Books and cleverness

M. C.

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    I am a lioness, I will not cringe for them.


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    Si stavano rivelando giornate particolari quelle di aprile, per la minore di casa Watson. Giornate difficili da decifrare, da fissare in un'idea chiara e precisa, da confinare in un sentimento definito e proprio durante il suo penultimo anno al castello, proprio quando si avvicinavano gli esami di fine anno ed Alice decideva, volontariamente (sia chiaro, no pressure at all) di premere sull'acceleratore. Del resto, la Grifoncina era abituata da anni ad impostare la marcia più sgommante quando l'inverno lasciava spazio alla primavera, il periodo di lezioni volgeva al suo termine ed insinuava lentamente la nostalgia nei cuori dei giovani, i quali, durante quegli appuntamenti annuali, avevano consumato pezzi delle loro giovani vite, ora ingessati nei loro ricordi. Momenti belli, unici. E per cosa? Esami. Nausea. Emicranie. Crisi isteriche. Al suo quinto anno, Alice aveva dovuto sconfiggere un'ansia demoniaca e tempestosa nell'ottica dei G.U.F.O., che in un secondo momento aveva scoperto aver superato con voti eccellenti, strabilianti persino per le sue aspettative. "Un grande risultato per una Grifondoro", le aveva detto il suo patrigno, stringendole la mano con evidente imbarazzo da ambedue le parti; "gran ottimo lavoro" aveva detto invece Percy, senza aggiungere altro, con uno di quei sorrisetti compiaciuti e più vicini che mai a mostrare un reale sentimento di orgoglio, verso l'ultima arrivata di casa. Lei, che invero si sentiva sempre fuori posto, che poteva finalmente chiamare con le lacrime agli occhi quel castello gigantesco in Finlandia, fuori dalla sua portata, casa, non si aspettava del resto nulla di più di quello che in qualche modo aveva ottenuto e si faceva anche andare bene quei nuovi genitori, pretenziosi ed esigenti, che avevano cresciuto Percy come una macchina da guerra intellettuale. Ma anche prima del lockdown, anche prima di scoprire che i gemelli Watson fossero legati a lei in maniera indissolubile, Alice aveva da sempre stemperato la tensione che le generava ogni situazione nel corso della sua breve esistenza... studiando, leggendo, dedicandosi ad un buon libro ed al nutrimento di mente ed anima; così era riuscita a sopravvivere ai primi duri, snervanti e provanti anni all'orfanotrofio di Londra. Prima di Hogwarts, di Nana, di Bart e della sua famiglia. E quel modo di fare era diventato il suo mondo, il suo rifugio sicuro, le pagine erano l'unica certezza quando tutto intorno a lei sarebbe crollato: ci sarebbe stata lei, sola con sé stessa che, felina, se ne andava in giro a scovare dell'altro. Senza contare che la Biblioteca di Hogwarts era anche il luogo che Alice aveva frequentato di più, che conosceva meglio, che avrebbe saputo girare anche bendata da angolo ad angolo, considerando che erano lei e sempre le stesse persone ad incrociarsi negli orari più improbabili. Negli ultimi mesi poi, dopo la riunione tutt'altro che banale con la Branwell nell'ufficio dell'insegnante ad inizio anno, si era data all'approfondimento dell'arte di sua competenza, a cui prima aveva sempre guardato con dubbiosità: aveva letto quasi tutti i libri a disposizione sull'argomento, così da poter anche scrivere i suoi articoli sull'astrologia grazie ai tomi che menzionavano anche quella. Poi con i mesi lo aveva fatto sempre meno, un po' perché la Watson aveva anche smesso di scrivere sul The Doxy, ma soprattutto per non scoprire o capire cose che era meglio non capire. Meglio per lei, meglio per tutti - pensava: se la professoressa Branwell pensava che avesse un dono, meglio lasciarglielo credere senza mettersi in mezzo, ecco! Non c'erano grandi pericoli all'orizzonte, sì, se Alice non aveva più visioni nel bel mezzo della giornata come prima, ma solo incubi che non la facevano dormire di notte. Poche ore notturne erano sacrificabili, per lei, forse. Aveva anche approfittato del diverbio con Bart per recarsi nell'unico luogo in cui il Serpeverde metteva i piedi solo se strettamente necessario e, nell'eventualità in cui o Crocuh o Paciock si palesavano in biblioteca, Stormie, l'husky ramato compagno della Watson, trovava dei segnali canini per avvertirla - stendendosi a terra, tipo - e la Watson si dileguava attraverso qualche passaggio sotterraneo, una volta addirittura rimanendo bloccata per mezz'ora tra l'area comune ed il reparto proibito. Ed era certa di averlo visto fare anche a loro, qualche volta, senza l'ausilio di Stormie in particolare: dileguarsi non appena lei non metteva piede nel suo luogo sacro. Sì perché, in effetti, la biblioteca era da sempre, oltre che un luogo familiare, un territorio solenne per Alice e, anche se aveva dovuto fronteggiare altre situazioni più urgenti nell'ultimo periodo, dopo anni aveva anche stabilito quale fosse il suo posto, che quasi mai nessuno occupava (perché quasi mai nessuno arrivata prima di lei). Un angolino proprio di fronte al reparto sulla Divinazione, illuminato a metà; quel diciassette aprile, lo aveva letteralmente agguantato alle prime ore del pomeriggio. Non aveva lezione né chissà quale voglia di starsene in camera e parlare di argomenti elettrici con le sue compagne, né di salire su una scopa: tanto valeva riprendere confidenza con la Divinazione. Non è che la Branwell ti promuove perché sei tu. In quei giorni di primavera fredda, inoltre, all'interno delle mura di pietra si respirava un'aria ovattata, placida, come se le informazioni da poco risalite a galla volessero tornare a sprofondare negli strazianti ricordi di cui erano permeate: sopra le loro teste, sotto i loro piedi. Sotto le scarpe nere stringate di Alice, sotto l'ordinata divisa nera, con lo stemma dei Grifondoro appuntato, mentre con un occhio verde faceva finta di leggere un tomo già letto in precedenza e con l'altro fissava un Corvonero che se ne stava da mezz'ora davanti quello scaffale a sfogliare quel librone su cui Alice aspettava di mettere le mani dal giorno prima. Per un'abitudinaria come lei, vedere quel luogo particolarmente affollato soltanto in vista degli esami era scocciante, ed in casi come quello persino snervante: si sentiva, in virtù chissà poi di cosa, in diritto ad una precedenza che non le spettava davvero. Il giorno prima la Grifondoro era arrivata in biblioteca soltanto al termine della giornata, ma quel diciassette si stava rivelando un susseguirsi di sfighe senza pari, intellettualmente parlando. Quel ragazzo era la terza persona che la anticipava nel leggere il libro che le interessava ed Alice, come una bambina smaniosa di non perdere il suo prezioso tempo, aveva perciò anche smesso di studiare davvero, deconcentrandosi continuamente in attesa che sgombrassero l'area. Quando il Corvonero, totalmente incurante di aver contribuito al susseguirsi di sguardi territoriali ed attese infinite da lui generate, voltò il capo altrove e richiuse la copertina del libro, Alice si alzò in piedi di scatto, precipitandosi sul luogo del misfatto. Per poco non inciampò, andando addosso ad un'altra divisa blu-argento: la più alta tra loro, quella di riferimento. Miracolosamente, riuscì a non sfracellarsi su Stormie, che fedelissima l'aveva seguita pensando che si trattasse di un gioco. Divertentissimo, eh?
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    « Ciao Maeve, scusa... » disse Alice, con un mezzo sorriso sincero ma frettoloso rivolto alla rossa, riordinandosi nella sua divisa che si era un po' storta nel quasi-urto. Forse era stata l'austerità stessa che le trasmetteva la figura della rossa, a spingerla a trovare in un nano secondo la forza fisica di non cedere all'inevitabile. « Non voglio essere prepotente, è che... aspettavo si liberasse da ore. Sono venuta anche ieri. Uh? Sì, quello. » aggrottò le sopracciglia indicando il libro, più seria del dovuto - che ne poteva sapere la Cousland?! Fissò la copertina "Un viaggio attraverso Divinazione e Astronomia" stretta tra le mani della Caposcuola Corvonero, Alice, prima di risvegliarsi dall'incanto e dal desiderio ardente, suscitato già solo dall'odore di quel vecchio e grande colorato tomo impolverato. « Come stai? » Chiese poi, come d'un tratto mettendo a fuoco bene chi avesse davanti, appoggiandosi con un fianco esile al pezzo di muro libero, tra uno scaffale e l'altro. Erano le prime ore del pomeriggio, l'ora più calda della giornata e la biblioteca si stava a man mano riempiendo, facendo avvertire anche loro, dietro l'enormità mastodontica dello scaffale sulla Divinazione, oltre le loro teste, urla e schiamazzi di vario genere. Scaffali che almeno coprivano loro la visuale da personalità per Alice molto chiare, le quali dividevano loro simbolicamente come quel muro di scaffali, come un immaginario muro di Berlino. « Mio fratello mi ha detto che gli sei capitata tu per il BOA... come procede? Cos'altro hai scelto oltre Magisprudenza? » domandò alla ragazza, guardandola nei grandi occhi verdi, simili e diversi dai propri. Stesso colore. Un altro mondo. Mentre ricordava di aver speso parole positive su di lei con il fratellastro e senza che la Cousland ne fosse a conoscenza, senza voler nulla in cambio e solo in virtù della sua onestà intellettuale, Alice cercò di liberare i suoi sentimenti contrastanti verso di lei da tutto ciò che legava necessariamente lei a Nana. Sono amiche, non gemelle siamesi. Sicuramente Maeve avrà un pensiero proprio sulla questione. Peccato che non avessero mai avuto modo di parlarne a quattr'occhi, come quel diciassette aprile, in cui stava procedendo tutto in maniera più stravagante di com'era iniziata. « Senti.. va bene, prendilo tu. Non c'è problema... Tu hai i M.A.G.O., hai un'urgenza diversa... Come procede la preparazione, a proposito? È tosta come ti aspettavi? » No perché io ho solo gli esami di passaggio ed imbruttisco una Caposcuola per un tomo di Divinazione.


    Edited by watson - 23/4/2021, 10:48
     
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    “ Glamis thou art, and Cawdor; and shalt be
    What thou art promised: yet do I fear thy nature;
    It is too full o' the milk of human kindness
    To catch the nearest way: thou wouldst be great;
    Art not without ambition, but without
    The illness should attend it: what thou wouldst highly,
    That wouldst thou holily; wouldst not play false,
    And yet wouldst wrongly win: thou'ldst have, great Glamis,
    That which cries 'Thus thou must do, if thou have it;
    And that which rather thou dost fear to do
    Than wishest should be undone.' Hie thee hither,
    That I may pour my spirits in thine ear;
    And chastise with the valour of my tongue
    All that impedes thee from the golden round,
    Which fate and metaphysical aid doth seem
    To have thee crown'd withal. ”

    ― William Shakespeare, Macbeth

    Maeve chiuse il libro con un suono sommesso. Alzò gli occhi dalla copertina rilegata in pelle, della prima edizione quasi introvabile della sua opera preferita, osservando per un attimo il cielo attraverso la vetrata al suo fianco. Il sole aveva iniziato a scivolare in basso, dietro un picco della lontana catena montuosa, ammorbidendo e tinteggiando dei colori tiepidi del pomeriggio l'intero orizzonte. Era un venerdì come altri, le giornate avevano iniziato ad allungarsi e scaldarsi, animando ancor di più gli spiriti dei ragazzini del Castello; la giovane Cousland, ritrovatasi sola con un'ora di vuoto fra gli impegni, si era tuttavia rinchiusa in uno dei pochi posti che continuava a mantenersi un minimo dimenticato dalla confusione. La Biblioteca. In quei sette anni passati fra le mura di Hogwarts, la Corvonero aveva trovato il suo antro occultato vicino una piccola finestra sulla parete di fondo, fra gli scaffali alti fino al soffitto, gli stretti corridoi contenenti un incalcolabile numero di volumi antichi e la quiete che - generalmente - avrebbe dovuto regnarci. Non sapeva se, nel corso del tempo, i più avessero smesso di avvicinarla in quella postazione appartata e solitaria per l'aura di intransigenza che l'attorniava, o semplicemente perché lì infondo non ci arrivasse pressoché anima viva. Non le interessava granché, considerato il motivo principale per cui occupava quel posto: concentrarsi nello studio senza distrazioni, lasciando fuori da quell'ambiente tutto il resto. Anche se, ritrovarsi a leggere Shakespeare, non aveva un vero e proprio nesso con i compiti da svolgere e gli esami. Per lei tuttavia, c'era eccome una motivazione plausibile, per perdersi ancora una volta in quella specifica tragedia shakespeariana. A differenza della maggior parte delle sue coetanee, che si ritrovavano a sognare ad occhi aperti con quella loro tipica patina d'innocenza ed immaturità, immaginando di vestire i panni di Giulietta o una Desdemona, lei si era sempre rispecchiata in tutt'altro personaggio. Lady Macbeth. Ambiziosa e persuasiva, alimentata dalla sete di potere e la smania di grandezza, ma anche segretamente fragile ed intimamente tormentata. Se si era ritrovata a rileggerlo nel primo vero momento di solitudine, la colpa era da attribuire soprattutto a Percival Watson che, definendola avventata e dall'indole alla Robin Hood, era riuscito a pungerla sul vivo mescolando le carte. Non ne era rimasta urtata nella suscettibilità - era troppo sicura di sé per quello - tuttalpiù il tutor l'aveva confusa, dandole nuovi punti di vista su cui riflettere, a tal punto da farla ritrovare perfino dopo giorni l'incontro ancora intenta ad interrogarsi su ciò che valesse di più per lei nella carriera tortuosa che li aspettava. Il punto era sempre e solo uno con la piccola Cousland che, vittima del suo innegabile egocentrismo, essenzialmente voleva soltanto ottenere tutto ciò che desiderava. Ed era sempre più convinta di poterlo ottenere: la fama, dei traguardi che l'avrebbero portata verso la vetta e la facoltà di avere un reale potere decisionale nel futuro; al tempo stesso, era convinta di poter continuare a seguire anche le sue ideologie morali - almeno in parte, fin troppo consapevole nonostante i suoi diciassette anni, di quanti espedienti, vie di mezzo e compromessi fosse fatto quel mondo. Da quel che aveva capito, per quelli come Watson invece, una cosa sembrava ancora escludere l'altra. Per fare la storia, bisogna stare dalla parte dei vincenti è vero. Ed è quello che voglio io. L'ho sempre voluto, a discapito dei giudizi e le opinioni degli altri. La sfida però, sta anche nel non perdere di vista chi sei... e soprattutto capire quanti, pezzi di te, sei disposta a perdere durante la scalata Maevey. Col tempo, Maeve aveva iniziato ad allontanarsi gradualmente dagli insegnamenti dei Cousland e la calcolata tendenza dei familiari a saper mostrare una determinata facciata in base al contesto, replicando con ciò che le persone avrebbero voluto sentirsi dire per non esporsi troppo. A livello emotivo - se non con una singola eccezione, individuo al quale aveva permesso di avvicinarsi ben oltre il suo cuore - per lei funzionava ancora così. Non si esponeva, concedendo piccoli frammenti di ciò che era, perfino con i suoi amici più stretti e i consanguinei. In campo mediatico invece, era completamente l'opposto. Sebbene il suo fosse un approccio naturale e una capacità innata, nascondeva anche un che di strategico: doveva brillare per le sue idee, ideologie e aspirazioni; per la carriera che si era prefissata, la gente doveva essere coinvolta da Lei, abbagliata dall’autorità con la quale voleva trascinare le folle verso degli obiettivi che potevano apparire comuni, ma che sostanzialmente rispecchiavano soprattutto i cambiamenti radicali che Lei voleva raggiungere in primis per se stessa... e forse, grazie alla passione con la quale aveva iniziato a far propaganda, anche gli altri avevano iniziato a vederla per ciò che non era. Non fino in fondo. Maeve voleva essere una leader capace e giusta sì, spinta da buoni ideali e una visione politica condivisibile considerato il periodo di cambiamento nel mondo, ma tutto ciò che faceva in merito nascondeva anche un'ampia dose di sano opportunismo. Sotto molti aspetti, era un comportamento interessato, il suo - e poco importava, che ci credesse comunque fermamente nelle campagne e le attività sociali che seguiva. Quasi ogni cosa era un mezzo per arrivare dove voleva. Tutto ciò, nel suo intimo, la portava ad auto-descriversi come egoista ed individualista. Robin Hood lo faceva per se stesso? Ne dubito. Ed ecco spiegato il motivo per il quale si sentiva molto più simile ad una Lady Macbeth, ancora acerba senza ombra di dubbio, ma sicuramente intenzionata a raggiungere i propri obiettivi. Stesso fattore che, di venerdì pomeriggio, l'aveva spinta quindi a rileggere quei passaggi del Macbeth che conosceva a memoria, ma che continuavano ad ispirarla nonostante il tragico epilogo. L'ispiravano ed ammonivano sugli errori da non compiere allo stesso tempo. Anche perché, non voglio di certo farla la fine della coppia. Immobile al suo posto, chiuse gli occhi e inspirò l'odore dei vecchi libri, sbuffando subito dopo per il vociare persistente e gli schiamazzi che purtroppo avevano infestato anche il terzo piano - superando addirittura la musica che le risuonava nelle orecchie, tramite le cuffiette che aveva infilato per estraniarsi. In quegli ultimi tempi, tutto procedeva senza troppi intoppi. O almeno, se teniamo fuori dalla storia gli arresti sospetti e i complotti; un Governo che dovrebbe agire alla luce del sole, ma sembra l'opposto nonostante i primi cambiamenti positivi; la Loggia Nera che serpeggia alle nostre spalle; gli incubi che non mi lasciano dormire, insieme alle minacce della voce dell'Altra e la paura di perdere tutto. Rettificando: quel giorno, tutto era andato bene. Aveva iniziato a studiare alcuni dei programmi di Magisprudenza, portandosi avanti da persona troppo diligente qual era; era riuscita a passare più di un'oretta appartata da sola con Derek, senza nessuna interruzione esterna; aveva superato brillantemente un'interrogazione di Babbanologia con la nuova docente; gli altri Caposcuola ed i prefetti non l'avevano stressata con idiozie più del voluto. Nonostante tutta quella apparente e forzata calma piatta, nonostante assumesse spesso un atteggiamento ottimistico, una piccola parte della Corvonero sentiva come se una nube oscura incombesse ancora su tutti loro... E su di lei. Per di più, aveva il sentore di trovarsi fra una perenne sensazione di fastidio inclassificabile, ed il sentore che l'assillava quando dimenticava qualcosa di importante. Il tutto pareva riflettersi sul suo umore, cambio di stato d'animo che l'aveva colta proprio qualche ora prima, quando a Divinazione le era stata affibbiata una Tassorosso come compagna per ripassare un punto difficoltoso di Cartomanzia. Fra un capitolo e l'altro, la ragazza dei Tassi si era ostinata nel volerle leggere i Tarocchi, dapprima sicurissima d'essere portata ad un livello inimmaginabile, dopodiché non capendoci niente neanche lei del senso della lettura. tumblr_inline_nqtizzEmWp1rkaper_500 Nel tentativo di scacciare quel piccolo fastidio legato alla mancata interpretazione delle carte che aveva pescato, la rossa si alzò decisa a mettere un punto a quella storia. Più per curiosità, che per reale necessità. Le servivano un paio di tomi in particolare, per aiutarsi. Possedeva una memoria straordinaria, ma non infallibile a tal punto da farle ricordare ogni dettaglio ed associazione di una materia così vasta come Divinazione, soprattutto in quel periodo pieno. Si diresse nel punto dell'immensa Biblioteca che conosceva a memoria, dove avrebbe trovato la sezione opportuna, scontrandosi quasi con un suo concasato al quale lanciò soltanto un'occhiata apatica. Arricciò il nasino, dopo quel passaggio, infastidita dalla scia di troppa colonia che il giovane si lasciò dietro. Prese quindi il suo posto dinanzi alla libreria, passando con le dita sui vari titoli dei volumi in ordine, veloce e rapida. Eccoti qua. Ed uno! Trovò il primo libro in pochi istanti, tirandolo fuori dalla mensola in legno e poggiandoselo in grembo, con l'intenzione di tornare al suo posto dopo aver trovato il secondo lì vicino... l'attimo dopo venne quasi investita da una piccola figura bruna. « Ciao Maeve, scusa... » Indietreggiò di un passo, barcollando appena ed incrociando lo sguardo di Alice Watson mentre si sfilava le cuffie, riemergendo dal mondo ovattato della musica. Non conosceva molto, della Grifondoro. Tutto ciò che sapeva di lei, era un insieme di informazioni ottenute da Domiziana e Maxime. Non aveva neanche ficcato il naso più del dovuto, ma non serviva un genio per intuire che fra quelle tre non scorresse buon sangue. Per gelosia? Aveva letto anche alcuni suoi articoli, sui quali preferiva non professarsi. Oltre ad essersela ritrovata contro in qualche dibattito del club di simulazioni. Per il resto, come per chiunque altro di cui non conosceva nulla, Alice le era indifferente. « Tranquilla, non preoccuparti. » Replicò la rossa in tono blando, senza una particolare inflessione nella voce. Fece poi per voltarsi, tornando nella direzione dalla quale era giunta, lanciando una rapida occhiata perplessa al cane che la Watson si portava dietro - presenza sulla quale evitò di puntualizzare, se chi di dovere in Biblioteca l'aveva permesso. « Non voglio essere prepotente, è che... aspettavo si liberasse da ore. Sono venuta anche ieri. Uh? Sì, quello. » Arrestò i movimenti, l'attimo prima di girarsi, abbassando gli occhi chiari ed ombrosi in direzione del libro che teneva stretto contro il corpo. Non replicò subito, scrutando l'altra ragazza con quel suo sguardo penetrante che non si sapeva mai cosa celasse. La maggior parte delle volte, semplicemente studiava chi aveva di fronte, quasi a carpirne informazioni e dettagli da ogni movenza ed espressione. « Ti serve per qualcosa di importante? » Spostando il peso su una gamba, si soffermò ancora per qualche istante in prossimità della bruna, inclinando leggermente il viso. Se ti serve per studiare o ripassare qualche lezione, okay. Sarà più utile a te, al momento. Alice però si accavallò alla sua richiesta, facendole corrugare impercettibilmente le sopracciglia. « Come stai? » Magari è solo gentilezza... Ma se Alice Watson mi chiede come sto, o non sono più la regina dell'imperscrutabilità, o qualcosa nel mondo sta andando storto. Molto più probabile la seconda. « Sto bene, grazie. È un periodo un po' pieno. Sai, fra i M.A.G.O. e tutto il resto... » Si strinse nelle spalle, abbozzando un piccolo sorriso di circostanza, omettendo quella che sarebbe stata la reale risposta ad una domanda del genere. Dubito tu voglia sapere davvero come sto, neanche mi conosci. « Mio fratello mi ha detto che gli sei capitata tu per il BOA... come procede? Cos'altro hai scelto oltre Magisprudenza? » Soltanto a quel punto della discussione, Alice riuscì a conquistare un minimo dell'attenzione della Cousland. Le coincidenze, eh? Era giunta in biblioteca soprattutto per via di Watson e, per fatalità, si ritrovava a scambiare più di due parole proprio con sua sorella come mai accaduto prima. Se credessi a queste cose, lo chiamerei destino. « Dal mio punto di vista, va alla grande. Percival è un ottimo tutor, mi piace l'approccio che ha assunto sin dall'inizio. È un tipo in gamba, da quel che ho avuto modo di constatare. » Ed anche enigmatico. Non ci fu traccia di ironia od adulazione servile nelle sue parole. Continuò a risponderle, con pura e semplice schiettezza: non le serviva ricoprire il ruolo da ruffiana, per conquistarsi il favore di Watson. Non mi serve neanche, il favore di Watson. Non mi serve il favore di nessuno. Era in ogni caso certissima che, se avesse provato a carpire informazioni dalla Grinfondoro, sarebbe riuscita ad ottenere ciò che Percy le aveva rivelato senza troppi sforzi. Ma a quel punto, non sarebbe più stimolante ed intellettualmente corretto. « Anche tu hai preso Magisprudenza, se non sbaglio. E Difesa contro le Arti Oscure, giusto? Chi ti è capitato? Io non ho una seconda scelta. So già cosa voglio fare fuori da Hogwarts. » Il Ministero. La gavetta come Magiavvocato, per arrivare infine alla Confederazione Internazionale dei Maghi. Certo, le sarebbe andato bene anche il Wizengamot... ma se doveva aspirare al massimo, era all'organo governativo che sovrintendeva ai vari consigli e ai ministeri individuali che voleva giungere. E se non è ambizione e smania di potere questo... Anche se Caél continuava a stuzzicarla sulla sua dote negli affari e la possibilità d'iscriversi a Ricerca e Sviluppo, Maeve era troppo ben focalizzata sul suo avvenire, per avere ripensamenti com'era successo ad una Domiziana. Lei era nata, per quello. E che la famiglia approvasse fermamente quel cammino, era comunque irrilevante. Avrebbe sempre e solo preso da sé, le proprie decisioni ed aveva già iniziato a spianarsi la strada. « Senti.. va bene, prendilo tu. Non c'è problema... Tu hai i M.A.G.O., hai un'urgenza diversa... Come procede la preparazione, a proposito? È tosta come ti aspettavi? » Fece una pausa, come indecisa per la prima volta in quella breve chiacchierata, su cosa fosse opportuno dire o fare in merito a quel volume. Ed anche se non voglio darmi da sola della brillante egomaniaca, è effettivamente ciò che posso sembrare. « In tutto onestà ho già superato la maggior parte dei programmi scolastici e sono già relativamente pronta per i M.A.G.O. Anzi, ho iniziato ad approcciarmi ai primi temi del programma collegiale. Quello sì, è molto più tosto... e di conseguenza interessante. » Anziché tagliare corto, Maeve si lasciò andare ad una risposta meno concisa stavolta, abbassando di poco la voce per non infastidire gli altri studenti al di là del massiccio scaffale. Infilandosi le cuffiette senza fili in una tasca della gonna, non staccò gli occhi smeraldini dalla bruna, schiudendo le labbra carnose per aggiungere qualcos'altro... prima di venir colta da un'improvvisa illuminazione. « Tu sei brava in Divinazione. » Affermò rivolgendole un'occhiata più interessata, con quella che avrebbe dovuto risuonare come una domanda, ma mormorò con la stessa decisione di un'asserzione vera e propria. D'altronde era risaputo: ogni professore aveva i propri pupilli... e la Branwell non ne faceva eccezione, con la sua preferenza evidente per la Watson. Fin quanto, sei brava però? « Te la cavi anche con Cartomanzia e l'interpretazione dei Tarocchi? » Chiese con una studiata lentezza, che fece apparire quella richiesta quasi come una sfida. Senza smettere di scrutarla, sollevò il libro. « Puoi prenderlo tu, se sai darmi una lettura precisa e l'abbinamento per una stesura eseguita col metodo a cinque carte. » Lasciando il tomo incriminato sullo scaffale al loro fianco, incrociò le braccia sotto il seno e si poggiò con una spalla contro il muro opposto. « Imperatrice come prima carta. Seguita dal Sole, le Stelle... il Matto. E la Morte. Tutte dritte. » La rossa distese un sorriso enigmatico, non rivelando più del dovuto né tantomeno che quelle carte pescate fossero sue, inarcando un sopracciglio in attesa. Singolarmente, sapeva a grandi linee il significato d'ogni Arcano Maggiore che aveva tirato fuori dal mazzo alla cieca; diventava più complesso trovare la giusta lettura fra la miriade di abbinamenti possibili, senza un vero e proprio dono per la materia. Per una dotata però, non dovrebbe essere un problema, no? Stupiscimi, Watson. E fa' che non sia una predizione orribile. In questo caso, capirei perché Jenna non ha voluto dirmelo, quella codarda.

     
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