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    the devil inside;

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    L'ondata di violenti spasmi che la pervase fu incontrollbile. Non aveva mai provato nulla di simile, Mia, e se il sesso era veramente così, lei non era certa di voler di essere pronta ad andarsene mai da quella stanza. Una specie di faro nella notte, un posto senza interruzioni di alcuna sorta. Potremmo non andarcene mai. Si perdeva negli occhi del giovane Yagami, ricercando le sue labbra, soffiando sul suo viso, abbandonandosi alla sua natura più profonda senza ritegno, né remore. Se anche avesse voluto applicare un qualche filtro a quella situazione, non ci sarebbe riuscita. La presenza di Raiden sembrava imporle un determinato atteggiamento; nessun limite, nessuna finzione. E non era solo un qualcosa di incontrollabile. A un livello del tutto subconscio, Mia voleva mostrarsi in tutta la sua interezza, voleva dargli tutto ciò che aveva senza preoccuparsi di cosa sarebbe successo il giorno dopo. Non poteva pensarci; al giorno dopo non voleva pensarci, perché se si fosse abbandonata a quel tipo di sconforto avrebbe rovinato tutto. Non voglio. Non voglio rovinare tutto. E forse era ciò che aveva mosso i suoi passi sin da quando avevano avuto il loro primo diverbio. Non gli aveva parlato delle sue paranoie, perché lei con Raiden ci stava bene. E avevo paura. Ho ancora paura di non stare più bene con te. Forse la situazione le stava stretta, forse non le sarebbe mai andata bene del tutto, ma non riusciva comunque a privarsi di ciò che avevano. Un qualcosa che non aveva costruito, né aveva ricercato, e che pure si era dispiegato di fronte ai loro occhi al di là di qualunque logica. In fondo erano due persone così diverse; a un primo approccio poteva sembrare che non avessero nulla in comune. E forse non ce l'aveva davvero, nulla in comune. Ma forse il punto non è avere necessariamente qualcosa in comune. Forse non abbiamo bisogno di avere qualcosa in comune per stare bene. Forse il punto è chiedersi di cosa abbiamo bisogno e basta. E Mia sapeva, in un modo o nell'altro, di avere bisogno di qualcuno come Raiden nella propria vita. Brillante e pacato, gentile; sì.. soprattutto gentile. In molte cercano lo stronzo. Pensano che il bad boy sia la massima aspirazione nella vita. La gentilezza però, è una qualità molto più attraente. Almeno lo era per Mia. La gentilezza, la pazienza e la sincerità erano doti di fronte alle quali Mia non sapeva resistere, forse perché in fondo ha sempre cercato un legame sincero al di là di tutto. E fu proprio questo ciò che lesse nei suoi gesti, nei suoi baci e abbracci e in quelle parole che al di là della loro natura erotica preservavano una fonte inesorabile di genuinità. Fuck, you're soaked! Come for me, baby, please. Si aggrappò al suo collo, Mia, circondandogli i fianchi con entrambe le gambe, arpionandosi al busto di lui come fosse una sorta di ancora o una scialuppa di salvataggio in mezzo a un mare buio e burrascoso. Non vedeva nient'altro se non la sua persona, al di là delle sue giovani fattezze e il suo bell'aspetto; era come se in quel momento accarezzasse la sua anima. Io ti vedo, ti voglio, ti sento. Ogni senso nel suo corpo si acuì a tal punto da disintegrare le sue sinapsi. Non vi era pensiero logico in quell'andargli incontro, nel cercarlo con smisurata veemenza, quasi come se non avesse mai trovato nessun altro in vita sua prima di allora. Mia lo voleva, lo voleva così tanto da non riuscire a respirare al pensiero di perderlo. Provava nei suoi confronti una forma di affetto incondizionato, che collocava quel suo donarsi completamente, abbandonandosi a lui, in una dimensione estremamente altruista. E quando infine il climax giunse, provò un piacere talmente intenso da restarne completamente spiazzata. Mai aveva pensato fosse possibile provare sensazioni talmente intense. Era come se il suo cervello fosse completamente esploso. Non era solo il suo piacere a corroderle le interiora. Era il suo piacere unito a quello di Raiden, giunto all'apice pressoché nello stesso momento. Non aveva mai pensato che avrebbe trovato così bello il culmine di una sua controparte. Una volta c'era questo Kevin, in parrocchia a New Orleans. Avevano saltato la messa per andare a fare il bagno a Pontchartrain assieme. Aveva quattrodici anni, lui ne aveva diciassette. Sembrava comunque più grande di lui. Kevin era stupido, ma pensava di saperne una più del diavolo. Mia invece era già più furba della maggior parte delle sue coetanee, nonostante fosse stata abbastanza stupida da perdere la verginità in un parcheggio pochi mesi prima. Di certo, furba ci si sentiva, nonostante fosse tutto tranne che l'emblema della scaltrezza. In quella circostanza Kevin le aveva chiesto posso venirti dentro? E lei aveva detto si; non ci vedeva nulla di male. Non le era piaciuto. Semplicemente non ci aveva trovato nulla di particolare, non che ci fosse veramente qualcosa di particolare nell'andare a letto con qualcuno. Lo faceva perché tutte le ragazze più grandi lo facevano; perché le faceva guadagnare una specie di status rispetto ai ragazzi a cui si concedeva. Il sesso lo ha sempre vissuto come una cosa così. Qualcosa che tutti fanno, un po' alla come viene, senza avere la più pallida idea di cosa stesse facendo, con la speranza che prima o poi qualcosa di buono succedesse. Almeno fino a quel momento. Perché forse alla fine qualcosa di buono stava succedendo. Adesso è diverso; gli umori di lei uniti a quelli di Raiden la fecero rabbrividire. Quella commistione era il risultato di qualcosa di bello, un piacere che entrambi avevano ricercato e condiviso. Rabbrividì quindi, colta in pieno da quella nuova ondata di calore che la portò a tremare tra le braccia del moro, ricercando la sua vicinanza in un abbraccio morboso, mentre ad occhi chiusi soffiava sul suo viso sorridendo. Una risata emerse lentamente dalla sua cassa toracica, colta completamente di sorpresa da un'immensa gioia che la portò a riempirlo di dolci baci prima sulle labbra e poi via via sul collo accarezzandogli i capelli. Scivolò al suo fianco, mentre Mia tentava ancora di riprendere fiato e in tutta risposta la mora volse lo sguardo nella sua direzione sospirando appena, mentre un sorriso solare si distendeva man mano sul suo volto. Non riusciva a smettere di sentirsi tra le nuvole, con le farfalle nello stomaco e la consapevolezza che nulla di ciò che poteva succedere attorno a loro, sarebbe mai stato in grado di imporle di smettere di volerlo così tanto. Posò un bacio sul suo petto, ricercando la vicinanza col suo corpo, passandogli un braccio attorno al torso nudo, giocherellando distrattamente con alcuni fili d'erba che continuava a strappare strofinando la guancia contro la pelle candida di lui. « Lo sai che abbiamo una parola per questo? Hanami. Guardare i fiori. È una vera e propria festa, da noi. Andiamo a guardare la fioritura dei ciliegi. » Gli occhi chiari della mora si spostarono sul ciliegio all'ombra di cui si trovavano. I fiori bianchi e rosa pallido le infusero un principio di pace e tranquillità a cui si unì il cinguettio degli uccellini, il rumore del ruscello e il fruscio dei piccoli animaletti che si muovevano sulla verde coperta su cui erano distesi. Guardandosi attorno ebbe come l'impressione che la stanza stesse in un certo qual modo combinando due scenari differenti. Le foreste che Mia ricordava come suo nido e palcoscenico di malefatte, erano ora lo scenario perfetto per centinaia di splendidi ciliegi. Il torpore della stagione calda, il sole splendente nel cielo limpido come uno specchio d'acqua, la pace. E poi c'era il profumo. Il profumo dei fiori di ciliegio era inebriante. Per un istante chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere da quello stato di estasi e felicità, stringendosi di più a lui. Pensò che il Giappone doveva mancargli davvero tanto. E' importante per te, vero? E' più importante di qualunque altra cosa. Tu ami i posti in cui sei cresciuto. Ti provoca nostalgia ricordarli. Ecco perché sono comparsi. E in effetti, le sensazioni che riuscì a carpire nell'aura di lui, le associò proprio alla melanconia. « Hanami.. » Ripeté di scatto tentando di tastare sulle labbra le sonorità di quella parola. « Chissà.. forse un giorno potrò farti visita, così me lo mostrerai di persona. Dal vivo. » Si inumidì le labbra scostando appena lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Provò una forma di profonda amarezza di fronte a quelle parole. Avrebbe voluto saper tenere a bada la lingua, non dire assolutamente nulla. « No, anzi! Niente forse.. ci verrò. » Perché io faccio sempre quello che mi pare e questa cosa voglio farla. Ed era sincera; non trovava poi molto improbabile la possibilità di fargli visita, forse passare qualche giorno insieme, in qualunque modo le cose fossero andate. Non vedo perché dovremmo perderci per strada. Potremmo comunque restare amici. Come ora. Continuare a parlare, trovarci, ridere insieme. Potremmo essere l'una per l'altro una specie di pausa dalla vita. Una parentesi. Non dobbiamo per forza chiudere. Chiudere e basta. Ma forse già in quel momento ciò che Mia avrebbe voluto dirgli è che voleva seguirlo. Non aveva ragione alcuna per restare in Inghilterra dopo il diploma. Nonostante gran parte della sua vita fosse ormai lì, tolti i pochi amici fidati, non poteva dire di aver costruito veramente qualcosa di cui non avrebbe potuto fare a meno. Un posto valeva un altro. Magari sarebbe durata poco oppure ad un certo punto le loro differenze si sarebbero fatte sentire, e lei in Inghilterra sarebbe tornata lo stesso. Oppure no. Non aveva grandi aspirazioni, Mia, né nutriva il desiderio di grandi scalate. Preferiva vedere la sua vita in maniera fluida: un giorno un posto, un giorno un altro, finchè ad un certo punto non sarebbe stato naturale fermarsi. Avrebbe voluto dirglielo. Si. Se lo sentiva. Ma affinché potesse proporglielo lei in primis sarebbe dovuta arrivare a quella realizzazione. E non ci era arrivata. Non coscientemente, almeno. « Sei così bella, Mia. » Rimase spiazzata, volgendo di colpo lo sguardo nella sua direzione, sentendosi investita da una nuova ondata di calore nelle guance.

    Dici a me? Non se lo aspettava, non in quella maniera, né con quel tono soffuso. Per diverso tempo, Mia non disse niente, fermandosi a osservarlo come se volesse dirgli qualcosa di estremamente importante, senza avere veramente il coraggio di farlo. Che le parole le stessero morendo in gola era abbastanza evidente, meno scontato era cosa le passasse per la testa. Si scambiano tenere effusioni sotto quel sole piacevole, e per un po' Mia non sembra avere poi nulla di interessante da dire. Poi, ad un certo punto qualcosa sembra emergere; tira un lungo respiro e volge lo sguardo verso Raiden. « Posso chiederti una cosa? » E' serena, seppure il suo sguardo teso sembra preannunciare una domanda scomoda. Lo sono sempre; quando Mia inizia a chiedere non è mai un buon segno. Non sa nemmeno lei dove vuole andare a parare quel quesito che si pone, e a dirla tutta non sembra nemmeno essere un suo problema quale sarà l'esito. Ha solo voglia di parlare, forse vuole capire di più, o forse in verità ha già capito a sufficienza ma non vuole ammetterlo. « E' così che ci si dovrebbe sentire? Intendo.. con un ragazzo. » Pausa. « Dico.. è così che dovrebbe andare, oppure è tutta una questione relegata ad altro. » Siamo noi oppure è il legame? Riuscirò a sentirmi mai così con qualcun altro oppure le cose sono semplicemente destinate a tornare alla normalità non appena smetteremo? « Boh.. a me non è mai capitato. Voglio dire.. non è che tutto è stato proprio scandente, ma il più delle volte mi sono fatta l'idea che ai ragazzi interessasse relativamente se a me piacesse o meno cosa stavano facendo. » Lo davano per scontato. Danno sempre per scontato che andare al letto con loro è una sorta di privilegio. Prendono ciò di cui hanno bisogno e poi non ricambiano in alcun modo. Forse il problema è che Mia è sempre uscita con suoi coetanei o poco più, oppure semplicemente non ha trovato le persone giuste. « Ormai stavo iniziando a pensare che è prassi fare da sé e basta.. » Si stringe nelle spalle gettando quelle parole senza pensarci più di tanto mentre giocherella distrattamente con una ciocca dei propri capelli per non essere obbligata a osservarlo, e sfuggire al contempo a un lieve senso di imbarazzo. « Ho anche pensato che il problema ero io. » Sospira e scuote la testa. « Stasera ti ho portato qui perché un po' spero di non diventare noiosa. » Non mi va di essere scontata anche questa volta. E lì per un istante deglutisce, trovando finalmente il coraggio di guardarlo in faccia. « Me lo diresti se dovessi diventare noiosa vero? » L'incertezza e la preoccupazione che si legge nei suoi occhi è palese. Mi viene il panico all'idea di diventare una di quelle tipo soffocanti che non ha la più pallida idea di rendere le cose interessanti. E in fondo, era stato questo il motivo per cui gli aveva fatto notare che sarebbe stata disposta a provare nuove cose, nonostante non fosse certa di quanto potessero fare al caso suo. « Anche perché.. uhm.. oggi non ho letto i tuoi messaggi. » Asserisce con una sincerità quasi rituale. « Ci ho pensato.. ero tentatissima - specie la chat con Gabriela. Però, poi ho capito che non mi andava.. è una cosa un botto tossica! E poi tu sei libero di fare ciò che vuoi, e quando ti annoi.. » No. Non ce la faccio a dirlo. Non ci provo neanche.Compie una leggera pausa, tempo in cui si mette a sedere pur restando rivolta nella sua direzione. « Però un po' ci spero che tu non lo faccia.. specie se il problema è.. la noia. » Se non ti piaccio più è un conto, ma se devi cercare qualcosa così in mezzo alla settimana, un po' mi da sul culo. Un po' tanto, sia chiaro. « Insomma, non ho letto le chat, però Alyssa me lo ha detto che con Gabriela c'è stata una cosa dopo l'Hound Dog. E boh alla fine ci stava.. cioè eravamo andati a letto una volta; per quanto ne sapevamo poteva essere una volta e ciao. » Però è stata davvero una volta? Scuote la testa e sospira. Mia sta divagando. « Va beh comunque non è questo il punto. E' acqua passata. Le paturnie me le ero fatta passare tre giorni dopo. » E questa roba accadeva tre settimane fa. « Il punto è che non so se questa cosa.. siamo noi o il legame. Però se tu sei già stato così, oppure è semplicemente così che vanno le cose ed io sono l'unica idiota che nelle ultime settimane sta scoprendo un po' l'acqua calda.. » Cosa molto probabile conoscendomi. Io i casi umani me li vado a cercare col lanternino. « A me darebbe comunque un po' fastidio. Che poi tu sei libero di fare quello che ti pare, eh.. però se con le altre è la stessa cosa.. » O anche un po' meno, o peggio mi sento, un po' di più! Compie una pausa più lunga delle precedenti colta da un leggero panico. « Raiden a me il fair play ha un po' rotto il cazzo. » Pausa. Non posso proprio accettare che tu faccia sentire così le altre. Ecco l'ho detto. E non me ne pento. Magari mi vergogno come un ladro per aver fatto la fidanzata psicopatica. Però non me ne pento uguale.


     
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    dauntless

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    « Stenda il braccio, signore. » Sospirò, Raiden, ubbidendo alla richiesta del sarto e passandosi il plico di foglietti nella mano sinistra mentre allungava il braccio destro orizzontalmente per farsi misurare l'orlo della giacca. Doveva essere impeccabile: quella volta non avrebbe semplicemente assistito all'ennesimo matrimonio di un suo collega, ma avrebbe addirittura ricoperto il ruolo di testimone. La divisa bianca - quella adibita alle occasioni speciali - gli era stata cucita su misura, ma il giovane Yagami non aveva comunque voluto lasciare nulla al caso, prenotando un appuntamento col sarto per accertarsi che non ci fosse nemmeno una cucitura fuori posto nella propria uniforme. Era con lo stesso perfezionismo che le sue iridi scorrevano tra le parole che aveva buttato giù per il proprio discorso, ripetendole nella propria memoria e cercando continuamente migliorie da apportare. Era il brindisi perfetto: sobrio, asciutto, non troppo lungo ma abbastanza da non farlo sembrare svogliato o disinteressato. Parlava di amore, sì, ma senza fronzoli o stupidi sentimentalismi adolescenziali. Insomma, c'erano le cose importanti: il fatto che Shotaro e Fumiko si fossero trovati da subito in armonia, condividendo ciò che era davvero essenziale alla vita di coppia - obiettivi, indoli e valori. Quando si erano conosciuti, Shotaro era sul punto di ricevere una promozione di grado e Fumiko era prossima al diploma; avevano seguito il corso tradizionale di ogni rispettabile frequentazione giapponese e, nel giro di pochi mesi, raggiunti promozione e diploma, Shotaro aveva fatto la propria proposta. « Shotaro è stato davvero fortunato. Fumiko è bellissima. » parlò Hiroshi, in piedi accanto a lui, mentre si faceva prendere a sua volta le misure. Raiden non sollevò lo sguardo dai cartoncini, facendoli scorrere per passare al successivo. « Ha avuto un'ottima promozione. Ha senso. » Certo che aveva senso. Non importava che Shotaro non fosse proprio un Adone: era salito di grado, il che lo rendeva un ottimo partito, appetibile agli occhi della maggior parte delle ragazze, anche quelle che in quanto a bellezza lo superavano di gran lunga. E Fumiko, bella, lo era davvero. Non sarà la più bella, ma di certo spicca tra le sue compagne. Probabilmente la staranno invidiando tutte, in questo momento. « Secondo me avranno un figlio entro la fine dell'anno. » Sospirò, Raiden, ritrovandosi ad annuire. « Sicuramente. Fumiko non ha mostrato interesse verso alcuna posizione lavorativa. Non avrebbe senso aspettare. » « Meglio così. In questa maniera Shotaro potrà far carriera più velocemente. » Perché era importante, costruirsi una famiglia. Un uomo con una bella famiglia alle spalle veniva tenuto in grande considerazione: dava un ottimo esempio, e cose del genere non venivano affatto trascurate quando si trattava di scegliere chi far progredire di grado e chi no. Questo Raiden lo sapeva bene. Il tempo stava scorrendo anche per lui, che tra i suoi coetanei aveva raggiunto la carica più alta. Ventuno anni. Riusciva a sentirla, l'aspettativa della sua famiglia e dei suoi colleghi. Non c'era più tempo da perdere: doveva sposarsi se non voleva essere guardato da tutti come uno scapolo, come qualcuno che non riusciva a prendersi delle responsabilità nella propria vita privata. E se non poteva farlo lì, come ci si poteva aspettare che lo facesse in quella lavorativa? Sospirò, riponendo i cartoncini sul mobile di fronte a sé e puntando lo sguardo sulla propria figura allo specchio. Gli stava bene, il bianco. Sollevò il mento, raddrizzando ulteriormente le spalle per osservarsi. Raiden era un bel ragazzo - un bell'uomo, a detta di tutti. Quando gli era stato chiaro il bisogno di trovarsi una ragazza, lo sapeva di essere quello con la scelta più ampia: le sue prospettive di carriera erano stellari e il suo aspetto fisico era apprezzabile. Poteva permettersi di scegliere tra le mele più alte: la ragazza più bella, con la famiglia migliore. E alla fine, Raiden aveva scelto la più rara: Penelope. Non c'era ragazza che potesse eguagliarla: stupenda, dai peculiari tratti occidentali che risaltavano nella più spiccata delle maniere, appartenente a una rispettabilissima famiglia giapponese che godeva di un ottimo status tra i militari e, soprattutto, anch'ella in procinto di scalare i gradi. Erano simili in attitudini, carattere e obiettivi. Praticamente non c'era coppia più perfetta di loro due. Ed era felice, Raiden, a modo proprio, con lei. Aveva seguito tutte le tappe che un'unione avrebbe dovuto seguire: una prima uscita in compagnia di amici, una seconda e una terza da soli in un luogo pubblico, poi la richiesta di frequentarsi ufficialmente e la relazione. Pochi mesi dopo, arrivati a quel giorno, Raiden aveva un anello di fidanzamento nella tasca della giacca. Uno costoso, ma non eccessivo, perché altrimenti sarebbe risultato di cattivo gusto e la gente avrebbe pensato che volesse attirare troppo l'attenzione. « Stasera, dopo la festa, farò la proposta a Penelope. » disse serio, guardandosi allo specchio mentre si sistemava meglio la giacca. Parole, quelle, che non sembrarono creargli alcun nervosismo. Perché mai avrebbe dovuto sentirlo? Era una tappa naturale della vita, e per lui era ormai giunta l'ora da un pezzo di fare quel passo. Un passo a cui si sentiva pronto, senza dubbi o paure. Raiden era pronto a fare ciò che la società si aspettava da un uomo: mettere su famiglia. Aveva un ottimo lavoro che poteva solo migliorare, aveva la disponibilità economica, l'età giusta e una casa spaziosa. Si sarebbe consultato con Penelope riguardo il momento migliore per avere figli - siccome nel loro caso c'era di mezzo anche la carriera di lei - e nel giro di un anno o massimo due l'avrebbe probabilmente messa incinta. Non più di due anni, altrimenti sarebbe stato troppo tardi e li avrebbero tutti additati come una coppia fallimentare, un pessimo esempio. American style - era così che li avrebbero chiamati, pronunciando quelle parole con una nota dispregiativa. Alla luce di tutto ciò, Hiroshi non sembrò affatto sorpreso da quelle parole, né si mostrò chissà quanto emozionato da una notizia che probabilmente sapeva sarebbe arrivata da un giorno all'altro. « Vi sposerete in primavera? » « Preferirei in autunno, se possibile. A primavera avrò già ventidue anni e lei venti. » Comincerebbe ad essere tardi. Sono sottotenente, non posso permettermi di arrivare scapolo ai ventidue. Sorrise, Hiroshi, allungando un braccio per posare bonariamente una mano sulla spalla del fratellastro. « Sono contento per te, Raiden Onii-san. » Raiden rivolse uno sguardo al fratello, sorridendo sereno prima di riportare gli occhi allo specchio. Sì, anche io lo sono, contento.

    Erano la stessa cosa, contentezza e felicità? Potevano essere classificate all'interno della medesima categoria? Raiden non avrebbe saputo dirlo. Forse perché la felicità - o quantomeno il sentimento che nel dizionario doveva corrispondere a tale definizione - lui non la provava dai tempi ormai lontani della propria infanzia. Contento, invece, ci si era sentito. E una parte di lui era fermamente convinta del fatto che la contentezza potesse diventare felicità, col tempo, se adeguatamente coltivata. Aveva solo bisogno di cure e pazienza per crescere nel cuore: questa era l'idea che il giovane Yagami aveva imparato ad abbracciare. Che l'amore, quello vero, non fosse uno sfogo di passione come veniva spesso rappresentato dai media per vendere, ma che fosse un lento percorso quotidiano. Scegliamo le persone che meglio si incastrano a noi e impariamo ad amarle, giorno dopo giorno, un passo alla volta. Ma alla base c'è sempre una scelta ponderata, non il folle impeto. E forse era proprio per questo motivo che il giapponese non riusciva a catalogare in alcun modo nella propria testa l'esperienza con Mia - un'esperienza che, alla sua base, aveva proprio l'impeto e la spontaneità. Era così che Raiden aveva deciso di vivere la propria parentesi in Inghilterra: adattandosi alla loro cultura e registrando quelle esperienze come una pausa dalla vita vera e dai valori che aveva imparato ad avere. L'approccio con la Wallace, fin dal primo giorno della loro conoscenza, era stato quanto di più sfrontato e irrispettoso si sarebbe potuto concepire in Giappone. Mai Raiden si sarebbe azzardato a porsi in tale maniera a una ragazza nel suo paese, conscio del fatto che certi comportamenti gli avrebbero garantito se non uno schiaffo in piena faccia, quanto meno un certo grado di biasimo sociale. Un cafone - ecco come lo avrebbero visto. Un ragazzo che si comportava in quel modo, specialmente sulle prime, era chiaro che non avesse intenzioni serie e che mai le avrebbe avute; sarebbe stato piuttosto evidente, in Giappone, che quei suoi comportamenti fossero una dichiarazione di intenti bella e buona: divertirsi e basta, senza alcuna possibilità di veder sbocciare una relazione. Ma in Inghilterra, o comunque nel mondo occidentale, le cose funzionavano in maniera molto diversa e le regole erano decisamente meno rigide, sfumando i contorni di qualunque rapporto fino a rendere difficile distinguere una natura dall'altra. E a quel punto, nemmeno lui sapeva cosa ci fosse davvero, tra loro.
    « Posso chiederti una cosa? » Sorrise, annuendo piano. Riusciva a percepire la latente tensione che si celava sotto quella domanda, e un po' gli faceva paura. L'ignoto. Raiden aveva sempre temuto ciò che non conosceva, ciò che non riusciva a prevedere o catalogare. Gli dava un senso di insicurezza a cui non era abituato. « E' così che ci si dovrebbe sentire? Intendo.. con un ragazzo. Dico.. è così che dovrebbe andare, oppure è tutta una questione relegata ad altro. » Corrugò lievemente la fronte, pensoso. Non era certo di aver compreso il significato di quella domanda e non era certo neanche di avere una risposta da fornirle. Come ci si doveva sentire? Non ne aveva idea. Non ricordava di essersi mai sentito come si sentiva con Mia, né di aver avuto esperienza di qualcosa che gli andasse anche soltanto vicino. Io non lo so cosa si dovrebbe provare. So solo come ci si dovrebbe comportare. Tuttavia non era uno sciocco, e sapeva quanto profondamente diverse fossero le concezioni elaborate a riguardo dalle loro culture. Se avesse descritto a Mia ciò che sapeva riguardo situazioni del genere, lei non lo avrebbe mai capito. Difficoltà simili lo avevano fatto sentire frustrato sin dal suo primo giorno in Inghilterra: non riuscire a comunicarsi, non riuscire a farsi comprendere e, a sua volta, a comprendere del tutto gli altri. Certo, col tempo aveva iniziato ad abituarsi e ad assumere alcuni comportamenti e visioni più occidentali, ma ciò non toglieva comunque quella profonda inadeguatezza che sembrava provare ogni qualvolta una piccola variabile si aggiungesse al discorso. Si sentiva come se stesse imparando a memoria un copione che mutava in continuazione, portandolo a ricominciare tutto il proprio lavoro d'accapo e a non raccapezzarci più nulla. Io qui non ho senso - un pensiero, quello, che lo coglieva piuttosto spesso. Si sentiva come un pezzo di un puzzle che cercava a forza di incastrarsi ad un altro con cui non combaciava né per forma né per colore. Tentava e ritentava senza successo, intestardendosi e rigirandosi come se prima o poi, magicamente, le cose sarebbero cambiate. Ma non cambiavano mai. « Mh.. non sono certo di aver capito. » E infatti c'era una certa difficoltà nel suo tono di voce, un'implicita quanto sincera richiesta di aiuto. Voleva davvero che Mia lo aiutasse a comprendere ciò che gli stava chiedendo, che tentasse di spiegargli cosa intendeva. Come se parlassero due lingue diverse e quel vocabolario lui non lo conoscesse. « Boh.. a me non è mai capitato. Voglio dire.. non è che tutto è stato proprio scandente, ma il più delle volte mi sono fatta l'idea che ai ragazzi interessasse relativamente se a me piacesse o meno cosa stavano facendo. » Annuì, attento, seguendola con attenzione come uno studente segue la spiegazione di un insegnante, prendendo appunti. Imparava di continuo, Raiden, cercando come poteva di mettere in discussione i propri limiti e le proprie conoscenze per avvicinarsi agli altri, per capirli, per sentirsi un po' meno perso in quel mondo così distante da ciò che gli era noto. « Ormai stavo iniziando a pensare che è prassi fare da sé e basta.. Ho anche pensato che il problema ero io. » A quelle parole, un piccolo sorriso andò ad increspare le labbra del giovane, che si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito dalle narici. Era comunque strano parlare così apertamente con una ragazza di certe tematiche - strano, ma interessante, piacevole. E, nel caso di Mia, la cosa sembrava intenerirlo. Forse perché la Wallace proiettava una certa immagine di sé, quella della tipa tosta che non le mandava a dire e che se ne fregava di tutto, quando poi in realtà c'era ben altro al di sotto. Era tenera e, a modo suo, pura. Sì, per Raiden, Mia era pura. Una purezza che non aveva tanto a che fare con il concetto di verginità, ma che era più profonda, più radicata nell'animo. Ed era proprio ciò che più gli piaceva di lei. « Stasera ti ho portato qui perché un po' spero di non diventare noiosa. Me lo diresti se dovessi diventare noiosa vero? » Rise, genuino, senza riuscire a trattenersi. Riteneva assurda l'idea che Mia potesse essere vista da chiunque come una persona noiosa. E infatti annuì, rivolgendole uno sguardo intenerito nel posare una carezza leggera sulla sua guancia. « Va bene, se mai dovesse avvenire te lo dirò. » Parole che comunque suonarono un po' ironiche, come se Raiden la stesse assecondando, dando tuttavia per scontato che una cosa del genere non sarebbe mai capitata. « Anche perché.. uhm.. oggi non ho letto i tuoi messaggi. Ci ho pensato.. ero tentatissima - specie la chat con Gabriela. Però, poi ho capito che non mi andava.. è una cosa un botto tossica! E poi tu sei libero di fare ciò che vuoi, e quando ti annoi.. » Ma se non l'hai letta, perché allora tutto questo interesse per Gabriela e la sua chat? D'altronde Raiden era piuttosto certo che Mia non potesse aver colto nulla di ciò che c'era stato tra lui e Gabriela, un po' perché c'era davvero poco da cogliere in primis, e un po' perché era consapevole di quanto difficile fosse per gli altri interpretare la sua naturale riservatezza. « Però un po' ci spero che tu non lo faccia.. specie se il problema è.. la noia. » Solo lì cominciò finalmente ad intuire quale fosse il vero punto nevralgico di ciò che Mia gli stava dicendo. Tu non vuoi che io frequenti altre ragazze. È questo, vero? Hai paura di essere una delle tante, per me. Una consapevolezza che lo colse con precisione, come quando si tira un anello alle giostre e si riesce a infilarlo sul cilindro che si era puntato. « Insomma, non ho letto le chat, però Alyssa me lo ha detto che con Gabriela c'è stata una cosa dopo l'Hound Dog. E boh alla fine ci stava.. cioè eravamo andati a letto una volta; per quanto ne sapevamo poteva essere una volta e ciao. » Se di norma non era sua natura interrompere i discorsi altrui, lì Raiden non ce la fece a trattenersi. Forse perché una parte di lui sentiva di doversi spiegare, o forse perché era infastidito dall'idea che fosse passata un'immagine errata di lui. Non era neanche una questione di doverle delle giustificazioni o meno, quanto piuttosto il sentirsi fortemente piccato dall'essere stato dipinto in una determinata maniera. Non importava quanto ritenesse lecito o meno l'ipotetico comportamento affibbiatogli, importava solo il fatto che fosse falso. « No no, aspetta. Perdonami se ti fermo su questo, ma qualunque cosa ti abbia detto Alyssa non è assolutamente vera. » disse, con un certo tono piccato, come se quella cosa gli desse più fastidio del dovuto. Chiaramente non ce l'aveva con lei per averci creduto, ma sentiva comunque la necessità di dare la propria versione. « Non so bene come sia venuta fuori questa situazione, ma con Gabriela abbiamo avuto giusto un paio di parentesi e l'ultima è stata a Capodanno. Dopo la serata all'Hound Dog non c'è stato nulla con lei.. né con altre, se è per questo. » Ed era chiaro che Raiden non avesse alcun motivo di mentire a riguardo. Non sentiva di doverlo fare, né si sarebbe tirato indietro dal rispondere, qualora lei avesse voluto saperne di più riguardo a ciò che c'era stato con Gabriela. Mettiamo i puntini sulle i, eh. « Va beh comunque non è questo il punto. E' acqua passata. Le paturnie me le ero fatta passare tre giorni dopo. Il punto è che non so se questa cosa.. siamo noi o il legame. Però se tu sei già stato così, oppure è semplicemente così che vanno le cose ed io sono l'unica idiota che nelle ultime settimane sta scoprendo un po' l'acqua calda.. A me darebbe comunque un po' fastidio. Che poi tu sei libero di fare quello che ti pare, eh.. però se con le altre è la stessa cosa.. Raiden a me il fair play ha un po' rotto il cazzo. »
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    Rimase in silenzio, fissandola mentre cercava di registrare tutte quelle parole e quelle informazioni contrastanti che si stavano accavallando nel suo cervello. Aveva capito, sapeva cosa Mia intendesse, ma al contempo non sapeva bene come affrontarlo e come inserire tutto ciò in quello che era il proprio, di percorso. E infatti ci mise un po', a processare il tutto, mettendolo in ordine nella propria testa e individuando quali fossero le risposte che Mia stesse cercando da lui. Un processo di traduzione: lei chiedeva una cosa e lui doveva impegnarsi a cercare un equivalente significativo nella propria esperienza, così radicalmente diversa da rendere complessa una comunicazione diretta e immediatamente comprensibile. Fu evidente, quel suo sforzo di comprensione e rielaborazione, nel modo in cui aggrottò leggermente la fronte, prendendosi il tempo necessario a riflettere prima di annuire e iniziare pian piano a parlare. « Io, se devo essere onesto, non lo so come dovrebbero andare di norma le cose. Cioè: per me questa cosa con te è tutta nuova. No! In realtà tutto quanto, qui, mi è nuovo, ma questa in particolare. Io così non mi ci sono mai sentito con nessuno. E non è solo per il legame lycan - che sicuramente ha la sua parte. È.. » la sua fronte si increspò, pensosa, mentre cercava con difficoltà di trovare la parola giusta a descrivere quell'esperienza che ancora non era in grado di catalogare in alcun modo. Non poteva compararla a nulla di noto, non poteva etichettarla. « ..diversa. » Una parola che non lo convinse fino in fondo, forse perché era piuttosto certo che non potesse davvero descrivere ciò che intendeva. Non è solo diversa dalle mie passate esperienze. È proprio diversa da qualunque cosa io conoscessi e concepissi. Non te lo so spiegare, Mia. Non ho una risposta. Sto andando alla cieca: ho cominciato in un modo e adesso mi trovo in un luogo che non riconosco, senza punti di riferimento che mi aiutino a comprendere cosa io stia vivendo. Sospirò, evidentemente frustrato dalla propria incapacità nell'esprimersi in maniera puntuale. « Ciò che voglio dire è che da me queste cose vanno diversamente. Non sono così..mh..spontanee. E quindi non so se le mie esperienze possano davvero rispondere alla tua domanda, perché sento come se tu mi stessi chiedendo di cercarti una forchetta in un cassetto di coltelli. Mi segui? Cioè, come se intendessimo due cose diverse. » Ed era difficile. Era tremendamente difficile tentare di far capire un qualcosa che per lui era estremamente normale, mentre per lei era del tutto sconosciuto, provando al contempo a destreggiarsi anche nel processo inverso. « Quello che voglio dire è che per me questo non è normale - e non lo è perché, in primo luogo, da dove vengo sarebbe inconcepibile su tutta la linea. Quindi mi confonde, perché mi fa stare bene e mi fa sentire felice, ma allo stesso tempo entra così fortemente in contraddizione con ciò che conosco e ciò che ritenevo normale che..che semplicemente non so più cosa lo sia e cosa no. » E non era affatto un caso che Raiden stesse rispondendo con un come deve andare a una domanda che chiedeva come bisogna sentirsi. Aveva compreso il nocciolo della domanda di Mia, ma semplicemente quel nocciolo non aveva risposta all'interno di un'esperienza e di un sistema di valori improntato a qualcosa di completamente diverso. Ed era frustrante, perché gli dava l'impressione di non riuscire a spiegarsi. Io non posso farti capire ciò di cui sto parlando, perché quelle cose tu non le conosci, non le hai mai viste. Sono concetti completamente astratti che nella vostra mentalità non esistono e che io non sono neanche bravo a spiegare. Scosse velocemente il capo, come ad accantonare quel discorso in un moto di profonda insoddisfazione. « Non so se ha senso, per te. Ma non importa. Il punto è un altro. » Prese un respiro, piantando lo sguardo in quello di Mia con decisione. Perché se voleva davvero capire cosa stesse vivendo, allora era fondamentale ricercare una chiarezza, anche a discapito della poesia che i giri di parole potevano conferire alla situazione. « Quando mi dici che il fair play ti ha rotto, mi stai dicendo che vuoi una relazione? » Una domanda che le pose a bruciapelo, in completa onestà. Sospirò. « Ho bisogno che tu mi risponda sinceramente, Mia. » proferì serio, incalzandola con gentilezza a fidarsi di lui al punto da essere onesta riguardo ciò che voleva sul serio. Io ho fatto tanti compromessi con me stesso, da quando sono arrivato qua, Mia. Mi sono ritrovato a dover rivalutare così tante cose, a dover cambiare così radicalmente il mio stile di vita, che a tratti sento ancora tutto ciò come una violenza. Però non posso cambiare tutto, non quando non ho neanche in programma di rimanerci, in questo paese. Da certe cose, da certi valori..semplicemente non posso tornare indietro. Posso diluirli, sì, ma non annullarli. E secondo me tu, con me, vuoi una relazione, ma non credo che il nostro concetto di relazione sia lo stesso. Per me questa non è una cosa che si improvvisa: ha un significato, un valore e un peso. Tutte cose che non sono certo tu abbia ancora compreso di me. Riprese, parlando con tono gentile e soffuso. « Quando quella sera ti ho detto che non sono proprio così, non intendevo solo..beh, ciò che hai visto ieri. Intendevo dire anche che io qua mi sto comportando come un ragazzino. Ma non lo sono. » Sono giovane, è vero. Ma non riesco a sentirmi come Jeff, come Delilah o come gli altri miei compagni. Perché sono abituato ad essere un adulto, a venir trattato come tale e ad avere gli obiettivi e le responsabilità che ad esso si confanno. Quindi per me certe cose o sono nere o sono bianche, per quanto assurdo e strampalato questo possa sembrare agli occhi della maggior parte della gente in questo paese. Ed era questa la ragione per cui Raiden non si era mai davvero impegnato a cercare qualcosa di serio, lì in Inghilterra. Non solo perché il suo tempo là era limitato, ma perché era cosciente del fatto che non ci fossero i presupposti per creare ciò che lui intendeva con quella definizione. « Non voglio che tu veda questa cosa come un pressarti o come un allontanarti. Non te lo sto dicendo con un obiettivo. Voglio semplicemente capirti. E voglio che tu capisca me, per quanto sia difficile e per quanto ai tuoi occhi possa sembrare assurdo. » Perché forse siamo a due punti diversi, nelle nostre vite. E non è giusto che io ti obblighi a crescere troppo in fretta. Così come per me sarebbe impossibile tornare ad un'età che ho già superato da tempo. Sospirò, guardandola con una certa dolcezza combattuta, trovandosi in difficoltà tra ciò che era e ciò che quel mondo nuovo gli richiedeva di essere. « Io sto così bene con te, Mia. » disse in un filo di voce « Ma per me, qui, è tutto così difficile. Se fossi davvero me stesso, fino in fondo, nessuno mi accetterebbe. » Fece una pausa, ritrovandosi a scoprire una parte di ciò che sentiva che fino a quel momento aveva tenuto nascosta perfino a se stesso, come se se ne vergognasse. « È vero che non do modo a nessuno di comprendermi sul serio, ma la ragione per cui non lo faccio è perché ho paura del loro giudizio. » Del giudizio su ciò che mi rende semplicemente me. « Ho paura del tuo, di giudizio. » Ed è assurdo, ma è così. Io qua ho paura di essere giudicato perché per me, una relazione, non significa soltanto non scopare con altre persone. Per me è una cosa seria. Perché sono un ventiduenne abituato ad avere un lavoro, a mantenere una casa e a pensare al proprio piano pensionistico. E non pretendo che lo facciano anche gli altri, ma le loro reazioni su cose ben più piccole mi fanno sentire come se tutto ciò fosse ridicolo ai loro occhi, come se a condividere questa parte di me finissi per diventare irrimediabilmente lo zimbello di tutti e per essere allontanato da ogni gruppo. Mentre io voglio solo far parte di qualcosa, almeno per un po'.

     
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    Si sentì pervadere da un'ondata di confusione mista al sollievo, nel percepire la sincerità con cui Raiden le confessò di non aver preso altre strade in quelle settimane. E allora perché Alyssa ha detto il contrario? E lì un principio di rabbia vendicativa assalì il suo animo combattuto. Che stronza. Alyssa aveva capito almeno in parte che Mia ci stava mettendo la testa sulla situazione con Raiden già dopo la prima sera, ma nonostante ciò aveva scelto parole molto specifiche per farle credere che Raiden era andato con Gabriela proprio durante la serata in cui si era rifiutata di uscire, convinta che fosse troppo strano vedersi nuovamente dopo aver passato quasi tutto l'weekend precedente insieme. Dirà che è colpa mia; che non è colpa sua se sono una paranoica. La voglia di uscire e tornare al Suspira solo per urlarle in faccia tutta la sua frustrazione venne placata solo dall'irragionevole temerarietà con cui decise comunque di continuare quel discorso. In fondo, il fatto che Raiden fosse andato o meno a letto con Gabriela era solo in parte il problema. Si era fatta passare le paturnie in merito già pochi giorni dopo, quando aveva deciso di andare al Toyland assieme a lui. Da allora molte cose erano cambiate, nonostante il breve periodo passato insieme, e il fatto che tra lui e Gabriela non fosse successo niente all'inizio del mese, non cambiava il fulcro del suo discorso. Mia non voleva che Raiden andasse con le altre, e nemmeno lei voleva andare con altri. Non voglio formalizzarmi, però resta che non mi va giù se scopi con le altre. Perché dovresti? Cerchi qualcos'altro se non ti basta ciò che hai. A meno che, sotto sotto non sei davvero un fuckboy e allora non riesci proprio a controllarti. Ma se io e te stiamo bene, perché mai dovremmo scopare con altri? Sotto sotto sapeva non fosse una dimensione esclusivamente fisica. Mia voleva le sue attenzioni, voleva uscire da una dimensione in cui doveva cercarlo perché lui voleva darle spazio. Io non voglio spazio e non voglio che tu ti senta come un intruso nella mia vita. Non voglio che tu faccia il ladro nella notte. So quello che ho detto.. so di aver detto che dovremmo essere di passaggio, però mi sbagliavo. Non voglio che tu sia di passaggio. Ho cambiato idea. Sono degna di biasimo? Forse.. ma ho cambiato comunque idea. « Io, se devo essere onesto, non lo so come dovrebbero andare di norma le cose. Cioè: per me questa cosa con te è tutta nuova. No! In realtà tutto quanto, qui, mi è nuovo, ma questa in particolare. Io così non mi ci sono mai sentito con nessuno. E non è solo per il legame lycan - che sicuramente ha la sua parte. È.. diversa. » Ed è una cosa negativa? Avrebbe voluto chiederglielo, specie perché non riuscì a interpretare lo stato d'animo dominante nella sfera di Raiden. Diverso poteva significare tante cose; molte delle quali a dirla tutta Mia non riusciva nemmeno a concettualizzare razionalmente. Come avrebbe potuto? Conosceva così poco di lui. In fondo, seppur avessero parlato di cose importanti e avessero condiviso forse più di quanto fosse lecito tra due esseri umano che volevano restare sani di mente, non poteva dire di conoscerlo davvero. Io riesco a vederti, riesco a leggeri, riesco a capirti, ma non ti conosco davvero. E Raiden non conosceva Mia; e in un certo qual modo quella consapevolezza sembrava mantenerla in una dimensione serena. E' meglio così. « Ciò che voglio dire è che da me queste cose vanno diversamente. Non sono così..mh..spontanee. E quindi non so se le mie esperienze possano davvero rispondere alla tua domanda, perché sento come se tu mi stessi chiedendo di cercarti una forchetta in un cassetto di coltelli. Mi segui? Cioè, come se intendessimo due cose diverse. Quello che voglio dire è che per me questo non è normale - e non lo è perché, in primo luogo, da dove vengo sarebbe inconcepibile su tutta la linea. Quindi mi confonde, perché mi fa stare bene e mi fa sentire felice, ma allo stesso tempo entra così fortemente in contraddizione con ciò che conosco e ciò che ritenevo normale che..che semplicemente non so più cosa lo sia e cosa no. » Si grattò appena il naso, cercando di scacciare un insetto prima di passarsi le mani tra i capelli con fare spazientito, annuendo in un moto di arresa. Prima o poi imparerò a starmi zitta, e sarà un giorno glorioso. Era come se stesse già anticipando la fine di quel discorso. Lo avevano già fatto una volta, nella stanza di lui. Raiden le aveva detto che non era come Mia se lo immaginava, dando per scontato che la Serpeverde l'avesse in un certo qual modo idealizzato. Ed stava proprio lì il problema; Mia era sì un'inguaribile sognatrice, ma non si aspettava né situazioni ideali, né tanto meno pretendeva che qualcosa durasse per sempre. A modo suo, nonostante la fragile età, la vita le aveva mostrato più di una volta quanto in fretta gli idilli potessero finire, quanto poco ideale può diventare la miserabile condizione umana. Era questo un motivo per non provarci? Per privarsi di qualcosa che anche solo per un istante può apparire perfetto? No. Non lo era. Non dal suo punto di vista. Raiden, evidentemente non la vedeva allo stesso modo. « Non so se ha senso, per te. Ma non importa. Il punto è un altro. » Non è che non ha senso. Funge. Ma non per questo lo trovo meno stupido. E infatti annuisce con un po' troppa veemenza abbassando lo sguardo. « Ho capito dai! Siamo diversi.. ci sta. » Poche parole un po' troppo brusche, dettate da un palese perdere la pazienza di fronte al suo girarci così tanto intorno. Cazzo, ti ho solo chiesto di non andare a scopare in giro. Evidentemente se hai bisogno di così tante parole, la tua risposta è no. E tanti cari saluti. Ma contro ogni previsione, il discorso di Raiden virò in una direzione che Mia non si sarebbe neanche lontanamente immaginata. « Quando mi dici che il fair play ti ha rotto, mi stai dicendo che vuoi una relazione? » Venne colta completamente alla sprovvista, sollevando le sopracciglia in un muto attacco di panico che la scaraventò di colpo in uno stato di totale inerzia. Era pietrificata, Mia, scossa da un palese mutismo selettivo che non si aspettava nemmeno di poter provare per una domanda così semplice e diretta. In circostanze diverse si sarebbe messa a ridere, avrebbe preso la cosa alla leggera, forse lo avrebbe persino preso in giro con un gentile affetto, sdrammatizzando così la situazione e lasciando che gli animi di distendessero. Quella volta non accadde; forse perché il modo in cui le porse quella domanda aveva un senso di ufficialità e ritualità di fronte alle quali la giovane Wallace non era mai stata posta. Ma perché deve essere tutto bianco o nero. O tutto o niente? Perché non possiamo semplicemente fare un passo alla volta? Vedere come vanno le cose? Abituarci all'idea, vedere se effettivamente fungiamo? Mi stai esasperando, Raiden. Ogni cosa che fai sembra inevitabilmente portare a un tuo palese tentativo di allontanarmi o tenermi a distanza. E sto iniziando a stancarmi. Ed esasperata si sentiva davvero; forse addirittura un po' stanca. Odiava essere messa con le spalle al muro in quella maniera, e in quella circostanza il giovane Yagami ci riuscì in maniera egregia. Restò lì a osservarlo, in apnea, incapace di decidere sul da farsi. Improvvisamente quel momento aveva tutta l'aria di uno spartiacque definitivo. « Ho bisogno che tu mi risponda sinceramente, Mia. » Sospirò gonfiando di colpo le guance, abbassando lo sguardo, sentendo la gravità, il peso di quella richiesta. « Io.. » Cominciò passandosi le mani sul viso con un certo nervosismo, prima di stringersi le ginocchia al petto come se tentasse di proteggersi da qualcosa che tentava di pungolarla e lei cercava a tutti i costi di evitarlo. Raiden stava premendo con lei ripetutamente lo stesso tasto. Un tasto dolente che provava a evitare a tutti i costi. Non a caso, entrò in modalità difensiva stringendosi nelle spalle senza sapere cosa rispondere. Una parte di sé sapeva sin troppo bene cosa volesse; lo aveva affermato ancora e ancora a più riprese, in ogni maniera possibile e immaginabile. L'unica cosa che non aveva ancora fatto era urlargli contro in preda a un attacco di isteria quanto volesse stare con lui; ma per il resto, Mia non aveva mai veramente nascosto le sue intenzioni o i suoi desideri. L'altra parte di sé, tuttavia, voleva scappare, non voleva nemmeno sentirne parlare. Voleva semplicemente chiudere tutto, chiuderlo fuori, dimenticare anche quella storia, come sono state dimenticate tante altre cose prima di quella notte.
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    « Quando quella sera ti ho detto che non sono proprio così, non intendevo solo..beh, ciò che hai visto ieri. Intendevo dire anche che io qua mi sto comportando come un ragazzino. Ma non lo sono. Non voglio che tu veda questa cosa come un pressarti o come un allontanarti. Non te lo sto dicendo con un obiettivo. Voglio semplicemente capirti. E voglio che tu capisca me, per quanto sia difficile e per quanto ai tuoi occhi possa sembrare assurdo. » Deglutì, tentando di mettere in fila tutte quelle informazioni tentando di razionalizzarle prima di dire qualcosa di affrettato. A quel punto aveva bisogno di riflettere, forse addirittura pensare attentamente alle sue parole. Perché nonostante Raiden le avesse fatto intuire quale fosse il nocciolo della questione, Mia aveva comunque bisogno di essere certa di aver capito. Non erano concetti, quelli, completamente differenti dal mondo in cui era cresciuta. Il Credo non era come il resto del mondo. I cacciatori si cercavano e diventavano una cosa piuttosto seria abbastanza in fretta. E forse, una parte di sé, a livello subconscio, a quella realizzazione era arrivata. Raiden era un suo simile, era un lycan, ed era anche un guerriero scelto. Era un tipo con la testa sulle spalle, e a Mia piaceva davvero tanto, forse anche più di quanto fosse disposta ad ammettere a se stessa. Ma nonostante ciò non si era mai permessa di vedere quel suo tentare di avvicinarsi a lui come altro se non un modo per mandare avanti una storia tra due ragazzi qualunque. Ci piacciamo, ci conosciamo, facciamo cose insieme, e lentamente le cose vengono da sé. Forse poi le cose non vanno. Una progettualità nei rapporti, all'interno della sua comunità nella Bayou del profondo Sud, Mia l'aveva vista di continuo. Sapevano prendersi il loro tempo, vivere le loro esperienze, ma poi quando le cose andavano, andavano punto e basta. Non di rado accadeva che giovani famiglie nascessero inaspettatamente; dal giorno alla notte le cose funzionavano e non c'era motivo alcuno per abbandonarsi a sciocchezze. Grace ne era la prova vivente, e suo fratello Brian non era certo l'unico ad aver avuto rapporti estremamente stabili nella sua famiglia o ad aver fatto il grande passo. Prima del Lockdown più della metà dei fratelli Wallace viveva già coi rispettivi partner e avevano avviato una vita florida parallela al nido che li aveva visti tutti sotto lo stesso tetto. Nonostante ciò, essere messa in quella maniera di fronte a decisioni così grosse, sembrò in un certo qual modo spaventarla. Forse perché era passato troppo poco tempo, forse perché Raiden aveva caricato le sue parole di una ritualità che Mia effettivamente reputava esagerata. Quando due persone vogliono stare insieme, non devono mica per forza passare dalla scopata del venerdì sera all'abbiamo una relazione. Ci sono vie di mezzo. Ed effettivamente la definizione stessa sembrava infastidirla, come se non avesse avuto il tempo di percepire un passaggio graduale. Non so nemmeno com'è fatta una relazione. Sempre se intendiamo la stessa cosa. Ed effettivamente, una relazione, nel vero senso della parola, Mia non l'aveva mai avuta. « Io sto così bene con te, Mia. Ma per me, qui, è tutto così difficile. Se fossi davvero me stesso, fino in fondo, nessuno mi accetterebbe. È vero che non do modo a nessuno di comprendermi sul serio, ma la ragione per cui non lo faccio è perché ho paura del loro giudizio. Ho paura del tuo, di giudizio. » Improvvisamente sollevò lo sguardo, osservandolo con una nota di amarezza. Sembrava profondamente colpita dall'idea che lui pensasse di poter essere giudicato. Tu hai paura di essere giudica.. da me? Ai suoi occhi appariva assolutamente insensato, specie perché, in fondo, Raiden non era propriamente uno sconosciuto per lei. Sin da quando si era presentato al suo compleanno, i due ragazzi avevano legato e Mia aveva cominciato a vederlo come un amico a tutti gli effetti. Lui le aveva raccontato di suo fratello e della sua situazione, e Mia dal canto suo aveva fatto lo stesso. Conversazioni superficiali che non andavano mai particolarmente in profondità; racconti quelli, snocciolati con una certa leggerezza, che però potevano comunque dare loro una dimensione, seppur parziale, del mondo in cui erano vissuti prima di ritrovarsi entrambi in terra straniera. Io so che il Giappone non è come l'America. Ma nemmeno l'Inghilterra è come l'America. Nessun posto è uguale a un altro e nessuna persona è uguale a un'altra. So cosa dirai.. non è la stessa cosa, vero? Ma è davvero così? Di scatto si inumidì le labbra sospirando, provando un profondo senso di empatia e una certa sofferenza nel metabolizzare quelle sue parole. « Ti sembro davvero nella condizione di giudicare qualcuno, Raiden? » Esalò quella domanda a fior di labbra con una punta di amarezza rivolgendogli un sorriso rassegnato. « Guardami! » Sono qui, nuda davanti a te, e ti sto dando ogni cazzo di cosa che mi resta dentro. Non sarà molto, ma io ti sto dando davvero tutto. Una realizzazione che la colpì nel profondo. Un pensiero razionale, quello, che la investì violentemente fino al punto di farle male. « E se anche fosse.. credi davvero che qualcuno è se stesso? Credi che tutti i nostri amici sono così confortevoli nei loro panni? » Pensi davvero che sei l'unico che ha paura del giudizio degli altri? Credi davvero che quello che pensi e quello in cui credi è così differente da ciò che gli altri tengono lontano dagli occhi degli altri? « Cazzo Raiden.. guarda i nostri amici. Stiamo tutti cercando di sopravvivere. Viviamo sotto questa coperta di benessere in cui dobbiamo.. fungere ed essere funzionali.. » Dobbiamo essere adatti a uno stereotipo che non ci è neanche chiaro chi controlla. Lo pensava persino di tutte le persone che odiava, persino dei suoi compagni con la puzza sotto il naso che evitava come la peste. « Questo mondo.. l'Occidente - come lo chiami tu - non è stato progettato per noi. Non abbiamo una bacchetta magica che a te non è stata data e che ci permette di saper stare in società. » Pausa. « E nemmeno il tuo mondo è stato progettato per te. Il mondo si muove. E se ti fermi sei perduto. Resti indietro. » E Mia, perduta ci si sentiva già da un po', come se non riuscisse a riprendere il ritmo frenetico di quel costante tentativo di conformarsi alle regole sociali. « Io non voglio cambiarti e non posso - davvero.. non posso - giudicarti.. ma ti chiederò una cosa.. e non devi nemmeno rispondermi. » Si inumidì le labbra e abbassò lo sguardo pensierosa. « Credi davvero che quando tornerai sarai ancora questo te stesso di cui parli? Pensi davvero che non ti sarà rimasto nulla? Sei davvero così sciocco da pensare che per tutto questo tempo sei stato così bravo da separare la tua vita da tutto questo, a tal punto da tornare la stessa persona che è arrivata qui? » Gli rivolse un sorriso eloquente insito di una pattina di tenerezza. Non voglio tarparti le ali, però tu sei già diverso. A quel punto la domanda era diventata retorica, e lo sguardo di lei, intento a scavare nei pozzi scuri di lui, ne fu la prova. « Dovrei pensare che io e te in primis non abbiamo condiviso nulla. Che hai proiettato su di me l'anima di qualcun altro. » Ma sappiamo entrambi che questo non è possibile. Avrebbe voluto dire altro, ma di colpo scosse la testa, decidendo di aver bisogno di aria. Aria vera. Scosse la testa e si alzò, andando a recuperare i suoi vestiti. « Dovremmo andare. » Disse solo improvvisamente, decidendo che la via della fugga per il momento era la cosa migliore. [...] Camminò in silenzio al suo fianco, iniziando a percepire il senso di ansia dovuto al lavoro che dovevano ancora portare a termine. Alla luce del discorso appena affrontato, seppellire un cadavere tuttavia, sembrava quasi un normale sabato sera. Lungo il tragitto Mia fumò, controllò il cellulare, si accertò di avere più e più volte i capelli in ordine e guardò con sin troppa insistenza il terreno su cui camminava. Non tentò un riavvicinamento, seppur gli avesse gettato diverse volte sguardi appena accennati con la coda dell'occhio, qualunque tentativo di continuare il discorso venne frenato da una punta di ragione sul nascere. Sapeva di star ribollendo dentro; continuava a rimuginare ancora e ancora sulle sue parole. Perché al di là di tutto, se era vero che Mia aveva tentato di mettere in discussione le convinzioni di Raiden, non altrettanto si poteva dire sulle sue. Avrebbe voluto chiedergli diverse cose, tentare di capire cosa intendesse nello specifico con quel discorso iniziale. Tuttavia, l'idea di parlare di nuovo di una relazione, la fece desistere più di una volta.
    Nonostante il campus fosse ancora brulicante di gente, caricare il morto nel portabagagli si era dimostrato più semplice di quanto pensassero. Nessuno fece caso a loro; semmai qualcuno trovò estremamente saggio sbarazzarsi di quell'immenso vaso pesantissimo al cui centro sorgeva il tronco secco di un bonsai privo di foglie. Mia aveva commentato quella trasfigurazione con un lapidario poetico prima di aiutarlo a portare il reo fuori. « Cazzo amico che sfiga! Deve esserti costato un sacco di soldi. » Un tipo biondiccio di passaggio si avvicina a loro proprio mentre Raiden sta chiudendo la porta della stanza a chiave. « Guarda qua che roba.. » E' chiaramente ubriaco lercio; perde appena l'equilibrio mentre si piega sulle ginocchia per osservare il vaso più da vicino. Per un istante Mia getta uno sguardo cauto al giovane Yagami, pronta a scattare qualora qualcosa fosse andato storto. La Trasfigurazione reggeva. Di questo ne era più che certa. D'altronde però, nessuno dei due aveva passato una giornata emotivamente serena, quindi nulla era da escludersi. Non ci fu nemmeno bisogno di utilizzare il legame per capire cosa sarebbe accaduto in caso di imprevisti. Lo mettiamo KO e lo obliviamo. Liscio come l'olio, specie considerato che il tipo non era in condizioni psicofisiche ottimali. « Questo è ciò che succede quando uno non ha il pollice verde. Soldi buttati. » Il tipo annuì, mettendo una mano sulla spalla di entrambi. « La soluzione è: piante grasse. La prossima volta datti alle piante grasse. La cosa migliore.. » E dicendo ciò, li lasciò lì in mezzo al corridoio dirigendosi verso il proprio alloggio in fondo al corridoio. Mia volse lo sguardo perplesso nella direzione di Raiden e alzò gli occhi al cielo. C'è qualcuno di relativamente normale qui dentro? No. Evidentemente no. E sotto sotto proprio quell'episodio le fece venir voglia di arrivare al diploma il prima possibile. Non sapeva cosa avrebbe fatto dopo, ma quell'esperienza non voleva comunque perdersela. Cazzo, stiamo letteralmente trasportando ottanta chili di bonsai giù per le scale antiincendio e nessuno ci fa caso. E' un po' come vivere nella terra di nessuno. Anarchia totale. Caricarono la pianta incredibilmente pesante nel portabagagli, immettendosi infine alla sinistra del guidatore. Il volante sulla destra continuava a lasciarla perplessa e ogni qual volta si trovasse in una macchina britannica si sentiva un po' spaesata. A proposito di cose diverse e incredibilmente snervanti. Quanto meno tu in Inghilterra non ti trovi a dover cambiare completamente il tuo di stile di guida perché è tutto al contrario. Un pensiero estremamente infantile che le sfuggì ad un certo punto del viaggio prima di giungere a destinazione. Fu un'operazione rapida e indolore in cui Mia non mostrò un solo momento di cedimento. Semmai, quando scaricarono il corpo nella fossa, lo guardò dall'alto con una vena di profondo risentimento. « Requiescat in pace » ..stronzo. Disse solo prima che sollevasse con l'ausilio della bacchetta una prima tranche di terra che coprì in parte il corpo del giovane. Il risentimento fu palpabile nelle sue parole; solo allora iniziò a ricordare il panico che aveva provato nel vedere Raiden accasciato a terra, il terrore di non riuscire a salvarlo. Quei ricordi fecero una tale presa su di lei che resero la sua sepoltura estremamente semplice da digerire. Nulla di personale, ma potevi farti i cazzi tuoi. E con quei pensieri in testa sparse diversi rametti terra, prodigandosi a camuffare il più possibilmente il luogo di sepoltura, seppur si fossero inoltrati talmente tanto nella foresta proibita da rendere quasi impossibile a chiunque trovarlo. Concluso il lavoro, quella tappa venne archiviata nella sua testa con la stessa velocità con cui era stata eseguita. Solo quando giunsero alla macchina si appoggiò al cruscotto tirando fuori il pacchetto di sigarette accedendosene una. Restò in silenzio mentre soffiava fuori dalle labbra una prima nuvoletta di fumo, pensierosa e leggermente abbattuta. Assurdo. Ho appena seppellito un morto ma sto pensando ai cazzi miei. Scosse la testa, sorridendo con una punta di amarezza tra se e se. Il mondo l'aveva resa piuttosto insensibile; una tipa tosta lo era per davvero - ma non quando si tratta di una relazione. Questa roba della relazione proprio non la capisco. E infatti di scatto si voltò verso Raiden mettendolo a squaddro. « Sai.. io al di là di tutto devo davvero capire una cosa. » Il suo discorso sembra impersonale. Sembra essersi rilassata. Una gamba penzola appoggiata al cruscotto mentre si porta la sigaretta alle labbra. « E ti prego: spiegamela come se avessi cinque anni. » Perché a quanto pare sono davvero un'imbecille. « Come siamo arrivati dal chiederti di non scopare in giro a parlare di una.. » Deglutisce scuotendo la testa. Fa fatica persino a pronunciare quella parola. « ..una relazione. » Allarga le braccia mentre un sorriso sarcastico si allarga sulle sue labbra. Lo stato d'animo spazientito che l'aveva assalita nella safe room torna in auge con prepotenza. « Cosa cazzo è una relazione, Raiden? Ha delle regole? E' un codice? » Boh, non capisco. « Ti ho chiesto solo di non andare a ficcarlo in giro. Perché se stai bene con me.. perché dovresti farlo? » Una domanda che le sembrava piuttosto semplice. « Te l'ho chiesto perché mi darebbe fastidio - no cazzo, ma che dico! Mi faresti incazzare da morire. E poi non vorrei più vederti. Oppure dovrei pareggiare i conti.. » Si morde l'intero delle guance scuotendo la testa. « A me non va di scopare in giro. Non mi va di dover pareggiare i conti solo per tornare a poterti vedere. Mi mette l'ansia di andare con altri.. adesso. » Una verità nuda e cruda che viene fuori così, sulla scia di quel principio di rabbia che prova nei suoi confronti. « Non capisco perché dobbiamo chiamarla relazione. Non capisco perché non possiamo uscire insieme e vedere come va. Forse diventerà davvero una.. » Si schiarisce la voce. « ..una relazione. » Pausa. « Però qui mi sembra che se dico di sì, mi crolla addosso una responsabilità che non so nemmeno come sia fatta, o quanto meno come dovrebbe essere fatta per te. Se dico di no invece, andrai a scoparti la prima che passa. » E' frustrata, e non fa assolutamente nulla per nasconderlo, perché Raiden continua a cambiare le carte in tavola di continuo, passando da un estremo all'altro. « Io non capisco di cosa hai paura. Ho appena seppellito un tizio con te. Non ho battuto ciglio quando hai mandato via Harold e cazzo sono ancora qui nonostante so già che abbiamo i giorni contati! Tu pensi che sto giocando e domani deciderò che siccome ho mantenuto le cose in bilico allora mi sciacquerò le mani? Non ti viene il dubbio che magari ho paura.. di quel giorno.. o boh del fatto che non ci capisco nulla di queste cose. Sono davvero da biasimare se non voglio una relazione ma mi dà comunque sul culo se ti scopi un'altra? » Lo osservò con una punta di disapprovazione. « Tu hai paura di essere giudicato, Raiden, ma sei il primo a giudicare. Dai per scontato che siccome sono una ragazza occidentale, allora faccio tutto a cazzo di cane. » E' così. Sotto sotto è questo quello che pensi. « Mi fai girare di culo.. un botto. Perché ti sto solo chiedendo di rispettare il fatto che ci tengo a te. » Tutto qua. E questo volta solleva il mento fiera delle sue affermazioni, nonostante il labbro inferiore sembra tremarle per qualche istante. « Spiegami.. cos'è che non capisco questa volta? Cosa, in quello che ti ho chiesto, va così tanto in contraddizione con chi sei veramente? Io.. » Ancora una volta vorrebbe dire tanto altro, ma è come se avesse un nodo nella gola. Non vuole andare più a fondo. E infatti scuote la testa e sospira, evitando qualunque pensiero troppo oltre. Dov'è che ho sbagliato ancora una volta? Perché pensavo di aver capito che lo vuoi anche tu da come ti sei comportato. E invece ho fato ancora una volta la figura della cogliona. Mi sembra tanto una scusa. « Come se avessi cinque anni. Per favore. » Strizza gli occhi e si porta la sigaretta alle labbra nervosamente, ripetendo quelle parole con il chiaro intento di ricercare una chiarezza che fino a quel momento non aveva percepito.


     
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    dauntless

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    « Ti sembro davvero nella condizione di giudicare qualcuno, Raiden? Guardami! » La guardò, sì, ma lo sguardo di Raiden sembrava distante, amaro, come se tra loro ci fosse un oceano a dividerli. Perché lo sentiva, lo aveva percepito nella sfera emotiva di lei, che le cose non sarebbero andate affatto nella più liscia delle maniere - qualunque essa fosse. E in fin dei conti, Raiden non sapeva davvero quale risposta aspettarsi da lei, ma una risposta se l'aspettava. È tutto ciò di cui ho bisogno. Che tu sia onesta con me. Dimmi cosa vuoi e a me andrà bene, o comunque troverò il modo di farmelo andare bene. « E se anche fosse.. credi davvero che qualcuno è se stesso? Credi che tutti i nostri amici sono così confortevoli nei loro panni? Cazzo Raiden.. guarda i nostri amici. Stiamo tutti cercando di sopravvivere. Viviamo sotto questa coperta di benessere in cui dobbiamo.. fungere ed essere funzionali.. » Sospirò, mettendosi a sedere e passandosi una mano tra i capelli mentre scuoteva il capo tra sé e sé. Non è la stessa cosa, Mia. E si sentiva stupido. Stupido e frustrato per aver condiviso con lei quei pensieri, quell'argomento per lui così sensibile. Era sempre sulla difensiva, Raiden, quando si parlava di quella precisa questione. Lo era perché, in fondo al cuore, si sentiva come se gli mancasse sempre un pezzo rispetto agli altri. C'era sempre un certo grado di condiscendenza nel modo in cui veniva trattato, come se l'essere ammesso in quel nuovo mondo fosse una sorta di favore o atto di beneficienza che gli veniva riservato per puro buon cuore. « Questo mondo.. l'Occidente - come lo chiami tu - non è stato progettato per noi. Non abbiamo una bacchetta magica che a te non è stata data e che ci permette di saper stare in società. E nemmeno il tuo mondo è stato progettato per te. Il mondo si muove. E se ti fermi sei perduto. Resti indietro. » Strinse appena la mascella nel sentire quelle parole, ricercando immediatamente i propri vestiti per coprirsi, in silenzio. Non commentò, non disse nulla, avendo ormai compreso che qualunque cosa avesse detto a riguardo non sarebbe stata recepita. Ed era proprio quello il motivo per cui odiava parlarne: perché andava sempre alla stessa maniera. Il problema non esisteva, o se esisteva non aveva questo grande spessore perché in fin dei conti anche gli altri avevano i propri problemi ed era un po' tutto la stessa cosa. Ma non era la stessa cosa, non per Raiden, non nella sua esperienza. Perché se era vero che tutti al mondo si sentivano fuori posto in un modo o nell'altro, era anche vero che su alcuni quel peso gravasse molto di più, per ragioni che non dipendevano affatto da loro e su cui non avevano alcun margine d'azione o controllo. La maggior parte della gente non ha la più pallida idea del motivo per cui io sia scappato. Non sanno cosa mi abbia portato via dal mio paese, un paese che amo con tutto il mio cuore e di cui sento la mancanza ogni giorno. Danno semplicemente per scontato che chiunque in questo mondo abbia come massima aspirazione nella vita quella di vivere qui, di essere come voi, di avere la vostra vita e i vostri valori. Danno per scontato che la mia, di cultura, mi faccia schifo - che io voglia barattarla per qualcos'altro. Perché d'altronde chi non lo vorrebbe, vero? Siamo tutti indietro, rispetto a voi. E questo lo avete stabilito sempre voi, nella ferma convinzione di avere la verità assoluta in tasca. Strinse la cintura con un movimento secco, sollevando lo sguardo su Mia per quel breve tempo che bastava a darle una veloce occhiata, stendendo le labbra in una linea retta che sembrava voler accennare un sorriso sbrigativo e poco sentito. « Non importa, Mia. Lascia perdere. » disse, con un tono pur sempre gentile ma velato da un'improvvisa freddezza, scuotendo lievemente il capo con un piccolo sorriso che voleva farsi vedere sereno. Non aveva senso continuare a parlarne, e a quel punto Raiden nemmeno ne aveva voglia, specialmente dato che lei sembrava voler comunque evitare di rispondere alla domanda che le era stata effettivamente posta. « Io non voglio cambiarti e non posso - davvero.. non posso - giudicarti.. ma ti chiederò una cosa.. e non devi nemmeno rispondermi. Credi davvero che quando tornerai sarai ancora questo te stesso di cui parli? Pensi davvero che non ti sarà rimasto nulla? Sei davvero così sciocco da pensare che per tutto questo tempo sei stato così bravo da separare la tua vita da tutto questo, a tal punto da tornare la stessa persona che è arrivata qui? Dovrei pensare che io e te in primis non abbiamo condiviso nulla. Che hai proiettato su di me l'anima di qualcun altro. » Sbuffò una risata dalle narici, sollevando le sopracciglia e sorridendo tra sé e sé a capo chino, mentre allacciava velocemente i bottoni della camicia, uno alla volta, infilandosela poi nei pantaloni. Solo a quel punto riportò lo sguardo alla Wallace, passandosi una mano tra i capelli in un gesto rapido. « No, Mia, non penso di essere lo stesso. Ma davvero, non importa, fai finta che non ti abbia detto nulla. » Si strinse nelle spalle, con semplicità, sorridendo in quella che sembrava l'espressione della più completa tranquillità. E alla fine, un po' lo era, perché Raiden con quei discorsi aveva imparato in fretta a farci i conti. Lo facevano incazzare, sì, ma se lo teneva per sé, perché incaponirsi a riguardo era solo controproducente. « A volte mi parte la lamentela da immigrato medio e divento pesante. Perdonami. » Detto ciò si agganciò il giacchetto al braccio, riprendendo la busta di quegli acquisti che improvvisamente avrebbe preferito lasciare lì, dimenticandosene del tutto. Sospirò, aggrottando lievemente la fronte mentre il suo sguardo passava con una certa velata tristezza in quell'ambiente artificiale così realistico e indistinguibile dal reale paesaggio della sua terra natale. Allungò una mano verso le fronde di un ciliegio, strappandone un fiore che si rigirò tra le dita. Una fitta di dolorosa nostalgia sembrò colpirlo dritto nel petto, stringendogli il cuore come se fosse un pezzo di carta schiacciato nel pugno e gettato nel cestino più prossimo. È in questi momenti che mi manca di più. Casa mia. E forse non sarà perfetta, forse tutti quanti ci sentiamo inadeguati a qualsiasi latitudine e longitudine, però quel posto che chiamiamo casa sarà sempre insostituibile. Casa. Io non ricordo più come ci si senta, quando si è lì. E mi manca. Mi manca terribilmente. « Dovremmo andare. » Annuì, tirando su col naso e lasciando cadere a terra quel fiore che, comunque, sarebbe scomparso appena varcata la soglia della porta. « Sì. Andiamo. » disse soltanto, senza rivolgerle uno sguardo, prima di voltarsi e incamminarsi in direzione dell'uscio.
    [..] Era stato più facile del previsto, portare Kunisada fuori dalla studentato. Trasfigurato in un poetico bonsai appassito, il corpo era stato caricato nel bagagliaio della macchina senza troppi problemi, con una sola e trascurabile interruzione che non era comunque riuscita a minare il sangue freddo di Raiden. Si era concentrato su quello, il Grifondoro: sul compito da portare a termine. Era bravo in quello, a scegliere di non pensare, chiudendo qualunque cosa sentisse all'interno di un cassetto e dimenticandolo lì. Il giovane Yagami sembrava possedere la capacità quasi inumana di spegnere la propria stessa emotività come se dentro di sé ci fosse un interruttore che, una volta premuto, gli permetteva di non sentire. Una capacità che, a dirla tutta, non era l'unico a possedere, non tra i suoi colleghi quanto meno. Essere capaci di ciò era una componente quasi essenziale nel loro campo, una senza la quale sarebbe stato impensabile sopravvivere. Ho visto tanta gente morire perché era andata nel panico, perché aveva avuto un momento di paura, di dubbio o di pietà. E ognuna di quelle morti gli aveva permesso di affinare un po' meglio la suddetta tecnica, perfezionandola fino al punto in cui usarla era diventata quasi una seconda natura per lui, una che permeava tutti gli ambiti della sua vita. Perché a un certo punto, al di là del lavoro, diventava comodo - non sentire. Diventava utile, spingere tutto in profondità e ignorarlo, anestetizzandosi dalla rabbia, dal dolore, dal senso di colpa e dalla frustrazione. E infatti dal suo cuore non sfuggì nemmeno un battito accelerato, dai suoi occhi neanche uno sguardo circospetto e dalle sue labbra non un tono concitato o spezzato dal nervosismo. In sereno silenzio aveva condotto la vettura fino al limitare di un bosco qualunque, perso nelle Highlands scozzesi. Con l'aiuto di Mia aveva trascinato il corpo di Kunisada nel cuore più fitto della boscaglia, abbandonandolo come spazzatura alle radici di un albero prima di arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti e conficcare la pala nel terreno, spingendola giù col piede. Aveva scavato una fossa profonda e vi aveva gettato il corpo dell'ex compagno senza alcun sentimentalismo. Kunisada sapeva a cosa andava incontro, sapeva che avrebbe potuto perdere la vita e aveva accettato quell'eventualità come ciascuno di loro. Lo abbiamo fatto tutti. Sapevamo fin dal primo giorno di essere cadaveri in permesso. Non sapevamo quando nello specifico saremo morti, ma avevamo la certezza quasi matematica che tre quarti di noi non sarebbero arrivati a spirare di vecchiaia in veranda. Abbiamo accettato l'eventualità di non ricevere un rituale di cremazione, di non avere le nostre ceneri poste accanto a quelle dei nostri antenati e di lasciare le nostre famiglie senza risposte. Raiden, almeno, lo aveva fatto. Aveva imparato a sopravvivere, sì, ma anche a non temere la morte. L'aveva sempre guardata dritta in faccia, consapevole di averla di fronte a sé in ogni momento. Intimamente sperava di morire quanto meno con onore, ma anche su quello non poteva fare troppo affidamento. Completato il lavoro, si passò il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore, mettendosi poi la pala in spalla e voltando immediatamente i tacchi per tornare verso la macchina. D'altronde non aveva alcun senso rimanere lì. A fare cosa? Pregare? Sciorinare un sermone sulla vita del sergente Kunisada? Non era un funerale, quello, era un semplice compito da portare a termine, una riga da spuntare nella lista delle cose da fare. E una volta fatta, la si dimenticava e si passava alla prossima. « Requiescat in pace. » Non disse nulla, Raiden, continuando il proprio tragitto a ritroso per tornare alla vettura, nel cui bagagliaio gettò la pala, pulendosi poi le mani sui pantaloni e richiudendolo in un gesto meccanico. I suoi passi si mossero come se nulla fosse verso lo sportello del guidatore, allungando una mano in direzione della maniglia. Stava per aprirla quando Mia, seduta sul cruscotto, decise di parlare. « Sai.. io al di là di tutto devo davvero capire una cosa. E ti prego: spiegamela come se avessi cinque anni. » Ritrasse la mano, incrociando le braccia al petto mentre muoveva qualche passo silenzioso. Si appoggiò col bacino al cruscotto, sollevando il mento e puntando lo sguardo inespressivo sul viso di Mia. « Come siamo arrivati dal chiederti di non scopare in giro a parlare di una.. una relazione. » Istintivamente gli occhi di Raiden fuggirono, fissandosi sulla boscaglia tra le cui fronde cominciava a stagliarsi il colore pallido di un'aurora appena agli inizi. Era evidente che non avesse più voglia di parlare. Voleva solo tornare allo studentato, farsi una doccia, dormire e dimenticare l'intera giornata appena trascorsa. Il giorno seguente avrebbe seguito la propria consueta routine e alla sera si sarebbe organizzato con gli altri per uscire e divertirsi un po'. Nell'arco di ventiquattro ore, Raiden sarebbe tornato alla completa normalità di quella sua vacanza inglese e si sarebbe sentito come se nulla fosse mai avvenuto. Era sempre così. « Cosa cazzo è una relazione, Raiden? Ha delle regole? E' un codice? Ti ho chiesto solo di non andare a ficcarlo in giro. Perché se stai bene con me.. perché dovresti farlo? Te l'ho chiesto perché mi darebbe fastidio - no cazzo, ma che dico! Mi faresti incazzare da morire. E poi non vorrei più vederti. Oppure dovrei pareggiare i conti.. A me non va di scopare in giro. Non mi va di dover pareggiare i conti solo per tornare a poterti vedere. Mi mette l'ansia di andare con altri.. adesso. » Strinse i denti, chiudendo le palpebre e inspirando a fondo l'aria fresca e pungente della prima mattina. Mia parlava, parlava tantissimo. Rigettava parole come i sin eater rigettavano i peccati propri e altrui, senza controllo, vomitando tutto ciò che pensava. E Raiden, che una persona pacata e paziente lo era sempre stata, non si scomponeva mai. Al massimo si rabbuiava, ma manteneva sempre la calma. Una calma che in quel momento iniziò a vacillare, portandolo sempre più vicino all'orlo del precipizio. « Non capisco perché dobbiamo chiamarla relazione. Non capisco perché non possiamo uscire insieme e vedere come va. Forse diventerà davvero una.. una relazione. Però qui mi sembra che se dico di sì, mi crolla addosso una responsabilità che non so nemmeno come sia fatta, o quanto meno come dovrebbe essere fatta per te. Se dico di no invece, andrai a scoparti la prima che passa. » Alla stretta dei denti si unì quella dei pugni, che si serrano sempre di più nel sentire quelle parole. Quanto più Mia parlava, tanto più Raiden sentiva che la Serpeverde lo stesse deliberatamente spingendo a perdere la pazienza. Aveva ragione Eriko. Cazzo se aveva ragione. Odio ammetterlo ma è così. Non mi sarei mai dovuto imbarcare in questa storia in primo luogo. Doveva chiudersi con la prima sera. No, anzi, non doveva nemmeno esserci, una prima sera. Non doveva esserci nulla, perché siamo lycan e non siamo in grado di controllarlo. E per di più, Mia è una ragazzina. Cazzo, non riesce neanche a capire che mettersi seduta per due ore davanti a un libro di scuola è una responsabilità che deve solo a se stessa! Come potevo aspettarmi che capisse il concetto di relazione? Di quello Raiden ne era convinto. Nel momento stesso in cui Mia aveva evitato di rispondere alla sua domanda, il giovane Yagami aveva preso quel silenzio come una risposta eloquente e inequivocabile. Ovvero che Mia non solo non sapeva cosa volesse, ma che oltre ciò - se pure credesse di desiderare una sorta di relazione - non fosse davvero pronta ad averne una. Tu hai bisogno di vivere la tua età e di frequentare ragazzi che siano sulla tua stessa lunghezza d'onda. Hai bisogno di tempo. E io questo lo rispetto. Ma anche io ho bisogno di vivere la mia, di età, e di veder rispettate le mie, di necessità. E tu, in questo momento, non le stai rispettando. Le stai contestando. « [..] Tu hai paura di essere giudicato, Raiden, ma sei il primo a giudicare. Dai per scontato che siccome sono una ragazza occidentale, allora faccio tutto a cazzo di cane. Mi fai girare di culo.. un botto. Perché ti sto solo chiedendo di rispettare il fatto che ci tengo a te. Spiegami.. cos'è che non capisco questa volta? Cosa, in quello che ti ho chiesto, va così tanto in contraddizione con chi sei veramente? Io.. Come se avessi cinque anni. Per favore. » All'ennesimo "come se avessi cinque anni", Raiden non resse più. Non perché la cosa in sé lo turbasse: fu solo la goccia che fece traboccare il vaso. Un vaso che Mia aveva riempito per tutta la giornata, se non addirittura per l'interezza di quelle tre settimane trascorse insieme. E infatti, giunto ormai al limite della sopportazione di quegli sproloqui che la giovane Wallace gli rivolgeva quando più le pareva e piaceva, Raiden sbottò, sbattendo con forza il palmo della mano sul cruscotto dell'auto. Un gesto che già da sé bastò a far passare il concetto di quanto poco avesse gradito quel discorso. E poi rimase semplicemente in silenzio, in seguito a quello scatto brusco, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé in un punto indefinito, senza dire nulla. C'era solo il cinguettio degli uccelli e il fruscio delle fronde mosse pigramente dal venticello leggero. Forse sulle prime era scattato per farle solo comprendere di essersi innervosito e di non volerne parlare, ma dopo qualche istante prese comunque parola. Non si voltò comunque a guardarla, tenendo lo sguardo di fronte a sé, impassibile. « Come se avessi cinque anni, Mia? » chiese, freddo come le steppe russe, calcando tuttavia quelle parole con una nota palesemente infastidita. Che avesse perso ogni forma di pazienza nei confronti della Serpeverde, era evidente. « Va bene. Ti parlerò come a una bambina di cinque anni, per quanto possa trovare la cosa davvero svilente. » Ma evidentemente tu è così che ti vedi. Come una bambina. E io non posso obbligarti a fare diversamente. Non è il mio compito. « Contiamo sulle dita come all'asilo allora. Innanzitutto partiamo dal fatto che mi hai rinfacciato in ogni maniera possibile di averti trattata al pari di - testuali parole - la scopata del venerdì sera. » Pausa. « E quello non ti andava bene. Mi hai fatto sentire come uno stronzo, dopo che tu avevi detto che ti andasse bene avere una storiella di passaggio. L'ho incassata e te l'ho ho fatta passare. » Il tono di Raiden era calmo, troppo calmo, quella calma che celava al di sotto una profonda rabbia piuttosto evidente. « Poi mi hai chiesto se andare insieme all'appuntamento con gli altri o meno, quando era chiaro che volessi andarci insieme. E siamo andati insieme. » E due. « E lì mi hai limonato di fronte a tutto il Suspiria. Ma non bastava. No. Dovevi anche farmi presente la storia di Gabriela - che hai spiegato solo dopo, dicendomi che ti era andata sul culo quando poi non ti eri nemmeno disturbata a chiedermi se fosse vera o meno. » Tre e quattro. Già su una mano, quasi tutte le dita erano ben visibili alla pallida luce dell'alba. « Ah, quasi dimenticavo il pezzo forte. Ci sta pure quel ti voglio bene lanciato così, come se nulla fosse, a quanto pare. » E cinque. Completiamo la prima mano proprio in bellezza. Lo sguardo ancora puntato di fronte a sé, scuro come la pece, si stagliava sui tratti induriti del giapponese. « Voglio provare tutte cose con te, Raiden. Pensiamoci domani, Raiden. Ci si deve sentire così, con un ragazzo, Raiden? » Sulla scia di quelle domande volte a parafrasare le parole della stessa Mia, di cui imitò blandamente il tono di voce, il Grifondoro perse progressivamente le staffe, finendo per sbattere ancora una volta la mano sul cruscotto, muovendo in seguito dei passi svelti per posizionarsi di fronte a Mia e piantare gli occhi ormai colmi di rabbia nei suoi. « Ma tu che cazzo vuoi da me, eh? Che cazzo vuoi in generale, Mia?
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    Perché nel giro di nemmeno ventiquattro ore ti sei affannata a ridefinire tutti i limiti del nostro rapporto per rendermi il tuo cazzo di fidanzatino, solo per poi cagarti sotto nel momento in cui chiamo questa roba col proprio nome. »
    Per la prima volta da quando si conoscevano, le parole uscirono dalle labbra di Raiden con un tono decisamente alterato. E alterato lo era davvero. Odiava quell'altalena, quel continuo non farsi andar bene nulla di Mia, come se non ci fosse davvero uno scenario giusto che l'avrebbe davvero accontentata. È così, vero? Tu non sai cosa vuoi quindi nel dubbio non ti va bene un cazzo. Però ti aspetti che sia sempre io, quello a raddrizzare il tiro e ad aggiustarsi sulla tua indecisione. E va bene una volta, va bene due e passi pure una terza, ma io mi sono rotto il cazzo di star dietro ai tuoi capricci. Perché questo sono. Capricci. Sospirò forte, in un moto esasperato, passandosi una mano tra i capelli e umettandosi velocemente le labbra. « Vuoi sapere cos'è una relazione? » Domanda retorica, quella, a cui rispose subito, in un crescendo alterato. « È tutte queste cose, ma con un minimo di serietà. Ecco cos'è. È scegliere di stare accanto a una persona non perché ti piace scoparci o perché ti porta al cinema, ma perché dentro di te pensi di poterci costruire qualcosa che abbia un valore - qualcosa che duri. Ed è una responsabilità, è vero. È impegnativo e richiede uno sforzo incredibile, perché non puoi pensare solo per te stesso. E non è neanche detto che paghi o che vada a finire bene, ma non è quello che conta. Ciò che conta è che tu sia convinto di ciò che fai e della persona che hai accanto. Perché quella persona non piomba giù dal cielo e rimane lì così, per chissà quale congiunzione astrale favorevole, ma perché vi scegliete ogni cazzo di giorno, anche quando non è semplice. No! Soprattutto quando non è semplice. » Ed è questo ciò che io cerco da una relazione. Non cerco il "bo, sì, forse, chissà", perché quello per me è un'altra cosa e lascia il tempo che trova. Se mi devo impegnare con qualcuno, lo faccio sul serio, altrimenti non mi impegno affatto. « Ma quello che mi fa davvero incazzare, è che io non ti ho mai chiesto di fartelo andare bene. Non ti ho mai chiesto nulla. Sei stata tu a spingere per avere tutti gli elementi superficiali di una relazione, quando è evidente che non sei pronta ad andare fino in fondo, che vuoi solo simularla. » Pausa. « Ma io non ci sto. Mi dispiace, Mia, ma io non metto la mia testa, il mio cuore, il mio impegno e il mio tempo nel coltivare un rapporto con qualcuno che non è nemmeno sicuro di volerlo, un rapporto. Non metto le mie energie in un qualcosa di precario, che oggi è così e domani chissà. » E non lo faccio perché per me non ha alcun senso. È solo tempo buttato e tolto ad altro, che mi preclude la possibilità di trovare qualcosa che valga davvero la pena di essere coltivata. Si allontanò di qualche passo, andando all'indietro e scuotendo leggermente il capo. « Hai diciassette anni ed è normale che tu non sappia cosa vuoi dalla vita. È giusto e sacrosanto. Ma io lo so, Mia. Io lo so cosa voglio. E pretendo che venga rispettato, perché è altrettanto giusto. » È così assurdo, dovermi difendere sul fatto di essere pronto ad un legame serio, a delle responsabilità e ad un impegno costante. Si arrestò, fissandola, serio come la morte. « Non voglio una relazione tappa-buchi. Quindi prenditi la tua parte di responsabilità e dimmi semplicemente che non sei pronta a un impegno del genere. Ma se non sai cosa vuoi.. » Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra del giovane, che sbuffò una risata muta dalle narici. « ..non trascinare a fondo anche me. »

     
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    the devil inside;

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    Il colpo improvviso contro la carrozzeria dell'auto, portò Mia a trasalire, chiudendo per istante gli occhi, tentando di mantenere i nervi saldi. A quel punto, che l'aria fosse cambiata era evidente; brulicavano di energie negative, Raiden e Mia. Erano al punto del non ritorno, di questo ne era certa; un confronto di cui forse avevano bisogno ma che nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare in maniera normale o civile, a giudicare dal modo in cui quel discorso cominciò. « Come se avessi cinque anni, Mia? Va bene. Ti parlerò come a una bambina di cinque anni, per quanto possa trovare la cosa davvero svilente. Contiamo sulle dita come all'asilo allora. » Esalò un sospiro profondo, assottigliando lo sguardo mentre incrociava le braccia al petto in attesa delle grandi rivelazioni di lui. Che volesse finalmente sentire qualcosa di tangibile era abbastanza evidente; annuì quindi con aria accondiscendente, reggendogli il gioco e lasciandolo effettivamente contare sulle dita. Un elenco che cominciò proprio dalla scopata del venerdì e di come le fosse andata bene una semplice storiella di passaggio. E cosa avrei dovuto dire secondo te? No Raiden, tu non vai da nessuna parte perché io mi sono presa una cotta per te? Persino gli istinti kamikaze della giovane Wallace si frenavano leggermente prima. A dirla tutta la confessione circa la sua condizione le era giunta come una doccia fredda, una notizia quella che Mia aveva cercato di gestire in maniera razionale, dando ascolto a ciò che comunemente sarebbe risultato consono alla situazione. Non voleva privarsi della presenza di Raiden nella propria vita, ma allo stesso modo non poteva dirgli che la situazione non le andasse bene. « Mi hai fatto sentire come uno stronzo, dopo che tu avevi detto che ti andasse bene avere una storiella di passaggio. L'ho incassata e te l'ho ho fatta passare. » Di colpo allargò le braccia esasperata, alzando gli occhi al cielo. Con l'impeto che le montava in petto, non poté fare a meno di interrompere il suo flusso di parole, intromettendosi con una certa prepotenza. « Mi hai letteralmente buttata fuori! Perché ho detto che mi piaci.. come se avessi detto qualcosa di imperdonabile. Scusami tanto se non scopo con la gente che mi fa schifo! » La frustrazione che esalò attraverso quelle parole le fece tremare la voce. Sa di aver sentito qualcosa in quel momento; non era solo un modo per dirgli che fosse un ragazzo piacente, che lo trovasse attraente. Mia era stata bene con lui; avevano riso e scherzato per tutta la sera, si erano stuzzicati e alla fine lei era esplosa, colta da quel fiume di emozioni del tutto inedito. Era stata spontanea, ma non aggressiva. Non l'aveva messa con le spalle al muro. Ti ho solo detto ciò che pensavo. E tu.. hai rovinato tutto. Pur prendendolo sul serio, hai comunque sminuito il mio gesto. Si. Sei stato uno stronzo. « Poi mi hai chiesto se andare insieme all'appuntamento con gli altri o meno, quando era chiaro che volessi andarci insieme. E siamo andati insieme. E lì mi hai limonato di fronte a tutto il Suspiria. Ma non bastava. No. Dovevi anche farmi presente la storia di Gabriela - che hai spiegato solo dopo, dicendomi che ti era andata sul culo quando poi non ti eri nemmeno disturbata a chiedermi se fosse vera o meno. » Soffia nervosamente scuotendo la testa. « Ti ho fatto presente quella storia dopo che tu hai pensato di mettere in fugga l'unico tipo che mi ha chiesto di prendere un caffè dopo mesi! » Cazzo, andare al Midsummer con Scorpius Malfoy mi aveva già etichettata come impegnata. Chi mai avrebbe voluto rinunciare a una storia così per tornare single? Mia si era tirata fuori dai giochi, forse perché in fondo un po' ci aveva sperato. Ma non è andata. A quanto pare non va mai. « Ah, quasi dimenticavo il pezzo forte. Ci sta pure quel ti voglio bene lanciato così, come se nulla fosse, a quanto pare. Voglio provare tutte cose con te, Raiden. Pensiamoci domani, Raiden. Ci si deve sentire così, con un ragazzo, Raiden? » Arricciò il naso abbassando lo sguardo. Detta così sembra quasi un'accusa. Sembra che tu stia cercando di svilire tutto quanto. Strinse i denti Mia, e deglutì; quella volta non disse niente. Si sentì per la prima volta mortificata dalle parole di lui, a tal punto da chiudersi a riccio in stessa. Se avesse saputo come farlo di preciso, l'avrebbe chiuso fuori, completamente. Perché in fondo, sentir scimmiottare le proprie parole non era bello, né sembrava aver sortito un effetto esemplare sulla giovane Wallace. Colpì la macchina una seconda volta, e Mia spostò istintivamente lo sguardo di lato. Non mi va neanche di guardarti. « Ma tu che cazzo vuoi da me, eh? Che cazzo vuoi in generale, Mia? Perché nel giro di nemmeno ventiquattro ore ti sei affannata a ridefinire tutti i limiti del nostro rapporto per rendermi il tuo cazzo di fidanzatino, solo per poi cagarti sotto nel momento in cui chiamo questa roba col proprio nome. » Corrugò la fronte scuotendo la testa alterata prima di colpire a sua volta la macchina esattamente come ha fatto lui. Un colpo spazientito, colmo di sdegno. « E avrei fatto tutto da sola vero? Povero Raiden, sedotto e abbandonato! » No! Non ci sto, va bene tutto ma non ci sto a passare ancora per quella che ha spinto questa situazione a questo punto. « Hai tentato con ogni mezzo possibile di farmi capire che non avevi intenzione di legarti, e poi mi sbatti in faccia dal nulla la relazione. Come se fossimo all'asilo. Vuoi metterti con me si - no! » Ma dove accidenti vivi! « Ti contraddici di continuo. Non vuoi legarti ma mi riempi di attenzioni, ti stranisci ogni volta che tento di avvicinarmi, ma poi ti sciogli come un ghiacciolo al sole appena ti dico mezza cosa. Cosa devo pensare? Che vuoi una relazione? » No che non l'ho pensato. Non me lo aspettavo. A dirla tutta, dalle reazioni di lui quando gli aveva chiesto di non andare con le altre, Mia avrebbe scommesso che la risposta sarebbe stata negativa. « Tu non volevi legarti, ma hai fatto di tutto per far affezionare me! » E lì la voce le trema mentre stringe i denti. E magari non volevi, ma è successo. Ed era arrivata Mia, a bramare le attenzioni di lei, a sperare che le scrivesse, a volerci parlare di continuo, a voler sapere come stesse, cosa facesse, a cosa pensasse. Non era un pensiero ossessivo, né poco salutare, ma era comunque sempre lì. Ho provato a prenderti a piccole dosi. Ma non ci riesco. Delle dosi però le vorrei comunque. « E me l'hai chiesto tu di essere sincera. » A quel punto il suo tono è alterato e frustrato, e non vuole nemmeno controllare il flusso di rabbia che le provoca. « Quindi dimmelo tu cos'è una relazione » Visto che sono queste le premesse da cui vuoi inspiegabilmente farne nascere una. Incrociò le braccia al petto sfidando il suo sguardo con un pizzico di spavalderia. A quel punto era certa che Raiden non avesse la più pallida idea di cosa fosse una relazione tanto quanto non losapesse lei. E allora perché formalizzarsi? Perché conformarsi a un'idea fiabesca di rapporto che non esiste? Queste erano in fondo le conclusioni a cui era giunta, e questo si aspettava di sentire. « Vuoi sapere cos'è una relazione? È tutte queste cose, ma con un minimo di serietà. Ecco cos'è. È scegliere di stare accanto a una persona non perché ti piace scoparci o perché ti porta al cinema, ma perché dentro di te pensi di poterci costruire qualcosa che abbia un valore - qualcosa che duri. Ed è una responsabilità, è vero. È impegnativo e richiede uno sforzo incredibile, perché non puoi pensare solo per te stesso. E non è neanche detto che paghi o che vada a finire bene, ma non è quello che conta. Ciò che conta è che tu sia convinto di ciò che fai e della persona che hai accanto. Perché quella persona non piomba giù dal cielo e rimane lì così, per chissà quale congiunzione astrale favorevole, ma perché vi scegliete ogni cazzo di giorno, anche quando non è semplice. No! Soprattutto quando non è semplice. » Per quanto tentasse di mantenere il punto, mostrandogli una faccia tosta, era chiaro che lentamente quel discorso giunse a far breccia nel suo cuore. Prima un sospiro, poi l'evidente evadere dallo sguardo di lui, poi ancora un leggero arricciare il naso passandosi le mani tra i capelli, e infine l'intrecciare nuovamente le braccia al petto come se tentasse in tutte le maniere possibili e immaginabili di convincersi che quelle parole non l'avessero colpita. Era un discorso così lontano da ciò che conosceva, così lontano da ciò che qualunque ragazza della sua età si aspettava dai propri coetanei. E in fondo sapeva che tutte, Mia compresa, per quel discorso sarebbero morte, avrebbero fatto carte false pur sentirlo. E allora perché mi fa comunque paura? Perché paura le faceva per davvero. Come se non sapesse proprio come prendersela quella responsabilità. « Ma quello che mi fa davvero incazzare, è che io non ti ho mai chiesto di fartelo andare bene. Non ti ho mai chiesto nulla. Sei stata tu a spingere per avere tutti gli elementi superficiali di una relazione, quando è evidente che non sei pronta ad andare fino in fondo, che vuoi solo simularla. Ma io non ci sto. Mi dispiace, Mia, ma io non metto la mia testa, il mio cuore, il mio impegno e il mio tempo nel coltivare un rapporto con qualcuno che non è nemmeno sicuro di volerlo, un rapporto. Non metto le mie energie in un qualcosa di precario, che oggi è così e domani chissà. Hai diciassette anni ed è normale che tu non sappia cosa vuoi dalla vita. È giusto e sacrosanto. Ma io lo so, Mia. Io lo so cosa voglio. E pretendo che venga rispettato, perché è altrettanto giusto. » E Mia annuì, rassegnata, seppur completamente in disaccordo con la questione. Il suo volto si tinse di un'amarezza senza precedenti, come se si trovasse di fronte a un aut aut al quale non riusciva a rispondere. Era completamente bloccata, immobilizzata da quell'improvviso premere di Raiden di fronte al quale si sentiva spaesata. Era ciò che avrebbe voluto sin dal principio; forse avremmo dovuto partire con premesse differenti. Ma le chiacchiere stavano a zero e i rimpianti erano quanto mai inutili a quel punto. Io non capisco perché rovino tutto. Non capisco.. Forse perché in fondo Mia si era data a una politica piuttosto estrema di autosabotaggio. Qualunque cosa andasse nel verso giusto, aveva qualcosa che non le andava giù fino in fondo. Se era lei a decidere, se era lei a premere, tutto andava bene, ma se qualcun altro tentava di forzarle la mano, scappava come un coniglio spaventato, come se chi avesse dato quali segnali avesse davvero una qualche importanza. E non era forse ciò che auspicava nel momento in cui gli aveva chiesto un'esclusiva? Si, era proprio quello; anzi, forse Raiden aveva messo sul piatto molto più di quanto si aspettasse. E le faceva male; faceva male sentirsi dare della ragazzina, quando il punto non era assolutamente quello. Ma forse è questo ciò che mi merito. Per tutto questo tempo ti ho parlato di rabbia ingiustificata nei confronti delle mie compagne influencer, di quanto io odi studiare. Ti ho lasciato intravedere una sciocca bambina intenta ad andare a casaccio. Ed io a casaccio sto andando per davvero, ma non perché ho diciassette anni. « Non voglio una relazione tappa-buchi. Quindi prenditi la tua parte di responsabilità e dimmi semplicemente che non sei pronta a un impegno del genere. Ma se non sai cosa vuoi ..non trascinare a fondo anche me. » Abbassò lo sguardo; gli occhi divennero due pozzi scuri, mentre indietreggiava di qualche passo distanziandosi da lui e dalla macchina. Per un istante l'istinto di scappare a gambe levate fu forte. Avrebbe voluto trovare la forza di trasformarsi e correre nella foresta senza guardarsi indietro. Ma non so fare neanche quello. Era come un uccellino in gabbia, Mia, e viveva nella convinzione che quel perenne sorriso che metteva su, l'avrebbe salvata dal doversi esporre in ogni circostanza. « Quindi per te chiederti di.. - di frequentarci.. si ecco è quello - , solo io e te, sarebbe una cosa.. tappa-buchi.. » Sollevò le sopracciglia perplessa inumidendosi le labbra con fare pensieroso e leggermente rassegnato. Stava cercando di elaborare inutilmente quei concetti senza riuscire a trovare una quadra. Perché Mia non vedeva un'incompatibilità di fondo in ciò che lui aveva detto e ciò che lei gli aveva chiesto. Però forse il punto è che nonostante io abbia riposto la mia fiducia in te, tu non stai facendo altrettanto. Per te sono comunque la scopata del venerdì sera, e non sei proprio disposto ad andare oltre. L'hai detto tu, da te le cose vanno diversamente, e questa cosa è inconcepibile. Scuote la testa e si scosta mordendosi l'interno delle guance osservandolo con un misto di frustrazione e disapprovazione.
    « Sai una cosa? Hai ragione, Raiden. Io non voglio una relazione. Non la voglio. » Sottolineò quelle ultime parole alzando il tono della voce gesticolando animatamente. Nella sua gabbietta, Mia no ci stava più bene. Era stanca di dover sottostare alle continue regole di Raiden. Regole che continuava a non voler seguire perché le stavano strette. « Non farò finta di avere in testa questo disegno perfetto di un rapporto ideale che passa da A a B, perché io sinceramente non ci credo. Per me non esiste un manuale di istruzioni che ti insegna come si fa. E non è perché ho diciassette anni. Non so se te ne sei accorto, ma qui tutti si comportano come se fossero in un supermercato. Soppesano la merce e decidono qual è la più conveniente. Io sono sempre stata tratta così. » E a dirla tutta non si vergogna neanche di metterla in quella maniera. Sa che la colpa non è solo dei ragazzi; sa che le ragazze alimentano di continuo quel modo di fare. E forse a molte il supermercato va pure bene a molte di noi. Sono scelte. Questo però non significa che vogliamo sempre stare al supermercato. « E a volte l'unico motivo per cui ti lasci soppesare è perché ti illudi che qualcosa di buono ne verrà fuori. » E lì il suo tono di voce subisce una leggera inflessione che vira sull'accusa. Anche noi ci siamo comportati come al supermercato. « Tu mi dici tutte queste cose dando per scontato che io non sono seria, forse pensando che voglio divertirmi. Mi metti costantemente sotto una lente di ingrandimento e concludi di continuo che dico cose a cazzo di cane. Mi stai giudicando solo sulla base del fatto che te l'ho data una sera dopo una partita di biliardo e qualche drink. » E questo mi mortifica.. mi mortifica da morire. « Perché in fondo è questo il punto no? Speravi solo di scopare e invece non è andata così. E ora cerchi di mettermi pressione nella speranza che sia io a darti il pretesto per sciacquarti dai coglioni, in un modo o nell'altro. » Allarga le braccia scuotendo la testa mentre lo osserva con rabbia. Raiden lo aveva fatto a più riprese sin da quando lei gli aveva confessato che le piaceva. Ma non ci era riuscito fino in fondo, perché nonostante tentasse di tenere fede ai suoi principi e alle sue regole, era evidente che Raiden non voleva fare a meno di quel loro legame. « Non so cos'è una relazione. Fammi causa! » E lì sbotta calciando sul selciato, mandando per aria una serie di sassolini che volano di fianco alla macchina. « Almeno io non sono alla ricerca della persona che rispecchierà perfettamente i miei canoni. Tu ragioni a priori. Per te deve essere già prima così.. da subito. » E noi siamo l'esatto opposto di tutto questo. Abbassa lo sguardo e si sfrega le mani, Mia, passandosi infine le dita tra i capelli, dandogli le spalle. Gli occhi scuri si fissano sulla linea dell'orizzonte tra gli alberi; un primo tiepido raggio cattura completamente la sua attenzione. Di scatto deglutisce incrociando le braccia al petto, concentrandosi sul paesaggio di fronte a sé. « Non è qualcosa che cerco.. in generale.. » C'era un però sostanziale in tutta quella disquisizione. « Ma con te volevo stare comunque. » Pausa. « E non perché voglio che tu mi porti al cinema o perché boh.. ho bisogno di essere accompagnata alle cene con gli amici. » Così è solo cringe. Si inumidisce le labbra e sospira. « A me piace parlare con te.. e mi piace anche quando non parliamo. Vorrei chiederti un sacco di cose, imparare un sacco di cose da te. Ho voglia veramente di fare cose nuove, voglio ridere e scherzare e stare bene. Mi fai venire voglia di essere.. me stessa e basta. » Sta facendo una fatica immane per portare fino in fondo quel discorso, perché nonostante Mia Audrey Wallace parli di continuo, la verità è che solitamente non dice niente, niente di sé, niente di ciò che veramente vorrebbe. Forse in fondo ha paura di ciò che vuole, forse a sua volta ha paura di essere giudicata, di non essere compresa. Io non so se voglio una relazione. Però con te mi sento lì. Mi fai sentire al sicuro, sono serena, felice. Ho voglia di ridere, ho voglia di conoscerti, di sentirti raccontare di te per ore. Voglio sapere da dove vieni e dove stai andando. Voglio abbracciarti e dirti che andrà tutto bene. « A me è stato rubato del tempo, Raiden. » Di scatto deglutisce, mordendosi il labbro inferiore mentre tira su col naso. « E non posso recuperarlo, né posso aspirare ad avere ancora diciassette anni, come dici tu. Sono costantemente indietro su tutto.. mi sento un po' come un morto che cammina. Vado a caso.. un po' su tutto. Non credo di essere capace di fare.. nulla.. » Una punta di vergogna si insinua nel suo animo. Ed è grata di non poter essere guardata in faccia mentre si abbandona a quella confessione. Ha paura di cosa potrebbe leggere nello sguardo di lui. « Però, in tutto questo casino che ho in testa.. » ..in tutto questo casino che non capisco e che mi consuma di continuo.. « ..con te mi sento.. viva. » Mi hai toccata, e la mia fiamma si è riaccesa. Ho iniziato a sperare, forse scioccamente mi sono illusa. « E se a te questo non basta, per favore, mandami via, perché siamo andati anche troppo oltre. » Ti prego, mandami via, perché io da sola non riesco ad andarmene. Forse non ho la volontà di farlo. E' vero che non ce l'ho. E in quel momento si volta nuovamente verso di lui azzardando un solo passo, con cautela e una dose consistente di paura. Non ho uno schema in testa. Ciò che voglio con te, non lo voglio con nessun altro. Io voglio stare con te. In tutto il tuo discorso però questo non c'è.. c'è quello a cui aspiri, ma non quello che vuoi. E allora perché cazzo continui a chiedermi cosa voglio io da te? Sta iniziando a incartarsi Mia, e si sta esasperando. E' confusa. Perché comunque, tu Raiden, delle risposte non me le vuoi dare. Tu vuoi il mondo delle idee. Io ho bisogno di stare coi piedi per terra. Sulla scia dell'ultima frase, la voce di Mia si spezza. Solleva lo sguardo in quello Raiden e sospira colta da un profondo senso di difficoltà e inadeguatezza. Ci è arrivata? Non ci è arrivata? Ha capito? Forse. Lo sguardo lucido ricerca quello di Raiden in una muta preghiera. Perché stiamo litigando? Che cosa stiamo facendo? « Non era difficile, Raiden. Io tutte quelle cose che ho detto e fatto le pensavo. Tutto ciò che dovevi fare tu invece era dirmi che un po' mi vuoi anche tu. Invece tu mi hai preso in contropiede con domande astratte giusto per mettermi ancora in difficoltà. » Si stringe nelle spalle. « Come faccio a dire se la voglio una relazione, se per me stare con una persona non è un modello? Io forse so cosa vorrei da te - ma quello che io voglio con te, non lo voglio con nessun altro. Non sei un'equazione.. » E' così. Punto. Non posso forzarmi a progettare qualcosa che nella mia testa non esiste. « E non capisco perché non possiamo trovarne una in cui io non devo passare il controllo qualità e tu non devi necessariamente rinunciare a ciò che per te è importante.. » Si stringe nelle spalle. « Non lo so, magari sono ritardata, oltre che indietro.. ma a me sembra logico. »


     
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    « Quindi ora come dovrei chiamarti? Continuo con Raiden Onii-san o devo passare a Sottotenente Yagami-Sama? » Sorrise, Raiden, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo tra sé e sé mentre lasciava che Hiro gli si avvicinasse per stringerlo in un abbraccio fraterno ma pur sempre contenuto. Si distanziarono presto, guardandosi con muto affetto. Le mani di Hiroshi si posero sulle spalle di Raiden, lisciandogli l'immacolata giacca bianca mentre i suoi occhi scendevano istintivamente a fissare quel nuovo grado che spiccava sul petto del fratellastro. Era orgoglioso di lui. Per quanto il padre potesse cercare costantemente di alimentare la competizione tra loro, il cuore di Hiroshi era troppo puro per lasciar davvero attecchire un sentimento come l'invidia. Sospirò, riportando lo sguardo in quello di Raiden con un sorriso. « Un sacco di responsabilità, eh? » Annuì, Raiden, sospirando a sua volta. « Appena dietro quella porta. » Ovvero l'uscio del vestibolo, quello che li separava dalla sala in cui si sarebbe tenuta la festa per celebrare le nuove promozioni. Era durata tre ore intere, la cerimonia ufficiale, quella in cui il giovane Yagami se ne era stato per tutto il tempo in piedi, con le spalle dritte e lo sguardo marmoreo fisso di fronte a sé. L'unico movimento che si era concesso era stato quello di chinarsi in una dovuta riverenza nel momento in cui il patrigno gli si era parato davanti per appuntargli il nuovo grado e conferirgli la medaglia guadagnata. Alla fine di tutto era stato concesso loro di rinfrescarsi nei rispettivi vestiboli per qualche minuto, dopodiché si sarebbero dovuti unire ai festeggiamenti. C'era tutta la sua famiglia, dietro quelle porte, ma non solo. Tutta la società che contava era riunita lì. Ogni famiglia che si potesse definire rispettabile aveva redatto un permesso d'uscita da Mahoutokoro per le proprie figlie in età da marito, spendendo l'impensabile per vestirle in maniera sontuosa e renderle quanto più belle possibile. Abbiamo tutti delle responsabilità, qui dentro. Lo dobbiamo alle nostre famiglie. E lo sapeva, Raiden, che da quel momento in poi pendevano su di lui delle aspettative importanti. « Sei nervoso? » Probabilmente Hiroshi doveva aver letto quei pensieri nei suoi occhi, altrimenti non avrebbe posto quella domanda, non con quel tono eloquente quanto meno. Tuttavia Raiden sorrise, scuotendo il capo. « No. Stavo solo pensando a quelle povere ragazze che si sono dovute sorbire tre ore di noia per trovare marito, senza nemmeno essere certe che ciò accadrà. » Risero, dandosi qualche pacca sulle reciproche schiene. « Beh allora vediamo di non farle annoiare oltre, che dici? » Tra battute e risate, i due fratelli finirono per convenire su quel punto, varcando assieme la soglia dell'elegante sala da ballo in cui erano attesi. Perché in fin dei conti non si trattava solo di Raiden: Hiroshi non avrà avuto il suo stesso grado, ma era comunque un ottimo partito. E a ben vedere la promozione del fratello andava a giovamento di tutta la famiglia: ora potevano vantare uno status più alto, un lustro in più sul loro nome che avrebbe fatto salire di livello anche Hiroshi ed Eriko all'interno della scala sociale. Però era inevitabile che fosse lui il centro dell'attrazione, quanto meno tra i suoi coetanei. E gli fu chiaro nel momento in cui oltrepassò quelle porte, che ogni ragazza lì dentro avrebbe fatto carte false per essere invitata a ballare da lui e avere l'opportunità di giocarsela al meglio per ottenere un appuntamento ufficiale. Probabilmente molti altri ragazzi della sua età avrebbero gonfiato il petto per una cosa simile, pavoneggiandosi e sguazzando nei risolini concitati e nel rossore che la loro presenza provocava a quelle giovani donne bellissime. Ma Raiden, più che vanagloria, sentiva con precisione il senso di responsabilità sulle proprie spalle. Poteva essere divertente, sì, ma non era un gioco. Non lo era affatto. Erano altre, le sedi in cui giocare e lasciarsi andare ai flirt senza pretese, ma non quella. Lì il giovane Yagami doveva rispettare un preciso codice sociale che gli richiedeva di guardare dritto negli occhi cosa volesse davvero dalla vita, di averne consapevolezza e prendersene tutte le responsabilità. E lui era proprio quello da cui ci si aspettava di più, tra i suoi coetanei. D'altronde non era stato scelto a caso: se da un lato i meriti militari erano splendenti e innegabili, dall'altro era altrettanto innegabile che Raiden avesse le spalle abbastanza solide da poter reggere tutte le altre responsabilità sociali che accompagnavano quel suo nuovo ruolo. Quindi assecondò con pacatezza i padri che gli si avvicinarono per presentargli le proprie figlie, facendo ballare le ragazze più belle e rispettabili in quella sala. Eppure, alla fine, non ne scelse nessuna, ritrovandosi qualche ora dopo sempre in compagnia di Hiroshi, con le divise sbottonate e qualche bottiglia di sake tra di loro. Quella stanza era piena di giovani donne stupende come non ne ho mai viste in vita mia. Tutte le ragazze con cui ho ballato sarebbero state disposte a darmi il mondo. Il punto è che io non voglio il mondo che loro hanno da offrirmi, mentre loro, di quello che ho io da offrire, ne sentono il bisogno. Di una giovane donna che come massima aspirazione nella vita ha quella di farmi da elfo domestico e sfornarmi figli, io non me ne faccio nulla. Specialmente se si tratta di una ragazzina annoiata e viziata che si rivolge a me come fossi suo padre e con cui avrei solo il corredo genetico da spartire. Io lo so cosa voglio. Voglio una compagna di vita, una a cui dare sì tutto, ma che mi stia al fianco e non un passo indietro. Tutti si aspettano che scelga la classica casalinga giapponese, e forse se lo aspettano perché è la scelta più cauta, quella più sicura. Non puoi sbagliare mai a puntare lì. Ma io non la voglio. Io voglio essere felice - quanto meno voglio provarci. E voglio che lei - chiunque lei sia - sia felice a sua volta, con me. Voglio che sia orgogliosa di avermi come marito - di aver sposato me e non soltanto il mio peso in oro e gradi. Perché ho così tanto da offrirle, al di là di quello.

    « Quindi per te chiederti di.. - di frequentarci.. si ecco è quello - , solo io e te, sarebbe una cosa.. tappa-buchi.. » Frequentarsi. Nel vocabolario di Raiden, la frequentazione era una tappa scandita di qualunque relazione: un primo momento di conoscenza in cui si aveva modo e tempo di capire l'altro e ricercare una compatibilità. Ma era limitata, era una fase di passaggio preliminare alla relazione che serviva solo ad accertarsi di determinati fattori logicamente poco chiari tra due semi-sconosciuti. Ma noi non siamo due semi-sconosciuti, Mia. Noi siamo amici da mesi, e ci frequentiamo da settimane. Non è questo ciò che abbiamo fatto? Frequentarci senza darci una definizione che fosse una? Dopo tutto questo non può non esserti chiaro fino a che punto ti piaccio o meno. Mi rifiuto di crederci. E infatti Raiden non ci credeva. Non riusciva a concepire quell'incertezza atavica di Mia se non come un sintomo della sua giovane età o, in alternativa, come un dato caratteriale che nulla avrebbe potuto davvero cambiare. E se io non posso cambiarla, questa tua incertezza, ha davvero senso che ci provi? Non rispose alle parole di Mia, limitandosi a scuotere il capo con un sorriso amaro stampato in volto, passandosi una mano tra i capelli con aria rassegnata. « Sai una cosa? Hai ragione, Raiden. Io non voglio una relazione. Non la voglio. » Annuì, sospirando esasperato. « Ecco! Ci voleva tanto? A posto, chiuso il discorso. » E per lui il discorso poteva davvero chiudersi lì. Mia aveva dato la propria risposta alla domanda che Raiden le aveva posto, e questo era quanto. Non sentiva il bisogno di aggiungere altro: era quello tutto ciò che il giovane Yagami desiderava sapere. Ma evidentemente per Mia, invece, il discorso non era chiuso proprio per nulla. « Non farò finta di avere in testa questo disegno perfetto di un rapporto ideale che passa da A a B, perché io sinceramente non ci credo. Per me non esiste un manuale di istruzioni che ti insegna come si fa. E non è perché ho diciassette anni. Non so se te ne sei accorto, ma qui tutti si comportano come se fossero in un supermercato. Soppesano la merce e decidono qual è la più conveniente. Io sono sempre stata tratta così. E a volte l'unico motivo per cui ti lasci soppesare è perché ti illudi che qualcosa di buono ne verrà fuori. » Strabuzzò gli occhi, muovendosi di un passo in avanti per fissarla da sotto le ciglia con un certo stupore sbigottito. « Ed è colpa mia, questa? Credi in quello che vuoi, cazzo. Ma lascia libero anche me, di credere in quello che mi pare. » In quello che tu definisci come un manuale di istruzioni, realizzando proprio ciò che ti ho confidato di temere: il giudizio. « Tu mi dici tutte queste cose dando per scontato che io non sono seria, forse pensando che voglio divertirmi. Mi metti costantemente sotto una lente di ingrandimento e concludi di continuo che dico cose a cazzo di cane. Mi stai giudicando solo sulla base del fatto che te l'ho data una sera dopo una partita di biliardo e qualche drink. Perché in fondo è questo il punto no? Speravi solo di scopare e invece non è andata così. E ora cerchi di mettermi pressione nella speranza che sia io a darti il pretesto per sciacquarti dai coglioni, in un modo o nell'altro. » Incredibile. Sei davvero incredibile. Alzò lo sguardo al cielo, come se da lì, qualcuno potesse dare una risposta ai mille perché che affollavano la sua testa. « Lo sai che ti dico, Mia? Pensa quello che ti pare o che ti fa più comodo. Non vuoi una relazione, punto. Parole tue. È inutile cercare di rigirare la frittata per dare a me le colpe di un qualcosa che tu non vuoi per i tuoi cazzo di motivi. » Motivi che io non ti ho nemmeno chiesto perché non sono affar mio. E pure se lo fossero, non ho bisogno di saperli. A che pro? Che dovrei mai farmene? « Non so cos'è una relazione. Fammi causa! Almeno io non sono alla ricerca della persona che rispecchierà perfettamente i miei canoni. Tu ragioni a priori. Per te deve essere già prima così.. da subito. » Tu stai giudicando qualcosa che non conosci semplicemente perché non rispecchia la tua fottutissima idea di rapporto. Io la vostra non posso giudicarla perché altrimenti divento quello chiuso di mente che non sa adattarsi, ma voi potete permettervi di sparare sentenze sulla mia come se la conosceste davvero, come se il vostro metro di giudizio fosse infallibile e insindacabile. E lo odiava, odiava quel preconcetto comune con cui doveva fare i conti tutti i giorni. Odiava quella supponenza che portava anche le persone più aperte di mente a guardarlo dall'alto in basso, individuandolo subito come figlio di una mentalità costrittiva e necessariamente negativa. E non lo odiava tanto perché fosse uno stereotipo, ma perché lui sapeva di non averlo mai rispecchiato e di aver per giunta fatto tanta fatica e tanta strada per superarlo ulteriormente. Se pure una parte di me ragionasse così, in Giappone, lo faceva perché dipendente da un contesto ben specifico in cui nessuno di voi si è mai trovato a vivere. Ma adesso? Adesso che quel contesto non c'è più, che mi trovo altrove, a rispecchiarmi con un'altra cultura e con altri valori, posso davvero essere tacciato di ragionare a priori pur avendo dimostrato ogni santo giorno che non è così? Ma tanto non è mai abbastanza, vero? Starò sempre indietro, rispetto a voi e alla vostra libertà di non essere né carne né pesce e di non decidervi mai nemmeno su cosa mangiare a colazione. Non importa quanto mi impegni e quanto la mia mentalità muti costantemente. Non sarà mai lo specchio perfetto della vostra e quindi per voi sarà sempre passibile di un aspro giudizio. « Non è qualcosa che cerco.. in generale.. Ma con te volevo stare comunque. E non perché voglio che tu mi porti al cinema o perché boh.. ho bisogno di essere accompagnata alle cene con gli amici. A me piace parlare con te.. e mi piace anche quando non parliamo. Vorrei chiederti un sacco di cose, imparare un sacco di cose da te. Ho voglia veramente di fare cose nuove, voglio ridere e scherzare e stare bene. Mi fai venire voglia di essere.. me stessa e basta. » Sospirò a quelle parole, riportando lo sguardo su di lei senza dire nulla, in un moto di frustrazione che sembrava essersi liberato almeno in parte dalla rabbia. E allora se senti queste cose perché non vuoi lasciare che ti mostri il passo successivo? Cosa è, di preciso, che ti blocca? Perché Raiden era certo di cosa volesse in generale - ovvero di cosa nello specifico cercasse in una relazione - ma era anche deciso a tentare di trovarlo con Mia, se lei lo avesse desiderato. È una linea di confine sottile, ma importante. Se vuoi semplicemente una persona specifica, senza sapere cosa vuoi in generale, sbagli. Se invece vuoi una personalità generica che ti sei immaginato, ma non sei in grado di accettare la persona che ti sta di fronte, sbagli comunque. C'è bisogno che le due cose lavorino armoniosamente insieme, per funzionare. Questa è una relazione. Una matura, quanto meno. « A me è stato rubato del tempo, Raiden. E non posso recuperarlo, né posso aspirare ad avere ancora diciassette anni, come dici tu. Sono costantemente indietro su tutto.. mi sento un po' come un morto che cammina. Vado a caso.. un po' su tutto. Non credo di essere capace di fare.. nulla.. Però, in tutto questo casino che ho in testa.. con te mi sento.. viva. E se a te questo non basta, per favore, mandami via, perché siamo andati anche troppo oltre. » Distolse lo sguardo, sebbene lei non lo stesse nemmeno guardando in faccia nel dire quelle parole. Fu forse la vergogna nella sfera emotiva di lei, a far scaturire in lui quella simile reazione, portandolo a incrociare le braccia al petto come a volersi proteggere da una verità scomoda. Eppure, nonostante quel senso di frustrazione e imbarazzo che gli arrivava dalla ragazza, Raiden voleva davvero che lei si aprisse con lui, che ne parlasse di.. beh, qualunque cosa ti faccia sentire così. Io l'ho fatto con te. E più andiamo avanti, più comincio a sentirmi come se questa fiducia stesse andando a senso unico: da me verso te e non viceversa. « Non era difficile, Raiden. Io tutte quelle cose che ho detto e fatto le pensavo. Tutto ciò che dovevi fare tu invece era dirmi che un po' mi vuoi anche tu. Invece tu mi hai preso in contropiede con domande astratte giusto per mettermi ancora in difficoltà. » Teneva ancora lo sguardo distante sul sole che sorgeva, quando le sue labbra si distesero in un'amara linea retta, portandolo ad annuire piano mentre dalle sue narici fuoriusciva un lieve sbuffo dal tono triste. Tu è proprio questo che pensi, vero? Pensi che io stia giocando. Che sia una persona seria, sì, ma non con te. Credi che tutte queste cose io te le abbia dette per allontanarti. Un'abile mossa di scacchi per scaricare su di te la responsabilità di quello che sarebbe un mio, di rifiuto. E lo feriva, quella consapevolezza, perché significava che nonostante tutto, aprirsi con lei era stato completamente inutile. Per me non è semplice parlare di queste cose. Non è una cosa che mi riesce naturale. Ogni volta devo forzarmi, devo farmi violenza per far uscire anche solo un decimo di ciò che provo. Ed è frustrante, quando dall'altra parte trovo soltanto un muro. « Come faccio a dire se la voglio una relazione, se per me stare con una persona non è un modello? Io forse so cosa vorrei da te - ma quello che io voglio con te, non lo voglio con nessun altro. Non sei un'equazione.. E non capisco perché non possiamo trovarne una in cui io non devo passare il controllo qualità e tu non devi necessariamente rinunciare a ciò che per te è importante.. Non lo so, magari sono ritardata, oltre che indietro.. ma a me sembra logico. » Rimase in silenzio, in seguito a quelle parole, continuando a fissare il sole che sorgeva oltre le fronde degli alberi, tingendo l'atmosfera di una pallida sfumatura pastello tra l'azzurro e il rosato. Uno spettacolo quotidiano, per Raiden, che a quell'ora era abituato a svegliarsi pressoché tutti i giorni. Eppure nemmeno quello scenario sembrava dargli la coperta di Linus che cercava in quel momento, il senso di familiarità di cui aveva bisogno. Non c'era nulla di quotidiano in ciò che stava vivendo, nulla che potesse comparare con le proprie esperienze passate in maniera tale da aiutarsi a navigare in quelle acque ignote. E fu proprio su questa scia di profonda insicurezza che, senza neanche rendersene davvero conto, il Grifondoro si portò una mano al petto, cominciando a strofinarselo piano da destra a sinistra e viceversa. Un movimento che non aveva nulla di chissà quanto insolito o strambo, ma che all'occhio attento di chi lo conosceva da una vita sarebbe subito saltato all'occhio come una spia del suo stato d'animo. Era un tic, uno di cui lo stesso Raiden non era nemmeno a conoscenza. Semplicemente si ritrovava a fare così nei momenti in cui provava difficoltà o imbarazzo. Capitava per lo più quando si vedeva costretto ad affrontare un discorso più emotivo, più profondo, quando si stava davvero facendo violenza psicologica per arrivare ad un determinato punto. Gli dava una sensazione di vago conforto, quel movimento: come se il contatto con la pelle del proprio stesso petto potesse farlo sentire più protetto, più rassicurato. « Però non hai considerato che forse anche a me è stato rubato del tempo. » disse piano, a bassa voce, con tono pacato, senza nemmeno voltarsi a guardarla. « E che quel tempo non potrò mai più riaverlo. » Pausa. « A me è stata tolta, la possibilità di avere diciassette anni. » Non sono cresciuto in fretta perché ero migliore o più maturo degli altri, ma perché sono stato obbligato a farlo. E non credi che avrei preferito passare qualche altro anno nella spensieratezza? Non credi che, data una scelta, avrei optato per procedere a passo più lento, per darmi il tempo di crescere? Io ce li avrei voluti avere, diciassette anni. Ma non importava cosa volessi, importava solo quale fosse il mio dovere nei confronti del Giappone. Un dovere a cui sono stato obbligato a rispondere, prendendomene poi tutte le responsabilità. « E non posso semplicemente scegliere di tornare indietro e recuperare.. di vivere ciò che mi sono perso. Posso solo andare avanti ed essere ciò che sono ora. » Scosse il capo, mentre un velo di tristezza andava a stendersi sui suoi tratti illuminati dalla pallida luce dell'aurora. « Non esiste un tasto di reset per questa mia condizione. » E fidati: l'ho cercato. Calò un altro silenzio. Raiden continuava a strofinarsi il petto in quei movimenti lenti, focalizzandosi sui contorni delle fronde come se fossero qualcosa di importante a cui prestare attenzione, quando in realtà stavo soltanto cercando di ordinare i pensieri nella propria testa, di rivestirli con le giuste parole e di forzarsi a farli uscire dalle labbra. Uno sforzo che gli appariva disumano, rendendogli difficile anche il più piccolo dei passi. Strinse leggermente il tessuto della camicia tra le dita, giocando con un bottone. Non ce la faceva a guardarla, era semplicemente troppo, non avrebbe retto a quell'ulteriore sforzo. Quindi riprese solo a parlare, con una pacatezza dal tono quasi disperato. « Mia.. adesso ti prego di ascoltarmi con attenzione, senza interrompermi, e di sforzarti almeno un po' a capirmi. » Perché non mi è facile, e ho bisogno che in questo sforzo tu mi venga incontro. « Io sono arrivato in questo paese con zero intenzioni di legarmi. Non avevo in tasca una lista della spesa per cercare un'ipotetica donna che non sono riuscito a trovare in Giappone. E l'unica ragione per cui adesso sto considerando un legame è perché tu, Mia, mi piaci sul serio. » Altrimenti di questa roba non ne avrei nemmeno fatto parola. Cazzo, sono un asso ad evitare i discorsi che mi sono scomodi. Li salto a pie' pari come saltavo gli ostacoli al campo di addestramento. Un altro silenzio. Ci metteva un po' a masticare i propri stessi sentimenti, a digerirli. Raiden aveva bisogno di più tempo di quanto ne richiedesse una qualsiasi altra persona, per affrontare discorsi dai toni più intimi. Un tempo che sperava Mia avrebbe rispettato, portando la pazienza necessaria a non interromperlo e ad attendere che quelle cose venissero fuori pian piano. Ogni arresto, ogni discontinuità, avrebbe potuto deviare completamente il corso di quel suo processo, portandolo a innervosirsi o a richiudersi in se stesso. E non voleva farlo. Voleva essere onesto. « Le tue sono parole giustissime, sì.. però a me non possono applicarsi. » Pausa. « Io non posso permettermi di vedere come va perché non dispongo del tempo necessario a farlo. La mia permanenza qui è limitata. Quindi cosa dovrei fare? Imbarcarmi in una storia a tempo determinato? Legarmi pur sapendo che un futuro non c'è perché me ne andrò? » Le pose quelle domande con uno schiacciante senso di tristezza che gli risaliva dal petto fino a farsi strada nel suo tono di voce. Credi che mi piaccia, darmi sempre tutte queste regole? Non è bello, non è spontaneo, non mi rende felice. E anche una persona spezzata come me vuole essere felice. Perché dovrei opporre resistenza alla mia stessa felicità, se non ci fosse una buona ragione? Le parole uscivano dalle sue labbra una alla volta, in un pacato ritmo scandito che si prendeva il proprio tempo per soppesarle una ad una con estrema cura e attenzione, quasi avesse paura che un vocabolo sbagliato potesse mandare tutto a monte. Raiden era sempre irreprensibile, sempre perfetto, gli riusciva tutto al primo tentativo - tranne in quei casi. Lì era fallace, e ne era consapevole. Una consapevolezza, quella, che gli provocava un moto istintivo di forte vergogna e che lui percepiva come un totale insuccesso. Sempre la solita storia: se non era impeccabile, allora era automaticamente un fallimento umano - non esistevano vie di mezzo alla pressione che metteva su se stesso. « Per me questo non ha alcun senso, capisci? Va contro il concetto stesso che ho di un legame e i motivi fondanti per cui decido di intraprenderne uno. » Chinò leggermente il mento, come ad annuire in un moto appena percettibile alle proprie stesse parole, passandole allo scrutinio di ciò che intendeva realmente dire e approvandole. Era riuscito a far passare il concetto? A rendersi comprensibile? Non ne era certo, ma una cosa era sicura: le sue parole non erano una giustificazione, quanto piuttosto un tentativo di farle capire i motivi che lo portavano a vedere la possibilità di un legame con lei sotto una certa ottica specifica. Motivi semplici, dati da un connubio di cultura, valori e circostanze. Ancora una volta, piombò nel silenzio, senza smettere di strofinarsi il petto con quei movimenti lenti che gli riscaldavano la pelle, dandogli il tepore necessario a sentirsi almeno un po' al riparo dalla propria stessa vergogna. Le fece muto cenno di attendere, di non parlare, di continuare a concedergli un altro po' della propria pazienza. Perché ne ho bisogno. Ho davvero bisogno che tu abbia pazienza con me, in questo momento. E poi, a un certo punto, sospirò, facendo cadere piano la mano sui fianchi mentre si obbligava a portare finalmente lo sguardo negli occhi di Mia. Certe cose, lo sapeva, non si potevano dire con gli occhi che vagavano altrove, per quanto la cosa potesse infondergli un senso di artificiale sicurezza. Mosse qualche passo cauto nella sua direzione, fermandosi di fronte a lei. Ricercò il contatto con le sue mani, unendole per stringerle tra le proprie. E poi riprese, raccogliendo tutto il coraggio di cui necessitava per mantenere il contatto visivo con lei in quel particolare
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    quanto delicato momento. « Però.. se tu fossi disposta a considerare una cosa del genere, un impegno.. » Sospirò, scuotendo piano il capo mentre i suoi occhi si puntavano in quelli di lei con una muta preghiera scandita da un sentimento a lui del tutto ignoto. « ..io avrei così tanto da offrirti, Mia. » disse in un filo di voce, quasi esalando quelle parole. Un passo più vicino, come a incalzarla e, al contempo, incalzare se stesso a continuare lungo quel tracciato che faceva uscire le frasi dalle sue labbra sulle note dolceamare di un dolore che racchiudeva in sé anche un po' di orgoglio, un po' di amore. « È vero: io qui non ho un soldo, non ho un lavoro vero, non ho una famiglia alle spalle e non ho un nome. Però sono bravo a stringere i denti e sopportare, so prendermi delle responsabilità e do il centoventi percento in tutto ciò che faccio. » Pronunciò quelle frasi racchiudendo le mani di lei in una stretta sicura che le carezzava le nocche. E lo sguardo non lo abbassò mai, tenendolo ben puntato nelle iridi di Mia nella speranza che lei comprendesse quanto davvero fosse convinto di ciò che le stava dicendo. Nel mio paese ero considerato come il miglior partito che una ragazza tra la tua età e la mia potesse desiderare. E adesso sarei il peggiore. Verrei visto come un fallimento totale, come un acquisto sconveniente. Ed è svilente, è un'umiliazione di cui non posso nemmeno parlare perché nessuno qui potrebbe mai comprendermi. Ma io la sento, ed è questo che conta. Io avevo tutto, ed ero disposto a dare quel tutto per rendere felice la ragazza che avrebbe diviso la sua vita con me, per farla sentire davvero amata - non come una ragazzina alla prima cotta, ma come una donna. Amavo così tanto l'idea di poterlo fare, di poterla rendere la ragazza più felice del Giappone e di non farle mai mancare nulla sotto nessun punto di vista. Ora invece non posso farlo, non del tutto quanto meno. E fa male, fa malissimo, perché mi fa sentire come se avessi fallito su tutta la linea, come se non contassi nulla e mi mancassero le basi su cui poggiare tutto ciò che vale qualcosa. Ma non sarà così per sempre. Io me lo riprenderò, il mio status. Anzi, salirò ancora più in alto - costi quel che costi! Per me stesso, per la mia famiglia e per chi deciderà di starmi accanto. Questo è ciò che io ho da offrire e che più ha valore: la mia parola, il mio onore e la mia dedizione. « Io sono così e non posso farci nulla, Mia. È la mia cultura, è la mia educazione. Ci sono cresciuto e non me ne pento, non lo rinnego. Perché mi piace questa parte di me, per quanto alcuni possano vederla come superata. » Fece una pausa, prendendo fiato nel farsi più vicino e chiuderle un po' più le mani in quella stretta gentile. « E vorrei davvero condividerla con te per farti capire che non c'è nulla di cui aver paura.. che una sicurezza non deve essere necessariamente snaturata e bestemmiata come una costrizione. » Perché è questo il modo in cui viene puntualmente bastonato tutto ciò in cui credo, tutto ciò con cui sono cresciuto e che fa parte della mia persona. Come se aver sacro qualcosa fosse una colpa da espiare o un qualcosa di cui vergognarsi. Sì, io quando mi impegno lo faccio fino in fondo. E allora? Fammi causa - per citarti. Non voglio che questa cosa mi venga strappata per rendermi più adeguato a un mondo che si muove ma non sa bene in quale direzione. Non voglio perché questo, di me, mi piace. E che mi prendessero pure per il culo o mi considerassero retrogrado. Io devo tener fede solo a me stesso. « È vero che nella vita ci sentiamo tutti fuori luogo, che delle certezze solide non le abbiamo mai.. e lo so che per te è così, che è così che ti senti. » Sospirò, carezzandole dolcemente le mani coi pollici nel rivolgerle un sorriso dolceamaro. « Ma ciò che voglio dirti è che se tu fossi disposta a venirmi incontro e darmi fiducia.. » scosse lievemente il capo, come a voler rafforzare le parole successive, pronunciate in un filo di voce dal calore profondo « ..di me non dovresti mai dubitare nemmeno per un istante. » Io potrei essere una certezza, per te, Mia. « Puoi dire quello che ti pare, non devi neanche darmi una risposta. Ma non mettere mai più in dubbio la mia correttezza, perché ciò che decido di condividere ha un valore e lo intendo dalla prima all'ultima parola. » Fece una pausa, fissandola con serietà mentre scuoteva leggermente il capo prima di concludere a bassa voce. « E non riesco a vergognarmene. »





    Edited by psychomachia - 9/5/2021, 02:02
     
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    « Però non hai considerato che forse anche a me è stato rubato del tempo. E che quel tempo non potrò mai più riaverlo. A me è stata tolta, la possibilità di avere diciassette anni. E non posso semplicemente scegliere di tornare indietro e recuperare.. di vivere ciò che mi sono perso. Posso solo andare avanti ed essere ciò che sono ora. Non esiste un tasto di reset per questa mia condizione. » Scosse la testa Mia, sollevando lo sguardo verso l'alto. Raiden non era mai sceso nei particolari della sua esperienza, né le aveva mai raccontato quanto nello specifico fosse dura la vita all'interno di un esercito. Aveva, sì, intuito che non fosse un'esperienza accomunabile all'addestramento che tutti i cacciatori ricevevano, ma nonostante ciò non c'era una sola alternativa in cui potesse trovare una somiglianza tra la sua esperienza e quella del giovane Yagami. Non era una competizione, né Mia voleva renderla tale. Non era certo una di quelle corse al decretare chi avesse più diritto di far valere le proprie ragioni, eppure la Serpeverde provò un profondo senso di frustrazione, dettato dall'immobilismo in cui gettava la sua condizione. Non importa quanto la tua esperienza è stata dura, e scommetto che lo è stata; molto più di quanto un ragazzo appena maggiorenne dovrebbe affrontare. Non è comunque la stessa cosa, ed io sto male cazzo, sto male perché non so come spiegartela. Non so come aiutarti a capire che avrei solo bisogno di tempo. Tempo per capire chi sono, tempo per autogestirmi. Perché alla fine dei conti, in fondo, al di là di quanto possiamo affidarci a qualcun altro, al mondo abbiamo solo noi stessi. Ed io ho bisogno di poter fare affidamento su me stessa. Che Mia avesse bisogno di spazio per prendere in mano la sua vita, era abbastanza evidente, ma nonostante ciò, di come farlo o in quale misura, non se ne era mai preoccupata. Sembrava evitare qualunque forma di responsabilità persino verso se stessa, negando a se stessa anche solo la possibilità che potesse avere un problema. I suoi, erano ai suoi occhi, i tipici problemi di una qualunque giovane ragazza accomunabile della categoria sveglia ma non si applica. Intelligente non ci si sentiva, ma abbastanza sveglia lo era per davvero. Era reattiva e piena di energie, in tante occasioni ingegnosa e piena di risorse. Non aveva paura di sporcarsi le mani o di metterci la faccia. Rischiava, Mia, di continuo, e quando sbagliava ricominciava da capo tentando di fare sempre tutto da sola. Voleva credere che i suoi insuccessi fossero dovuto semplicemente al suo non essere stata abbastanza brava a captare il vero succo di quanto le venisse chiesto; negava le sue lacune a scuola, e anche quando non poteva farlo, le relegava semplicemente al suo aver perso troppo tempo a fissare il soffitto durante il pomeriggio prima dell'interrogazione. Negava i suoi evidenti problemi relazionali, che restavano sempre in superficie, persino con persone per le quali avrebbe dato la vita. Parlava e parlava, cercava di continuo di connettere con le persone, e ci riusciva pure, perché in fondo appariva una personalità solare - un ottimo animale sociale - ma appena le cose diventavano leggermente più profonde, scappava nella direzione opposta oppure rimaneggiava le situazioni affinché tornassero a una dimensione in cui potesse sentirsi più comoda. « Non è la stessa cosa, Raiden. » L'amarezza che scaturì dalle labbra di lei fu palpabile. Come un cucciolo ferito, Mia tentò di aggrapparsi per l'ultima volta al suo muto dolore, pur essendo consapevole di non poter incolpare Raiden della parzialità del suo giudizio. Aveva scelto di spontanea volontà di non aprirsi, nonostante sapesse di potersi fidare. Perché avrei dovuto? E' vero che non siamo mai stati solo di passaggio, per quanto potesse essere più saggio e giusto per entrambi, ma io non me la sono sentita comunque. Eri il mio posto sicuro, lontano da tutto, persino da me stessa. Forse non è giusto, ma io volevo davvero dimenticare tutto con te. Raiden era diventato giorno dopo giorno una specie di anestetico, un modo per sentirsi - come effettivamente gli aveva più e più volte detto - normale. Si chiudevano nella stanza di lui e Mia dimenticava tutto; dalle cose più stupide alle cose più pesanti. Attendeva i momenti in cui l'avrebbe visto come si attendeva la campanella dell'ultima ora alla fine di una giornata particolarmente pesante. E realizzò, la giovane Wallace, in quel momento che aveva tenuto fede al loro patto più di quanto pensasse; si era sforzata a tenerlo il più lontano possibile dalla sua vita, nonostante gliene parlasse e nonostante si raccontassero spesso. Per tutto quel tempo, la sua monotona esistenza era continuata indipendentemente da Raiden; poi si vedevano, spegneva il cervello e si concentrava solo ed esclusivamente sulla bolla che avevano costruito attorno a loro. Ed era vero che Mia gli aveva chiesto di più, che essere una delle tante avesse smesso di bastarle sin da quando erano usciti per la prima volta insieme, ma questo non significava che si era impegnata attivamente per riuscire a dare una dimensione specifica a quel suo desiderio. Forse perché doveva ancora razionalizzarlo. « Mia.. adesso ti prego di ascoltarmi con attenzione, senza interrompermi, e di sforzarti almeno un po' a capirmi. Io sono arrivato in questo paese con zero intenzioni di legarmi. Non avevo in tasca una lista della spesa per cercare un'ipotetica donna che non sono riuscito a trovare in Giappone. E l'unica ragione per cui adesso sto considerando un legame è perché tu, Mia, mi piaci sul serio. » Abbassò lo sguardo, Mia, giocherellando distrattamente con gli anelli che portava sulle lunghe dita leggermente tremanti, cercando di non dire niente, seppur il suo sguardo si fosse tinto di un muto senso di frustrazione. Anche lui le piaceva; giorno dopo giorno Raiden non aveva fatto altro che entrarle sotto la pelle. Si era insinuato un po' alla folta sotto il suo spesso guscio, cercando il suo spazio come un gatto in grado di trovare una posizione comoda anche nei più stretti ambienti. Lo pensava spesso, seppur non poche erano le volte in cui si costringeva a prendere le cose con calma, a non esagerare, dando tempo al tempo affinché qualunque cosa stessero facendo non diventasse più di quanto potesse gestire. Ed è andata proprio alla grande. Le era bastava una frase per mandare a monte tutti i suoi sforzi. Con Raiden, Mia si sentiva un'equilibrista. Voleva continuare ad avvicinarsi, ma al contempo tentava di esercitare la forza della ragione come contrappeso, per trovare comunque una quadra tra la sua voglia di approfondire quel rapporto e la consapevolezza che il loro tempo era limitato. « Le tue sono parole giustissime, sì.. però a me non possono applicarsi. Io non posso permettermi di vedere come va perché non dispongo del tempo necessario a farlo. La mia permanenza qui è limitata. Quindi cosa dovrei fare? Imbarcarmi in una storia a tempo determinato? Legarmi pur sapendo che un futuro non c'è perché me ne andrò? Per me questo non ha alcun senso, capisci? Va contro il concetto stesso che ho di un legame e i motivi fondanti per cui decido di intraprenderne uno. » Si morse il labbro inferiore percependo la sua frustrazione; una frustrazione che andava a fondersi con quella di lei, in un connubio di pensieri e sensazioni contrastanti. Tirò un lungo sospiro schiudendo le labbra. Avrebbe voluto dire qualcosa, azzardare un passo nella sua direzione, ma fu Raiden a frenarla, e lei decise di non muoversi, di dargli spazio e modo di concludere ciò che voleva dire. Semmai le fosse stato dato modo, avrebbe detto che per lei non aveva importanza di quanto durasse. Potrebbe fare un male cane. Ma probabilmente è questo il massimo che possiamo permetterci in ogni caso. Venne colta di sorpresa nel momento in cui Raiden decise di guardarla di nuovo. Si inumidì le labbra, azzardando a sua volta qualche passo, colmando le distanze più in fretta possibile. Non aveva più voglia di discutere; era chiaro che avrebbe solo voluto chiuderla lì, dimenticare che quello scontro era avvenuto. Voglio solo stare con te. Non importa come e perché, ma io voglio te. Non ha senso? Non va bene? Non m'interessa. In questo momento, io non voglio fare a meno di te, e non so nemmeno se posso. « Però.. se tu fossi disposta a considerare una cosa del genere, un impegno ..io avrei così tanto da offrirti, Mia. È vero: io qui non ho un soldo, non ho un lavoro vero, non ho una famiglia alle spalle e non ho un nome. Però sono bravo a stringere i denti e sopportare, so prendermi delle responsabilità e do il centoventi percento in tutto ciò che faccio. » Deglutì, colta completamente di sorpresa di fronte a quelle parole. Riusciva a percepire la sincerità e la convinzione con cui si metteva a nudo di fronte a lei; a tal punto che la giovane Wallace si sentì quasi inadeguata, non certo perché non aveva bisogno di sentirsi dire quelle cose, quanto piuttosto perché determinate cose non rientravano nelle sue priorità. Credi davvero che per me è essenziale fare un inventario delle cose che possiedi? Credi che un nome o una posizione potrebbero mai rendermi felice? Non m'interessa da dove vieni, cosa hai fatto, o quanto pensi che le cose che definiscono il tuo passato possono incontrare il biasimo altrui. A me di cosa pensano gli altri non interessa. Tuttavia tacque, comprendendo che per Raiden era importante; comprese anche che, a volte bisogna semplicemente ascoltare, senza dover per forza interferire. Quelle parole, era chiaro, servissero in parte più a Raiden che Mia, seppur sulla scia di quelle prime parole, il suo cuore aveva perso più di un battito. ..io avrei così tanto da offrirti, Mia. La musicalità della sua voce continuò a rimbombare nei suoi timpani, facendole mancare più di un respiro. Continuava a percorrere con occhi caleidoscopici i tratti di lui, tentando di fotografare mentalmente ogni microespressione del suo viso, ogni tratto che poteva esserle ancora sfuggito. Era bello, Raiden; preservava una bellezza che andava al di là dei suoi tratti fisici, resi gentili e delicati dalla purezza del suo animo. « Io sono così e non posso farci nulla, Mia. È la mia cultura, è la mia educazione. Ci sono cresciuto e non me ne pento, non lo rinnego. Perché mi piace questa parte di me, per quanto alcuni possano vederla come superata. E vorrei davvero condividerla con te per farti capire che non c'è nulla di cui aver paura.. che una sicurezza non deve essere necessariamente snaturata e bestemmiata come una costrizione. È vero che nella vita ci sentiamo tutti fuori luogo, che delle certezze solide non le abbiamo mai.. e lo so che per te è così, che è così che ti senti. Ma ciò che voglio dirti è che se tu fossi disposta a venirmi incontro e darmi fiducia.. di me non dovresti mai dubitare nemmeno per un istante. » E non è forse questo ciò che vorrebbero sentirsi tutti? Non è forse ciò che tutti cercano? Qualcuno su cui contare, qualcuno di cui fidarsi; un alleato, un compagno, un complice. Sospirò, Mia, chiudendo gli occhi, più confusa che mai. La guerra che si combatteva nella sua testa era a dir poco violenta. Se da una parte non voleva fare altro che abbracciare il suo istinto e gettarsi tra le sue braccia, dall'altra, c'era una frazione di lei che le imponeva di essere cauta. Perché non importa quanto io possa fidarmi di te; la verità è che le mie convinzioni non cambiano. Io non credo nel per sempre, né l'ho mai visto. Mamma e papà si sono giurati amore eterno, si sono incontrati quando erano addirittura più piccoli di me, e si sono amati con la speranza di invecchiare insieme. Ora la mamma è da sola; vive in quella grande casa tra gli alberi, tutta sola. E noi non possiamo fare nulla per alleviare la sua solitudine. E lei non vuole fare niente per colmarla. Ecco, io non so come la mamma fa ad andare avanti. Io non ne sarei capace. Se dovessi abbracciare questa cosa e a te dovesse succedere qualcosa, io da sola non vorrei andare avanti, e non perché non posso, o perché senza la tua presenza non sarei in grado di essere autosufficiente. Io non saprei andare avanti proprio perché mi daresti così tanto. Si inumidisce le labbra, Mia, e sospira ancora, mentre gli occhi le bruciano appena. « Puoi dire quello che ti pare, non devi neanche darmi una risposta. Ma non mettere mai più in dubbio la mia correttezza, perché ciò che decido di condividere ha un valore e lo intendo dalla prima all'ultima parola. E non riesco a vergognarmene. » Annuì, restando in silenzio per diverso tempo. Gli unici rumori attorno a loro erano i cinguettii degli uccellini all'alba e i loro respiri pesanti. Mia compì un altro passo nella sua direzione, incollando la fronte contro il petto di lui. Sentiva un bisogno spasmodico di stabilire un contatto, di sentire il calore della sua pelle, il suo profumo. Aveva bisogno di ricordare come si sentiva tra le sue braccia e infatti sciolse le mani dalla stretta di lui, circondandogli il busto in un abbraccio atto ad inglobarlo. Avrebbe voluto essere parte di lui, fondersi alle sue interiora per poter percepire fino in fondo cosa provasse e lasciargli al contempo la possibilità di percepire ogni brivido, ogni piccola sensazione che la sua vicinanza le provocava. Si sentiva al sicuro tra quelle braccia, Mia, e sentiva che con Raiden sarebbe stata estremamente felice. Non per un tempo limitato, non per qualche giorno, o per qualche mese, non per il tempo di una stagione o per qualche anno. Era certa, nel profondo del suo cuore, che il giovane Yagami poteva diventare davvero la sua strada, che con lui avrebbe potuto condividere più di qualche serata, stesi sul letto nudi a mangiare la pizza o del sushi scadente.
    Di scatto sollevò lo sguardo, posando una mano sulla sua guancia. Lo osservò carezzando la pelle liscia di lui con un moto di muta ammirazione, mentre con occhi lucidi dal colore mutevole ricercava il suo sguardo scuro. « Raiden.. » Un sussurro a fior di labbra, a pochi centimetri dalla bocca di lui. Il suo nome aveva un sapore così dolce. Il pollice di lei carezzò con gentilezza il suo labbro inferiore mentre si stringeva di più contro il corpo di lui posando un bacio gentile sul suo mento. « ..sei la persona più bella che io abbia mai incontrato. » La voce le si spezzò appena, tant'è che dovette prendere un piccolo sospiro prima di continuare. « Non hai bisogno di soldi o di un nome, perché hai già dentro più di quanto questo mondo si merita. » Più di quanto chiunque si meriti. Era sincera, Mia; gli parlava a cuore aperto, senza remore né filtri, con il timore di chi sapeva che così tanta sincerità avrebbe potuto ritorcerlesi contro. « A me non interessa.. non m'interessa cosa hai adesso.. perché mi hai dato così tanto. » E lo so che potresti darmi molto di più, aprirti molto di più. Forse nessuno dei due lo voleva all'inizio; forse tu soprattutto non volevi aprirti, ma lo hai fatto, e sei così bello che mi fai male. « Tu non hai proprio idea.. non so come spiegartelo.. cosa sento.. » E lì la voce le tremò mentre gli occhi lucidi si riempivano lentamente di lacrime. Anche l'altra mano raggiunse il suo volto, circondandoglielo con gentilezza. « ..come mi fai sentire. » Deglutì esercitando una leggera pressione sul volto di lui mentre scoppiava a piangere. « Io.. tu.. non è che mi piaci.. io.. » Io ti voglio così tanto che mi uccide. E non riesco neanche esprimerlo in parole. E infatti, le sue parole sconnesse furono accompagnate da un sospiro profondo, mentre cercava di frenare le lacrime abbassando per un istante lo sguardo per tentare di ricomporsi. Gli fece cenno di non interferire, di lasciarla finire. Perché forse in fondo, di un momento per trovare le parole giuste, aveva bisogno anche Mia. Perché parlare a vanvera senza dire nulla era un conto, ma dire qualcosa di significativo, era diverso. E lei era chiaramente incapace di farlo senza incartarsi. « ..io.. c'è molto di più. »Mia lo adorava già; lo aveva capito sin dal primo momento in cui Raiden l'aveva guardata nel buio della sua stanza, smuovendo in lei sensazioni mai esistite. Ne era rimasta incantata da quel misto di attesa e ammirazione, dal desiderio con cui scandagliava non solo la sua figura in tutta la sua carnalità ma anche la sua anima. Sin da quando ha toccato per la prima volta la sua anima, la giovane Wallace ha percepito un profondo cambiamento dentro di sé, come se di colpo avesse scoperto un universo del tutto nuovo che non solo voleva esplorare ma nel quale voleva tuffarsi con tutte le scarpe. « E questa cosa continua a crescere.. e mi consuma. Mi tortura, Raiden.. sapere che un giorno potresti non essere più qui mi spaventa da morire. » Vivo nel terrore che un giorno, bussando alla tua porta potrei trovarti intento a fare le valigie, o peggio ancora, ho paura che potresti già essertene andato. Io lo farei; so che farei così. Perché l'addio a questo punto non potrei sopportarlo. « Però.. » E dicendo ciò sospirò carezzandogli ancora la guancia con gentilezza incollando la fronte contro quella di lui. « ..ti prego ascoltami e cerca di prendere nella maniera giusta le mie parole. » Perché non sono mai stata più sincera e spaventata in tutta la mia vita. E Mia, era davvero terrorizzata da ciò che stava per dirgli; forse addirittura più terrorizzata di quanto era quando si trovava altrove, al freddo, sotto una coperta di grigio nella lunga notte. « Ho bisogno di qualche giorno. Solo qualche giorno. » Non voglio ascoltare l'istinto. Questa volta non ci riesco. Non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Non ti meriti una persona che ha dei dubbi, che pensa anche minimamente di non essere pronta. Ed io lo sento questo peso, in questo momento. Sento di aver bisogno di un minuto. Di pensare a mente fredda, di mettere in fila i miei pensieri. E lì i rivoli di lacrime presero a scorrere copiosamente sulle sue guance. « Ti prego.. ti supplico Raiden.. io non voglio buttarmi in questa cosa senza essere sicura.. di me stessa. » Perché nonostante tutto, Mia conosce se stessa abbastanza da sapere che nel corso del tempo il suo umore nei confronti delle situazioni tendeva a cambiare repentinamente e in pochissimo tempo. E le tue parole riuscirebbero a smuovere persino un sasso. Mia di certo ne era rimasta talmente colpita che mentalmente l'avrebbero dovuta raccogliere in un cucchiaino. Man mano che il discorso di Raiden era andato avanti, il suo cuore aveva preso a battere più forte, percependo in maniera quasi dolorosa di voler mandare al diavolo ogni sua condizione per andargli incontro. « Io.. non voglio mancarti di rispetto. » E quelle parole fuoriuscirono dalle sue labbra con un forma di ritualità che non aveva mai utilizzato nei confronti di nessuno fino a quel momento. Gli posò un bacio leggero sulle labbra mentre altre lacrime scorrevano sulle sue guance. Non era un addio. Sapeva non fosse così. Forse stava indugiando per pura cautela, stanando inutilmente una serie di insicurezze personali che non avevano ragione di esistere. Si sciolse a quel punto da quel abbraccio, tirando su col naso, mentre si passava i dorsi delle mani sugli occhi. « So che in un paio di giorni potresti cambiare idea.. magari l'hai già fatto.. non so.. » In realtà non voglio neanche saperlo. « Però preferisco così. Devo mettere in ordine alcune cose. E non hanno niente a che vedere con te.. davvero. » Perché io sento che ti meriti solo il meglio. E io ho bisogno di capire se posso dartelo. Non disse nient'altro, Mia; salì in macchina portandosi le ginocchia al petto e gettò lo sguardo fuori dalla finestra incollando la tempia contro il finestrino. Si chiuse a riccio, provando un senso di inadeguatezza e profonda tristezza, di rabbia verso se stessa e confusione totale. Che fosse nel pallone era evidente, che nei confronti di Raiden provasse molto più di una semplice attrazione fisica era altrettanto palese. Ad un certo punto, lungo la strada, dopo una lunga scia di pensieri sconnessi, col sole ormai alto nel cielo, Mia riaccese il cellulare, forte del fatto che si trovassero nei pressi di Hogsmeade. Compose pochi messaggi sul cellulare, ai quali ricevette abbastanza in fretta risposta. La campanella dell'ultimo messaggio coincise col loro arrivo nei pressi del campus, mentre una splendida domenica di sole, si affacciava su un castello ancora dormiente. Di scatto, gettò uno sguardo con la coda dell'occhio verso il posto del conducente. « Voglio tornare a casa per Pasqua. » Dice di scatto gettando lo sguardo di fronte a sé oltre il parabrezza. Inizialmente si era ripromessa di passare la settimana di stop a studiare, ma evidentemente allo stato attuale, le priorità di Mia sembravano essere cambiate. Aveva implorato Gabriel di convincere sua madre a farle una giustifica per i tre giorni di scuola che avrebbe saltato, permettendole di passare tutta la settimana che verrà a New Orleans. A scuola non avrebbero fatto storie. Mia non chiedeva quasi mai permessi per uscire, né si cacciava nei guai da diverso tempo. « Ho chiesto alla mamma e ha detto che puoi venire con me.. » Si schiarisce la voce stringendosi le ginocchia al petto ancora di più, timorosa della risposta che avrebbe potuto ricevere. « ..se ti va. » Pausa. « Mi prenotano una passaporta per Londra e i biglietti per questa notte, appena la segreteria mi accetta il permesso. » Abbassa lo guardo e deglutisce. « Io.. vorrei.. vorrei tanto che tu venissi con me. » Perché in realtà, non so nemmeno se voglio tornare a casa da sola. « Però.. non sentirti obbligato. Io.. capirei.. se non volessi.. sì.. insomma.. » Sospira. « Pensaci. »


     
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    I muscoli di Raiden sembrarono sollevarsi da una tensione che non aveva nemmeno realizzato consapevolmente di tenere, sciogliendosi a contatto col corpo di Mia quando le braccia della ragazza andarono a circondargli il busto. Sospirò, avvolgendole le spalle e posando una mano sulla sua nuca per carezzarle in silenzio i capelli e cullarsela al petto. Sentiva il proprio cuore martellare con forza, pompando sangue a ritmo velocizzato come in seguito ad una corsa. E forse, quel discorso appena concluso, era stato per lui un po' come una vera maratona. Si era preso il proprio tempo per percorrere a passo sostenuto una distanza piuttosto ampia all'interno del proprio animo. Ed era stato faticoso, più di una qualsiasi attività fisica a cui il suo corpo potesse mai essere stato sottoposto. Si sentiva esausto e spompato da quella giornata e dal modo in cui si era conclusa. A quel punto, qualunque cosa Mia avesse detto, Raiden non avrebbe trovato le forze psicologiche per ribattere: si sarebbe semplicemente fatto andar bene tutto, gettando le armi e accettando il destino dato. Chiuse gli occhi, abbandonandosi a quell'abbraccio silenzioso scandito solo dai reciproci battiti cardiaci. Un abbraccio che, per quel che ne sapeva, sarebbe potuto anche essere l'ultimo. Io non voglio che lo sia. Parole che non disse, quelle, ma che risultarono piuttosto evidenti negli occhi del ragazzo quando questi incontrarono lo sguardo di Mia. Ricercò con la guancia il contatto della sua mano, fissandola con un misto di tristezza e dolcezza negli occhi. Vulnerabile. Era così che si sentiva in quel momento: come se avesse dato a Mia il manico del coltello, lasciandosi completamente disarmato di fronte a lei, senza alcuna via di fuga. Si sentiva vulnerabile e non poteva farci nulla, perché in fin dei conti era stato lui a scegliere di farsi vedere sotto quella luce, per quanto difficile fosse stato e per quanta violenza psicologica avesse dovuto attuare su se stesso per arrivare a quel punto. Avrebbe saputo gestire un rifiuto? Certamente. Raiden era bravo ad incassare colpi, era ciò che sapeva fare meglio. Gli avrebbe fatto un male cane lì sul momento, ma pian piano ne sarebbe uscito in piedi, allontanandosi dalla vita della giovane Wallace senza fare scenate o trambusto. Era chiaro, tuttavia, che desiderasse ben altro. « Raiden.. » Un sospiro sfuggì dalle sue labbra nel sentirle pronunciare il proprio nome. Chiuse gli occhi, incollando la fronte a quella di Mia e posando una mano sulla sua guancia. I lineamenti del moro sembrarono corrugarsi, accartocciarsi su se stessi come nello sforzo di rimanere immobili, di resistere alla tentazione di baciarla o, in alternativa, di scoppiare in lacrime..o forse entrambe le cose. Perché avrebbe dovuto piangere? Non ne aveva idea. Ma una parte di sé sentiva di averne bisogno, di necessitare di quella catarsi come si necessita dell'ossigeno per respirare. Provava emozioni troppo forti, troppo violente in ogni loro estrinsecazione. E poi c'era il substrato: c'era tutta quella giornata appena trascorsa e lo stress che naturalmente si era andato ad accumulare anche a dispetto della sua calma stoica. Poco più di ventiquattro ore addietro, Raiden stava giacendo sul pavimento della propria stanza, sporco di sangue, col veleno che gli scorreva nelle vene e in bilico tra una vita tormentata da incubi e la morte. E adesso era lì, ad aprire il proprio cuore ad una ragazza che avrebbe potuto tranquillamente rifiutarlo. Per quanto controllato potesse essere, il giovane Yagami era pur sempre un essere umano. « ..sei la persona più bella che io abbia mai incontrato. » Serrò ulteriormente le palpebre, mordendosi l'interno del labbro mentre scuoteva appena il capo in un movimento appena percettibile. C'era un'ultima barriera rimasta, un ultimo senso di sicurezza a cui Raiden si stava aggrappando per proteggersi: quello di non lasciare che le lacrime scendessero lungo le proprie guance. Qualcosa che avrebbe inevitabile percepito almeno in parte come una sconfitta personale, come una perdita di terreno sul proprio stesso controllo. « Non hai bisogno di soldi o di un nome, perché hai già dentro più di quanto questo mondo si merita. A me non interessa.. non m'interessa cosa hai adesso.. perché mi hai dato così tanto. » Non è vero. Non sentiva di meritare quelle parole, non in quel momento. Per quanto potesse essere certo del fatto che a Mia non importasse nulla di quegli aspetti quasi venali, Raiden sentiva comunque il non possederli come una mancanza, come un qualcosa che lo rendeva da meno e che gli toglieva automaticamente valore. Io vorrei averle, quelle cose. Non perché mi interessino come fattori in sé. Non ho mai sentito il bisogno di vivere nel lusso: il mio naturale stile di vita è spartano. Sono abituato a farmi andar bene le peggiori condizioni, a dormire all'addiaccio - sulla pietra, sul terreno, sul pavimento. Non è un problema per me. Non ho neanche bisogno di essere osannato e riverito, perché ho fatto il callo anche ad essere trattato come un cane. Però quelle cose le voglio lo stesso, perché altrimenti mi sento come se avessi poco o nulla da offrire al prossimo, come se l'unica sicurezza che io possa dare sia la mia parola. E della parola chi mai si fida? « Tu non hai proprio idea.. non so come spiegartelo.. cosa sento.. come mi fai sentire. Io.. tu.. non è che mi piaci.. io.. io.. c'è molto di più. E questa cosa continua a crescere.. e mi consuma. Mi tortura, Raiden.. sapere che un giorno potresti non essere più qui mi spaventa da morire. » Anche l'altra mano raggiunse il volto di lei, racchiudendolo in una stretta tanto sicura quanto delicata che tentava come poteva di asciugarle le lacrime dal viso. Ti prego, non piangere. Anche se non sei triste. Anche se sono lacrime di diversa natura. Non piangere. Esalò un sospiro che fu quasi un singhiozzo, ritrovandosi ad annuire con veemenza. « Lo so, Mia.. io.. io lo so.. » Lo sento. Lo so cosa provi per me. Non c'è bisogno che tu lo dica. Forse non c'è nemmeno una parola, per dirlo. L'importante è che io lo senta.. e che tu senta di non essere l'unica. Nel suo piccolo, Raiden le stava dando tutto quanto: stava aprendo il proprio spirito e il proprio cuore per lasciarla entrare, dandole modo di guardarsi intorno e abituarsi a quell'ambiente tanto astratto e diroccato quanto paradossalmente accogliente. Voleva che anche lei sentisse ciò che lui provava. Guardati intorno, prenditi il tuo tempo, tutto quello che ti serve. Osserva, studia, ambientati. Perché è vero che non posso offrirti molto altro di materiale in questo momento, ma questo posto fuori dai confini dello spazio e del tempo te lo sto comunque donando. E potrebbe essere un posto in cui tornare ogni qualvolta tu ne senta il bisogno. Potrebbe essere un porto sicuro, una casa.. se tu lo volessi. « Però.. ti prego ascoltami e cerca di prendere nella maniera giusta le mie parole. » Una premessa, quella, che parve mandarlo in apnea, come se si stesse preparando al peggio. Raiden non era uno smidollato, non era il tipo da dare per scontato che i sentimenti fossero una strada spianata, che fossero una condizione necessaria e sufficiente. Perché a volte i sentimenti non bastano. A volte, per quanto forti, non sono comunque sufficienti.. perché abbiamo bisogno anche di altro. E lui non poteva sapere, di cosa altro avesse bisogno Mia, ma lo avrebbe rispettato comunque, proprio perché cosciente di questo fattore. « Ho bisogno di qualche giorno. Solo qualche giorno. Ti prego.. ti supplico Raiden.. io non voglio buttarmi in questa cosa senza essere sicura.. di me stessa. Io.. non voglio mancarti di rispetto. » Un tenue sorriso andò a delinearsi sui tratti del ragazzo. Non era delizia, né contentezza, né felicità. Era diverso, non negativo, ma nemmeno totalmente positivo. Era comprensione, e rispetto, e pazienza. Annuì, poggiando le labbra su quelle di Mia con tenerezza, senza impeto o pressione, mentre continuava ad asciugarle le lacrime dal viso con pacata dolcezza. E poi fu di nuovo la distanza tra di loro - una distanza necessaria che Raiden accettò senza imporsi. « So che in un paio di giorni potresti cambiare idea.. magari l'hai già fatto.. non so.. Però preferisco così. Devo mettere in ordine alcune cose. E non hanno niente a che vedere con te.. davvero. » Tirò su col naso, prendendo un profondo respiro mentre annuiva, serio. « Non devi preoccuparti di questo, Mia. Io non sono il tipo che cambia idea in un paio di giorni. » Pausa. Inclinò leggermente il capo di lato. « E so aspettare. » Stese un lieve sorriso, incrociando lo sguardo col suo come a volerla tranquillizzare. « Prenditi tutti i giorni di cui hai bisogno. »
    Sapeva che il viaggio in macchina sarebbe stato silenzioso. E con quella consapevolezza, per evitare che si creasse un senso di eccessivo imbarazzo, Raiden aveva fatto partire la radio per colmare il silenzio e accompagnare al contempo con la musica i propri pensieri, lasciandoli fluttuare verso qualunque lido decidessero di andare. Si concentrò sulla strada e su considerazioni di tipo quotidiano, evitando di riflettere eccessivamente su ciò che era appena accaduto tra loro per paura che la propria tendenza a rimuginare potesse rivelarsi in qualche modo controproducente. Archiviò, almeno per il momento, l'intera faccenda, richiamando pian piano a sé il naturale controllo e la pacatezza che lo connotavano. Aveva ormai riacquistato gran parte del proprio equilibrio quando, prossimi ad entrare nella zona del campus, Mia parlò. « Voglio tornare a casa per Pasqua. » Pasqua. Raiden ne aveva sentito parlare dai propri amici, specialmente da Antonio. Sapeva che le lezioni si sarebbero fermate per qualche giorno e, in linea generale, sapeva di cosa si trattasse. Era una festività cristiana e dunque, per lui, parzialmente sconosciuta e del tutto indifferente. In ogni caso, considerato lo stop delle attività scolastiche, il giovane Yagami si era comunque lasciato coinvolgere nei programmi di alcuni compagni, acconsentendo a partecipare ad un piccolo campeggio di pochi giorni organizzato da quelli che sarebbero effettivamente rimasti su suolo inglese senza tornare dalle famiglie. Si limitò quindi ad annuire, svoltando verso una delle stradine che immetteva nella zona più periferica e residenziale di Hogsmeade. « Ho chiesto alla mamma e ha detto che puoi venire con me.. se ti va. » Dire che quelle parole lo presero in contropiede sarebbe stato un'eufemismo. Corrugò lievemente le sopracciglia, gettando uno sguardo veloce con la coda dell'occhio in direzione di Mia, confuso. Raiden aveva dato per scontato che quella richiesta di qualche giorno per riflettere contemplasse naturalmente una certa distanza tra loro. Lo so che hai detto che non ha nulla a che fare con me, ma.. non lo so, pensavo volessi prenderti un attimo di pausa. Cioè, credevo volessi riflettere da sola, senza la mia interferenza. Ma evidentemente aveva capito male. E forse il giovane Yagami avrebbe pure tentato di incoraggiarla a prendersi quel tempo per se stesso, convinto che fosse ciò che in fondo voleva anche lei, se non fosse stato per quelle precise parole appena pronunciate. Ho chiesto alla mamma. Mia aveva chiesto a sua madre di poterlo portare con sé. Quindi tu vuoi che io venga. Un punto, quello, che non gli infondeva un senso di terrore o di blocco. Raiden aveva messo sul piatto di Mia un tipo ben specifico di legame, uno che nel proprio sistema culturale includeva in sé diverse tappe, considerazioni e fattori. La famiglia, ad esempio, ne era un punto fondamentale. Certo, il Grifondoro sapeva quanto le cose funzionassero in maniera diversa lì in Occidente, ma non poteva ignorare di certo i propri, di valori. Sentiva quasi come un obbligo morale, una tappa necessaria, quella di presentarsi alla famiglia di Mia dal momento in cui le aveva palesato una certa serietà nelle proprie intenzioni. Era suo dovere farsi conoscere e farsi accettare, per quanto sapesse che ciò non comportasse lo stesso schema di rigide regole che invece comportava in Giappone. « Mi prenotano una passaporta per Londra e i biglietti per questa notte, appena la segreteria mi accetta il permesso. Io.. vorrei.. vorrei tanto che tu venissi con me. Però.. non sentirti obbligato. Io.. capirei.. se non volessi.. sì.. insomma.. Pensaci. » Rimase in silenzio per qualche istante, giusto il tempo di svoltare tra i vicoli e fermare la macchina nell'ultimo punto più vicino al castello di Hogwarts che potesse raggiungere con quel mezzo, spegnendo il motore. Sorrideva. Per quanto consapevole di ciò che si erano detti poco prima, Raiden sentì comunque un moto di felicità nei confronti di quel programma. È vero, tu queste cose non le sai e non ci stanno nella tua testa. Probabilmente hai motivi e intenzioni completamente diverse da quelle con cui io sono abituato a prendere queste situazioni, però per me è pur sempre importante. È la tua famiglia, e tu mi stai facendo conoscere a loro. Si voltò a guardare Mia, annuendo con un sorriso sereno. « No, mi farebbe piacere venire. » Sospirò, appoggiando il capo contro la testiera del sedile. « Certo.. ti avviso che non so molto sulla Pasqua, ma cercherò di arrivare preparato per stasera, ok? » Le stirò un sorriso genuino, allungando una mano per intrecciare le dita a quelle di lei con delicatezza. Un altro sospiro. Un altro silenzio. Osservò il palmo di lei, sollevandole poi la mano per portarsela alle labbra e poggiarle un piccolo bacio sul dorso. « Ci vediamo stasera alla stazione delle passaporte. » E così era cominciata quella corsa contro il tempo, lasciando Mia al castello per seguire in solitaria una serie di punti redatti velocemente nella propria lista mentale di cose da fare. Innanzitutto si era preso un bel bibitone di caffè, ritornando poi subito al volante per farsi tutto il tragitto verso l'autonoleggio di Edimburgo e restituire la macchina. A quel punto si era quindi smaterializzato alle porte di Hogsmeade, tornando a passo svelto nella propria stanza - non prima di aver reclutato la persona più fastidiosamente puntigliosa nella propria cerchia di conoscenze: Delilah Taylor. « Praticamente si celebra la resurrezione di Gesù Cristo, il quale è stato crocefisso, espiando i peccati dell'umanità. » « Il figlio di Dio, giusto? » chiese, più per conferma che altro, mentre con la bacchetta piegava meticolosamente alcuni capi d'abbigliamento, spostandoli ad occupare posizione ben ordinate e logicamente divise nel borsone. « Esatto! » « E che c'entrano le uova? » Sbuffò, Delilah, raggiungendo il borsone di Raiden per tirarne via una grossa felpa rosso bordò e ricacciarla nell'armadio. Il ragazzo le rivolse un'occhiata, sollevando un sopracciglio. Stai cercando di dirmi poco velatamente come non devo vestirmi, Lilah? Wow. Povero Jeff. « Su Raiden, sono un simbolo. La rinascita. Non è tanto difficile. Come usanza è nata nel Medioevo, però: le uova si regalavano alla servitù. Che poi scusa, ma tua madre non è tedesca? Dovresti saperle queste cose. » Sospirò, il Grifondoro, tornando all'armadio per riappropriarsi della felpa rossa e lasciarla cadere eloquentemente nel borsone. « Innanzitutto sì, mia madre è tedesca, ma la sua famiglia è di religione ebraica. In secondo luogo non importa comunque perché in casa non ne abbiamo mai festeggiato le ricorrenze, quindi sto a zero. Ma vabbè.. in linea generale penso di aver afferrato il concetto. Prima di lasciarti libera, però, volevo chiederti un favore. » « Spara! » Proferì lei, mentre dalla borsa estraeva alcuni oggetti che si era portata dietro. Quando Raiden l'aveva reclutata per i preparativi, spiegandole a grandi linee la situazione, non aveva preventivato che la ragazza potesse partire di testa propria e prendersi la libertà di dare per scontato cosa lui non possedesse e di procurarglielo. Acqua di Colonia? Ma stiamo scherzando? E non solo. Rimase interdetto, fissandola in silenzio mentre lei procedeva come se nulla fosse a sistemargli in valigia crema solare, crema dopo-sole, tappi per le orecchie, cuscino da viaggio, gel disinfettante e chi più ne ha più ne metta. « Allora? » Sbatté leggermente le palpebre, scuotendo appena il capo. « Scusa, stavo solo aspettando di capire se ti fossi portata dietro anche un mini ferro da stiro. » Sospirò. « Il favore. Sì. Ho contattato tutti i ragazzi a cui do ripetizione per avvisarli che non ci sarò questa settimana. Tuttavia ci sta una ragazzina del primo anno che ha bisogno di una certa continuità. È dislessica, quindi va un po' più a rilento e la vedo tipo tre volte a settimana per aiutarla a studiare e fare i compiti. Non è che potresti pensarci tu? » Delilah si strinse nelle spalle con una certa semplicità indifferente. « Certo, nessun problema. Lasciami nome, recapito e qualche informazione, poi ci penso io. Però in cambio te ne devo chiedere anch'io uno, di favore. » Si fermò, fissandola con l'aria cauta di chi si aspettava il peggio, mentre lei, dal canto suo, prendeva un foglietto colorato dalla scrivania e vi scribacchiava sopra qualche riga. Una volta finito, si avvicinò a Raiden e gli porse il foglietto con un sorriso. A fronte corrugata, il giovane Yagami lesse un elenco di bizzarre parole a cui non riusciva a dare un senso, nemmeno fossero scritte in ostrogoto. Bad lil thing, 22, Leave him on red, True Brown K. « Mh.. » alzò le iridi, fissandola da sotto le ciglia. « È un indovinello? » Esasperata, Delilah alzò gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente. « No Raiden, sono i lip kit di Kylie Jenner. Qui non si trovano e vorrei che tu me li comprassi. Poi ti ridò i soldi, tranquillo. » E faremo anche questa.
    Fu una fortuna, quella di aver avuto abbastanza tempo per riposarsi prima di partire, perché il viaggio fu piuttosto lungo. Non c'era un volo diretto da Londra a New Orleans, motivo per cui furono costretti a fare uno scalo e a passarsi ben tre aeroporti babbani pieni di controlli sanitari e di sicurezza. Ebbe comunque modo di dormire un po' anche in aereo, ringraziando mentalmente Delilah per quel cuscinetto da viaggio che riuscì a salvargli il collo da inevitabili dolori e posizioni scomode.. quando lo usò effettivamente. Perché, ovviamente, lo cedette a Mia al primo sbadiglio. Mentre lei dormiva, Raiden ascoltava la musica o buttava giù qualche idea per il nuovo pezzo che Maya gli aveva chiesto di fare. Quando entrambi erano svegli, invece, occupavano il tempo giocando a un gioco italiano di carte che Antonio aveva insegnato loro. Se le era portate dietro, Raiden, quelle carte, consapevole del fatto che il viaggio sarebbe stato lungo e che non fosse escluso un certo strascico di imbarazzo tra loro. Tuttavia, se pure ci fosse stato, il giovane Yagami tentò il possibile per ignorarlo o eliminarlo del tutto, comportandosi nella più tranquilla delle maniere. Alla fine del viaggio, Raiden era dunque fresco come una rosa, col portafoglio pieno per via di una fortunata contingenza che l'aveva visto inconsapevole vincitore della lotteria della linea aerea e con in tasca un disegno regalatogli dal bambino urlante di quattro anni che era riuscito a placare tramite la pazienza applicata per un'ora intera a dargli gioco, attirandosi la gratitudine e il plauso di mezzo aereo - oltre all'adorazione del bambino stesso. Era semplicemente impressionante, quella capacità di Raiden di cadere sempre in piedi, per fortuna o capacità, in qualunque situazione.
    « Mh.. fammi capire. Se ti dico che questo vestito mi piace un sacco e che sei molto bella vado in qualche modo ad ostacolare il tuo processo di riflessione oppure..? » le chiese con tono ironico, accarezzandole appena la schiena prima di mettersi il borsone in spalla e prenderle la valigia dalle mani. La fissò per qualche istante con un sorriso sornione, scattando poi col viso in avanti in un movimento veloce atto a rubarle un bacio dalle labbra prima di riprendere le distanze con una risata. Anche Raiden, ovviamente, si era cambiato, mettendosi un paio di jeans che non fossero strappati o larghi e una camicia bianca leggera di cui aveva arrotolato le maniche fino ai gomiti. Checché se ne dicesse, Raiden ci teneva a presentarsi per bene, anche a dispetto di tutte le rassicurazioni di Mia riguardo lo stile decisamente informale della sua famiglia. Il punto, per lui, non era quello. Sapeva che nessuno lo avrebbe giudicato se si fosse presentato in t-shirt, ma non voleva comunque farlo. È una questione di rispetto. Forse da voi non saranno degli elementi fondamentali, questi, ma una presentazione decorosa è sinonimo di riguardo e cura a qualsiasi latitudine e longitudine. E infatti furono proprio quei valori per lui imprescindibili a farlo arrivare di fronte agli Wallace con un vassoio di dolcetti assortiti e un mazzo di fiori per la madre di Mia. Nell'incontrarli, l'abitudine e l'istinto ebbero la meglio su di lui, portandolo a inchinarsi in una rispettosa riverenza nel momento stesso in cui loro avanzarono una mano per stringere la sua. Ci mise una frazione di secondo a riprendere dall'empasse culturale, apprestandosi subito a recuperare terreno e stringere la mano tanto dei presenti. Probabilmente fu evidente già nell'immediato, alla famiglia Wallace, quanto poco informale fosse lo stile di comportamento con cui il giovane Yagami era abituato a porsi in quelle situazioni; ringraziava e si scusava per qualunque cosa, non si metteva mai a sedere prima di essere invitato ad accomodarsi, non toccava cibo fin quando la signora non iniziava a mangiare e si prendeva carico di qualunque faccenda domestica fosse necessaria nel dato momento. Eppure non sembrava fare quelle cose con nervosismo o timore, Raiden non stava sulle spinte intorno a loro: quei gesti erano semplicemente una seconda natura per lui, qualcosa a cui era abituato e che dava per scontato essere il comportamento adeguato alla situazione. Per il resto era sciolto: parlava, poneva domande e stava allo scherzo quando ce n'era uno, dando letteralmente il meglio di sé senza alcuno sforzo. Rimasero a lungo al tavolo della cena anche dopo aver sparecchiato e lavato i piatti. Tuttavia non fecero particolarmente tardi, forse perché la famiglia di Mia si immaginò la stanchezza che i due ragazzi dovevano provare in seguito al lungo viaggio. E così, mentre la fidanzata di Gabriel si organizzava con la Serpeverde per la serata successiva, questo si avvicinò a Raiden con sguardo serio. « Dato che loro stanno già facendo progetti, direi che domani sera potrei portarti a prendere una birra in uno di quei locali in cui suonano jazz. Che ne dici? » Poco prima, infatti, il giovane Yagami aveva accennato vagamente al suo attaccamento verso quel genere musicale. Sorrise, dunque, nel constatare che Gabriel avesse registrato quell'informazione, e annuì. « Certo. Mi farebbe piacere. » E così, tra un convenevole e l'altro, la famiglia si separò e
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    Raiden si avviò verso la dependance nel quale gli era stata data sistemazione, lasciando modo a Mia di avere del tempo da sola con sua madre nella casa principale. Si mise a sedere sul dondolo nella veranda della dependance, ad ascoltare i suoni tranquilli della sera americana immersa nella natura e nella quiete. Chiuse gli occhi, concentrandosi su quei rumori leggeri e sul familiare odore di calura e umidità. C'erano note diverse in quei profumi, rispetto a quelli che conosceva, ma anche una forte somiglianza familiare. Si sentiva a proprio agio in quella temperatura, in quel clima che ti faceva appiccicare i vestiti addosso già dai primi soffi primaverili. Sorrise tra sé e sé, riaprendo gli occhi sulla trapunta stellata del cielo e sospirando. Ce l'abbiamo fatta, papà. Siamo qui. Vorrei tanto che ci fossi anche tu per vedere questo posto.. e conoscerla. Ti piacerebbe un sacco, lei. Tirò su col naso, sbattendo le palpebre sugli occhi leggermente lucidi prima di alzarsi e rientrare. Nel ricercare il bagno adocchiò un vecchio pianoforte di legno nel salottino, registrandone la presenza. Il tempo di farsi una doccia e mettersi un paio di pantaloni della tuta, ed ecco che Raiden era lì, ad accarezzare quei tasti con muta ammirazione. Si lasciò trascinare abbastanza dalle sensazioni, suonando quel che gli pareva, più di una canzone, a volte senza nemmeno finirle, e arrestandosi solo quando sentì la porta d'ingresso aprirsi e i passi di Mia farsi largo sulle tavole di legno. Si voltò appena a guardarla, sorridendole in silenzio per qualche istante prima di umettarsi le labbra, sospirare e riportare lo sguardo ai tasti. Corrugò la fronte, tentando di comporre nella propria testa la melodia della canzone che gli era venuta in mente nel vederla. Un altro istante di silenzio e poi, come se fosse sempre stata sulla punta delle sue dita, la canzone cominciò a scorrere armoniosamente sulla tastiera. Alle volte sollevava lo sguardo su di lei, sorridendole, o ridacchiando. Era felice, a modo suo: una felicità tranquilla, senza impeti fiammeggianti o scoppi di gaudio, ma solo un senso di profonda serenità. Quando finì di suonare, ritrasse piano le mani, richiudendo con attenzione la vecchia tastiera prima di voltarsi a guardare la mora con un sorriso infuso di pace. « Grazie di avermi portato qui. » Ci tenevo. Ma questo lo sai già. Sai già perché. Te ne avevo parlato. Le poche parole che disse uscirono piano dalle sue labbra, con voce pacata, mentre allungava appena una mano nella sua direzione per carezzare le sue nocche con un contatto delicato. Le osservò, disegnandone i contorni col pollice prima di risollevare lo sguardo nelle sue iridi. « Hai una bella famiglia, Mia. » Per quanto semplici e apparentemente circostanziali, quelle parole sembravano avere un significato specifico e profondo per Raiden, un peso che forse era noto soltanto a lui. Mi piacciono. E spero di piacergli anche io. Lo vorrei davvero. Forse perché mi ricordano qualcosa che non ho più, forse perché semplicemente mi importa, o forse entrambe le cose. Non lo so. Ma è davvero una speranza che vorrei si realizzasse. Sospirò, lasciando cadere la mano con leggerezza a carezzarle il fianco e il tessuto del vestito, senza malizia o secondi fini, ma con semplice quanto profonda ammirazione. Era bella, Mia, era davvero molto bella, e in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarla, farla sedere sulle proprie ginocchia e suonare con lei tutta la notte. Ma non fece nulla di tutto ciò, limitandosi a lasciarle qualche leggera carezza prima di far ricadere la mano, dando uno sguardo al pianoforte. « Qualcuno suona, in famiglia? »

     
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    « Va beh ma in tutto ciò? Ieri sera..? E' tipo ufficiale? » Aveva chiamato Ronnie non appena aveva lasciato la macchina di Raiden. Si erano date appuntamento nella stanza di lei, dove Mia la introdusse senza troppe difficoltà. Complice la totale assenza di Alyssa che le aveva dato il permesso di prendere in prestito qualunque cosa avesse ancora l'etichetta attaccata, e di Nessie che a sua volta era già partita, le due avevano campo libero per spettegolare. « Cosa? » « Va beh, ciao core! Tu e Raiden. » In tutta risposta Mia si stringe nelle spalle e alza gli occhi al cielo. « No. » Mentre sceglie con l'aiuto dell'amica cosa portarsi dietro, le racconta tutta la storia, evitando particolari riguardanti cadaveri e luoghi specifici. Nota lo sguardo sognante della Rigby diverse volte, ma Mia, dal canto suo si sente ancora abbastanza confusa da tutta quella situazione. A ciò si aggiunge il nervosismo relegato al ritorno in patria, e i tanti dubbi su come percepirà casa sua dopo tutto quel tempo. « Adesso capisco questo saltare gli ultimi giorni di lezioni. » E lì sul momento Mia si volta nella sua direzione, preparando il trasportino di Ringo. « No ma lui viene con me. » La perplessità di Ronnie è evidente. Per un istante sembra essersi incartata mentre tenta di dare una consecutio a tutto ciò che le è stato raccontato. « Quindi fammi capire. Raiden ti ha chiesto di fare sul serio, tu gli hai chiesto del tempo per pensarci. Hai chiamato tua madre chiedendole di tornare a casa. E poi te lo porti dietro. A casa tua. Da tua madre. Per Pasqua. » Mia la osserva con una certa dose di indifferenza, come se la cosa filasse perfettamente nella sua testa. E' chiaro che a quel punto ci sono ben altre cose che la stanno scuotendo molto più dell'eventuale presenza di Raiden a casa sua. « Esattamente. » Pausa. « Mi passi i libri per piacere? Sono quelli sulla scrivania. » Ronnie è perplessa; la osserva incredula per qualche istante prima di muoversi a passarle uno ad uno i manuali che Mia ha deciso di portarsi dietro. « Ma tu sei sicura.. » C'è cautela nella voce della mora e Mia annuisce con tranquillità. « Boh.. si. Guarda non lo so, Ronnie, sto facendo un po' quello che mi sento. Mi sentivo così, e così ho fatto. Poi vedrò strada facendo. Allo stato attuale sono un attimo.. » Sgrana gli occhi e scuote la testa. « ..sconvolta. E' che fino ad ora siamo stati insieme con una precisa logica; mi servono un paio di giorni, in cui non mi devo comportare come se vedessi un tipo con cui scopo e basta. E poi.. » Sospira e si stringe nelle spalle. « Per lui New Orleans è un posto particolare. Ci tiene. » E a me va di mostrargliela. Punto. Non voglio ricamarci troppo sopra. Mi andava e basta. E infatti, di fronte all'evidente difficoltà di Mia di spiegarsi, le due cambiano argomento, parlando piuttosto dell'estate, momento in cui le due avevano già programmato di tornarci insieme, per il matrimonio di Gabriel.
    « Mh.. fammi capire. Se ti dico che questo vestito mi piace un sacco e che sei molto bella vado in qualche modo ad ostacolare il tuo processo di riflessione oppure..? » Arrossì Mia, colta di sorpresa dal contatto con le dita di Raiden che sciolsero la sua presa sulla propria valigia. Il volo fu tutto sommato piacevole. Nonostante l'iniziale tensione dovuta all'idea di tornare a casa, la presenza del Grifondoro l'aveva ben presto distratta. Tra giochi vari ed eventuali, risate e momenti di riposo, lentamente aveva sentito defluire ogni preoccupazione, concentrandosi piuttosto sul semplice stare in compagnia, lasciandosi catturare da ogni stimolo esterno. Come quel bimbo urlante che Raiden aveva intrattenuto per diverso tempo, provocando sonore risate indiscrete da parte di Mia; durante gli scali avevano vagato tra negozi di vario genere senza motivo alcuno, comportandosi esattamente come due giovani in esplorazione, curiosi di scoprire cosa i Duty-free avessero da offrire. Si erano curati di tranquillizzare i gatti e avevano persino trovato il tempo di sfogliare riviste commentando il nulla e ridendo senza motivo alcuno. Era semplice stare in sua compagnia, posare la tempia contro la sua spalla e osservare il decollo e l'atterraggio degli aerei, gettando lì una battuta senza senso per far ridere entrambi. Insomma, non le aveva proprio sentite quelle dodici ore di viaggio, tant'è che giunti alla meta era fresca come una rosa, fasciata da un bel vestito adatto al clima appiccicoso della Louisiana. « Daaaaai Raiden, ce la faccio da sola! Passami almeno lo zaino. » Viaggiavano leggeri, Mia e Raiden, se non si considerava il trasportino che Ringo aveva necessariamente dovuto dividere con un passeggero di troppo che nessuno di loro aveva inizialmente considerato. Seppure il piccolo compagno della Wallace amasse i propri spazi, alla fine, dopo un'iniziale diffidenza, aveva accettato senza troppe difficoltà la presenza del gattino senza nome, giungendo persino a giocare e dormire senza curarsi troppo l'uno della presenza dell'altro. E così, aveva passato il viaggio dall'aeroporto a casa, a mostrargli di passaggio alcune delle attrazioni della città, raccontandogli in maniera sommaria la conformazione della parte magica e come i cacciatori andavano a inserirsi in quel complesso tessuto. Il Quartiere Francese è quasi completamente dominato dalla popolazione magica, che in Louisiana preservava una forte matrice cristiana. Gli raccontò delle streghe voodoo, che avevano come guida la famosa voodoo queen, Marie Laveau; gli raccontò di come i maghi di New Orleans avevano rotto i rapporti con il MACUSA più di due secoli prima, unendo le loro forze alla missione del Credo. Sono state loro a scoprire la matrice magica del cluster di cacciatori di quelle zone, e sempre loro hanno insegnato alla sua gente come sfruttare la magia nelle loro missioni. C'era una forte commistione e unione tra i due gruppi, seppur ciascuno avesse le proprie prerogative. C'era un gran rispetto e riverenza nei confronti delle due comunità. I cacciatori custodivano e offrivano protezione al Quartiere Francese, e in cambio le streghe voodoo fornivano loro supporto per qualunque missione avessero svolto in passato. Con l'attivazione del branco e la presa di coscienza di un'accezione ancora più divina, i rapporti si sono intensificati; non a caso, tra le fila degli abitanti del Quartiere Francese, diversi si erano trasformati, altri ancora avevano scoperto di essere sin eater. I Lycan vivevano ancora fuori dalla città; preferiamo le intemperie della nostra amata riserva naturale. Nessuno ne conosce i segreti meglio di noi. Ma nonostante ciò, diversi continuavano a vivere in pieno centro, lamentandosi costantemente dei turisti e sperando che prima o poi quella che ormai consideravano la loro terra, potesse essere in un modo o nell'altro rivendicata, nonostante le pressioni del MACUSA. Fatto sta che siamo sempre stati inevitabili - noi e loro. New Orleans, al pari di altri avamposti ha una storia ed è un centro di potere, un avamposto importantissimo per la Città Santa e il Credo. Ma per Mia era anche un posto maledetto e man mano che si avvicinavano a casa sua, attraversata la città, le tensione nelle sue membra si acuì. La casa degli Wallace, era una tipica dimora in stile coloniale, immersa nel verde tra alberi verdeggianti e una quantità impressionante di instancabili zanzare. Giunti infatti al limitare della città dove chiese al taxi di fermarsi, Mia non poté fare a meno di colpirsi con un certo nervosismo la spalla, beccando in pieno una zanzara, prima di alzare gli occhi al cielo. « Posso dire che tutto ciò non mi manca affatto? » Si mise lo zaino in spalla e afferrò il trasportino facendogli strada verso l'entrata nel territorio dei Lycan dove li aspettava niente meno che Gabriel. Mia scosse la testa lasciando a terra tutto quanto per andargli incontro abbracciandolo fortemente. « Bentornata a casa, Speedy. » Mia annuì, lasciandosi scompigliare i capelli prima di voltarsi in direzione di Raiden facendogli cenno di avvicinarsi. « Lieto di vederti sano e salvo. La prossima volta, lascia un'insegna luminosa accanto al foglietto illustrativo. Speedy è un po' rincoglionita. » « Gabe! » Il fratello le mise un braccio attorno alle spalle prendendole lo zaino e il trasportino, accompagnandoli così verso casa, tra chiacchiere di circostanza e risate varie. Mia gettò uno sguardo esasperato in direzione di Raiden scuotendo la testa. E' una storia lunga. Non fecero in tempo a percorrere il lungo vialetto che li divideva dalla proprietà, che sua madre spalancò la porta sistemandosi sul portico assieme a Meredith, la fidanzata di Gabe, scrutandoli in anticipo per tentare di studiare il nuovo arrivato. Ecco che si fanno subito riconoscere come le comari in veranda. D'altronde non era poi un evento così comune che Mia portasse un ragazzo a casa. Non lo aveva mai fatto prima di allora, e in ogni caso checché se ne dica, nessuno dei fratelli aveva mai portato qualcuno a cena a meno che non si trattasse di qualcosa di serio. Lo sapeva anche Mia, sin troppo bene, ma nonostante ciò, continuava a restare piuttosto salda sulla sua posizione secondo cui, aveva bisogno di qualche giorno per decidere. Ricongiungersi con sua madre sulla soglia di casa fu emozionante, e tutto sommato risvegliò in entrambe un leggero attacco di commozione di fronte al quale Gabe spostò lo sguardo altrove, permettendo alle due donne di casa di abbandonarsi a tutto quel carico emotivo che solo chi aveva seguito la loro storia passo dopo passo poteva avvertire e comprendere. Era ancora bella come un fiore, Gillian Wallace. Nonostante avesse compiuto cinquantacinque anni qualche mese prima, poteva dimostrarne almeno una decina in meno senza grandi difficoltà. Alta e snella come la figlia, preservava nonostante le rughe d'espressione un'aspetto estremamente gioviale. E infatti, la cena che condivisero nel giardino interno fu estremamente impersonale e intima, tra risate e aneddoti di ogni sorta. Sua madre si era impegnata a dare il benvenuto a Raiden nella maniera più calorosa possibile, ricoprendolo di ogni gentilezza possibile, invitandolo sempre a servirsi senza fare complimenti e coinvolgendolo sempre in tutti i discorsi. Persino Gabriel si mostrò gentile, seppur più risoluto, a differenza di Grace che s'incollò per tutta la serata al giovane giapponese, riempiendolo di domande. Tutti gli porsero domande e lo coinvolsero nelle conversazioni senza mai risultare troppo invadenti, e stranamente, nonostante si aspettasse un fiasco da un momento all'altro, tutto decorse in maniera quasi ideale, tant'è che ad un certo punto non si preoccupò di lasciare Raiden in compagnia di Gabe per organizzarsi con Meredith per un pomeriggio tra sole donne. L'amica voleva farle vedere il vestito da sposa, e al contempo approfittare della sua presenza per farle provare il vestito da damigella che era stato confezionato per lei sulla base di misure mandate da Mia alla bell'e meglio. « E poi vuoi mettere! Ci beviamo tutto lo champagne del mondo nella boutique di Isabelle. Ovviamente vengono anche Stacey e mia sorella. Se inizia ad attaccare il pippone su George giuro che l'ammazzo. » Non perse di vista Raiden neanche per un istante durante quel primo incontro con la sua famiglia, ritrovandosi più e più volte a sorridere intenerita di fronte alle sue cortesi attenzioni e all'estrema educazione con cui si poneva. Camminava in punta di piedi tra loro, senza tuttavia apparire un pesce fuor d'acqua e senza stonare con l'ambiente o con le persone che lo circondavano. Ad un certo punto, mentre le ultime battute della serata erano in dirittura d'arrivo, non resistette all'idea di non carezzargli il braccio posato sul bracciolo accanto alla sua sedia, rivolgendogli un sorriso caloroso e sereno. [...]
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    Stava riponendo nella credenza gli ultimi piatti, sorseggiando da un bicchiere in cui si era versata due dita di bourbon, quando sua madre le tolse lo straccio dalle mani gettando lo sguardo fuori dalla cucina nella direzione della dependance. « E' un gran pezzo di manzo, non c'è che dire. » Mia assottigliò gli occhi scoppiando a ridere. « Un gran pezzo di manzo? Ma'.. sul serio? » Scoppiano a ridere in sincrono, mentre Gillian le piazza un leggero bacio sulla tempia. « Che c'è? Preferisci fico? Un gran pezzo di fico, allora! » Lo è.. lo è davvero. « E' successo durante le ripetizioni? Racconta, dai! » « Oh ma', eddai! » « Guarda che non giudico. Io e tuo padre abbiamo iniziato a frequentarci mentre scorrazzavamo insieme per la riserva. » Scosse la testa colta da un'improvviso attacco di panico. « Non voglio sapere. » E infatti eccole ridere di nuovo. « Un po' me lo ricorda, sai? E' gentile ed educato. Un ragazzo proprio a modo.. tolto il fatto che si è trastullato con mia figlia durante le ripetizioni. » « Ripetizioni che non hai pagato, specifichiamolo. » E lì Gillian Wallace si abbandona a un palese verso di gaudio. « E' anche generoso. Ma tu guarda.. » Restano per qualche istante in silenzio. « Quindi state insieme. E' una cosa seria.. » Mio dio, ma allora siete fissati. « Non proprio.. » Si passano i bicchieri da sistemare nella credenza mentre osservano la calma notte del sud. Sembrano l'una la fotocopia dell'altra. « Scelta tua o sua? » « Mia.. siamo amici.. una sorta.. » C'è un lungo silenzio tra le due, prima che la maggiore le stringa il braccio in una morsa gentile, obbligandola a voltarsi per guardarla negli occhi. « Mia Audrey Wallace. » « Gillian Josephine Wallace. » Le risponde a tono, Mia, sbattendo le palpebre leggermente seccata. « Non gli hai tolto gli occhi di dosso neanche per un istante. Lui ha fatto carte false per essere impeccabile stasera. E' un lycan, e per tutti i santi, poteva sentirlo anche Joshua Finnigan dall'altra parte del Bayou quanto vi volete bene. Mi aspettavo che mi chiedesse il permesso di sposarti.. altroché siamo amici.. una sorta. » Mia alzò gli occhi al cielo. « E poi è un gran pezzo di manzo. » E lì Mia si sciolse improvvisamente in un sorriso spontaneo. « Si. Lo è. » « Io non me lo farei scappare, fossi in te. Ha un fratello maggiore? Guarda che se non te lo prendi tu, devi chiedergli se gli piacciono le ragazze più attempate. » Se non conoscesse sua madre, potrebbe quasi sentirsi offesa da quelle dichiarazioni. « Ok. Glielo chiederò. » Il tono divertito fu accompagnato da un leggero sbadiglio. « Meglio se vado. » E dicendo ciò, si diresse verso la porta sul retro. « Mia! Nel caso vi servissero ho lasciato un po' di scorte nel terzo cassetto in bagno.. » Le rivolse uno sguardo eloquente mentre la figlia sgranava gli occhi. « BUONANOTTE MAMMA! » Si chiuse la porta alle spalle scuotendo la testa, dirigendosi a grandi falcate verso la dependance.
    Varcata la soglia della casetta adibita agli ospiti, Mia si tolse gli anfibi, restando per qualche istante appoggiata contro il muro accanto alla porta d'entrata osservandolo con un sorriso complice. Rimase lì in silenzio, osservandolo tornare con le dita sulla tastiera ingiallita dal tempo, rimanendo per qualche istante in apnea. Il pianoforte che Raiden suonava, un tempo si trovava nel salotto principale. C'era sempre qualcuno che lo strimpellava senza pretese. Sua madre doveva averlo relegato alla dependance già da un po', e il motivo Mia lo conosceva sin troppo bene. Lei non era mai stata brava a suonare; in realtà nessuno di loro poteva considerarsi un musicista provetto, ma la loro casa era sempre piena di strimpellìi. Lentamente, un passo alla volta, Mia si avvicinò leggermente timorosa, lasciandosi coinvolgere dalla melodia, colta da un senso di nostalgia. Non era triste, né amareggiata, semplicemente colta di sorpresa. Raiden non aveva mai suonato per lei. Attese il finale della melodia osservandolo con un muto senso di ammirazione, poggiandosi infine di fronte a lui contro il pianoforte, una volta richiuso. No. Tu non sei solo un gran bel pezzo di manzo. Sei proprio bello. Di una bellezza che Mia non riusciva a smettere di contemplare. « Grazie di avermi portato qui. » La mora si strinse nelle spalle abbassando lo sguardo. « In fondo, è un po' anche casa tua. » Come ogni nostro avamposto. Io però vorrei che questa fosse un po' più casa tua di altri. Perché è in primis casa mia. Minimizza Mia, seppur sia evidente quanto sia lieta di vederlo così a suo agio. « Hai una bella famiglia, Mia. » Annuì. Avresti dovuto conoscerli tutti. A papà saresti piaciuto. E anche a Brian. Loro erano fatti della tua stessa pasta. Gentili, pacati. Riflessivi. Sapevano sempre cosa fare, in qualunque momento. « Bene. Perché mia madre è pronta a buttare fuori di casa me, e tenersi te. » Scoppiò a ridere scuotendo la testa. Le sei piaciuto un sacco. Forse anche troppo. Non in maniera preoccupante; di certo però se dovessimo rimanere solo amici ci resterebbe più male di tutti quanti. Sono pronta a mettere la mano sul fuoco. Gli accarezza con gentilezza il braccio, abbassando lo sguardo, accompagnando quei gesti con un sospiro piuttosto pesante. Le sta già pesando tutto quel riflettere, senza contare che non ha affatto riflettuto. Vorrebbe smettere di riflettere. Semplicemente smettere e riempirlo di baci. « Qualcuno suona, in famiglia? » Corrugò la fronte per un istante, prima di chiudere gli occhi mordendosi il labbro inferiore. Faceva fatica, Mia, a parlare di certe cose, e fu evidente dal modo in cui eluse lo sguardo di Raiden. « Suonavano un po' tutti. Un tempo questa casa era un bacano. Mio padre ha imparato da mia nonna e noi abbiamo imparato da papà.. » Lo sguardo si erse di scatto sulla fotografia della famiglia al completo sopra il pianoforte. « Io però sono stata una pessima alunna. Preferivo la chitarra. » Ho sempre fatto quello che mi pareva, ma a tutti andava bene così. Di scatto sospira, posando un bacio istintivo tra i suoi capelli carezzandogli dolcemente la guancia. « Sono contenta che tu sia qui, Raiden. » E c'è un muto senso di gratitudine in quelle sue parole, sussurrate a fior di labbra. E' diversa, Mia, da quando è arrivata, ed è evidente dall'improvvisa aria più seria, dalla fiacchezza con cui a tratti risponde e i sorrisi più spenti che riserva a chiunque. « Andiamo a letto. » Dopo una lunga doccia rigenerante, si intrufola sotto le lenzuola, facendosi più vicina; appoggia la tempia contro la spalla di lui, alla ricerca di un contatto con la sua pelle e infine chiude gli occhi. Crolla in un sonno profondo, stuzzicato da diversi incubi che la portano ad agitarsi più e più volte senza mai svegliarsi del tutto.

    « Oggi giornata tra uomini eh? » Il giorno dopo a colazione si siede al tavolo in giardino, dove Raiden e sua madre si godono il sole mattutino di fronte a una tavola ben imbandita di ogni ben di dio. Mia si sporge oltre la spalla del ragazzo per azzannare un toast, prima di sedersi al suo fianco. « Brava ti sei impegnata! Lo fa solo perché ci sei tu. Se fossi venuta da sola, neanche i pancake mi preparava. » Scoppia a ridere e scuote la testa. « Bugiarda! » « Ah no no no, io sono sempre molto sincera. Glielo dici che sono sincera? » Dà una leggera gomitata a Raiden prima di iniziare a mangiare un po' di tutto, assaporando con un senso di estrema serenità il cibo di casa. « Piuttosto, ho sentito che oggi hai tutto il giorno impegnato. » Gillian si rivolge a Raiden con un tono divertito. « Capirai.. minimo Gabe ti porta a conoscere gli altri maschi etero basic del branco, ti farà fare tutte cose a suon di versi della caverna, ti farà un discorsetto, gonfierà il petto e poi alla fine dirà una cosa del tipo Speedy è una rincoglionita cronica.. eh le donne.. e bla bla. Li conosco bene i miei polli. » Allungò le gambe sulla sedia adiacente, mentre la madre abbandonava la postazione, richiamata dall'arrivo di un membro del branco che rimase immobile sulla soglia della porta che dava sul giardino, portando la signora Wallace a rabbuiarsi di colpo, congedandosi con estrema urgenza. Mia rimase a osservare la scena, seguendo la figura della donna, prima di guardare Raiden un po' perplessa. Assottigliò appena lo sguardo, scuotendo la testa piuttosto confusa. Non sapeva di cosa si trattasse, ma decise che avrebbe indagato più tardi. « Va beh.. io invece vado a provare il mio vestito da damigella per il matrimonio di Gabe e Meredith. Questi giorni dovrai conoscere anche la mia anima gemella in patria.. » Un leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra, posando il mento sulla sua spalla. « ..sempre che tu sopravviva. » E lì sul momento scoppiò a ridere. « Stasera però stiamo un po' insieme. E domani ti porto a fare il giro turistico.. non quello basic di mio fratello che minimo ti porta al poligono a sparare. » Perché in fondo, per i cacciatori della Louisiana, le armi da fuoco erano fondamentali, specie se intrise di magia. Si strinse nelle spalle. Che ci vuoi fare.. suppongo che siamo veramente molto americani. « Prepara la fotocamera. Diventerai un cliché vivente. » Scoppiò a ridere scivolando dalla propria sedia sulle sue gambe, ricercando il suo abbraccio con foga, noncurante del fatto che la madre potesse tornare o qualcun altro potesse sorprenderli. E di colpo gli diede un morso sulla spalla, scoppiando a ridere mentre gli rubava un biscotto dal piatto senza fare poi troppi complimenti. Infine si separarono e Mia, passò un po' di tempo da sola a casa, tra cimeli di famiglia e ricordi più o meno dolorosi, cercando risposte a domande che non sapeva di preciso come porsi. [...] Le prove erano andate a meraviglia. Tra un bicchiere e l'altro di champagne, le ragazze avevano fatto la propria passerella nella boutique che Meredith aveva scelto per tutti i vestiti del matrimonio. Il suo abito color viola pastello di organza le calzava a pennello, e incredibilmente le piacque molto. Fu solo ad un certo punto, mentre le altre erano scese al piano di sotto per scegliere degli accessori da abbinare ai propri outfit che Mia, con il terzo bicchiere di champagne in mano, prese a volteggiare tra gli innumerevoli abiti bianchi, sfiorando con delicatezza i tessuti. Uno in particolare attirò la sua attenzione, portandola a osservarlo con un muto senso di ammirazione. « Vuoi provarlo? » Trasalì sul colpo, Mia, girandosi a incontrare lo sguardo della commessa. « Uhm.. no no, stavo solo.. occupando il tempo. Sto aspettando le altre. » « Puoi aspettarle, provandolo. Andiamo.. si vede che sei curiosa. » E lo era, Mia. Lo era per davvero. Tutto attorno a lei sembrava irrimediabilmente cambiare. Suo fratello si stava sposando, lei stava per finire la scuola, un ragazzo le aveva appena chiesto di fare sul serio, e lei, dal canto suo, non aveva la più pallida idea di come si vedesse all'interno di tutto quel cambiamento generale. E alla fine cedette. Scoprì che le calzava a pennello, quel vestito, tant'è che quando salì sul piedistallo di fronte allo specchio, si sentì stranamente a suo agio. Era comodo; le piaceva persino come si abbinava ai suoi anfibi. Restò lì, a osservare il proprio riflesso con fare pensierosa, finché non venne sorpresa da una presenza alle spalle. « Speedy? » Stacey sembrò apertamente divertita dalla questione, mentre Mia si voltava di scatto con uno sguardo colpevole. Poi sentì la sorella di Meredith esalare un veloce cazzo! indicando un punto alle spalle della giovane Wallace. Lei si voltò nella direzione indicata, sgranò gli occhi e divenne rossa come un peperone sul colpo, provando una sensazione di pesante imbarazzo. Raiden era lì, a qualche metro di distanza; da una parte le sue amiche, dall'altra la proiezione di lui, e lei al centro di una burrasca che esisteva solo nella sua testa. Di scatto si sentì come se il cuore stesse per scoppiarle; schiuse le labbra per dire qualcosa, ma poi l'imbarazzo ebbe la meglio e decise di non dire nulla. Gli rivolse le spalle dirigendosi verso i camerini, sbattendosi la porta alle spalle senza dire altro. E quando uscì fu come se niente fosse successo. « Allora? Si va a bere? » Stacey alzò gli occhi al cielo e sospirò. « Madonna quanto sei drammatica. » [...] Avevano passato tutto il pomeriggio insieme, spettegolando su questa e quell'altra cosa, informando Mia di tutto ciò che si era persa. Diverse loro amiche avevano messo la testa apposto conclusa la scuola; c'erano poi un sacco di novità in città che rimisero in prospettiva quanto aveva visto quella mattina. La posizione dei maghi a New Orleans era minacciata dal ritorno di uno dei figli di Marie Laveau. « Gran pezzo di gnocco. Peccato che è un grandissimo stronzo. » « C'è chi dice che Lafayette sta smanettando con le Logge.. » Il discorso divenne ben presto più serio. « Credo abbia preso di mira Gabe. Una sera c'è stato uno scontro tra loro.. il nostro consiglio l'ha addirittura bandito dalla città. Qualche mese fa però, alcuni dei suoi sono riusciti a entrare nelle nostre terre e hanno dato alle fiamme diverse case. La situazione non è tranquilla. Per niente. Da quando il legame si è aperto, dicono che.. gli spiriti sono irrequieti. » Mia deglutì spostando lo sguardo altrove con fare pensieroso. « Va beh però adesso non è che dobbiamo rattristarci per tutta la serata. Ci devi ancora raccontare tutto. Soprattutto degli amici gnocchi di Raiden. Tutta gente esotica, Mer, ti giuro una roba che non hai idea! » E così il discorso cambiò rotta rallegrando gli umori. [...] Non sentì la porta d'entrata inizialmente, intenta com'era a strimpellare la chitarra canticchiando, forte del fatto che fosse da sola a casa. Sua madre aveva lasciando un biglietto, avvisandola del fatto che il consiglio aveva indetto una riunione. Se tutto va bene torna domani mattina. E così aveva continuato il giro nella valle dei ricordi in giro per la casa, finché, trovata la sua prima chitarra, aveva deciso di intrattenersi in quella maniera, finendo per passare di canzone in canzone su un tenore sempre più melanconico. Conclusa quell'ultima canzone, che suonò colta da un'improvvisa quanto profonda frustrazione, Mia tirò un lungo sospirò tirando su col naso, passandosi velocemente le mani sugli occhi non appena percepì dei passi sull'erba sempre più vicini. Sbatté velocemente le palpebre, costringendosi a sorridere, mentre metteva da parte la chitarra. « Ehi! » Si costrinse a ridere appena, scuotendo la testa, nonostante il suo stato d'animo gettasse nel caos totale. Tornare a casa le provocava pesanti sbalzi d'umore. Aveva diverse questioni in sospeso, ed era chiaro non fosse in grado di superarle. E a questo punto non so nemmeno cosa sto facendo qui, perché ti ci ho portato, e perché soprattutto ti sto chiedendo del tempo che potrebbe non bastarmi mai. Non so proprio come fare. Ma forse è solo questione di tempo. « Allora il prodigo soldato errante è tornato alla base. » Si passò una mano tra i capelli, Mia, sollevando lo sguardo nella sua direzione, prima di indicargli il fazzoletto d'erba accanto a lei, invitandolo a sedersi. « Hai fame? Stasera la signora Wallace non si unisce. Se vuoi offro uova strapazzate o cibo surgelato. » Si strinse nelle spalle. « Oppure patatine.. » Allunga la mano per afferrare la busta che si è portata con sé mettendola tra loro, mentre si serve di un'altra sollevando le sopracciglia invitandolo a fare altrettanto. « Allora com'è andata? Avevo ragione? Racconta! » Si schiarisce la voce concentrandosi su quella genuina curiosità, intenta a salvare il corso della serata. Perché non mi va di rabbuiarti. Tu sei così felice di essere qui, ed io sono contenta di vederti così. « E' stato più o meno basic di quanto avevo anticipato? » Pausa. « Spero non abbia fatto il cafone. I maschi al Sud sono un po'.. tanto. » Molto peggio degli inglesi. Sperava davvero che Raiden si fosse divertito e sperava che a Gabe fosse abbastanza chiaro che semmai avesse fatto una delle sue solite piazzate, Mia l'avrebbe gettato in uno stagno pieno di coccodrilli. Raiden non era l'unico a tenerci di fare bella figura; Mia, dal canto suo non solo sperava che la sua famiglia non lo facesse scappare a gambe levate, ma voleva che per lui quell'esperienza fosse davvero unica. Vorrei che tu stessi bene. Che per una volta tu non ti sentissi fuori posto o estraneo.
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    Per un po' rimase a fissarlo leggermente pensierosa, lì sul prato leggermente umidiccio, sotto un cielo stellato che le ricordò istantaneamente la bellezza dei dettagli della sua infanzia. Il rumore del ruscello in lontananza e i suoni della natura incontaminata attorno a loro; una musica a se stante che un tempo facevano da colonna sonora. mentre suo padre raccontava a lei e ai suoi fratelli storie paurose sui demoni e gli spiriti delle paludi. « Ha già provveduto a raccontarti tutte le scene imbarazzanti della mia infanzia per spaventarti? Guarda che qualunque cosa ti abbia detto, lui non può proprio parlare, perché ha fatto di molto peggio. » Oh si, Gabe era forse il peggiore dei fratelli. Nel corso degli anni si era dimostrato il più scapestrato, il meno ligio al dovere e il più propenso a finire in un fosso con il collo spezzato. Scoppia a ridere, Mia, e per un po' lo osserva in silenzio, lasciandosi di colpo travolgere da un silenzio carico, violato solo dal dolce respiro della natura; una leggera brezza, qualche cinguettio qua e là, il canto di un gufo in lontananza, il fruscio tra le fronde e tra i fili d'erba fresca. Sospira e allunga una mano a ricercare la sua, iniziando a giocherellare con le sue dita mentre si fa leggermente più vicina, disegnando cerchi concentrici sulla coscia di lui. « Quindi? Anche se oggi hai avuto una guida tremenda.. è come te l'eri immaginata? » Mia non si era certo scordata ciò che Raiden le aveva raccontato circa la città. Il desiderio di visitarla assieme al padre, il sogno di camminare tra i secoli di storia della città del jazz per antonomasia. « New Orleans intendo.. è come te l'aspettavi? » E' tremendamente curiosa di ascoltarlo raccontare. Vuole sapere tutto; avrebbe voluto esserci, ma in fondo, era abbastanza certa che i ragazzi del branco l'avrebbero trattato bene. Voleva dargli modo di esplorare un po' tutto, persino ciò che concerneva i sodalizi tra soli componenti di genere maschile. « Se ti ha deluso, prometto di provare a farti cambiare idea.. anche se forse non sono la persona più adatta. Però.. farò del mio meglio. » Io New Orleans la amo. La amo e la odio. Mi rende felice, ma mi rede anche molto triste. Qui mi sento come se mi trovassi in un mausoleo. La mia vita è iniziata qui, ma è sempre qui che ci ho lasciato un altro pezzo. Ad un certo punto, si sposta ancora sull'erba posando il mento contro la sua spalla. « E poi.. stavo pensando.. cioè lo so che stiamo un po' così.. però ecco.. domani sera ti fa di uscire insieme? » Si schiarisce la voce. « Cioè.. ti ho chiesto questa.. roba ieri sera, e non è che ora sto cercando di fare la paracula. Io ho capito perfettamente cosa mi hai detto e cosa mi hai chiesto. Però mi andrebbe comunque di uscire insieme.. » Si stringe nelle spalle mordendosi l'interno delle guance, mentre solleva lo sguardo verso il cielo. Di scatto sente il bisogno di parlargli, di dirgli qualcosa di più tangibile, di fargli capire che non sta giocando. « Comunque, sto iniziando a pensare che non metterò poi molto in ordine. Cioè boh.. magari mi sbaglio e ora avrò una grossa illuminazione e tutto mi sarà più.. chiaro. Però.. ti darò comunque una risposta. Prima di ripartire. Ho deciso così.. perché mi sento un po' ridicola. » Pausa. « So che per te non ha proprio senso, però.. volevo comunque dirti grazie.. per la pazienza. » Che al tuo posto nessuno mi avrebbe concesso, perché non ha minimamente senso.


     
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    Gabriel e i suoi amici non avevano pianificato assolutamente nulla. Il giro turistico si era svolto nella più naturale delle maniere, ovvero andando in giro per New Orleans completamente a casaccio. Tanto la roba da farti vedere la troviamo per strada - erano state le parole di Gabe, che man mano gli aveva indicato questo o quell'altro posto, spiegandogli sommariamente alcuni aspetti storici o culturali che lo caratterizzavano. Una città, quella, che agli di Raiden appariva surreale, come se avesse appena messo piede in un set cinematografico e si aspettasse da un momento all'altro che qualcuno gli urlasse tramite un megafono di spostarsi perché bloccava l'inquadratura. Si notava la matrice fortemente turistica di luogo, ma non lo disturbava, forse perché in fin dei conti lui era proprio quello: un turista partito con un'immagine in testa ben precisa e idealizzata, al quale trovare effettivo riscontro poteva solo dare un senso di profondo appagamento. Non si vergognò di fotografare un po' tutto ciò che lo colpiva, chiedendo informazioni alle proprie personali guide turistiche con una certa curiosità gioiosa. Era tutto così colorato e vivace. Non che la sua terra non lo fosse. Ma è diverso, radicalmente. Ed è bello. Fu proprio mentre spiegava quella differenza, incalzato da un Gabriel che si era mostrato particolarmente interessato a saperne di più riguardo la terra natale di Raiden, che un tale Billy Benoit - un altro dei suoi accompagnatori - si tolse lo stecchino dalla bocca e aggrottò la fronte con aria pensosa. « Io ci sono stato in Giappone. Mi avevano affidato una missione nei pressi di Koshigaya qualche anno fa, ma ho visto davvero poco, tolta quella città e l'avampasto dei cacciatori al Monte Fuji. » Il ragazzone biondo fissò Raiden per qualche istante, silenzioso, come se stesse tentando di ricordarsi qualcosa. Si morse il labbro, agitando leggermente lo stecchino con cui finì per indicarlo, osservandolo da sotto le ciglia chiare. « Yagami..Yagami..non mi è nuovo come cognome, sai? » « Seh vabbè, Billy, sicuro te lo stai confondendo. Cazzo ne sai tu di cognomi giapponesi? » Tuttavia Raiden scosse il capo, tranquillo, buttando giù un sorso della birra che aveva accompagnato il grosso piatto di riso e fagioli rossi. « No, è plausibile se sei stato al Monte Fuji. I cacciatori pregano spesso gli antenati fondatori dell'avamposto. » Fece una pausa inclinando il capo di lato. « E la mia famiglia è tra questi. » Non ci si può confondere: siamo gli unici Yagami nel paese. Quel cognome, infatti, non esisteva tra i babbani. Il suo stampo di natura religiosa, inoltre, lo circoscriveva ulteriormente alla dimensione dei cacciatori giapponesi, tra i queli spiccava come una delle famiglie più antiche. Gabriel sembrò sorpreso da quell'informazione, ritrovandosi a corrugare le sopracciglia e allargare le braccia interdetto. « No aspetta, quindi sei un cacciatore? » Scosse il capo, Raiden, facendo segno di no. « Gli Yagami non sono più cacciatori da almeno un secolo e mezzo. In soldoni si era arrivati a una famiglia di tutte figlie e un solo figlio. Questo ha sposato una strega comune, è morto in missione, e lei ha deciso di tenere i propri bambini lontani dal mondo dei cacciatori. Così il cognome e il gene lycan si sono tramandati fuori dal Credo. » Un Credo che Raiden aveva appreso essere ben diversificato nel mondo. Non tutti i cacciatori rispondevano alla stessa fede, sebbene le credenze e i metodi fossero piuttosto simili in alcuni punti. In Giappone, ad esempio, l'alleanza non era tanto con le chiese, quanto piuttosto con i templi shintoisti e buddhisti. Ma quella tra cacciatori non era nemmeno l'unica differenza; per quanto il Giappone magico fosse molto più tradizionalista e chiuso al mondo babbano rispetto ai paesi occidentali, le loro pratiche si fondavano su uno sviluppo tecnologico avanzatissimo. Era rimasto infatti piuttosto stupito, il giovane Yagami, nel trovarsi immerso in un mondo che comunicava ancora via gufo e faceva uso di lampade ad olio e candele o di metropolvere. Tutte cose che in Giappone erano considerate piuttosto obsolete. I camini erano stati sostituiti ormai da tempo con una sorta di grossi ascensori di cristallo dai quali ti bastava premere un pulsante e pronunciare la meta, evitandoti l'imbarazzo di trovarti i vestiti sporchi di fuliggine o di capitombolare scompostamente all'arrivo. Per comunicare tra loro, tutti quanti possedevano un cosiddetto Bādī, sfera di leggero ma indistruttibile metallo magico dalle fattezze simili a un boccino d'oro: schizzava velocissima, recapitando messaggi in tempi record e abbattendo i costi che mantenere un animale va naturalmente a comportare; senza contare la sicurezza della comunicazione in sé, quasi impossibile da intercettare, dato che nessuno a parte il destinatario del messaggio stesso sarebbe riuscito ad aprire il messaggio, il quale si manifestava agli occhi come la proiezione di lettere in un ologramma. Tutti li usavano..tranne la madre di Raiden, la quale sembrava incapace di abbandonare l'abitudine del gufo anche a dispetto della sua evidente scomodità. L'illuminazione, poi, era affidata a lampadine e neon che sprigionavano un'intensa luce di natura magica capace di aggiustarsi autonomamente alla necessità del momento e ai movimenti delle persone nell'ambiente. Gli ologrammi magici per ogni tipo di necessità - comunicativa, pubblicitaria e informativa - erano all'ordine del giorno, se si faceva eccezione per le aree più rurali, ancora attaccate a una certa forma di tradizionalismo. « Ah ecco, lo vedi? Infatti mi sembrava di averlo sentito, questo cognome. Comunque dovresti vedere che roba hanno, Gabe. Sembra di stare in un film di fantascienza. » Ridacchiò, Raiden, stringendosi nelle spalle con un po' di orgoglio. « Sì, beh, per quanto su certi aspetti ci sia ancora molto da lavorare, ai nostri ingegneri non si può dire nulla. » Il governo ci stanzia cifre assurde, per quel settore. E così, tra uno scambio di prospettive e un altro, i ragazzi ripresero il proprio giro, spostandosi prima verso il poligono - dove spiegarono a Raiden la questione delle armi da fuoco all'interno della dimensione americana dei cacciatori - e poi verso l'unica tappa obbligata di quel giro. « Preparatevi a vomitare gli occhi. Ho un solo compito nell'organizzazione di questo matrimonio, ed è quello di scegliere la torta. Quindi ci toccherà assaggiarle tipo tutte. » Li guardò, Gabe, ridacchiando sotto i baffi mentre spingeva la porta della pasticceria. « Vi vedo proprio affranti. Non piangete troppo, mi raccomando. » Ma per quanto la cosa potesse sembrare idilliaca su carta, dopo un po' cominciò a farsi pesante. Le torte americane erano troppo dolci e cariche: ti serviva un catino d'acqua per strozzare il boccone e non riuscivi comunque a toglierti il sapore stucchevole dalla bocca. « Ma quanto zucchero ci mettete in questi dolci? » chiese a un certo punto Raiden, a bassa voce, non appena la commessa si allontanò verso il retrobottega. « Quanto basta ad arricchire la lobby della sanità privata. » Risero, tracannando i rispettivi bicchieri d'acqua prima di passare alla tranche successiva di assaggi. Ad un certo punto, per Raiden, tutte quelle torte iniziarono ad avere lo stesso sapore: ovvero dolce..troppo dolce..stomachevole. Tirò quindi un sospiro di sollievo nel momento in cui Gabriel decretò finalmente con tono solenne « Questa qui. Sì. Questa mi piace. Adesso sentiamo pure il parere delle gentili donzelle. » « Quanto saranno ubriache da uno a piango per qualsiasi straccetto bianco? » « A naso, secondo me, stanno al momento del fatidico vabbè, mezzo budget solo per il vestito ci può stare. » Ma di certo Raiden tutto si sarebbe aspettato tranne di vedere Mia, in piedi su una pedana di fronte allo specchio, con addosso un abito bianco da sposa. Sgranò gli occhi per un istante, fissandola in un misto di confusione e divertimento, col capo inclinato leggermente di lato. Ok, mi sono perso qualche passaggio? Non che la vista non gli fosse gradita, chiaramente, ma lo colse comunque impreparato. Gabriel era letteralmente piegato in due dalle risate, mentre gli altri sghignazzavano e davano di gomito a Raiden con battutine eloquenti. Dal canto proprio, il giapponese sollevò un sopracciglio, scoprendo i denti in un sorriso sornione nel dire a Mia, tramite il canale privato del loro contatto « Ah ecco su cosa dovevi riflettere. » E su quella nota, la Wallace scappò verso i camerini, interrompendo il contatto e facendo ripiombare dopo poco tutti quanti nella pasticceria. Gabriel sospirò, asciugandosi le lacrime di ilarità dagli occhi mentre appoggiava pesantemente una mano sulla spalla del Grifondoro. « Se non l'avessi capito, i messaggi subliminali di mia sorella sono molto sottili. » « Ci vorrà una torta più grande, Gabe. »
    Alla fine erano rimasti loro due: Raiden e Gabriel, seduti fuori da un pub a bere da grossi boccali di birra mentre il sole iniziava pian piano a tramontare sul quartiere francese. Il giovane Yagami fissava con curiosità alcuni musicisti di strada intenti ad improvvisare su Giant Steps: un'immagine che, chiaramente, lo portò a sorridere tra sé e sé in un misto di gioia e tristezza nostalgiche. Papà avrebbe adorato questo posto. Gli sembrò quasi di vederlo, fermo di fronte a quei musicisti, a scrutarli con gli occhietti curiosi accesi dall'eccitazione mentre batteva il piede a tempo e scuoteva appena il capo come a seguire i virtuosismi di quella musica. Conoscendolo avrebbe subito attaccato bottone in seguito all'esibizione, sfoggiando la sua capacità di fare amicizia pure con i sassi, per poi offrirgli qualche bevuta in un locale a loro scelta. « Raiden, senti.. » Venne distratto dalle parole di Gabriel, improvvisamente serie e impostate, che lo portarono a puntare lo sguardo su di lui. Il giovane Wallace lo stava fissando a mento alto, con lo sguardo tipico di chi si stava dando un certo tono. « ..è arrivato il momento di chiedertelo. Capirai da solo che per quanto possa prenderla un po' in giro, Mia è pur sempre la mia sorellina. Le voglio bene e non voglio vederla soffrire. Insomma, mi sembri un tipo a posto, ma se dovessi prenderla in giro.. le cose non si metterebbero bene, amico. » Annuì, Raiden, impassibile. Non lo metteva in imbarazzo, affrontare quel tipo di discorso, né lo faceva sentire minacciato. Se lo aspettava, in realtà, che presto o tardi sarebbe arrivato, e lo trovava piuttosto normale. Non avrei fatto nulla di diverso, al posto tuo. « Te lo chiederò dritto per dritto, senza girarci intorno, anche perché se dovessi dirmi una cazzata lo capirei, dato che sei anche tu un lycan. » Pausa. « Hai intenzioni serie o stai solo giocando? » Raiden mandò giù un sorso di birra con tranquillità, posando poi il boccale mezzo vuoto sul tavolino per puntare lo sguardo negli occhi di Gabriel con la massima compostezza. « Io prendo i legami molto sul serio, Gabriel. » Sospirò, inclinando il capo di lato. « E anche la famiglia. » disse, lanciandogli uno sguardo eloquente come a fargli capire che se avesse avuto semplicemente voglia di ficcarlo un po' ovunque a casaccio, non si sarebbe trovato lì. « Non sento di avere l'età per giocare su queste cose - se capisci cosa intendo. Quel momento per me è passato da molto tempo. » Fece una pausa, alzando un dito come a voler mettere un distinguo all'interno di quel discorso. « Lo stesso, tuttavia, non si può dire per Mia. Te lo dico perché sicuramente ti sarai fatto le tue domande, e voglio farti capire che l'unico motivo per cui questa cosa tra me e lei non è stata messa in maniera più ufficiale, è perché lei mi ha chiesto del tempo per rifletterci sopra. » L'informazione non sembrò colpire eccessivamente il giovane Wallace: era stupito sì, ma Raiden riusciva a cogliere il fatto che una parte di lui se l'aspettasse. Infatti sospirò, buttando subito giù un sorso di birra. La risposta del giapponese doveva averlo soddisfatto. « Va bene così. L'importante è che tu non la faccia soffrire. Dopo tutto quello che ha passato.. beh.. lo saprai meglio di me: Mia è una ragazza forte, ma anche molto fragile. » Annuì, Raiden, convinto di sapere di cosa il suo interlocutore stesse parlando. « Già. Non ne parliamo spesso e, sai, io non voglio farle pressione, ma più volte mi ha fatto capire che il periodo del lockdown deve essere stato molto duro per lei. Posso solo immaginare.. a quell'età.. » Sospirò, scuotendo il capo tra sé e sé mentre il suo pensiero sembrava tornare a immagini che forse avrebbe preferito dimenticare. Tutti quei ragazzini. Li abbiamo tenuti al sicuro come potevamo. Non c'era stato un equivalente del lockdown, in Giappone, ma anche da loro - come in tutto il resto del mondo - a un certo punto la Loggia aveva preso dominio di tutto, mietendo vittime a più non posso. E puoi pure proteggerli, ma la verità è che in quel luogo non hai davvero delle chance se non sai proteggerti da solo. « Fosse solo il lockdown il problema! Chissà cosa diavolo le sarà successo durante quell'anno in cui è scomparsa! » All'improvviso cadde il gelo e la naturale imperturbabilità del giovane Yagami venne a incrinarsi. Il suo sguardo saettò confuso nelle iridi di Gabriel, all'immediata ricerca di una risposta a un quesito che fino a quel momento non era esistito nella sua mente. Mi stai prendendo in giro? Di rimando anche il cacciatore parve gelarsi, preso in contropiede da quell'evidente caduta dal pero di Raiden. « Aspetta.. non ti ha detto nulla? » « È la prima volta che sento parlare di questa storia. » proferì in un filo di voce, serio come la morte, fissando Gabriel dritto negli occhi come avrebbe fatto durante un interrogatorio in Giappone. « Raiden io.. non so come dirtelo. Dopo la guerra, Mia.. cioè.. lei è scomparsa. Nel nulla. Per più di un anno. L'abbiamo cercata ovunque e di lei non c'era alcuna traccia. A un certo punto l'abbiamo data per morta e poi.. » deglutì, mandando giù quello che Raiden individuò facilmente come un groppo in gola dovuto al dolore che quei ricordi gli scatenavano. Tu credevi di aver perso tutta la tua famiglia. Non oso immaginare quanto ti abbia distrutto. « ..poi è semplicemente ricomparsa. Non ha mai dato spiegazioni riguardo quel periodo. E.. non lo so.. abbiamo dato per scontato che fosse semplicemente scappata. Sai, PTSD o una roba del genere. » Quelle parole sembrarono arrivare su Raiden come una pioggia fredda gelandolo sul posto. « Scappare.. a guerra finita? » Non ha alcun senso. Nemmeno per qualcuno che si trova sotto stato di shock. Anzi, soprattutto per qualcuno che si trova sotto stato di shock. Per qualuno che ha visto quelle cose. Sarebbe semplicemente crollata. Gabriel sospirò, passandosi una mano sul viso improvvisamente gravato da una stanchezza che non aveva nulla a che vedere col fisico. Scosse il capo, massaggiandosi il mento e puntando lo sguardo da qualche parte imprecisata. « Non lo so.. non lo so. So solo che avevamo perso le speranze e poi di colpo è tornata. » Rimase in silenzio, Raiden, sorseggiando la propria birra mentre rimuginava su quelle informazioni. Non se la sentiva di condividere i propri pensieri con Gabriel, forse perché troppo cupi. Il giovane Wallace aveva visto sua sorella tornare dal mondo dei morti e questo era quanto gli bastava, almeno al momento, per aggrapparsi a ciò che era rimasto di una famiglia completamente decimata. Sarebbe stato crudele, da parte del giovane Yagami, condividere con lui ciò che la propria esperienza rendeva piuttosto evidente. La gente scompare, è vero, ma non ricompare di colpo senza alcun motivo. Non dopo un anno, non se è fuggita, e soprattutto non quando sta affrontando uno stato di shock. Non c'è un interruttore per queste cose, un tasto che possa accendere e spegnere il trauma a piacimento. Quando colpisce, colpisce e basta, con violenza, e se non c'è nessuno ad aiutarti.. muori. O comunque ti lasci andare finché non muori. Se pure il suo istinto di sopravvivenza avesse preso il sopravvento, sarebbe stato così totalizzante da non permetterle di tornare alla civiltà.. o di tornare in se stessa in primis. Improvvisamente tanti punti sembrarono acquistare un nuovo senso agli occhi dal ragazzo, intento ad interrogarsi su quesiti che non avevano risposta, formulando ipotesi di ogni sorta. E non erano belle, quelle ipotesi. Anzi, erano una peggiore dell'altra. Lo sapeva, Raiden, che per quanto parzialmente rassicurante potesse risultare il crogiolarsi nell'idea che Mia fosse sopravvissuta nella natura per più di un anno da sola, le possibilità che fosse davvero andata così erano millesimali. Qualunque cosa le fosse accaduta, non era bella, né rassicurante.
    [..] « Ehi! » Si avvicinò a Mia con un tiepido sorriso stampato sulle labbra, adocchiando la chitarra che teneva sotto braccio e con la quale, fino a quel momento, aveva strimpellato una melodia malinconica. Gli sembrava diversa. Non perché fosse cambiata nell'arco di quella giornata, ma perché ora Raiden sembrava guardarla con occhi diversi, come a voler ricercare qualcosa che gli era sfuggito in precedenza. Quante cose non so di te, Mia? Una parte di lui si era illusa di conoscerla a fondo, di aver potuto vedere tutto ciò che c'era da vedere. Ma non è così, vero? C'è qualcosa da cui tu mi stai tenendo lontano. E non posso biasimarti, perché so che qualunque cosa sia, non è una mancanza nei miei confronti. Sei tu che non vuoi affrontarla. Sbaglio? « Allora il prodigo soldato errante è tornato alla base. » Si lasciò cadere accanto a lei sull'erba, senza dire nulla o lasciare che il proprio stato pensieroso fuoriuscisse in maniera troppo evidente. Eppure, nonostante tutto, Raiden era incazzato. Non con lei. Non era a Mia che era rivolta la sua rabbia, ma ad un qualcosa di astratto a cui non poteva dare né nome, né forma, né volto. E forse questo andava solo ad alimentare la sua rabbia verso quel qualcosa di ignoto che aveva inevitabilmente cambiato la vita di Mia. Io non so cosa sia. E quindi non posso nemmeno provare ad aiutarti. Non posso fare nulla, mentre invece vorrei. « Hai fame? Stasera la signora Wallace non si unisce. Se vuoi offro uova strapazzate o cibo surgelato. Oppure patatine.. » Sorrise, scuotendo leggermente il capo. « Dopo l'abbuffata di torte di oggi pomeriggio, penso che non mangerò per almeno altri sei anni. » O almeno era così che si sentiva in quel momento: nauseato dal troppo mangiare e con lo stomaco chiuso per mille altri motivi. « Allora com'è andata? Avevo ragione? Racconta! E' stato più o meno basic di quanto avevo anticipato? Spero non abbia fatto il cafone. I maschi al Sud sono un po'.. tanto. » Sospirò, appoggiando i palmi sull'erba e distendendo le gambe di fronte a sé. « Ci avevi azzeccato sul poligono. » disse, lasciando che una piccola risata trapelasse dalle sue labbra. « Per il resto mi hanno fatto un po' vedere le mete turistiche della città, mi hanno spiegato alcune usanze e poi siamo passati all'assaggio delle torte - che è più o meno accomunabile ai metodi di tortura usati dalla Yakuza per gli interrogatori. » Ridacchiò ancora prima di sospirare, mordicchiandosi il labbro inferiore. Un istante di silenzio e poi scosse semplicemente le spalle. « Alla fine ci siamo presi una birra con Gabe. » Pausa. « Prassi da fratello maggiore. Non entrerò nei dettagli, ma è andata bene. » Relativamente parlando. Rivolse comunque lo sguardo a Mia, condividendo con lei un sorriso a cui impose dei tratti sereni. « Sono stato molto bene. Mi piace, tuo fratello. » Ed era vero. Andavano d'accordo. Gabriel era simpatico e sapeva come alleggerire sempre l'atmosfera, mettendo gli altri a proprio agio, ma non era né uno smidollato né tanto meno superficiale. Aveva la testa sulle spalle, e di certo Raiden lo sentiva molto più vicino a sé di quanto non sentisse i propri amici in Inghilterra. È semplicemente una cosa diversa. Non abbiamo le stesse esperienze e non tutto può essere traslato alla perfezione, ma.. non saprei nemmeno spiegarlo. Le capisce, certe cose. « Ha già provveduto a raccontarti tutte le scene imbarazzanti della mia infanzia per spaventarti? Guarda che qualunque cosa ti abbia detto, lui non può proprio parlare, perché ha fatto di molto peggio. » Sollevò un sopracciglio, scoccandole un'occhiata eloquente. « Tipo le corse col culetto all'aria per il Bayou? » Le sorrise sornione, facendole un occhiolino mentre si scioglieva in una risata, lasciandosi poi scivolare con la schiena sull'erba e un braccio a sorreggersi la nuca. Rimase in silenzio, intrecciando le dita a quelle di Mia per carezzarla distrattamente con piccoli contatti teneri. « Quindi? Anche se oggi hai avuto una guida tremenda.. è come te l'eri immaginata? New Orleans intendo.. è come te l'aspettavi? Se ti ha deluso, prometto di provare a farti cambiare idea.. anche se forse non sono la persona più adatta. Però.. farò del mio meglio. » Scosse lievemente il capo, storcendo le labbra. « No.. non è del tutto come me l'immaginavo.. » disse, rivolgendole poi lo sguardo limpido. « In realtà è meglio. » E avrei davvero voluto che ci fosse anche lui, qui, a vederla. So che ne avrebbe adorato ogni angolo. Sospirò. Ma suo padre non c'era, non più, e quello spettacolo poteva essere registrato solo dagli occhi di Raiden, che sembravano scannerizzare tutto quanto come se, da qualche parte, Haru Yagami fosse collegato e assistesse tramite essi ad ogni istante. « E poi.. stavo pensando.. cioè lo so che stiamo un po' così.. però ecco.. domani sera ti va di uscire insieme? Cioè.. ti ho chiesto questa.. roba ieri sera, e non è che ora sto cercando di fare la paracula. Io ho capito perfettamente cosa mi hai detto e cosa mi hai chiesto. Però mi andrebbe comunque di uscire insieme.. » Sorrise tra sé e sé, voltandosi quanto bastava a posarle un bacio leggero tra i capelli. « Certo che usciamo. » disse, rafforzando quelle parole con un cenno del capo e una stretta leggera sulla sua mano. Si umettò le labbra, fissandola in silenzio per qualche istante. « Vorrei portarti a cena. » Proferì quelle parole a bassa voce, ma fermo nel proprio intento. Era chiaro che non stesse parlando di una delle loro tipiche cene spartane. Ne voleva una vera, una di quelle che possono essere classificate come un appuntamento tra due persone che stanno insieme. Dovrò chiedere a tuo fratello di consigliarmi un posto carino, però, dato che io di New Orleans non so niente e non voglio di certo rischiare il flop. « Comunque, sto iniziando a pensare che non metterò poi molto in ordine. Cioè boh.. magari mi sbaglio e ora avrò una grossa illuminazione e tutto mi sarà più.. chiaro. Però.. ti darò comunque una risposta. Prima di ripartire. Ho deciso così.. perché mi sento un po' ridicola. So che per te non ha proprio senso, però.. volevo comunque dirti grazie.. per la pazienza. » Tanto il volto quanto lo sguardo di Raiden si fecero più seri nell'annuire in silenzio a quelle parole. Parole a cui adesso sapeva dare una spiegazione, per quanto vaga. « Ha senso, Mia. » Adesso ce l'ha. Anche se forse avrei preferito trovarglielo prima, questo senso. Sospirò. « E non preoccuparti della mia pazienza. Ha retto a test peggiori. » Le carezzò il braccio in un moto rassicurante, stirando un sorriso tiepido che tuttavia non sembrò raggiungere il suo sguardo. E poi piombò di nuovo nel silenzio, spostando lo sguardo sul cielo terso sopra di sé. Lì, immersi nella natura, non c'era traccia di smog. Uno scenario ben diverso dal buio di una Tokyo sempre illuminata, sì, ma dalle luci accecanti dei neon, degli enormi schermi e dei grattacieli. « Mia? » chiese a un certo punto, dopo un lungo silenzio interrotto solo dal rumore del ruscello poco distante e dai frinii dei grilli. « Lo sai che con me puoi parlare di tutto, vero? » Pausa. « Specialmente delle cose di cui non parli con gli altri. » Un altro silenzio. Sapeva quanto quel discorso fosse delicato, e di certo non voleva farle pressione per parlare di un qualcosa che evidentemente affondava le proprie radici troppo in profondità. Tuttavia non riusciva a smettere di arrovellarsi il cervello intorno a ciò che Gabriel gli aveva detto. Non era tanto una questione di avere risposte - non erano quelle a interessargli - quanto piuttosto la volontà di starle accanto. Io ti ho proposto qualcosa di specifico. Ed è proprio questo che intendevo. Non voglio essere un tipo con cui condividi il tuo tempo libero quando ti annoi, o con cui vivere una realtà parallela. Perché una cosa la so, Mia, ed è che le realtà parallele non durano. Prima o poi si
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    sgretolano, infrangendosi contro la dura freddezza della vita vera. E l'impatto non è mai bello. Più tardi arriva e più fa male.
    Si rimise piano a sedere, con un sospiro, appoggiando i gomiti sulle ginocchia mentre si passava una mano a strofinarsi il mento. Non poteva ignorare ciò che Gabriel gli aveva detto, non poteva far semplicemente finta di nulla. Fissò quindi lo sguardo di fronte a sé, mordicchiandosi l'interno del labbro inferiore prima di decidersi a parlare. « Tuo fratello me lo ha detto.. cosa è successo. » Inclinò il capo di lato. « O quanto meno mi ha detto ciò che sa. » E che ha dato per scontato sapessi pure io. Come biasimarlo? Avrei fatto altrettanto, nelle medesime condizioni. Allungò una mano verso quella di Mia, stringendogliela delicatamente, come se una parte di lui avesse paura che lei potesse scappare di fronte a quelle parole. E infatti fu svelto a parare quell'eventuale colpo. « Non ti chiederò di parlarmene. » Puoi stare tranquilla. Non ti spingerò a fare o dire nulla. Qualunque cosa sia avvenuta, è giusto che la affronti a modo tuo, con i tuoi tempi e i tuoi spazi. E se ancora non ti fidi di me al punto da aprirti, o se semplicemente hai paura di ciò che potresti scoprire tu stessa nel rivivere quelle esperienze.. lo capirò. « So riconoscere un limite quando ne vedo uno. » Pausa. « E so rispettarlo. » Tirò su col naso, passandosi la mano libera sul volto e tra i capelli prima di voltare il capo quanto bastava a ricercare lo sguardo di lei.. o quanto meno a guardare il suo viso. Le strinse la mano con delicatezza, mentre le sue labbra si incurvavano di poco all'ingiù in un espressione afflitta. Nonostante tutto, Raiden non riusciva a non sentire un dolore acuto all'altezza del petto, nel pensare a quella situazione, a ciò che potesse esserle capitato. E il fatto di brancolare nel buio non aiutava di certo, perché lasciava la sua mente libera di partorire scenari tanto plausibili quanto terribili. « Mia.. » disse piano, con la voce che gli moriva in gola « ..se qualcuno ti ha fatto del male.. » Nel dire quelle parole, che gli si strozzarono in bocca contro il groppo che la sola idea gli creava in bocca, nella mente di Raiden riecheggiarono istintivamente le parole che lei gli aveva rivolto poche sere prima. « E' questo il tuo modo di affrontare i problemi? Non si può seppellire ogni cazzo di problema! » Chiuse le palpebre, prendendo un respiro. Forse è l'unico modo che conosco. È questo ciò che mi è stato insegnato: un problema non è più un problema quando sta due metri sotto terra. E lo sapeva, Raiden, che se quello di Mia avesse avuto un volto e un nome, gli sarebbe risultato difficile astenersi dal fare ciò che sapeva fare meglio. Sapeva che quell'istinto avrebbe probabilmente avuto la meglio su di sé. Però ci proverei.. a fare diversamente. Ce la metterei tutta. Deglutì a forza, scansando il pensiero con un cenno del capo prima di riaprire le palpebre sul viso di lei. « Non devi farmi entrare per forza. » disse in un filo di voce, puntando lo sguardo sulle leggere carezze che il suo pollice disegnava sul dorso della mano di lei. Prese un altro respiro. « Però non lasciarmi fuori, ok? »

     
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    Le piaceva sentirlo raccontare. Aveva un sapore famigliare, qualcosa a cui sentiva di potersi abituare. Una cosa semplice, genuina; nonostante la semplicità di quel momento, Mia non poté fare a meno di guardare a quella situazione come a un qualcosa che le appariva squisitamente perfetto. Le piaceva ascoltarlo, sentire il suono della sua voce, notare le inflessioni che compiva in determinati punti specifici. Raiden si prendeva il suo tempo, raccontava pazientemente, scegliendo nella moltitudine di parole quelle che meglio si adattavano alla situazione. Non sembrava né infastidito dalla compagnia a cui era stato affibbiato, né tantomeno scocciato dall'idea di ripercorrere i momenti salienti della giornata. Si era trovato bene, e nonostante la tranquillità con cui le espose quei brevi episodi, la giovane Wallace non poté fare a meno di voler verificare l'effettivo stato del suo animo, tendendo l'orecchio a sentire le sue emozioni. Era calmo, Raiden, ma non del tutto sereno. Una parte di ciò, ipotizzò potesse avere a che fare con la loro situazione. Che ci fosse ancora una punta di imbarazzo era evidente. Mia continuava a sfuggire, e a dirla tutta, a quel punto della storia, non sapeva più nemmeno lei per quale ragione lo stesse facendo. Erano riemerse, nel profondo del suo animo, una serie di insicurezze che puntavano con precisione all'autosabotaggio. Che lo volesse lì era evidente, che lo cercasse lo era altrettanto, ma era comunque frenata, e lo era lì, più di quanto non lo fosse in Inghilterra. Eppure, nonostante questo, il suono della sua voce aveva la capacità di cullarla, tranquillizzarla, ricreando in lei uno slancio nei suoi confronti che non poteva negare, né nascondere completamente. « Sono stato molto bene. Mi piace, tuo fratello. » Sul volto della mora si impose un sorriso colmo di affetto, accompagnato da un annuire con convinzione stringendosi nelle spalle. Sapere che Gabe e Raiden erano stati bene, la rincuora. Nonostante non le piaccia ammetterlo, l'opinione del giovane Wallace è importante per lei, e di certo non voglio aggiungere alla quantità di prese in giro anche il fatto che a suo avviso esco con un farabutto. Non avrebbe dato peso alle valutazioni del fratello, o della madre; Mia aveva imparato a essere sin troppo indipendente per il suo stesso bene, ma nonostante ciò, ammetteva che il successo di Raiden le faceva comunque piacere. E sono contenta che anche tu ti trovi bene. In fondo non avevo molti dubbi; siamo sempre stati in sintonia, io e la mia famiglia. Non sono mai state persone che giudicano. Non hanno filtri su certe cose e non erigono muri sulla base di insensati pregiudizi. Tu però sei stato altrettanto bravo. E infatti, la sua ammirazione non andava solo nei confronti degli Wallace, che avevano fatto sentire Raiden il benvenuto, ma anche nei confronti del ragazzo al suo fianco. In fondo non era scontato che tu capissi. Siamo comunque una roba un sacco ingombrante da mandare giù, e Raiden era pur sempre una persona decisamente più discreta e pacata. Sospirò, lieta di sentire quelle parole. « Sono contenta. Ero abbastanza certa che vi sareste trovati bene, ma non volevo dare nulla per scontato. Gabe sta facendo del suo meglio. Si sta impegnando un sacco.. per essere all'altezza. » In quanto ormai fratello maggiore, in capo a lui erano ricadute molte responsabilità. Di colpo Gabriel aveva dovuto imparare a crescere, affiancare la madre, aiutarla nella gestione degli affari di famiglia. Credi di nascere e crescere in una famiglia numerosa. Vivi con questa convinzione che se anche le cose dovessero andare male, i tuoi genitori verranno comunque gratificati appieno dai migliori. Poi gli imprevisti ribaltano la situazione, e non solo devi rimettere i prospettiva le tue priorità, vieni anche investito della responsabilità di portare avanti la tua stirpe. Di scatto sorride, lasciandosi coinvolgere dall'entusiasmo di Raiden nei confronti della città. Gli era piaciuta, e per un motivo che non capisce fino in fondo, quell'entusiasmo riesce a coinvolgerla. E' contenta di leggere nella sua indole un filo di elettrizzante eccitazione. E quindi, proprio sulla scia di quelle emozioni grondanti di una latente curiosità, Mia gli propone di uscire. So bene che non è ciò che abbiamo concordato, ma io vorrei semplicemente non pensare proprio a niente per una sera. Voglio farti vedere la città, parlare, baciarti in mezzo a una strada grondante di gente allegra e andare a ballare. Nient'altro. « Certo che usciamo. Vorrei portarti a cena. » Sgranò gli occhi, Mia, colta di sorpresa. Le appariva tutto un po' insolito. Nessuno mi ha mai portato a cena. E a quel punto avrebbe potuto rispondere che lei a cena si portava da sola, ma la verità è che per una volta Mia decise che sì, aveva voglia di essere portata a cena, vestirsi per bene, farsi venire a prendere e accompagnare al ristorante. Voleva sorseggiare un bicchiere di vino e fare conversazione, guardare Raiden negli occhi e giocherellare con le sue dita tra una portata e un'altra. Voleva il pacchetto completo, e il modo in cui Raiden sottolineò la sua dichiarazione di intenti, le fece capire che lo avrebbe avuto. « Ah.. allora siamo davvero al prossimo livello.. è proprio una cosa seria. » Challenge accepted. Ridacchiò scuotendo la testa prima di gettare lo sguardo in quello di lui mordendosi il labbro inferiore. « Non sarà mai come l'ordinazione delle tre di notte del Tokyo, mangiata sul pavimento, però.. » Possiamo provarci. Che Mia non fosse propriamente una tipa da appuntamenti ufficiali era abbastanza evidente. Non sapeva formalizzarsi, forse perché in fondo nessuno le aveva mai dato modo di farlo. Il massimo degli appuntamenti che aveva avuto erano i caffè da Starbucks o gli aperitivi ai Tre Manici. Però a me piacciono le ordinazioni delle tre di notte del Tokyo. Le piaceva la compagnia forse più del cibo, e le piaceva il fatto che con Raiden non aveva mai davvero bisogno di fingere di essere una persona differente. Se voleva indossare una sua felpa e restarci per un weekend intero poteva farlo, senza sentirsi a disagio o giudicata, ma poteva anche indossare un vestito e notare un cambio di paradigma atto a farla sentire bella, più che a soddisfare un mero piacere personale di lui. Dopo aver tentato di spiegare con toni decisamente confusionari il motivo della sua richiesta, e dopo aver sancito un patto prima di tutto con se stessa, oltre che con Raiden, rimase in silenzio, spostando istintivamente lo sguardo di fronte a sé. Non ha senso. Io lo so che non ha senso. Però non mi è chiaro come dovrei spiegartelo. « Ha senso, Mia. E non preoccuparti della mia pazienza. Ha retto a test peggiori. » Si. Ma non è giusto uguale. Io lo so che non è giusto. Tu sei qui, mi porti a cena, e fai amicizia con mio fratello. Stai facendo di tutto, ed io.. io non mi sto impegnando per nulla. Si sentiva in colpa, Mia, specie perché si chiedeva, in fondo al cuore, semmai sarebbe arrivata a una conclusione, semmai sarebbe stata pronta a fare pace con se stessa. E se poi non ci riesco che accade? Gli dico restiamo amici? Per quanto ridicola, Mia tentava di convincersi che quell'alternativa era davvero ancora valida, nonostante negli ultimi giorni avesse fatto di tutto tranne che mantenere le distanze da Raiden. « Mia? » Volse lo sguardo nella sua direzione sollevando entrambe le sopracciglia con un'espressione interrogativa. « Lo sai che con me puoi parlare di tutto, vero? Specialmente delle cose di cui non parli con gli altri. » Corrugò la fronte, Mia, colta da un improvviso senso di panico che la portò a mettersi sulla difensiva distogliendo lo sguardo. Deglutì, ispirando ed espirando sempre più velocemente, mentre sentiva montarle sulle spalle una forma di tensione cronica che mandava in cortocircuito l'atmosfera pacata di quella loro conversazione. « Tuo fratello me lo ha detto.. cosa è successo. O quanto meno mi ha detto ciò che sa. » In fondo, di ciò che si ha paura non si scappa, e nonostante una parte di Mia si fosse illusa del fatto che quella storia non sarebbe uscita a galla, forse era troppo pretendere che suo fratello mantenesse i toni della discussione su un semplice livello di conoscenza superficiale. Cazzo Gabriel. Quando imparerai a chiudere quella fogna! Era davvero così difficile farti i cazzi tuoi? Tutti sapevano quanto Mia evitasse di parlare di qualunque cosa fosse successo il 31 ottobre di un anno e mezzo prima. E infatti, fu tentata di scappare, pronta a far leva sulle braccia per alzarsi. Quel suo attacco quasi involontario fu tuttavia frenato sul nascere dalla delicata stretta del giovane Yagami attorno al proprio polso. « Raiden.. » Il tono di Mia apparve supplichevole, cosciente del fatto che gran parte dell'incertezza che vorticava attorno a loro era relegata proprio a quello. Ti prego non continuare. Lasciamo le cose come stanno. Perché in fondo, se aveva evitato di spiegargli le sue ragioni fino in fondo era proprioperché non voleva che la sua immagine agli occhi di Raiden cambiasse. Non voglio la tua pietà. Non voglio che nessuno si senta obbligato a trattarmi con i guanti. Per quello basta la mia famiglia. Io voglio prendermi la responsabilità almeno del fatto che non so stare al mondo. Perché è colpa mia se non ci riesco. Sono stata io. Mi sono stati dati degli ordini. Non li ho seguiti. Ho fatto di testa mia. Il senso di colpa che provava nei confronti di quella situazione correva in profondità e si diramava su vari livelli. « Non ti chiederò di parlarmene. So riconoscere un limite quando ne vedo uno. E so rispettarlo. » Incollò le ginocchia al petto, mantenendo lo sguardo rivolto in un punto specifico del prato nella direzione opposta rispetto alla figura del moro, concentrandosi tuttavia sulla stretta di lui, stringendo a sua volta le sue dita, come se volesse comunque aggrapparsi alla sensazione di non essere sola. La solitudine era una condizione che Mia temeva ormai più di ogni altra cosa. Percepiva la sua difficoltà, la confusione, la rabbia; non avrebbe saputo indovinare cosa potesse passargli per la testa, ma lo specifico dolore che emanava l'anima di Raiden era palpabile, e faceva male anche a lei. Era una sensazione che non sapeva reggere e che, la impressionò più di quanto avrebbe pensato. E così che si sono sentiti anche la mamma e Gabe? Peggio? E' questo ciò che si prova quando ti senti semplicemente impotente e nessuno ti aiuta a fare pace con ciò che provi? Si sentì egoista e il senso di colpa crebbe nell'animo di lei. « Mia.. se qualcuno ti ha fatto del male.. » Mia scosse la testa, afflitta da un senso di frustrazione che si mischiava ai forti sentimenti di lui. « ..non è così facile. » Se qualcuno mi avesse fatto del male, avrei avuto una persona con cui regolare i conti in sospeso. La mia rabbia e frustrazione avrebbero un nome. « Non devi farmi entrare per forza. Però non lasciarmi fuori, ok? » Per un istante, lo sguardo della giovane Wallace ricercò quello di Raiden con cautela, roteando la testa nella sua direzione lentamente, lasciandosi avvolgere da ogni sprazzo di emozione che da Raiden confluiva nella sua direzione. Lui si era fidato di Mia, in un modo incondizionato. Si era aperto e aveva scoperto una parte di sé che poteva intuire non era semplice mostrare. Mia aveva percepito tutta la difficoltà con cui un passino alla volta si era fatto più vicino. Era stata lei a spingerlo in quella direzione, continuando imperterrita a ricercare una connessione più profonda. Attraverso la frustrazione e la rabbia di lui, improvvisamente l'ipocrisia di cui si era macchiata le risultò palese. Non avrebbe potuto ignorare l'ingiustizia a cui lo aveva sottoposto nemmeno se l'avesse voluto. La parte peggiore di quel complesso meccanismo di pesi e leve era che Mia non riusciva ad essere ingiusta nei confronti di Raiden, non quando, nonostante tutte le sue reticenze, il ragazzo aveva letteralmente rinnegato ogni suo paletto per attraversarsi un continente solo per lei. Perché lo sapeva, Mia, che nonostante il suo desiderio di visitare New Orleans, Raiden sarebbe venuto con lei anche se casa sua si fosse trovata a Detroit o in Alaska. Voglio davvero sbagliare anche questa volta? Sono davvero disposta a giocarmi anche questo sprazzo di felicità? Voglio davvero restare da sola? Ma il punto non era in quel caso la paura di restare da sola; Mia aveva paura di perdere Raiden, e non semplicemente una persona qualunque disposta a starle accanto. Sospirò quindi, inumidendosi le labbra. « Io volevo dirtelo.. » Esala quelle parole con un filo di voce appena udibile, abbassando lo sguardo. Te lo avrei detto. « Non volevo tenerti fuori, né darti un'immagine non veritiera di me.. » Te l'ho detto che nemmeno io sono così. In virtù delle tue esperienze potevo immaginare che mi avresti capito, ma non volevo comunque che tu mi vedessi come una persona debole. « Quando è successo ero una ragazzina un sacco arrabbiata. Avevo perso un sacco di persone e c'era solo una cosa con cui potevo prendermela. » La Loggia. Non ha mai pianto, Mia, di fronte alla scomparsa della sua famiglia. Era come se le sue emozioni si fossero cristallizzate. Quando era uscita, la scomparsa di suo padre e dei suoi fratelli era già di dominio pubblico. Sarebbero stati dichiarati morti qualche settimana dopo la sua uscita dal Lockdown. L'ultima volta che avevo parlato di persona con loro era l'estate precedente, più di sei mesi prima. Racconta quegli avvenimenti con un filo di distacco, quasi come se non fosse la sua storia. Corruga appena la fronte e stringe le dita di lui con una leggera pressione. « Era la fatidica estate del Lockdown e tutti si preparavano alla battaglia. Ed io volevo essere lì, ma non me lo permisero. » Pausa. « Inutile dire che non me l'hanno fatto fare. » E quindi gli racconta quel che ricorda; una storia che presenta delle effettive lacune dovute al suo tentare di riportargli soltanto ciò di cui è sicura e che sa con esattezza. Gli racconta di come era finita in mezzo alla battaglia finale. Sono rimasta circondata ad un certo punto. Gli altri non sapevano della mia presenza, né nella Logia era possibile comunicare più di tanto. Alla fine, per sfuggire alle troppe creature che aveva al seguito si era nascosta in un tombino, restando lì per diverso tempo. Poi tutto si era fatto di colpo silenzioso. Non c'era più nessuno oltre a lei: né mostri, ma neanche persone. Si era detta che l'avevano lasciata indietro semplicemente perché non sapevano della sua presenza in primo luogo. A quel punto si era diretta in fretta e furia verso il primo santuario utile. Ma non c'era alcun santuario, né c'era Inverness. Non c'era più alcun posto sicuro, né durante il suo vagare era riuscita a trovare altra anima viva. Alla fine aveva capito; l'altra se stessa gliel'aveva fatto capire - ma questo, Mia, a Raiden non lo confessa. « Sono sempre stata lì. E non so quanto tempo è passato, o come ho fatto di preciso. Potrebbe essere stata un'eternità.. » Ad un certo punto ero certa di essere morta. Questo sì, lo ricordo perfettamente. Allo stato attuale in ogni caso, non sono neanche certa di quanti anni ho, e di quanto tempo ho effettivamente perso lì dnetro « ..o un istante. Ciò che so è che qui è passato un anno. » Parla in maniera estremamente distaccata, la giovane Wallace. Raccontare sembra semplice; è come se parlasse di un'altra persona, di un'altra vita. Quei ricordi e quelle immagini sono ancora intrappolate lì nella sua memoria, ma ovunque siano, Mia non riesce o non vuole accedervi. Ha paura di cosa potrebbe rammentare. « Non ricordo neanche cosa ho fatto lì dentro. » Si stringe nelle spalle mentre inizia a strappare nervosamente diversi fili d'erba. « Ad un certo punto so solo che ero in mezzo a una foresta. E poi ho visto il sole e le porte di Inverness. » E non mi sono mai sentita così sollevata in tutta la mia vita.

    « Hanno assunto avessi vagato per tutto quel tempo. A scuola girava persino voce che ho fatto l'autostop in giro per l'America per tutto quell'anno. » Un sorriso amaro si allarga sulle labbra di lei. « Mi andavano bene tutte queste versioni, quindi non ho detto niente. Non avevo voglia di parlare. » E lì arriccia le labbra annuendo tra sé e sé con un palese moto rassegnato. « Il problema è che io l'ho sempre saputo da dove venivo, ma non ho detto niente. Non volevo domande e non credevo neanche che qualcuno mi avrebbe creduto. E ora guarda che cosa sta succedendo.. » Compie una leggera pausa tempo in cui sospira scuotendo la testa. « Potevo fare qualcosa. Forse avremmo evitato certe cose, a partire dal fatto che - cazzo! - ho rischiato la pelle lì dentro di nuovo a settembre. » E poi il legame si è aperto di nuovo.E lì per la prima volta i suoi occhi diventano lucidi, manifestando una frustrazione, un dispiacere e un senso di colpa inimmaginabili. « Avrei dovuto metterli in guardia.. ma per quanto stupido, volevo tornare alla normalità. Avere qualcuno sempre pronto con una domanda non era proprio la mia definizione di normalità. » E forse non lo è nemmeno ora, ma quanto meno non sono una specie di somma autorità della sopravvivenza in un posto di cui non voglio raccontare nulla. « Al mio ritorno tutto era diverso. I miei amici, la scuola.. c'era un college, cazzo! » Solleva le sopracciglia scuotendo la testa. Insomma mi sono persa un sacco di cose, e non sono mai riuscita a recuperarle del tutto. E lì stringe i pugni gettando lo sguardo di fronte a sé mentre stringe i pugni. « Non sono mai riuscita a.. tornare al passo. Ma.. me la sono cercata. » Il silenzio che segue la porta a deglutire, arrossendo violentemente. Prova un profondo senso di vergogna; non riesce a far pace con quanto accaduto. E non è servito proprio a niente se non a divorarmi dall'interno. Ha distrutto quel poco che della mia famiglia c'era ancora ed io dal canto mio sono diventata una specie di ombra. Vago così.. senza meta, senza trovare un posto tutto mio. Perché a volte sembrava evidente che mia non fosse nemmeno in grado di desiderarlo un posto tutto suo. Le ci vuole diverso tempo prima di tornare a osservarlo. Si passa velocemente le nocche sugli occhi sollevando le spalle come tentando di togliersi di dosso un peso invisibile. Schiude le labbra e resta lì per un po', tentando di carpire il suo stato d'animo. « Ecco, io credo che durante questa pausa mi sono un po' persa. Non so chi sono. » E non credo di averlo mai saputo fino in fondo. Prima ero troppo piccola per capirlo. Ero arrabbiata e frustrata.. ed ero anche triste. E mi sentivo già sola. Mi mancava mio padre, i miei fratelli; mi mancava la mia casa, i miei amici, mi mancavano le mie terre. Mi mancava il mio posto; ora non so nemmeno se lo sento più mio. Ho come l'impressione che non riesco proprio a vivermi un cazzo fino in fondo, come se qualcosa mi frenasse di continuo. Forse è la pura realizzazione del fatto che nulla è per sempre, e che le cose sono inesorabilmente destinate a finire. L'infanzia, le sicurezze.. la vita. « Io non volevo una relazione perché non mi va di essere una persona dipendente. Ho paura di essere tentata di affidarmi completamente a qualcun altro.. » Ed io ho bisogno di capire chi sono da sola. Però, al contempo, Mia era certa di non riuscirci da sola. Non voleva ammetterlo, ma era così. Da sola si era trascinata senza una meta specifica sin da quando era tornata, slisciando sulla superficie di ogni situazione. Si immergeva coi piedi nelle acque tumultuose della vita, per poi scappare prima ancora che l'alta marea arrivasse. Tira su col naso e incrocia le braccia al petto, provando un senso di profonda frustrazione. « Non mi va di essere il giocattolino rotto di nessuno. » La pietà mi fa paura. Ed è quella specifica sfumatura che cerca con timore negli occhi di Raiden. Ti faccio pena? Perché è proprio ciò che ho sperato di evitare sin dal principio. « Abbiamo questa presunzione di voler aggiustare tutto, ma la verità è che ci sono certe cose che.. ..non si possono aggiustare. » Si stringe nelle spalle, Mia, e scuote la testa rassegnata. Tu mi piaci così tanto perché con te non ho mai sentito il bisogno di usare filtri. Con te sono quello che mi pare, quando mi pare. Posso ridere o piangere, comportarmi come un monello di periferia o indossare un bel vestito e volteggiare su una pista come una principessa. Nessuna di queste immagini entra mai in contraddizione per te. Non ho mai percepito il tuo giudizio. Non ho mai sentito il bisogno di riaggiustarmi. « Io.. non voglio essere un peso, o la ragazza interrotta.. » Tutti mi trattano come se fossi una con bisogni particolari, come se fossi speciale ma non in senso buono. Mia madre dice che sono una ragazza "sensibile"; so che mi vuole bene, ma io non sono di porcellana e non voglio essere trattata come tale. « Vorrei essere solo Mia. E vorrei non scaricare i miei cazzo di problemi su di te. Mi piacerebbe che fossi sempre.. come ieri sera.. » Forse non ha senso, ma per me fila. « Ecco vorrei anche evitare di farti sentire così.. » Arrabbiato, triste e abbattuto. « ..ne hai già abbastanza per le mani, senza aggiungerne un'altra. » Io vorrei supportarti, non aggiungerti altri carichi negativi.



     
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    Se Raiden avesse dovuto mettere in fila ordinata tutte le cose che aveva imparato durante la sua permanenza al campo di Iwo Jima, probabilmente non sarebbe riuscito a farne un elenco esaustivo senza finire per incartarsi inevitabilmente. C'erano però due tipologie di insegnamenti: quelli diretti, che venivano impartiti limpidamente dai maestri ai cadetti, e quelli più sotterranei, che si insinuavano sottopelle senza che te ne rendessi nemmeno conto. Erano forse proprio questi ultimi, i precetti che più attecchivano nell'animo di quei giovani: vi mettevano radici fino a divenire parte integrante della loro persona, plasmandoli in maniera indelebile. Non tutti seguivano i medesimi tempi: alcuni li interiorizzavano quasi subito, altri invece avevano bisogno di più tempo e di spinte maggiori, ma alla fine il risultato era sempre lo stesso.
    Era una domenica di Luglio come tante altre: la stagione dei monsoni era al suo solito calda e afosa, e la pioggia scendeva sull'isola vulcanica come un torrente in piena, picchiando su capannoni, attrezzature e persone. Con un clima del genere non si poteva far nulla - o almeno questo era ciò che avevano a lungo pensato nei loro anni da civili. Lì, al campo, queste cose non avevano alcuna importanza: poteva abbattersi su di loro anche un tifone e nulla sarebbe davvero cambiato nella rigida organizzazione quotidiana. In fin dei conti quello era il clima del loro paese. Che cosa avrebbero dovuto fare, una volta usciti di lì? Scegliere quando lavorare in base alle condizioni atmosferiche? Dire al terrorista babbano di turno "no scusa, oggi piove, non è che puoi rimandare l'attentato a Giovedì? Dicono che sia soleggiato"? Dovevano farci l'abitudine, volenti o nolenti, fin quando nessun dato esterno sarebbe riuscito a intralciarli. E infatti nessuno si stupì quando la sveglia arrivò alla solita ora e, con essa, la scansione tipica domenicale: il circuito. Le regole erano sempre le stesse, ma il percorso cambiava ogni settimana. Si poteva descrivere come una sorta di maratona: partivano due o quattro cadetti alla volta - in base al piano del circuito stesso - e il loro compito era semplicemente quello di tirare dritto, seguendo il percorso prestabilito e le prove messe loro di fronte. Avevano un tempo massimo, non potevano fermarsi e non potevano ritirarsi: le tappe andavano completate ad ogni costo. Il percorso veniva segnalato da frecce, ma alla partenza nessuno sapeva davvero quali prove si sarebbero trovati ad affrontare; alle volte conoscevano solo la prima, nel caso in cui si trovasse immediatamente alla linea di inizio. E quel giorno fu così. « Con questa pioggia? Sono dei pazzi. Annegheremo tutti. » furono le parole che uno dei loro compagni proferì a bassa voce, con tono concitato, sgranando gli occhi in un'espressione di puro panico nel momento in cui vennero condotti in cima ad una scogliera dell'isola. L'ologramma era inequivocabile: start. Era chiaro che dovessero tuffarsi e attraversare a nuoto il tragitto indicato dagli ologrammi successivi, sparsi per tutta l'isola. E sì, con quelle piogge che scuotevano le acque del mare, il rischio era alto. Nessuno sarebbe morto - ovviamente - perché se si fosse verificato un vero pericolo, ci avrebbero pensato i maestri a trarli in salvo, facendogliela scontare in seguito con qualche punizione esemplare. Quello di non morire sembrava un imperativo messo di fronte a loro più con la minaccia delle conseguenze in vita che con quella della morte effettiva. Quando arrivò il turno di Raiden e del compagno a lui assegnato, il giovane Yagami prese un profondo sospiro, castandosi un testabolla prima di gettarsi con precisione al fischio del maestro. Una macchina. Raiden tirava dritto senza guardarsi indietro. Le bracciate lo portarono alla spiaggia, da cui ebbe inizio la corsa. Gli erano bastati un paio di circuiti per capire come funzionasse quel gioco. Molti credevano fosse semplicemente un modo estremo per mettere alla prova la loro resistenza, una sorta di sfida in cui poteva vincere solo chi si arrendeva per ultimo - dando per scontato che, ad un certo punto, qualcuno si arrendesse. Dove per arresa si intendeva la perdita dei sensi, considerata come unico game over. In fin dei conti non era raro che anche un corpo allenato cedesse a quello sforzo. Era capitato anche a Raiden, le prime due volte, beccandosi come premio la negazione della cena e una bella serie di cinghiate. Perché se doveva svenire, tanto valeva che lo facesse per un motivo. Dopo che ti nutriamo e ti alleniamo, il tuo corpo non ha alcuna ragione di cedere se non per la tua debole e infantile volontà - quelle erano le parole, parafrasate, con cui venivano spiegate loro quelle punizioni. Punizioni che a Raiden erano servite per riflettere sul vero scopo di quei circuiti e sulla chiave per risolverli, a prescindere da quali prove e condizioni esterne si parassero di fronte a loro. E c'era arrivato, a quella soluzione, anche piuttosto in fretta. È disciplina. Pura e semplice disciplina. Non verso i maestri, ma verso noi stessi. Non possiamo controllare nulla se non sappiamo gestire il nostro stesso corpo: regolarne i battiti cardiaci, calcolarne i movimenti con precisione. Il punto è semplice: non si tratta di cieca resistenza fine a se stessa, ma di saper calcolare con millimetrica perizia le energie necessarie ad un dato compito, sfruttandone né più né meno di quante ne siano richieste. Poteva sembrare banale, ma non lo era affatto. La maggior parte delle persone reagiva istintivamente, sforzandosi all'estremo per paura di cedere, oppure andando a risparmio energetico nel terrore che il compito successivo fosse troppo impegnativo. E fallivano, sempre. Dopo diverse tappe, culminate nella scalata del monte Suribachi, i due giunsero finalmente alla cima, trovandosi di fronte a due katane. Si guardarono, riprendendo fiato per un istante prima di affrettarsi a raggiungere le armi e impugnare ciascuno la propria. Daisuke non ce la faceva più, era chiaro dal modo affannato in cui respirava, dall'andatura tremula e barcollante e dal colorito praticamente esangue del suo viso che cercava di trattenere lacrime di esaurimento. Raiden si mise in posizione di combattimento, sollevando la katana sopra la testa e fissando il proprio opponente dritto negli occhi, cercando di focalizzarlo oltre la pioggia battente. « Yagami.. » Bastarono un paio di colpi per sentire quel tono. Era disperazione. Daisuke lo stava pregando. « ..ti prego, Yagami, non ce la faccio più. Fammi essere primo. Solo per questa volta, ti prego. » Aveva subito troppe punizioni, troppo ravvicinate. Glielo poteva leggere negli occhi: era al punto di rottura. « Combatti, Inoue! » urlò, sovrastando il rumore della pioggia. Sei arrivato fin qui. Sei arrivato all'ultimo round. Vuoi buttare tutto proprio adesso? Ma il compagno scosse la testa, esausto, cadendo in ginocchio e scoppiando in un pianto che sembrava volergli prosciugare le ultime forze rimaste. « Mi arrendo. Mi arrendo. Basta. » « Non funziona così! Non puoi arrenderti. Non c'è resa, Inoue! » Daisuke alzò gli occhi spiritati in quelli di Raiden. « Ogni settimana. Ogni cazzo di settimana, Yagami. Vengo frustato, vengo affogato, vengo picchiato, mi viene tolto il cibo, mi viene tolto il riparo per la notte. TUTTO. MI HANNO TOLTO TUTTO. » Rimase in silenzio, Raiden, senza tuttavia abbassare mai la propria arma. « E non ti è ancora sufficiente? » chiese, gelido. Non ti hanno ancora dato abbastanza motivazioni per alzarti e combattere? Per prendere in mano la tua cazzo di vita e scegliere di non subire più quelle angherie, costi quel che costi? Ma Daisuke scosse il capo. « A che serve provare e fallire continuamente? » Lo stava giudicando, Raiden? Forse. Di certo credeva che il compagno si stesse abbandonando, che stesse attuando una scelta. « Serve a non essere una cazzo di vittima. »

    Le parole che aveva rivolto a Daisuke Inoue in quella piovosa domenica di Luglio, Raiden non se le era mai dimenticate. In quel momento le aveva pronunciate di getto, senza un vero fine se non quello di spronare il compagno ad alzarsi e riprendere controllo di se stesso. Non si era resto conto, lì sul momento, di quanto quella frase fosse una spia evidente dei propri progressi in quel campo, e forse addirittura nella vita. Eppure all'occhio dei maestri sarebbe stato chiaro che il giovane Yagami avesse già interiorizzato una delle più importanti consapevolezze che quell'addestramento voleva insegnare loro. Ovvero che tutto quanto è frutto di una scelta. C'è un momento, un istante preciso nelle nostre vite, in cui siamo chiamati a decidere per noi stessi - e quella decisione è così piccola, ma allo stesso tempo così importante, che ci definisce per sempre. Forse è addirittura la più importante che un essere umano possa mai prendere. È in quel momento che decidiamo chi essere all'interno della nostra stessa vita: vittime passive o agenti. Raiden aveva scelto la seconda, con tutto ciò che comportava nel bene e nel male. E dopo diverso tempo, raggiunta finalmente la consapevolezza di sé, aveva compreso quanto le parole dette al compagno fossero un sintomo della scelta che lui in primis aveva compiuto e che stava cercando di aiutare Daisuke a prendere. Ho capito di aver scelto me stesso, quando sono stato chiamato a farlo. Magari non lo avrò fatto in maniera del tutto consapevole, ma dentro di me avevo comunque gli strumenti necessari a prendere quella decisione. Forse, sotto sotto, una parte di me sapeva quale fosse l'alternativa; sapeva che se mi fossi lasciato andare, avrei anche lasciato che tutto quel dolore mi definisse come persona. Non sarei stato altro che una vittima - per gli altri, ma soprattutto per me stesso. E io non volevo essere la somma delle esperienze che mi avrebbero portato a crollare. Non volevo essere ciò che mi era capitato e ciò che mi era stato fatto. Io volevo essere Raiden Yagami, e non ho mai smesso di combattere - per esserlo. Volevo vivere.
    « [..] Sono sempre stata lì. E non so quanto tempo è passato, o come ho fatto di preciso. Potrebbe essere stata un'eternità.. o un istante. Ciò che so è che qui è passato un anno. » Non trovò sollievo nel racconto di Mia. Non si sentì in qualche modo confortato dall'idea che la Serpeverde non fosse stata sotto il giogo di qualche crudele psicopatico per più di un anno. Come poteva trarre consolazione dalla verità che gli venne messa di fronte? Era opprimente, perché vessata da un senso di impotenza che poteva chiaramente percepire in Mia. Non c'era modo di cancellare quelle esperienze, né poteva prendersela con un ipotetico colpevole. Poteva solo conviverci, facendoci i conti ogni giorno. E adesso che tutto sta tornando.. è più facile a dirsi che a farsi. Lì, su quel prato lontano della Louisiana, Raiden e Mia avrebbero potuto parlare per ore senza raggiungere mai un punto o, al contrario, illudendosi di raggiungerlo. Ma la verità era che quei mostri sarebbero tornati - non solo di notte, negli incubi della ragazza - ma nelle loro vite reali. Lo scontro, presto o tardi, sarebbe arrivato, e il modo in cui lei avrebbe reagito non era affatto scontato. Ma io non voglio che tu ti lasci andare. « Non ricordo neanche cosa ho fatto lì dentro. Ad un certo punto so solo che ero in mezzo a una foresta. E poi ho visto il sole e le porte di Inverness. Hanno assunto avessi vagato per tutto quel tempo. A scuola girava persino voce che ho fatto l'autostop in giro per l'America per tutto quell'anno. » Le labbra di Raiden si tesero in una linea amara. E tu glielo hai lasciato credere, non è così? Al suo posto avrebbe fatto la medesima cosa. Non potendo far nulla per mettere un punto fermo, avrebbe impedito agli altri di vedere quella crepa. La pietà è sempre la parte peggiore. A nessuno con un minimo di orgoglio piace farsi compatire. Ti fa sentire come un invalido, come qualcuno che da solo non può farcela. « Mi andavano bene tutte queste versioni, quindi non ho detto niente. Non avevo voglia di parlare. » Non la biasimava. Tutt'altro. Capiva benissimo quelle parole e il tipo di sentimento che Mia doveva provare nei confronti di quell'esperienza. « Il problema è che io l'ho sempre saputo da dove venivo, ma non ho detto niente. Non volevo domande e non credevo neanche che qualcuno mi avrebbe creduto. E ora guarda che cosa sta succedendo.. » Sospirò. Ora tutto sta tornando. Ma tu non potevi saperlo. E nessuno poteva pretendere che tu ti facessi carico di un simile peso, dopo aver visto e affrontato ciò che hai visto e affrontato tu. Era chiaro che se Mia avesse parlato per tempo di ciò che le era capitato, il branco avrebbe potuto mobilitarsi per tempo, sapendo in anticipo ciò che stava accadendo. Ma avremmo davvero saputo cosa fare? Cosa sarebbe davvero cambiato nel pratico? Alcuni ti avrebbero creduto, sì, ma il resto del mondo avrebbe continuato a fare orecchie da mercante. Guardali! Ignorano il pericolo anche quando ce l'hanno davanti al viso. Figuriamoci se avrebbero ascoltato qualcuno che basava le proprie paure sulle parole di una ragazzina sconvolta. « Potevo fare qualcosa. Forse avremmo evitato certe cose, a partire dal fatto che - cazzo! - ho rischiato la pelle lì dentro di nuovo a settembre. Avrei dovuto metterli in guardia.. ma per quanto stupido, volevo tornare alla normalità. Avere qualcuno sempre pronto con una domanda non era proprio la mia definizione di normalità. » Scosse il capo, conscio di quanto quella situazione dovesse pesare su di lei in maniera insopportabile. Mia si stava attribuendo delle responsabilità che non aveva - e quello Raiden, in lei, lo vedeva chiaramente. Meno chiaramente, però, riusciva a riconoscere quello stesso atteggiamento su di sé. « Non potevi fare nulla, Mia. » proferì in un filo di voce. « Le tue parole avrebbero potuto cambiare le disposizioni di alcuni, ma nel pratico avrebbero probabilmente arrecato più danno che beneficio. » Guardaci! Persino adesso siamo costretti a muoverci nell'ombra, ad aggirarci con circospezione mentre tentiamo semplicemente di rendere autonome le persone intorno a noi. Cosa pensi che sarebbe capitato, se avessi parlato? Pensi che certe tragedie non sarebbero avvenute? Se lo credi davvero.. ti stai illudendo. « Al mio ritorno tutto era diverso. I miei amici, la scuola.. c'era un college, cazzo! Non sono mai riuscita a.. tornare al passo. Ma.. me la sono cercata. Ecco, io credo che durante questa pausa mi sono un po' persa. Non so chi sono. » I pensieri di Raiden sembrarono come fluttuare distanti da lì, nel sentire quelle parole. Parole che rievocavano qualcosa in lui - ricordi, sentimenti che si era lasciato indietro. Al mio ritorno tutto era diverso. Lo era stato davvero? Era davvero cambiato qualcosa? Sì forse alcuni elementi erano mutati, ma la sostanza era sempre la stessa - le persone anche. Non è cambiato nulla, all'esterno. Per quanto radicalmente diverse fossero le esperienze di Raiden e Mia, il giovane Yagami sembrava trovarvi sempre più punti di connessione man mano che quel racconto si dipanava di fronte ai suoi occhi. Non potevano essere messe a confronto, erano due cose completamente estranee l'una all'altra, eppure dei minimi comuni denominatori c'erano ed erano fatti della stessa pasta. Lo capiva, Raiden, quel senso di straniamento, quell'improvvisa consapevolezza di non appartenere più a un luogo che per molto tempo era stata una comfort zone, forse addirittura una casa. Ti sembra che sia cambiato tutto, mentre non c'eri. Come se fosse bastato voltare le spalle per soli cinque minuti. Una sorta di gioco a un due tre stella con la vita. Eppure se guardi con attenzione noterai che nulla è davvero cambiato. Sei solo tu, ad essere diverso - a non incastrarti più. Un senso di vago terrore lo pervase. Fu un istante, come un improvviso gelo senza nome e spiegazione. Raiden aveva paura di provarle di nuovo, quelle sensazioni. Provava un inconscio senso di panico all'idea di tornare a casa propria e non sentirla più come tale - di aver davvero perso definitivamente il proprio posto per la scelta di fuggire. Un terrore, quello, che tuttavia non riusciva a concettualizzare. « Io non volevo una relazione perché non mi va di essere una persona dipendente. Ho paura di essere tentata di affidarmi completamente a qualcun altro.. Non mi va di essere il giocattolino rotto di nessuno. Abbiamo questa presunzione di voler aggiustare tutto, ma la verità è che ci sono certe cose che.. ..non si possono aggiustare. Io.. non voglio essere un peso, o la ragazza interrotta.. Vorrei essere solo Mia. E vorrei non scaricare i miei cazzo di problemi su di te. Mi piacerebbe che fossi sempre.. come ieri sera.. Ecco vorrei anche evitare di farti sentire così.. ne hai già abbastanza per le mani, senza aggiungerne un'altra. » Rimase ad ascoltarla in silenzio, senza interferire, cogliendo ogni sua parola con attenzione solo per rimanerci ancora, in quel silenzio, quando lei si ammutolì. Sospirò, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre tormentava con le dita qualche filo d'erba. Stava riflettendo, come se dentro di sé ci fosse un mare di pensieri intrecciati e fosse suo compito navigarlo, pescandone uno alla volta per metterlo in fila coerente con gli altri. Non era semplice affrontare quel tipo di discorso, o quanto meno a lui - che un paroliere non lo era mai stato - riusciva difficile dargli un senso compiuto al di fuori della propria stessa testa. Gli ci voleva sempre un po' di tempo - tempo che preferiva prendersi, piuttosto che parlare di getto. E infatti parlò solo dopo svariati secondi, cominciando con cautela e lo sguardo fisso di fronte a sé in un punto imprecisato. « Io non penso che tu debba essere aggiustata. » Pausa. « In realtà non penso ci sia proprio nulla da aggiustare. » Si umettò nuovamente le labbra, strofinandosi il mento con una mano mentre continuava a riflettere. « Ti è successo qualcosa che.. che non si può cancellare. » Ma c'è davvero qualcosa del nostro passato che possa essere cancellato, nel bene e nel male? « Qualcosa che ti porterai sempre dietro, a prescindere da tutto. » Lo so bene. A un certo punto puoi solo farci i conti. Puoi solo tentare di capire come ciò che ti è successo ti abbia cambiato e imparare ad accettare la persona che sei diventata. Non è detto che ti piaccia tutto, di quella persona. Anzi, a volte non ti piace per nulla e vorresti solo essere qualcun altro. Ma devi andare oltre, ci devi almeno provare, per capire che quella persona potrà essersi spezzata in alcuni punti.. ma non è rotta. Non è da aggiustare. Semplicemente, nel mondo in cui viviamo, questo è il destino a cui tutti quanti a proprio modo vanno incontro. «
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    Anche se volessi, io non potrei ripararti. »
    Io tra tutti? Solo l'idea mi fa ridere. Guardami. Guarda che cazzo di vita conduco. Sarebbe solo ipocrita da parte mia, illudermi di poter aggiustare qualcosa che non sono riuscito ad aggiustare nemmeno in me stesso e che, per come la vedo io, non può essere aggiustato a prescindere. Si voltò ad osservarla, serio in volto, ma pacato. Sospirò. « Mia, guardami. » la incalzò con delicatezza, attendendo il suo sguardo prima di sgusciare più vicino a lei sull'erba. Mia si teneva le ginocchia strette al petto e Raiden, con movimenti gentili, si pose di fronte a lei, sciogliendo la presa delle sue braccia per intrecciare le dite alle sue e racchiuderle le gambe tra le proprie. Per qualche istante non disse nulla, limitandosi a guardarla negli occhi e respirare in un ritmo calmo, lasciando che i loro battiti si sincronizzassero naturalmente. Pazientò, aspettando quanto ritenne necessario prima di allungare una mano verso il viso di lei, carezzandolo leggero. « Te lo ricordi quando ci siamo conosciuti, la sera del tuo compleanno? » Le pose quella domanda con un tono quieto, flesso soltanto dalla dolcezza del sorriso che quel ricordo gli provocava. Erano entrati subito in sintonia, come se si conoscessero da una vita. Avevano riso e scherzato, punzecchiandosi in continuazione. Mia non aveva la più pallida idea di chi avesse di fronte, e Raiden nemmeno, ma neanche per un istante si erano girati intorno in punta di piedi, nella maniera tipica che si confà a due sconosciuti. « La prima impressione che ho avuto di te è che tu fossi una delle persone più genuine che io avessi mai conosciuto. » Ho pensato che tu fossi incredibilmente viva. Sembra stupido, lo so. Ma c'è tanta gente che respira, che si muove e che parla, senza vivere davvero. Sorrise, inclinando leggermente il capo di lato mentre poggiava la mano sulla guancia di lei. « E poi ti ho conosciuta meglio, un po' alla volta, e ho visto tutto il resto. » Raiden la fissava con muta adorazione, come se nei suoi tratti scorgesse qualcosa di talmente bello da destabilizzarlo; qualcosa che gli altri non vedevano, ma che per lui era lampante. Io non l'ho mai capita, quella storia dei punti, perché trovavo sconcertante la sola idea che tu potessi sentirti anche solo un po' da meno rispetto a qualcun altro. Sospirò. « Ho visto la forza di volontà con cui fai quello che ti pare. » rise, cristallino, come deliziato da quell'idea che era solo il primo di tanti altri punti « Ho visto il coraggio con cui ti butti nelle cose e la tua incredibile capacità di entrare a gamba tesa nella vita di chiunque e farti amare. Ho visto la sicurezza con cui ti getteresti letteralmente nel fuoco per le persone a cui tieni e la testardaggine che hai nel difendere le tue convinzioni senza farti intimidire. » E questa sarebbe una persona da aggiustare? Cazzo, Mia, sei una delle persone più forti che io abbia mai conosciuto! Prese un respiro, stringendo piano la mano di lei con la quale teneva ancora le dita intrecciate. « Mia.. » la incalzò nuovamente, come a volerne attirare l'attenzione « ..tu abbassi lo sguardo solo quando ti dico che sei bella. » Ti ho osservata. Ci ho fatto caso e ne ho tratto le mie conclusioni. Fece una pausa, lasciando cadere la mano dal viso a carezzarle il braccio. Scosse lento il capo, con un sorriso tiepido a incurvargli di poco le labbra. « Ciò che ti è successo è orribile, ma non ti definisce. Non sei una che è sopravvissuta e non sei una vittima della Loggia. Se ti sei convinta di esserlo, è affar tuo, ma non è ciò che io vedo. » Ricercò il suo sguardo con più insistenza, come a volerle comunicare tramite i propri occhi quanto fosse straziante per lui vederla così inconsapevole del proprio valore. « E vorrei tanto che lo vedessi anche tu.. perché è una visuale stupenda, quella della persona a cui ho chiesto di essere la mia ragazza. » Sbuffò una lieve risata dalle narici, stringendole dolcemente le mani mentre si chinava in avanti per poggiare il mento sulle ginocchia di lei e fissarla intenerito. « Se la conoscessi la adoreresti anche tu. » disse a bassa voce, prima di stampare un piccolo bacio sulle ginocchia di lei e poi sulle nocche delle sue mani. Sospirò, scivolando ancor più vicino a Mia per incorniciarle il viso con le proprie mani e incollare la fronte alla sua. Rimase in silenzio per qualche istante, facendo poi cozzare le rispettive fronti con un leggero colpetto. « Io non penso che tu riusciresti mai a dipendere da qualcuno. » Ed è questo che mi piace di te. È per questo preciso motivo che voglio starti accanto. « E nemmeno che saresti capace di scaricare i tuoi problemi, dato che te li ho dovuti praticamente cavare di bocca con le pinze. » pronunciò quelle parole con un sorriso, come a voler aggiungere una nota parzialmente ironica in quel discorso. Non fosse stato per Gabriel, io questa cosa non l'avrei mai saputa. O comunque ne sarei venuto a conoscenza tra un bel po'.. semmai. Sospirò. « Questo però non significa che tu debba affrontare tutto da sola. » C'è una differenza. C'è un equilibrio tra le due cose. Ed è vero che nemmeno io sono bravo a trovarlo - che cado spesso in un estremo o nell'altro - ma possiamo provarci insieme.. a scoprirlo. « Io non voglio che tu ti abbandoni alla mia guida.. perché queste sono battaglie che ciascuno deve combattere da sé: solo così possono essere vinte. » Le parlava a bassa voce, con tranquillità, carezzandole piano le guance coi polpastrelli dei pollici. « Però voglio tu sappia comunque che se ad un certo punto, per qualunque ragione, dovessi cadere.. io sarei comunque lì a riprenderti. » Pausa. « E lo so.. che tu faresti lo stesso per me. »



     
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    La maggiore età è un gran traguardo. Poco importava che non più di quasi due mesi prima era stata attirata in uno dei posti più ignobili che la sua immaginazione potesse concepire. Dopo qualche giorno di completo smarrimento aveva ripreso coraggio, si era alzata dal letto di buon grado ed era tornata fresca come una rosa a lezione, quasi come se niente fosse successo. Preferiva ignorare le conseguenze di quanto accaduto. Tutti loro stavano bene, e questo era ciò che importava. Con Ronnie e Benji evitava di parlare dell'accaduto, e anche con Scorpius, col quale aveva tentato un dialogo più sincero, alla fine aveva deciso di tararsi su conversazioni più superficiali, finché alla fine le comunicazioni si erano interrotte. Non lo aveva invitato al suo compleanno, forte del fatto che se per più di un mese non aveva sentito il bisogno di farsi sentire, evidentemente qualunque cosa ci fosse tra loro era semplicemente finita. Non le era andata più di tanto giù; il ragazzo compariva e scompariva a intervalli regolari, portandola a una forma di nervosismo cronico, ma nonostante ciò, Mia non sarebbe mai stata ai comodi di nessuno se non i propri. Quella sera non intendeva quindi pensarci. Era il suo compleanno, e nonostante non avesse organizzato grandi cose, scelse comunque di presentarsi al Suspiria al suo meglio. Indossò un bel vestito e scelse persino un rossetto dalla mostruosa collezione di Alyssa, si acconciò i capelli e decise addirittura di mettere i tacchi, perché i diciassette non sono da tutti i giorni, e allora è giusto festeggiarli a dovere anche quando non si è davvero in vena di far festa. Era da un po' che Alyssa aveva iniziato a frequentare il gruppetto che aveva invitato quella sera. Mia le aveva chiesto di portare letteralmente chiunque, perché intendeva rimettersi sulla piazza, e quale momento migliore per farlo se non la sera del suo compleanno quando tutte le attenzioni le erano concesse. Su Ronnie, in quel periodo, poteva contare relativamente; in realtà nessuna delle due era in un momento particolarmente produttivo. Se Mia non sapeva che pesci pigliare con Scorpius, altrettanto si poteva dire della migliore amica, la quale era ancora in una situazione piuttosto strana con Benji. « A me però non me ne frega niente, stasera la butto come se non fosse mia. » Una battuta che gli altri avevano sentito uscire dalle labbra della Walace sin troppe volte. Così tante che ormai nessuno ci credeva più. Sotto sotto, Mia non era tipa da una botta e via. Se capitava, non si tirava certo indietro, ma sembrava essere piuttosto selettiva persino in quelle scelte, il che rendeva inutile, a detta di Shai, anche solo l'idea di volerla buttare. « Se devi storcere il naso, significa che non vuoi una botta e via. » Ma Mia non era d'accordo, e infatti, intendeva andare fino in fondo col suo piano. Quella sera sarebbe finita a casa di uno di quei collegiali, prendendo così due piccioni con una fava: sarebbe uscita dal circolo vizioso di Malfoy e avrebbe al contempo messo il piedino nel variopinto mercato dei collegiali. « Boh.. solo perché non mi va bene proprio qualunque cosa non significa che non voglio una botta e via. » Nessuno sembrava particolarmente convinto di quel suo discorso. Sin da quando era tornata, Mia aveva avuto rapporti continuativi nel tempo; nulla di particolarmente eclatante, né rapporti che potevano definirsi vere e proprie relazioni, ma neanche dei semplici momenti di svago circoscritti nel tempo. A ben guardare, a Mia non andava bene proprio niente e non cercava nulla in particolare; non voleva una relazione e non voleva neanche essere definita o definirsi in funzione di un'altra persona, ma non voleva nemmeno saltare da un letto all'altro, il che mandava sempre in confusione chiunque la conoscesse. Un po' come confusionarie erano le scelte per il suo compleanno. Voleva andare a giocare a bowling, poi voleva mangiare, e infine voleva andare a ballare al Suspiria, perché in fondo, non c'era motivo per cui dovesse scegliere. Il giorno dopo aveva persino organizzato una partita a paintball, perché voleva assolutamente fare il culo a tutti quanti. E infatti fu proprio al Toyland che conobbe gli amici di Alyssa; Mia si comportò esattamente come al solito, stringendo mani, ridendo e sorridendo. Conosceva già alcuni di loro, poiché li aveva già visti durante il costante girovagare attorno al campus assieme alla compagna di stanza; alcuni, tuttavia, erano facce del tutto nuove. « Mia - Wallace.. piacere. Però puoi chiamarmi Mia.. tutti mi chiamano Mia. » Allungò la mano in direzione del ragazzo esattamente come aveva fatto con tutti gli altri, mentre entrambi scoppiavano a ridere. « Raiden. Yagami. » Era un tipo abbastanza sciolto, Raiden Yagami, in grado di mettere a proprio agio anche un iceberg. Ciò che l'aveva colpita però, oltre al bell'aspetto, era una cosa impercettibile. Qualcosa che solo loro due, in mezzo a quel gruppo, avrebbero potuto comprendere. Non appena le loro dita si erano sfiorate, Mia aveva capito, e anche Raiden aveva capito, e per un istante quel particolare senso di sorpresa aveva coinvolto di colpo entrambi. « Ma tu sei.. » ..come me. Non ci fu bisogno di concludere quella frase. Convennero entrambi silenziosamente che tutto sommato non c'era bisogno di focalizzarsi troppo su quel dettaglio nello specifico, ma nonostante ciò, per Mia, fu comunque motivo di parecchia curiosità e indiscrezione. Perché in fondo, qualunque lycan che conoscesse, era passato prima o poi per Inverness; tutti ad eccezione di Raiden. Non ce ne erano poi molti presenti tra le mura di Hogwarts, e ciò a volte era motivo di grande frustrazione per la giovane Serpeverde. Praticamente gli unici lycan che conosco a Hogwarts sono Morgenstern e la Barnwell, ed entrambi sono miei professori. Devo dire altro? « Benvenuto in Scozia. » « Grazie e.. buon compleanno. » Aveva detto infine, prima di dirigersi assieme a lei verso l'entrata dell'arena di bowling. C'erano sin troppe cose che avrebbe voluto chiedergli. Da dove venisse, cosa facesse lì, per quanto tempo ci sarebbe rimasto. Era in missione, oppure conosceva a malapena il mondo dei cacciatori? Nei mesi a venire Mia avrebbe imparato a conoscere sempre meglio il giovane Yagami, ma in quell'occasione le piacque già a pelle. Aveva un bel sorriso; non era troppo invadente, ma neanche uno che stesse sulle sue. La faceva ridere, e lui rideva alle sue battute. Si lasciò punzecchiare parecchio quella sera, e neanche per un istante si sentì a disagio o fuori luogo. Qualunque cosa dicesse, sembrava ricevere una risposta altrettanto genuina. « Ok ragà siamo in troppi quindi facciamo a squadre che dite? » E così Raiden era finito a giocare con la festeggiata, e avevano stravinto. Inutile dire che la chimica, Mia l'aveva percepita sin dal primo incontro. Si prendevano, senza pretese, né filtri, con la consapevolezza che qualunque cosa avessero detto, l'altro l'avrebbe intensa esattamente per quello che era. Poi, poco dopo la mezzanotte, mentre chiedeva l'ennesimo cocktail al bancone, le giunse un messaggio da parte di Scorpius. Buon compleanno, e l'incantesimo si spezzò sul colpo.

    Da allora di acqua sotto i ponti ne era passata. Ma, tolta quella palese tensione iniziale, per un po', Mia e Raiden erano stati semplicemente amici. Un'amicizia che più di una volta aveva assunto tinte ambigue grazie alle loro innumerevoli battute fuori luogo. Mia però, non le considerava mai così, né sembrava tirarsi indietro dal farne a sua volta. Finché non si era convinta che sarebbero stati solo amici. E le andava bene così; poi di colpo, la sera del Golden Match la questione non le era più andata giù. Avrebbe avuto davvero bisogno di qualcuno che le permettesse semplicemente di restare al passo con le altre. Non lo sapeva nemmeno lei perché ci tenesse così tanto, ma ecco, per una sera io volevo essere davvero un cazzo di cliché. Volevo fare quello che fanno tutti. Farmi invitare a ballare e trovarmi in maniera quasi spontanea in pista, come se quel posto mi appartenesse tanto quanto apparteneva alle mie compagne. Pensare a Raiden era stato spontaneo. Le dava sempre retta, e poi, che male c'è, si era detta. Ma il giovane Yagami aveva deciso diversamente, infilandosi le cuffie nelle orecchie e decidendo che il suo atteggiamento per la serata sarebbe stato quello dell'alternativo. Grande! Proprio questa sera dovevi fare l'emo boy. Perché in fondo, seppur Raiden non amasse essere al centro dell'attenzione, sembrava un ragazzo normale. A quel punto le aveva raccontato abbastanza di sé da intuire che dietro ci fosse molto altro. Conosceva il motivo per cui era in Inghilterra e anche diversi aneddoti del suo passato. S'intristiva, Raiden, quando raccontava di sé, seppur le cose che lasciava intravedere erano superficiali. Lei contraccambiava raccontandogli le sue peripezie a scuola e di come era giunta in Inghilterra. Aveva passato diverso tempo a parlare anche di cose più serie, come ad esempio il Lockdown, la Guerra Civile e persino la Guerra Santa. Tutte cose che, ovviamente evitavano magistralmente le questioni che premevano di più sul cuore di Mia. Parlavano di tutto, Mia e Raiden; di differenze culturali, di diverse prospettive. Si prendevano in giro, ridevano e scherzavano, e facevano un sacco di cose insieme agli altri. In fondo ci siamo frequentati per un sacco di tempo io e te, vero? Una frequentazione lunga, all'antica; una che sotto sotto, in un modo del tutto distorto, farebbe gola persino in Giappone. Una realizzazione, quella, a cui non ci aveva pensato fino a quel momento. Un pensiero che l'aveva colta di sorpresa all'improvviso nell'esatto momento in cui concluse di spiegargli per quale ragione lei una relazione non la voleva. Si ostinava, Mia, a considerare l'inizio della loro storia quel sei marzo del mese appena passato. Ma era davvero così? Poteva Mia dire di essere andata a letto con uno sconosciuto? Era arrabbiata solo perché un buon amico non l'aveva invitata a ballare per una pretesa infantile mai effettivamente espressa? « Io non penso che tu debba essere aggiustata. In realtà non penso ci sia proprio nulla da aggiustare. Ti è successo qualcosa che.. che non si può cancellare. Qualcosa che ti porterai sempre dietro, a prescindere da tutto. Anche se volessi, io non potrei ripararti. » E se dovesse continuare a definirmi? Se mi definisse in un modo che non mi piace? Un dubbio più che lecito al quale tuttavia non diede voce; sarebbe stato del tutto inutile arrovellarsi il cervello attorno a qualcosa che effettivamente sapeva da sé non avesse senso. Che Mia avesse delle mancanze, delle evidenti lacune, dei rimpianti a cui non sapeva far fronte fino in fondo, era evidente, ma erano tutte cose che, finché restava sola con se stessa, poteva controllare a modo suo. Non tanto perché affrontava i suoi problemi, cosa che effettivamente non faceva, ma perché poteva facilmente ignorarli. Raiden spostava l'asticella più in alto. Volente o nolente, aveva riscoperto il desiderio di scendere in profondità, di capirsi di più e di capire la persona che aveva di fronte in un modo totalizzante. Le era bastato constatare l'immensa portata delle molteplici sfaccettature di quel loro legame, perché sentisse il bisogno di avere di più, di capire di più. Ma non è mai una cosa che viaggia in una sola direzione vero? Mia si era fregata da sola, perché non aveva considerato che nel avvicinarsi così tanto a Raiden, scoprendo le sue fragilità, avrebbe svelato a sua volta le proprie. « Mia, guardami. » La mora deglutì, stringendosi le ginocchia al petto ancora di più. Non aveva mai considerato quanto difficile potesse essere guardare qualcuno in faccia dopo una confessione di quel tipo. Mia gli aveva messo tutto sul piatto, il brutto e il bello, il buono e il cattivo tempo, e giunti a quel punto, aveva paura di cosa avrebbe potuto percepire nello sguardo di lui. Della pietà aveva paura, ma aveva anche paura di essere trattata con accondiscendenza, perché nonostante tutto, lei, in colpa, ci si sentiva comunque. Alla fine volse il capo con cautela nella sua direzione, sospirando profondamente, per poi osservare i suoi movimenti pacati che ricercarono una maggiore vicinanza. Tentò di sfuggire al suo sguardo per qualche istante, ma alla fine, in quel silenzio assordante, tornare a osservarlo fu istintivo, quasi come se a quel punto si aspettasse di sentire qualcosa da parte sua. Lentamente tuttavia, il suo spirito sembrò quietarsi, attirato dal moto gentile con cui il giovane Yagami intendeva affrontare quella situazione. « Te lo ricordi quando ci siamo conosciuti, la sera del tuo compleanno? La prima impressione che ho avuto di te è che tu fossi una delle persone più genuine che io avessi mai conosciuto. » Sospirò, Mia, mentre un principio di sorriso si materializzava istintivamente sul volto di lei. Ripercorrere quei ricordi sembrava risvegliare nella giovane Wallace un moto di infinita dolcezza che riesce a quietare almeno in parte il suo stato d'animo burrascoso. « Non è stato tutto merito mio. » Commenta in un sussurro mordendosi il labbro inferiore. Ed era vero; Raiden l'aveva messa sin da subito a proprio agio. Si era sentita come se potesse raccontargli qualunque cosa. Non si era ai sentita giudicata o messa in soggezione. Seppure qualche volta qualcuno avesse fatto un commento sul suo conto, Mia sembrava vivere letteralmente su un altro pianeta. Quel Raiden parla davvero poco, aveva detto Ronnie ad un certo punto, mentre commentavano l'andazzo dell'ennesima serata, ma Mia non capì cosa intendesse l'amica. Con lei parlava di continuo; Raiden e Mia parlavano e parlavano e parlavano ancora, a volte senza dire assolutamente nulla, ma in ogni caso con la voglia di continuare ad ascoltarsi. Mi hai sempre messa a mio agio. Io non ricordo un solo momento in cui mi sono sentita a disagio. Ed effettivamente tutto ciò che ricorda sono grosse grasse risate, prese in giro e punzecchiamenti vari. Non parlavano poi molto in separata sede, ma non appena quel loro sgangherato gruppo si ritrovava, i due si comportavano come se si conoscessero da una vita. « E poi ti ho conosciuta meglio, un po' alla volta, e ho visto tutto il resto. Ho visto la forza di volontà con cui fai quello che ti pare. » Istintivamente Mia chiuse gli occhi, strofinando la guancia contro il palmo di lui, spostando infine appena il volto per posarvi un leggero bacio, sorridendo appena. Le piacevano quelle piccole attenzioni; le bramava, nonostante non abbia mai pensato di averne bisogno. Ma nonostante ciò, l'angoscia di quanto gli aveva confessato restava. Era ancora lì. « Ho visto il coraggio con cui ti butti nelle cose e la tua incredibile capacità di entrare a gamba tesa nella vita di chiunque e farti amare. Ho visto la sicurezza con cui ti getteresti letteralmente nel fuoco per le persone a cui tieni e la testardaggine che hai nel difendere le tue convinzioni senza farti intimidire. » Scosse la testa, non trovandosi del tutto d'accordo. « Non è proprio così.. » Perché in fondo, Mia non pensava di aver mai fatto nulla di straordinario. Si considerava una persona al contrario ordinaria; provava a fare sì il meglio, ma non era forse ciò che facevano tutti? Faccio solo del mio meglio per essere una persona decente. E neanche mi riesce sempre. A volte non mi riesce proprio per niente. E quella di Mia, non era finta modestia; non era a caccia di complimenti, né sapeva gestirli più di tanto bene. Era semplicemente ciò che pensava e la riprova di ciò arrivò abbastanza in fretta. « Mia.. tu abbassi lo sguardo solo quando ti dico che sei bella. » E infatti per un istante, Mia spostò lo sguardo di lato arrossendo. Si sentì pervadere da un'improvvisa morsa allo stomaco, e di conseguenza, annaspò corrugando la fronte. Avrebbe voluto ribattere, ma la verità è che ancora una volta Raiden la colse con le mani nel sacco. « Ciò che ti è successo è orribile, ma non ti definisce. Non sei una che è sopravvissuta e non sei una vittima della Loggia. Se ti sei convinta di esserlo, è affar tuo, ma non è ciò che io vedo. E vorrei tanto che lo vedessi anche tu.. perché è una visuale stupenda, quella della persona a cui ho chiesto di essere la mia ragazza. Se la conoscessi la adoreresti anche tu. » Lo sguardo di lei sembra illuminarsi sul colpo; il cuore stretto in una morsa che la lascia di sasso mentre lo osserva in apnea. Una mano raggiunge il volto di lui, sistemandogli con dolcezza e premura i capelli sulla fronte. Sembra incantata, a tal punto che non riesce a distogliere lo sguardo da lui. Non mi lasceresti andare, nemmeno se scappassi per davvero. E poi, a dirla tutta io non riesco a scappare. Non voglio farlo. E proprio il nostro stile, vero? Proprio quando siamo sul punto di spalancare la porta e voltarci dall'altra parte, l'altro ci riprende per il colletto. Una risata cristallina fuoriuscì dalle sue labbra nel momento in cui le loro fronti cozzarono. Funzionava così; Raiden faceva quelle piccole maledette cose e il suo umore cambiava. « Io non penso che tu riusciresti mai a dipendere da qualcuno. E nemmeno che saresti capace di scaricare i tuoi problemi, dato che te li ho dovuti praticamente cavare di bocca con le pinze. Questo però non significa che tu debba affrontare tutto da sola. Io non voglio che tu ti abbandoni alla mia guida.. perché queste sono battaglie che ciascuno deve combattere da sé: solo così possono essere vinte. Però voglio tu sappia comunque che se ad un certo punto, per qualunque ragione, dovessi cadere.. io sarei comunque lì a riprenderti. E lo so.. che tu faresti lo stesso per me. » Non aveva neanche idea, Raiden, di quanto Mia avesse bisogno di sentirsi dire quelle parole, di quanto vi si aggrappò inesorabilmente, come se fossero in grado di restituirle l'ossigeno. E annuì, posando le mani sui polsi di lui, per carezzargli dolcemente le nocche, ispirando il suo profumo, lasciandosi inebriare dai loro respiri a contatto. C'era un qualcosa di magico tra loro, un qualcosa che Mia non poteva ignorare nemmeno se avesse voluto farlo. Siamo solo amici.. una sorta; una precisazione che aveva sentito il bisogno di fare anche con sua madre, perché Mia, non era mai stata solo un'amica di Raiden. Erano stati sì confidenti, complici; forse per molto tempo sono rimasti a uno stadio platonico, ma una volta aperta quella porticina, iniziava a comprendere che era solo questione di tempo prima di entrare, chiuderla alle proprie spalle e buttare la chiave fuori dalla finestra.
    « La tua ragazza.. » Ripeté piano, ricercando con insistenza il suo sguardo mentre un leggero sorriso si materializzava sul suo viso quasi istintivamente. L'insostenibile desiderio che sprigionava l'indole di lei fu impossibile da celare; non era un istinto carnale, piuttosto una forma di propensione quasi insostenibile che creava uno slancio opprimente nei suoi confronti. Mia era attratta da Raiden, in un modo che andava ben oltre il semplice desiderio. Le piaceva così tanto che quella specifica scelta di parole sembrò sollevare il suo spirito sopra le nuvole. « Quindi tu diventeresti.. il mio ragazzo. » Stava testando un po' alla volta quelle nuove sonorità, immergendosi in quelle acque completamente sconosciute un po' alla volta. Cazzo, suona così bene. Nell'osservare il suo volto, Mia sapeva già che quella definizione gli calzava a pennello, che la sentiva già come tale, e che ufficializzarla era solo un rituale a cui Raiden ci teneva, e che a quel punto si era reso necessario più per via della sua iniziale titubanza. « Il mio ragazzo.. » Ripeté sollevando lo sguardo verso l'alto con fare apparentemente pensieroso. « Non lo so mica se suona bene.. è una roba così.. seria.. » Incollò nuovamente la fronte a quella di lui sospirando profondamente, e infine gli incorniciò a sua volta il viso con entrambe le mani, schiacciando appena con fare scherzoso le guance di lui. E rimase lì a giocare in silenzio per un po', ridacchiando sottovoce, finché man mano la situazione non prese una piega leggermente più seria. « Però.. il menu coppia al Toyland costa meno.. l'affitto si divide e pure la cena.. » Elenca quelle piccolezze con una certa serietà, come se fossero veramente quelle le cose importanti. « E poi si consuma meno acqua.. per la doccia. » Si schiarisce la voce e si inumidisce le labbra inclinando appena la testa di lato, mentre avvicina ulteriormente il volto a quello di lui fino a sfiorare il naso con quello di lui. Gli accarezza dolcemente la tempia, e per un istante, l'aria scherzosa scompare completamente, sostituita da una muta ammirazione, che le scalda il cuore. La voglio veramente questa cosa, non è così? Io voglio stare con te; pacchetto completo. Voglio tutto questo e molto altro. Voglio tutto ciò che hai da offrirmi e voglio offrirti a mia volta tutto quanto. Raiden, io credo di volere una relazione. Voglio essere la tua ragazza. « Non lo so.. devo considerare tutti i pro e i contro di questa cosa.. » Gli posa un bacio sulla punta del naso, un altro su una guancia, e un terzo sull'altra. « Ti va di.. testarla? » Si morde il labbro inferiore abbassando lo sguardo sulle labbra di lui. « ..questa cosa della doccia, dico. » Solleva lo sguardo in quello di lui con estrema eloquenza, deglutendo. Incrocia le abbraccia attorno al suo collo, sfiorando appena le labbra di lui con le proprie in gentili carezze atte a stuzzicarlo. « Giusto per capire.. » Soffia sul suo viso, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. « ..se conviene. » Le ci vuole poco più di qualche istante prima di abbandonarsi a un lungo bacio in un continuo crescendo che muta l'atmosfera attorno a loro. C'è dolcezza nei suoi movimenti, ma anche una smisurata passione e desiderio. Nonostante sia passato poco tempo dall'ultima volta, le è mancato sentirsi così, percepire il desiderio di entrambi, perdersi per poi ritrovarsi. Solo molto tempo dopo, stesi sul letto, accarezzati dalla dolce afa notturna del Sud, Mia posa il capo contro il petto di lui. « Raiden? » Sussurra appena il suo nome nel buio, mentre getta lo sguardo fuori dalla porta finestra semiaperta. « Io spero di non dover mai vederti cadere. Però.. semmai dovesse succedere, io voglio essere lì.. per qualunque cosa ti serva. Come qualsiasi cosa di cui tu hai bisogno.. un'amica, una ragazza, una complice, una confidente, una spalla.. una famiglia.. » Deglutisce mentre si stringe al suo petto nonostante la calura che li avvolge. « Ti va di chiedermelo di nuovo domani? » Di scatto sorride scuotendo la testa. « Questo test del consumo dell'acqua non è andato tanto bene, però magari la cena bilancia. »

    Avevano passato la giornata a girovagare per la città in festa; la Pasqua, come ogni altra celebrazione è bislacca e colorata a New Orleans, piena di ricorrenze e parate celebrative. Si erano lasciati alle spalle il Quartiere Francese per la sera, dove Mia lo avrebbe portato dopo cena, indipendentemente del posto che avrebbe scelto, mostrandogli durante la giornata parte del resto della città. Lo aveva portato a Garden District, passeggiando tra le vie storiche, fino a giungere alla sua gelateria preferita dove avevano fatto tappa per la merenda delle undici, piazzandosi su una panchina in attesa di una parata che non tardò ad arrivare. Poi saltarono su un tram per giungere a City Park, dove ogni giorno, nella settimana precedente al giorno di Pasqua si organizzavano puntualmente cacce alle uova di Pasqua e lotterie di ogni tipo. C'erano bancarelle coloratissime colme zeppe di oggetti artigianali e diversi artisti di strada che si davano battaglia ad ogni angolo di strada con danze allegre, musica jazz, dipinti e ritratti. Mia aveva insistito affinché se ne facessero uno insieme prima di fargli assaggiare il famoso Po' Boy, un panino ai gamberi fritti tipico della città, raccontandogli di conseguenza la sua storia. « Comunque, io lo so che ieri Gabe ti ha traumatizzato, ma giuro che non tutto è come l'assaggio delle torte. » E poi si sa che la scelta era veramente facile. Solo che Gabe è un mangione e le ha chieste tutte, quando in realtà bastava semplicemente scegliere la preferita di Meredith; e infatti alla fine è andata così. Ed effettivamente, al di là del gramo compito in cui suo fratello aveva rascinato Raiden, la cucina della Louisiana era abbastanza particolare; complici le pesanti contaminazioni ad opera dei coloni francesi e della popolazione dei creoli, New Orleans godeva di una cucina abbastanza particolare, che Mia intendeva fargli assaggiare dall'inizio alla fine. Si era persino fatta una lista mentale, che iniziava appunto da quel panino che si gustò inebriata mentre lo conduceva verso il New Orleans Museaum of Art; da lì passarono allo Sculpture Garden presente nella oasi del City Park, e concluse quel tour all'ombra di una quercia ultracentenaria, lasciandolo assistere a una delle cacce alle uova di Pasqua dei bambini. Il tempo sembrava passare in un batter d'occhio, tra chiacchiere, manifestazioni di affetto, giochi, risate e scherzi. Si stava impegnando molto Mia, per dargli una panoramica il più possibilmente particolare sulla città. E avrebbe continuato a maggior ragione nei giorni a venire. « Lo sapevo io che avrebbe vinto Grace! » Disse infine ridacchiando mentre applaudiva nel vedere la nipote tornare in pompa magna con la cesta piena di uova a discapito degli altri bambini. I commenti della bambina l'avevano fatta ridere a crepapelle prima dell'inizio della caccia. Perché Grace ovviamente non voleva partecipare; quelli erano giochi troppo infantili. Lo faceva solo perché in palio c'era un coniglio di cioccolato gigante che avrebbe condiviso con gli altri bambini del Bayou il giorno seguente, durante le celebrazioni del giovedì santo. Grace Wallace, dieci anni e un altruismo smisurato. Sei uguale a tuo padre. Ed era assurdo ma nelle sfumature delle parole della piccola Grace, Mia riusciva a sentire forte e chiaro Brian. Sospirò profondamente a quel punto, Mia, scuotendo la testa intenta a riacquistare il sorriso. Volse il capo verso Raiden e sollevò il mento. « Ci conviene tornare, che dici? Ci riposiamo un po'.. » A quel punto solleva un sopracciglio e posa il mento sulla sua spalla. « Voglio farmi una doccia e mettermi qualcosa di carino. E poi devo vedermi al volo con Stacey. Abbiamo confabulato un po' oggi e preparati, perché io ho organizzato il dopocena. Stasera non torniamo a casa.. » Enigmatica e intenzionata a non svelargli poi molto su quali erano i suoi piani, gli stampò un bacio sulle labbra alzandosi energicamente per poi offrirgli la mano per aiutarlo a fare altrettanto. [...] Si era impegnata, Mia. Nonostante non fosse tipa da tacchi e troppi ghirigori, aveva fatto del suo meglio per prepararsi a quell'appuntamento in piena regola Aveva scelto un vestito estivo, adatto al clima umido della città, a cui aveva abbinato le sue converse nere; sua madre aveva aggiunto un punto di luce, prestandole un paio di orecchini con una piccola pietra delicata. Si era sistemata i capelli, dando una forma più definita alla chioma mossa, e aveva persino deciso di compiere l'audace decisione di completare il tutto con un rossetto rosso. Non aveva mai indossato un simile colore, ma d'altronde, non era neanche mai stata invitata a cena, e non era mai uscita con un ragazzo in maniera così ufficiale. Qualche goccia di profumo e un'ultima sistemata, le bastarono per sentirsi soddisfatta del risultato. Si vedeva in maniera differente; nonostante gli occhi da cerbiatta fossero gli stessi di sempre, Mia sembrava più adulta. Quella nota di colore sul suo viso, la faceva sentire più sicura di sé, diversa, ma non in una maniera che le stonava. Si passò quindi il piccolo zainetto su una spalla, infilandoci all'interno un golfino leggero, nel caso avesse rinfrescato. Decise quindi di scendere al piano di sotto, dove si era data appuntamento con Raiden. Perché se bisogna fare le cose per bene, io mi preparo in camera mia e tu vieni a prendermi a casa. « Sto scendendo! » Urlò prima di trovarsi in cima alle scale. « O ma', fai finta che sto benissimo, altrimenti torno a cambiarmi e faccio tardi. » Perché Mia era puntualissima. L'idea dell'elegante ritardo non rientrava propriamente nel suo corredo genetico, e non capiva neanche per quale ragione le ragazze dovessero far aspettare i ragazzi. Boh, ok fargliela sudare, ma far aspettare la gente è proprio da stronze. Può succedere, ma se è deliberato, state un po' male. Effettivamente, era pronta leggermente in anticipo, e si permise quell'uscita proprio in virtù del fatto che probabilmente avrebbe dovuto aspettare Raiden. Ma lui era già lì quando scese di sotto, e infatti, la prima reazione che ebbe fu arrossire violentemente, spostando lo sguardo verso sua madre, che per poco non si commosse. « Oh ma', eddai! » Gillian scosse la testa, posandole un bacio sulla guancia. « Sei un fiore. » Sussurrò al suo orecchio, prima di distanziarsi, pronta a lasciare loro la scena. « Divertitevi! » E quindi eccoli da soli nel salotto di casa sua. Mia squadrò Raiden dalla testa ai piedi inumidendosi appena le labbra prima di sorridere annuendo tra sé e sé. Stava bene, Raiden, e di fronte all'immagine di lui, Mia non poté fare a meno di deglutire. « Stai molto bene. » Disse di scatto, tentando di sembrare il più naturale possibile, nonostante avesse iniziato a far vagare lo sguardo nella stanza su ogni dettagli insignificante che potesse trovare. Non aveva la più pallida idea di quale fosse la differenza tra il mangiare sul pavimenti in camera di Raiden e andare a un appuntamento. « Raiden.. » Disse infine con un tono leggermente preoccupato, incapace di tenersi quella cosa per sé. « ..lo so che non è molto elegante, ma io ho un sacco fame. » Voleva fare tutto per bene, ed era abbastanza evidente che ci tenesse anche solo dalla tensione che sembrava montarle nel petto. « Ti prego dimmi che non hai scelto uno di quei posti dove si mangia una cosetta, altrimenti faccio saltare il dopocena e ti porto a mangiare i bignet al cioccolato dall'altra parte della città. »




    Edited by blue velvet - 14/5/2021, 23:57
     
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    « La tua ragazza.. » I denti del ragazzo andarono a scoprirsi in un sorriso genuino che sfociò presto in una breve risata, accompagnata da un lieve cenno d'assenso del capo. Ok, quindi mi sa che è questo ciò che ha attecchito di più, tra tutte le cose che ti ho detto. Non che l'idea lo disturbasse, ovviamente, ma di certo lo lasciava sorpreso. Perché in fin dei conti Raiden dava quella definizione piuttosto per scontata, dal momento in cui le aveva parlato dell'ipotesi di instaurare una relazione e del fatto che ne volesse una con lei. Però ora che mi ci fai ragionare, effettivamente suona meglio così. Non so perché. Forse perché ha una sfumatura più affettuosa. « Quindi tu diventeresti.. il mio ragazzo. » Annuì di nuovo, con convinzione. « Beh.. per proprietà transitiva.. » Rise, sollevando il mento e sciabolando le sopracciglia prima di rivolgerle uno dei sorrisi più smaglianti che avesse in repertorio. « Il mio ragazzo.. » Era divertente guardarla elaborare quel concetto: Mia lo gustava dentro di sé in maniera genuina, col cuore leggero e al contempo il battito accelerato che l'idea di sentirsi la ragazza di Raiden le provocava. Lui lo sapeva - o più che altro poteva sentirlo - e se ne deliziava, bevendosi ogni istante di quelle sue tenere reazioni come se fossero la cosa più preziosa al mondo. Lo erano, dal suo punto di vista. Appoggiò quindi il mento sulle ginocchia di lei, fissandola da sotto le ciglia mentre le sue labbra si incurvavano in una linea dolce, che quei sentimenti li esprimeva nel silenzio. Carezzò piano il dorso delle sue mani, inumidendosi le labbra prima di parlare a bassa voce, abbassando un po' più il mento come a interrogarla con lo sguardo. « Ti piace? » Una domanda, quella, che le pose con tono soffuso. L'idea di chiamarmi così, intendo. Di sentirti la mia ragazza. « Non lo so mica se suona bene.. è una roba così.. seria.. » Sospirò, Raiden, ostentando un'esasperazione che non sentiva nell'alzare gli occhi al cielo e darle un leggero morso sul ginocchio prima di sciogliersi in una risata, lasciando che lei gli incorniciasse il volto con le mani e incollasse la fronte alla sua. Si ammutolì, sorridendo tenero mentre si umettava le labbra in un moto istintivo e carezzava piano il naso di lei con la punta del proprio. Non si dissero nulla, non per qualche istante, che occuparono piuttosto in modo abbastanza fanciullesco, con lei che gli premeva le guance, stringendogli automaticamente le labbra a formare un ovale pieno. Cercò di trattenersi dal ridere, ma alla fine non ce la fece, ritrovandosi a scuotere la testa in un moto di ilarità, solo per poi schiarirsi la gola e mettere su un'espressione fintamente offesa e autoritaria. « Un po' di rispetto, signorina! È al Sottotenente Yagami che lei sta osando fare cioppi cioppi. » Ma gli bastò pronunciare quello stupido cioppi cioppi per perdere immediatamente ogni forma di serietà e scoppiare di nuovo a ridere allegramente. E rimasero lì, in quella posizione, a stuzzicarsi teneramente l'un l'altra per diversi momenti finché Mia non riprese parola. « Però.. il menu coppia al Toyland costa meno.. l'affitto si divide e pure la cena.. » La fissò, mantenendo una certa serietà nell'aspirare aria nei polmoni e ciondolare il capo a destra e sinistra con aria coscienziosa, come a volerle lasciar intendere che sì, quelle erano davvero considerazioni di un certo calibro. « E poi si consuma meno acqua.. per la doccia. » Sollevò un indice, serio. « Che è un risparmio, ma è pure un atto di lodevole rispetto nei confronti dell'ambiente. Ricordiamoci che c'è una crisi climatica. » « Non lo so.. devo considerare tutti i pro e i contro di questa cosa.. » Sollevò istintivamente un sopracciglio, mentre una sfumatura maliziosa andava a insinuarsi nei suoi occhi scuri. « Ti va di.. testarla? Questa cosa della doccia, dico. Giusto per capire.. se conviene. » Un gorgoglio roco risalì dalla gola del ragazzo in un moto di piacere mentre i suoi occhi sfidavano lo sguardo di lei, piantandovisi con decisione. Lasciò scivolare le braccia attorno al busto di Mia, attirandola a sé per aiutarla a scivolare a cavalcioni delle proprie ginocchia. Il respiro di Raiden lasciava soffi caldi sul collo della ragazza, dove piccoli baci cominciarono a stamparsi con paziente desiderio. « Mi sembra giusto. Certe cose vanno toccate con mano. » proferì a bassa voce, insinuando una mano sotto la gonna di lei per stringerle leggermente il gluteo nel pronunciare le ultime parole di quella frase. [..] Accaldati e con le gote baciate da un bel colorito rosato, i due ragazzi se ne stavano abbracciati sul letto della dependance. A Raiden piaceva stare così: a volte parlavano, a volte non si dicevano nulla, ma non importava. Erano belli quei momenti di piena serenità che condividevano in seguito a quelli più passionali: erano calmi e dolci, più intimi di qualunque altra cosa. Il giovane Yagami se ne stava semplicemente lì, con un braccio avvolto intorno alle spalle di Mia e le dita intente a carezzarle piano la spalla e la schiena, tenendosela stretta al proprio petto. « Raiden? » Aprì le palpebre, volgendo lo sguardo alla Serpeverde con un sorriso tranquillo. « Io spero di non dover mai vederti cadere. Però.. semmai dovesse succedere, io voglio essere lì.. per qualunque cosa ti serva. Come qualsiasi cosa di cui tu hai bisogno.. un'amica, una ragazza, una complice, una confidente, una spalla.. una famiglia.. Ti va di chiedermelo di nuovo domani? Questo test del consumo dell'acqua non è andato tanto bene, però magari la cena bilancia. » Le labbra del giovane Yagami si distesero in un sorriso ancor più caldo, uno che non lasciava scoperti i denti e che manteneva una certa contenutezza nella linea, ma che sembrava comunque accendergli gli occhi di un dolce tepore proveniente dal profondo del suo animo. Tu proprio non te ne rendi conto di quanto mi piaci, Mia. Annuì, prendendo un respiro mentre si girava sul fianco per porsi di fronte a lei, aggiustandole una gamba attorno al proprio busto. Non gli importava che fosse un caldo bestiale: voleva sentirla vicino a sé, sempre. Voleva sentire il suo calore e la consistenza della sua pelle morbida. E infatti la inglobò in quell'abbraccio e si lasciò a sua volta inglobare, affondando il viso nell'incavo del suo collo per lasciarvi diversi baci gentili. « Te lo chiederò tutti i giorni, se ci sarà il bisogno. »

    La giornata era volata come se nulla fosse tra visite, pasti e parate. New Orleans si era rivelata un piccolo gioiello pieno di vita: ovunque ti voltassi, la gente era sorridente e festante, pronta a coinvolgerti in qualunque attività fosse in atto in quel momento. Era caotica, sì, ma non nella maniera che si aspettava o a cui era abituato. Perché chiaramente il chaos di una metropoli come Tokyo o di una grande città come Osaka non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quel senso di vitalità e famigliarità che scorreva per le strade di New Orleans. Strade che, per Raiden, potevano essere descritte come un battito cardiaco che pulsava ad un ritmo differente. Non era il ritmo di marcia delle grosse città giapponesi, in cui ognuno tirava dritto per la propria direzione e i battiti venivano scanditi dal tempo di una vita indaffarata; era rilassato, veloce, ma non pressante, e si attorcigliava su se stesso in innumerevoli virtuosismi e deviazioni. Non mi stupisco che sia questa, la patria del jazz. Non si trattava solo dei musicisti di strada: Raiden la sentiva, quella musica, ad ogni svolta, ad ogni bancarella e ad ogni luogo visitato. Era una sensazione che andava ben oltre la musica prodotta dagli strumenti, ma che impregnava piuttosto ogni angolo di quella città così bizzarra e fuori dal tempo. E ne era sempre più certo, il giovane Yagami, che suo padre l'avrebbe adorata da cima a fondo. Saremmo stati due turisti davvero irritanti, io e te, papà. Sempre a ficcare il naso ovunque e stupirci di ogni cosa come un paio di bambini che escono per la prima volta di casa e indicano qualunque cosa alla mamma. Era così che si sentiva Raiden: piacevolmente spaesato. Eppure, sotto quell'intensa gioia che lo colpiva da ogni direzione, c'era comunque un latente senso di malinconia. Una malinconia che andava oltre la semplice mancanza del padre, ma che poteva essere descritta come un astratto senso di pervasiva nostalgia. Era nostalgico nei confronti di ciò che definiva casa propria, ma anche di qualcosa che non conosceva e che non c'era mai stato se non sotto forma di un sogno irrealizzato. Trovarsi di fronte a New Orleans, a quella città che aveva incarnato a lungo un piano tra lui e il padre che non aveva mai visto la luce, portava a riva con sé molto più di quanto Raiden avesse inizialmente preventivato. Quella città era l'incarnazione del sogno soffocato - della scintilla che quel lontano giorno di inizio Aprile aveva spento per sempre in lui. Non era mistero che il giovane Yagami avesse sempre desiderato seguire le orme del padre - anche a dispetto della disapprovazione che ciò aveva attirato da parte del patrigno. Da che ne aveva memoria, quello era sempre stato il suo sogno: suonare e diventare come l'uomo che più ammirava al mondo. Non gli interessava di diventare famoso o fare soldi: voleva soltanto fare ciò che amava, sentirsi gratificato e poter vivere di quello. E poi, a un certo punto, aveva semplicemente smesso di sognare. Non se lo poteva permettere e in ogni caso non avrebbe avuto alcun senso farlo, data l'impossibilità materiale di scegliersi una professione diversa da quella che gli era stata assegnata. La giovanile scintilla di pura vitalità che gli anima gli occhi si era spenta giorno dopo giorno, adattandosi alla concretezza della vita che era stata scelta per lui e per cui evidentemente era anche tagliato più di chiunque altro nel proprio gruppo di coetanei. Per quanto Raiden avesse conservato quell'hobby e continuasse a coltivarlo, dentro di sé non era mai più rinato quel germoglio di amore e dedizione che lo aveva animato una volta. Eppure lì, messo di fronte alla summa di quei desideri, Raiden si ritrovò a percepire con netta precisione quanto gli fosse stato portato via e quanto irriconoscibile fosse ai propri occhi l'immagine di quel ragazzino pieno di sogni e aspirazioni che un tempo era stato. Guardava i bambini correre alla ricerca di uova e ci pensava, riflettendo in silenzio su una vita parallela che non gli era stata concessa. È normale? Avere ventidue anni e sentirsi addosso il peso del mondo? Come quelle persone di mezza età che si guardano alle spalle con rimpiante e pensano a tutto ciò che avrebbero potuto avere e che hanno abbandonato. Forse a me è solo capitato prima del tempo. Forse è così che devono andare le cose: hai dei sogni, ma poi ci sta la realtà - è quella è tutt'altra cosa. Io sento di avere ventidue anni, la forza e la spinta della mia età. Però a volte, guardandomi dentro, mi sembra di vedere qualcuno che ne ha molti di più di quanti ne dovrebbe avere - con tutto ciò che questa condizione comporta. In fin dei conti Raiden si sentiva ormai a suo agio nel considerarsi adulto, ma quel senso di malinconia non riusciva comunque a scrollarselo di dosso. Io ormai sono questo. Non potrei invertire la marcia nemmeno se volessi. Non ci riuscirei, e comunque è troppo tardi. Ma fa comunque male, non sentire più il calore di quella preziosa scintilla. Perché lo era, preziosa. Era la cosa più preziosa.. e me l'hanno tolta.. insieme a tutto il resto.
    [..] A Raiden non c'era voluto molto per prepararsi. Gli era bastato farsi una doccia e ringraziare Delilah nel segreto dei propri pensieri per l'acqua di Colonia che gli aveva ficcato nel borsone. La scelta di vestiario gli era comunque piuttosto limitata, quindi non fu difficile scegliere l'unico paio di jeans che non fosse oversize o strappato e abbinarlo ad una camicia azzurra. Non doveva nemmeno preoccuparsi del ristorante, sul quale si era già consultato con Gabriel durante la corsa che si erano ritrovati a condividere nella primissima mattinata; la prenotazione, dunque, era già stata effettuata ben prima dell'ora di pranzo. Mancava solo l'ultimo tocco, piccolo ma assolutamente imprescindibile, che ovviamente non sfuggì all'occhio di Gillian Wallace nel momento in cui il giovane varcò la porta di casa. « Non devi mica portarmeli tutti i giorni, caro. » ironizzò la donna, indicando col mento il piccolo mazzo di fiori che Raiden teneva in mano: semplici rose di una pallida sfumatura rosa. Ridacchiarono mentre il ragazzo si introduceva nell'ambiente dell'ingresso. « Perché, è vietato da qualche legge? » Raiden stava facilmente allo scherzo, e di certo con Gillian non gli riusciva difficile, pur rimanendo sempre in una zona di rispetto. La donna sembrò approvare quella risposta, sorridendo e piegando il capo di lato in muta soddisfazione prima di invitarlo a sedere. Tale madre, tale figlia. Così, nell'attesa - che fu comunque breve - i due conservarono tranquillamente e Raiden ebbe modo di raccontarle della giornata appena trascorsa e di cosa lo avesse colpito di più in città. Fu istintivo, tuttavia, interrompersi quando sentì la voce di Mia dal piano superiore e mettersi subito in piedi, lisciandosi i jeans sulle gambe e puntando lo sguardo in direzione delle scale. Le labbra del ragazzo andarono a incurvarsi naturalmente in un sorriso quando i suoi occhi incontrarono la figura della Serpeverde, la quale sembrava aver preso piuttosto sul serio i propri preparativi. Quando fu di fronte a lui, fu inevitabile per Raiden lasciar scorrere lo sguardo dalla testa ai piedi di Mia, senza preoccuparsi di nascondere la propria approvazione. « Stai molto bene. » Sorrise, avvicinandosi per stamparle un bacio leggero sulla guancia, ben cosciente del fatto che Gillian stesse improvvisamente dedicando un sacco di attenzione a una pieghetta del divano. « Anche tu, Mia. Sei molto bella. » Glielo aveva detto più volte, era vero, ma si trattava della semplice realtà. Raiden la trovava bellissima, e non vedeva alcun motivo per cui non dirglielo. Così, allargando il proprio sorriso, le porse il mazzo di rose. « Ormai è tradizione. » disse, sciogliendosi poi in una breve risata cristallina. Facci pure l'abitudine, Wallace. « Raiden.. lo so che non è molto elegante, ma io ho un sacco fame. Ti prego dimmi che non hai scelto uno di quei posti dove si mangia una cosetta, altrimenti faccio saltare il dopocena e ti porto a mangiare i bignet al cioccolato dall'altra parte della città. » A quelle parole, il giovane Yagami scoppiò a ridere, annuendo sulla scia di quell'ilarità. « Tranquilla, la conosco bene la ragazza che porto a cena. » E infatti, nel parlare con Gabriel, entrambi avevano dato per scontato che ristorantini troppo fighetti in cui ti servivano - testuali parole - cagatine di piccione, fossero fuori discussione. Questo non significava, tuttavia, che Raiden volesse portarla in un fast food. Ci teneva a quelle cose: un ristorante carino, una bella atmosfera e del buon cibo. Aspettò comunque che uscissero di casa e si trovassero soli, per sciogliersi un po' dall'ovvia contenutezza che la presenza di Gillian comportava, poggiando una mano sulla parte più bassa della schiena di Mia e avvicinandosi al suo orecchio. « Alla luce di ieri pomeriggio, avrei un sacco di battute da fare su questo vestito bianco.. » Fece una pausa, inumidendosi le labbra mentre le scoccava un'occhiata piuttosto eloquente. « ..ma dirò soltanto che mi ha fatto venir voglia di lasciarmi uno spazietto per il dessert. » Le scoccò quindi un occhiolino, avviandosi assieme a lei lungo il vialetto.
    Il Café Amelie si era rivelato un'ottima scelta: i ragazzi erano stati fatti accomodare nello spazio esterno, illuminato da tante lucine appese alla vegetazione che davano all'ambiente un'aria intima e romantica. Anche il cibo, come promesso da Gabriel, non aveva lasciato a desiderare, e Raiden aveva proposto di ordinare diverse pietanze da dividere così da poter provare diversi sapori. Avevano accompagnato il tutto con una bottiglia di buon vino che non era di certo andata sprecata e Raiden aveva gustato ogni momento di quella cena, chiacchierando con lei in maniera affatto diversa da quella con cui conversavano di fronte alle scatolette da asporto del Tokyo. Non c'era nulla di differente nella dinamica tra loro due ma era comunque una situazione diversa, una che gli occhi di Raiden accoglievano con un moto di felicità. Gli piaceva fare quelle cose: comprarle i fiori, trovare un bel ristorante e portarla fuori a cena - a un vero appuntamento. Faceva parte della sua natura e per quanto piccole potessero essere quelle attenzioni, per lui erano importanti e non voleva né rinunciarci né darle per scontate. « Ti piace? » chiese a un certo punto, di getto, mentre sorseggiavano i propri bicchieri di vino in attesa dell'arrivo del dolce. « Fare queste cose con me, intendo. » Puntò lo sguardo nei suoi occhi, interrogandola con un'espressione enigmatica dalla quale sarebbe riuscito difficile a chiunque distinguere i vari sottotoni che vi si intrecciavano. Fece scorrere una mano sul tavolo, sfiorando le dita di lei con la punta delle proprie senza mai abbassare lo sguardo, mentre accostava una gamba a quella di Mia sotto al tavolo. Sorrise, prendendo un piccolo sorso di vino in silenzio. Era evidente che qualcosa gli frullasse in testa, come una pentola messa sul fuoco da inizio serata che pian piano stava giungendo a bollore. « Le cose che faresti col tuo ragazzo. » Sospirò, solleticandole gentilmente le nocche prima di scrollare le spalle, come a voler cambiare discorso. Ma lo cambiò davvero? Così pareva, dal tono, ma era altrettanto evidente che quelle parole non fossero né casuali né scollegate da quello che disse in seguito, buttandolo nel discorso con completa nonchalance.
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    « Lo sai che tecnicamente, da dove vengo, non potrei toccarti fin quando la nostra frequentazione non diventa ufficiale? » Sbuffò una risata dalle narici, sollevando le sopracciglia e scuotendo leggermente il capo. Assurdo, vero? Una regola vera, quella, che Raiden non era mai stato troppo bravo a seguire - non sempre, quanto meno. Sarà stato il fascino del proibito, ma il giovane Yagami aveva sempre sentito una forte attrazione nei confronti del contatto fisico con l'altro sesso. Non si trattava soltanto dell'aspetto sessuale, ma anche dei piccoli gesti: carezzare il viso di una ragazza, prenderla per mano, passare le dita lungo la sua schiena, sfiorarle le gambe. Al suo arrivo in Inghilterra si era sentito fortemente sollevato all'idea di non dover necessariamente sottostare a quelle regole, potendosi invece permettere contatti più o meno pronunciati senza attirarsi un grande biasimo. Noi giapponesi ci mettiamo un sacco di regole.. per la nostra immagine pubblica. Quello che accade dietro le quinte, tuttavia, non è sempre ciò che appare. Perché sì, era necessario rispettare determinati dettami all'interno di una frequentazione ufficiale, ma era anche vero che Raiden si era concesso diversi strappi alle regole, in sordina, durante il proprio periodo di stanza a Mahoutokoro. Non importa dove ti trovi: le persone, del contatto, hanno bisogno. Puoi mettere mille regole sociali e sentirti sicuro nel rispettarle, ma quel castello di carte cadrà inesorabilmente con una facilità impressionante. Basta poco. A me, ma anche a loro, bastava davvero poco. Bastava allungare una mano e sfiorare leggermente quel fianco morbido, o quel millimetrico lembo innocente di pelle scoperta all'altezza del polso. Qui viene dato per scontato, ma ti sorprenderesti di quanto pesante possa diventare una tale privazione - di quanta fame possa metterti. La fissò in silenzio, disegnando piccoli cerchi sul dorso della sua mano mentre si umettava le labbra, che arricciò appena, inclinando il capo di lato e assottigliando le palpebre « Il che sarebbe stato un vero peccato, dato che non riesco proprio a toglierti le mani di dosso. » Sollevò le sopracciglia, fissandola per qualche istante senza dire nulla prima di far schioccare la lingua contro il palato. « Fortuna che non siamo in Giappone, dirai tu. Anche perché quel treno mi sa che è passato da un pezzo. » La loro frequentazione, infatti, non era di certo cominciata nella più tradizionale delle maniere. La soglia del contatto fisico l'avevano superata da un pezzo e ormai i loro corpi si conoscevano bene, essendosi connessi ripetutamente nella più intima delle maniere. « Però stavo riflettendo.. » riprese ad un certo punto, lasciando il bicchiere sul tavolo per spostare la mano libera al di sotto della tovaglia, a poggiarsi sul ginocchio di lei. « Anzi, in realtà è proprio questo vestitino che mi ha fatto riflettere. » Se riflessione si può chiamare. « Il bianco ha un significato, sai? È simbolo di purezza. » Ma era tutto tranne che puro il modo in cui, portandosi più vicino al tavolo, la mano di Raiden cominciò a risalire piano sotto la gonna di lei, carezzandole la coscia fino a far presa sul suo fianco. « E concorderai con me sul fatto che noi non siamo stati mica tanto puri. » Gli occhi di Raiden stavano fissi in quelli di Mia, con un sorrisino stampato sulle labbra che la diceva davvero lunga riguardo le intenzioni del giovane. Ma in fin dei conti, pure se non fosse stato evidente dal suo sguardo e dai suoi tocchi, lei avrebbe comunque saputo cogliere il succo di quel discorso nella sua sfera emotiva, pur non sapendo davvero dove volesse andare a parare. Devo però spezzare una lancia a favore di quelle regole. Per quanto fosse doloroso rispettarle, rendevano tuttavia estremamente piacevole il momento in cui andavi ad infrangerle - o in cui ti era finalmente concesso di fare ciò che desideravi. Se lo ricordava bene, Raiden, come ci si sentisse. Una sensazione che non avrebbe saputo spiegare a parole, ma che poteva riassaporare sulle labbra tramite la sensazione familiare che quel clima gli portava. Quell'afa umida che ti incollava i vestiti addosso, ricoprendo la pelle di un sottile strato luminoso e madido. Un caldo che ti chiedeva a gran voce di scoprirti, ma che allo stesso tempo sembrava spingerti con tutte le forze ad appiccicarti a qualcun altro, a sudare ancor di più sotto il caldo respiro affannoso e la pelle incandescente di un partner. Si ammutolì, Raiden, fissandola negli occhi mentre pian piano lavorava per sfilarle gli slip, facendoglieli scendere giù per le gambe fino a toglierglieli del tutto e appropriarsene. Come se nulla fosse, se li infilò in tasca, riportando la mano del misfatto allo stelo del bicchiere per prendere un sorso di vino con aria compiaciuta. « Alla luce di ciò, direi che hai fatto bene a non darmi una risposta, perché effettivamente mi sono comportato un po' da mascalzone con te. » Nel sottolineare quella parola, si morse l'interno del labbro inferiore, trattenendo una risata che sarebbe uscita piuttosto naturale nel definirsi in tale maniera. C'erano stati tempi in cui però, Raiden, se l'era meritato davvero di sentirsi chiamare mascalzone. Bisognava capirlo: era giovane, appena uscito da un anno e mezzo in cui l'unica presenza femminile con cui aveva avuto contatto si trovava a quasi diecimila chilometri di distanza da lui, con gli ormoni a mille e l'improvvisa attenzione di molte belle ragazze. Era solo naturale che si lasciasse un po' trascinare dalle nuove possibilità e attrazioni che si paravano di fronte a lui. Sapevo che non fosse del tutto corretto, ma era quello a renderlo ancora più appetibile. È vero, l'onore di quelle ragazze mi sarà costato un paio di duelli, ma sono cose che capitano. Di certo non mi ha mai tolto il vizio. Forse perché sotto sotto mi piaceva, prendere un pezzo di quell'innocenza - di quella purezza - che a me era stata prematuramente tolta. Sospirò, rivolgendo a Mia un sorriso che voleva farsi intendere come angelico. « Propongo un'inversione di marcia. O un gioco.. una sfida. Puoi vederla come preferisci. » Ovviamente si trattava più della seconda che della prima, ma non era quello il punto. « A partire da ora faremo le cose per bene. Nessun contatto finché non mi dici che sei la mia ragazza. » Scoprì i denti in un sorriso smagliante, contrastato tuttavia dall'espressione quasi luciferina con cui sollevò un sopracciglio. Vediamo se così me la dai, una risposta. Detto ciò, scostò la mano dalle dita di lei, appoggiandola a pochi millimetri dalla sua. Una distanza che era una piccola tortura: abbastanza vicini da poter percepire l'elettricità che si sprigionava dalle loro pelli, attraendole quasi magneticamente, senza tuttavia soddisfare quel desiderio con un effettivo contatto. Fece lo stesso con la gamba che aveva accostato a quella di Mia. « Ah.. chiaramente si conta pure il contatto lycan. Quindi pure quello è fuori discussione. » Tanto perché non è già abbastanza terribile così. Ma d'altronde, Raiden a quel gioco frustrante era stato abituato dal giorno in cui era venuto al mondo. Sarebbe stato difficile sì, e sapeva che la sua resistenza a un certo punto sarebbe crollata, ma era comunque piuttosto certo di poter portare avanti quel gioco abbastanza per le lunghe da rendere quanto meno divertente la serata. Cosa che cominciò a fare già da subito, sbuffando e facendosi vento con la mano contro la calura afosa della sera, solo per giustificare l'arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti e lasciar libero qualche altro bottone sul petto. « Alza, questo vino, vero? » Ventisette gradi spesi benissimo.

     
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    « Ormai è tradizione. » Mia sospirò, scuotendo la testa mentre un sorriso compiaciuto si allargava sul volto di lei. « Ovviamente! » Esclamò divertita nell'accettare il mazzo di rose che le porse. Stava iniziando ad abituarsi a quel tipo di attenzioni; non solo erano diventate gradite, ma avevano anche un certo fascino, a cui nemmeno Mia era in grado di resistere. In fondo, il discorso che gli aveva fatto in merito alle mimose sussisteva ancora, ma ciò non toglieva il fatto che aveva appurato Raiden non rientrasse nella categoria dei maschi basic di cui tanto decantava le imprese mirabolanti. Il giovane Yagami era davvero un tipo a modo, sempre attento e rispettoso nei suoi confronti, tutto fuorché rientrate nella categoria dei tossici. Con lui, la Serpeverde si sentiva, più che schiacciata dal peso del patriarcato, in grado di fare qualunque cosa, di raggiungere qualunque obiettivo. Non si era mai sentita da meno, né mancata di rispetto. A quel punto era piuttosto certa che Raiden al suo fianco volesse una sua pari, pensiero confermato dalle parole che si erano scambiati il giorno prima. C'era chi a quel punto poteva dire che la Wallace stesse guardando a quella situazione attraverso un filtro rosa pastello, ma a dirla tutta lei non si sentiva così. « Grazie » Disse infine osservandolo con un'espressione leggermente più dolce mentre posava il mazzo sopra il caminetto, convinta che sua madre ci avrebbe pensato per lei. Usciti quindi all'esterno, la mora cominciò a percepire l'elettricità e l'eccitazione della scoperta, una nuova esperienza di fronte alla quale non sapeva esattamente come porsi, ma che non vedeva l'ora di scoprire e assaporarsi. Evitò di dirgli che non aveva mai cenato con un ragazzo, né era stata posta di fronte a situazioni così formali. Tuttavia, Mia e Raiden, formali non lo sembravano affatto, e infatti, il mood della serata venne ben presto stabilito dal Grifondoro, che sciolse ben prsto la tensione, mantenendo nello spirito di Mia solo la curiosità della scoperta. « Alla luce di ieri pomeriggio, avrei un sacco di battute da fare su questo vestito bianco.. ma dirò soltanto che mi ha fatto venir voglia di lasciarmi uno spazietto per il dessert. » Lei alzò gli occhi al cielo scoppiando a ridere. L'imbarazzo per quanto successo nella boutique erano ancora vivido nella testa di Mia. Perché era scappata in quella maniera? Non lo sapeva nemmeno lei. Si era semplicemente sentita colta alla sprovvista e quindi era scappata; così tanto da me.. una perfetta imbecille. « Non te la stai giocando molto bene se avresti un sacco di battute da fare. » Commentò scherzosa, prima di scuotere la testa, assestandogli una leggera gomitata sul fianco, continuando a camminare in maniera rilassata lungo il viale di casa, verso l'uscita della riserva. [...] Aveva fatto un'ottima scelta. Il Café Amelie si trovava nel cuore del Quartiere Francese, meta che Mia aveva già anticipato di volergli mostrare durante la serata. L'atmosfera era a dir poco piacevole, e la cena non fu da meno. La mora si prodigò nel consigliare quali piatti ordinare, spiegandogli nel dettaglio la storia dei più famosi, e raccontandogli aneddoti di ogni sorta su questa e quell'altra cosa, prendendo come spunto il cibo, il vino, la musica di qualche artista di strada che si stava esibendo non molto lontano e così via. Emerse sin da subito il vivido attaccamento che aveva verso la sua città, l'amore con cui si impegnava a fargliela vivere quasi come se sperasse potesse piacergli più di quanto non stesse già succedendo. Nonostante tutto, alle sue origini, Mia era estremamente attaccata, e tra quei viali colorati e allegri, grondanti di vita fino al midollo, aveva passato i migliori anni della propria vita. Conosceva le persone, lo spirito che animava i loro sogni e aspirazioni. Lì, su quelle strade, Mia sembrava una persona completamente differente; più sicura, più consapevole, più fiera, meno incerta sul da farsi o su come comportarsi. Discorreva con Raiden in maniera sciolta, ridendo e scherzando, intenzionata a sfoggiare conoscenze e lignaggi culturali che nella patria in cui si sono conosciuti potevano capire relativamente, e che, per quanto differenti da quelli del giapponese, la giovane Wallace voleva comunque svelargli, in primis per lasciarlo scoprire come era cresciuta e perché era fatta in un certo modo. Si sentiva più adulta, immersa in quell'atmosfera, seduta a un tavolo con un ragazzo che le piaceva da morire, intenta a darsi un tono per rendere quell'appuntamento naturale sì, ma pur sempre differente dal semplice gustarsi una cena da asporto nella stanza del ragazzo. E l'esperienza era sì diversa, ma anche molto simile; Mia e Raiden non avevano perso in quel contesto la loro matrice più genuina. Era facile stare in sua compagnia, anche quando erano circondati da persone adulte, e non si sentiva affatto fuori luogo, nonostante la maggior parte delle sue coetanee non sapessero nemmeno come fosse fatto un tavolo per due all'ora di cena. « Ti piace? » Stava leggiucchiando con estremo interesse l'etichetta del vino sul tavolo quando venne colta alla sprovvista da quella domanda. Sollevò lo sguardo ricercando il suo con fare interrogativo. « Fare queste cose con me, intendo. » Lo sguardo di lei corse istintivamente sul lieve contatto tra le loro mani, prima di portarsi il bicchiere alle labbra, assottigliando appena lo sguardo. Stai per richiedermelo vero? Un'aspettativa che venne disattesa. « Le cose che faresti col tuo ragazzo. » Suonava maledettamente bene, sì. E a quel punto, stava solo aspettando il momento più adatto per chiudere quella faccenda. Per quanto insicura di alcuni lati di sé, Mia non poteva fare a meno di ammettere che fare sul serio con Raiden le piaceva. Le piacevano tutte quelle piccole attenzioni; le carezze, i fiori, gli sguardi, gli abbracci. Le piaceva sentirsi come se non dovesse camminare in punta di piedi nella sua vita - pur non avendolo mai fatto. Ma se anche in punta di piedi non abbiamo mai davvero camminato, dovevamo comunque dare l'idea di farlo. E a me non va. Non mi va di fraintendere, né di essere fraintesa. Io voglio stare con te. E a quel punto che importanza aveva quale definizione si dessero? Ci aveva messo un po' a realizzarlo, ma a quel punto, Mia non vedeva motivo alcuno per cui non spingersi oltre, portare le cose al passo successivo. Sulla scia dell'imperscrutabilità del suo stato emotivo, Mia si strinse nelle spalle, tastando il terreno un po' alla volta in merito. « Ammetto che potrei abituarmici. » Il tono di lei risultò altrettanto enigmatico, mentre un sorriso smagliante si allargava lentamente sulle labbra di lei. Ammetto che non è proprio il mio stile; ma forse io il mio stile ancora non lo conosco. Forse non mi sono più data la possibilità di capire cos'è che mi piace veramente e cos'è che voglio. Esplorarsi in quella maniera sembrava impostare Mia in un perenne stato curioso, ben disposta a gettarsi in una qualunque nuova esperienza con uno spirito propenso all'avventura. E non c'era cosa più bella che farlo con qualcuno di cui ci si fida e con cui si può condividere tutto senza remora né filtri. E Mia, con Raiden si sentiva proprio così: come se potesse condividerci davvero tutto. « Lo sai che tecnicamente, da dove vengo, non potrei toccarti fin quando la nostra frequentazione non diventa ufficiale? » Sollevò lo sguardo sinceramente sorpresa. « Ma tipo per niente? Cioè, proprio zero? Nada de nada? » Una prospettiva davvero esasperante, specie perché, sembrava abbastanza evidente che Mia e Raiden non riuscivano a togliersi le mani di dosso. Non era solo una questione relegata a una dimensione carnale. A mia piaceva accarezzargli i capelli, pizzicargli le guance, dargli le gomitate o saltargli sulle spalle, le piaceva appoggiare la testa contro la sua spalla. Le piacevano tutti quei piccoli gesti scherzosi che a intervalli regolari esercitavano l'uno sull'altra, senza pretese, semplicemente perché avevano voglia di toccarsi di continuo. Giunse a dare un maggior valore a quei piccoli cerchi che disegnava sul dorso della mano di lei, alla gamba a contatto con quella di lui. « Il che sarebbe stato un vero peccato, dato che non riesco proprio a toglierti le mani di dosso. Fortuna che non siamo in Giappone, dirai tu. Anche perché quel treno mi sa che è passato da un pezzo. » La giovane Walace intrecciò le mani davanti a sé posandovi il mento sopra, scrutandolo con un'aria leggermente divertita ma anche sospettosa. Che l'aria fosse cambiata era abbastanza evidente. Tuttavia, non capiva quale fosse il punto. « Già.. non siamo in Giappone. » Disse solo divertita, assottigliando lo sguardo. « Ma ora non siamo neanche nel Regno Unito. » Quella precisazione sembrò gettata lì a caso. Mia sapeva tuttavia qualcosa che Raiden ignorava. Di New Orleans si conosceva soprattutto il volto allegro e festante; fino a che punto arrivasse quell'allegria e festa era un altro capitolo, e proprio questo intendeva mostrargli Mia quella sera. La New Orleans notturna; l'altra faccia della medaglia. Siamo nella terra della libertà, della democrazia e delle pari opportunità - per quanto ipocrita ed erronea sia questa concezione del Nuovo Mondo. Ci mancherà pure l'effettiva democrazia, le pari opportunità lasciamole pure perdere, ma noi sappiamo davvero fare come ci pare. « Però stavo riflettendo.. » « Stavi riflettendo.. » Gli fece eco prima di deglutire percependo le dita di lui a contatto col proprio ginocchio. « Anzi, in realtà è proprio questo vestitino che mi ha fatto riflettere. » « Il mio vestito.. » « Il bianco ha un significato, sai? È simbolo di purezza. E concorderai con me sul fatto che noi non siamo stati mica tanto puri. » Sgranò gli occhi, Mia, confusa dalla valenza ossimorica di quel suo comportamento. A parole diceva una cosa - che a ben guardare le piaceva relativamente, seppur non fosse poi molto disposta ad ammetterlo; i gesti di lui, così come le emozioni che percepiva, puntavano nella dimensione opposta. Deglutì, guardandosi attorno con fare colpevole, mentre la mano di lui saliva lungo la sua pelle fino a stringerle il fianco, per poi azzardare ad andare oltre. « Raiden.. » Si ammutolì sul colpo appena comprese cosa avesse in mente, ma nonostante il tono di disapprovazione che esalò, fu evidente quanto quei gesti mirati stesso premendo i tasti giusti, non a caso, il bassoventre di lei venne di colpo pervaso da un improvviso calore, di fronte al quale, si passò una mano tra i capelli facendo la vaga, agevolandolo a sfilarle l'intimo, muovendosi sulla sedia come se tentasse di cambiare posizione sulla sedia. « Tu sei matto. » Ma era davvero Raiden l'unico matto? Poteva dire Mia, in tutta onestà, che era l'unico a pensare a situazioni scomode? Arrosì violentemente nascondendosi dietro al calice di vino che si portò alle labbra scuotendo la testa. E tanti cari saluti al ragazzo noiosetto. « Alla luce di ciò, direi che hai fatto bene a non darmi una risposta, perché effettivamente mi sono comportato un po' da mascalzone con te. » Voleva provocarla, e ci stava riuscendo. Non poté infatti fare a meno di rivolgerle uno sguardo perplesso, inclinando la testa di lato. Schiuse le labbra mentre accavallava le gambe sotto il tavolo, e incrociò le braccia al petto incollando la schiena contro il morbido schienale della sedia. « Propongo un'inversione di marcia. O un gioco.. una sfida. Puoi vederla come preferisci. A partire da ora faremo le cose per bene. Nessun contatto finché non mi dici che sei la mia ragazza. » Sì, era una provocazione bella e buona, e a ben guardare, considerata l'elettricità che viaggiava attorno a loro, sarebbe durata il tempo di un battito di ciglia. « Nessun contatto.. » Ripeté quindi con una certa perplessità, divertita dalla questione. « Ah.. chiaramente si conta pure il contatto lycan. Quindi pure quello è fuori discussione. » E lì scoppiò a ridere, sentendosi anticipata da un pensiero che le era già balenato in mente. Non era l'unico. In verità, sin da quando Raiden le aveva sfiorato il ginocchio sotto il tavolo, gli scenari che si erano profilati nella sua mente erano stati molteplici, molti dei quali non potevano dirsi neanche del tutto leciti. Abbassò quindi lo sguardo inumidendosi le labbra, mentre un pesante sospiro scandiva la tensione nelle ossa di lei. Aveva la gola secca, attentare quindi a ciò che era rimasto del bicchiere di vino fu quanto mai necessario. Sollevò lo sguardo solo quando lo vide arrotolarsi le mani della camicia. Seguì con insistenza le dita di lui, le vene appena sporgenti che correvano dall'avambraccio verso i bicipiti visibili quanto bastasse attraverso la camicia chiara. Gli occhi chiari di lei saettarono poi lungo la linea netta della mascella, scandagliando con lo sguardo il collo slanciato, scendendo poi a osservare con indiscrezione la pelle scoperta dai bottoni che stava liberando. Si ritrovò a sbattere le palpebre insistentemente, colta da un mare di fantasie e desideri che smembravano ogni dose di pudore e freno inibitorio. S'inumidì di conseguenza le labbra e sorrise tra sé e sé, sollevando in fine lo sguardo a ricercare il suo. Silenziosa, come se proprio in quel momento, privata, seppur per gioco dalla possibilità di toccarlo, avrebbe voluto farlo più che mai. « Alza, questo vino, vero? » In tutta risposta, Mia afferrò la bottiglia e versò nel proprio calice, così come in quello di lui abbastanza vino da svuotare la bottiglia. Non si curò di quanto poco elegante fosse superare la soglia massima che si confaceva a un posto così elegante. « No.. a me non sembra. » Rispose solo lapidaria, dondolando la gamba accavallata sotto il tavolo con un leggero nervosismo, mentre si portava il calice alle labbra, bevendone più di qualche sorso. Rimase ancora in silenzio Mia, il bicchiere tra le dita, mentre cercava di leggere nei suoi occhi fino a che punto volesse arrivare. Lei, i suoi limiti, non sembrava conoscerli; era agitata sì all'idea di conoscerne la portata, ma al contempo, la condizione in cui si trovava attualmente, rendeva tutto più facile. Raiden aveva di molto alzato l'asticella, settando un giro di lieve promiscuità in piena vista. Privata del suo intimo, Mia si sentiva allo scoperto, in vista, esposta, ma solo agli occhi di lui. E paradossalmente, tutto ciò sembrava piacerle, a tal punto che, portati avanti quelle considerazioni, continuando a soffermarsi sulla figura di lui, si rese conto durante l'ennesimo sorso di vino che le punte dei suoi capelli stavano lentamente cambiando colore. Lì, seduti attorno a loro, c'erano oltre ai residenti, c'erano molti turisti. Babbani. Si schiarì quindi di colpo la voce, cercando di concentrarsi senza poi molti risultati. Scosse quindi la testa e si spostò all'indietro assieme alla sedia. « Accidenti! » Disse di colpo, sollevando una ciocca, per permettergli di comprendere senza ambiguità alcuna la questione. « Torno subito. » Recuperò lo zainetto, dirigendosi in fretta e furia verso il bagno delle signore, chiudendosi la porta a chiave nello stesso momento in cui il bagno di illuminò di una luce soffusa. Le bastò un'occhiata allo specchio per rendersi conto che era rossa come un peperone. Ma non era solo il colorito della sua pelle bianca come il latte ad essere mutato. I capelli di Mia stavano assumendo un colorito sempre più rossiccio. Chiuse gli occhi cercando di controllare quel chiaro cambio di programma che non aveva considerato, ma in compenso non fece altro che accelerare il processo; stava pensando ad altro, e qualunque cosa quell'altro fosse, stava sortendo l'effetto esattamente contrario a quello che si aspettasse. Dopo appena qualche minuto la chioma di Mia brillava di un rosso fuoco; lo sguardo ambrato sembrava oro liquido, mentre il rossore nelle guance non accennava a scomparire, semmai, sembrava più accaldata di prima. Si tamponò un po di acqua fredda in faccia, ricercando il rossetto nella borsa, quando le sue dita vennero a contatto con una piccola trousse che si era portata appresso per la notte. Alla zip, vi aveva attaccato una chiave e un bigliettino piegato in quattro. Avrebbe dovuto consegnarla a Raiden una volta conclusa la serata nel Quartiere Francese. Accarezzò per qualche istante la zip, per poi sollevare lo sguardo sul riflesso allo specchio, portandosi i capelli su una spalla. Sbalzi d'umore così forti, Mia, non li aveva mai avuti, e anche se li ha avuti, è successo in un periodo in cui di certo non rappresentavano nulla di positivo. Quel rosso le ricordava le tinte delle luci nella stanza del giovane Yagami, la prima sera in cui erano stati insieme. Un mood che aveva imposto un certo andazzo della serata e che ora era impresso nella folta chioma dai boccoli morbidi.
    Ci mise un po' per tornare al tavolo. Nulla che risultasse preoccupante. Tornò a sedersi come se niente fosse successo, constatando che il dessert era stato servito. Mia aveva insistito affinché Raiden provasse la Baked Alaska, una torta farcita di gelato al pistacchio e ricoperta di meringa bruciata più un ampio assortimento di dolci creoli tanto cari alla tradizione di New Orleans e soprattutto del Quartiere Francese. Si portò i capelli su una spalla scoprendo il collo longilineo, osservando il giovane Yagami con un filo di divertimento mentre cercava una posizione il più comoda possibile sulla sedia. Ci mise qualche secondo, prima afferrare il proprio cucchiaino osservando il piattino della torta posto in mezzo al tavolo. « Te lo devo proprio dire, questa torta è la fine del mondo. Non mangerai da nessuna parte una Baked Alaska come a New Orleans. » E nonostante il nome era fuorviante, la ricetta era stata inventata davvero in città subito dopo l'annessione dell'Alaska agli Stati Uniti. Una storia quella che condivide con lui, mentre si gusta la prima cucchiaiata. Prima che il ragazzo possa fare il primo assaggio a sua volta, Mia affonda il cucchiaino tastando ancora consistenza della torta prima di allungare il cucchiaino nella sua direzione, posando il mento sulla nocche della mano sinistra. « Tranquillo.. » Disse di scatto sollevando un sopracciglio. « nessun contatto.. » Un apparente ritualità che durò poco più di qualche istante prima di intimarlo a gustarsi la cucchiaiata che gli stava allungando. Sorrise la Wallace, a quel punto, schiarendosi la voce con senso di palese soddisfazione. « Sei proprio un bravo ragazzo, Raiden. » Un'affermazione che sembrò giungere di colpo dopo un silenzio carico di un'elettricità che Mia lasciò confluire dentro di sé senza opporvisi. Era curiosa di scoprire dove quella scia l'avrebbe portata, quanto quel gioco sarebbe effettivamente durato, e chi avrebbe ceduto per primo. Sì, lo voleva davvero sapere. « Ci ho riflettuto anche io mentre ero via.. » Prese un'altra cucchiaiata questa volta indugiando col cucchiaino tra le labbra più del dovuto, rigirandoselo davanti al viso più del dovuto, quasi come se, tracce del gelato potessero essere rimaste sul dorso. E infatti vi passò la lingua con naturalezza, abbandonando poi la posata sul piattino per portarsi il bicchiere di vino alle labbra. « ..e hai proprio ragione. Tutto questo contatto non mi aiuta a capire più di tanto cosa voglio fare. » Pausa mentre sospira sollevando le sopracciglia con un apparente moto di perplessità. « Certo, qualcuno di completamente esterno potrebbe pensare che il tuo è un ricatto bello e buono, considerato che nessuno dei due sa tenere le mani al proprio posto. » L'ironia con cui esalò quelle parole fu teatrale all'ennesima potenza, seguita a breve distanza da un sorriso smagliante che gli propinò con la più candida delle espressioni. « Ma io mi fido di te, e so che hai solo buone intenzioni. » Annuisce con apparente convinzione, mentre accavalla nuovamente le gambe sotto al tavolo, scrutandolo con un sguardo che segue la sua figura con sempre più indiscrezione. Le sue parole hanno un senso, ma i gesti di lei, pur intenzionati a mantenere quella distanza da lui imposta, guidano nella direzione completamente opposta. « Quindi ci sto. Nessun contatto. Di nessuna natura. » Un apparente resa quella di Mia, che nascondeva tuttavia un tranello, che gli avrebbe svelato senza se e ma. Estrasse quindi il cellulare dallo zainetto e lo posò sul tavolo a faccia in giù, lasciando scorrere la mano sul tavolo pericolosamente vicino alla sua. Le sarebbe bastato allungare appena un dito per sfiorarlo. « Però, ammetto che un po' sono delusa. Voglio dire.. tra pochi giorni torneremo a Hogwarts e - sai - nella previsione in cui dovessi diventare il mio ragazzo, stavo riflettendo sul fatto che non potremmo vederci tutti i giorni. » Ci sto arrivando. Dopo tutta la sceneggiata che mi hai appena fatto, come minimo posso parlare mezz'ora, e tu starai ad ascoltarmi. Un sorriso caratterizzato da una punta di malizia si dipinse sul suo volto nello stesso momento in cui sollevò un sopracciglio a mo di sfida. « Ti ricordi quel regalino che mi hai fatto l'altra sera? » Proprio quello. Lasciò cadere il silenzio per qualche istante, mentre con movimento piuttosto precisi, ricercava nuovamente una posizione più comoda sulla sedia nonostante non ne sentisse realmente il bisogno. « Si dà il caso che a New Orleans sono molto più reperibili senza finire in scantinati bui. Quindi sai.. mi ero fatta questa idea che potessimo.. » Di colpo si morse il labbro inferiore scrutandolo da sotto le ciglia arrossendo nuovamente. Buttatasi ormai dallo scoglio, Mia intendeva andare fino in fondo. « ..capire se funziona.. » Pausa. « ..tra le tante cose.. » Altra paura. « ..sai.. da qui a giugno i giorni aridi sono tanti. » Così per dire. Riprese a mangiare finendo la sua metà di torta sospirando di tanto in tanto e scuotendo la testa con fare afflitto. Sembrava godersi particolarmente il dessert, tant'è che tormentò il povero cucchiaino senza ritegno alcuno, finché soddisfatta fu lei a prendere iniziativa richiamando il cameriere per richiedere il conto. « La notte è giovane.. ed io devo ancora sdebitarmi con te per una cosa nello specifico. » Si schiarisce la voce e scoppia a ridere. « Mi era parso di capire che ti piacesse andare a ballare, no? Visto che ti ho fatto saltare una seratona di rimorchio qualche settimana fa, mi sembra giusto rimediare. » E non c'era posto migliore per rimediare a un simile smacco se non a New Orleans. Di notte il Quartiere Francese non dormiva mai; le discoteche e i pub erano stipati uno accanto all'altro. Da ogni uscio proveniva musica differente; c'era un po' di tutto, e quella multiculturalità si saggiava anche dalla commistione di ritmi e sonorità che si carpivano lungo la Bourbon Street. Sollevò le sopracciglia con un'espressione elettrizzata, prima di carpire l'arrivo del cameriere. Mia tornò a incollare la schiena contro la sedia afferrando di colpo il cellulare.

    Al Café Amelie prendevano molto sul serio l'accoglienza dei turisti, motivo per cui il giovane si fermò a parlare con loro per qualche minuto, in attesa del conto, chiedendo a Raiden, in assenza di una partecipazione attiva da parte di Mia, come si trovasse e cosa avesse visitato, cosa pensava della cena e tante altre piccolezze dalle quali la giovane Wallace si distaccò per buona ragione. Non appena il cameriere si avvicinò infatti, la ragazza aprì la fatidica app di quel famoso aggeggio che era saltato nuovamente nella conversazione quella sera, facendolo partire lentamente. Una stimolazione appena accennata, che tuttavia la portò a chiudere gli occhi per qualche istante roteando la testa come se stesse cercando di scrocchiarsi il collo. Non era solo questione delle sensazioni che provocava a lei, ma soprattutto del fatto che Raiden potesse percepirle alla stessa maniera in cui le percepiva Mia. Noncurante ormai del pericolo, aumentò man mano la velocità delle vibrazioni sospirando appena mentre corrugava la fronte come se qualcosa non le andasse per niente giù. Un modo come un altro per fare la vaga, che si concluse solo quando Raiden pagò, lasciando finalmente il cameriere ai suoi affari. A quel punto fermò ogni movimento chiudendo l'app. Un sorriso candido si dipinse sul suo volto, stringendosi nelle spalle e non appena rimasero da soli, Mia allungò il proprio cellulare sul tavolo incrociando le braccia al petto. Il pin lo sai già. Si inumidì quindi le labbra, sollevando un sopracciglio. « Te lo lascio in custodia.. sai.. non vorrei mi venisse la tentazione di essere poco pura. »
    Lasciarono il ristorante poco dopo; Mia sembrava particolarmente divertita da quel twist, seppur osservasse con fare piuttosto guardingo ogni movimento di lui. Usciti dal giardino interno del locale, il Quartiere Francese aveva completamente cambiato volto. Luci fluo regnavano sovrane sull'uscio di ogni negozio e locale aperto. Centinaia di persone si spostavano da una parte all'altra delle strade, con bicchieri e bottiglie in mano, ridendo e ballando. C'erano ancora più artisti di strada e musicisti a darsi battaglia ad ogni angolo; incontro a loro, ogni qual volta girassero l'angolo, incontravano persone dalle facce dipinte, che indossavano foulard e gioielli comprati in qualche negozio di manufatti - tipiche riproduzioni di oggetti che in realtà magici lo erano per davvero. Mia si lasciò travolgere da quel piccolo angolo di mondo in perenne festa, fermandosi di tanto in tanto ad ascoltare la musica di vario genere sull'uscio di diversi locali. C'erano posti che sparavano musica latino-americana a tutto spiano, dando modo ai clienti di esibirsi in complicate coreografie di salsa e merengue, c'erano classiche discoteche che pompavano a massimo volume remix di ogni sorta e pub che invece restavano sul classico jazz per un'atmosfera più calma. Mia remava tuttavia dritto, fermandosi solo ad un certo punto all'entrata di un pub per comprare due bottiglie di birra artigianale, porgendone una a Raiden giurando che si trattasse della migliore birra che si potesse bere da quelle parti. Giunta infine di fronte ai cancelli di un palazzo apparentemente buio e silenzioso, batté tre colpi in una sequenza precisa sul metallo, per poi veder spuntare dalla serratura un simbolo ben noto. Quello del Credo. « Pulvis et umbra sumus. » I cancelli si aprirono di colpo, e non appena furono dall'altra parte, una musica differente giunse alle loro orecchie. « Appartiene al Credo da centinaia di anni. La prima testimonianza della presenza dei cacciatori in città. Vievano qui, i miei antenati, prima di decidere di allargarsi nel Bayou. » Gli spiega con un sorriso disteso, prima di oltrepassare il lungo corridoio che li separa dal cortile interno. « Oggi è solo un posto di baldoria. » Le sedi del Credo si sono trasferite altrove, è quello è diventato solo un piccolo spazio in pieno centro, lontano dagli occhi dei turisti e dei curiosi. Ed effettivamente una volta entrati nel cortile, Raiden avrebbe notato una miriade di giovani; lycan, sin eater e maghi, tutti intenti a ballare e far festa. Lungo le balconate superiori diverse coppie avevano già deciso di portare il gioco al prossimo livello, condividendo momenti di pura tenerezza o di profonda lussuria. In pista, ragazzi e ragazze che potevano avere non più di un quarto di secolo. Un grosso bancone stipato sotto uno dei colonnati inferiori, impartiva drink di ogni sorta, tempestandoli di cannucce fluo e ingredienti resi magicamente fosforescenti. Infine, sempre al secondo piano, una postazione dj che pompava una musica leggermente più particolare rispetto a quella che avevano sentito fino a quel momento. Una commistione di generi che a Mia ricordava in parte le contaminazioni che sentiva di continuo nei pezzi di Raiden. « Quello è Jason.. » Dice indicandogli il biondino alla postazione. « Sa il fatto suo, però, ci ho parlato, e vorrebbe conoscerti. » Si volta nella sua direzione e si stringe nelle spalle. Non aveva mai visto Raiden lavorare ai suoi pezzi, né era certa che i suoi remix potessero nascere sul momento. « Gli ho fatto sentire alcuni dei tuoi pezzi e secondo me gli è partita un po' di sana invidia. » Non era proprio così; Jason e Raiden avevano due stili diversi, e il giovane americano era rimasto davvero colpito da ciò che Mia gli aveva fatto sentire. « Visto che siamo in fase nessun contatto, potresti almeno farmi ballare. » Continuò indicandogli la postazione. « Tipo.. uno di quei mashup.. » Si innumidì le labbra e inclino la testa di lato, sfiorando appena con l'indice il tessuto della sua camicia. « Oppure.. puoi chiudere la partita, e chiedermi di portarti di sopra. » Solleva lo sguardo in quello di lui massaggiandosi leggermente il collo. « Sono belli questi appartamenti. » Pausa. « E qui non ci sentirà proprio nessuno. » Nessuno a cui importi.

     
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