiare un palmo sul terreno mentre la accompagnava con gentilezza a sdraiarsi sul prato appena inumidito dalla rugiada. Gemette contro le sue labbra nel momento in cui il suo bacino, dopo essersi allontanato quanto bastava, andò ad affondare nuovamente contro quello di lei. L'intreccio dei loro corpi, incollati l'uno all'altro come se fossero impossibilitati a distaccarsi se non per quel che serviva a farli ricongiungere nel piacere, era talmente intenso da fargli battere il cuore all'impazzata, rendendo cocente ogni lembo di pelle e sensibilizzando ogni terminazione nervosa nel suo corpo. Era eccitazione allo stato puro, quella che provava nel sentire gli umori di lei, i suoi respiri, il suono che producevano le loro intimità nell'incontrarsi in quel ritmo sempre più pressante. Intrecciò le dita di una mano a quelle di lei, facendovi presa per condurle accanto al viso della ragazza, sull'erba umida, mentre con l'altra mano affondava i polpastrelli nell'incavo del suo ginocchio, agganciandolo al proprio busto nello smanioso bisogno di sentirla quanto più possibile a contatto col proprio corpo. You feel so good inside me. Sorrise, piantando lo sguardo in quello di Mia nella volontà esplicita di registrare ogni espressione sul suo volto. Voleva vedere tutto, senza lasciarsi sfuggire nemmeno un istante di quella loro esperienza. Ed era così intima, che andava al di là della semplice eccitazione, del desiderio sessuale o della malizia. Era il pacchetto completo. Sorrise nel sentire le pareti di lei stringersi di più intorno alla sua intimità, portandolo a calcare ulteriormente quel ritmo stabilito per andare sempre più in profondità. Era forse proprio quella la cosa che gli dava più piacere: sentire fino in fondo quanto quel desiderio fosse mutuale, quanto anche lei lo volesse. Fuck, you're soaked! Come for me, baby, please. A quel punto le loro labbra si avventarono di nuovo le une sulle altre, congiungendosi in una danza morbosa scandita dal ritmo incessante che il bacino di Raiden stabiliva. Quando le pareti di Mia si strinsero ulteriormente e i tremiti cominciarono a scuotere il suo corpo, le dita di Raiden affondarono con più forza nella carne della sua coscia, provocandogli sensazioni talmente forti da fargli girare la testa. Il piacere di lei lo travolse in pieno, portandolo a gemere nell'affondare col bacino tra le sue gambe e toccare un climax dall'intensità completamente inedita. Ne era certo, Raiden, di non aver mai provato qualcosa di simile, un'emozione così forte come quella che provò lì, nel congiungersi totalmente a lei. Un piacere i cui strascichi si protrassero per diversi istanti, portandolo a mugolare come deliziato mentre il suo bacino ricercava alcuni ultimi movimenti lenti per sentire il piacevole brivido che quell'umida commistione dei loro umori continuava a provocargli. Pian piano i suoi muscoli iniziarono a rilassarsi. E fu in quel frangente che lo scenario attorno a loro iniziò a mutare.
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    Il cielo si rischiarò, tingendosi di un azzurro limpido e soleggiato. Faceva caldo, non troppo, ma si sentiva: quel caldo umido che Raiden conosceva bene, che sapeva di casa. La tiepida estate giapponese sbocciava tutta intorno a loro, riempiendo il paesaggio di quei tipici ciliegi in fiore che tingevano l'atmosfera di rosa. Sorrise, Raiden, lasciandosi scivolare lentamente di lato per stendersi di fianco sull'erba, senza tuttavia lasciare la presa su di lei. La aiutò a sistemare la gamba intorno al proprio busto, facendo al contempo scivolare la propria tra quelle di lei nel farsi più vicino. La strinse al proprio petto, poggiando qualche tenero bacio tra i suoi capelli e carezzandole piano il braccio mentre riprendeva il fiato in silenzio, sorridendo tra sé e sé con gli occhi che vagavano tra le fronde di quel ciliegio sotto la cui ombra erano stesi. « Lo sai che abbiamo una parola per questo? » disse dopo qualche istante, quando il suo battito cardiaco si fu assestato. « Hanami. Guardare i fiori. È una vera e propria festa, da noi. Andiamo a guardare la fioritura dei ciliegi. » Una festa che celebrava proprio la bellezza e l'armonia. Per noi è così: inizia tutto dalla primavera, persino l'anno scolastico. È da questa stagione che nasce ogni cosa. Con la fioritura dei ciliegi, sboccia la vita stessa. Uno spettacolo tanto bello quanto struggente, simbolo sì della rinascita, ma anche della transitorietà di ogni cosa, destinata a finire proprio quando raggiunge il suo culmine. Due concetti intrinsecamente legati, quanto meno nella cultura di cui Raiden era figlio, e che velava persino quella gioiosa celebrazione con una patina di tristezza. Perché quella pioggia incantata di petali rosa che arriva sempre troppo presto, ci ricorda che in fondo anche le cose più belle sono destinate a finire. Ed era così che Raiden si sentiva in quel momento: incredibilmente felice - follemente e stupidamente felice - ma anche un po' triste, come se in fondo al cuore fosse consapevole del fatto che quella felicità gli sarebbe stata prima o poi portata via. Ma non mi interessa. Perché adesso mi sento bene. Qui, con te, mi sento felice. E non ci voglio pensare, al domani. Sospirò, ricercando lo sguardo di lei per fissarla in silenzio, con un sorriso. Rimase lì a guardarla per un tempo che non avrebbe saputo quantificare, disegnando con la punta delle dita il profilo del suo viso, del suo collo, del suo seno, del suo corpo. Voleva solo guardarla e ricordarla, così, nel suo stato più naturale e intimo, stretta a lui, con la luce del sole che le illuminava gli occhi chiari e il colore dei ciliegi intorno a loro. Lo sentì ancora, in quel momento, quel misto di gioia e dolore nel guardarla, e sorrise, lasciando che quelle sensazioni contrastanti si incastrassero nella sua espressione. « Sei così bella, Mia. » sussurrò con spiazzante onestà, come se quelle parole così semplici e spesso abusate avessero un significato ben più profondo che germogliava dalle profondità del suo cuore, facendosi largo dolorosamente fino alle sue labbra. La guardava negli occhi e si sentiva come se quella sua bellezza - una bellezza che andava al di là del semplice aspetto fisico - lo corrodesse dall'interno, destinandolo a un'inevitabile disfatta. Mi sento come se avessi rubato l'oggetto più prezioso al mondo e nessuno se ne fosse reso conto. So che prima o poi verrò scoperto, so che ci saranno delle conseguenze, ma intimamente spero che nessuno capisca mai il valore di ciò che sono riuscito a strappare. Spero di farla franca, anche se so che non posso, che il mio tempo è solo limitato. E per questo, del tempo che ho, voglio sfruttare ogni istante, senza darne nemmeno uno per scontato. In quel momento si rese conto di quanto il desiderio che la stanza aveva materializzato intorno a loro andasse al di là della semplice nostalgia o di una qualche forma di rappresentazione estetica. Lui, con Mia, voleva davvero condividere ciò che gli stava più a cuore, per quanto semplice ciò potesse essere. Desiderava prenderla per mano e passeggiare assieme a lei lungo quei viali rosa di ciliegi in fiore, desiderava raccontarle della propria cultura, della propria lingua, della propria quotidianità, desiderava farle provare i cibi del suo paese e lamentarsi con lei della terribile umidità, correre sotto le piogge torrenziali dei monsoni estivi. Desideri incredibilmente semplici, che proprio in virtù di quella loro semplicità riuscivano a spezzargli un po' il cuore. Perché lo sapeva Raiden, che per quanto modesti fossero, non si sarebbero mai realizzati. È il gioco che fa questa stanza: ti mette di fronte a ciò che vuoi. E a volte vederlo fa male. Le labbra di Raiden tremarono in un piccolo sorriso mentre posava delicatamente una mano sulla guancia di Mia, chiudendo le palpebre e avvicinandosi per baciarla. Un bacio che non aveva urgenza, né malizia o bramosia, ma che si premeva sulle labbra di lei con una passione altrettanto forte, seppur diversa. Aveva il retrogusto di un addio anticipato, non pronunciato ma comunque presente. Ma almeno dentro questa stanza, i ciliegi non sfioriranno mai. Rimarranno sempre così. Esattamente come li voglio. Per quanto illusorio e irrealizzabile possa essere tutto ciò.


     
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