where somebody waits for me

Ava.

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    Nara [Kansai]

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    Una promessa, è pur sempre una promessa e, da tale, è necessario onorarla con ogni mezzo a disposizione. In quel caso, per la giovane, la parola data, però, si avvicinava più ad una costrizione bella e buona ma, nonostante ciò, il suo modo di essere l’avrebbe portata a presentarsi a quella specie di appuntamento, imposto da colei che, ancora, non era riuscita a decifrare del tutto. Il suo sguardo enigmatico, dopo anni, riusciva ancora a farle provare quel naturale imbarazzo provato in presenza di un qualsiasi estraneo. Una sensazione fuori dal comune, considerando il ruolo di chi, dopo pochi minuti, avrebbe fatto la sua entrata in quel luogo, sedendosi accanto a lei, fingendo che la situazione fosse la più normale al mondo. Chiamarla ipocrisia? No. Era certa che non si trattasse di quello. Avalon non aveva mai finto di essere una persona diversa. Avalon, semplicemente, non concedeva le sue attenzioni a coloro che non riteneva degni di far parte della sua “cerchia ristretta” e, quindi, non poteva che apparire una di quelle figlie di papà, viziate e inconsapevole di cosa potesse voler dire “faticare” per raggiungere un obiettivo. L’unica nota controversa, stava nel fatto che un padre non c’era più e, la Collins, non poteva godere del lusso di essere coccolata a dovere, così come la maggior parte dei figli.
    Quando il suo pensiero, inconsapevole, esaminava la sciagura che aveva colpito l’amica, Kasumi, non poteva far altro che rattristarsi per lei ma, nello stesso tempo, cercava di mantenere le distanze ed evitare di percorrere i sentieri dei ricordi, soprattutto in sua compagnia, con il rischio che, i tanto temuti silenzi, prendessero piede, allontanandole ulteriormente e, sì, le sarebbe dispiaciuto.
    Camminava in fretta, distrattamente, destreggiandosi tra le decine di ragazzi riversi per la via, approfittando della brezza primaverile. Il suo sguardo fissò l’orologio, scanditore di minuti, posto proprio accanto a lei. Con suo grande sollievo, prese coscienza di non essere in ritardo e, tirando un sospiro di sollievo, entrò nella caffetteria, osservando attentamente la folla con aria indagatrice ma, di lei nessuna traccia. No. Non poteva scaricarla così, all’ultimo, come la peggiore delle sue conoscenze.
    Alzò la candida manina e, attirando l’attenzione del barista, fece cenno di volere un caffè. Nero. Amaro come la vita. Lo sorseggiò lentamente, come un uccellino e, quando terminò, contro ogni pronostico, Kasumi, perse la pazienza e si alzò, con tutta l’intenzione di tornare nelle sue stanze.
    Ad un tratto, eccola lì. In tutta la sua fisicità, Avalon, si palesò davanti a lei, silenziosamente, portando appresso il suo sguardo glaciale, fisso e malinconico.
    Un sorriso le illuminò il viso. Il disappunto svanì, lasciando il posto al barlume di speranza che riponeva nel loro legame così ambiguo. “Pensavo ti avessero rapita. Per un attimo ho avuto paura per quelle povere anime. E un’eventuale prigionia ad Azkaban non farebbe per nulla bene ai tuoi capelli.” Ironizzò. Di certo, il carattere, non mancava ma, molte sfumature di esso, andavano modificate e migliorate per il quieto vivere. “Vuoi un caffè? E non fare quella faccia. Ce l’hai con me, per caso?” Portò le bracca sui fianchi e assunse l’aria di chi stava per rifilare una bella ramanzina: “Non chiederò scusa per averti costretta ad uscire dal tuo antro tetro, mia cara.” La sua intenzione, in fin dei conti, non era mai stata quella di rompere la sua tanto amata quiete. Al contrario, la piccola “Nebbia” –così la chiamava lei- desiderava solo farle comprendere che il mondo non doveva essere temuto. Lì fuori, la aspettavano avventure, amici, nuove conoscenze e persone che sarebbero state in grado di volerle bene, se solo avesse voluto. “Offro io. Tranquilla, ora puoi farmi un sorriso? Ti pago il caffè, posso anche meritarmi un tuo gesto di affetto.” Lagnò mentre, la sua testa, si interrogava sul come potesse reagire a un’eventuale domanda sul suo stato mentale. Erano giorni che non aveva il piacere di passare del tempo con la sorella acquisita e se fosse successo qualche cosa, durante questo vuoto, risultava esserne all’oscuro. Non erano affari suoi. Mille e più volte si era ripetuta questo piccolo-grande particolare ma, ficcare il naso era ciò che riusciva meglio.
    “A parte gli scherzi, Ava…” Il suo tono di voce si fece cupo e il sorriso che caratterizzava i suoi dolci lineamenti, si spense, lasciando trasparire la nuda e cruda preoccupazione nei suoi riguardi: “… so che non sono affari miei ma, cioè, volevo solo sapere come te la passavi e come stai.” Si aspettava una risposta vaga che glissasse su qualche altro stupido argomento poco inerente al tema sollevato da Kasumi. “A volte ho l’impressione che mi eviti.” Abbassò gli occhi sulla sua tazza e scosse la testa, facendo oscillare la lunga coda di cavallo che le raccoglieva i capelli corvini. “Non ti chiedo di farmi un resoconto dettagliato. Leggi qui.” Afferrò un pezzo di pergamena e glielo passò, svelando il contenuto della lettera, scritta con calligrafia impeccabile, dalla madre. “Anche loro sono preoccupati. Non credi che sia il momento di smetterla di allontanare chi cerca di darti una mano? Perché non hai dato loro tue notizie?” Sapeva quanto i suoi genitori tenessero a quella strana tipa la quale, in una situazione normale, non avrebbe mai potuto neanche sfiorare la sua sfera intima e, per questo, il suo atteggiamento la urtava.
    “Beh, credo sia una battaglia inutile contro i mulini a vento. Un cane che si morde la coda. Io, per te, sbaglio e viceversa. Immagino non sapremo mai chi ha torto e chi ragione.” Anche se, come si sul dire, la verità rimaneva nel mezzo. Abbozzò un sorrisetto, senza realmente avere l’intenzione di apparire accondiscendente.


    Edited by Ryuusei. - 5/5/2021, 10:24
     
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    Silenzio. Angosciante, assordante e, soprattutto, assoluto. Di quei silenzi che ti riempiono la testa e che ti fanno quasi fischiare le orecchie, che ti fanno sentire il vuoto che ti circonda e che, nonostante tutto, non ti mollano mai. Era abituata a percepirlo ogni giorno quel silenzio, da anni ormai le stava vicino come un vecchio amico che ti guida tenendoti la mano. Non erano gli altri, le persone che le stavano attorno, a fare silenzio, era lei stessa a crearlo e a ricercarlo, a mettere distanza e a frapporre un cuscinetto per non farsi toccare -in tutti i sensi, ove possibile-. Erano anni, infatti, che Avalon non sentiva. Che fossero affetto, emozioni o parole gentili, niente di tutto ciò riusciva a sfiorarla, e il silenzio, il vuoto, si faceva sempre più pesante e asfissiante.
    Eppure, come un circolo vizioso non faceva che aumentare, ogni volta che qualcuno le tendeva una mano per tirarla fuori dal buio in realtà la spingeva ancora più a fondo. Era soffocante. Stava annegando in ciò che lei stessa aveva creato e che, senza controllo, continuava a farla annaspare in bilico tra calma e disperazione. Ma non era questo a farle paura.
    Fin da piccoli siamo portati a temere l'oscurità, inconsciamente spinti a diffidare dell'ignoto, ma non è il buio ciò che spaventa. E' quello che si nasconde in esso e far tremar le gambe. Ciò nonostante, era ormai tanto tempo che Ava aveva imparato a temere ciò che, invece, si nasconde nella luce. Il pensiero che tutto ciò che si ama, prima o poi, finirà per morte o per il lento sfiorire del tempo, che le parole su cui si fa più affidamento in realtà non sono che bugie. Così aveva imparato a non amare più niente, a non affidarsi a niente e a nessuno. A credere che solo ciò che ci hanno da sempre spinti a temere è reale.
    Non era che l'incarnazione di un'algida statua di cera, ma tenace e testarda continuava ad esistere per portare avanti il suo obiettivo. Solo quello le dava la forza per restare a galla.
    Così anche quel giorno lo spettacolo doveva continuare.
    Era uscita di casa già da diverso tempo, se ne stava in un vicolo con le spalle fasciate dal soprabito bianco poggiate contro il muro, bene attenta a rimanere in disparte per non essere notata, mentre controllava distrattamente che la sua lunga chioma non avesse doppie punte. Avrebbe potuto avviarsi al punto di incontro, ma non lo fece. Rimaneva ferma, impassibile, fregandosene di arrivare in ritardo, sarebbe già stato tanto se fosse arrivata. Si perché, per quanto a lei sembrasse ridicolo, aveva un appuntamento con la sua coinquilina. Come se non si vedessero già a sufficienza.
    Quella gnomica personcina sempre contenta che era costretta a vedere ogni giorno da diversi anni, sempre così allegra, e gentile, e disponibile, e aperta. Così frustrante e fastidiosa. Era piccola, si, ma rompeva i bolidi come una grande. Avalon era incapace di capirla, non si capacitava di come si potesse essere sempre così ottimisti. Forse la invidiava, il fatto di essere così ingenua e positiva, che non avesse perduto innocenza. Ma allo stesso tempo la detestava per questo, e non riusciva farsela andare a genio fino in fondo. La vide passare, così goffa ai suoi occhi mentre si destreggiava tra la folla, avrebbe potuto chiamarla. Non fece nemmeno questo. Attese ancora, magari se ne sarebbe andata e avrebbe così evitato lo strano incontro. Sbuffò lasciando ricadere i capelli sulla schiena dopo essersi scostata dal muro. Quando si trattava di loro era sempre così combattuta, non riusciva mai ad essere se stessa fino alla fine, si sentiva sempre in dovere di dover essere gentile, a suo modo, e questo faceva paura. Il debito che aveva nei loro confronti, il senso di responsabilità che le pesava sulle spalle, erano un'ancora che non era riuscita a tagliare. L'avevano accolta e sostenuta, nutrita e cresciuta, si erano preoccupati per lei e continuavano a farlo. Erano come la fiammella nell'oscurità che la terrificava la notte. Cominciò ad incamminarsi verso la caffetteria, inconsciamente affrettò il passo per paura che se ne fosse già andata. Affogava.
    Aprì la porta e lasciò vagare lo sguardo tra la gente ai tavoli, non ci volle molto per notarla prima di dirigersi verso di lei con il suo solito viso inespressivo mentre l'altra le sorrideva contro. Le avrebbe voluto tirare le guance.
    -Ringrazia che sono venuta, piuttosto- le rispose accomodandosi davanti alla coinquilina. Per quanto fosse ininfluente l'opinione altrui e per quanto le piacesse giocare a fare la dura, proprio non riusciva ad essere sgraziata. Si tolse il soprabito mentre Nebbia continuava il suo mini-monologo cercando di guardarla in faccia il meno possibile
    -Non ce l'ho con te- le rispose alzando gli occhi al cielo -Ma se quello che volevi era bere un caffè potevamo anche farlo a casa- Non amava la folla, le piaceva la quiete dei posti in cui si sentiva tranquilla, ma le regalò comunque un ghigno che le distorse la bocca carnosa. Non avrebbe ottenuto più di quello per ora, che se lo facesse andare bene.
    -Il caffè va bene, nero per favore- come la mia anima.
    Come si aspettava, partirono le domande. Ormai era abituata a sentirsi chiedere come stava o come andava, ma quale risposta avrebbe potuto dare? Come stava?
    -Sto come tutti- scrollò le spalle fingendo indifferenza -soggetta allo sfacelo del tempo, al decadimento ed infine alla morte- pragmatica.
    -Cosa vuoi che ti dica? Sto un fiore. Vado a lezione, mi alleno, mi fanno il culo e torno a casa, non mi metto nei guai e non frequento brutte compagnie. Non ho dato mie notizie perché non avevo nulla di interessante da dire. Contenta ora?- Lasciò che gli occhi bicolore incontrassero, finalmente, quelli della sua interlocutrice. Odiava questi attimi di serietà, la preferiva quando cercava di farla ridere e poi se la prendeva perché non ci riusciva -per la cronaca, quella era la parte che le risultava più divertente, ma non lo avrebbe ammesso-. Non sapeva con precisione quando era successo, ma il suo viso non era diventato altro che una maschera di cera, le si era attaccata addosso pezzo dopo pezzo, tra un silenzio e l'altro. Si era modellata per creare distacco, perché alla fine a cosa sarebbe servito esporsi? Con quale risposta sarebbe stati tutti soddisfatti da lei? Per questo aveva deciso di tacere e, semplicemente, diventare un'altra.
    Distolse di nuovo lo sguardo con la scusa di chiamare una cameriera per ordinare il suo agognato caffè
    -Mi hai tirata giù dal letto solo per parlare dei nostri sentimenti interiori?- come se non fosse stata sveglia dall'alba -Stiamo per fare una paxissima conversazione sul tempo e magari anche sull'oroscopo di oggi? Vuoi spazzolarmi i capelli e farmi le treccine?- Antipatica, al limite del crudele. Le vedeva le intenzioni di Kusumi. Non era capace di smettere. Iniziò a sorseggiare il suo caffè chiudendo gli occhi, non solo per non vedere la reazione che le sue parole scaturivano nel volto della coinquilina, ma anche perché amava la sensazione di calore che la invadeva, oramai lo faceva ogni volta che sorseggiava qualcosa di caldo, come un riflesso incondizionato.
    -Dimmi che hai qualcosa di serio da dirmi e che non stai solo tentando di psicoanalizzarmi per fare pratica, te ne prego- “E tu come stai? Cosa stai combinando? Ti è successo qualcosa? Hai bisogno di qualcosa?” Non lo chiese, e si odiò anche per averlo pensato. Come se mi importasse davvero, si diceva.
    -Non ho voglia di farti da cavia per i tuoi studi folli. Non sono una criminale- per ora. Vivevano insieme da tempo, eppure si sentiva ancora a disagio in sua presenza. Non sapeva mai cosa dire, non si sentiva mai all'altezza. Era disturbante e imbarazzante.
    -Allora..- cominciò prima di interrompersi osservando il tavolo a fianco al quale, avvolti da un inebriante profumo, erano appena stati portati una decina di pasticcini dall'aspetto delizioso. Gli occhi della giovane veggente luccicarono per un breve istante mostrano la sua debolezza, prima di scrollare la testa e ritornare sulla sua interlocutrice ancora una volta -Mi sto scocciando. Raccontami almeno qualche pettegolezzo, dai un senso a questo incontro, per Morgana!- poggiò i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani intrecciate continuando a fissarla dall'alto della sua statura, ben maggiore della moretta anche da sedute. Come evitare il disagio di una conversazione: lasciare parlare gli altri.
     
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