Silenzio. Angosciante, assordante e, soprattutto, assoluto. Di quei silenzi che ti riempiono la testa e che ti fanno quasi fischiare le orecchie, che ti fanno sentire il vuoto che ti circonda e che, nonostante tutto, non ti mollano mai. Era abituata a percepirlo ogni giorno quel silenzio, da anni ormai le stava vicino come un vecchio amico che ti guida tenendoti la mano. Non erano gli altri, le persone che le stavano attorno, a fare silenzio, era lei stessa a crearlo e a ricercarlo, a mettere distanza e a frapporre un cuscinetto per non farsi toccare -in tutti i sensi, ove possibile-. Erano anni, infatti, che Avalon non sentiva. Che fossero affetto, emozioni o parole gentili, niente di tutto ciò riusciva a sfiorarla, e il silenzio, il vuoto, si faceva sempre più pesante e asfissiante.
Eppure, come un circolo vizioso non faceva che aumentare, ogni volta che qualcuno le tendeva una mano per tirarla fuori dal buio in realtà la spingeva ancora più a fondo. Era soffocante. Stava annegando in ciò che lei stessa aveva creato e che, senza controllo, continuava a farla annaspare in bilico tra calma e disperazione. Ma non era questo a farle paura.
Fin da piccoli siamo portati a temere l'oscurità, inconsciamente spinti a diffidare dell'ignoto, ma non è il buio ciò che spaventa. E' quello che si nasconde in esso e far tremar le gambe. Ciò nonostante, era ormai tanto tempo che Ava aveva imparato a temere ciò che, invece, si nasconde nella luce. Il pensiero che tutto ciò che si ama, prima o poi, finirà per morte o per il lento sfiorire del tempo, che le parole su cui si fa più affidamento in realtà non sono che bugie. Così aveva imparato a non amare più niente, a non affidarsi a niente e a nessuno. A credere che solo ciò che ci hanno da sempre spinti a temere è reale.
Non era che l'incarnazione di un'algida statua di cera, ma tenace e testarda continuava ad esistere per portare avanti il suo obiettivo. Solo quello le dava la forza per restare a galla.
Così anche quel giorno lo spettacolo doveva continuare.
Era uscita di casa già da diverso tempo, se ne stava in un vicolo con le spalle fasciate dal soprabito bianco poggiate contro il muro, bene attenta a rimanere in disparte per non essere notata, mentre controllava distrattamente che la sua lunga chioma non avesse doppie punte. Avrebbe potuto avviarsi al punto di incontro, ma non lo fece. Rimaneva ferma, impassibile, fregandosene di arrivare in ritardo, sarebbe già stato tanto se fosse arrivata. Si perché, per quanto a lei sembrasse ridicolo, aveva un appuntamento con la sua coinquilina. Come se non si vedessero già a sufficienza.
Quella gnomica personcina sempre contenta che era costretta a vedere ogni giorno da diversi anni, sempre così allegra, e gentile, e disponibile, e aperta. Così frustrante e fastidiosa. Era piccola, si, ma rompeva i bolidi come una grande. Avalon era incapace di capirla, non si capacitava di come si potesse essere sempre così ottimisti. Forse la invidiava, il fatto di essere così ingenua e positiva, che non avesse perduto innocenza. Ma allo stesso tempo la detestava per questo, e non riusciva farsela andare a genio fino in fondo. La vide passare, così goffa ai suoi occhi mentre si destreggiava tra la folla, avrebbe potuto chiamarla. Non fece nemmeno questo. Attese ancora, magari se ne sarebbe andata e avrebbe così evitato lo strano incontro. Sbuffò lasciando ricadere i capelli sulla schiena dopo essersi scostata dal muro. Quando si trattava di
loro era sempre così combattuta, non riusciva mai ad essere se stessa fino alla fine, si sentiva sempre in dovere di dover essere gentile, a suo modo, e questo faceva paura. Il debito che aveva nei loro confronti, il senso di responsabilità che le pesava sulle spalle, erano un'ancora che non era riuscita a tagliare. L'avevano accolta e sostenuta, nutrita e cresciuta, si erano preoccupati per lei e continuavano a farlo. Erano come la fiammella nell'oscurità che la terrificava la notte. Cominciò ad incamminarsi verso la caffetteria, inconsciamente affrettò il passo per
paura che se ne fosse già andata. Affogava.
Aprì la porta e lasciò vagare lo sguardo tra la gente ai tavoli, non ci volle molto per notarla prima di dirigersi verso di lei con il suo solito viso inespressivo mentre l'altra le sorrideva contro. Le avrebbe voluto tirare le guance.
-Ringrazia che sono venuta, piuttosto- le rispose accomodandosi davanti alla coinquilina. Per quanto fosse ininfluente l'opinione altrui e per quanto le piacesse giocare a fare la dura, proprio non riusciva ad essere sgraziata. Si tolse il soprabito mentre
Nebbia continuava il suo mini-monologo cercando di guardarla in faccia il meno possibile
-Non ce l'ho con te- le rispose alzando gli occhi al cielo
-Ma se quello che volevi era bere un caffè potevamo anche farlo a casa- Non amava la folla, le piaceva la quiete dei posti in cui si sentiva tranquilla, ma le regalò comunque un ghigno che le distorse la bocca carnosa. Non avrebbe ottenuto più di quello per ora, che se lo facesse andare bene.
-Il caffè va bene, nero per favore- come la mia anima.
Come si aspettava, partirono le domande. Ormai era abituata a sentirsi chiedere come stava o come andava, ma quale risposta avrebbe potuto dare? Come stava?
-Sto come tutti- scrollò le spalle fingendo indifferenza
-soggetta allo sfacelo del tempo, al decadimento ed infine alla morte- pragmatica.
-Cosa vuoi che ti dica? Sto un fiore. Vado a lezione, mi alleno, mi fanno il culo e torno a casa, non mi metto nei guai e non frequento brutte compagnie. Non ho dato mie notizie perché non avevo nulla di interessante da dire. Contenta ora?- Lasciò che gli occhi bicolore incontrassero, finalmente, quelli della sua interlocutrice. Odiava questi attimi di serietà, la preferiva quando cercava di farla ridere e poi se la prendeva perché non ci riusciva -per la cronaca, quella era la parte che le risultava più divertente, ma non lo avrebbe ammesso-. Non sapeva con precisione quando era successo, ma il suo viso non era diventato altro che una maschera di cera, le si era attaccata addosso pezzo dopo pezzo, tra un silenzio e l'altro. Si era modellata per creare distacco, perché alla fine a cosa sarebbe servito esporsi? Con quale risposta sarebbe stati tutti soddisfatti da lei? Per questo aveva deciso di tacere e, semplicemente, diventare un'altra.
Distolse di nuovo lo sguardo con la scusa di chiamare una cameriera per ordinare il suo agognato caffè
-Mi hai tirata giù dal letto solo per parlare dei nostri sentimenti interiori?- come se non fosse stata sveglia dall'alba
-Stiamo per fare una paxissima conversazione sul tempo e magari anche sull'oroscopo di oggi? Vuoi spazzolarmi i capelli e farmi le treccine?- Antipatica, al limite del crudele. Le vedeva le intenzioni di Kusumi. Non era capace di smettere. Iniziò a sorseggiare il suo caffè chiudendo gli occhi, non solo per non vedere la reazione che le sue parole scaturivano nel volto della coinquilina, ma anche perché amava la sensazione di calore che la invadeva, oramai lo faceva ogni volta che sorseggiava qualcosa di caldo, come un riflesso incondizionato.
-Dimmi che hai qualcosa di serio da dirmi e che non stai solo tentando di psicoanalizzarmi per fare pratica, te ne prego- “E tu come stai? Cosa stai combinando? Ti è successo qualcosa? Hai bisogno di qualcosa?” Non lo chiese, e si odiò anche per averlo pensato.
Come se mi importasse davvero, si diceva.
-Non ho voglia di farti da cavia per i tuoi studi folli. Non sono una criminale- per ora. Vivevano insieme da tempo, eppure si sentiva ancora a disagio in sua presenza. Non sapeva mai cosa dire, non si sentiva mai all'altezza. Era disturbante e imbarazzante.
-Allora..- cominciò prima di interrompersi osservando il tavolo a fianco al quale, avvolti da un inebriante profumo, erano appena stati portati una decina di pasticcini dall'aspetto delizioso. Gli occhi della giovane veggente luccicarono per un breve istante mostrano la sua debolezza, prima di scrollare la testa e ritornare sulla sua interlocutrice ancora una volta
-Mi sto scocciando. Raccontami almeno qualche pettegolezzo, dai un senso a questo incontro, per Morgana!- poggiò i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani intrecciate continuando a fissarla dall'alto della sua statura, ben maggiore della moretta anche da sedute. Come evitare il disagio di una conversazione: lasciare parlare gli altri.