The things I hate about you.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Arrivata in cima alle scale bussò alla porta. Fu lui che venne ad aprire. E chi altro se no? Le persiane erano abbassate, nonostante fosse primo pomeriggio. C’era una lampada accesa, solo una, ma la luce bastò a farle sbattere le palpebre. Guardò la casa, dietro le sue spalle, perché non vuole incontrare i suoi occhi. C’era una stanza sola con un divano letto già pronto, un cucinino e un’altra porta, probabilmente quella del bagno. La stanza era ordinata e spoglia, come quella di un militare, minuscola. Niente quadri alle pareti, niente piante. Lui era accampato lì. Fece un passo indietro per lasciarla passare. Era in maniche di camicia ed aveva una sigaretta di Erballegra tra le dita, accesa. Lexie aspirò l’odore del fumo su di lui, nell’aria calda della stanza, dappertutto. Avrebbe voluto togliersi i vestiti e bagnarcisi, passarselo sulla pelle, quell’odore. Niente preliminari, lui sa perché la Cooper si trova lì. Non parla. Perché perdere tempo in tali sciocchezze? Si tratta semplicemente di un passatempo. Si allontanò da lei, spegnendo la lampada. Lo sente avvicinarsi, il suo odore farsi sempre più predominante, risucchiandola. Senza troppe cerimonie afferrò i lembi della sua maglietta, sollevandoli verso l’alto e sfilandogliela via. Un uomo fatto d’oscurità. Lexie non gli vede il viso, respira a stento, a stento sta in piedi. Neanche un minuto dopo non è più in piedi. Sente le sue labbra sul collo e questo basta perché la sua mente cominci ad annebbiarsi, non sa resistere. Tenne le braccia attorno a lui, lasciandosi andare. [...]
    [...] Ha inventato tutto. Non è andata così. Ecco cosa è successo. Arrivò in cima alle scale e bussò alla porta. Lui venne ad aprire. C’era una lampada accesa, Lexie sbatté le palpebre. Guardò la stanza, dietro le sue spalle, era spoglia e ordinata come quella di un militare. Niente quadri, la coperta aveva una scritta che lei non riuscì a leggere. Il massimo che riuscì a percepire era che si trattavano di due parole. Il letto era pronto. Lui era in maniche di camicia e teneva una sigaretta di Erballegra tra le dita. «Prendi.» le disse. «Tira una boccata.».Niente preliminari, lui sa perché la Cooper si trova lì. Lei gli prende la sigaretta di mano, aspirando profondamente e poi gliela restituisce. Le loro dita neanche si sfiorarono. Aveva bisogno di qualcosa che le facesse girare la testa, provare qualcosa. Lui non disse niente, la guardò soltanto, senza sorridere. Sarebbe stato meglio, più semplice, più gentile se l’avesse toccata. Perché pensava certe cose? Nessuno dei due cercava cose del genere. Si sentì stupida e brutta, sebbene sapesse di non essere né l’una cosa né l’altra. Ma lui che pensava? Perché non parlava? La giovane donna si accorse che si stava preoccupando di ciò che poteva pensare di lei, e questo le diede fastidio. Bisognava solo essere pratici. «Non ho molto tempo.» disse. Era una frase infelice, ma non le importava. «Ho un appuntamento con un’amica tra un paio d’ore.» Restò eretta nella schiena, mentre, passando da un piede all’altro, si sfilava le scarpe, lanciandole via. «Calma, Cooper. Tutte queste romanticherie potrebbero farmi pensare che hai un debole per me.» Sorrisero tutti e due: così va bene, equivale a riconoscere che stanno recitando, perché altro non possono fare. «L’astinenza stimola l’interesse.» Non si sta riferendo al sesso, ma nessuno dei due sembra farci molto caso. E’ una citazione da vecchio telefilm, quando quel telefilm era già vecchio anche allora. Lexie era sicura che neppure sua nonna parlasse così, forse, addirittura, nessuno aveva mai parlato così nella vita vera. Lui le si avvicina, infin, le accarezza la schiena. «Su» dice, «non abbiamo molto tempo.». La guidò verso il letto, la fece sdraiare. Tirò perfino infietro la coperta. Cominciò a svestirsi, poi ad accarezzarla, a baciarla sul collo. «Niente romanticherie» dice «Va bene?». Significava nessun coinvolgimento, niente eroismi. «Ti ho mai chiesto di più?» Una frase tra il riso e il fastidio. Significava sbrigati. Tutto è andato così. [...]
    [...] Non è andata nemmeno così. Non lo sapeva neppure lei come fosse andata esattamente. L’erba fa descrivere solo in modo approssimativo. Ad un certo punto pensò a perché si trovasse lì. Avrebbe voluto avere vergogna, ma non ne ebbe.
    [...] Si richiuse la porta alle spalle, lisciando la minigonna con le mani. Abbassò lo sguardo sul pianerottolo. Quando aveva piovuto? Non se ne era neanche resa conto. La verità era che non notava un sacco di cose, negli ultimi giorni. Le sue giornate si susseguivano sempre uguali, alternandosi tra lavoro e una, due, tre feste. Anestetizzare i pensieri. Non voleva altro. Sopravvivere tra un bicchiere e l’altro. Quindi fai veramente altro nella vita al di fuori di questo? Dovette aggrapparsi al corrimano per paura che gli stivaletti scivolassero sulla scalinata di ferro. Fanculo. Dovevi divertirti, staccare dalla sbronza di due giorni fa? Da quella di quattro giorni fa? Oppure da quella di sei giorni fa? Fanculo, fanculo, fanculo. Quando aveva ricevuto il messaggio di Ginny, quella mattina, per passare da lei ed andare al parco con i bambini, come prima cosa si era proposta di ritrovarsi direttamente altrove. Ci stava lavorando ormai da giorni e non aveva intenzione di farsi mettere di cattivo umore. Non aveva voglia di sentirsi ripetere quelle parole. Era giunta alla conclusione che ignorarsi fosse la soluzione migliore. Virginia le aveva assicurato che lui non fosse in casa. Avrebbe lavorato fino a tardi, così le aveva scritto. Così, quando aveva bussato alla porta dell’abitazione, l’aveva fatto a cuor leggero. «Allora Miss? Pronta per un giro al parco? E ricorda: se un papà sexy si avvicina, la prima che dice “mio” ha il diritto di provarci. L’altra pensa ai bambini.» Le strizzò l’occhio, sorridendo, quando Ginny aprì l’uscio di casa. Lanciò un’occhiata oltre le spalle della ragazza, per assicurarsi effettivamente che lui non fosse in casa. Ciò che vide furono solo i bambini che correvano per casa. «Heeeey, piccole pesti.» squittì entrando ma non addentrandosi oltre, restando comunque sull’ingresso, quasi fosse l’unico punto dove il pavimento non scottava come lava incandescente. Strofinò la testolina di Isak e sfiorò la guanciotta della piccolina. «Pronti per andare al parco?» gli sorrise voltandosi poi verso Virginia. «Certo, se vostra zia finisse di prepararsi prima che tramonti il sole, sarebbe meglio..» la provocò, con finto tono canzonatorio, facendole un occhiolino mentre incrociava le braccia al petto. Sistemò meglio lo zaino sulle spalle, le spalline che promettevano di scendere giù dal giacchetto di pelle. Prenderle la borsa. Una richiesta che non le insinuò nessun sospetto. Era un gesto che aveva fatto tante volte, aiutarla a radunare le cose prima di uscire, soprattutto quando c’erano anche i bambini. Aprì la porta dello studio dove Virginia le aveva detto che si trovava la borsa. Ripensandoci poi, perché diamine la sua borsa si sarebbe dovuta trovare nel suo studio? Non aveva senso. Si sarebbe sentita molto stupida, in seguito, per aver creduto ad una cosa simile. Spalancò la porta e lo vide. Sobbalzò, come se avesse appena visto un fantasma. Le ci volsero alcuni secondi per mettere a fuoco la scena, secondi preziosi, secondi che si rilevarono fatali. Si voltò di scatto e tutto ciò che vide fu Ginny con la bacchetta stretta nella mano. Gliela stava puntando contro. «Ginny, ma che cazzo..» le parole le morirono in gola quando lei mosse il polso e un secondo dopo la sua bacchetta sgusciò via dalla tasca della gonna finendo tra le mani della giovane principessa. Poi, prima che potesse dire altro, la porta si chiuse in un tonfo.
    22790193020a6afc84325741b38296397cc25ee4
    Silenzio. Uno.. Due.. Tre.. Quattro.. Respira. .. Cinque.. Sei.. Sette.. «MA CHE CAZZO, SEI IMPAZZITA?» scattò in avanti, entrambe le mani che si stringevano attorno al pomello, tirandolo con tutta la forza che aveva. La porta era chiusa. Batté un pugno sul legno massiccio. «APRI QUESTA CAZZO DI PORTA, GIN. NON E’ DIVERTENTE.» L’aveva chiusi lì dentro? Davvero? Non riusciva a crederci. Silenzio. Si posò entrambe le mani sul volto, facendole scivolare lungo le guance. «Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo..» la sua voce era come un sussurro. Abbandonò le braccia lungo i fianchi e poi chiuse gli occhi rovesciando le spalle all’indietro. Respira, respira, respira. La sua mente stava mettendo insieme i pezzi, tassello dopo tassello, e poi realizzò. Il suo corpo agì d’istinto, irrigidendosi. Si voltò, facendo perno sui tacchi, osservando Adam dall’altra parte della stanza. Ancora silenzio. Non lo vedeva da quella sera. Perché aveva quel potere su di lei? La capacità di farla sentire così sbagliata, così fuori luogo. Eppure aveva fatto di tutto per non pensarci, per convincersi che lei non aveva colpe, responsabilità. Allora perché si sentiva in quel modo? Era colpa sua. Era lui il colpevole, colui contro cui riversare la sua frustrazione, colui che aveva tutte le colpe. Respira.. Respira.. Respira.. «Che sta succedendo?» la sua voce tremò appena nel tentativo di usare inutilmente un tono pacato. «Che..» Fanculo, fanculo, fanculo a tutti. «Se è tutto un tuo giochino da psicominchia ti informo subito che non è divertente.»


    Edited by along come lexie. - 20/5/2021, 00:47
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Se c'è una cosa che Adam ha fatto nell'ultimo periodo, perlomeno molto più del solito, è stato controllarsi. In ogni circostanza ha tenuto a freno ogni parte di sé, concentrando ogni sua forza, ogni sua minima energia sul lavoro e sul prendersi cura di quella atipica famiglia che, volente o nolente, gli è capitata tra capo e collo. Isak ed Elsa gli hanno riempito le serate e la testa ben più di quanto sarebbe disposto ad ammettere, così come il lavoro ha fatto nelle ore subito successive al momento di andare a letto per i due nani, solo e soltanto dopo aver passato come minimo un'ora a raccontare loro questa e l'altra storia nordica che anima di una certa dose d'eccitazione il biondino, che vuole saperne sempre di più, e fa brillare gli occhioni chiari, identici a quelli di Eve, di Elsa. La stessa Elsa che non ha ancora parlato. Che non ha ancora detto una sola parola, secondo Adam, ancora nel pieno del trauma di aver perso la madre ad appena un anno. Sono giorni che il ragazzo sfoglia cartelle di casi simili a quelli della nipote, interpellando anche questo e l'altro collega al San Mungo per cercare delle terapie mirate fatte ad hoc per pazienti tanto piccoli, per stimolarne la guarigione da quella ferita che porterà in lei una cicatrice permanente e sempre piuttosto vivida. E sta proprio sfogliando la documentazione che la dottoressa Pattinson gli ha lasciato in ufficio quella stessa mattina, con un post it verde attaccato sopra, quando sente i bambini correre nelle stanze accanto, eccitati all'idea di uscire con la zia. « Gin, sei sicura di voler andare da sola? Insomma Bianca e Carol sono pagate per questo, è il loro lavoro. » Commenta distrattamente, alzando giusto un po' la voce per farsi sentire dalla sorella che sta evidentemente combattendo con i due per farli vestire e uscire di gran carriera. L'idea di proporsi di andare con lei, comunque, non gli passa neanche per l'anticamera del cervello, preso com'è a cercare qualcosa di utile in quella terapia sperimentale. « Mh sì, non ti preoccupare! » La sente farfugliare, entrando nello studio, e Adam non alza nemmeno lo sguardo a guardarla, ma anzi si dice pure abbastanza soddisfatto - per quanto anche un po' preoccupato all'idea che la sorella non li sappia gestire in solitaria. Chiamo Carol e le chiedo di farsi trovare casualmente al parco. Pensa su, rigirandosi la penna tra le dita, lasciandola sbattere contro la scrivania, prima dalla parte del tappo, poi dalla parte della punta e via di nuovo, in un ciclo continuo e perpetuo mentre gli occhi chiari scorrono veloci lungo le pagine, le dita della mano libera cambiano pagina, di tanto in tanto. Cambia posizione sulla poltrona, più volte, arrivando poi a formare un quattro con la caviglia destra che si poggia sopra il ginocchio sinistro. Passano minuti e minuti ed è talmente immerso di accorgersi solo in un secondo momento di quanto, seppur le orecchie continuino ad udire i rumori circostanti sempre e comunque, lui sia totalmente nel suo mondo, completamente estraniato tanto da non far minimamente caso, all'inizio, dell'arrivo di una nuova incognita nel suo ecosistema. Se ne accorge soltanto quando la suddetta incognita inizia a schiamazzare. «Ginny, ma che cazzo..» Alza lo sguardo di scatto e lo pianta nella schiena di un'Alexandra comparsa all'improvviso. Inclina appena la testa di lato per notare la sorella davanti a lei, poco fuori dalla porta. « Scusate, potete andare -» a giocare altrove? La seconda parte della frase si affievolisce sotto il tonfo sordo della chiusura della porta. «MA CHE CAZZO, SEI IMPAZZITA?» Il volto di Adam viene attraversato, nell'ordine da: puro fastidio, indignazione cocente, rabbia latente e puntigliosa noia. Alla fine comunque, ancor prima che Lexie possa decidere di fare qualsiasi altra cosa, semplicemente scuote la testa. «APRI QUESTA CAZZO DI PORTA, GIN. NON E’ DIVERTENTE.» E lo fa ancora più forte quando si accorge di non avere più nei paraggi la bacchetta - stronza di una sorella, questa me la paghi! - per poter mutare quel trapanamento di timpani che è il concerto di urla e pugni della rossa sulla porta. Alla fine però, quando sembra aver capito che quella testarda di Virginia, sorella ingrata che avrà pesanti ripercussioni da un simile comportamento da bambina, non le aprirà né ora né mai, potendo pure continuare ad urlare fin quando non avrà più voce in gola - che Dio ce ne scampi e liberi! - la quiete torna sovrana nello studio e Adam fa semplicemente una cosa: tornare a fare esattamente ciò che stava facendo un secondo prima, in totale tranquillità. Tanto io qua sarei dovuto stare, a studiare, perciò che ci sia o meno l'incognita cambia poco fintanto che non fa rumore disturbandomi. Quando con la coda dell'occhio la vede girarsi verso di lui, ormai incapace di fingere che lui non esista, il lycan continua a fissare i fogli senza accennare il minimo tentennamento, seppur la voglia di guardarla in volto sia effettivamente tanta. E' la prima volta che si ritrovano nell'arco di pochi metri da quella sera e sente come richiamato dal suo sguardo e per questo rimane fermo, testardamente, sul proprio punto. A fissare parole che al momento non gli dicono più nulla, rileggendo la stessa frase un paio di volte senza effettivamente capirne il significato, con la concentrazione ormai proiettata su altro. «Che sta succedendo? Che..» Il tremolio nella sua voce per lo sforzo di risultare calma lo fa sorridere, tanto da alzare un angolo delle labbra, ben teso verso la guancia. «Se è tutto un tuo giochino da psicominchia ti informo subito che non è divertente.» E' solo allora che smette di leggere, alzando gli occhi chiari per piantarli in quelli di lei. Quasi a volerla bloccare lì, impalarla sul posto, incapace anche solo di una semplice mossa. Tra le dita della mano destra continua a ruotare la penna, il suo
    86ca592c0d6af98a5a928a5a5a56c5a0acb8cb5e
    personalissimo anti stress. « Oh sì, è tutto un grandissimo e strategico piano architettato alle tue spalle. Che occhio, ci hai proprio scoperti! » Oltre che vittima, oggi ci siamo alzate sentendoci un tantinello egocentriche? « Di certo non è un giochino che ho orchestrato io, no. » Continua lapidario, tendendo appena un sopracciglio nell'accorgersi quanto sia il disagio che prova in quel momento. Lo stesso che ha continuato a provare tutta la sera, anche quando era con Allie. Anche quando doveva pensare soltanto a lei, stretto nella morsa delle sue gambe calde, con le dita suoi seni nudi e tutto ciò che riusciva a fare era il focalizzarsi su quanto fosse incazzato, tanto da riversare in ogni suo movimento quella rabbia ferina che aveva reso il tutto ancora più cupo. Continua a fissarla qualche altro secondo, prima di farle cenno di sedersi un po' dove vuole, provando un moto di disagio nel vederla ancora in piedi, mettendosi improvvisamente nei suoi panni, lì, nella tana del lupo e non per sua volontà, oltretutto. Si morde forte la lingua nel momento in cui sente l'irrefrenabile bisogno di dirle di servirsi pure dal minibar, aggiungendo magari un qualcosa di tagliente sul suo esserci abituata. Non sa come, ma alla fine riesce a stare zitto. « Immagino che la mente criminale di mia sorella vorrebbe che parlassimo come due persone adulte e in una situazione idilliaca ti chiederei se ti va di aprirti per parlarmi di tutto ciò che ti frulla nella testa. » Prende a fare il resoconto di ciò che immagina sia passato nell'adorabilmente snervante testolina di Gin. « Magari parlare delle tue paure. O di quali siano, specificatamente, le cose che odi così tanto di me. » A questo punto compare un sorrisetto sghembo sulle sue labbra carnose, che si protrae per qualche buon secondo prima di scomparire tra le pieghe della sua barbetta curata per risultare vagamente incolta. Non penso che arriveremmo comunque ad una soluzione ma sarebbe sicuramente un punto di partenza. « Ma non vuoi che ti tratti come uno dei miei pazienti, l'hai sottolineato alla perfezione. Come se non fosse comunque un comportamento usuale da usare con i propri..amici. » Ma noi non siamo nemmeno questo. Siamo due estranei costretti dalla sorte a formare un team sgangherato e senza possibili vie di salvezza all'orizzonte. Così, alla fine, si stringe nelle spalle, con palese rassegnazione, abbassando lentamente gli occhi verso la penna che continua a girare, prima di spostarli nuovamente sui fogli. « Quindi torno al mio lavoro, se non ti dispiace. » Giusto nel caso non ti fossi accorta che stavo facendo altro prima che entrassi qui. « Immagino che Ginny prima o poi si stuferà, a meno che tu non voglia provare a buttarti dalla finestra ancor prima che lei ceda. » Fa un cenno con la penna verso la finestra dietro il divanetto, sulla destra, a fianco del caminetto. « In quel caso...saranno si e no quindici o sedici metri di volo in caduta libera. » Rialza lo sguardo, un'espressione neutra sul volto nell'incontrare quello di lei. « E il San Mungo non è così lontano dopotutto. Hai all'incirca un 10% di possibilità di salvezza. » Fa un veloce conto mentale, dandosi per soddisfatto del risultato ottenuto. « Forse anche qualcosina in meno. Ovviamente il tutto dopo qualche buon mesetto di immobilità totale a letto. Nel migliore dei casi. » Beh, che la fortuna sia con te nel caso tu decida di optare per questa via.
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    La prima volta che Lexie si era tinta i capelli di uno sgargiante verde acqua, i suoi genitori l’avevano definita ”una fase”. Si era trattata di una fase anche quando l’avevano scoperta a rientrare di nascosto dalla finestra alle prime luci dell’alba o quando si era presentata al matrimonio della cugina Brittany con una scollatura vertiginosa e a braccetto di una prorompente fanciulla di nome Agatha. Per quanto ce la mettesse tutta per farsi notare, loro avevano occhi solo per suo fratello e i suoi successi in qualsiasi cosa facesse. Crescendo, Alexandra aveva cominciato a nutrirsi delle attenzioni che le venivano rivolte fuori dalle mura domestiche, e più ne riceveva, più le sue gonne si facevano più corte, i suoi tacchi più alti, i suoi capelli più appariscenti. Volente o no, d’altronde, si era ritrovata ad affrontare anche l’altra faccia della medaglia, gli sguardi indignati e il peso della reputazione che si era ricamata addosso, come un maglione aderente impossibile da levar via. Giorno dopo giorno la sua pelle si era irrobustita, come i polpastrelli di un musicista o i palmi di un giocatore di Quidditch. Non faceva più tanto male. Eppure, in quel momento, in piedi davanti alla scrivania di Adam Lindstörm, Lexie si sentiva come se fosse stata spedita nell’ufficio del Preside per qualcosa di tremendamente sbagliato. Avrebbe voluto abbassare lo sguardo per cercare di sfuggire a quella sensazione di disagio che si sentiva addosso, grattarsela via come uno strato di pelle di troppo. Era come se l’ennesima fase venisse ignorata. Avrebbe voluto urlare. Strappargli quei dannati fogli dalle mani e ridurli in migliaia di piccolissimi pezzi. Essere notata. Invece rimase lì, al suo posto, come se le suole delle scarpe si fossero appiccicate al pavimento. Fu solo dopo un tempo che a lei parve interminabile che lui decise di rivolgerle un briciolo di attenzione. « Oh sì, è tutto un grandissimo e strategico piano architettato alle tue spalle. Che occhio, ci hai proprio scoperti! » Si morse la guancia per costringersi a restare in silenzio. « Di certo non è un giochino che ho orchestrato io, no. » Chiaramente. I ricordi di quella sfuriata fuori dal locale erano confusi e le sensazioni ampliate a causa dei troppi drink mandati giù. Forse, alcune cose non erano neppure successe così come se le ricordava. Adesso non voleva più essere guardata. Si sentiva esposta, fragile, vulnerabile. Quando lui le fece cenno di accomodarsi, lei non si mosse comunque. Si sentiva sbagliata, lì dentro, un elemento di disturbo, uno schizzo di colore in una tela immacolata. « Immagino che la mente criminale di mia sorella vorrebbe che parlassimo come due persone adulte e in una situazione idilliaca ti chiederei se ti va di aprirti per parlarmi di tutto ciò che ti frulla nella testa. Magari parlare delle tue paure. O di quali siano, specificatamente, le cose che odi così tanto di me. » Le cose che odi così tanto di me. Odiare. In quel momento erano molte le cose che odiava. Odiava l’idea di essere finita in trappola, come un topolino attirato dal formaggio, odiava che la sua migliore amica l’avesse ingannata in quel modo, odiava sentirsi sul punto di andare in mille pezzi, odiava il suo sguardo che sembrava giudicarla per ogni piccolo particolare. Per la sua postura, per i suoi vestiti così in contrasto con l’arredamento circostante, per il modo in cui il suo labbro inferiore aveva inavvertitamente tremato. O magari non era affatto così. Magari era lei che stava giudicando sé stessa. Ma cosa le faceva più male? Essere giudicata o essere ignorata? Non saperlo la faceva infuriare ancora di più. « Ma non vuoi che ti tratti come uno dei miei pazienti, l'hai sottolineato alla perfezione. Come se non fosse comunque un comportamento usuale da usare con i propri..amici. » Roteò gli occhi, scuotendo piano la testa, mentre sulle sue labbra compariva un sorrisetto sarcastico. Probabilmente stavano pensando la stessa cosa. Poi lo osserva mentre lui riabbassa gli occhi sulle sue scartoffie. Sul serio? Aveva davvero intenzione di fingere che lei non ci fosse? Aveva davvero la capacità di ignorare quell’elefante dai colori sgargianti intrappolato dentro la stanza? Fanculo, fanculo, fanculo. Avrebbe voluto rovesciare la scrivania. « Quindi torno al mio lavoro, se non ti dispiace. » Come, scusa? « Immagino che Ginny prima o poi si stuferà, a meno che tu non voglia provare a buttarti dalla finestra ancor prima che lei ceda. » Magari mi butterò davvero. Forse allora alzerai gli occhi da quella roba, chissà. Incrociò le braccia sotto il petto. « In quel caso...saranno si e no quindici o sedici metri di volo in caduta libera. » Quando lui rialzò gli occhi, lei sostenne il suo sguardo, senza fare neanche una piega. « E il San Mungo non è così lontano dopotutto. Hai all'incirca un 10% di possibilità di salvezza. Forse anche qualcosina in meno. Ovviamente il tutto dopo qualche buon mesetto di immobilità totale a letto. Nel migliore dei casi. » Respira. Si impone quel comando e ne frattempo un sorriso canzonatorio va a stamparsi sulla sua faccia, come a volergli comunicare il suo non divertimento con spiccato sarcasmo. Seguono alcuni attimi di silenzio e poi, con passi decisi, Lexie si avvicinò alla finestra, scostando la tenda con le mani per lanciare un’occhiata di sotto. «Sai, principessa..» poggiò la spalla contro il muro, poggiando il peso sulla gamba corrispondente. «.. Non sarebbe la prima volta che mi trovo costretta a sgattaiolare via da una finestra..» Un sorriso sghembo ed una sciabolata di sopracciglia, come a voler marcare un sottotesto non detto ma inequivocabile. Per un attimo valutò davvero quel salto nel vuoto, testarda come un mulo. Dovette accettare il fatto che senza bacchetta, però, sarebbe stato impossibile uscirne indenni. L’opzione non era valutabile. Respira. Si chiese se Adam non la stesse leggendo. Aveva sentito dire che gli psicologi sanno tutto sul linguaggio del corpo, riuscendo a leggere le emozioni dietro ogni gesto. Tutto ciò la faceva sentire come se in qualche modo dovesse comportarsi e muoversi come un robot per non lasciar trapelare niente. Era una sensazione spiacevole. Desiderava con tutta sé stessa accendersi una sigaretta, così tanto che le formicolò la punta delle dita. Riprese a camminare lungo il perimetro della stanza, un passo alla volta, con lentezza, le mani infilate nelle tasche posteriori della gonna aderente. Fece scorrere lo sguardo lungo la costola dei tomi voluminosi posti ordinatamente sugli scaffali, carezzandoli con gli occhi senza troppa attenzione come se li conoscesse già, come se fosse l’ennesima volta che ricalcava lo stesso percorso. Pensò a quella pista di automobiline che per anni era rimasta in mezzo al salotto. Formava un otto perfetto e le automobili ripetevano sempre lo stesso giro, ancora e ancora. Poi suo padre ci aveva messo un piede sopra e, nonostante i pianti di suo fratello, l’avevano dovuta buttare via. Si sentiva quell’automobile. Sperava solo di non essere calpestata. Inspirò ed espirò in modo fiacco. La sua mente stava ancora elaborando l’accaduto. Passo dopo passo cresceva in lei la coscienza di non avere una via di fuga. Fuga. Uscita. Uscita. Fuga. Dubitava di sapere quale parola calzasse meglio. Si chiese se Adam la stesse ancora guardando. Marciava in modo anonimo, per paura che il suo modo di fare trasmettesse qualcosa di più di quanto avrebbe voluto. Era con le spalle al muro e non le restava che una cosa da fare: passare al contrattacco. Fanculo chi dice che il miglior attacco è la difesa. Per Lexie Cooper il miglior attacco era l’attacco. Girò sui tacchi, in un solo movimento, sfilando le mani dalle tasche e posandosele sui fianchi, mentre procedeva verso la poltrona davanti alla scrivania del lycan sulla quale si lasciò
    931f642696ad7885ed089c80e6b6f90f0da07777
    cadere in modo disordinato emettendo un sonoro respiro. Accavallò le gambe, la punta del piede che si muoveva di qua e di là. Solo allora puntò nuovamente lo sguardo verso Adam. «Il tuo ufficio è dannatamente noioso, principessa Poteva benissimo rimanere in silenzio. Starsene lì, aspettare che -come aveva detto lui- Ginny si stancasse e venisse a riaprire quella porta, così che lei potesse riprendersi la bacchetta e tornarsene a casa. Si era ripetuta più volte che non era stata colpa sua se l’ultima volta la loro discussione era finita in quel modo. Lei in un certo senso ci aveva provato. In un senso decisamente sgangherato, scardinato e forse un po’ criptico, ma un passo avanti lo aveva fatto. Che di punto in bianco, lui pensasse persino che ci fossero motivi ben più profondi e personali che la spingessero a prodigarsi per la causa queato era troppo. «Non che mi aspettassi qualcosa di diverso.» Frecciatine da scuola elementare, non c’è che dire. Non le importava. Voleva solo attaccare, destarlo da ciò che stava facendo e farlo concentrare solo su di lei. Esibizionista. Incrociò le braccia al petto. «Parlare delle mie paure..» Ripensò alle parole pronunciate da lui precedentemente, poggiando la testa contro lo schienale, facendo scivolare lo sguardo lungo il soffitto intonso, come se pensasse di trovare lì una risposta adatta. Vuoi giocare allo psicologo, Adam? Allora giochiamo. «Ho una paura folle di andare nello spazio, eppure da piccola il mio sogno era diventare un’astronauta. E mi piacciono anche quelle cose tipo astronomia e astrologia, quindi è un po’ un controsenso, non credi?» E cominci pure la sagra dei no sense. «Non mi piace il numero otto. Non direi che ne ho paura, ma non mi piace affatto. Ah, si e anche il ventiquattro secondo me ha qualcosa che non va. Come il colore beige.. Ma dico, è davvero un colore?» Si strinse nelle spalle, esagerando un’espressione dispiaciuta. Avrebbe potuto continuare all’infinito. «E non parliamo della paura di diventare calva. Oh, caspita. Mi batte forte il cuore se ci penso.» Posò le mani all’altezza del petto, come a voler enfatizzare il concetto. E’ questo che vuoi? «E perfavore non parliamo della paura di non riuscire a pagare l’affitto.» annuì con apprensione, come a voler sottolineare il concetto. «Non perché la paga da barista sia scarna, ma perché amo i piaceri della vita, è forse un peccato?» Sventolò le ciglia un paio di volte, esagerando un’espressione innocente che strideva chiassosamente con i suoi vestiti. «Posso continuare, se vuoi..» Poi, improvvisamente, la sua espressione si fa più seria. «Puoi fermarmi quando credi che siamo diventati abbastanza amici..» Ma noi non siamo nemmeno questo. Siamo due estranei costretti dalla sorte a formare un team sgangherato e senza possibili vie di salvezza all'orizzonte. «A quel punto puoi parlarmi tu delle tue paure mentre ci facciamo le treccine..»


    Edited by along come lexie. - 31/5/2021, 09:26
     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    «Sai, principessa..Non sarebbe la prima volta che mi trovo costretta a sgattaiolare via da una finestra..» L'espressione che si dipinge sul volto di Adam è piuttosto eloquente e facilmente traducibile con un "Ma no, dici davvero? Non l'avrei mai detto, giuro!" In fondo è lei stessa a volergli sbattere quel concetto in faccia, una silenziosa richiesta d'attenzioni, l'ennesima da quando è entrata nell'ufficio dall'aria precedentemente più distesa e piacevole. Di certo, se la ragazza si aspetta che lui faccia qualcosa per fermarla, lui rimane ben saldo nella sua posizione, ancorato alla sua poltrona decisamente comoda e dalla quale non ha intenzione di staccarsi per qualche altra buon'ora, non prima di aver anche solo inquadrato meglio il da farsi con Elsa. Mi raccomando, se devi fare qualcosa di stupido, fallo in silenzio, grazie. Pensa, ma non dice seppur le lanci un'occhiata di tanto in tanto, lievemente infastidito dal suo non aver accettato di sedersi. Il saperla gironzolare e vagare nella sua stanza lo rende irrequieto, forse perché ora la variabile è vagante, libera di muoversi nel suo spazio, senza alcun controllo. Per questo gli occhi ghiaccio la cercano, quasi costretti, per capire cosa stia facendo. Non potevi semplicemente sederti e farmi lavorare in pace? No, certo che no. Perché se da una parte lui rimarca il suo spazio, rivendicando il suo diritto al silenzio e al lavoro, lei d'altro canto ricerca su di sé le sue attenzioni. Una reazione mai uguale ma sempre contraria. Quando i suoi occhi la ricercano, nota comunque un comportamento strano. Lexie vuole la sua attenzione sì, ma quella di Adam uomo e non quella di Adam psicologo. Si muove in maniera bizzarra, quasi robotica, tanto che il suo corpo sembra non esprimere altro che una copertura superficiale senza alcuna emozione. Si sta camuffando per non essere letta. Un angolo delle labbra si alza in quella che appare essere una smorfia mentre riabbassa lo sguardo, gli occhi che si concentrano per la ventesima volta sulla stessa riga di parole. Passano altri istanti in cui il solo rumore presente nella stanza è quello della penna che continua a girare tra le dita della sua mano destra. Rumore che viene seccamente spodestato dal sospiro annoiato della rossa non appena, finalmente, decide di sedersi. «Il tuo ufficio è dannatamente noioso, principessa. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso. » « Per quanto mi addolori sentirtelo dire, immagino me ne farò una ragione. » Risposta secca che non la lascia quasi finire di parlare tanto ha urgenza di uscire, come a voler tagliare corto quella che è certo, già sul nascere, essere l'ennesima scenetta di Alexandra Cooper. «Parlare delle mie paure..Ho una paura folle di andare nello spazio, eppure da piccola il mio sogno era diventare un’astronauta. E mi piacciono anche quelle cose tipo astronomia e astrologia, quindi è un po’ un controsenso, non credi?» Adam si sente annoiato ancor prima che la rossa finisca la prima frase, pronunciata con una certa dose di sarcasmo. Non segue l'effettivo filo del discorso, certo che non ci sarà niente di utile di cui conversare seriamente essendo quella nient'altro che la solita attuazione del suo tipico piano di fuga. Capitolo primo: il diversivo. Una pratica in cui la ragazza ormai eccelle a tal punto da farlo anche con una certa boria, giustificando persino a se stessa la superbia con la quale lo sta apertamente sfidando, prendendo non solo in giro lui ma persino la sua professione, per lui sacra. «Posso continuare, se vuoi..Puoi fermarmi quando credi che siamo diventati abbastanza amici..A quel punto puoi parlarmi tu delle tue paure mentre ci facciamo le treccine..» Deglutisce, Adam, socchiudendo appena le palpebre per la pesantezza con la quale quell'intera situazione gli si sta riversando addosso. Ginny, cazzo, fa che non ti abbia sotto il naso per tanto, davvero tanto tempo. La penna interrompe il suo circolo vizioso, lasciando che il silenzio nella stanza, improvvisamente, sia puro e pulito. Alza gli occhi allora, inclinando la testa di lato, l'espressione estremamente seria. « Sono certo che ti stia divertendo davvero tanto a prendermi per il culo. Mi farei una sincera risata con te se fossi effettivamente interessato alle tue cazzate. » Ma non lo sono. Mi stupisco del fatto che tu ne sia così tanto interessata. La trafigge con gli occhi chiari, con i lineamenti talmente induriti da sentire la tensione accumularsi lungo la mandibola, tanto da portarlo a staccare le due arcate dentarie, per rilassarle un poco. « Quindi, per quanto mi riguarda, se non hai altro di effettivamente valido da dirmi, puoi anche fermarti qui. Il tuo superbo sarcasmo me lo risparmio davvero volentieri mentre, d'altro canto, il silenzio è un habitat che mi è sempre molto caro. » So perfettamente che tu invece lo detesti, ma questo non è un mio problema di certo. Le fa poi un cenno verso la libreria davanti alla quale è passata
    efa7a33581a4abe616b975b9efeef85c45fae136
    giusto qualche istante prima. « Se cerchi bene tra i tomi, deve esserci anche qualcosa sull'astronomia. Riconnetterti con la te bambina potrebbe essere un interessante e illuminante passatempo mentre aspetti l'intervento divino di mia sorella. » Si accorge soltanto in quel momento di quanto persino le sue orecchie avvertano il distacco freddo con il quale le si rivolge. Pensa di poterci mettere una pezza, di provare a smussarsi, leggermente, quando poi si chiede a che pro farlo. Che senso avrebbe? A lanciarle l'ennesimo amo con il quale farmi prendere per i fondelli? Ci riesce già perfettamente da sola. La testardaggine, alla fine, prende il sopravvento, con le dita che tornano alla carica sulla penna che prende nuovamente a vorticare tra i suoi polpastrelli. Il suo meccanismo di difesa e allo stesso tempo di rilassamento. Si concentra sul movimento ciclico, gli occhi che vi si fissano per istanti che gli appaiono interminabili prima di tornare a farli scivolare in quelli di lei. Ne stabilisce un contatto duraturo, anche questo che continua per dei secondi o addirittura dei minuti, fintanto che il moro si ritrova a scuotere il capo, con fare amareggiato. « A differenza tua, non ho paura di morire perché l'ho desiderata con tutto me stesso tre anni fa. » La penna continua ad essere l'unico elemento disturbante nel silenzio di tomba che segue quelle parole che formulano la risposta ritardataria ai discorsi di Lexie di quella sera. Prende il discorso a bruciapelo, senza un minimo di preparazione. Semplicemente apre la bocca e va. Come fa sempre. Poche parole ma buone. « Ho sperato di essere al posto di Eve. Ho sperato, se non potevo essere al suo posto, di poterla perlomeno raggiungere perché un mondo senza di lei non valeva niente. Il guardarmi allo specchio, guardarmi negli occhi, così simili ai suoi, me stesso come un costante promemoria della sua morte, mi ha fatto desiderare di essere altrove. Di pensare ad un modo per non essere più qui e farla finita, per non riprovare ancora e ancora la sua morte dentro di me non appena chiudo le palpebre. » Ne parla con tutta la pace del mondo perché è un capitolo della sua storia di cui non va particolarmente fiero, è vero, ma che ha elaborato nel tempo, con le buone e le cattive. Alla fine la penna si ferma, di nuovo, con le dita che si incontrano sopra i fogli di Elsa, intrecciandosi. Gli occhi che continuano a rimanere fissi in quelli scuri di lei, abbandonandosi al bisogno spasmodico di ancorarsi a qualcosa. « Non c'è niente di spavaldo e coraggioso, solo una motivazione per rimanere saldo, per stringere i denti fintanto che li senti sgretolarsi ed essere la persona di cui Isak, Elsa e Ginny hanno bisogno. » Ognuno è la motivazione di qualcun altro. Ne è fermamente convinto. Perché nessuno è un'isola e le relazioni umane sono quanto c'è di più forte sulla faccia della Terra. Lo sguardo si fa leggermente più permissivo con un angolo delle labbra che sale verso l'alto per un vago sorriso. « Se vuoi le treccine, comunque, mi dispiace deluderti, non so farle. »
     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    « Sono certo che ti stia divertendo davvero tanto a prendermi per il culo. Mi farei una sincera risata con te se fossi effettivamente interessato alle tue cazzate. » «... O se non avessi sempre un palo infilato su per il culo.» Il tono di voce leggero come il battito di ali di una farfalla e lo sguardo innocente, prepotentemente in contrapposizione a quelle parole uscite un po’ per prenderlo in giro, un po’ per ribadire un concetto che più volte gli aveva detto. Piegò la testa di lato, poggiandola al morbido ed imbottito schienale della poltrona. Teneva il mento all’insù, come se da quella posizione riuscisse a vederlo meglio, ad avere una piena e chiara visuale di lui, a leggere qualsiasi emozione attraversasse il suo viso. Nonostante la sua espressione tranquilla, Lexie non poteva fare a meno di sentirsi osservata, giudicata, esaminata. Era come trovarsi davanti ad una commissione d’esame. Una volta aveva letto una cosa che, forse per la sua bizzarria, le si era stampata nella mente. A un certo punto, negli anni Ottanta, avevano inventato delle palle per i maiali all’ingrasso nei recinti. Erano grandi e colorate e i maiali le facevano rotolare con i loro grugni. I commercianti di maiali dicevano che così migliorava il loro tono muscolare. I maiali erano curiosi, a loro piaceva avere qualcosa a cuoi pensare. Ora ricordava, era un libro di Babbanologia, dove c’era anche il capitolo sui topi in gabbia che si davano delle scariche elettriche per avere qualcosa da fare. E quello sui piccioni, addestrati a beccare un bottone dal quale usciva un chicco di mais. Erano divisi in tre gruppi: il primo otteneva un chicco ogni beccata, il secondo un chiocco una beccata sì ed una no, il terzo più o meno chicchi secondo il caso. Quando l’uomo, addetto all’esperimento, aveva bloccato l’uscita del mais, il primo gruppo aveva smesso di beccare quasi immediatamente, il secondo gruppo un poco più tardi. Il terzo gruppo non aveva mai smesso. Si sarebbero beccati a morte piuttosto che smettere, poiché non potevano sapere come funzionava quel meccanismo. In quel momento, Alexadra avrebbe tanto voluto avere una palla per maiali. « Quindi, per quanto mi riguarda, se non hai altro di effettivamente valido da dirmi, puoi anche fermarti qui. Il tuo superbo sarcasmo me lo risparmio davvero volentieri mentre, d'altro canto, il silenzio è un habitat che mi è sempre molto caro. » Sollevò le sopracciglia, per poi riabbassarle velocemente, puntandogli gli occhi contro come a volergli dire "Ma no, dici davvero? Non l'avrei mai detto, giuro!". Come ci riusciva a sopportare quel silenzio? Come riusciva a non sentirle? Già, a non sentire quelle voci che sussurravano, a volte gridavano, le dicevano cose che lei non voleva ascoltare. Cose che presto si sarebbero inevitabilmente avverate, premendo il dito e puntualizzando ciò che continuava a sbagliare. Quando lui le fece un cenno verso la libreria, non si scompose. « Se cerchi bene tra i tomi, deve esserci anche qualcosa sull'astronomia. Riconnetterti con la te bambina potrebbe essere un interessante e illuminante passatempo mentre aspetti l'intervento divino di mia sorella. » Le è impossibile non notare il tono in cui Adam pronuncia quelle parole. Ciò che le ci vuole è la prospettiva, l’illusione di profondità creata da una cornice, una sapiente disposizione di forme sopra una superficie piatta. La prospettiva è necessaria, altrimenti ci sono solo due dimensioni, altrimenti vivi con la faccia pigiata contro una parete, un enorme piano di dettagli come quando in una fotografia vedi la trama di una stoffa, le molecole di un viso. La sua stessa pelle come un diagramma di futilità, una mappa attraversata da stradine che non portano da nessuna parte. Ma Lexie si trovava lì e non c’era scampo. Il tempo era una trappola e lei c’era chiusa dentro. Si sente così, bidimensionale, schiacciata dal gelo nella sua voce. Quindi è qui che siamo arrivati. Non vuole soffermarsi a pensare come questo la faccia sentire, come si senta dopo una risposta simile. E no, le parole non c’entrano perché alla fine se ne sono dette di peggio. Ma c’era qualcosa nel tono della sua voce che faceva apparire tutto in modo diverso. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quella stanza, Lexie Cooper era rimasta senza parole. Forse, alla fine, era la cosa migliore da fare: starsene in silenzio, come aveva detto lui, nell’attesa che Ginny si stancasse e tornasse ad aprire quella porta. Lo osserva giocherellare con la penna, come se nulla fosse, come le avesse chiesto qualcosa sul tempo o sul weekend appena trascorso. E forse è proprio questo, per quanto ogni cellula del suo corpo si stia concentrando per negarlo, che le fa più male. Quando lui la fissa di nuovo, lei rimane immobile, sopprimendo il desiderio di alzarsi e valutare davvero quel salto dalla finestra. Si, perché la sua presenza si sta facendo ingombrante. Ingloba la stanza e le rende impossibile ritagliarsi uno spazio sicuro, lontano da quegli sguardi di sufficienza ai quali dovrebbe essere abituata. « A differenza tua, non ho paura di morire perché l'ho desiderata con tutto me stesso tre anni fa. » Vorrebbe sembrare più impassibile, dare l’impressione che quelle parole non l’abbiano minimamente sfiorata, scalfita, ma i suoi occhi si spalancano appena e il suo stomaco riceve un colpo simile a quella volta in cui si azzuffò con Terry Maddison alle elementari. Tre anni fa. La sua mente stava spaziando, provando a ricollegare gli eventi ed è nel momento in cui si rende conto che lui ricomincia a parlare. « Ho sperato di essere al posto di Eve. Ho sperato, se non potevo essere al suo posto, di poterla perlomeno raggiungere perché un mondo senza di lei non valeva niente. [...] » Eve. Basta quel nome per scatenare nella mente un tumulto di ricordi, emozioni. Il dolore di Virginia, la confessione di Adam e il suo gene sin eater che si risveglia. Al solo ricordo di quella ammissione le pareva di avere la nausea. Ricordare il dolore di Virginia e ritrovarsi davanti quello di Adam è un dolore che le penetra la carne, quasi insostenibile persino per una come Alexandra.
    « Se vuoi le treccine, comunque, mi dispiace deluderti, non so farle. » E mentre lui sorride, lei non lo fa. Continuava a fissarlo negli occhi, in silenzio. Per la prima volta da quando è là dentro, non sa che dire. Ma se le sue labbra restano sigillate, la sua mente non smette di pensare, di rimuginare, di far girare gli ingranaggi celermente. Alcuni pensieri sono più blandi, sbiaditi, altri più forti, prepotenti, che faticano a rimanere al loro posto. Deve impegnarsi per ricordare a sé stessa di respirare. Qualcuno la sta implorando di distogliere lo sguardo, ma lei non lo fa. Ne ha bisogno per restare agganciata a terra, ancorata. Lui aveva fatto un passo avanti. Il minimo che poteva fare era contraccambiare nascondendo la parte più infantile di lei. Non sapeva se ci sarebbe riuscita. Inghiottisce a vuoto. Sa di star per intraprendere un cammino su di un terreno fragile, instabile, un pavimento fatto di uova fragilissime ed un solo passo falso avrebbe mandato tutto in mille pezzi. «Non puoi desiderare la morte ora come l’hai desiderata tre anni fa.» Scosse la testa, in maniera quasi impercettibile, sistemandosi con lentezza sulla poltrona, ancora inadeguata, sproporzionata. «E credo che neanche lei vorrebbe vederti in quel modo.» Avvolge il denti attorno al labbro inferiore, stringendolo appena. Forse non dovrebbe dire quelle cose. Forse dovrebbe mostrarsi più distaccata, meno coinvolta. «Hai tante cose per cui aggrapparti alla vita, adesso.. Hai Isak, hai Elsa, Gin, hai..» ”Hai”? Inghiottisce a vuoto, scuotendo di poco la testa. «... Tanto per il quale vale la pena restare vivo.» Pensa a loro. Non sopravviverebbero ad un’altra perdita. Una prematura dipartita dell’erede al trono di Svezia non sarebbe passata sicuramente inosservata, da nessuno. Il suo nome avrebbe riempito le pagine dei giornali per settimane. E per te, Lexie? Probabilmente nessuno si accorgerebbe se tu sparissi. Già. Nel caso fosse accaduto, sicuramente qualcuno se ne sarebbe uscito dicendo che se lo aspettava, che era solo questione di tempo. Alexandra Cooper era sempre stata sicura di non avere una lunga prospettiva di vita. Forse l’avrebbe uccisa la droga, forse il fumo, forse qualcuno per strada. Ma da qualche tempo a quella parte, anche altre probabilità si stavano srotolando davanti a lei. E se le altre non la spaventavano più di tanto perché le conosceva, perché aveva imparato a conviverci, quelle nuove l’avevano colta in modo del tutto inaspettato. Si accorse che aveva distolto lo sguardo. Ne fu sorpresa: non si era resa conto di averlo fatto. «Credo..» si schiarì la gola, rialzando gli occhi, incrociando quelli chiari di lui, così diversi dai suoi. «... Che rivederla in te non dovrebbe essere un promemoria della sua morte, ma della sua vita. E penso che sia felice di sapere che i suoi figli sono al sicuro con te e Gin.» Silenzio. Si sentiva come se avesse detto troppo, come se avesse allungato la punta del piede verso un luogo sconosciuto, mai calcato fino a quel momento. «E comunque.. Non mi sono mai piaciute le treccine.»

     
    .
  6.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    La situazione si fa strana, lo avverte non appena comincia a parlare. D'improvviso, senza aspettarselo minimamente, confondendo persino se stesso nel voler condividere qualcosa con Alexandra. Non con l'arrabbiatura ancora cocente, pronta a corrodergli il fegato dall'interno. Ma dopotutto, seppur sappia di essere un enorme orgoglioso, nel tempo una cosa l'ha imparata, riuscendo anche a metterla in pratica, di tanto in tanto, senza lasciarla lì, nell'angolo del proprio cervello a prendere polvere. Disinnescare. E' questo che fa con Lexie nel momento stesso in cui apre bocca, completamente inconsciamente, ma lo fa. Fa un passo indietro, mettendo da parte quel bisogno di primeggiare, di imporre la propria supremazia ad ogni costo, cercando di ampliare il proprio campo visivo, donandole un pezzo di sé affinché anche lei possa farlo insieme a lui. Eccomi, mi vedi? Sono anche questo. E l'atmosfera si carica, si ricopre di una coltre di elettricità statica che ha origine nel battito inizialmente accelerato di lei non appena si rende conto di ciò che lui sta dicendo davvero. Molti sarebbero portati a vergognarsi nel parlare con una simile chirurgica sincerità, nel percepire lo stupore e il disagio tra le maglie dei battiti cardiaci di chi sta loro di fronte, eppure Adam sembra essere quasi spronato a continuare, non per metterla ulteriormente in difficoltà, ma per concludere il discorso che nella sua testa è ben delineato e finalizzato, assai egoisticamente, a portarla ad aprirsi con lui allo stesso modo. Un do ut des vicendevole. Quello che è sicuro di star ricevendo nel momento in cui lei, semplicemente, non abbassa lo sguardo. Questa volta non lo distoglie, fuggendo quanto più lontano possibile da lì, pronta a scappare dall'ennesima situazione "troppo grande per me", alla ricerca spasmodica di qualcosa che la faccia semplicemente interrompere la connessione, rendendo tutto più facile e appagante. Almeno sul momento. No, continua a guardarlo con una certa - giustificata - dose di incredulità negli occhi, rimanendo seduta sulla poltroncina, forse intenta a formulare qualcosa da poterle dire. E io che credevo che dopo questa saresti davvero saltata dalla finestra, impensabile. «Non puoi desiderare la morte ora come l’hai desiderata tre anni fa. E credo che neanche lei vorrebbe vederti in quel modo.» Annuisce, lentamente, lasciando che la penna cada definitivamente dalle sue mani, rotolando per appena qualche secondo prima di trovare la sua stabilità tra un foglio e la costa di un libro di psicologia sociale. Annuisce un po' a tutto. Annuisce sapendo che Eve lo vorrebbe vivo e saldo, pronto ad armarsi per difendere la loro famiglia. Quindi sì, non ha mai più provato quel desiderio spasmodico di togliersi vigliaccamente la vita per smettere di sentire ed essere. «Hai tante cose per cui aggrapparti alla vita, adesso.. Hai Isak, hai Elsa, Gin, hai..» Lo sguardo di lui, improvvisamente, si illumina di curiosità nel sentirla interrompersi, fissandola mentre sembra non sapere come continuare, come se la parola che vorrebbe dire non fosse quella giusta. Come se fosse quella sbagliata nel contesto. Ho "te"? Ma ti ho mai avuta davvero? «... Tanto per il quale vale la pena restare vivo.» Arriccia le labbra, quasi deluso dal come la ragazza ha deciso di proseguire la frase, tanto da portarlo ad appoggiarsi allo schienale morbido della sua poltrona. Se volesse analizzare il proprio corpo, direbbe che da una certa predisposizione al dialogo con l'altro è appena passato sulla difensiva, aspettando che sia l'altro a fare il prossimo passo. «Credo..Che rivederla in te non dovrebbe essere un promemoria della sua morte, ma della sua vita. E penso che sia felice di sapere che i suoi figli sono al sicuro con te e Gin.» Il passetto verso di lui, Lexie, sembra effettivamente farlo, lasciando che il suo lato più infantile indietreggi per cercare di venirgli incontro con le sue migliori intenzioni, pronta a confortarlo con una scelta di parole gentili che, l'Adam di qualche sera prima avrebbe giurato che non potesse in alcun modo appartenergli. Perché l'altra sera c'eravate solo te, i tuoi bisogni, le tue paure e le tue voglie prima di chiunque. Prima di qualsiasi cosa. «E comunque.. Non mi sono mai piaciute le treccine.» Abbozza un sorriso, Adam, lasciando che le caviglie si incrocino sotto la scrivania, allungando le gambe con attenzione, non volendola urtare. « Isak sarebbe così deluso nel sentire una simile cosa. » Butta lì, scuotendo il capo. « Un paio di giorni fa mi ha proprio raccontato di quanto gli piacciano. "Perché ce l'ha sempre Tessa, la bambina dalle trecce rosse". » Il sorriso si fa più genuino e caldo, come fa sempre quando parla di quelle due mini creature preziose. Un sorriso che traballa leggermente non appena si sofferma su altro, allontanandosi dai pensieri belli. « Non ho più pensato di volerla far finita. » Dice poi, incupendo nuovamente l'atmosfera, bisognoso di arrivare al dunque che si è prefissato, gonfio della sua solerzia. « Proprio perché ho tanto qui, da custodire e proteggere allo stesso tempo. Per il quale vivere. » Si sente la bocca improvvisamente arida nell'accorgersi di quanto si stia nuovamente sbilanciato in avanti, letteralmente con il peso, metaforicamente con quello che sente di voler dire. Così, di scatto, si alza in piedi, un movimento quasi meccanico, che sembra aver poco dell'umano tanto è repentino e scattoso. Si avvia all'angolo in cui ha svariate bottiglie, decidendo di andare per un paio di dita di bourbon. Fissa il liquido
    0fcab258a4a06c4948db7adcc1a88458a2b08bae
    riempire il bicchiere di vetro, domandandosi se sia il caso di invitarla nuovamente a servirsi. Alla fine non lo fa, un po' perché non vuole rovinare l'atmosfera lasciandole credere che la stia prendendo in giro, un po' perché alla fine, poco dopo aver agguantato il proprio bicchiere, ancor prima di portarlo alle labbra, parla. « Tu fai parte di quel tanto? » Domanda di getto, dandole ancora le spalle nel buttar giù un sorso e infine girarsi, una mano che si aggrappa al tavolino alle sue spalle. « Ti ho mai avuta davvero al mio fianco? Te, soltanto te, e non l'ombra del dovere che ci tiene legati indissolubilmente? Siamo davvero nient'altro che sconosciuti altrimenti? » C'è mai stato qualcosa di vero da parte tua? Un affetto sincero e non dettato dalle circostanze? C'è una parte di lui che lo vorrebbe a mordersi forte la lingua, lanciandosi poi con forza contro la porta per buttarla giù con la forza bruta dell'animale che, dormiente, cova dentro di sé affinché lei possa semplicemente andarsene via, come desiderava. Si riporta il bicchiere alle labbra me le umetta soltanto. « Perché se ci sei veramente e non tanto per dire, è anche per me che vorrei ti allenassi. Non solo per Ginny. » Che sentissi il bisogno di voler sopravvivere anche per me. C'è una parte di lui che è incredula nel sentirsi parlare, eppure continua, onesto e profondo come lo è stato poche volte in vita sua. « Dobbiamo imparare a fidarci l'uno dell'altra ed esserci. Davvero. Con tutto ciò che ne consegue. » Ingoia un'altra sorsata prima di muovere un passo e un altro fino a sedersi sulla poltroncina di fronte a lei. Si gira nella sua direzione, un'altra sorsata prima di poggiare il bicchiere sulla scrivania e agguanta i braccioli della sua per farla smuovere verso di sé, volendola guardare negli occhi. Le ginocchia di lei cozzano contro le proprie. Sorride, di uno di quei sorrisi pieni, di quelli di cui senti l'autenticità sulla pelle. « Anche il farsi vedere per come si è, spaventati, piccoli, sentendosi fuori posto la metà del tempo passato in Terra. » Puoi farlo per me? Puoi provare a farmi entrare?
     
    .
  7.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    « Isak sarebbe così deluso nel sentire una simile cosa. Un paio di giorni fa mi ha proprio raccontato di quanto gli piacciano. "Perché ce l'ha sempre Tessa, la bambina dalle trecce rosse". » Leggerezza fu ciò che comparve nel volto dapprima accigliato di Adam Lindstörm nel parlare del piccolo nipotino. Era un’espressione che Lexie non era avvezza a vedergli comparire in viso, non in sua presenza, quantomeno. Da quando si erano incontrati, la maggior parte dei loro dialoghi si era ridotta a spiccioli battibecchi, sia quando erano soli che in presenza di altre persone. Che ricordasse, era la prima volta che Adam sorrideva in modo così sincero durante una loro conversazione. Avrebbe voluto avere più tempo per esaminarsi, per capire come tutto ciò la faceva sentire. Da una parte avvertì un moto di disagio, imbarazzo, dovuto al fatto di non avere la più pallida idea di come si sarebbe dovuta comportare nel caso la situazione stesse prendendo una piega più leggera, spensierata, distesa, atipica tra di loro. D’altro canto, per qualche strana ragione, per un attimo si sente più leggera, come se lì non fossero un lycan ed una sineater, ma solo due giovani che facevano due chiacchiere. Solo Adam e Lexie. Ma è solo un attimo, nulla più, un leggero spiraglio di semplice quotidianità che svanisce nel giro di una manciata di secondi. Quel sorriso abbandona il volto del giovane Lindstörm lasciando spazio ad uno dal sapore più amaro, fino ad abbandonare completamente il suo volto. « Non ho più pensato di volerla far finita. » Una frase che ha il sapore di una confessione e Lexie impersonifica l'uomo di fede con cui Adam sta facendo ammenda. « Proprio perché ho tanto qui, da custodire e proteggere allo stesso tempo. Per il quale vivere. » Avrebbe voluto annuire a quelle parole, dare almeno un piccolo cenno di approvazione, ma aveva l’impressione di non riuscire a muoversi: era inchiodata a quella poltrona. Lo segue con lo sguardo mentre ripensa a quelle parole. E lei ce lo aveva? Uno scopo, un fine che le desse la volontà di aggrapparsi alla vita con le unghie. Aveva sempre dato tutto per scontato. Lo sente mentre traffica con le bottiglie e si versa da bere. In un’altra situazione non avrebbe perso tempo a raggiungerlo per fregargli il bicchiere di mano, ma non stavolta. Stavolta sentiva come il pressante bisogno di restare lucida. « Tu fai parte di quel tanto? » Lo sguardo della Cooper guizzò dall’altra parte della stanza, infrangendosi contro le spalle del licantropo. Le sue palpebre si erano leggermente allargate e le pupille rimpicciolite, come se nella stanza si fosse accesa una luce accecante. Il suo labbro inferiore tremò appena, come se stesse per dire qualcosa, ma poi ci avesse ripensato. La verità era che quella domanda l’aveva colpita alla sprovvista, come uno schiaffo. Tu fai parte di quel tanto? Ne fai parte, Lex? Perché non me lo dici tu, principessa? Non c’era ironia in quel pensiero. Quando lui si volta, Alexandra si accorge di non riuscire a staccare gli occhi dai suoi, consapevole di non avere idea di cosa leggerci dentro. « Ti ho mai avuta davvero al mio fianco? Te, soltanto te, e non l'ombra del dovere che ci tiene legati indissolubilmente? Siamo davvero nient'altro che sconosciuti altrimenti? » Forse se non mi fossi risvegliata in quel momento saremmo stati solo due sconosciuti che avevano condiviso una serata e poi se n’erano andati ognuno per la sua strada.. Non lo pensi anche tu? Inghiottisce a vuoto, in modo quasi impercettibile. Guardaci, Adam.. Siamo ciò che le persone definiscono “improbabile”. Un futuro re ed una emarginata della società non sono esattamente un buon binomio. « Perché se ci sei veramente e non tanto per dire, è anche per me che vorrei ti allenassi. Non solo per Ginny. » Ripensa alla loro chiacchierata, quella al locale, quella di cui ricorda solo alcuni sprazzi. Le luci colorate, la gente che balla ammassata, il sapore annacquato del suo drink. Il tizio in pista, la risata di Chris, gli occhi languidi di Allison e le accuse di Adam, il suo blaterale così diverso dal tono di voce usato in quell’istante. « Dobbiamo imparare a fidarci l'uno dell'altra ed esserci. Davvero. Con tutto ciò che ne consegue. » Fidarci l’uno dell’altra. Non era così semplice, si trovò a pensare. Volevi solo divertirti. Quindi fai veramente altro nella vita al di fuori di questo? Dovevi divertirti, staccare dalla sbronza di due giorni fa? Da quella di quattro giorni fa? Oppure da quella di sei giorni fa? Qualcosa la costringe ad abbassare lo sguardo, qualcosa che fa male infondo allo stomaco. Per un attimo ha voglia di alzarsi e valutare nuovamente quel salto dalla finestra. Come fai a fidarti se pensi queste cose di me? Lo sente mentre prende posto nella poltrona al suo fianco. Alza lo sguardo di scatto quando le braccia di lui entrano nella sua visuale, aggrappandosi ai braccioli della poltrona e trascinandola in avanti. Si ritrovò a guardarlo dritto negli occhi, più vicino di quanto si aspettasse. Sente le ginocchia di lui cozzare contro le proprie. Frena l’impulso di scattare all’indietro, di sfuggire ai suoi occhi che paiono cercare nei suoi qualcosa che lei non sa. Semplicemente resta immobile quasi a voler dimostrare qualcosa a sé stessa. « Anche il farsi vedere per come si è, spaventati, piccoli, sentendosi fuori posto la metà del tempo passato in Terra. » Cala il silenzio per quelle che paiono ore. Lexie aveva come l’impressione che lo studio si fosse rimpicciolito, che le pareti si fossero spinte verso il centro della stanza, creandole un senso di confusa claustrofobia. Per un attimo desiderò essere lontana, seduta in uno sgabello di un bar, facendo gli occhioni dolci a qualcuno a caso per farsi offrire qualche shot di tequila. Magari era quello ciò che si meritava. Ne era fortemente convinta. Aprirsi con qualcuno era sempre stato per lei un pensiero assurdo. Aprirsi con Adam era qualcosa che non le era mai passato per la testa e ora lui le stava
    chiedendo di farlo. Lui l’ha fatto con te. Respirava in modo superficiale. Il suo petto si alzava e riabbassava appena. Lui si è aperto con te. «Non è mai un bene che io faccia parte di quel tanto..» Qualcuno ha detto che porto solo guai. Si umettò le labbra dipingendoci sopra un sorriso amareggiato, l’espressione più sincera che avesse mai fatto da quando aveva messo piede in quella stanza. Prese fiato, riempiendo i polmoni d’aria. Non dimenticarti di respirare. Infondo era come togliersi un cerotto: prima si fa meno dolore si sente. «Guardaci, Adam. E’ più che evidente che non saremmo stati altro che due sconosciuti.» si strinse nelle spalle, tirando le labbra il una linea dritta, rigettando in quelle parole una pesante consapevolezza. Tu avresti detto di me che ero una da poco e io avrei detto di te che eri uno snob con la puzza sotto il naso. «Sappiamo entrambi come sarebbe andata quella sera. Ti avrei scroccato un paio di drink e poi non ci saremmo più visti.» si strinse nelle spalle, come a voler sottolineare l’ovvio. Sbuffò perfino un piccolo sorriso, che andò a scemare dalle sue labbra in pochi secondi. Aveva paura perchè in quella partita lei era una pedina sacrificabile. Nessuno aveva davvero bisogno di lei, infondo. Era una di quei personaggi di cui nessuno parla quando racconta una storia. «La verità è che io non ho così tante cose per cui valga la pena rimanere viva...» Ammettere a voce alta un pensiero che fino a quel momento esisteva solo nella sua testa, fece più male di quanto si aspettasse. Si morse il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo senza sapere bene dove piazzarlo. Ovunque, ma non su di lui. Aveva paura di sapere cosa avrebbe potuto leggergli in faccia. «... E questo mi terrorizza..» Le parve di percepire chiaramente l’esplosione di quella consapevolezza, di quella verità lanciatagli addosso facendola sentire esposta e vulnerabile. «Perché se odio parlare di cose serie, odio che tu mi sbatta in faccia le verità che non voglio sentire è perché se solo mi fermassi per un attimo, se scendessi da quella giostra che gira e rigira veloce su se stessa, probabilmente avrei una visione più chiara di quello che ho e comincerei a farmi delle domande.» Domande a cui non voglio dare una risposta. «Quindi si, è più facile passare da una festa all’altra, da una sbronza a quella successiva, godendomi l’attimo, senza dovermi mettere davanti ad uno specchio a fare un esame di coscienza.» La vita di Lexie era fatta di approssimazioni. Legami approssimati, relazioni approssimate, amicizie approssimate. Pochi erano i caposaldi che le permettevano di non allontanarsi troppo, di non abbandonarsi alla marea, di restare a galla. Se l’era sempre fatta bastare. Si nutriva di briciole, convincendosi che per vivere non aveva bisogno di altro. Sopravvivere, non vivere. Si, a volte le bastava quello. «E poi pensaci.. Non è vantaggioso avere una persona come me al proprio fianco durante una situazione di pericolo.. Chi ti dice che nel panico totale non sarei in grado di Smaterializzarmi e tagliare la corda?» Infondo sei sempre stata brava a scappare dalle tue responsabilità, Lex. «Io non..» Sospirò, lentamente, e fu solo in quel momento che risollevò lo sguardo puntandolo sugli occhi di lui, ancora impaurita da ciò che ci avrebbe potuto trovare. «Io non sono una guerriera o qualcosa del genere..» Alzò appena le spalle, per poi riabbassarle subito dopo. «Io stessa non credo di sapere cosa sono..»

     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    223
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    «Non è mai un bene che io faccia parte di quel tanto..» Dopo attimi di puro silenzio, alla fine Alexandra parla, con un tono di voce che sembra tentennare, indecisa forse se continuare su quella strada, quella del parlare e probabilmente aprirsi. La presa delle mani di Adam si fa più salda sui braccioli della poltroncina dove siede lei, un automatismo quello che sembra voler creare una sorta di gabbia intorno alla ragazza, come a dirle che non può più scappare, che ora è costretta a parlare, volente o nolente. Per questo, quando se ne accorge, scioglie di scatto le dita, come se il metallo sotto di esse fosse incandescente. Le fa scivolare via, tornando alla loro posizione naturale sopra le sue ginocchia. «Guardaci, Adam. E’ più che evidente che non saremmo stati altro che due sconosciuti. Sappiamo entrambi come sarebbe andata quella sera. Ti avrei scroccato un paio di drink e poi non ci saremmo più visti.» Inarca le sopracciglia, non aspettandosi da lei un discorso tanto probabilistico. Generalmente è lui il matematico, quello che analizza le cento e una possibilità, come la probabilità potrebbe incidere sul mondo che lo circonda. Non è una cosa che ha mai sentito fare da Lexie, perlomeno non con lui e la cosa, effettivamente, lo sorprende. « E quindi? » Sbotta fuori continuando a mantenere saldo il contatto visivo. « Okay, partiamo dall'assunto che c'è una possibilità in cui potevamo essere due sconosciuti, non incontrarci mai e continuare ad essere due perfetti sconosciuti. Ce n'è anche un'altra secondo la quale ci saremmo incontrati, tu ci avresti provato -» sorride allora, evidentemente divertito «- per continuare a farti offrire da bere tutta la sera e poi, probabilmente annoiata, saresti svanita nel nulla lasciandomi lì, con il barista a cui avrei fatto pena e avrebbe continuato a offrire drink fino al mattino. » Abbozza una risata, palesemente atta a smorzare la tensione che si è andata creando nella stanza, la stessa di cui si sta ammantando la rossa, facendosene talmente tanto carico da essere evidente nel non riuscire a trovare nemmeno una traccia della sua solita scintilla negli occhi scuri. « Non si è verificata nessuna delle due ma anzi si è andata avverando quella forse più complicata. E' questa la realtà che dobbiamo imparare a maneggiare, non le possibilità. Perché vorresti ostinarti a remarvi contro? » A che pro? « Non so te, ma trovo più intelligente incontrarsi a mezza strada e scoprire insieme un modo per collaborare. » Una mano torna ad agguantare il bicchiere per bere un altro sorso. « Anche perché sarebbe un dispendio inutile di energie quando è evidente che quelle che abbiamo dovremmo indirizzarle tutte verso lo stesso punto. » Torna serio e razionale. Per quanto Adam non sia prettamente un uomo da grande team collaborativo, essendo essenzialmente il tipo di persona che invece lavora benissimo in singolo, la Guerra Civile prima e la Guerra Santa poi gli hanno insegnato fin da subito quale fosse la priorità sopra la quale nemmeno il suo egoistico orgoglio dovrebbe minimamente pensare di sovrastare. «La verità è che io non ho così tante cose per cui valga la pena rimanere viva...E questo mi terrorizza..Perché se odio parlare di cose serie, odio che tu mi sbatta in faccia le verità che non voglio sentire è perché se solo mi fermassi per un attimo, se scendessi da quella giostra che gira e rigira veloce su se stessa, probabilmente avrei una visione più chiara di quello che ho e comincerei a farmi delle domande.» Non apre bocca mentre lei parla, non la interrompe per dirle che l'aveva in parte già compreso, perché comprendere i meccanismi che smuovono le persone a comportarsi in un determinato modo fa parte del suo essere. Che fosse estremamente spaventata è più che evidente, ma è il perché che lo lascia interdetto. Perché non avrebbe mai detto che Alexandra non abbia quel motivo, quel pensiero fisso e vivido sul quale tenere puntato lo sguardo per tentare in tutti i modi di arrivare a fine giornata vivo, quello a cui ti aggrappi con le unghie e con i denti. C'è una parte di lui che prova una sensazione particolare e ben distinta, che somiglia tanto ad un improvviso senso di colpa nel non essere riuscito fino a quel momento a servirgli quel motivo. Non siamo abbastanza per riuscire a salvarti dalle tue paure? Si gratta di scatto la nuca, mentre una mescolanza di emozioni gli ribollono nelle vene. C'è del rimorso, dell'orgoglio, della compassione e della rabbia. Un altisonante contrasto che lo vorrebbe trascinare da una parte all'altra, che lo vorrebbe far scoppiare in bene o in male. «Quindi si, è più facile passare da una festa all’altra, da una sbronza a quella successiva, godendomi l’attimo, senza dovermi mettere davanti ad uno specchio a fare un esame di coscienza.» Perché è questo che pensi, mh? Che ti sarà concesso scappare per sempre da te stessa? E pensi che questo sia vivere? « Perché pensi di essere venuta al mondo per scappare? La vita, per definizione, non è una cosa facile. Non puoi zittirti per sempre, non potrai nascondere tutti gli specchi con un panno nero fino alla tua morte. Facendo così non sei nemmeno il 5% di te stessa, ti stai reprimendo, stai mutando fin troppo. E non sentire nulla non è vivere. Sei ingiusta con te stessa facendoti così gratuitamente del male. » La voce ha riacquistato il tono pieno e deciso seppur vi sia ancora una vellutata pacatezza, un voluto contrasto che spera le faccia rialzare lo sguardo senza chiederglielo esplicitamente o costringerla a farlo. «E poi pensaci.. Non è vantaggioso avere una persona come me al proprio fianco durante una situazione di pericolo.. Chi ti dice che nel panico totale non sarei in grado di Smaterializzarmi e tagliare la corda?» Rimane impassibile quando i suoi occhi lo fissano, lasciandosi soltanto andare all'indietro sulla poltrona. «Io non..Io non sono una guerriera o qualcosa del genere..Io stessa non credo di sapere cosa sono..» Il moro porta le dita a congiungersi, con i polpastrelli uno contro l'altro proprio di fronte al viso, mentre la fissa. « Virginia è una guerriera secondo te? » Le chiede poi, dopo attimi di silenzio. « Perché l'ultima volta che ho controllato mi sembrava tutto il contrario. Anzi, se possibile, è persino contro la violenza gratuita. » E' lei che ha ereditato tutto il buono che c'era nei geni
    7c5820b851a0b9b3b9b162f1381695f5162de95b
    della nostra famiglia.
    « E di nuovo: non ti sto chiedendo di farlo perché ti voglio al mio fianco affinché tu possa farmi da spalla, scudo o quello che puoi star pensando. Non mi interessa questo, se te ne volessi andare, smaterializzandoti più lontano possibile, cosa potrei mai dirti? Non è per sentirmi le spalle protette che te lo sto chiedendo. » Stira gli angoli delle labbra in un sorriso bieco. « Non ti chiedo di essere in prima linea, di scendere in battaglia convinta degli ideali di una guerra in cui non credi. Ti chiedo solo di darti una chance, qualche possibilità in più. Di allenarti per sapere perlomeno come sopravvivere, ti si dovesse presentare l'occasione. » Perché, anche se decidessi di remarmi contro, di non darmi retta, io proverò a salvarti, nonostante tutto. Ma non è detta che ci riesca per sempre. E' nell'affrontare la Loggia in passato che Adam si è sentito sotto esame, ci si è messo volutamente reputandosi, infine, mancante e fallibile come mai si era sentito o si era giudicato prima. Un'altra amara lezione alla quale aveva dovuto piegare il capo, accettando una verità più grande di lui, alla quale poteva fare ben poco. E' allora che si sbilancia in avanti, in un bisogno di ordine improvviso che lo porta a muovere il mignolo sotto una ciocca di capelli ramati che le cade davanti agli occhi. Fa ben attenzione a non sfiorarla mentre la porta all'indietro, fin quando non la incastra dietro l'orecchio. E a quel punto è ad una spanna dal suo viso. « Ho la certezza che mi porta a pensare che perlomeno Virginia e i bambini rientrano nelle motivazioni che hai per rimanere viva. Se non per te stessa in primis, puoi provare almeno per loro? » Non gli è sfuggito di certo il fatto che Lexie ha volutamente glissato la questione "Fai parte del mio tanto?", defilandosi dal discorso come un'anguilla nel mare. L'orgoglio gli impone perlomeno di uscirsene con dignità, non tornando a ricalcare un qualcosa che ha lei ha così deliberatamente ignorato. « Non chiedo altro. » La mano ricade nuovamente sul bracciolo mentre i loro occhi sembrano incatenati gli uni agli altri. Per degli attimi di silenzio che alla fine infrange con una schiarita di voce. « Ovviamente Ginny non deve sapere niente di tutto..-» smuove la mano tra di loro, facendosi nuovamente indietro sulla poltroncina per poi alzarsi in piedi, in una risata «- questo. Non sopporterei sentirla gongolare per dei giorni per essere riuscita nel suo intento con un piano tanto infantile. »
     
    .
  9.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    153
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Con la coda dell’occhio vede le dita di Adam stringersi più forte attorno ai braccioli della poltroncina in cui è seduta. A quella distanza teme che anche un’azione banale come respirare possa comprometterla. Perché sì, ha la sensazione di essere in gabbia, messa con le spalle al muro da tutte quelle insicurezze e quelle paure che per anni aveva chiuso da qualche parte, ignorando le loro voci e il loro sbraitare dietro le sbarre. Ora se le sentiva strisciare addosso, comprimerla come se volessero soffocarla. Prova a lottare, ma l’unica cosa che pensa di voler fare è scappare. Magari anche i licantropi sentono dolore quando qualcuno gli assesta un pugno al setto nasale. Erano state tante le volte in cui avrebbe voluto colpire Adam. C’erano momenti, durante le loro discussioni, che le mani cominciavano a pizzicarle, come se stessero morendo dalla voglia di andare a posarsi con violenza nella guancia del principino di Svezia. Ricordava di averlo spintonato via durante qualche discussione, una volta gli aveva persino pizzicato un braccio, ma dentro di sé sapeva che non avrebbe mai potuto fargli del male. Quella consapevolezza, però, vacillò nell’istante in cui si trovò senza via d’uscita e quell’istinto primitivo ed animalesco di sopravvivenza scalpitava per venir fuori, come quello di un animale selvatico, suggerendole che quel salto dalla finestra non era poi così alto. Percepiva il passare di ogni secondo, scandito sulla sua pelle come se fosse qualcosa di vero, di concreto. Ma prima che potesse succedere qualcosa, Adam tornò al suo posto, restituendo alla ragazza la sensazione di aver ripreso a respirare. « E quindi? » E quindi? Non era brava a rispondere ai perché. Doveva esserci sempre un perché alla fine? « Okay, partiamo dall'assunto che c'è una possibilità in cui potevamo essere due sconosciuti, non incontrarci mai e continuare ad essere due perfetti sconosciuti. Ce n'è anche un'altra secondo la quale ci saremmo incontrati, tu ci avresti provato -» Lexie alzò un sopracciglio, con estrema lentezza, come se nel farlo si stesse ripetendo nella mente la frase da lui appena pronunciata. Ah, si certo. Io ci avrei provato. Se non ricordo male è stato qualcun altro a pensare di fare lo splendido confessando roba che ha finito solo per farmi vomitare merda sull’asfalto. «- per continuare a farti offrire da bere tutta la sera e poi, probabilmente annoiata, saresti svanita nel nulla lasciandomi lì, con il barista a cui avrei fatto pena e avrebbe continuato a offrire drink fino al mattino. » Lui rise e lei roteò gli occhi, scuotendo poco la testa mentre con un sospiro alzava e riabbassava le spalle, per un attimo più rilassata dall’aspetto goliardico che la conversazione aveva assunto per una frazione di secondo. Le sembrava di essere sulle montagne russe. « Non si è verificata nessuna delle due ma anzi si è andata avverando quella forse più complicata. E' questa la realtà che dobbiamo imparare a maneggiare, non le possibilità. Perché vorresti ostinarti a remarvi contro? » Forse perché Lexie era sempre stata dannatamente brava a scappare da tutto. Perché complicarsi inutilmente la vita? Era tutto così facile in quel modo. Nessuna responsabilità, niente su cui rimuginare nel caso qualcosa dovesse andare storto. Nessuno da deludere. Si, era tutto semplice in quel modo. Se nessuno si fosse creato aspettative su di lei, nessuno sarebbe rimasto sorpreso nel caso non fosse andata com’era nei piani. Lexie era sicura che i suoi genitori avessero cominciato a ragionare in quel modo fin dal suo primo anno ad Hogwarts. Arrabbiarsi o fare promesse si era rivelato del tutto inutile: Alexandra Cooper non avrebbe mai potuto aspirare ad essere la prima della classe o addirittura Prefetto, strade già varcate da suo fratello che aveva alzato l’asticella ad un punto troppo in alto che aveva levato alla minore persino il desiderio di provarci a raggiungerla. Se anche solo avesse tentato non sarebbe stata altro che una brutta copia sbiadita del Cooper venuto prima di lei. E allora perché farlo? Tanto valeva essere completamente un’altra persona, qualcuno a su cui gli altri non avrebbero scommesso, il cavallo perdente a cui nessuno badava ma che tutto sommato aveva sicuramente una vita più facile. A Lexie quella condizione piaceva. A dire la verità anche troppo. Ci sguazzava dentro e ciò la faceva sentire serena. Non si sarebbe mai aspettata che la vita avesse qualcosa di diverso in serbo per lei, come se le avesse voluto presentare il conto di tutti quegli anni di divertimenti e di non dover niente a nessuno. Quando voleva, la vita era davvero una merda. « Non so te, ma trovo più intelligente incontrarsi a mezza strada e scoprire insieme un modo per collaborare. » Lo guarda bere. Quando parla di nuovo il suo alito sa di bourbon. « Anche perché sarebbe un dispendio inutile di energie quando è evidente che quelle che abbiamo dovremmo indirizzarle tutte verso lo stesso punto. » E’ evidente. E’ palese, è certo. E’ come se quella valanga di prospettive che per anni era riuscita ad allontanare le si fossero nuovamente fiondate contro, sommergendola, facendole mancare l’aria. Era chiaro, come quella vocina insolente ed insistente che le ripeteva quanto aprirsi con lui non fosse affatto una buona idea. Cosa le era saltato in mente? Si stava mostrando debole, una pappamolle, qualcuno che lei stessa avrebbe preso a schiaffi. Non voleva essere trattata come una sua paziente, questo glielo aveva ribadito a lungo, eppure era lei stessa a presentargli su un piatto argentato la possibilità di farlo. Adesso era una qualunque, una squilibrata con un evidente problema di insicurezza e con tendenza al masochismo. Si sente a disagio, come non ricorda di esserlo mai stata prima d’ora. Si sta mordendo la guancia così forte, ma non le importa. Non sente dolore. « Perché pensi di essere venuta al mondo per scappare? La vita, per definizione, non è una cosa facile. Non puoi zittirti per sempre, non potrai nascondere tutti gli specchi con un panno nero fino alla tua morte. [...] Sei ingiusta con te stessa facendoti così gratuitamente del male. » «Bhè, chi se ne frega, ok? ... Non è questo il problema..» Quella domanda le venne fuori d’istinto, come se fosse chissà quanto tempo che fremevano dietro le sue labbra, ma poi, rendendosi conto del modo brusco con cui aveva pronunciato quelle parole il resto era stato quasi un borbottio. Aveva abbassato lo sguardo, le sopracciglia crucciate, senza riuscire a nascondere troppo il disagio che quelle parole avevano scaturito in lei. Qualcosa di profondo, qualcosa di intimo che non le piaceva affatto. Non siamo qui a parlare di me.. Non frega a nessuno quanto io sia ingiusta con me stessa.. Non importava neanche a lei, o almeno questo era quello che si era detta fino a quel momento. Si perché Adam stava scavando a fondo, più in là di quanto lei avrebbe voluto dargli il permesso di fare. Si agitò sulla poltrona, come se fosse diventata improvvisamente scomoda, per poi sistemarsi un po’ più indietro, con la schiena dritta. Non le piace il modo in cui lui la guarda, la scruta, i polpastrelli uniti e lo sguardo fisso su di lei. Non riesce a non sentirsi esaminata. Ha la sensazione di trovarsi sotto una gigantesca lente di ingrandimento in grado di leggerle in profondità, contro la quale lei non può fare assolutamente niente se non restarsene lì, inerme. Vorrebbe distogliere ancora lo sguardo, ma non lo fa. Il suo orgoglio scalpita. « Virginia è una guerriera secondo te? » I suoi occhi si spalancano appena. Non si aspettava quella domanda, è evidente. Ma è contenta che la discussione si sia spostata verso qualcosa che non siano i suoi problemi. « Perché l'ultima volta che ho controllato mi sembrava tutto il contrario. Anzi, se possibile, è persino contro la violenza gratuita. » Si trovò a pensare che aveva ragione. Ginny era senza dubbio una delle persone più gentili che la Cooper conoscesse. Nonostante fossero due caratteri completamente opposti non riuscì a pensare ad una sola volta in cui principessa fosse stata scortese con lei. L’aveva sempre seguita nei suoi capricci, senza giudicarla, tirando spesso fuori una pazienza tale che Lexie riteneva impossibile contenerla in una sola persona. Ora che tutto sembrava così chiaro, si chiese cosa Ginny ci vedesse in lei e come potesse esserle amica. « E di nuovo: non ti sto chiedendo di farlo perché ti voglio al mio fianco affinché tu possa farmi da spalla, scudo o quello che puoi star pensando. [...] Non ti chiedo di essere in prima linea, di scendere in battaglia convinta degli ideali di una guerra in cui non credi. Ti chiedo solo di darti una chance, qualche possibilità in più. Di allenarti per sapere perlomeno come sopravvivere, ti si dovesse presentare l'occasione. » E se non me la meritassi quella chance? Non glielo stava chiedendo, era vero, ma qualcosa dentro di lei, una vocina che sentiva a malapena forse perché non voleva darle peso, le disse che nel caso si fosse trovata in una situazione simile, si, probabilmente avrebbe lottato al suo fianco. La vita di Adam era sicuramente più importante della sua. Lui aveva dei bambini a cui badare e una Nazione che aveva grandi aspettative e speranze su di lui. Tu invece cos’hai? La scelta, tra i due, era facile. E allora che lui si sporge in avanti. Lexie lo guarda come se lo avesse percepito ancor prima di vederlo. Non sapeva se fosse vero o no, frutto o no di ciò che erano, ma in qualche modo, dopo quella chiacchierata, aveva come l’impressione di sentire qualcosa che si era fatto più concreto, quasi da poterlo sfiorare. Si accorse di quella ciocca solo nel momento in cui lui glielo spostò da davanti agli occhi portandogliela dietro l’orecchio. Non ricordava l’ultima volta che erano stati così poco distanti senza litigare. « Ho la certezza che mi porta a pensare che perlomeno Virginia e i bambini rientrano nelle motivazioni che hai per rimanere viva. Se non per te stessa in primis, puoi provare almeno per loro? » Non riesce a non notare a quanto il suo viso sia troppo vicino al proprio e a come lui si sia tirato fuori da quel discorso, nominando solo Virginia e i bambini. Vorrebbe chiedergli perché, ma non riesce. Per la prima volta, Lexie Cooper non riesce a rispondere a tono
    al lycan davanti a lei. « Non chiedo altro. » Lo guarda ancora, in silenzio, finché non annuisce. Dapprima è solo un cenno impercettibile, ma poi ne ricalca uno più profondo, come se quella fosse una consapevolezza dalla quale non poteva tirarsi indietro. «Si.. Posso provare..» Pronunciare quelle parole significa per lei molto più di quanto voglia dare a vedere. Alexandra era sempre stata particolarmente brava ad inventare baggianate. Aveva mentito quando all’asilo si era azzuffata con Melanie Gillian e aveva convinto la maestra che non era stata lei ad iniziare. Aveva mentito quando aveva detto a Jackson Turner che lo avrebbe amato per sempre. Aveva mentito quando aveva detto di non capirci niente di Pozioni solo per farsi dare ripetizioni da Olivia Canon. Quella volta, però, sapeva che quelle poche parole erano per lei un punto di arrivo ma allo stesso tempo anche un punto di partenza. Era successo qualcosa dentro quella stanza, ma forse doveva ancora realizzare il tutto, punto dopo punto. Poi tutto cambia, come un colpo di vento che gira la pagina di un libro. « Ovviamente Ginny non deve sapere niente di tutto..questo. Non sopporterei sentirla gongolare per dei giorni per essere riuscita nel suo intento con un piano tanto infantile. » Lo segue con lo sguardo mentre lui si alza. Osserva la risata che si infrange contro le sue labbra, prima come un sussurro, poi più forte. Era una risata sincera. Era cambiato qualcosa, se lo ripeté di nuovo. Sorrise anche lei, come di rimando, un topolino che segue il pifferaio. Le pare quasi di percepirle quella stessa leggerezza. Posò la mano destra sul cuore e l’altra l’alzò verso l’alto, come nel giuramento di un giovane boyscout. Con il dito indice della mano posata sul petto tracciò una “x”. «Croce sul cuore.» Ginny era la sua migliore amica, ma quella sarebbe stata comunque una soddisfazione troppo grande da darle, soddisfazione che, giustamente, l’avrebbe fatta esultare per un bel po’. Si alzò anche lei dalla poltrona, le gambe che dovettero riabituarsi al suo peso, come se dopo quella conversazione non avesse più concezione del suo peso: più leggera o più pesante. «Non farci l’abitudine però, principessa...» piega la testolina in parte, guardandolo andandogli incontro per poi superarlo e dirigersi verso il minibar alle spalle di lui. «Non sono sempre zucchero e arcobaleni.» Ah, quindi questa conversazione sarebbe stata tutto “zucchero e arcobaleni”? Si strinse appena nelle spalle mentre prendeva un bicchiere servendosi lo stesso bourbon di cui aveva sentito l’odore nell’alito di Adam. Si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi mentre mandava giù un sorso di alcolico. Avrebbe avuto molto su cui ragionare una volta uscita da lì.
     
    .
8 replies since 19/5/2021, 23:15   249 views
  Share  
.