Butterflies and hurricanes

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    Dicono che il lutto passi per delle fasi ben definite e che di queste, la prima sia quella della negazione. È difficile concepire la totale assenza di qualcuno che è sempre stato nella nostra vita, e forse è ancora più difficile accettare su larga scala l'idea che questo destino spetti prima o poi a tutti quanti. Siamo consapevoli dell'inevitabilità della morte, ma è come se una parte di noi non ci credesse fino in fondo - proprio perché la morte, per sua definizione, è l'unica cosa di cui non si può avere esperienza. Raiden Yagami, tuttavia, di queste illusioni non ne aveva. Di perdite ne aveva subite fin troppe nella propria giovane vita per potersi concedere il lusso di un elaborato sistema fatto di passi scanditi volti ad elaborarle. La guerra fa questo effetto: quando la morte è ovunque, non hai più scuse per negarla - puoi solo accettarla il prima possibile e far sì che non impedisca la tua sopravvivenza. La tristezza rimaneva, la rabbia pure, ma il giovane Yagami si era immerso troppo a fondo in quell'infinito obitorio che era diventata la sua vita per illudersi che la morte fosse qualcosa di diverso da ciò che era davvero: inevitabile e orribilmente casuale. Non c'erano grandi disegni o messaggi del fato: la gente moriva e sopravviveva di continuo per puro caso. Anche lui era in vita per pura fortuna e testardo attaccamento alla vita. Io avrei dovuto essere là con loro. Sarei dovuto morire insieme a tutti gli altri. Questo era un pensiero che non poteva evitare, così come non poteva evitare nemmeno il senso di colpa che ne derivava - un senso di colpa che, in realtà, provava già da Settembre per il semplice fatto di aver voltato le spalle al proprio paese. In fin dei conti, un giuramento lo aveva fatto: proteggere il Giappone ad ogni costo, dare anche la propria vita se necessario. L'esercito, quel giuramento, lo aveva infangato, ma ciò non rendeva il principio di base meno valido. Non è la mia patria ad essere corrotta. Sono le istituzioni ad esserlo. Sono le persone che la guidano, ad aver tradito il proprio stesso popolo. La mia lealtà non è cambiata, così come non è cambiato il mio dovere nei confronti del Giappone. È solo cambiato il nemico.
    Chiuso nel suo ufficio ancora mezzo vuoto, lo stesso in cui un tempo si sedeva Byron Cooper, Raiden fissava il vuoto di fronte a sé, rigirandosi tra le dita la piuma d'oca dalla cui punta l'inchiostro si era ormai seccato. Riusciva ad immaginarseli bene, quegli uomini in uniforme, seduti da qualche parte a ridere e ubriacarsi per la buona riuscita della missione. Li vedeva con le guance e il naso rossi dall'ebbrezza, alzarsi barcollanti dalla propria sedia per brindare all'ingegno e al valore che li aveva portati a sterminare un'intera razza, lattanti inclusi. Andate via le colleghe donne, poi, si sarebbero spostati in un qualche night club, e in seguito avrebbero speso soldi in puttane di alta classe per coronare il tutto. Era così che andavano le cose. Fossi stato ancora lì, sarebbe stato semplice fargli saltare il cervello. Troppo impegnati a farsi venire il cazzo duro per rendersi conto di alcunché. Ma non era lì, e di certo non poteva andarci - non ancora, almeno. Sarebbe stato un rischio stupido. Doveva aspettare che le acque si calmassero e prepararsi il terreno senza lasciarsi tentare da azioni avventate. Anche per questa ragione aveva contattato Penelope; non sapeva quale fosse la sua disposizioni a riguardo dell'accaduto, ma era l'unica persona su cui potesse attualmente contare per fare giustizia. Certo, era tranquillamente disposto a portare avanti i propri piani anche in solitaria se necessario, ma avere degli alleati era decisamente più comodo. E qui nessun altro potrebbe capire. A nessuno importerebbe nulla. Se mi presentassi all'Alveare e chiedessi alle forze di Inverness di intervenire, mi direbbero che una cosa del genere sarebbe solo uno spreco di uomini. Probabilmente lo farei pure io, al loro posto. Non rischierei la mia gente per immischiarmi nella politica di un paese straniero. E quindi devo pensarci da me.
    Scoccate le cinque, Raiden diede un colpo di bacchetta alla pila di fogli sulla scrivania, ordinandoli con rigore per poter riprendere il lavoro il giorno successivo. Si allentò il nodo della cravatta fino a togliersela completamente. Rispetto all'estate giapponese, quella inglese era decisamente più fresca, ma ciò non toglieva che pur con quelle temperature non fosse piacevole avere la gola stretta da camicia e cravatta. Rigoroso com'era, però, non si sarebbe mai presentato a lavoro in una tenuta diversa dal classico completo, anche a dispetto delle maggiori libertà che i suoi colleghi si prendevano a riguardo. Tanto devi stare in ufficio per i cazzi tuoi, mica hai da far lezione - gli aveva detto il vecchiardo che deteneva la cattedra di Storia delle Arti Oscure, lo stesso che riteneva adeguato presentarsi a lavoro in polo e bermuda, rigorosamente con qualche ora di ritardo e con al fianco un paio di assistenti che parevano uscite da un catalogo di costumi da bagno. L'etica del lavoro nel vecchio continente non era esattamente quella a cui lui era abituato.
    Se uno dovesse guardare tutto con attenzione noterebbe quanto profondo sia lo schifo in questo mondo. Grande o piccolo che sia il difetto, la corruzione è sistematica. Con le mani affondate nelle tasche degli eleganti pantaloni scuri, furono quei pensieri ad accompagnarlo fin verso la Stamberga Strillante. Più ci rifletteva e più si rendeva conto di quante cose ci fossero da correggere nella società in cui viveva - che fosse quella orientale o quella occidentale. Ma anche le guerre vanno scelte, e di certo io non ho il potere o la presunzione di cambiare il mondo intero. Se uno dovesse correggere ogni torto non ne uscirebbe più.. e probabilmente non rimarrebbe più nulla.
    Giunto alla Stamberga, salì fino al piano in cui qualche mese prima si erano occupati del sicario mandato alle costole di Penelope. Entrò nella medesima stanza in cui avevano interrogato Aki e, come immaginava, la Shigeko era già lì. Della loro presenza precedente non vi era alcuna traccia - di questo se ne erano assicurati - ma ciò non toglieva che la Stamberga fosse comunque un ambiente piuttosto fatiscente già di per sé. Poggiò a terra la propria ventiquattrore, curandosi di non mettersi a sedere o appoggiarsi da nessuna parte. Per come era messo quel luogo, non dubitava che una trave potesse crollargli addosso da un momento all'altro. « Non capirò mai perché nessuno dica nulla su questo palese abuso edilizio attaccato ad una scuola piena zeppa di ragazzini. » Sollevò un sopracciglio con aria scettica, facendo scioccare la lingua contro il palato. E si vantano pure di essere la migliore istituzione scolastica nel mondo magico. Hanno una casa che crolla, un platano picchiatore, una foresta che pullula di ogni creatura magica concepibile e un'intera casata che vive nei sotterranei senza luce o finestre. A Mahoutokoro scattavano denunce per molto meno. Sospirò, riportando lo sguardo negli occhi della bionda e fissandola in silenzio per qualche istante. La scelta di tenere il contatto lycan chiuso gli impediva di sondare la sfera emotiva della Shigeko, ma sperava comunque di riuscire ad avere un dialogo abbastanza onesto con lei da non averne bisogno. E poi, nel caso in cui ne sarebbe uscito qualcosa di fruttuoso, avrebbe potuto considerare l'idea di aprire di tanto in tanto quel canale con lei. Ancora non riusciva a comprendere per quale ragione il proprio istinto lo portasse a fidarsi della Shigeko; certo, poteva razionalizzare il tutto come una comunanza di esperienze e sensibilità, ma sapeva bene che ciò non comportasse automaticamente la fiducia. Eppure la sentiva. Si schiarì la voce. « Perdonami se ti parlo in maniera informale. Mi fa strano fare diversamente, qui. » Anche se le stava parlando nella propria lingua madre, la quale avrebbe previsto l'uso di suffissi onorifici in base alla differenza d'età e al grado sociale, avrebbe trovato troppo bizzarro parlarle in quella maniera nel contesto in cui si trovavano. « Penelope? » Fece una pausa, scrutando il suo viso come se stesse cercando qualcosa di specifico. « Io non te l'ho mai chiesto, ma quando sei andata via dal Giappone? E perché lo hai fatto? »

     
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    Nulla era stato lasciato al caso, Penelope lo sapeva. Nulla. Una questione di minuti. Minuti per un genocidio. Minuti, per un genocidio. Un’agghiacciante verità con cui avrebbe dovuto convivere di lì in poi, per tutto il resto della sua vita.
    In qualche modo, dopo che l’inferno apparentemente era sfumato nelle quattro pareti spoglie della sua stanzetta negli alloggi degli studenti, era riuscita ad alzarsi da terra e a portarsi sul letto.
    Silenzio.
    Era rimasta sdraiata lì, sopra alle coperte, schiacciata su un fianco, appena rannicchiata per quelle che erano parsi minuti. Minuti.
    Si era dovuta alzare dopo ventidue ore, perché i muscoli della vescica minacciavano di trasformarsi in pietra — lo sentiva da parecchio, ma l’aveva ignorato fino all’ultimo.
    Rialzandosi in preda a dolori atroci aveva intravisto il suo riflesso fissarla nello specchio ovale posto sopra al lavandino — gli occhi sbarrati, circondati da aloni preoccupanti, la pelle traslucida, così sottile che Penelope immaginò di tagliarsela con un coltellino e separarsene per sempre. A che le serviva, in fondo? Sarebbe stato un sollievo potersi discernere dalla propria pelle, mutarla come i serpenti, uscire una persona nuova, senza passato, senza ricordi, ogni qualche mese. Una tabula rasa, rincominciare da zero ogni volta.

    Il messaggio di Raiden è stato, per Penelope, il primo contatto con la realtà dei fatti. L’aveva visto solo una volta ripreso il borsone in spalla, mentre con stanco si avviava fuori dal centro di addestramento, da cui il povero ragazzo all’ingresso aveva dovuto sbatterla fuori con una calma proverbiale.
    Penelope aveva accettato la sua proposta immediatamente.
    Supera i primi gradini, che scricchiolano nonostante il suo peso piuma, e sospinge delicatamente la porta poggiando solo tre dita sulla maniglia. Questa si apre per miracolo su uno spazio buio e stretto. Penelope si avvia verso il camino, tossicchiando con il polso di fronte alla bocca per la polvere che pare essere l’unica vera creatura ad infestare le quattro mura fatiscenti.
    Aspetta a salire. Sono solo le cinque — perché essere in orario non è abbastanza: per come l’ha sempre vista, arrivare in anticipo concede un vantaggio non indifferente. Cinque, dieci, venti minuti in più per assicurarsi di uscire vivi dalla situazione in cui ci si è cacciati. Loro non avevano avuto il lusso di poter arrivare in anticipo all’appuntamento con la morte. Loro non avevano avuto davvero alcun lusso, perché erano morti per strada come cani, o nell’intimità sacra delle loro case. Vicoli stretti e camerette disordinate, promesse infrante e saluti non pronunciati. Aveva passato ventidue ore — milletrecentoventi minuti, settantanovemiladuecento secondi — con loro. Sdraiata nel suo letto a camminare, ormai invisibile a qualunque anima viva, in mezzo alle macerie del massacro. A casa, ognuno sbrigava le proprie questioni in silenzio ed in famiglia. Penelope si è chiesta che ne sarebbe stato di coloro che erano morti da soli, quando qualsiasi passo che stampava sul suolo giapponese in realtà non lasciava alcuna impronta.
    Basta! È stanca di pensare. È stanca di soffrire. Se n’è andata per un’egoistica presa di posizione, e guarda a chi è costata. A volte vorrebbe davvero farsi lo scalpo per srotolare il suo cervello, e vedere che ne viene fuori, risucchiare ciò che non le piace di se stessa, come quella debolezza che scivola tra le crepe e minaccia di offuscare il suo giudizio. Piangere i morti è inutile, perché non ti sentiranno.
    Scatta in piedi, raggiungendo con un paio di pesanti falcate le scale. E per una volta non guarda dove mette i piedi, men che meno dove poggia le mani coperte dalle maniche della blusa. Conta i piani, conta i corridoi e le stanze, e trova piuttosto rapidamente la porta che conduce al piccolo vano in cui si sono occupati di Aki.
    Sbatte le palpebre, sulla soglia, cercando di sostituire le immagini, la realtà ai ricordi — era più brava, solo un anno fa. Più efficiente. L’Inghilterra l’ha rammollita masticandosela per mesi tra le gengive, e poi sputata fuori come la brutta copia di se stessa.
    Il rumore della porta che si apre lo sente, così come i passi svelti di chi sa perfettamente dove vuole arrivare. Raiden. Ma comunque sfila la bacchetta dalla tasca anteriore dei pantaloni e si volta, fronteggiando la porta che si era chiusa alle spalle. Si concede di abbassarla solo quando, qualche attimo più tardi, questa si apre rivelandole effettivamente chi stava aspettando. Alza le spalle, mentre la ripone di nuovo in tasca, ammorbidendo l’espressione in cenno di scuse — anche se, in fondo, dovrebbe essere il minimo per entrambi.
    « Non capirò mai perché nessuno dica nulla su questo palese abuso edilizio attaccato ad una scuola piena zeppa di ragazzini », lo guarda mentre con tono casuale stabilisce la natura e la lingua della conversazione, e quindi rilassa le spalle, Penelope, annuisce brevemente, «Da quello che ho capito, tra l’altro, è così da almeno cinquant’anni». Si è informata, com’era prevedibile che fosse. Il giapponese le scivola sulla lingua come un balsamo per le ferite.
    Raiden sospira, e lei lo segue. Si fissano per qualche istante, sufficiente per Penelope per afferrare al volo che qualcosa non va, qualcosa è diverso. Le basta un secondo per comprendere che ha chiuso il canale che li avrebbe normalmente uniti ad un livello diverso dal comune. Un altro secondo per ricordare il perché. « Perdonami se ti parlo in maniera informale. Mi fa strano fare diversamente, qui. », scuote il capo, quindi, prima di alzare gli occhi verso i suoi, il peso delle sue prossime parole che già aleggia nella stanza: «Mi dispiace per tua sorella». E non c’è altro da dire, o bisogno di aggiungere come si preoccuperebbero di fare gli europei.
    Distoglie lo sguardo, per lasciarlo reagire senza sentirsi osservato, puntandolo verso i pochi mobili che compongono l’arredo, su cui la polvere regna sovrana, ricoprendo ogni angolo come una coperta. Nessun fantasma se non quelli nelle loro teste.
    « Penelope? », volta il capo, tornando a guardarlo, « Io non te l'ho mai chiesto, ma quando sei andata via dal Giappone? E perché lo hai fatto? ». Sbatte le palpebre un paio di volte, come presa in contropiede — si rinchiude in se stessa nel tentativo di esplorare ed afferrare qualcosa nella nebbia delle sue ultime giornate in Giappone, e poco ne ricava, se non un lungo silenzio. Ricorda il viaggio, la paura che solo un folle non avrebbe avuto nel voltare le spalle alla propria patria. Ricorda di aver poggiato piede sul suolo inglese la mattina nuvolosa del due settembre. È passato quasi un anno, ormai.
    «Penso tu sappia che sono stata adottata alla nascita», com’è sempre stato così dolorosamente ovvio, «Non so nulla dei miei genitori biologici, ma non è importante. Mia- la mia madre adottiva, Kimiko, è Tenente Colonnello nell’esercito. Le cose, come puoi immaginare, sono precipitate dopo che il gene si è risvegliato e mi sono arruolata anche io. All’inizio… ho provato ad ingoiare ogni dubbio, ma quando il Governo ha finito nemmeno così in segreto di prendere il sopravvento in qualsiasi momento della nostra vita… non ricordo esattamente come ho deciso di scappare, ma ricordo che avevo capito di essere in pericolo. Mi sono fatta aiutare da dei contrabbandieri, sono arrivata qui i primi giorni di settembre dell’anno scorso, ma-», si interrompe bruscamente, lasciando sfuggire dai denti un lungo sospiro, «È tutto molto confuso. E tu? Come ci sei finito qua?».


    Edited by ikigai - 12/8/2021, 20:47
     
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    « Mi dispiace per tua sorella. » Annuì, stirando le labbra in una line che doveva avere la parvenza di un sorriso di ringraziamento. « Grazie. » Fu tutto ciò che disse. In fin dei conti che altro doveva fare? Buttarsi a terra, mettersi a piangere e inveire al cielo per l’ingiustizia di quella morte prematura che gli aveva strappato via la persona a cui più teneva al mondo? No, sarebbe stato troppo indignitoso, e Raiden era stato educato ad affrontare qualsiasi cosa col massimo della discrezione, fin quasi ad apparire del tutto privo di sentimenti. Dentro di sé, tuttavia, la situazione era ben diversa. Quel dolore lo sentiva, così come sentiva la rabbia bruciante che si ingigantiva di minuto in minuto nel suo cuore. Eppure si sarebbe tagliato un braccio piuttosto che lasciar vedere anche solo un briciolo di quella sua afflizione. Chiunque avrebbe ritenuto normale un suo evidente sconforto, ma non lui. Lui avrebbe vissuto il tutto con un senso di profonda vergogna; perché mostrare i propri sentimenti era da deboli, parlarne anche, lo era. Molto meglio dare la parvenza di non averne affatto – o almeno questo era ciò che il suo patrigno, l’esercito e la società in cui aveva vissuto per gran parte della sua vita gli avevano inculcato. Insegnamenti, quelli, radicati così profondamente nel suo animo, che pure se avesse voluto lavorarci sopra, non avrebbe nemmeno saputo da dove iniziare per identificarli. Il lato negativo di tutto ciò era piuttosto evidente: imbottigliare non portava mai a nulla di buono, e tendeva ad allontanare il prossimo. Raiden non voleva attraversare il proprio dolore per uscirne guarito dall'altro capo; no, lui voleva tenerselo ben stretto - pur se nascosto - e alimentarlo dentro di sé per gettare benzina sul fuoco della propria stessa rabbia. E quella la sapeva gestire eccome: aveva imparato a domarla bene, piegandola ai propri scopi e utilizzandola al momento necessario. Era proprio questo, ciò che lo faceva apparire così calmo sulla superficie - quasi come se nulla lo avesse davvero scalfito. Eppure Raiden non era tranquillo per niente: stava solo aspettando il momento giusto in cui aprire la valvola della pentola a pressione.
    « Penso tu sappia che sono stata adottata alla nascita. » Inclinò leggermente il capo di lato. Diciamo che se pure non ne avevo la certezza, non era tanto difficile fare due più due. Che la Shigeko non avesse tratti orientali, d'altronde, era piuttosto evidente. Ma per lui questo contava ben poco. Penelope era cresciuta in Giappone, parlava alla perfezione la sua lingua, aveva frequentato la sua scuola e si era arruolata nell'esercito. Di che forma avesse gli occhi o di che colore fossero gli interessava ben poco: lei era giapponese, perché quella era la cultura in cui era cresciuta. Ciò, dunque, la rendeva anche l'unica persona che potesse davvero comprenderlo in quel momento. « Non so nulla dei miei genitori biologici, ma non è importante. Mia- la mia madre adottiva, Kimiko, è Tenente Colonnello nell’esercito. Le cose, come puoi immaginare, sono precipitate dopo che il gene si è risvegliato e mi sono arruolata anche io. All’inizio… ho provato ad ingoiare ogni dubbio, ma quando il Governo ha finito nemmeno così in segreto di prendere il sopravvento in qualsiasi momento della nostra vita… non ricordo esattamente come ho deciso di scappare, ma ricordo che avevo capito di essere in pericolo. Mi sono fatta aiutare da dei contrabbandieri, sono arrivata qui i primi giorni di settembre dell’anno scorso, ma - È tutto molto confuso. E tu? Come ci sei finito qua? » Raiden aggrottò leggermente la fronte. C'erano elementi familiari nel racconto di Penelope; non si trattava tanto delle ragioni - di cui voleva solo aver certezza per assicurarsi che i motivi delle loro fughe fossero effettivamente gli stessi - quanto piuttosto delle tempistiche e di quella strana confusione a riguardo che anche lui provava. « Anche io sono arrivato qui agli inizi di Settembre tramite dei contrabbandieri. » disse a bassa voce, lasciando per qualche istante che quelle parole si sedimentassero tra loro, come a voler sottolineare tramite il silenzio la stranezza di quella coincidenza. In fin dei conti, fuggire dal Giappone non era esattamente un gioco da ragazzi, e dubitava che il paese pullulasse di contrabbandieri disposti ad assumersi un simile rischio. Che si tratti degli stessi? Pensavo di essere un caso isolato. Non credevo ci fosse una vera e propria tratta aperta per uscire dal paese. Eppure poteva davvero dubitare troppo della cosa? Come dice il proverbio: fatta la legge, trovato l'inganno. Era plausibile che quelle persone si occupassero in sordina di simili affari, nascondendoli sotto diversi strati: quello del commercio legale sulla superficie, e quello del contrabbando di artefatti magici più al di sotto.
    Scosse appena il capo, corrugando la fronte nello sforzo di ricordare i dettagli della propria fuga. « In realtà anche per me molte cose sono confuse. Mi sembra come di avere dei buchi e.. non so.. forse ha senso. Potrebbero averci castato un Confundus o averci fatto ingerire qualche pozione così da non metterli nei guai. » Si strinse nelle spalle. Non puoi parlare di qualcosa che non ricordi, giusto? Eppure io le loro facce me le ricordo bene, e se volessi contattarli di nuovo potrei trovare il modo di farlo. Forse c'è sotto un qualche incantesimo anche su questo? Non aveva modo di saperlo, ma allo stato attuale aveva davvero poca importanza per lui. « Però ricordo di aver deciso di fuggire quando il contatto lycan si è riaperto e ho capito cosa stavo davvero servendo. » Ovvero una bugia: una grande e grossa bugia per cui aveva ucciso e fatto del male a persone che molto probabilmente non si erano macchiate di alcuna colpa se non quella di essere scomode. Un po' come lo era diventato lui in seguito alla scelta presa. Sospirò, appoggiandosi con la nuca al muro dietro di sé, ma facendo ben attenzione a non mettervi troppo peso. Puntò quindi lo sguardo negli occhi di Penelope, stirando le labbra in una linea amara e incrociando le braccia al petto. « Se devo dirla tutta.. io in realtà non volevo andarmene. » le sue parole giunsero come una confessione a fior di labbra. « Io volevo rovesciarlo, quel governo. Ed ero convinto che avremmo potuto farcela, se ci fossimo compattati. » Fece una pausa, sospirando di nuovo mentre il suo sguardo andava a puntarsi sul soffitto, come se lì riuscisse a vedere le immagini proiettate di quelle scelte passate. « Ho provato a convincere quei compagni che ritenevo fidati, ma non mi hanno ascoltato. "Accontentati. Nessun governo è perfetto. Ormai ne abbiamo già fatte di cotte e di crude e siamo saliti così in alto. Porta pazienza per qualche anno e poi, eventualmente, avremo il potere di cambiare ciò che non funziona." - è questo che mi hanno detto. Ma io non ce la facevo a voltare lo sguardo dall'altra parte - neanche per mezza giornata, neanche dopo tutto quello che avevo fatto. » Si strinse nelle spalle, riportando lo sguardo su di lei come a dire "ed eccomi qua". Eppure era evidente dal suo tono di voce che sotto quelle parole si nascondesse un senso di colpa. Io non sono mai stato un vigliacco, ma in quel momento sì. Ho preferito scappare, piuttosto che rimanere lì a combattere, a tentare di fargli cambiare idea. E forse lo avrebbero fatto. Forse ho sbagliato io, a voler tutto e subito. Cosa mi dovevo aspettare, d'altronde? Non è che tutti siano disposti a rischiare le proprie vite e quelle delle loro famiglie per una rivoluzione che potrebbe non aver successo. Però sarei dovuto rimanere in ogni caso, anche a morire con loro se necessario. Invece gli ho voltato le spalle proprio come loro hanno fatto con me. Ed ecco il risultato. Sospirò, scuotendo leggermente il capo. « Però non voglio passare il resto dei miei giorni a nascondermi,

    temendo sempre che qualcuno venga ad uccidermi di notte. E non voglio che tutte quelle morti rimangano impunite. »
    Fece una pausa. « In questo momento sarebbe una follia tornare lì. » E io non sono un folle impulsivo. Non ne deve rimanere in vita nemmeno uno. E se voglio che sia così, devo aver pazienza e giocarmi le mie carte in maniera intelligente. « Ma ci sono modi.. per essere lì, senza starci davvero. » Più di uno, a dirla tutta, e Raiden le stava battendo tutte le strade a lui aperte. Si chinò quindi per aprire la propria ventiquattrore, estraendone un pezzo di giornale che aveva tagliato per prenderne solo la parte interessata e ripiegato ordinatamente in quattro. Lo spiegò, avvicinandosi di qualche passo a Penelope per metterle il foglio sotto il naso, dandole il tempo di leggerlo senza dir nulla, mentre scrutava le reazioni sul suo volto. L'articolo della Gazzetta, datato al giorno precedente, riportava le parole dell'ambasciatore giapponese in Inghilterra e una sua foto. L'uomo si era espresso sulla legittimità di quel genocidio, giustificandolo come un atto necessario nell'ottica di guerra che interessava il paese e che non doveva competere gli altri Stati magici. Inoltre, chiedeva - pur senza far nomi - che il Ministero inglese consegnasse loro i fuggitivi per sottoporli ad un equo processo secondo le leggi giapponesi che avevano violato. In poche parole: quell'omicidio non gli è bastato. Manchiamo ancora noi all'appello. « Sto facendo ricerche su di lui. Famiglia, abitudini.. cose così. Per ora ho scoperto solo che ha una figlia in procinto di frequentare il settimo anno ad Hogwarts. » Fece una pausa, inclinando il capo di lato con un mezzo sorriso. « Secondo me potremmo convincerlo a darci una mano. » Per quanto mi farebbe piacere farlo fuori dopo ciò che ha detto sui miei compagni, sarebbe stupido. Un rischio troppo alto da cui non otterrei nulla. « Ce lo hanno insegnato durante l'addestramento, no? Peggio di un nemico c'è solo un alleato terrorizzato. » Ritirò quindi il foglio con un movimento veloce, ripiegandolo e riponendolo al proprio posto. La ventiquattrore si chiuse con uno schiocco e a quel punto lo sguardo di Raiden fu nuovamente su di lei. « Capirei se volessi solo lasciarti tutto alle spalle. Quindi se non vuoi aiutarmi.. ti chiedo solo di non ostacolarmi. »


     
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    Penelope è perfettamente consapevole che ciò che Raiden le nasconde — gli strati ed i costrutti di cui si è ricoperto negli anni, un po’ per dovere e un po’ per necessità. Non ha mai avuto nessuno con cui spartire l’infanzia — non che si sia mai davvero sentita sola, con Kimiko appollaiata dietro alle sue spalle ad ogni passo. Non ricorda esattamente quando si è resa conto che per il tuo bene era solo un’altra tra le tante bugie. Ma è successo.
    Non sa perché sia così facile, aprirsi e straripare come un fiume in piena, lei che di solito centellina le parole per ridurre un discorso all’osso, per tenere quanto più riesce sotto ad un meticoloso controllo. Eppure lo è — fin troppo, quasi come aspettasse di sciorinare proprio quelle stesse parole, una in fila all’altra, far sapere a qualcuno, o a lui, esattamente ciò che l’ha strappata in seno alla sua terra e l’ha catapultata lì.
    Pensa di potersi fidare. Lo osserva indisturbata mentre parla, da sempre incurante del raso senso di inquietudine che può infliggere sulle persone quando non distoglie mai gli occhi per non mancare alcun un dettaglio. Il ragazzo aggrotta la fronte, come perplesso, prima d’intervenire: « Anche io sono arrivato qui agli inizi di Settembre tramite dei contrabbandieri. ». Piano, come a lasciar planare l’ovvietà sul fondo dello stomaco di entrambi. Resta in silenzio, interdetta, per un millisecondo — non possono essere partiti insieme. Lo ricorderebbero — non può che aver memorizzato nei minimi particolari i volti di coloro che l’hanno aiutata a raggiungere un suolo su cui gridare asilo. «Ti ricordi i loro nomi? Com’erano fatti?», incomincia, inquisitoria. E potrebbe recitarli all’istante ma attende, cauta, quasi spaventata da quella che potrebbe essere la realtà dei fatti, che Raiden non esita a manifestare: « In realtà anche per me molte cose sono confuse. Mi sembra come di avere dei buchi e.. non so.. forse ha senso. Potrebbero averci castato un Confundus o averci fatto ingerire qualche pozione così da non metterli nei guai. ». Sarebbe la seconda volta che qualcuno riesce a prendermi con la guardia abbassata, ma non lo dice — l’orgoglio sprizza soltanto con il sopracciglio sinistro, che svetta in alto a rimostrare una vaga incredulità. Non può e non deve essere.
    Lo lascia parlare, quindi, restando sola a creare congetture nel buio molle del suo cervello. « Però ricordo di aver deciso di fuggire quando il contatto lycan si è riaperto e ho capito cosa stavo davvero servendo. », annuisce, brevemente, il senso di colpa che torna a galla come olio bollente gettato in un pozzo d’acqua, «Non potevamo rendercene conto prima», se l’è detto molte volte, forse mentendo a se stessa, giustificando quella bambina che voleva solo essere come sua madre e si beava in quello che pensava amore incondizionato. « Se devo dirla tutta.. io in realtà non volevo andarmene. », Raiden confessa, e Penelope tira un sospiro di sollievo tra i denti stretti nel riconoscere nella sua ammissione i suoi stessi demoni riflessi in uno specchio. Annuisce. « Io volevo rovesciarlo, quel governo. Ed ero convinto che avremmo potuto farcela, se ci fossimo compattati. Ho provato a convincere quei compagni che ritenevo fidati, ma non mi hanno ascoltato. "Accontentati. Nessun governo è perfetto. Ormai ne abbiamo già fatte di cotte e di crude e siamo saliti così in alto. Porta pazienza per qualche anno e poi, eventualmente, avremo il potere di cambiare ciò che non funziona." - è questo che mi hanno detto. Ma io non ce la facevo a voltare lo sguardo dall'altra parte - neanche per mezza giornata, neanche dopo tutto quello che avevo fatto ». E non può che trovarsi d’accordo, trasportata dallo stesso grido di ingiustizia e dalla medesima rabbia, finché non diventa tutto troppo familiare. Una nauseante sensazione di déjà-vu la investe in pieno, tirandola per l’ombelico — non per la scena che sta descrivendo, ma per le parole che riporta, che risuonano tra le pareti dei suoi ricordi ma non riescono a trovare un corrispondente. Eppure le ha già sentite, pressoché identiche. È fastidioso — un ignoto in cui non vuole nemmeno saltare, perché non pare essere divisibile in maniera razionale.
    « Però non voglio passare il resto dei miei giorni a nascondermi, temendo sempre che qualcuno venga ad uccidermi di notte. E non voglio che tutte quelle morti rimangano impunite. In questo momento sarebbe una follia tornare lì. », rilassa le spalle che aveva in tensione. Lo sarebbe? Lo sarebbe. Non c’è altro che vorrebbe di più al mondo — poter avere la certezza di tornare in Giappone indisturbata e lasciare davvero un’impronta sul suolo, anche soltanto per uccidere sua madre e guardarla morire nello stesso modo in cui lei aveva consapevolmente sterminato quella che non era la famiglia di sua figlia, ma una parte integrante di sua figlia stessa. Kimiko, per Penelope, è già morta. « Ma ci sono modi.. per essere lì, senza starci davvero. », annuisce, quindi, pronta a ribattere, ma resta con le parole bloccate in gola quando lo vede chinarsi verso la valigetta ed estrarre quello che sembra un articolo di giornale. Si avvicina di un passo, incontrandolo a metà strada. Prevedibilmente, si tratta della Gazzetta del Profeta, che recita le parole perfettamente bilanciate dell’ambasciatore giapponese sul massacro dei lycan. Legge, l’espressione cristallizzata in una silenziosa smorfia, le pupille che scorrono veloci per catturare i termini che più le interessano. Alla fine del trafiletto, non può che scapparle una risata — amara, gutturale, che le scuote il petto quando meno se lo aspetta.
    « Sto facendo ricerche su di lui. Famiglia, abitudini.. cose così. Per ora ho scoperto solo che ha una figlia in procinto di frequentare il settimo anno ad Hogwarts. Secondo me potremmo convincerlo a darci una mano. Ce lo hanno insegnato durante l'addestramento, no? Peggio di un nemico c'è solo un alleato terrorizzato », alza gli occhi verso Raiden, quindi, le sopracciglia immobili a mezz’aria, in silente apprezzamento. Dovrebbe smettere di sorprendersi ogni volta, nel rendersi conto che sono stati plasmati e rimodellati dallo stesso organo pulsante. Proprio quello che
    ora li richiama indietro. «Arrivare alla figlia sarebbe un gioco da ragazzi», commenta, atona, come a sfiorando con cautela la corda di uno strumento. « Capirei se volessi solo lasciarti tutto alle spalle. Quindi se non vuoi aiutarmi.. ti chiedo solo di non ostacolarmi », alle sue parole incrocia i suoi occhi, restituendogli un’insistenza che forse finora non ha ancora lasciato trasparire, prima di decretare a denti stretti: «Voglio aiutarti. E se non ti basta», sorride, mesta, muovendo appena gli angoli delle labbra, «Aiutarti aiuta anche me, lasciarsi tutto alle spalle non è contemplabile. È più che personale ormai».
     
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    « Ti ricordi i loro nomi? Com’erano fatti? » Annuì. Raiden aveva sempre avuto una buona memoria, ma in quel caso era particolarmente difficile dimenticarsi le identità di chi lo aveva condotto fuori dal Giappone. Un'esperienza come quella, d'altronde, lascia il segno in ogni caso. « Erano due. Con la donna ho parlato poco: sulla ventina, alta, capelli castani, pelle olivastra e occhi scuri. Non si è mai ufficialmente presentata, ma ho sentito l'altro chiamarla Jackie. Lui, invece, è stato il mio contatto. Non credo avesse più di trent'anni. Il nome che mi ha dato era Nolan - ma non posso essere certo che sia quello vero. Capelli corti e rossicci, slanciato, pelle molto chiara e piena di lentiggini, occhi azzurri. » Fece una pausa, interrogando Penelope con lo sguardo. « Ti dicono qualcosa? » A quel punto Raiden riteneva plausibile che anche Penelope fosse scappata grazie al lor aiuto, forse a distanza di pochi giorni. Tuttavia non capiva come quei contrabbandieri potessero fare simili tratte con tanta facilità, più volte e a poca distanza temporale l'una dall'altra. Potrebbe essere una rete. Ha senso che non lo facciano da soli. Ma al contempo.. non darebbe troppo nell'occhio una cosa del genere? Inutile dirlo: quella storia era piena di buchi che Raiden non sembrava riuscire del tutto a colmare. Posso solo pensare che qualcuno all'interno del governo li aiuti.. per qualche ragione. O che abbiano contatti nella Yakuza. Non c'è altra spiegazione.
    Procedere ad illustrarle il proprio punto sulla situazione, e quello che era almeno in parte il suo piano d'azione venne dunque naturale al giovane Yagami. Forse pure troppo, considerando che la bionda era per lui a tutti gli effetti una semi-sconosciuta. Il fatto che facesse parte del branco e che condividesse la sua stessa storia non significava necessariamente che fosse anche della sua medesima linea di pensiero. Per quanto ne sapeva, Penelope poteva essere il tipo di persona che da simili tragedie preferiva fuggire, dimenticandole in ogni maniera. Poteva essersi arresa alla sconfitta, o non sentire il bisogno di vendicare quel torto. La varietà umana era così vasta e complessa che nessuna reazione a un simile avvenimento poteva davvero essere prevista. Eppure c'era qualcosa di istintivo nel modo in cui Raiden si poneva con lei - qualcosa che sfuggiva alla sua solita calcolatezza e al modo quasi ossessivo in cui soppesava pro e contro di ogni situazione, cercando sempre la situazione a minor rischio. D'altronde era quella la ragione per cui non ne aveva parlato nemmeno con Mia: non voleva essere ostacolato, e la percentuale di certezza che lo portava a pensare che Mia avrebbe tentato di dissuaderlo era stata da lui giudicata troppo alta. Alla luce di ciò non c'era alcuna spiegazione logica per comportarsi in maniera diversa con la Shigeko, eppure Raiden sentiva intimamente di potersi permettere quel rischio, come se in fondo al proprio cuore, da qualche parte, conoscesse già la risposta che lei gli avrebbe dato. « Voglio aiutarti. E se non ti basta.. Aiutarti aiuta anche me, lasciarsi tutto alle spalle non è contemplabile. È più che personale ormai. »

    Sebbene una parte profonda di lui non fosse affatto sorpresa da quella risposta, le parole di lei riuscirono comunque ad aprirgli una finestra sull'animo della bionda. Un piccolo sorriso andò a delinearsi sulle labbra del moro, che annuì piano, come soddisfatto da ciò che aveva appena sentito. E come a volerla ripagare dello scorcio che gli aveva forse involontariamente offerto, pian piano il giovane Yagami aprì le porte della propria sfera emotiva, lasciando trapelare ciò che si celava sotto quella parvenza di calma piatta. C’era tanta rabbia nel suo cuore: un mare in tempesta che sembrava in procinto di travolgere qualunque cosa incontrasse sul proprio cammino, portando distruzione sulla terraferma. Per un po’ non disse nulla, rimanendo semplicemente a guardarla mentre quel flusso di comunicazione astratta, priva di parole e completamente emotiva passava da lui a lei. Se erano sulla stessa lunghezza d’onda, se erano entrambi della medesima idea, allora Raiden voleva che Penelope sapesse esattamente ciò che sentiva nei confronti di quelle persone e quanto irremovibile fosse la sua motivazione nel fare tutto ciò che era necessario. Il fatto che tutto ciò non venisse manifestato sulla superficie altro non era se non indice di quanto avesse fortemente attecchito in lui l’educazione dell’esercito: tener salde le briglie delle proprie emozioni e utilizzarle senza mostrarle né lasciare che fossero esse a prendere il timone delle proprie azioni. La rabbia di Raiden, quella vera, per quanto totalizzante non era esplosiva: era fredda come il ghiaccio e si prendeva il proprio tempo. Ed era esattamente quel suo tratto ad averlo portato così in alto nei gradini dell’esercito ad una così giovane età. Il giovane Yagami non si arrendeva mai, lottava sempre fino all’ultimo, ma sapeva anche quale fosse il momento di attendere e trattenersi.
    Solo dopo qualche istante, quando il flusso si attenuò, il giovane Yagami fece un passo avanti in direzione della bionda, allungando una mano come a chiederle di suggellare così quel muto patto tra di loro. « Sono sicuro che altri ci appoggeranno, ma per ora.. » fece una pausa, fissandcola con aria eloquente « ..per ora possiamo contare solo l’uno sull’altra. » Perché è evidente che per quanto amareggiati e distrutti, nessun altro è stato colpito quanto noi. Nessuno potrà davvero capire fino in fondo, perché hanno ancora tutto: hanno i propri cari, le proprie comunità, le proprie case, città, culture e usanze. Hanno tutto ciò di cui un essere umano ha bisogno per potersi sentire tale. Ma noi no. Noi quelle cose le abbiamo perse una ad una. Certo, ci è rimasto il branco, ci è rimasto persino qualche affetto e un tetto sopra la testa. Ma saremo sempre degli alberi sradicati e trapiantati in un clima a loro solo parzialmente affine e a tratti addirittura ostile. Tutto ciò non potrà mai essere capito finché non viene provato sulla propria pelle. E a questo punto, forse mi auguro che nessun altro mi capisca mai. Tirò un sospiro. « Non voglio fare del male a quella ragazzina. E se le mie supposizioni si riveleranno corrette, non penso ci sarà nemmeno bisogno di contemplare una simile opzione. » In fin dei conti, ferire gli innocenti non aveva alcun senso, nemmeno per ripagare un torto enorme come quello che avevano subito. « Se Yamamoto è un tipico uomo potente giapponese, due cose sono molto plausibili. Innanzitutto che non abbia legame con la figlia al di là di farle da bancomat e chiederle come vada a scuola. Il che ci garantisce un certo anonimato – a te specialmente. » Che i tratti somatici di Penelope potessero destare meno sospetti in territorio inglese, questo era lapalissiano e Raiden non sentiva nemmeno il bisogno di sottolinearlo o spiegarsi a riguardo. Contando sulle dita, dunque, sollevò il medio vicino all’indice già alzato per passare al punto successivo, questa volta sorridendo tra sé e sé. « E in secondo luogo.. mi ci giocherei la testa che tradisce la moglie. » Ne ho incontrati tanti di uomini come lui. Ci andavo a cena insieme tutte le sere. So benissimo ciò che fanno e come la fanno. Dei veri cliché viventi. Non mi stupirei se si scopasse la segretaria. Sospirò, facendo un altro passo in avanti. « Pensi di poter approcciare la figlia? Fartela amica potrebbe darci informazioni sulla famiglia. E poi sai.. una foto carina insieme potrebbe mettere un po’ di strizza a Yamamoto al momento giusto. » Sollevò un sopracciglio, mordendosi l’interno del labbro inferiore per frenare l’ingiungere di un piccolo sorriso alla sola idea di veder quell’uomo sbiancare dalla strizza. Saprebbe che abbiamo trovato sua figlia, che siamo entrati nella sua vita e che potremmo ipoteticamente fare qualunque cosa. Al momento giusto, una simile leva potrebbe essere determinante. « Io invece cercherò di capire lo stato del suo matrimonio. Se ho ragione, sua moglie potrebbe essere una nostra grande alleata. » Lo sanno tutti che il peggior nemico è quello che ti tieni in casa. E Dio solo sa quanto veleno si nasconde sotto i matrimoni apparentemente perfetti dei potenti. A quel punto, finito di illustrare il proprio piano, la scrutò come a chiederle conferma della disponibilità che già in precedenza gli aveva dato. Una breve pausa, quella, dopo la quale aggiunse « Credi che sia un buon piano? Mi piacerebbe sentire la tua opinione. » Parlò con pacatezza, invitandola con un cenno del capo a dire tranquillamente la propria. Un modo di fare decisamente fuori dalle abitudini che gli avevano insegnato nell’esercito giapponese. Ma loro non erano più nell’esercito giapponese.




    Edited by dauntless. - 16/8/2021, 17:19
     
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