I ain’t nobody’s problem but my own.

Zoe/Vicky - Gruppo Peverell

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.      
     
    .
    Avatar

    Junior Member
    ★★

    Group
    Member
    Posts
    69
    Reputation
    0

    Status
    Waiting!
    Come le porte dell’ascensore si aprirono una ventina di persone, tra segretarie, fattorini e impiegati, si riversarono rumorosamente nella hall del Gruppo Peverell, disperdendosi nelle più svariate direzioni, ognuno assorto nei propri pensieri. Superando a passo deciso un ragazzo magro e dinoccolato infilato in un completo di un paio di taglie più grandi che lo facevano sembrare un bambino travestito con gli abiti del padre, Zoe s’infilò nell’ascensore un attimo prima che le porte si chiudessero e, facendosi largo tra la gente, pigiò il bottone che indicava il quinto piano - che, al pari di quelli del primo, del terzo e del quarto, si illuminò – ed arretrò, gettando un’occhiata veloce all’orologio posizionato sopra l’entrata. L’una e trentasette. Erano passate circa sei ore da quando aveva preso la passaporta per tornare a Londra dall’Irlanda, un’ora da quando aveva lasciato l’ufficio di Giselle dopo una mattinata frenetica e rallegrata da imprevisti e crisi isteriche sventate per miracolo, e quasi un giorno intero dall’ultima volta che aveva consumato un pasto degno di essere considerato tale. Sospirò silenziosamente, scrutando il proprio rifesso nella parete a specchio; seppur impeccabile come sempre, i lineamenti pieni erano più tesi del solito e, con suo grande disappunto, la lieve increspatura nella pelle liscia tra le sopracciglia tradiva un barlume di apprensione. Come se poi avessi qualcosa per cui sentirmi in colpa. Quella ingiustamente accusata sono io. Piano dopo piano, osservò i numeri spegnersi con un misto di determinazione e rassegnato scontento. Non vedeva Vicky dalla sera del Golden Match e, seppur la loro conversazione si fosse svolta in maniera più brusca di quanto Zoe aveva pianificato, l’americana non aveva cercato di spezzare il silenzio in alcun modo. Al contrario, indispettita e in preda ai fumi dell’alcol, con la complicità di qualche sostanza offertole da Tux, aveva rimuginato contro Victoire e le sue sdegnose accuse, mentalmente e ad alta voce, crogiolandosi nella sua stessa autocommiserazione sul divano di Whitehall Place, in compagnia di una vaschetta di gelato al caramello salato e della tragica esistenza di Rossella O’Hara in Via col vento. Si era addormentata così, ancora vestita di tutto punto e col cucchiaio in mano, per poi essere bruscamente svegliata alle luci dell’alba da Hugo che si sbatteva alle spalle la porta, più trafelato del solito; solo al momento della colazione era venuta a conoscenza dell’arresto di James, riportato a caratteri cubitali e con tanto di foto sulla prima pagina della Gazzetta. Aveva appena iniziato a lisciare con insistenza una piega invisibile nello scollo della camicetta, in un gesto che compiva spesso nel vano tentativo di scacciare il nervosismo, quando il suono delle porte che si aprivano la riscosse. Zoe si raddrizzò immediatamente, lasciando l’abitacolo ormai vuoto e dirigendosi verso la reception al centro della stanza, i tacchi sottili che risuonavano sul liscio pavimento di marmo passo dopo passo. Si fermò in prossimità del bancone, là dove una ragazza castana stava freneticamente battendo al computer. Attese qualche secondo, infine si schiarì la voce con una certa insistenza. Sorpresa, la ragazza alzò lo sguardo su di lei e si affrettò ad alzarsi. « Benvenuta al Gruppo Peverell, posso aiutarla? » Zoe stirò un sorriso sibillino. « Sono Zoe Finnigan. Devo vedere Victoire. » La giovane le rivolse un’occhiata confusa, prima di sfogliare alcune pagine di un block notes malconcio dove, probabilmente, erano stati annotati gli impegni del giorno. « Mi spiace, non ne sapevo nulla. Avevate un appuntamento? » Infastidita, Zoe prese a tamburellare sul bancone con le dita smaltate di rosa confetto. Negli ultimi tempi la sua pazienza era già stata messa a dura prova sin troppe volte. « Sono un’amica di famiglia. Non ho bisogno di un appuntamento. » Giuro che se non la pianti di farmi perdere tempo ti faccio ingoiare tutto il block notes. « Mi dispiace ma Miss Weasley ha chiesto espressamente di non essere disturbata. Se si vuole accomodare un attimo fors- » Ma Zoe aveva già smesso di ascoltarla: a dispetto dei generosi tacchi aggirò rapidamente la reception, reggendo saldamente il contenitore con due bicchieri di caffè con la mano destra e dondolando la borsa firmata nell’incavo del braccio sinistro, con tutta l’intenzione di ignorare quella fastidiosissima seccatura. Era giunta a pochi metri dalla porta dell’ufficio di Vicky, il cui nome spiccava chiaramente sulla targa, che la segretaria le sbarrò il passaggio. « Sul serio? » Sbottò, con una prima nota d’isteria nella voce. E poi cosa hai intenzione di fare, placcarmi come un giocatore di football? La squadrò da capo a piedi con aria contrariata, le labbra sovrapposte nel broncetto infastidito che, negli anni, si era rivelato estremamente efficace tanto nel rabbonire gli uomini quanto nell’irritare le donne. « Senta, si accomodi… » L’altra si sporse nella sua direzione per invitarla a proseguire in direzione delle comode poltroncine della sala d’attesa e Zoe si ritirò bruscamente, sfuggendo al suo tocco. « Karl. » Replicò, con aria eloquente, per poi roteare platealmente gli occhi al cielo quando la sua interlocutrice non parve cogliere il suo riferimento. Sbuffò, sempre più impaziente. Merlino. Sei proprio un caso disperato. Dove hai vissuto negli ultimi vent’anni? « La borsa, tesoro. È uno degli ultimi modelli disegnati da Karl Lagerfeld. » Sollevò le sopracciglia, come per sottolineare il concetto. Perle ai porci, in questo caso. « Se non ti dispiace, il cappuccino si sta raffreddando. » Stava per sorpassarla – con tanto di generosa spallata, se necessario – quando lo sguardo chiaro ricadde sulla figura familiare di Victoire in prossimità della porta. « Vicky! » Trillò, forse con un po’ troppa enfasi, accompagnando le parole con un sorriso smagliante e perfettamente studiato. « Ho deciso di approfittare della tua offerta di passare a trovarti. » Il tono di voce si sciolse, improvvisamente più dolce e affabile, e Zoe si premurò di incrociare lo sguardo della segretaria, rivolgendole un sorrisino compiaciuto; poi, sollevò nuovamente gli occhi in direzione di Victoire. « Ho portato il caffè. » Sarai anche una stronza e un’ingrata, ma mi rifiuto di fare la figura della maleducata quando tuo cugino è chiuso ad Azkaban. Senza più degnare la segretaria della minima attenzione, allungò a Victoire il bicchiere contente la sua bevanda, seguendola nell’ufficio. « Carino. » Commentò, guardandosi attorno e appuntandosi mentalmente ciò che, nei suoi panni, avrebbe disposto diversamente. Sistemò Karl su una delle poltroncine vuote e si liberò della giacca, accomodandosi nell’altra, metaforicamente e fisicamente situa dal lato opposto rispetto all’amica d’infanzia. La guardò in silenzio per qualche istante, fissandola negli occhi come se fosse alla ricerca di qualcosa – un cedimento, forse, o una qualunque traccia di emozione. « Che ne dici, saltiamo i convenevoli e passiamo direttamente a lanciarti coltellate o rimandiamo a più tardi? » Fece una piccola pausa, senza realmente darle il tempo di rispondere. Nonostante avesse usato parole taglienti, per di più ricoperte di sarcasmo, il suo sguardo non era altrettanto fermo. Lo abbassò sul tavolo per una frazione di secondo, il tempo di un respiro.
    tumblr_inline_nw2axomDhy1qlt39u_250
    « Perché anche se muoio dalla voglia – davvero, credimi – c’è una questione più importante. » Una questione di cui nessuno di voi si è preso il disturbo di informarmi. Begli amici del cazzo. Per quanto detestasse ammetterlo, il fatto che nessuno l’avesse cercata o avvertita dell’arresto di James l’aveva ferita, non per orgoglio personale o egocentrismo, ma perché essere costretta a immischiarsi la faceva sentire un’intrusa, incollandole addosso la medesima spiacevole sensazione che, dall’infanzia in poi, aveva provato nei confronti di entrambi i suoi genitori. Prese a giocherellare con uno degli anelli che indossava, improvvisamente taciturna. Si inumidì le labbra, mentre la rabbia lasciava spazio alla preoccupazione. In quelle settimane aveva inviato qualche messaggio ad Albus ma, conscia di quanto il momento dovesse essere difficile per l’intera famiglia Potter, aveva mantenuto una delicata distanza. « La situazione è davvero così brutta come dicono, oppure si tratta di fango e disinformazione? » Sollevò lo sguardo ad incontrare quello dell’amica, l’espressione turbata. « Albus mi ha accennato qualcosa su James, ma… » Non era una questione di cui parlare per messaggio. « come sta? » Domandò infine, meno riottosa. Si passò una mano tra i capelli e si appoggiò allo schienale della poltrona, abbandonandosi ad un sospiro. James non è un assassino. Non possono davvero pensare che sia stato lui.



    Edited by ama[zoe]ing - 9/6/2021, 02:57
     
    .
0 replies since 9/6/2021, 01:03   48 views
  Share  
.