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    the devil inside;

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    « Facciamolo subito. Sposiamoci. Adesso. Non voglio aspettare neanche un altro secondo. Porca puttana, voglio essere tuo marito! Voglio la nostra cazzo di vita e la voglio subito. » Da qualche parte nella mente di Mia, c'era l'effettivo allarme rosso attivo. Una parte di sé percepiva quella decisione come estremamente improvvisa. Insomma, una vocina fastidiosa che tentava di farla rinsavire c'era, ma se anche stesse urlando a squarcia gola, Mia sembrava volerla ignorare di proposito. Era decisamente fuori di sé, e in preda a dare retta a qualunque cosa tranne che al buon senso e alla ragione. Era come se avesse fretta, come se quell'esplicitare le loro intenzioni, le avesse dato il via per desiderare di mettere le cose nero su bianco, così da non avere la tentazione di scappare. Probabilmente in quel momento era certa che così, non lo avrebbe mai fatto, né Raiden avrebbe avuto la tentazione di lasciarla indietro, qualora avesse deciso di partire. Se siamo sposati, tu non te ne andrai senza di me, vero? Se siamo sposati resteremo insieme, prenderemo davvero sul serio questa cosa. Non avremmo la tentazione di scappare, o di trovare scuse. Ci lavoreremo sopra, come hai detto tu, tutti i giorni. E saremo felici. Io so che noi possiamo essere molto felici. Tu mi rendi già tanto felice. Pensieri quelli sconclusionati, che si mischiavano a quella vocina fastidiosa che tentava a tutti gli effetti di troncare quel piano folle. Ma era come chiedere a un bambino di non premere un specifico tasto, senza spiegargli cosa sarebbe successo se lo avesse fatto. « Dobbiamo trovare una chiesetta. La più vicina. O quello che è. E ci servono due fedi. E due testimoni. Potremmo chiedere a Billy e.. non lo so.. Stacey. Sì, mi sembrano i più adatti. Sono sicuro che ne sarebbero un sacco felici. E magari possono aiutarci a trovare le altre cose. » Si lasciò trascinare con un po' di fiatone verso il nucleo della festa, ridacchiando di tanto in tanto contro la sua spalla. « E tu dovresti trovare un vestito bianco. Se lo vuoi. La boutique sarà chiusa, ma possiamo arrangiarci con qualcos'altro, non importa. Più che altro la questione è quella delle fedi. Ma Gabriel ne parlava l'altro giorno e da quello che ho capito i Cacciatori ne hanno di loro, quindi potremmo bussare ai tipi che le fanno e farcele dare. Sì sì, è la cosa migliore. Appena li troviamo dobbiamo dividerci: ognuno fa qualcosa e poi ci ritroviamo tutti davanti alla chiesa. » Un piano che le sembrò estremamente organizzato e ben pensato. Si. Organizzatissimo. « Ma lo vedi che siamo già una squadrona?? Questa vita da sposati la sten-dia-mooooooo! Io do le idee e tu le metti in pratica! Tu dimmi che coordinazione. Siamo praticamente imbattibili! » E lì, individuò la migliore amica appoggiata a un albero con l'ennesimo bicchiere in mano e la faccia di una che non ci stava poi molto con la testa. « STACEY! Oh! » La biondina sollevò di colpo il capo sorridendo con fare ebete. « Ecco l'infrascata number two della serata! E chi se l'aspettava di rivederti. » Mia le gettò le braccia attorno al collo stampandole un bacio affettuoso sulla guancia, prendendole dalle mani il bicchiere per svuotarlo. Probabilmente a quel punto avrebbe dovuto fermarsi dal continuare a bere, ma no, Mia sentiva il bisogno di rovinarsi fino in fondo, quasi come se, quel suo comportarsi in quel modo potesse in qualche maniera mettere a tacere quella vocina fastidiosa che continuava a ripeterle che era il caso di fermarsi prima che fosse troppo tardi. Probabilmente da sobria avrebbe preferito prendersela con calma, pensarci bene, darsi il tempo di conoscere effettivamente Raiden, di condividere con lui il più possibile e poi decidere di coronare il grande passo con una piccola cerimonia assieme ad amici e parenti. Che non fosse una tipa da cose in grande era evidente, ma di certo ricordarsi quel momento lo avrebbe desiderato in altre circostanze. In quel momento tuttavia, trovò giusto non solo andare fino in fondo, ma anche affrettarsi a farlo, prima che qualcosa o qualcuno potesse in qualche maniera frenarla dal grande passo. Aveva foga, Mia; foga di arrivarci prima degli altri, di prendere una decisione e andarci fino in fondo. « Ragazzi, senza troppi giri di parole: io e Mia abbiamo deciso di sposarci. Stanotte. E ci servite come testimoni. » Stacey sgrana gli occhi sul colpo volgendo lo sguardo verso l'amica, lasciandosi cogliere da un'improvviso attacco che passò dalla commozione al pianto, concedendosi a tratti qualche risata gioisa. E a quel punto è la bionda che, dopo qualche secondo in cui deve processare le informazioni, le getta le braccia al collo colta da un attacco dalla lacrima facile. « Non ce la faccio!! LA MIA AMICA SI SPOSA! No va beh. Follie d'amore, io sto malissimo. Ma certo che ti faccio da testimone, ma che stai scherzando! » Probabilmente sarebbe stata lieta in qualunque altra circostanza della presenza di Stacey. Con lei aveva condiviso gran parte della sua vita. Tuttavia, ancora una volta, nelle retrovie della sua mente, provò un senso di vuoto, dovuto all'assenza di Ronnie e Shai, persino di Alyssa e tante altre persone con cui aveva condiviso i suoi ultimi anni a Hogwarts. Avrebbe voluto che Ronnie fosse lì. « ..ci servono le fedi, una chiesa e il vestito bianco se Mia lo vuole. Quindi direi di dividerci: io e Billy pensiamo alle fedi, voi due alla chiesa. Vi sta? » « No no no, non esiste proprio! Non esiste una chiesa. Questa cosa si fa come si deve. Alla nostra maniera. » « Ma non ce lo fanno fare. » E lì Stacey, che di fregare il sistema ne sa più di tutti quanti, si porta l'indice alle labbra con fare teatrale e chiude gli occhi, facendo capire a tutti che non vuole sentir parlare. « Shhhhhhhh!!! Speedy! Lo so io cosa va fatto. Tu vedi di dire si, che sennò facciamo una figura demmerda. »
    Era come se Stacey a una fuga romantica era sempre stata pronta. Avrebbe scoperto solo in seguito che ne aveva semplicemente già partecipata a una; Stacey le avrebbe raccontato molto tempo più tardi che c'era già un precedente di quella natura nella riserva. Due dei loro compagni di malefatte si erano sposati alla stessa maniera la notte prima che lui partisse per una lunga missione che l'avrebbe trattenuto in Alaska per quasi un anno. Così avevano deciso di sposarsi la sera prima che lui partisse, affinché il monastero in cui si sarebbe recato, permettesse a Jace Graham di poter vedere almeno di tanto in tanto la sua amata Caroline sotto il tetto santissimo più sperduto sulla faccia della terra. Per l'abito, una loro conoscente, più ubriaca di entrambe le ragazze messe assieme, si era offerta di tornare a casa e prestarle quello che la madre conservava per il suo grande giorno. Stacey aveva commentato sotto voce che non sarebbe successo poi molto presto, perché si vociferava che Tina fosse presa da uno già sposato. E giù di gossip mentre tornavano furtivamente nella riserva, attraversandola, per poi pescare una barchetta e continuare il viaggio verso la chiesetta del Bayou in quel modo. A Mia stava iniziando a girare la testa, tant'è che a bordo della barca, si piegò in due, sentendosi lo stomaco letteralmente in alto mare. « Speedy, senti, quando arriviamo devi invocare il matrimonium in extremis. » « Eh! » « Il matrimoniun in extremis, cogliona! Tipo che uno dei due sta morendo, boh è un emergenza.. gli dici che Raiden sta morendo e Gillian non approva che ti sposi un moribondo. » Scoppia a ridere di colpo, anche se ha chiaramente un'espressione sofferente. « Mi s'incula, vero? Ma tipo a pecorella. » Non sentiva però quel pericolo come imminente, Mia; nella nebbia dell'incoscienza, trovava quella prospettiva del tutto insignificante. Gillian Wallace ci sarebbe rimasta probabilmente male, probabilmente le avrebbe piantato su un casino assurdo e le avrebbe detto che quello che ha fatto era imperdonabile. Non si sarebbe capacitata della necessità di fare tutto ciò in gran segreto e soprattutto così di fretta. Va beh.. le passerà. Quando vedrà quanto saremo felici io e Raiden sarà felicissima per noi. « Raiden sta andando via.. » Dice di colpo ad un certo punto mentre afferra uno dei remi, contando i propri respiri. Ha bisogno di fare qualcosa per non pensare al fatto che potrebbe vomitare da un momento all'altro. « Cioè? » E così Mia inizia a farfugliare la storia del suo tormento in maniera confusa e poco ordinata, colta improvvisamente da un maggior senso di panico. « Se lo chiamano in Giappone, lui ci va sicuro. E lui là ha una vita, ed io non faccio parte della sua vita là. Però io voglio esserci, capì? Non è che lo voglio mettere al guinzaglio però voglio esserci. Non mi va di perderlo o di vederlo andare via. E poi se ci sposiamo lui smette di essere un rifugiato, e avrà il lavoro che vuole, e così magari avrà meno voglia di andarsene. Magari così resta e basta. Magari restiamo qua, dove non ci sono pericoli. » Ma che non ci fossero pericoli, Mia non poteva saperlo. Pericoli, in quel loro mondo c'erano ovunque. Voleva però in qualche modo sentire che quei pericoli li avrebbe affrontato con qualcuno - no, non con chiunque. Con lui. Per la prima volta gli occhi di Mia si riempiono di lacrime proprio prima di giungere sulla sponda opposta dove li aspetta un piccolo gruppo di giovani allegri, tra cui Tina che ha tra le mani un vestito apparentemente bianco. In realtà il vestito è azzurro, e infatti la mora sente di scusarsi, poiché sua madre deve aver cambiato sistemazione del prezioso cimelio di famiglia. « Però potrebbe essere il qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato.. manca giusto qualcosa di nuovo. » E lì intercorre Jane Dawson che sfodera un cerchietto bianco tempestato da brillantini da quattro soldi ancora incartato nella sua confezione con tanto di etichetta. Glielo posa tra i capelli dopo essersi liberata della rumorosa plastica che lo avvolge e sorride battendo le mani energicamente. « QUALCOSA DI NUOVO NUOVISSIMO. Guarda Mia te lo dico, mai toccato davvero. Ti sta benissimo. »

    « ECCOCI ECCOCI! Scusate il ritardo, ci siamo fermati a prendere il bouquet. » Quel gruppetto allegro aveva continuato a fare bacano anche mentre Stacey e Mia erano dentro a contrattare col prete. Padre Matthew era estremamente anziano, a tal punto che non vedeva più da un occhio già da parecchi anni ed era altrettanto sordo. Era un uomo mite ed estremamente affabile; si dava inoltre il caso che avesse un sonno altrettanto leggero e che dormisse veramente poco. C'era chi nel Bayou diceva avesse doti divinatorie e che al di là del suo essere una guida spirituale della comunità del Credo di New Orleans, era un prezioso custode dei segreti della loro società che conosceva sin troppe cose persino per il suo stesso bene. Un prete più giovane celebrava assieme a lui i riti da diverso tempo, affiancandosi così al suo lavoro, affinché un giorno potesse prendere il suo posto. Nonostante ciò padre Matthew viveva ancora su quel fazzoletto di terra, tra i terreni paludosi del Bayou da solo, senza alcun timore, accogliendo a casa sua, e nella casa del Signore, qualunque pecorella smarrita. L'anziano sacerdote conosceva bene gli Wallace; aveva celebrato tutti i grandi riti della famiglia; aveva visto nascere e crescere i sette scapestrati figlioli e, da quel che Mia sapeva, aveva celebrato anche il rito d'addio dei quattro fratelli Wallace venuti a mancare. Proprio in virtù dei tanti trascorsi, Mia era certa che padre Matthew non li avrebbe mai sposati, e ora stava maledicendo Stacey per averla convinta. « Matrimonium in extremis, dite. Ricordo di un altro celebratosi qua forse.. uhm.. era l'anno scorso o due anni fa? Mah.. sono vecchio, difficile a dirsi.» Mia gettò uno sguardo assassino alla migliore amica con fare ansiogeno. Ecco, adesso non solo non ci sposa ma chiama pure mia madre che mi s'incula. Il sacerdote resta così a pensarci per un po', fissando il vuoto oltre le spalle di Mia con fare pensieroso. Tutti dicevano che nel Bayou era padre Matthew a dare la sua benedizione sui matrimoni che si sarebbero celebrati. Era successo diverse volte che chiedesse agli sposi di pensarci ancora e di tornare a prendere un impegno così serio davanti al Signore più in là. Sembrava saper leggere le persone dentro, in una maniera in cui nessun altro sapeva fare. « Che così sia, Mia Wallace. » Ed eccoli quindi ricongiungersi; Mia ancora allucinata e decisamente sorpresa dalla decisione del prete, Stacey più pimpante che mai e i due ragazzi preparatissimi su tutta la loro parte dell'organizzazione. « Avete parlato col parroco? Siamo pronti? Noi abbiamo le fedi. Se non ci sta altro direi di procedere. » « Il vecchio ha perso tutte le rotelle. Figurati se non li sposa. » E ride Stacey, mentre Mia si avvicina a Raiden, sorridendogli elettrizzata. Si liscia il vestito accettando il mazzolino di margherite che osserva con muta ammirazione, quasi si trattasse del più bel bouquet che potesse ricevere. « Che carinooooo, pure i fiori mi hai portato. Husband material proprio! Oddio mi piace tantissimo. » Pausa. « Ti amo tanto tanto. » Un sospirino da parte delle ragazze, accompagnato da qualche risata intenerita dei ragazzi che li avevano seguito fino a lì. Un gruppo di scappati di casa con un tasso alcolico alle stelle nel sangue e zero grana nel cervello. « Io sono pronto. Ti aspetto all'altare, Wallace. » Prima che potesse stampargli un bacio, vennero separati, portando così Mia a scoppiare a ridere di colpo.
    Non si era formalizzata più di tanto, Mia, camminando lungo la navata con al seguito le ragazze in maniera sbarazzina e a tratti decisamente scomposta. Ogni tanto le veniva da ridere, e altrettanto succedeva con le altre, specie perché padre Matthew sembrava sul punto di addormentarsi. Stacey continuava a fare commenti che la portavano a mordersi il labbro per impedirsi di ridere a squarciagola. Le girava la testa e si sentiva leggera; più leggera che mai. Era giunto a quel punto in cui tutto l'alcol le era salito alla testa e tutto ciò che poteva fare era abbandonarsi a quella sensazione ebete. Trovò estremamente bello Raiden che l'aspettava in fondo alla navata. Si era persino cambiato per l'occasione, e ora aveva un aspetto da vero principe azzurro. Seppur fossero sfatti e in condizioni pietose, Mia lo trovava comunque bellissimo, e anche in quello stato in cui articolare un pensiero di senso compiuto era estremamente difficile, pensò che sarebbe stato meraviglioso svegliarsi al suo fianco, per sempre. La vocina nella sua testa si era quietata, e ormai il senso del pericolo non lo avvertiva più. Giunta a quel punto non voleva proprio tornare indietro, e non vedeva alcun motivo per farlo. Di fronte al Grifondoro, trattenne ancora una volta a stento una risata, mentre si voltava verso il sacerdote mordendosi il labbro inferiore. Si schiarì la voce nell'intento di acquisire una serietà che l'alcol non le permetteva di assumere e sospirò. « Secondo le leggi dei cacciatori un matrimonium in extremis non si celebra davanti a testimoni. » Mia si voltò di scatto verso Stacey sgranando gli occhi; lei dal canto suo non sembrò affatto sorpresa. Annuì solo con un'espressione apparentemente rituale, mentre alzava gli occhi al cielo facendole cenno di restare calma. « Seguitemi, prego. » Nonostante la sua cecità avanzata, padre Matthews si mosse all'interno della sua chiesa con estrema confidenza, superando l'altare con un passo arzillo, per aprire una piccola porta che dava sul retro della chiesa. Mia osservò Raiden stringendosi nelle spalle. Non aveva la più pallida idea di cosa dovesse succedere a quel punto. Lo prese quindi per mano, avanzando quindi di un passo alla volta deglutendo, facendosi così coraggio per seguire il sacerdote oltre la porticina. Ben presto si trovarono in un ampio giardino, nuovamente avvolti dall'umida aria notturna. Vennero condotti fino in fondo al prato incolto, là dove si trovava un'antica quercia di fronte alla quale si scagliava un antico altare in pietra, sulla cui superficie vi erano incisi i simboli del Credo. Giunto di fronte al tavolo, padre Matthew si voltò nuovamente nella loro direzione. Nonostante gli occhi velati da una spessa pattina bianca, lo sguardo di lui passò prima sul volto di Raiden e poi su quello di Mia. « Nessuno di voi sta morendo. Non vi è un motivo valido perché vi sposi in extremis. Però.. » E dicendo ciò alzò un indice di fronte al viso. « ..volersi legare nel sacro vincolo del matrimonio in tempo in guerra è nobile. E la guerra è alle porte. Ecco io sono vecchio, ragazzi miei, ma non ho mai visto un antidoto più potente dell'amore, contro il male. Perciò consento la vostra unione. » Per un istante Mia corrugò la fronte. Nonostante il suo stato alterato, non poté fare a meno di accogliere quelle parole piuttosto confusa, come se tentasse di lottare contro il suo stesso stato alterato. Perché non stiamo più ridendo? Perché non sembra più tutta una follia e una fugga? Perché stiamo parlando di guerre e di pericoli? Di male? « Voi vi amate. » La sua non fu una domanda, bensì un'affermazione, di fronte alla quale Mia restò se possibile ancor più interdetta, gettando uno sguardo smarrito a Raiden. Tirò un sospiro pronta a dire qualcosa, ma venne interrotta dalla testolina dai capelli argentati di padre Matthew che si mosse in modo tale da metterla a tacere. « E di questo legame avrete bisogno. Prendetevi cura l'uno dell'altra. Soprattutto nella cattiva sorte. » Di colpo attorno al triangolo formato da Mia, Raiden, e padre Matthew, crollarono diverse lucine azzurrognole che li circondarono in un cerchio che illuminò l'intero giardino. La giovane Wallace sollevò lo sguardo per osservarne le fattezze deglutendo appena.
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    « Ma sono.. sono.. fuochi fatui.. » Gli stessi che alimentavano ogni roccaforte del Credo, gli stessi in grado di permettere da secoli ai cacciatori di scovare le creature oscure e che in tempi più recenti stavano imparando a depistare le attività della Loggia Nera. Di quale sostanza o da quale mondo quelle palle di luce provenissero, Mia non lo aveva mai capito, né i custodi del Credo sembravano essere propensi a condividere quelle informazioni. Erano rimasti un mistero per i più per tanto tempo. Qualcuno diceva si trattasse degli spiriti di tutti gli antenati del Credo, ma Mia a quella storia non ci aveva mai creduto più di tanto. « Chi arriva di fronte all'altare dell'Antico Credo questa notte? » Si sentì improvvisamente chiamata in causa da una ritualità che prese a pervaderla di colpo, come se da un momento all'altro fosse stata scaraventata in un'altra dimensione. Stringeva la mano di Raiden con un senso di nervosismo, intrecciando le dita alle sue come se quel contatto avesse un significato che andava al di là della semplice stretta. « M-Mia - figlia di Isaac. » Rispose istintivamente. Di quelle antiche cerimonie si sentiva leggere solo nei libri delle favole; quelle con cui era cresciuta nella culla dei cacciatori, prima che quest'ultimi tornassero a ricordare la loro vera natura di lycan. Erano antichi rituali caduti in disuso da molti secoli, probabilmente dai tempi in cui il branco era caduto sotto la maledizione che li aveva portati a dimenticare la loro vera missione, così come la loro natura. Padre Matthew attese la stessa risposta da Raiden prima di andare avanti. A quel punto, l'anziano sacerdote, sollevò lo sguardo verso l'alto, osservando le intense luci azzurrognole. « Chi dà in matrimonio questa giovane donna? » E lì accadde qualcosa che Mia non si sarebbe mai aspettata. Una delle luci scese dalla moltitudine che li circondava scese lentamente posizionandosi di fronte ai suoi occhi. Lo sguardo della giovane Wallace saettò per un istante sul volto di Raiden, prima di iniziare a fissare intensamente quella fiammella azzurrognola che la lasciò completamente senza fiato. Il fuocherello si posizionò sulla sua spalla destra, e per un istante le sembrò che lì, all'altezza della spalla ci fosse una mano; una mano che la stringeva intensamente, con affetto e calore. Un calore che per un istante le sembrò quasi umano. Chiuse gli occhi Mia, per un sitante, mentre il luccicore negli occhi di lei si trasformava lentamente in lacrime che non riuscì a trattenere. « Papà.. » Il suo fu un sussurro mentre tornava a osservare il volto di Raiden tirando su col naso. « ..è mio papà, Raiden. » Il sacerdote però non sembrò scomporsi. Si schiarì quindi la voce è continuò, nonostante gli singhiozzi di Mia. « Chi dà in matrimonio questo giovane uomo? » Ciò che accadde nel caso di Raiden fu qualcosa di completamente analogo. Un fuocherello scese dal cerchio, si posizionò di fronte al viso di lui per poi posarsi sulla sua spalla. A quel punto il prete decise di lasciare loro qualche momento. Seppur quelle fonti di luce non fossero in grado di parlare, né di manifestarsi, erano lì, e quella stretta, quella mano, quel calore, quella sensazione di sicurezza e di pace, Mia la conosceva perfettamente. Poteva essere un inganno, ma il Branco non mentiva; non poteva mentire. E lei, lì, in quel momento, si sentiva più vicina che mai non solo a Raiden, ma anche alle sue radici, alla sua natura, alla famiglia che aveva perso e a tutto ciò che la maggior parte dei giorni le sfuggiva. Papà, io questo ragazzo amo davvero tanto. Non so come sono arrivata qui, davvero. Magari è pure stupido, però ci sono arrivata. Ed io so che tu non lo conoscerai mai e lui non conoscerà mai te, però io voglio che tu sappia che con lui starò bene. Si prenderà cura di me, ed io mi prenderò cura di lui. Non hai più nulla di cui preoccuparti. Troverò la mia strada, te lo prometto. Forse sto iniziando da stanotte. Padre Matthew sfoderò la propria bacchetta facendo comparire attorno ai polsi dei due ragazzi un delicato nastro color oro. Ma ciò che la sorprese maggiormente fu il lento emergere dalle tenebre uno alla volta di volti di molte persone che conosceva. Volti che, nonostante una certa sorpresa, sembravano porsi di fronte a quella scena con una ritualità e una serietà che inizialmente Mia e Raiden non avevano rispetto, e che ora invece stava portando la giovane Wallace alle lacrime. Non aveva mai assistito a una cosa simile, né se ne era interessata, ma non altrettanto si poteva dire circa le persone che lentamente si riunivano in cerchio attorno a loro. Persino persone insospettabili; persino l'alfa stessa che si posizionò dall'altra parte dell'altare, osservando con aria assorta la scena. Mia lesse negli occhi di tutti un profondo rispetto nei confronti di ciò che stava accadendo, qualcosa che sembrava andare al di là delle carte, della burocrazia, delle postille. Ci stiamo giurando amore, non è così? E' questo ciò che sta accadendo. Ma non furono solo persone a lei note a presentarsi; c'erano figure che arrivavano da lontano, persone che non aveva mai visto e che guardavano a Raiden con la stessa ritualità con cui altri guardavano a lei. Il suo sguardo incontrò quello di una ragazza giovanissima nello specifico, che interruppe il contatto non appena si accorse dell'errore commesso, tornando a osservare Raiden quasi come se quel momento non fosse mai avvenuto. « Siamo qui davanti ai nostri antenati, così come davanti agli uomini e alle donne che hanno prestato giuramento al Credo, per assistere all'unione di questo uomo e questa donna: un corpo, un cuore, un'anima, oggi e per sempre. » E lì, Mia, per qualche ragione, si sentì di conoscere già cosa dovesse succedere e cosa dovesse fare. Era come se quel rituale, il suo svolgersi, la consapevolezza di trovarsi di fronte alla persona giusta, alla sua persona, al suo corpo, al suo cuore, alla sua anima, la portava a conoscerne specificamente ogni passaggio. « Io sono sua.. » Disse di colpo deglutendo, mentre gettava lo sguardo lucido in quello di Raiden, stringendo la sua mano ancora di più. « ..e lui è mio. Da questo giorno e per il resto dei miei giorni. » Pausa, mentre allunga la mano per farsi dare la fede, che infilò sull'annullare di lui sopra a quell'anello improvvisato che gli aveva regalato quella mattina. Si morse il labbro inferiore e sospirò. Conclusosi quello scambio, il nastro attorno ai loro polsi sparì, e padre Matthew allargò le mani, affinché all'unisono concludessero la cerimonia. E quindi Mia schiuse le labbra sorridendo appena. « Con questo bacio, impegno il mio amore. » E quindi gli circondò teneramente il viso, posandogli un lungo bacio sulle labbra, mentre di colpo l'interno giardino si spegneva, concludendo così la cerimonia con uno stacco netto all'insorgere dell'alba. « Bene. Ora se volete scusarmi, me ne vado al letto. La prossima volta bussate prima. Sono cose impegnative queste. » E così, Mia venne scossa di colpo da quello che le apparve quasi un sogno. « Ah si.. giovanotto.. dimenticavo. » E dicendo ciò fece fluttuare tra le mani di Raiden un rotolo di pergamena, riprendendo a camminare lentamente verso la casetta accanto alla chiesa, là dove Stacey e Mia l'avevano in primo luogo trovato. Solo allora Mia iniziò a capire che non le girava più la testa; la sensazione di nausea era quasi completamente sparita, così come qualunque forma di possibili postumi. Restò quindi là, riuscendo a sentire distintamente in lontananza un coro di risate e schiamazzi di ogni tipo. Il resto del gruppetto sembrava perfettamente in linea con il tenore della serata. Mia, dal canto suo sembrava stare bene, tolto un chiaro brontolio allo stomaco. Si inumidì appena le labbra, abbassando di colpo lo sguardo; aveva le guance paonazze e una voglia tremenda di sotterrarsi. « C'è.. una.. una tavola calda.. appena fuori dalla riserva. »


     
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    Forse non era esattamente ciò che Raiden si era immaginato o ciò a cui si era preparato per diverso tempo, ma vedere Mia dall'altro capo della navata fu un'immagine che riuscì a scaldargli il cuore e mettergli le farfalle nello stomaco anche a dispetto del palese stato d'ebbrezza in cui si trovava. Ecco, diciamo che quelle farfalle, forse, più che svolazzare dovevano nuotare - ma l'effetto fisiologico era lo stesso. Il sorriso sulle sue labbra si allargò, illuminandogli il volto di una luce genuina che sembrava solo parzialmente spezzata da quell'alone poco rifinito che la serata gli aveva indubbiamente meritato. La guardava incedere - pur se un po' traballante - e sorrideva, pensando dentro di sé che fosse bellissima e che quel vestito azzurro le stesse d'incanto. Si sentiva leggero, ma soprattutto si sentiva felice; felice come un bambino, che non pensa all'indomani o agli annessi e connessi delle proprie azioni, ma che si butta nella spensieratezza a briglia sciolta. Quando finalmente Mia si arrestò di fronte a lui, il ragazzo le scoccò un occhiolino, trattenendo a stento una risata di fronte all'evidente ilarità che stava prendendo anche lei. Si morse quindi l'interno della guancia, schiarendosi la gola prima di voltarsi a guardare il vecchio prete. E quindi sta succedendo davvero. Mi sto sposando. Dopo tutti i giri e gli intrugli, sono comunque arrivato a questo punto. Certo, forse non nella maniera più ortodossa, ma che importa? « Secondo le leggi dei cacciatori un matrimonium in extremis non si celebra davanti a testimoni. » Rimase leggermente interdetto da quelle parole: un po' perché non aveva idea di cosa fosse un matrimonium in extremis o del perché ne stessero parlando, e un po' perché non sapeva davvero cosa fare. Rimase lì impalato per qualche istante, guardandosi intorno come se fosse sua responsabilità trovare una soluzione pratica a quello che aveva intuito essere un problema. « Seguitemi, prego. » Deglutì, annuendo svelto e aspettando che il prete si voltasse per lanciare un'occhiata di puro smarrimento in direzione di Mia. Che succede? Dove ci sta portando? Perché non ci possono essere testimoni? Ho una brutta sensazione. Sembrava che nemmeno a Raiden ubriaco piacessero più di tanto gli imprevisti, o quanto meno quelli fuori dal suo stesso controllo, perché prese la mano di Mia come se si stesse aggrappando all'ultimo salvagente di una nave che affonda. L'ambiente in cui vennero condotti, una volta oltrepassata la porticina oltre la quale Padre Matthew li guidò, era un giardino aperto e vagamente incolto, in fondo al quale si trovava un altare posto di fronte a una grossa quercia. Era bello, a modo suo, ma ciò non sembrò tranquillizzare affatto il giovane Yagami, che di quella situazione ci stava capendo sempre di meno. Nonostante gli occhi vitrei dell'uomo, Raiden si sentì come scrutato nel profondo dell'anima nel momento in cui questi si posarono fermi sul suo volto, scavandovi all'interno fino all'osso. Poche volte si era sentito così esposto, così messo a nudo di fronte a qualcuno: era come se quell'uomo potesse infiltrarsi nel suo animo con una sola occhiata, portandolo inevitabilmente a distogliere lo sguardo e recarsi una mano al petto, strofinandolo in un moto di disagio. In fin dei conti c'era molto, dentro di sé, che Raiden celava agli occhi altrui - e per buona ragione. « Nessuno di voi sta morendo. Non vi è un motivo valido perché vi sposi in extremis. Però.. volersi legare nel sacro vincolo del matrimonio in tempo in guerra è nobile. E la guerra è alle porte. Ecco io sono vecchio, ragazzi miei, ma non ho mai visto un antidoto più potente dell'amore, contro il male. Perciò consento la vostra unione. » Sgranò gli occhi, il giapponese, sbattendo leggermente le palpebre con aria confusa. Da che erano partiti con un treno di ilarità e spensieratezza, il giovane ebbe la netta sensazione che qualcosa stesse cambiando: l'aria si era fatta improvvisamente più pesante, più rituale, più seria. « Voi vi amate. E di questo legame avrete bisogno. Prendetevi cura l'uno dell'altra. Soprattutto nella cattiva sorte. » Le parole di Padre Matthew andarono inevitabilmente a toccare una corda profonda nel cuore di Raiden: un punto sensibile che il giovane sapeva di avere, ma che in quel momento era nascosto sotto litri di alcolici e una generale spossatezza. Il giapponese aveva sempre saputo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato per lui come per tutti quanti. Da bambino aveva guardato al matrimonio dei suoi genitori con la patina inconsapevole e superficiale che si addiceva alla sua età: vedeva come il loro legame si estrinsecasse nella vita quotidiana - quanto meno nella misura che loro gli lasciavano intravedere - ed era convinto che i due fossero la coppia più bella e amorevole che esistesse, un esempio da ricalcare in futuro. Da adolescente, poi, dell'istituzione matrimoniale aveva visto i lati oscuri: il secondo matrimonio di Hanna l'aveva portato a capire che giurarsi amore non bastava, e che a volte il vincolo era solo quello.. un vincolo. La madre si era trovata legata ad un uomo arido, anaffettivo, che non sentiva affatto i valori che andava professando, e che imponeva il rispetto tramite la paura, ingabbiando coloro che aveva al fianco. Queste due diverse visioni l'avevano portato, nella maturità, a capire che tipo di uomo volesse essere, che tipo di marito auspicasse a diventare e che tipo di relazione volesse per se stesso. Aveva compreso che il matrimonio potesse essere la più grande benedizione, ma anche la peggior minaccia, e che fosse sua responsabilità assicurarsi giorno dopo giorno della sua salute. È come una piantina, o un bambino.. o in generale un qualunque essere vivente. Non basta metterlo al mondo e piazzarlo lì, aspettandosi che cresca forte da solo. Devi nutrirlo ogni giorno e dargli tutte le tue cure. A volte le circostanze esterne ti saranno avverse, e quindi dovrai metterci più impegno. Altre invece il sole splenderà sopra di esso e sembrerà facile come una passeggiata nel parco. Raiden era arrivato a capirlo all'inizio dei suoi vent'anni, e da quel momento in poi - che ne fosse consapevole o meno - era stato pronto ad affrontare quel passo. Una parte di lui aveva sempre creduto che ciò fosse dovuto al fatto che l'esperienza del militare lo avesse obbligato a crescere in fretta, ma non era davvero così, e ciò sarebbe stato facilmente intuibile con uno sguardo alla maggior parte dei suoi compagni e colleghi. La verità era che tutte quelle esperienze, a partire dall'infanzia, avevano contribuito a creare in lui non tanto il senso di responsabilità indispensabile all'unione - indispensabile, appunto, ma non di per sé sufficiente -, quanto la consapevolezza dell'intrinseco valore di un legame. E quella è una cosa che non si può insegnare frontalmente, tanto che molte persone ci mettono una vita intera a comprenderlo, ammesso e non concesso che ci riescano. « Ma sono.. sono.. fuochi fatui.. » Lo sguardo del moro si perse tra quelle luci fluttuanti, osservandole come rapito dai loro movimenti. Li aveva già visti, ovviamente, ma non si era mai capacitato della loro esistenza né aveva mai capito da cosa fossero scaturiti. « Chi arriva di fronte all'altare dell'Antico Credo questa notte? » Lanciò un'occhiata titubante a Mia, intensificando leggermente la stretta tra le loro dita. Improvvisamente tutto sembrava essere diventato così serio e rituale - bello, a modo proprio. Un vero matrimonio. « M-Mia - figlia di Isaac. » Si schiarì la voce, capendo che era il suo turno, e pose lo sguardo sul prete, ricalcando la stessa formula della Serpeverde. In fin dei conti lui non aveva mai assistito a un matrimonio tra Cacciatori, quindi il suo unico modo per barcamenarvisi era quello di seguire le istruzioni e copiare il tracciato di Mia. « Raiden, figlio di Haru. » Da quanto tempo non pronunciava il nome di suo padre? Tanto, troppo. Forse erano passati addirittura anni dall'ultima volta. « Chi dà in matrimonio questa giovane donna? » Per un istante, Raiden si chiese come Padre Matthew potesse porre una simile domanda immediatamente dopo averli portati in disparte, lontani da tutto il gruppo. Ma prima che potesse aprir bocca e dire qualcosa, una delle fiammelle azzurre scese lentamente più vicino a loro, fermandosi a fluttuare in prossimità della spalla destra di Mia. « Papà.. è mio papà, Raiden. » Dire che il cervello di Raiden avesse raggiunto un punto che andava molto oltre le sue effettive capacità di processo, sarebbe un eufemismo. Gli occhi del giapponese si sgranarono, fissando quella palla di luce come ipnotizzato; le sue labbra erano dischiuse in un'espressione di stupore, ma nonostante cercassero di muoversi come a dire qualcosa, nessuna parola ne fuoriuscì. Di parole, in quel momento, Raiden non ne aveva affatto. « Chi dà in matrimonio questo giovane uomo? » E a quel punto, per quanto il suo stato mentale fosse decisamente alterato, il giovane Yagami se lo aspettava cosa sarebbe successo. Se lo aspettava e, prima ancora che si realizzasse, nel suo corpo cominciarono a scorrere diversi tremiti. Il suo cervello non sembrò comprendere appieno ciò che successe, ma la sua pelle riconobbe istintivamente il calore del fuoco fatuo, percependolo come umano e appartenente a qualcuno che conosceva molto bene. Si voltò con gli occhi pieni di lacrime, ricercando un volto che, ovviamente, non era lì. Eppure lo sentiva. Sentiva la mano di Haru sulla propria spalla e sentiva qualcosa che avrebbe solo saputo descrivere come un afflato dell'anima paterna. Raiden aveva perso suo padre all'età di dieci anni, e in quel momento, nel sentirne la presenza accanto a sé, gli sembrò come di tornare indietro a quell'età: di tornare ad essere quel bambino incapace di concepire un mondo senza l'uomo che lo aveva cresciuto, incapace di piangere di fronte a un qualcosa che non capiva e che forse nemmeno voleva comprendere. Volente o nolente, Raiden si era dovuto far forza, accettando la scomparsa prematura della persona a cui più sentiva legato al mondo, di colui che davvero lo capiva fino in fondo. Eppure quel bambino era cresciuto, aveva capito sin troppo bene cosa fosse la morte e aveva vissuto ormai la maggior parte della propria vita nella consapevolezza di cosa si provasse a non avere accanto a sé quella persona. Quindi pianse Raiden, pianse di un pianto liberatorio che lo fece un po' vergognare, ma di cui aveva bisogno. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma ancora una volta non ne uscì nulla. Ne avrebbe volute dire così tante, di cose, a suo padre; per anni aveva sentito il peso di quella mancanza, di quella negata possibilità di condividere con la persona che più lo avrebbe capito e che più avrebbe saputo cosa dirgli. E anche lì, Raiden avrebbe voluto dire così tante cose che alla fine non ne seppe articolare nemmeno una. Mi manchi, papà. Mi manchi da morire, ogni giorno. Dicevano che col tempo sarebbe stato più facile, ma non è così. Io mi sono sempre sentito come se mi mancasse un pezzo, ho sempre ricercato qualcuno che non c'era, una parola che non poteva essere pronunciata. Vorrei poter recuperare ogni momento perso e raccontarti tutto, ma so di non averne il tempo. Ho paura di averti deluso, durante il mio percorso. Cosa avresti pensato di me? Me lo sono chiesto spesso. Sei fiero di me, papà? Mi vuoi ancora bene come quando ero bambino? Non disse tutte quelle cose, ma il calore che la sfera emanò sembrò dargli la risposta che stava cercando, facendo confluire nel suo petto un senso di conforto e di vicinanza così totalizzante da togliergli il fiato. Chiuse gli occhi, lasciando che ogni altra sensazione venisse bloccata all'esterno, mentre le lacrime scorrevano quietamente sulle sue guance arrossate. Quando li riaprì, tuttavia, non erano più soli; diverse figure si stagliavano nel giardino, silenziose ma ben presenti. Non li conosceva tutti, ma il suo occhio venne immediatamente catturato da quei visi che portavano tratti simili ai suoi. La maggior parte dei lycan giapponesi erano lì, compresa Eriko, che fissava con muta impassibilità la scena. Probabilmente doveva essere ancora offesa per ciò che lui le aveva detto qualche giorno prima, ma era pur sempre sua sorella, e una cosa del genere non se la sarebbe persa nemmeno se fosse stata sul proprio letto di morte. Tutti i suoi connazionali si inginocchiarono all'unisono, sedendosi alla maniera consona per il rituale, seri e composti come più volte li aveva già visti. Raiden sorrise loro, anche a quelli da cui si era sentito in qualche modo tradito e abbandonato; vederli lì, nonostante tutto, gli causò un tuffo al cuore, che cominciò a palpitare dall'emozione. « Siamo qui davanti ai nostri antenati, così come davanti agli uomini e alle donne che hanno prestato giuramento al Credo, per assistere all'unione di questo uomo e questa donna: un corpo, un cuore, un'anima, oggi e per sempre. » Lo sguardo di Raiden si tuffò in quello di Mia, mentre le loro parole fuoriuscivano all'unisono, dettate come da una consapevolezza che andava al di là delle loro effettive conoscenze terrene. « Io sono suo e lei è mia. Da questo giorno e per il resto dei miei giorni. » Un sorriso tremulo, delineato da un miscuglio di emozioni tanto forti quanto difficilmente identificabili, si stagliò sul viso del ragazzo nel far guizzare lo sguardo sugli occhi di Mia mentre le faceva calzare la fede al dito. Sospirò, osservando i loro anulari mentre il nastro che legava i loro polsi andava pian piano a ritrarsi. « Con questo bacio, impegno il mio amore. » E detto ciò, si chinò verso il volto di lei, sorridendo nell'appoggiare le dita sul suo collo, a carezzarle le guance coi pollici mentre premeva le labbra contro le sue in un lungo e tenero bacio. « Bene. Ora se volete scusarmi, me ne vado al letto. La prossima volta bussate prima. Sono cose impegnative queste. » E di colpo, il giardino si spense e tutti i presenti scomparvero, lasciandoli soli e confusi con padre Matthew all'insorgere dell'alba. Tutto finito. Così repentino che, per un istante, Raiden si ritrovò a interrogarsi sulla realtà di ciò che aveva appena vissuto. Era successo davvero o lo aveva solo sognato? Perché ora, se avesse dovuto descriverlo a qualcun altro, si sarebbe sentito come un pazzo che si era immaginato tutto dal primo all'ultimo istante. Eppure era vero, lo sapeva - lo sentiva - e di certo quella fede al proprio dito lo testimoniava. « Ah si.. giovanotto.. dimenticavo. » Sollevò le iridi ancora confuse sul volto dell'anziano pastore, prendendo tra le proprie dita la pergamena che gli venne consegnata. Era ufficiale: Mia e Raiden erano marito e moglie. Quella consapevolezza lo colpì in pieno petto come un treno in corsa. In quel momento, fissando il rotolo che teneva in mano, il giovane Yagami avrebbe voluto dirsi ancora abbastanza ubriaco da non comprendere nulla. Eppure comprendeva fin troppo. Gli strascichi di quella sbronza non sembravano più obnubilargli la mente al punto da anestetizzarne ogni pensiero, ma erano presenti solo sotto forma di un vago malessere fisico di cui tuttavia non si curò più di tanto. In fin dei conti, dopo ciò che aveva vissuto, cose del genere passavano decisamente in secondo piano nella sua lista di priorità. « C'è.. una.. una tavola calda.. appena fuori dalla riserva. » Ci mise qualche istante a registrare quelle parole, ritrovandosi poi ad annuire in silenzio, umettandosi le labbra e passandosi una mano tra i capelli prima di farle cenno di andarsene da lì.

    Trattare i postumi di una sbornia in America era più facile a dirsi che a farsi, specialmente quando decidevi di optare per una tavola calda. A Raiden era bastata una veloce occhiata al menu per constatare che tre quarti dei cibi offerti erano fritti o comunque pieni di grassi. Il concetto di spremuta, poi, sembrava piuttosto confuso per gli statunitensi, che lo concepivano solo come un succo di frutta troppo zuccherato e dalla consistenza quasi sciropposa. Così, dopo aver scrutato il menu da cima a fondo, Raiden aveva emesso un sospiro e ordinato una brocca d'acqua e l'unica cosa vagamente salutare che servissero: una Ceasar salad, dalla quale aveva chiesto di omettere la salsa ceasar. Inutile dire che ciò gli aveva guadagnato un'occhiata davvero confusa e piena di giudizio da parte della vecchia cameriera, che aveva fatto schioccare la lingua contro il palato e fatto saettare in alto un sopracciglio mentre appuntava il tutto sul proprio blocco note. La brocca di caffè sul tavolo, il giovane nemmeno la toccò, conscio del fatto che la sostanza nervina non avrebbe aiutato affatto la situazione del proprio stomaco. In ogni caso, il problema nemmeno si poneva: rimanere sveglio dopo una simile notte non gli riuscì affatto difficile, per quanto i profondi cerchi violacei sotto il suo sguardo pensoso dicessero il contrario. Da quando erano usciti dalla chiesetta, Raiden aveva parlato poco o nulla e solo in casi di estrema necessità; per il resto si era trincerato nel silenzio, avvolto dai mille pensieri coi quali quell'avventura lo aveva lasciato a convivere. Gli era chiaro adesso, quanto stupidi fossero i motivi che li avevano spinti verso quel matrimonio, e gli era ancor più chiaro quanto serie sarebbero state invece le conseguenze. A partire da Gillian e Gabriel Wallace. Dubito che la prenderanno sul ridere, quando glielo racconteremo. Diavolo, è probabile che già lo sappiano! Sospirò, affondando il viso tra le mani e chiudendo gli occhi, passandosi poi le dita tra i capelli. Non sapeva cosa fare, Raiden, e la cosa andava inevitabilmente a creargli uno stato di disagio misto a nervosismo. Una cosa del genere, lui, non solo non l'aveva mai affrontata, ma non l'aveva mai nemmeno contemplata come un evento possibile a cui prepararsi. Una parte di lui si rendeva conto di quanto assurda fosse quell'intera situazione e del fatto che una qualsiasi persona sana di mente avrebbe consigliato loro di richiedere l'annullamento o il divorzio: era la cosa più logica e lungimirante. L'altra parte, però, faticava a fare i conti con l'idea di un simile fallimento personale: un'onta, per come la vedeva intimamente lui. Metà del branco aveva assistito a quel matrimonio, e il solo pensiero di mettersi di fronte al loro giudizio gli creava un moto di istintivo rifiuto. Sarebbe un arrendersi prima ancora di averci provato. Però che cazzo devo provare? Che per quanto bislacca, questa decisione di sposarsi fosse comunque legittima e degna di rispetto? Cazzo, sono arrivato lì che mi reggevo a malapena in piedi! Il conflitto interiore di Raiden era tanto evidente nel suo volto corrugato quanto nella sua sfera emotiva, scombussolata dalla guerra che si stava giocando tra i suoi personali valori. Valori che non aveva mai pensato potessero entrare in contrasto tra loro, ma che evidentemente ora lo stavano facendo. « Vado un attimo in bagno. » fu tutto ciò che disse in un filo di voce, senza nemmeno guardare Mia negli occhi prima di alzarsi di scatto dal divanetto di plastica unticcia e dirigersi a passo spedito verso la toilette degli uomini. Fece subito per andare verso il lavandino, spostando la manopola dell'acqua tutta verso sinistra in modo da far scorrere l'acqua ghiacciata sulla superficie bianco sporco. Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti, bagnandosi i polsi prima di mettere i palmi sotto il getto e schiaffarsi l'acqua in faccia. « Bella cerimonia, non c'è che dire. » risuonò cauta la voce di Eriko alle sue spalle. Strinse la mascella, Raiden, nel sentirla. Dopo giorni di silenzio immagino tu sia qui solo per gongolare e dirmi che sono un cretino. Non oso immaginare quanto tu possa sentirti superiore in questo momento. Sollevò la schiena, gettandosi un'occhiata caustica alle spalle. « Se devi rigirare il dito nella piaga - ti avverto, Eriko, non è proprio il momento. » disse laconico, attirandosi uno sbuffo e un'alzata di occhi al cielo da parte della sorella. « Mio fratello si è appena sposato - inaspettatamente, devo ammetterlo - e non posso nemmeno fargli gli auguri? Wow! Meno male che ho rinunciato all'idea di farmi due chiacchiere per conoscere mia cognata. Chissà come avresti reagito. » Il palmo di Raiden andò a sbattere forte contro il bordo del lavandino, facendovi presa con le dita mentre stringeva ulteriormente la mascella. Chiuse le palpebre, prendendo un respiro per calmarsi prima di puntare le iridi in quelle di lei tramite il riflesso dello specchio. « Cosa di non è il momento non ti è chiaro, Eriko, eh? Pensi che non mi senta già abbastanza un cretino da solo? Pensi che non mi stia martellando il cervello alla ricerca della cosa giusta da fare? Le ho vagliate tutte. Non ce ne sta una. » Forse avresti dovuto vagliarle un po' prima. Eriko non lo disse, né glielo fece capire, ma era chiaro che il suo fianco fosse esposto ad un'uscita del genere. Un'uscita che Raiden si aspettava, ma che non arrivò. Piuttosto, la sorella emise un sospiro, incrociando le braccia al petto. Rimase in silenzio a fissarlo per qualche istante, calma. « Te lo ricordi cosa mi hai detto quando.. è successa quella cosa? » Pausa. « Mi hai detto che non potevi darmi una soluzione. Che dovevo decidere da sola e prendere la scelta di cui mi sarei pentita di meno. » Sbuffò una risata amara dalle narici, passandosi una mano sul volto mentre sollevava un sopracciglio e si voltava in direzione di Eriko. Sì beh, a dirsi è un sacco facile. E lo sapeva, Raiden, perché di quelle decisioni, lui ne aveva dovute prendere fin troppe. Ma erano ambiti diversi, erano responsabilità diverse - non meno importanti, né con minori conseguenze, ma pur sempre diverse. « Peccato che la scelta non sia soltanto mia, in questo caso. È un matrimonio, Eriko. La gente non si sposa con se stessa. Siamo in due all'interno di questa cosa. » « E allora affrontatela in due! Ti stai comportando come se dovessi prendere una decisione per entrambi, trincerandoti nel tuo cazzo di silenzio. Se pure dovessi arrivare ad una conclusione, cosa farai? Glielo comunicherai in carta bollata dicendole che le cose stanno così e che dall'alto della tua onniscienza sei arrivato alla trovata migliore per entrambi? Wow! Forse da Ichiro hai preso più di quanto mi aspettassi. » La sola idea di essere paragonato al patrigno creò un moto di rabbia nel cuore del giovane Yagami, che raggiunse la sorella a passi veloci, posizionandosi sotto al suo naso con gli occhi fiammeggianti di veleno. « Non osare accostarmi a quel figlio di puttana neanche per scherzo. » sibilò in un monito cupo, ritrovandosi di fronte allo sguardo di sfida della mora, che fu pronta a rispondere a tono « Altrimenti? » E lo capì, Raiden, che con quella semplice parola, Eriko aveva dichiarato il suo scacco matto, vincendo la partita. Lo aveva attirato su un terreno di gioco al quale lui non poteva resistere e gli aveva teso la propria trappola, sapendo che avrebbe abboccato. Come da manuale, la tattica aveva funzionato alla perfezione, lasciandolo ingabbiato in un punto dal quale ogni sua mossa sarebbe risultata in un implicito darle ragione - che fosse in una maniera o in un'altra. Consapevole di ciò, Eriko stirò un sorriso in direzione del fratello. « Sei proprio uno stupido maschio. Di là c'è una ragazza di diciassette anni che è innamorata persa di te e che si sta facendo le tue stesse paranoie se non il triplo di più. L'hai lasciata sola a fare i conti con le proprie ansie e paure. Non ha bisogno di qualcuno che le dica cosa fare, Raiden. Ha bisogno di qualcuno che le stia vicino, anche se non te lo dice o ti dà l'impressione contraria. » Pausa. « Secondo me, lì dentro.. » disse, picchiettando piano l'indice sul petto del ragazzo « ..da qualche parte, tu sai già cosa farebbe papà.

    Sei tale e quale a lui. Lo sei sempre stato. »
    A quelle parole, Raiden abbassò lo sguardo, sconfortato. « Non ne sono così certo. » mormorò in un filo di voce. Eriko, dalla sua, sorrise e si strinse nelle spalle. « Sono convinta che nemmeno lui fosse certo di tre quarti delle cose che faceva. Le faceva e basta. A volte ostentando più sicurezza di quanta davvero ne avesse. Ci voleva rassicurare.. forse perché sapeva che se non ci avesse pensato lui, nessun altro lo avrebbe fatto al suo posto. » Sospirò, la moretta, posando le mani sulle spalle di Raiden e sollevando il mento nel sistemargli affettuosamente la camicia. « Promettimi solo che lascerai il Sottotenente Yagami in questo bagno. Almeno per un pochino.. ok? » Gli occhi di lei guizzarono in quelli del fratello, scoccandogli un sorriso al quale Raiden rispose con uno proprio, più tirato ma non per questo meno sentito. Prese quindi un profondo respiro e annuì, raccogliendo a due mani il coraggio necessario ad aprire la porta della toilette e tornare a passo spedito verso il tavolo, dove le loro ordinazioni erano già state servite. Scivolò al proprio posto, versandosi subito l'acqua nel bicchiere e prendendone un lungo sorso prima di infilzare l'insalata con la propria forchetta. Per qualche istante non disse nulla, limitandosi a scoccare di tanto in tanto qualche occhiata furtiva alla Serpeverde seduta di fronte a sé. E poi, a un certo punto, nel silenzio, allungò semplicemente la mano sul tavolo, stringendo delicatamente quella di lei. Si lasciò altro tempo per non parlare, limitandosi a mangiare - forse consapevole del fatto che anche il silenzio, quello giusto, potesse essere in qualche modo utile ad affrontare una simile situazione. « Mia.. » disse a un certo punto, con tono calmo e pacato, sollevando lo sguardo dal piatto ormai quasi vuoto per posarlo sul volto di lei. « Ieri sera.. » cominciò, schiarendosi leggermente la voce « ..ieri sera ho detto tante cose un po' per aria. » L'eufemismo del secolo. Fece una pausa, stando attento a tenere lo sguardo fermo sul volto di lei per ricercarne il contatto visivo. « Però alcune le intendevo davvero. » Altra pausa. « È vero che ti amo. » Lasciò che quelle parole si depositassero tra di loro, lottando contro l'impulso di portarsi la mano al petto e strofinarselo fino a strapparsi la pelle dai muscoli e arrivare fino all'osso. Prese un respiro, dandosi la forza per andare avanti in quell'intervento che sembrava richiedergli davvero più energie di quante ne avesse inizialmente preventivate. « Non dobbiamo giungere ad una conclusione qui ed ora. Ci sta.. essere confusi. » Cazzo, io mi sento confuso come mai prima di questo momento, ma penso sia piuttosto lecito, alla luce degli ultimi eventi. « Però volevo comunque dirti che a prescindere da ciò che faremo.. io di te mi prenderei cura. » Pausa. « Come tuo marito, come tuo ragazzo, come tuo amico.. o anche allontanandomi, se è questo ciò che vorrai. » Scosse leggermente il capo. « Il titolo non è importante. Io voglio solo.. » annaspò alla ricerca delle parole giuste, ritrovandosi poi a stringersi nelle spalle « ..non lo so, immagino che.. che voglio solo amarti. Qualunque cosa ciò significhi e comporti. » In conclusione di ciò, lo sguardo di Raiden si tuffò in quello di lei, silenzioso e vocale al tempo stesso. Permettimi di farlo. Non dico che sarò sempre ottimale o perfetto, ma ci proverei. Darei comunque il mio meglio. Altro non posso prometterlo, ma questo sì. Questo posso garantirlo.


     
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    « Prendo il french toast con bacon, ben croccanti, per cortesia. » Gli occhi scuri della giovane Wallace scrutano il menu della tavola calda con molta attenzione, concentrandosi su ogni voce in parte quasi come se dovesse fare una scelta attentamente ponderata. A quel punto la cameriera si gira verso Raiden, convinta che Mia abbia finito di ordinare, ma la Serpeverde dal canto suo continua senza neanche alzare lo sguardo dalla carta leggermente unta. « Poi, vorrei un bagel al burro e prosciutto, i pancake classici e una fetta di apple pie con panna a parte. » Pausa. « E un succo di frutta. Succo di mela. » Altra pausa mentre pensa ulteriormente a ciò che potrebbe mancare di preciso alla sua nuova vita da sposata. « E il caffè. E sui pancake ci mettiamo i mirtilli. Quindi non classici ma ai mirtilli. Niente zucchero a velo. » Sposata. Cazzo, mi sono sposata. Il solo tentare di cucire il concetto di matrimonio addosso alla sua persona le sembra impensabile. E per questo, non ha neanche il coraggio di guardare in faccia Raiden. Non vorrebbe essere altrove, ma al contempo vorrebbe scappare senza guardarsi indietro, andare ovunque ciò che era appena successo, per una strana congiunzione astrale non esisteva proprio. Ricorda vagamente ciò che è successo prima di essere arrivati alla chiesetta nel Bayou, ma non abbastanza vagamente da non sapere come erano arrivati a quel punto. Si sentiva in colpa, estremamente in colpa, e confusa, e le cose che aveva detto ora le apparivano stupide. Eppure insensate non lo erano del tutto. Mia aveva cercato appigli a cui aggrapparsi sin da quando Raiden le aveva confessato che il suo tempo in Inghilterra era limitato. Forse non lo ha fatto del tutto consapevolmente, ma quella pattina di intrinseco disagio, amarezza e soprattutto fretta l'aveva sempre provata. Era un substrato che si espandeva nel suo animo ogni qual volta lo vedesse. Osservava quel bel ragazzo dal sorriso sorriso mite e il cuore le si stringeva in una morsa smaniosa, come se qualcuno glielo stesse schiacciando di colpo non appena realizzava che loro, Mia e Raiden, erano solo ed esclusivamente di passaggio. Quel mantra se lo era ripetuta centinaia di volte: noi siamo solo di passaggio, è così. Ma nonostante ciò, più se lo ripeteva più lo voleva, più lo voleva, più non riusciva fare a meno di volerlo vedere, scrivergli, parlarci, starci insieme. C'erano giorni in cui, desiderava gettare i libri nella tracolla, uscire dalla classe e raggiungere qualunque aula in cui si trovava solo per chiedergli di scappare, lontano da Hogwarts, lontano da Inverness, lontano dal Giappone. Lontano da qualunque forma di responsabilità stesse cadendo in capo ad entrambi. Anche andare a casa era diventata una forma di fugga; Mia lo aveva portato nell'unico posto in cui sapeva di non venir giudicata, e in cui sapeva che al di là di tutto, nemmeno Raiden sarebbe stato giudicato. Voleva stare con lui, viverlo giorno per giorno senza dover sgattaiolare fuori dal dormitorio Serpeverde, senza dover restare stipati nella stanza di lui e girarsi gli stessi posti che frequentavano di continuo ancora e ancora e ancora. Insomma, sapeva in fondo, Mia, come era arrivata a quel punto, cosa l'avesse spinta a partorire quello stupido piano che aveva convinto entrambi a fare il grande passo, e sapeva che sotto sotto che non era nemmeno così tanto illecito. In quel momento però, di giustificazioni abbastanza valide non ne trovò, e anzi, provò un senso di colpa schiacciante di cui si vergognava enormemente. Il silenzio di Raiden non aiutò; non tentò di spezzarlo, né volle sapere cosa si nascondesse dietro a quella confusione generale che era chiaro provasse. Starà pensando che è colpa mia. Sono stata io convincerlo. Sono stata io a portarlo proprio in quella chiesetta. Se anche questa cosa era inevitabile, viste le nostre condizioni, il posto l'ho comunque scelto io. E ora gli ho pregiudicato il passo più importante di sempre. E sapeva, Mia, che quelle erano cose serie. Una cosa era scappare a Las Vegas e sposarsi sotto il protettorato di Elvis Preasley e un'altra era prestarsi a un rituale vecchio come il mondo. Non aveva la più pallida idea di cosa significasse in termini assoluti; sapeva che fosse reale. La comunione con Raiden e col resto del suo branco l'aveva sentita; si era resa conto sin da quando si era presentata di fronte a quell'antico altare di trovarsi di fronte a un qualcosa di estremamente serio e importante, e in ogni fase di quel momento, le era sembrato che quella fosse la cosa giusta da fare. Stringere la mano di Raiden, non era stato solo un modo per trovare il coraggio necessario per andare fino in fondo. No; in quei momenti, si era sentita più vicina che mai a lui, come se qualunque cosa avesse provato fino a quel momento fosse solo la punta dell'iceberg e quel rituale fosse arrivato appositamente per svelarle tutto ciò che di quell'affetto e quell'amore che provava non aveva ancora capito o di cui non sapeva cosa farsene. Io sono sua e lui è mio. Da questo giorno e per il resto dei miei giorni. Quello era stato lo specifico momento in cui si era sentita investire di una responsabilità che sembrava capire pur non avendogliela mai spiegata nessuno. Pur non avendo confini netti, e nonostante non rivelasse nulla di concreto. Eppure, nel silenzio che si scagliava al tavolo della tavola calda, Mia iniziò a pensare a cose più concrete. E ora che succede? Siamo legalmente sposati? Come funziona? Perché al di là di un anello sul dito e tante lacrime di commozione, il matrimonio era tante altre cose; cose a cui Mia non era stata preparata. Solitamente le persone hanno il tempo di capire, di abituarsi all'idea, di comprendere cosa tutto ciò prevede. Nessuno ci ha chiesto se vogliamo o meno la comunione dei beni. Non ci hanno chiesto se vogliamo vivere insieme e dove. Nessuno ci ha chiesto se vogliamo prestare servizio presso una roccaforte del Credo e quale, se intendiamo vivere nel mondo magico o meno. Non ci hanno chiesto nulla. Ci hanno letteralmente lasciati sposare quasi come se avessimo manifestato un desiderio futile, tipo andare al parco giochi. Ma nonostante tutti quei pensieri e tutte le paranoie del caso, Mia si comportava quasi come se niente fosse successo. A sguardo basso, prese la caraffa di caffè, se ne versò una tazza consistente e iniziò a buttarci dento diverse bustine di zucchero, come se di quelle energie avesse veramente bisogno. Ogni tanto si schiariva la voce, gettava lo sguardo fuori dalla finestra unticcia, e osservava le prime macchine passare lungo l'interstatale. Sembrava avesse tutto sotto controllo, un po' come in qualunque momento in cui tentava di non dare di matto, nonostante non volesse fare altro se non urlare a squarciagola. « Vado un attimo in bagno. » Sgrana appena gli occhi, continuando a fissare la poltiglia nella tazza con un senso di palese smarrimento. Solo quando si alza, lo segue con lo sguardo nell'ambiente, abbassando infine gli occhi sulla propria figura. Si è cambiato, Raiden, e Mia quasi non l'ha notato. Non ha avuto il tempo di soffermarsi su niente; neanche su quel vestitino leggero che aveva addosso. Era di un azzurro tendente al grigio, costellato da una stampa floreale che ritraeva tante piccole margheritine. Lo ha accettato così, senza pensarci, trovandolo semplicemente più adatto dei shorts e la maglietta con cui si era presentata al falò giù al lago. Un tono se lo erano dati, o almeno ci avevano provato, forse perché in fondo, tanto Mia quanto Raiden, un po' ci tenevano, pur avendolo fatto in maniera del tutto inconsapevole e incosciente. Ma è stata davvero incosciente? Lo aveva davvero fatto sull'orlo di una forte ubriacatura, che per inciso sembrava non sussistere nemmeno poi più di tanto? Di scatto il cellulare sul tavolo prese a vibrare. Lo sollevò appena per controllare il numero e lo riabbassò immediatamente, quasi come se fosse stata appena messa di fronte a una scomoda consapevolezza. Nel giro del prossimi dieci minuti tempestata, prima da Gabriel, poi da sua madre e infine persino da Meredith e Olivia. Non è che avesse chiuso effettivamente le comunicazioni; se anche avesse voluto farlo, e le sarebbe piaciuto, non ne sarebbe stata in grado. Continuava a non avere la più pallida idea di come controllare quell'immensa fonte di conoscenza e coscienza collettiva che al branco era stato donato dall'alto. Non le sembrò tuttavia strano che nessuno tentasse di raggiungerla. I suoi non erano persone invasive, e probabilmente capivano che avesse bisogno di tempo per capire come affrontare la questione. O forse non lo sanno ancora. Forse Stacey non ha detto niente. Quante probabilità c'erano che una cosa del genere potesse restare segreta nel branco? Gettò la testa all'indietro, osservando il soffitto giallognolo della tavola calda con un moto di palese esasperazione. Non aveva la più pallida idea di cosa fare o da dove partire. Cosa dico alla mamma? Cosa dico ai miei amici? Cosa dico a Raiden? Come mi comporto? Io non so proprio nulla; sono come un bambino che non sa ancora allacciarsi le cazzo di scarpe. Mi sento così. Non so allacciarmi le scarpe ma di colpo mi mettono in mano uno zainetto, mi gettano su un treno e mi dicono vai. Ma dove? Dove devo andare? Che devo fare? Perché mi ci hanno messo su questo treno in primo luogo? L'ho chiesto io, oppure non c'entro niente? Di scatto il primo giro di ordinazioni arrivò al tavolo, interrompendo quell'inutile scia di pensieri che non portava da nessuna parte, un po' come il treno su cui Mia era certa di essere salita. In quattro e quattro otto, la cameriera la tempestò di piatti, che fece scivolare sul tavolo, prima di augurarle buon appetito. La mora dal canto suo osservò ogni pietanza con un senso di smarrimento. Aveva tanta fame, ma non sapeva cosa scegliere o da dove cominciare. Così, colta da un improvviso attacco di nervosismo, si fiondò su un primo french toast che accompagno con un sorso di succo di frutta, per poi gustarsi qualche boccone di pancakes che non stava nemmeno masticando a dovere, passando poi al bagel e via così, in un via vai che rasentava il ridicolo. Mia si ingozzava come se non avesse visto cibo per giorni e come se, senza neanche respirare tra un morso e un altro, quasi come se prendersi una pausa potesse darle altro tempo per pensare. No basta, non voglio più pensare. Voglio solo mangiare fino a stare male. Ma proprio malissimo. L'autosabotaggio per antonomasia. E continuò imperterrita anche quando Raiden tornò, annuendo di tanto in tanto, quasi come se si stesse gustando il banchetto della vita e non del palese cibo surgelato, fritto per la terza volta di fila. Non provò a dire nulla, né si sforzò a darsi un tono. A quel punto la sua fame non era neanche chimica, bensì puramente nervosa. Affondava la forchetta in ogni boccone tagliato con la stessa decisione con cui si trapasserebbe da parte a parte un nemico. Finché le dita di Raiden non strinsero le proprie. E lì, di colpo, la forchetta di lei si fermò tra le labbra, scivolando all'esterno con improvvisa lentezza; un nodo alla gola le impedì di continuare a ingozzarsi come un cucciolo di dinosauro, portandola a masticare quell'ultimo boccone con estrema lentezza, percependo finalmente la consistenza gommosa dei pancake. Mandar tutto giù divenne estremamente complicato, tant'è che dovette raggiungere il bicchiere di succo di frutta e costringersi a bene un po' per non sputare tutto nel piatto. Da lì, tutto ciò che fece fu cominciare a calmarsi; giocherellò col cibo roteando in una direzione e in un'altra qualche mirtillo palesemente congelato, assaggiò un po' di apple pie, evitando di aggiungerci la pana, e si roteò tra le mani il secondo french toast che non ebbe neanche il coraggio di toccare. Il tutto in silenzio, concentrandosi su quel cibo come se si trattasse di un amico, qualcuno con cui potesse parlare, a cui potesse confidarsi. Era chiaro però che nemmeno il cibo sarebbe stato abbastanza consolatorio in quel momento. « Mia.. » No ecco, non comiamo a parlare. Io non voglio parlare. Voglio starmene qui col mio amico bagel e la mia amica apple pie e sperare che tutto scompaia, così dal nulla. « Ieri sera.. ieri sera ho detto tante cose un po' per aria. » E ne avevano dette sì, tante; alcune probabilmente non se le ricordava nemmeno così tanto bene, ma nonostante ciò alcune non poteva nemmeno definirle "per aria". Non era il momento di dirle. Non era forse neanche il luogo e il modo. Mia, dalla sua, era certa di non aver ponderato le sue parole e decisioni, di averle arricchite con qualche dettagli fantasmagorico; in linea di principio tuttavia, c'era un fondo di verità in ciò che aveva detto. « Però alcune le intendevo davvero. È vero che ti amo. » Istintivamente riprese quel maledetto french toast, azzannandolo spietatamente, sospirando profondamente. « Non dobbiamo giungere ad una conclusione qui ed ora. Ci sta.. essere confusi. Però volevo comunque dirti che a prescindere da ciò che faremo.. io di te mi prenderei cura. Come tuo marito, come tuo ragazzo, come tuo amico.. o anche allontanandomi, se è questo ciò che vorrai. » Azzannò per una seconda volta il toast, masticando nervosamente. Nonostante si senta lo sguardo di lui addosso, Mia si costringe a mantenere il proprio fisso su un punto specifico. Il bicchiere d'acqua che il moro ha di fronte sembra particolarmente interessante in quel momento. « Il titolo non è importante. Io voglio solo.. non lo so, immagino che.. che voglio solo amarti. Qualunque cosa ciò significhi e comporti. » C'è una parte del suo discorso che l'ha colpita. Una su cui la sua mente sembra essersi soffermata più che su tutto il resto. Getta quindi il toast nel piatto e solleva lo sguardo incontrando il suo; ma solo per un istante. La tentazione dura poco, e alla fine, vinta dalla vigliaccheria, torna a soffermarsi su dettagli insignificanti con un'espressione corrucciata. « Ma chi te l'ha chiesto, scusa? » Sbotta di colpo scivolando via dalla presa di lui. « Tu dimmi, chi te l'ha mai chiesto.. » Si morde l'interno delle guance facendosi coraggio. « Chi ti ha mai chiesto - ma tipo in generale eh, da sempre - di allontanarti. » Pausa. « Sta cosa mi ha un po' rotto il cazzo, sai? Oh, manco a dire che ti ho mai chiesto di andartene. Niente, tu ogni volta metti avanti questa cosa di allontanarsi. » Allarga le braccia e sgrana gli occhi incredula. « Se te ne devi andare, togliti dalle palle e basta. Non è che devi chiedermi il permesso. » Di certo non sarò io a darti i pretesti per lavarti la coscienza. « Se lo dici un'altra volta io.. » Deglutì, non sapendo precisamente come portare a termine quella mianaccia minacciosissima. « ..io non ti parlo più. » Sul serio Wallace? Realizzato l'avanzatissimo stadio di infantilità che quelle parole smuovono, le guance della mora si tingono improvvisamente di rosso mentre sbatte il palmo sul tavolo. « Oh e questa è buona! I titoli non sono importanti. » Si tormenta il labbro inferiore, mentre tamburella le dita incapace di dire o fare la cosa giusta. Sembra stia ignorando di proposito l'elefante nella stanza. Mia e Raiden non si erano sposati alla stessa maniera in cui non erano in una relazione. Certo che sono importanti, i titoli. Per te fa la differenza se siamo di passaggi o se ci vediamo, se stiamo insieme o se siamo sposati. E lo fa anche per me; non so ancora in quale misura, ma è diverso. Cazzo, essere sposati è una cosa enorme. Non è una cosa da oggi ci sei, domani non lo so. E io so, che tu dentro una relazione non sei entrato col presupposto di una cosa che ha una data di scadenza, però credo che per me è sempre stato così. Ci ho pensato e ripensato, e in tutto questo vorticare per me la spada di Damocle è sempre rimasta lì: il momento in cui te ne saresti andato. Negli ultimi giorni ho voluto convincermi che potrei bastarti, che io e te potremmo essere felici ovunque, e potremmo farlo scendendo a compromessi, coscienti del fatto che le nostre rispettive famiglie sono lontane. Lontanissime, l'una dall'altra soprattutto. Però per me la probabilità di non bastarti è rimasta. La probabilità che una volta tornato alla tua vita ti rendessi conto di quanto più semplice sarebbe semplicemente trovarti una ragazza che ti capisce in tutto e per tutto per me è rimasta. Non per questo volevo legarti al guinzaglio; questo non riesco a farlo. Se devi scegliermi, io voglio che tu lo faccia a prescindere da tutto, senza costrizioni, senza che sia io a chiederti di restare o di tornare. Posso farti capire che vorrei che rimanessi con me - non importa dove, ma con me - ma tutto il resto deve essere una scelta tua. Chiude gli occhi la mora, e sospira mentre si stringe le braccia al petto. E per un po' non dice assolutamente niente, tempo in cui lentamente solleva lo sguardo nel suo, cercando di comunicargli tutti il dispiacere che prova. Mi dispiace di aver rovinato tutto. Io lo so che è partito tutto da quelle idee folli.
    « Raiden? » Il suo tono di voce sembra essersi quietato, assieme al suo stato d'animo. Si morde il labbro inferiore e corruga la fronte, mentre incrocia le braccia al petto con più convinzione, quasi come se volesse proteggersi da qualcuno o da qualcosa di invisibile. Forse dovrei proteggermi dalla mia stupidità. Sì, è proprio così. « Io.. mi - mi dispiace di aver rovinato tutto. » Deglutisce, prima di arricciare le labbra, allungando una mano di fronte a sé per tentare di fargli capire che aveva bisogno di concludere quel ragionamento. « Cazzo, mi dispiace di averti rovinato questo.. » Questo momento. Il matrimonio. Non so.. mi dispiace di aver fatto le mie solite cose. « ..io.. non volevo.. mancarti di rispetto. » Rimarca quelle parole ricordando specificamente quello che si erano detti diversi giorni prima. Ecco vedi, è per questo che non volevo stare in una relazione. Perché poi mi parte così; mi parte la voglia di sistemare le cose a cazzo di cane, gettando puntualmente la gente nella merda.« Alla fine avevo ragione.. a non fidarmi di me. » Abbassa lo sguardo, Mia, colta da un profondo senso di delusione. « Ieri sera mi è partita la paranoia del giorno in cui saresti stato chiamato.. immagino che volevo avessi qualcosa di stabile anche accanto a me. » Scuote la testa e tira su col naso mentre gli occhi scuri di lei si velano di una patina lucida. « E' stato stupido.. non ero in me.. però la cosa per me filava. » E pur se tirata per i capelli, fila ancora. Io non credo di aver detto cose per aria. Credo solo di aver preso delle decisioni del cazzo. « Però sistemerò tutto, te lo prometto. Troverò un modo per rimettere tutto apposto.. » Viene colta da un'improvvisa foga mentre posa entrambe le mani sulle dita di lui. Vorrebbe dire molto alto ma viene interrotta dall'improvviso squillo del cellulare. Gira il cellulare sul tavolo passandosi una mano tra i capelli. Lascia che squilli finché la chiamata non si interrompe. Ma poi, pochi secondi dopo, una nuova chiamata incalza e a quel punto, consapevole di aver già fatto prendere sufficienti colpi a sua madre decide di rispondere, senza dire niente. « Tesoro dove sei? Mia..? Mia mi senti? » Le si spezza il cuore nel sentir la voce apprensiva di Gillian Wallace. « Stai bene? Sei con Raiden? » « Si ma'.. » Dice alla fine con un filo di voce. Vorrebbe solo sotterrarsi. « ..stiamo al dinner di Skeet qui vicino. » « Non muovetevi. Vengo a prendervi. » « ..no ma', stai tranquilla. Ora torniamo. » E una volta attaccato sospirò affondando il visto tra le mani. « Sta dando di matto. Io.. devo tornare. Ma se non te la senti.. ecco.. non sentirti obbligato. »

    Se non sapesse il preciso percorso mentale che Gillian Wallace aveva compiuto una volta appresa la notizia di un ipotetico matrimonio tra sua figlia e il ragazzo con cui specificamente la minore di casa Wallace aveva ribadito di non avere ancora nulla di concreto o di serio, probabilmente Mia sarebbe stata la prima a non voler tornare a casa. Non disse molto lungo quella camminata, se non cose sparse, tipo ad esempio che a Gillian bisognava lasciarla parlare. Non era una donna irascibile, né le era sembrato che fosse particolarmente arrabbiata. Sembrava piuttosto preoccupata, in ansia. Ecco adesso mi pianta su il dramma con tanto di "dove ho sbagliato". Che era stato più o meno lo sguardo che le aveva propinato non appena aveva capito che Mia non intendeva parlare più di tanto dell'anno in cui era sparita. Che fosse delusa, poteva immaginarselo. La sua bambina si era sposata mentre lei dormiva beatamente nel suo letto nella stanza padronale che un tempo condivideva con suo padre. Attraversato il viale che li separava dalla porta d'entrata, Mia sospirò profondamente, sentendosi addosso una gran tensione. Si entra in scena. Ma una volta entrati, tutto ciò che sentì fu un delizioso profumo di muffin appena sfornati provenire dalla cucina. Gillian era nervosa; quando era nervosa si piazzava davanti ai fornelli. Riusciva a immaginarsela intenta a girare impasti su impasti, concentrandosi su quei movimenti concentrici quasi come se ne andasse della propria vita. Non a caso una volta giunti in cucina, ancora vestiti in pieno stile fuga d'amore, vennero investiti dall'immagine di una Gillian Wallace intenta a versare nelle formine quella che sembrava - a giudicare dal numero di muffin cotti già presenti sull'isola della cucina - la terza o quarta tranche di muffin a cioccolato. Si fermò di colpo pulendosi le mani sul grembiule; abbandonò la ciottola accanto al lavandino e si precipitò ad abbracciare prima Mia e poi Raiden. « Grazie al cielo state bene. » No va beh, sono chiaramente morta. Noi non ci siamo proprio sposati. Noi ci siamo ubriacati così tanto che siamo passati al coma etilico e poi siamo morti. Così sul colpo. Si prende un momento per scandagliare le loro emozioni; un'incursione che avverte molto più invasiva rispetto al comune sentire provato assieme a Raiden. Li osserva, squadrandoli dalla testa ai piedi, prendendoli uno ad uno per le spalle per guardarli attentamente in faccia. « Ma'.. » « Mia.. guardami attentamente. » Compie una leggera pausa, tempo in cui Mia getta uno sguardo allarmato a Raiden, sospirando profondamente. « Sei incinta? » Cristo santo! Siamo a questo punto.. « Siete nei guai? E' successo qualcosa di strano ieri sera? O la sera prima.. mentre eravate nel Quartiere Francese.. » A parte il fatto che ci siamo sposati? « Mia.. tesoro.. se è una delle tue, ti prego.. non lasciarci fuori di nuovo. Se non vuoi parlarne con noi, almeno parlane con Raiden. Torna a vedere uno psicologo ti prego.. » Alzò gli occhi al cielo superandola di colpo, raggiungendo il lavandino per riempirsi un bicchiere d'acqua. La ferisce molto il fatto che stia tornando sempre sulla stessa storia. Ecco, lo vedi? Ogni volta che succede qualcosa, è per forza una delle mie. « Non è una delle mie.. » Asserisce a denti stretti mentre si appoggia al lavandino portandosi il bicchiere alle labbra. « Allora siete nei guai. E' così.. Raiden? » Osserva il moro in cerca di una risposta, prima di allargare le braccia osservandoli entrambi con un'espressione incredula. « Oppure è incinta. » Pausa. « Altrimenti, per quale altra ragione mia figlia dovrebbe aver chiesto un matrimonium in extremis con l'antico rito in gran segreto? » Si morde il labbro inferiore, Mia, abbassando lo sguardo. Io non so neanche cosa ho chiesto. « Avete presente cosa avete fatto ieri sera vero? Lo sapete.. tu lo sai, Mia! » Sono solo storielle. Quelle cose non esistono. Ce le raccontavano da piccoli per farci crescere con questo gran desiderio di sposarci. Noi dovevamo aver voglia di sposarci perché altrimenti il Credo non andava avanti. Ma sono tutte cazzate. « Non si è neanche diplomata, santo cielo! Non sappiamo neanche se si diplomerà! Ma nonostante questo tu la porti di fronte al sacro altare e la sposi. E' solo una bambina, Raiden! » Stringe i pugni Mia, colta da un'improvviso senso di disagio e vergogna. Meredith però non è una bambina. A quanto pare per me si applica un regime speciale. Io sono sempre la deficiente di casa. « E' una cosa per la vita. Non si può disfare. Non si torna indietro. Non avrete una seconda possibilità. » « Ma tutte queste cose, quel vecchio di merda mica ce le ha dette. » E lì Gillian si voltò di scatto nella sua direzione, osservandola con un filo di incredulità. « Se gli viene chiesto non si può sottrarre. » « CAZZO, ERAVAMO UBRIACHI FRADICI! » « NON A SUFFICIENZA EVIDENTEMENTE! » Di fronte all'autorità materna, Mia abbassa lo sguardo nuovamente, inumidendosi le labbra. Non sa cosa dire, né cosa fare. Sa di averla delusa. « Credevo vi avessero presi e foste sotto chissà quale sortilegio. » Ma sortilegio de che. « E invece siete solo due sciocchi! Ed io che pensavo foste qui per manifestare le vostre intenzioni. Che avreste avuto il buon senso di metterci al corrente del fatto che tra un po', quando ti saresti diplomata - Mia - intendevate si insomma.. » Scuote la testa Gillian Wallace. « E invece.. » Pausa. « Ma che fretta c'era? » Già non c'era fretta. A quel punto Mia sospira profondamente innervosita scuotendo la testa. « Sentite ragazzi, io non sono una di quelle persone che si mette di traverso. Ho visto tre dei miei figli sull'altare, e ciascuno di loro ha fatto esattamente ciò che si sentiva. Nessuno di loro ha avuto l'occasione di condividere ciò che avete condiviso voi; io per prima l'ho solo visto accadere una volta. Avrei voluto esserci, avrei voluto che tu, Mia, ti fossi fidata abbastanza di me da dirmelo.. » Incrocia le braccia al petto, Mia. « ..ma non è rilevante. Spero solo che siete certi di ciò che state facendo. Se Matthew ha accettato, ho la certezza matematica che è giusto, altrimenti non sarebbe accaduto. Però.. » « Ma'.. possiamo vedercela un po' tra noi, per piacere? Ci stai facendo una capa quadra con le storielle. » E lì, per un istante, lo sguardo di Gillian Wallace si fa estremamente rituale; osserva entrambi con estrema serietà e sospira. « La Loggia Bianca non è una storiella, Mia, né i vincoli che crea. » Deglutisce a quel punto la mora, scostando lo sguardo di lato. E per quanto non è pronta a sentire il resto della storiella, Gillian Wallace la spiega ad entrambi per filo e per segno, senza perdersi un solo dettaglio. Il rito all'antica è la forma più universale di unione tra i membri del branco. I sacerdoti hanno ricominciato a riscoprirlo con la sua riattivazione. Al pari del saldo legame che unisce i parabatai ai loro lycan, il matrimonio tra membri del branco è destinato a una comunione completa e totalizzante, che allarga i confini della normale comprensione tra i singoli compagni d'armi. Il branco santifica il matrimonio e lo onora; gli rende giustizia e un rispetto immenso. Se il sacerdote lo ritiene opportuno, prediligerà sempre questa forma di unione al rito della religione predominante del luogo in cui lo si celebra. Anche Meredith e Gabriel celebreranno così le loro nozze. A padre Matthew era bastato osservarli per pochi istanti prima di decretare che il rito cristiano non faceva al caso loro. E così, Gillian aveva continuato a descrivere loro tutto ciò che già conoscevano in merito. In pratica ci si affida all'altro per sempre. Non si può disfare, non si può rifare. Postula l'esistenza di un'anima gemella. Ed è legale. Padre Matthew lo farà depositare al pari di qualunque altro atto presso le autorità di dovere. Nessuno chiede come, purché vi sia licenza di farlo, consenso da parte dei due sposi e dei testimoni. Aveva guardato spesso Raiden durante quel lungo excursus, deglutendo di tanto in tanto, sentendosi a tratti sopraffatta da tutta quella molle di informazioni e concetti a tratti metafisici. Conclusasi quella parentesi, Mia attraversa il porticato della casa, dirigendosi silenziosamente verso la dépendance. Cammina a braccia conserte, mentre getta di tanto in tanto uno sguardo fugace nella direzione di lui, quasi come se volesse cogliere di sfuggita le sue reazioni. Una volta al fresco, nella comodità della piccola casetta che li ha ospitati negli ultimi giorni sprofonda sul divano, stringendosi le ginocchia al petto. Il piccolo gattino di Raiden le va incontro, facendo le fusa, strofinando la testa contro la sua gamba. Fa cenno al moro di sedersi accanto a lei, mentre afferra il gattino, mettendoselo sulle gambe. Non ci vuole molto prima che il manto scuro di Ringo si aggiunga al party, saltando a sua volta sul bracciolo del divano. « Posso farti una domanda? » Una sola. Deglutisce Mia, accarezzando dolcemente il pelo del gattino che ha tra le braccia. « Tu ti senti davvero pronto? Intendo.. quando dicevi quelle cose.. prima alla tavola calda.. lo dicevi sul serio? O.. boh.. ti senti in qualche maniera costretto? » Si inumidisce le labbra. « Io.. non so cosa pensare, Raiden. Però.. » E lì prese una lunga boccata d'aria. « ..ti amo. » E credo che una parte di me, vuole la sua cameretta. Vuole questa cameretta. Ci sto bene, qui. « E quella cosa.. che ha detto padre Matthew stamattina.. prendersi cura l'una dell'altro, nella buona e nella cattiva sorte - o una cosa così. Ecco - io lo voglio. »


     
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    « Ma chi te l'ha chiesto, scusa? Tu dimmi, chi te l'ha mai chiesto.. » Deglutì, annuendo mestamente tra sé e sé mentre ritirava piano la mano, facendola scivolare sulla superficie del tavolo fino a raggiungerne il bordo più prossimo a sé. Le labbra di Raiden si stirarono in una linea amara, ma oltre a quello non ci furono altre tracce di sentimento sul suo viso. Onestamente non aveva idea di quale reazione si fosse aspettato di ricevere da lei nel momento in cui aveva deciso di dirle quelle cose. Lo aveva semplicemente fatto, credendo fosse l'unica possibilità al di là della fuga - che ovviamente non era sul piatto, dal suo punto di vista. Eppure lo sapeva che Mia fosse una personalità evitante: lo aveva visto nel suo massimo splendore non meno di qualche giorno prima, quando era venuta alla luce la verità sul suo passato solo ed esclusivamente per uno scivolone incauto del fratello maggiore. Senza contare quanto ci aveva messo per convincerla a prendersi un impegno più serio nella loro dinamica. Era quindi naturale che una parte di Raiden desse quasi per scontato che Mia sarebbe scappata - metaforicamente o no che fosse. Forse quella parte di lui si era persino stupita nel ritrovarla al tavolo dopo essere uscito dal bagno. L'aveva messa in conto, quella possibilità, aspettandosi che la giovane Wallace si sarebbe ritratta da un impegno di simile portata come poteva essere il matrimonio. In fin dei conti aveva senso, alla luce degli eventi che si erano dispiegati nell'ultima settimana. Io penso che tu voglia davvero stare con me. Ne sono convinto, che mi ami sul serio. Però penso anche che tu abbia paura di cosa ciò possa comportare. O forse hai solo paura di te stessa, di rovinare tutto. In realtà non importa di cosa nello specifico hai timore, perché il risultato non cambia. Io vivo nel terrore che un mio qualsiasi passo in avanti, una mia qualsiasi parola, possa essere ciò che va ad innescarti quella paura, portandoti a scappare. E per un momento, lì, a quelle parole, Raiden ebbe la sensazione di averlo appena fatto. « Chi ti ha mai chiesto - ma tipo in generale eh, da sempre - di allontanarti. Sta cosa mi ha un po' rotto il cazzo, sai? Oh, manco a dire che ti ho mai chiesto di andartene. Niente, tu ogni volta metti avanti questa cosa di allontanarsi. Se te ne devi andare, togliti dalle palle e basta. Non è che devi chiedermi il permesso. Se lo dici un'altra volta io.. io non ti parlo più. » In altre circostanze, il giovane Yagami avrebbe trovato divertente quella minaccia un po' infantile, cogliendo probabilmente l'occasione per prenderla un po' in giro in maniera affettuosa e bonaria. Tuttavia in quel momento non aveva granché voglia di ridere e per quanto trovò vagamente ironiche quelle ultime parole, non avvertì alcuna spinta a fare battute a riguardo. Piuttosto sospirò, inumidendosi appena le labbra nel piantare lo sguardo in quello di lei. « Oh e questa è buona! I titoli non sono importanti. » « Però tra le cose che ho messo avanti c'era pure la volontà di rimanere tuo marito. » fece una pausa, calmo, sollevando un sopracciglio con fare interrogativo « Quella non conta? » Perché se dobbiamo puntualizzare, allora puntualizziamo su tutto, non soltanto su quello che ci pare. Scosse piano il capo. « Non ho mai detto di volermene andare, Mia. » concluse quindi, asciutto, senza indugiare ulteriormente su una parentesi ben poco proficua che, dal suo punto di vista, poteva e doveva chiudersi lì. E infatti non insistette oltre, quando tra loro calò il silenzio, riportando piuttosto la propria attenzione al piatto di insalata, che finì senza fretta alcuna. « Raiden? » Il tono più tranquillo di lei lo portò a risollevare lo sguardo sul volto di Mia, senza dire nulla. « Io.. mi - mi dispiace di aver rovinato tutto. » Scosse il capo, scivolando a sedere più vicino al limitare del divano come fosse ansioso di intervenire. E infatti fece per aprire la bocca, ma il cenno di Mia lo distolse dal proposito, lasciandogli intendere che dovesse darle tempo di articolare. Annuì, quindi, sciogliendo un po' di tensione dalle proprie spalle. « Cazzo, mi dispiace di averti rovinato questo.. io.. non volevo.. mancarti di rispetto. » Sgranò gli occhi e sollevò le sopracciglia, stupito da quelle parole che non solo non si aspettava di ricevere, ma a cui non vedeva nemmeno fondamento. Pensi davvero che questa cosa sia colpa tua? O che sia, più in generale, una questione di colpe? « Alla fine avevo ragione.. a non fidarmi di me. Ieri sera mi è partita la paranoia del giorno in cui saresti stato chiamato.. immagino che volevo avessi qualcosa di stabile anche accanto a me. » Istintivamente l'espressione di Raiden assunse una sfumatura più triste, mentre ancora una volta scivolava in avanti sul divanetto, come se sentisse il bisogno di farsi vicino a lei e rassicurarla. « E' stato stupido.. non ero in me.. però la cosa per me filava. Però sistemerò tutto, te lo prometto. Troverò un modo per rimettere tutto apposto.. » Nel trovarsi improvvisamente le mani di Mia sulle proprie, Raiden non ci pensò due volte a chinarsi in avanti per posarvi un bacio, affrettandosi a scuotere il capo quando puntò nuovamente lo sguardo nel suo. « Mia.. io.. non è colpa tua, ok? Non è colpa di nessuno e non hai rovinato niente. » fu tutto ciò che riuscì a dire prima che il suono dei ripetuti squilli provenienti dal telefono di Mia lo tagliassero, distraendolo dal filo di pensieri che voleva condividere con lei. La chiamata tra lei e Gillian fu piuttosto veloce e quando giunse alla sua conclusione, Raiden sapeva già cosa aspettarsi. « Sta dando di matto. Io.. devo tornare. Ma se non te la senti.. ecco.. non sentirti obbligato. » Annuì, alzandosi dal tavolo per passare di fianco al divanetto sul quale era seduta Mia e tenderle la mano, facendole cenno col capo di avviarsi insieme.
    [..] Da quando era arrivato in America, Raiden non si era mai sentito a disagio sotto il tetto degli Wallace. In quel momento, tuttavia, percepì nettamente l'ansia che si prova ad entrare disarmati in territorio nemico, con addosso niente che possa davvero essere utile a proteggersi da eventuali colpi. Una volta varcata la soglia, i movimenti del ragazzo si fecero improvvisamente più cauti e circospetti, e di colpo tutta la sua naturale estroversione venne a mancare in favore di un certo mutismo. Quando Gillian venne loro incontro, Raiden si fermò sul colpo - spalle dritte e mani intrecciate dietro la schiena come quando si trovava di fronte a un superiore al militare - e rimase nell'angolo della stanza, abbastanza vicino da non sembrare strano ma a dovuta e cauta distanza dalla donna. Rimase in silenzio per tutto lo scambio tra madre e figlia, facendo correre lo sguardo dall'una all'altra in base a chi avesse la parola in un dato momento, solo per poi guizzare come colto in flagrante quando venne fatto esplicitamente il suo nome. « Allora siete nei guai. E' così.. Raiden? » Boccheggiò, scuotendo il capo per negare, ma senza saper davvero articolare una risposta. « Oppure è incinta. Altrimenti, per quale altra ragione mia figlia dovrebbe aver chiesto un matrimonium in extremis con l'antico rito in gran segreto? » Scosse nuovamente il capo, azzardandosi a fare un passo in avanti, seppur piccolo. « No in realtà è stato tutto un grosso equivoco. » E fece per continuare ad articolare, ma la donna lo tagliò in fretta. « Avete presente cosa avete fatto ieri sera vero? Lo sapete.. tu lo sai, Mia! » Annuì in mesto silenzio, senza dire nulla, inconsapevole della reale portata di quelle parole. « Non si è neanche diplomata, santo cielo! Non sappiamo neanche se si diplomerà! Ma nonostante questo tu la porti di fronte al sacro altare e la sposi. E' solo una bambina, Raiden! » Un'ondata di vergogna lo investì nel sentire ciò che Gillian aveva da dire, come se lo stesse implicitamente accusando di averla trascinata all'altare per chissà quale ragione losca: un barbaro con assurde concezioni straniere che si era preso una sposa bambina rubandola dalla protezione del nido familiare. E infatti reagì con una certa interdizione, aggrottando la fronte con aria un po' contrita, sebbene il rispetto nei confronti della posizione che ricopriva la donna lo obbligasse a non ribattere troppo aspramente. « Mia si diplomerà e tutto andrà per il meglio. Questo imprevisto non andrà in alcun modo a compromettere il suo percorso. » Fece una pausa, stringendo leggermente le labbra. « Non sono un incivile. Non mi permetterei mai di ostacolare la sua strada personale. » « E' una cosa per la vita. Non si può disfare. Non si torna indietro. Non avrete una seconda possibilità. » « Ma tutte queste cose, quel vecchio di merda mica ce le ha dette. » E come c'era da aspettarsi, la discussione sfociò in un crescendo di toni e preoccupazioni materne. Sospirò, Raiden, comprendendo intimamente in che posizione dovesse trovarsi Gillian Wallace in quel momento. Come altro avrebbe dovuto reagire? Anzi, forse l'ha presa meglio di quanto ci sarebbe stato da aspettarsi. Tuttavia, ciò che la donna spiegò loro in seguito servì quanto meno a Raiden a mettere ulteriormente a contesto il turbamento con cui si stava esprimendo su certi punti specifici. Come ad esempio quello riguardante l'impossibilità di sciogliere un simile vincolo. Il giovane Yagami non era mai stato un retrogrado e personalmente non aveva nulla di contrario a cose quali l'annullamento o il divorzio; tuttavia era pur sempre vero che la sua appartenenza ad una cultura piuttosto tradizionalista lo vedeva comunque in parte reticente al ricorrervi per sé. Lo avrebbe fatto, certo, se questo fosse stato il desiderio di Mia. Tuttavia, dal suo, avrebbe preferito di gran lunga portare avanti l'impegno preso e trovare il modo di farlo funzionare anche a dispetto delle eventuali difficoltà che si sarebbero potute presentare nel percorso. Evidentemente, però, la sua opinione a riguardo non contava poi molto, dato che il rituale appena svolto li rendeva un'entità indissolubile agli occhi del Credo e delle Logge sotto molteplici punti di vista. In sintesi: avrebbero potuto anche divorziarsi a livello civile, ma per quelle realtà sarebbero sempre stati marito e moglie. Volse quindi lo sguardo a Mia, cercando di sondarne le espressioni in silenzio, solo per poi annuire e ringraziare Gillian di averli messi a parte di quelle informazioni. Comprese che probabilmente non era quello il momento migliore per mettersi a parlare più approfonditamente, e che Mia avesse bisogno di un po' di tregua per digerire meglio il tutto. E forse ne ho bisogno pure io. Così, data la propria parola alla signora Wallace sul fatto che ne avrebbero parlato meglio e che tutto si sarebbe aggiustato nel tempo che serviva a fargli incassare quel colpo, Raiden si dileguò assieme a Mia verso la dependance. Una volta soli, si lasciò cadere con un sospiro sul divano, facendosi spazio vicino alla Serpeverde e ai due gatti che presto si unirono loro. « Posso farti una domanda? » Volse lo sguardo alla mora, in silenzio, vagamente timoroso di sapere cosa le passasse davvero per la testa. Annuì, tuttavia, invitandola con un cenno del capo a continuare. « Tu ti senti davvero pronto? Intendo.. quando dicevi quelle cose.. prima alla tavola calda.. lo dicevi sul serio? O.. boh.. ti senti in qualche maniera costretto? Io.. non so cosa pensare, Raiden. Però.. ti amo. » Nel sentirselo dire, fu inevitabile lo stagliarsi di un sorriso tenero sulle labbra di Raiden, i cuoi occhi si riempirono di un amorevole sentimento mentre le sgusciava più vicino. Appoggiò delicatamente una mano sul ginocchio di lei, carezzandolo leggero col polpastrello del pollice. « E quella cosa.. che ha detto padre Matthew stamattina.. prendersi cura l'una dell'altro, nella buona e nella cattiva sorte - o una cosa così. Ecco - io lo voglio. » Il giovane Yagami prese un profondo respiro, appoggiando la nuca sulla testiera del divano prima di voltare il capo quanto bastava a poterla guardare. Rimase in silenzio per qualche istante, sorridendole teneramente prima di mormorare un semplice. « Vieni qua. » Pose una mano sull'incavo del ginocchio di Mia, aiutandola delicatamente a sistemarsi con le gambe sopra le proprie prima di avvolgerle le spalle con un braccio e appoggiare il mento sul suo capo nel cullarsela al petto. Per qualche istante non disse nulla, limitandosi a quell'abbraccio che sperava esserle in qualche modo rassicurante. « Certo che le dicevo sul serio, quelle cose. » disse ad un certo punto, a bassa voce, ma con tono sicuro, strizzandola appena come a voler rafforzare il concetto, che sottolineò ulteriormente con un bacio leggero tra i suoi capelli. « E per quanto inaspettata e rocambolesca sia stata questa svolta.. io comunque mi sento pronto. » Sospirò. « Diciamo che questa cosa è arrivata un po' prima del previsto, però non posso dire che mi abbia colto del tutto impreparato. Insomma.. te ne ho parlato, quindi sai come mi sento a riguardo. » Io al matrimonio mi ci sono preparato per un sacco di tempo. E sì, nei miei piani le cose sarebbero dovute andare diversamente e prendersi più tempo, però è anche vero che di piani scombinati ormai un po' me ne intendo. Dovrò solo riconsiderare un po' di passi nella mia quotidianità pratica. « Di tutti gli annessi e connessi.. » si strinse nelle spalle « ..ne verremo a capo strada facendo. » Sospirò, posandole un altro bacio tra i capelli. « Per ora basta questo: sapere che ci amiamo e che possiamo contare l'uno sull'altra. » Rimase dunque in silenzio per qualche altro istante, lasciando che quelle parole si sedimentassero prima di posare una mano sul mento di lei per alzarglielo quanto bastava a far incrociare i loro sguardi. E io ti amo davvero, Mia. Lo vedi. Ne sono certo, che lo vedi. È inequivocabile e nemmeno tu saresti capace di mentire a te stessa a riguardo. Sorrise teneramente, avvicinando il volto a quello di lei per posarle un bacio sulle labbra nel carezzarle il mento col pollice. « Farò del mio meglio per non fartene pentire.. e tra un anno da questo giorno, spero che guarderai indietro a ciò che è successo come a qualcosa che ti ha resa soltanto felice. » Ecco, se ho un desiderio o un obiettivo di cui sono convinto, è questo. Nulla è andato come ci aspettavamo, è vero, ma ciò non significa che sia necessariamente un male. Io non voglio che tu finisca per rimpiangere questa scelta. Voglio che tu, con me, ti senta sempre a casa.


     
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