into the wild

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    Nara [Kansai]

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    Il suo sguardo attento, danzava su uno sciupato pezzetto di pergamena sulla quale, a caratteri ordinati ed eleganti, si stendeva il prolisso discorso della madre. Le sue preoccupazioni, seppur lecite, ai suoi occhi, apparivano esagerate e ossessive. Più e più volte aveva dimostrato di sapersela cavare nelle situazioni che la vita le aveva presentato, nonostante la sua giovane età. Ne aveva abbastanza di quelle paranoie. Con stizza, stropicciò quel poema omerico, senza alcun senso e lo lanciò lontano da lei, come per voler allontanare i problemi riaffiorati, repentinamente, alla mente grazie ai disagi altrui. Non bastava l’ingiustizia di pagare il conto, per errori commessi da coloro che l’avevano messa al mondo, no. Oltre al danno anche la beffa. Sentirsi in trappola, oramai, era divenuta una sensazione quotidiana. Esisteva, si. Ma vivere doveva essere tutta un’altra cosa e, Kasumi, poteva vantare solo il fatto di esistere e di fuggire da qualcosa –o qualcuno- che ancora non aveva un volto. Una figura effimera la quale, però, sembrava terrorizzare le persone con le quali il legame andava oltre la banale conoscenza, persone che amava e che avrebbe protetto a costo della sua incolumità. Strappata alle sue origini, senza spiegazioni esaustive, la giovane, si era sempre riguardata di addentrarsi nella fitta ragnatela di bugie, tessute per allontanarla dal pericolo. Una mossa che, però, aveva limitato ogni attività, normalmente svolta, dai suoi coetanei. Portò gli asiatici occhi al cielo, introducendo nei suoi dolci lineamenti, una smorfia sofferente e ricolma di disappunto. Una soluzione, nell’immediato, non risultava esserci ed, adeguarsi, sembrava ciò che si avvicinava di più a qualche cosa di accomodante. Lanciò un’occhiata all’orario e si accorse di essere in ritardo per l’appuntamento con Avalon. Poco male, sarebbe, comunque, arrivata sul posto prima dell’amica. Alzò le spalle e si infilò il primo straccetto che trovò nell’armadio, dentro il quale sembrava scoppiata una bomba nucleare. Con la promessa di sistemarlo, un giorno, si sistemò velocemente e uscì dalla sua stanza, ignorando ulteriormente i suoi doveri scolastici. Non fece in tempo a fare un passo oltre la porta quando, un bislacco gufo, quasi le si schiantò addosso, facendola sussultare. La bestiola, poi, planò bruscamente sul pavimento e arrestò la sua corsa. Alla zampetta, legato accuratamente, si presentava un messaggio e, la moretta, lo sfilò, accarezzando dolcemente la testolina del volatile, incoraggiandolo a riprendere la via del ritorno:

    “Non riesco a venire. Mi dispiace, ci vediamo più tardi a casa. Avalon.”



    Poche parole che la misero di cattivo umore. Non poteva credere che, all’ultimo, avesse potuto annullare il loro pomeriggio spensierato. Un solo aggettivo le balenava in mente, adatto a quella che presto l’avrebbe pagata: traditrice. Ripiego l’arma del delitto (?) e si convinse a non cambiare i piani per quella giornata, nonostante il suo umore avesse appena cambiato la sua sfumatura dal rosa pallido al nero totale e tutto in un frangente così breve da destabilizzare il suo –già instabile- equilibrio.

    Si addentrò per le vie del college, con lo sguardo puntato avanti, testa alta e con la speranza che nessuno notasse il suo sembrare, totalmente, idiota. Ardua impresa. Affrontò la coda per accalappiarsi un buon caffè e riprese a passeggiare in solitudine, mentre chi le stava intorno, sorrideva cortesemente ogni qualvolta gli sguardi si incrociassero. Doveva ammettere che, nonostante la delusione ricevuta, quel passatempo si stava rivelando salutare quasi da farle rivalutare la tanto odiata solitudine. Sì. Nel suo dizionario, quella parola con la s, era considerata tabù, un qualche cosa da evitare come una malattia venerea. Il terrore di essere abbandonata dagli affetti, per Kasumi, era qualche cosa di dannatamente presente nel suo quotidiano. L’essere circondata da persone fidate, era pur sempre un toccasana per chiunque, no? Beh, forse non per tutti ma, di certo, per lei. Sorrise al pensiero ed, ad un tratto, a pochi metri da lei, le parve di vedere un volto noto. I suoi lineamenti la fecero ritornare, per un istante, a quando frequentava la scuola di magia giapponese. Il periodo più duro della sua vita ma, anche, il più formante. Doveva molto a ciò che aveva imparato all’interno di quelle quattro mura. Una disciplina rigida che, però, non l’aveva resa quell’automa insensibile che, la scuola, era solita sfornare. Non le mancava la routine accademica di Mohotokoro, certo che no, le mancava, però, la sua terra e coloro che aveva, per forza di cose, dovuto lasciarsi alle spalle, fingendo, nei loro confronti, una terribile indifferenza in grado di provocarle dei grandi sensi di colpa. “Ehi!” L’approccio non poteva considerarsi dei migliori ma non era del tutto sicura che, il ragazzo, avesse memoria di lei, in fondo non si considerava qualcuno degno di nota. “Raiden, giusto?” Vantava una buona memoria, era certa dell’identità del giovane uomo ma, per tutelarsi –e non sembrare ficcanaso- scelse di attaccare bottone, fingendosi, quel tanto che bastava, tonta e su un altro pianeta. Il suo volto, i suoi tratti, riuscivano a riportarla indietro nel tempo. A casa quando, spensieratamente, correva tra le viottole del suo paese natio, ignara del futuro e delle problematiche che esso le avrebbe imposto, cambiandole radicalmente l’intera esistenza, resettando le sue certezze, sconfinando nell’ignoto e nell’ansia. “Scusa. Non volevo disturbarti ma…” interruppe il discorso, credendo, una volta esternato il suo pensiero, di risultare banale “… hai da fare?” Concluse, sorridendo. “Che ne dici di prendere un caffè? Offro io, ovviamente.” Una droga. Kasumi dipendeva da quella scura sostanza, ricca di gioia e non perdeva occasione di assaporarne il suo invitante aroma. Certo, in compagnia, sarebbe stato tutta un’altra storia ma, in caso di rifiuto, si sarebbe seduta al tavolino, come una donna vissuta, sorseggiandone uno, assumendo quell’aria di chi si era rassegnata ad un’amara realtà. “Tutto ok? Mi sembri pallido.” Osservandolo meglio, però, la pelle di Raiden non differiva di molto –in pallore- dalla sua. Si zittì, cercando di non esagerare con i suoi sproloqui gettati al vento. Si limitò a sorridere ed ad attendere una reazione da parte del suo interlocutore, allontanando il pensiero che vedeva Avalon, intenta ad auto commiserarsi, rinchiusa nella sua buia stanza.
     
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