Cruel summer

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    dauntless

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    « Oh mi raccomando, tu il contatto aperto non ce lo tenere mai quando serve. » Era appena uscito dalla stanza in cui aveva parlato con Beatrice quando Gabriel Wallace gli andò incontro come un uragano, lasciandolo attonito e privo di parole. « Porca puttana ti ho cercato per tutta Inverness. Ti pare questo il momento di chiudere i canali? » « Che è successo? » Perché qualcosa doveva essere successo. Era evidente dal modo in cui il giovane Wallace si muoveva a scatti, parlandogli con tono di urgenza e il colorito paonazzo di chi aveva già superato da un pezzo la soglia della pazienza ma aveva problemi più grandi di cui occuparsi. Un sentimento che Raiden non poteva far altro che condividere in quel preciso momento della sua vita, ma di cui non capiva la matrice in Gabriel. « Non lo so, senti, non ci ho capito un cazzo. So solo che è successo qualcosa a Mia e mamma è entrata in panico perché ha provato a contattarti ma non riusciva a trovarti. » È successo qualcosa con Mia. Bastò quello. Non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di tutto quel preludio per smuoverlo da lì: bastavano quelle parole. « Sta bene? Dove si trova? » « Credo sia a casa, non lo so. » Annuì, allungando il passo di fianco a Gabriel per raggiungere casa. In teoria avrebbe dovuto raggiungere Kyoko che si trovava ancora alla torretta insieme ad un gruppo di cacciatori, intenta ad indagare sulla traccia magica dell'evocazione che era stata lì compiuta. Tuttavia in quel momento il pensiero nemmeno lo sfiorò. L'idea di perderla d'occhio non gli piaceva, ma dal modo in cui si era comportata poco prima aveva potuto constatare che, al di là del suo atteggiamento frivolo, la giapponese non era né una stupida né una sprovveduta; se la sarebbe cavata da sola di certo.
    Nel breve tragitto che lo divideva da casa, numerose ipotesi su cosa fosse accaduto presero a vorticargli in testa. C'era stata una colluttazione? Era rimasta ferita? Era incappata in qualche imprevisto? Non c'era modo di dirlo, specialmente quando Gabriel sembrava saperne più o meno quanto lui. Nemmeno si parlarono - anzi, era come se il giovane Wallace non fosse nemmeno lì, dato quanto impegno ci mettesse nel saltare da una testa all'altra per tentare di capire cosa fosse successo. A giudicare dalla sua evidente frustrazione, però, non doveva aver ottenuto molti risultati da quella ricerca.
    Tuttavia il mistero venne almeno parzialmente risolto quando arrivarono a destinazione, e una Gillian Wallace bianca in volto e coi nervi a fior di pelle li accolse subito dentro casa. « Allora si è capito cosa è successo? » « Mia sta bene? » La donna si passò nervosamente una mano tra i capelli, indicando loro il salotto con un cenno del capo. « Mia è là. Le ho dato qualcosa di caldo ma ancora.. non so.. non lo so come si senta. Non ho neanche capito bene cosa sia accaduto. Ha cominciato a contattare tutti all'impazzata dicendo che gli altri nel suo gruppo erano morti e.. » Si mise una mano sul petto, cercando di calmare l'ansia che doveva avere ancora in corpo. « ..mi è preso un colpo. C'era Logan con lei. Per un momento ho pensato il peggio. Ma stanno tutti bene. Non.. non so davvero cosa sia accaduto. » Gabriel avvolse prontamente un braccio attorno alle spalle della madre, cercando di tranquillizzarla come meglio poteva. « L'importante è quello. Che stiano tutti bene. » Gillian annuì assentemente, passandosi una mano sul volto pallido segnato da due profondi cerchi violacei sotto gli occhi, che dopo qualche istante saettarono in quelli di Raiden. « Mi hai messo un sacco paura. Perché avevi il contatto chiuso? In una situazione del genere.. » Non c'era altro modo di metterla: Gillian aveva ragione. Sebbene il piano messo in piedi da Beatrice Morgenstern fosse sicuro, nessuno poteva garantire che non ci sarebbero stati imprevisti. Anche solo la reazione degli auror era un'incognita, per quanto logico fosse che avrebbero optato per una pronta ritirata. E dunque il giovane Yagami tirò un sospiro, annuendo. « Mi dispiace. Avrei dovuto essere reperibile. Stavo parlando con Beatrice Morgenstern riguardo la situazione degli auror presi prigionieri e ho pensato di chiudere il contatto come precauzione. » Una mezza verità, quella che Raiden diede loro. D'altronde non poteva di certo mettersi a spiegare tutti i motivi di quella sua scelta. Ma almeno su due piedi, i due Wallace parvero convinti, e si limitarono semplicemente ad annuire e lasciar perdere. Di certo indagare sulla faccenda era l'ultima delle loro priorità in quel momento. Così si mossero tutti verso il salotto, dove Mia se ne stava seduta sul divano con uno dei guaritori di Inverness intento a visitarla per accertarsi che tutto fosse in regola. Non appena entrarono nella stanza, l'uomo si voltò verso di loro, rivolgendogli un tiepido sorriso. « Sembra sia tutto a posto. È probabile sia stata opera di qualche spiritello o folletto. Ce ne stanno tantissimi nelle Highlands e tendono a giocare spesso brutti scherzi a chi si avventura nei loro territori. La miglior cura è un'atmosfera tranquilla, cibo e una bella dormita. » Raiden ascoltò attentamente le parole dell'uomo, tenendo tuttavia lo sguardo fermo su Mia, come a volersi accertare da sé che tutto andasse effettivamente bene. « La ringrazio di cuore. » « Non si preoccupi. Per qualsiasi cosa, non esitate a contattarmi di nuovo. » « Gabriel, fammi il favore, vai con lui per tenere d'occhio Logan e tienimi aggiornata su tutto. » La donna si voltò quindi a guardare Raiden. « Le fai compagnia tu mentre vi preparo qualcosa da mangiare? » Il giapponese stese un tiepido sorriso in direzione della suocera, annuendo. « Grazie davvero, Gillian. » E detto ciò, rimasti in due nel salotto, il moro prese un sospiro, facendosi posto vicino a Mia con una certa cautela nei movimenti. Inutile dire che le spiegazioni ottenute fino ad allora non gli avevano dato affatto un quadro esaustivo della situazione, né tanto meno avevano placato le sue preoccupazioni riguardo quanto accaduto e lo stato psicologico della ragazza. Prese con delicatezza la mano di lei tra le sue, carezzandola dolcemente mentre si chinava di poco in avanti per intercettare il suo sguardo. « Ehy.. va tutto bene. Stanno tutti bene, ok? » Scelse di non chiederle cosa fosse accaduto, non lì, non in quel momento. Non avendo certezza di come lei potesse sentirsi, non voleva rischiare di peggiorare la situazione, spingendola a raccontare qualcosa che avrebbe potuto scuoterla. Prese quindi un profondo respiro, sporgendosi quanto bastava per stamparle un piccolo bacio sulla tempia. « È stata una giornata un sacco stressante. Va bene se stasera ci riposiamo e domani rimango a lavorare da casa? » Dovrò trovare il modo di dire a Rōraito che l'appuntamento di stasera salta. Capirà. Dirò a Kyoko di passargli il messaggio tramite un altro warlock. Kyoko.. già, devo tenere a bada pure lei. Ma con questa situazione della torretta non posso adagiarmi troppo sugli allori. Inutile dirlo: di gatte da pelare, Raiden ne aveva già a sufficienza. Ma se l'idea di prendersi anche solo un giorno di pausa da quella sua infaticabile guerra lo lasciava poco tranquillo, quella di abbandonare Mia in un simile momento lo infastidiva di più. « Comunque adesso c'è Gabe con Logan e gli altri. Ci terrà aggiornati su tutto. Non devi preoccuparti. » Fece una pausa, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Tu.. cerca solo di mandare giù almeno un boccone quando sarà pronto - anche se non hai fame. Sei bianchissima. »

     
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    È un fottuto deja-vu. Lo riconosce. Dall'inizio alla fine è una situazione che ha già vissuto. L'hanno letteralmente caricata di peso, per riportarla in città. Non voleva schiodarsi dal corpo inerme del fratello; aveva continuato a tenerselo stretto al petto, scuotendo insistentemente la figura dell'amica, nella speranza che uno di loro si svegliasse. Ma non lo hanno fatto, e quando gli altri erano giunti sul posto, Mia era ormai esausta; era rimbalzata da una testa all'altra urlando finché non ha visto arrivare i primi soccorritori. A quel punto aveva iniziato a perdere le speranze; non sta arrivando nessuno. In realtà il tempo trascorso era stato decisamente inferiore rispetto a quello da lei percepito. A Mia, tutto quel episodio era sembrato un'eternità, ma non lo era stata affatto. I compagni appartenenti alla sua stessa squadra si erano precipitati lì in fretta e furia; nessuno aveva percepito nulla. Ormai, quale sapore avesse la morte, una di qualunque natura, tutti loro ce l'avevano ben presente. Eppure, Mia non se ne era accorta. Aveva visto esattamente ciò che voleva; e così, quando avevano tentato di separarla da Logan, si era messa a scalciare, mollando pugni e calci contro il povero malcapitato che tentava di accertarsi delle condizioni dei tre. C'era voluta un'immensa forza di volontà da parte dei soccorsi per sfondare le difese mentali della giovane Yagami, mettendola di fronte alla realtà dei fatti. Logan, Stacey e Billie non erano morti; stavano solo dormendo. Da lì è andato tutto in discesa. Compreso l'equivoco, Mia si era di colpo spenta. Completamente. Non pensava a nulla; in balia di una serie di innumerevoli sensazioni scomposte, si era semplicemente lasciata trascinare via. Né le parole rassicuranti dei suoi compagni, né il braccio della giovane che l'aveva guidata fuori dalla foresta, erano bastati per farla parlare, o anche solo reagire in qualunque modo. Ad un certo punto, rinunciarono a tentare di ottenere qualunque cosa da lei; ogni tanto continuava a guardarsi alle spalle, come se percepisse qualcosa di invisibile agli occhi. Uno sguardo smeraldino, colmo d'odio e scabrosità - ecco cosa ricercava. E gli altri se ne accorgevano; sapeva potessero percepire ogni cosa. La paura, lo smarrimento, la frustrazione, la rabbia. È sempre stato così. Non sono mai riuscita a tenermi nulla per me. Ecco perché la gente mi tratta come se fossi invalida. Riescono a carpire ogni cosa, anche quelle che vorrei tenermi per me. Ogni tanto riusciva a trattenere quel vulcano che abitava il suo cuore, ma il più delle volte era schiava delle sue stesse emozioni. E lo era anche adesso; il tentativo di chiuderli fuori non fece altro che provocarle un forte mal di testa, che si aggiunse a tutto il resto. Alla stanchezza. Allo sconforto. Alla vergogna. Non era questo il momento di dimostrare di non riuscire a gestire assolutamente nulla; questo era il momento in cui avrei dovuto dimostrare che sono affidabile. Ma non lo era - affidabile - e riuscì a capirlo non appena varcò la porta di casa.
    Gillian Wallace la guardava come se stesse per svanire da sotto i suoi occhi da un momento all'altro. Era preoccupata; troppo perché si trattasse di semplice apprensione materna relegata alla battaglia. Mia non aveva neanche combattuto. Che la base della sua squadra fosse stata sgomberata prima ancora che i giochi iniziassero, era ormai noto alla maggior parte dei lycan che si fossero interessati all'accaduto. All'abbraccio della donna, Mia reagì per riflesso. « Grazie al cielo stai bene. » Era già informata su tutto, a partire dalle condizioni di Logan e degli altri. Negli occhi della madre, Mia riuscì a individuare una qualità di paura e dolore che riusciva a riconoscere. Anche i nervi di Gillian erano stati messi a dura prova; in una sola notte era stata messa di fronte alla probabilità di veder cadere altri due figli. E allora posò la guancia sulla spalla di lei, accarezzandole appena il braccio. Non sentiva il bisogno delle sue premure; a dirla tutta non sentiva il bisogno di niente, ma voleva comunque essere lì per lei, rassicurarla. Non protestò neanche quando uno dei guaritori della città si presentò alla porta per visitarla; sapeva di stare bene, ma nonostante ciò lasciò che l'uomo facesse il suo lavoro, collaborando senza mettersi a discutere. Persino quando Gillian fece diverse domande, Mia, tentò semplicemente di starsene lì, seduta sul divano, alienandosi da quel giro di questioni per lei assolutamente insensate. Non aveva subito una commozione, né aveva assunto nulla, questioni prontamente confermate dalla diagnosi del guaritore. La seguì con lo sguardo quando abbandonò la stanza, prima di schiarirsi la voce. « Non perda altro tempo qui, la prego. » Una richiesta che fece con lucidità, osservando l'uomo con eloquenza. « Sto bene. Mia madre ha solo bisogno di essere rassicurata. » Il guaritore la osservò con un'espressione serena, seppur per la prima volta stesse prestando più attenzione al suo sguardo. Aveva assunto tinte estremamente scure, a tal punto che l'iride si distingueva a malapena dall'iride. Anche i capelli erano più sbiaditi; le tinte blu con cui si era svegliata quella stessa mattina, tendevano ora a toni slavati che viravano verso un indaco pallido. « Prometti che verrai a trovarmi se il mal di testa dovesse persistere. » Mia annuì, senza neanche chiedersi come facesse a sapere di quel fastidio. Era come se una forte pressione stesse comprimendo le sue tempie. Infine si voltò verso l'entrata del salotto, incontrando per qualche istante prima lo sguardo di Gabriel, poi quello della madre e infine quello di Raiden. « Sembra sia tutto a posto. È probabile sia stata opera di qualche spiritello o folletto. Ce ne stanno tantissimi nelle Highlands e tendono a giocare spesso brutti scherzi a chi si avventura nei loro territori. La miglior cura è un'atmosfera tranquilla, cibo e una bella dormita. » Mia, dal canto suo, stirò un leggero sorriso, abbassando lo sguardo sulle proprie mani tremanti, con un senso di delusione e amarezza. Era evidente che non stesse bene e che stesse compiendo uno sforzo disumano per restare in quella condizione smorta; sentiva lo sguardo di Gillian piantato sulla propria nuca, mentre scandagliava la sua aura emotiva senza ritegno. Chissà cosa riusciva a leggervi, la signora Wallace? Chissà se quelle emozioni la stavano in una qualche maniera rincuorando? Sapeva che non avrebbe forzato la mano, ma era altrettanto consapevole del fatto che le sarebbe stata col fiato sul collo più del solito. Solo dopo un giro infinito di convenevoli e carinerie superflue, la stanza venne sgombrata da quel eccesso di voci. Non si mosse quando Raiden prese posto al suo fianco, prendendo la sua mano tra le sue. Lo sguardo scuro seguì pensieroso ogni movimento di quel semplice contatto, quasi come se tentasse di trovarne il senso. Anche tu sei preoccupato? Non poteva saperlo, e a dirla tutta, in quel momento, l'assenza di interferenze nella sua sfera emotiva, sembrò rincuorarla. I suoi cari avevano deciso di concederle un po' di privacy; persino sua madre deve essersene accorta di aver bisogno di stare un po' da sola - d'altronde dove cazzo vado adesso? Starà tranquilla finché resterò sotto stretta sorveglianza di qualcuno. Il solo pensiero sembrava pizzicarle l'orgoglio, così come quel briciolo di pazienza che tentava di dimostrare nei confronti di tutti, nonostante volesse solo scoppiare malamente, rispondendo in maniera sgarbata a chiunque. Insomma, la totale assenza dell'inevitabile connubio con l'indole di Raiden, per una volta non le diede fastidio. Anzi.
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    « Ehy.. va tutto bene. Stanno tutti bene, ok? È stata una giornata un sacco stressante. Va bene se stasera ci riposiamo e domani rimango a lavorare da casa? » Volse lo sguardo in direzione di Raiden solo dopo qualche istante. Le sue reazioni apparivano ritardate, come se avesse bisogno di qualche istante in più per processare qualunque stimolo esterno. Osservò il volto di Raiden con estrema insistenza. Voleva leggervi qualcosa? Capire cosa provasse? Oppure stava solo cercando di elaborare la maniera più consona per rispondere? Non vi è certezza sulla ragione di quel iniziale silenzio. È tutto così famigliare. Persino questa sensazione, questo grado di distacco, questo rifiuto nei confronti di ogni cosa e qualunque persona. Quello specifico atteggiamento, Mia, l'aveva già adottato. Le sarebbe piaciuto poter dire che si trattasse di qualcosa di calcolato, qualcosa che attuava volontariamente spinta da motivazioni specifiche, ma la verità era che a tratti non riusciva neanche a percepirsi. Era là, ma non lo era del tutto. Le emozioni però, erano onnipresenti. Vincolanti. Una vera e propria paralisi. E sapeva quale fosse il rimedio, solo che non era certa di volerne ricorrere nuovamente. Il rimedio è stare bene. Ma stare bene davvero. Essere così spensierati da scacciare via tutto. Era questo il gran segreto di Mia - l'anestetico perfetto; mentire a se stessa così a lungo e con così tanta convinzione, fare cose insensate, abbandonarsi alla più estatica forma di incoscienza, finché non si sarebbe convinta che lei stava bene. Infine annuì, appoggiando la testa contro la sua spalla. « Comunque adesso c'è Gabe con Logan e gli altri. Ci terrà aggiornati su tutto. Non devi preoccuparti. Tu.. cerca solo di mandare giù almeno un boccone quando sarà pronto - anche se non hai fame. Sei bianchissima. » E di fronte a quelle parole, senza dire assolutamente nulla, Mia circondo il busto di lui con entrambe le braccia, accoccolandosi contro il suo petto. Lo strinse forte, lasciando vagare lo sguardo vacuo nell'ambiente semibuio del salotto. Per un istante ho seriamente pensato che sarebbe potuto accadere il peggio. E se avessi scelto? Sarebbe andata diversamente? Cosa sarebbe successo a tutte quelle persone? E se fossi caduto tu? Di una cosa era certa, Mia, nonostante le parole rassicuranti del guaritore: ciò che era successo non era frutto della sua sola immaginazione. Quelle foto lei le aveva viste per davvero. E poco dopo Logan, Billy e Stacey sono crollati. Gli occhi di quel bambino continuavano a perseguitarla. Erano lì, negli anfratti più bui della stanza, costantemente presenti ogni qual volta chiudesse gli occhi. E poi quella voce; la sua voce. Era semplicemente lei o qualcun altro? Lo ricordava bene quel tono, la sua pomposità, la supponenza con cui le si rivolgeva. Era coraggiosa e sfrontata, ma aveva anche tutte quelle qualità che a Mia mancavano. La capacità di ragionare lucidamente anche nelle situazioni più estreme; era fredda e meticolosa, estremamente metodica. Non aveva più pensato a quella sua versione sin da quando ne era uscita. Ora iniziava a rammentare. Ed ogni piccolo frammento era doloroso, spaventoso a dismisura.
    A più riprese, tutti avevano preso in giro Mia per la sua passione sfrenata per il mac&cheese. Era un cibo relegato, al pari delle patatine fritte ordinate al ristorante, all'età dell'infanzia. Tuttavia, Gillian Wallace conosceva abbastanza bene sua figlia da sapere che ogni qual volta stesse male, accettava di mangiare solo quel piatto. Nonostante man mano che crescesse quella abitudine la rintanava sempre di più nel magnifico regno di Peter Pan, la minore di casa Wallace, continuava a trovarlo squisito. Fortunatamente, sua madre non aveva condannato gli altri allo stesso regime infame, preparando anche altro, ma nonostante ciò, Mia mangiò comunque solo un po' della sua ciotola di maccheroni al formaggio. Non aveva parlato molto durante la cena, concentrandosi piuttosto sul suo piatto, seduta al bancone al fianco di Raiden. Fu lieta anche di constatare che la madre aveva avuto la sensibilità di non imbandire una vera e propria tavola con tutto il resto della famiglia. Sarebbe stato bello; in altre circostanze sarebbe stato bellissimo. Tu a capotavola, io e Raiden da una parte, Meredith e Gabriel dall'altra, e poi Logan e Olivia assieme a Grace. In altre circostanze forse avremmo acceso il fuoco fuori e avremmo arrostito qualche costoletta stappando un po' di birre. E saremmo stati bene. Benissimo. Ma non era andata così, e la cifra di quanto quella circostanza fosse più pesante, era data proprio dallo sguardo di Gillian, che si posava sulla figura della figlia ogni qual volta fosse certa di non guardarla. E Mia non la guardava per davvero, ma non c'era bisogno. Sarebbe stata in grado di percepire la sua angoscia persino trovandosi dall'altra parte della Città Santa. Quella silenziosa forma di apprensione era dannatamente fastidiosa, tant'è che dovette fare uno sforzo titanico per non rivolgerle occhiatacce e rispondere di conseguenza in maniera sgarbata. Gillian, dal canto suo, per quanto discreta a parole, non faceva altro che concedersi brevi sbirciate sommarie sullo stato emotivo della figlia. Almeno finché Mia non allontanò appena la ciotola di maccheroni al formaggio rivolgendo un fugace sguardo a Raiden. « Sei sicura di non riuscire a mangiare un altro po', tesoro? » Aveva buttato giù quel pasto a forza, spinta sia dal consiglio di Raiden che da un palese istinto di sopravvivenza. Se non avesse mangiato sarebbe diventato solo l'ennesimo dramma. « Sono piena, va bene così. » « Lo volete il dessert? Olivia ha preparato una cheese cake deliziosa. » Mia sospirò profondamente e chiuse gli occhi. « Ma'.. sono stanchissima. » Quelle parole scardinarono per la prima volta il clima apparentemente disteso. Si era spazientita a tal punto che il suo tono apparve di colpo brusco. Gillian la osservò con attenzione e altrettanto fece Mia. La giovane Serpeverde riusciva a leggere perfettamente la mortificazione e la frustrazione nell'animo della madre, tanto quanto l'altra poteva individuare ora più specificamente i sentimenti che si annidavano nell'animo della figlia. Rabbia. Paura. Confusione. « Sono stanca. » La voce di Mia tremò, tradendola per qualche istante, e fu allora che lo sguardo spazientito della giovane Serpeverde incontrò con eloquenza quello della madre. Un momento che creò ulteriore apprensione nell'animo della donna. Non disse tuttavia niente, né Mia tentò di smussare quel disagio generale. Scosse la testa e dopo alcuni convenevoli veloci, prese le scale, remando dritta verso il bagno, sbattendosi la porta alle spalle con sin troppo vigore.
    È rimasta sotto la doccia più del dovuto, tant'è che quando anche Raiden ha finito, le sue guance bollono ancora. Forse il problema non erano neanche i vapori dell'acqua bollente sotto la quale è rimasta inerme a schiarirsi le idee. Forse il problema era ciò che ribolliva dentro. Quando sente lo scatto della maniglia della porta del bagno, si passa velocemente le mani sul viso scacciando i segni della sua frustrazione, raggiungendo in fretta e furia la finestra per sedersi sul davanzale. Per tutto quel tempo è rimasta seduta sul letto a osservare il vuoto; forse era rimasta in ascolto, per assicurarsi che nessuno badasse a lei. Ed effettivamente, la sua sfera emotiva non venne scossa da alcuna presenza, né nessuno tentò di invadere i suoi spazi. Nonostante Mia non avesse la più pallida idea di come appendere il cartello non disturbare alla porta della sua mente, il messaggio doveva essere giunto forte e chiaro. Non aveva voglia di condividere assolutamente nulla. Forse sarebbe andata meglio dopo una bella dormita; forse il giorno seguente avrebbe guardato a quella situazione in maniera diversa. Forse Billy e Logan l'avrebbero presa in giro e le avrebbero fatto fare una risata sull'accaduto. Ma Mia, tutto ciò, in realtà non lo voleva. In quel momento della sua vita, non riusciva a prendere le cose con leggerezza, né sembrava intenzionata a permettere che qualcuno tentasse di dirigerla in quella direzione. Sedette alla finestra stringendosi l'asciugano al petto, prima di raggiungere il pacchetto di sigarette, accendendosene una velocemente. Movimenti meccanici la portarono ad aprire la finestra e osservare il giardino illuminato solo da poche lucine fluttuanti. Solo dopo un po' seguì Raiden con lo sguardo nell'ambiente. « Tu come stai? » Chiede infine dopo quello che sembrò un silenzio eterno. Non gliel'aveva chiesto, nonostante con la sua squadra potesse essere successo di tutto e di più. « Ho sentito che ci sono stati problemi. » Un invito a farlo parlare. Voleva sentire qualcosa di diverso dalla sua voce interiore, concentrarsi su qualcosa che non fossero quei pensieri lugubri. Ha fatto di tutto per tentare di ricordare, e ora che qualcosa sta tornando, sembra costantemente in fugga da ogni cosa. Adagia la tempia contro il vetro fresco e volge lo sguardo verso l'esterno. E per un po' ascolta solo, nonostante non sia particolarmente concentrata su quanto sente. Ma poi di scatto, lo sguardo scuro come la pece torna sulla figura di lui. Ha gli occhi rossi, segno di una stanchezza che ormai la sta schiacciando al punto da non permetterle nemmeno di addormentarsi. « Credo di aver capito. » Asserisce di scatto dal nulla. « Si. Ho capito perché fai così. » Ci aveva pensato mentre stavano cenando, e poi durante la doccia, e ancora mentre si lasciava cullare dal suono del getto dell'acqua durante la doccia di lui. « Puoi.. aiutarmi a capire come si fa? » La voce divenne un sussurro nell'esatto momento in cui avanzò quella richiesta. Le parole di Stacey riecheggiarono nella sua testa come monito. Certo che ci vuole un controllo di ferro. Si portò la sigaretta tremante alle labbra e aspirò pensierosa prima di distogliere lo sguardo. « Per favore.. insegnamelo. È l'unico favore che ti chiedo in questo momento. Io.. da sola non ci riesco. Mi fa venire un terribile mal di testa. Non so a cosa aggrapparmi, come controllare questa cosa.. » E ne ho bisogno. Ho bisogno di metterli a tacere. Non voglio sentirli, non voglio sapere di essere un problema. Non voglio percepire la loro preoccupazione o la loro pietà. Non mi va di gestire la loro ansia all'idea che potrei sparire di nuovo da un momento all'altro. Io voglio chiuderli fuori. Tutti. Torna a osservarlo con occhi lucidi. È così evidente che si sta sforzando di non dar sfogo a quella lampante frustrazione. Io voglio chiudere fuori anche te. Non voglio neanche essere tentata di provare a scaricare sugli altri i miei cazzo di problemi.
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    « Mi serve una pausa. » Deglutisce stringendo i denti, mentre tenta in tutti i modi di trattenersi; è quella pressione nelle tempie aumenta, come se tentare di tenere a bada tutta quella massa di emozioni le costasse tutto. E forse in fondo è così. Non è successo assolutamente nulla, eppure sono qui col cervello spappolato. Nulla di visibile almeno. Nulla di cui abbia voglia di parlare. Tu hai perso tutto e invece io sono qui a piangermi addosso per il nulla. È così. Non è niente. Non è successo assolutamente niente. « Non voglio sentirmi il fiato sul collo. Voglio solo.. stare bene.. » Voglio poterlo dire senza che nessuno possa metterlo in dubbio. Io non ce la faccio a stare dietro alle paturnie e le premure della mia famiglia. « ..essere normale. Affidabile. Voglio solo spegnere tutto.. per un po'. » Per tutto il tempo che servirà a far mettere loro l'anima in pace sul fatto che non sto impazzendo, ma voglio solo del tempo per me. « Adesso loro sono qui e io sono felice. Ma la vicinanza creerà solo problemi. » Vorranno aggiustarmi. Adesso finalmente potranno prendersi cura di me. « Tu capisci, non è così? » E seppure realizzare tutto ciò non più lontano di ventiquattro ore l'avrebbe ferita solo ulteriormente, adesso sembrava essere disposta non solo ad accettarlo, ma anche ad abbracciare quella condizione. Faceva comunque male ammettere di aver capito, ma voglio spegnere anche questo. Voglio tenermelo per me. Voglio tenermi per me anche il fastidio infinito che mi dà questo tuo modo di fare. Non era certa di quali intenzioni e pensieri dominassero la mente di Raiden, ma quella era la spiegazione più logica che poteva darsi. Sbatté le palpebre un paio di volte sospirando profondamente prima di aspirare ancora una volta dalla sigaretta. Non importa. Non importa se pensi che ti sto col fiato sul collo. Ci sta. Ci sta un po' tutto. Posso accettarlo, ma solo se me lo tengo per me. « Se vuoi fare qualcosa per me, ti chiedo solo questo. Aiutami a spegnere tutto. » Pausa. « Conviene comunque ad entrambi. » Altra pausa mentre getta nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra aspirando ancora una volta dalla sigaretta. « Almeno non succederà più ciò che è accaduto l'altra sera. » Il canto dei grilli si consolida tra loro per qualche istante. « Staremo bene. » Sì. Staremo bene. Oppure no.



     
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    La cena era stata particolarmente silenziosa, ma d'altronde Raiden non si aspettava nulla di diverso. Qualunque cosa fosse successa, reale o meno, aveva lasciato Mia in un'evidente stato di shock, svuotandola del suo solito brio. Il giovane Yagami sapeva fosse meglio non spingere troppo in quei casi, rispettando anche quei silenzi che per alcuni potevano risultare opprimenti. Ad esempio per Gillian Wallace, che ogni due per tre squadrava la figlia con la coda dell'occhio, lanciandole occhiate apprensive e cercando di colmare il vuoto di parole con qualche domanda circostanziale al ragazzo. Lui, dal canto suo, rispose sempre in maniera pacata, cercando di mantenere l'atmosfera in equilibrio come poteva. Era chiaro che la donna non prestasse davvero attenzione a ciò che lui diceva in risposta alle domande poste, ma non se ne fece un cruccio - era piuttosto normale. Così come era normale che Mia volesse essere lasciata in pace. « Seguila. Parlaci tu. » Lo intimò Gillian a bassa voce quando dal piano superiore risuonò il fragore della porta che la mora si era sbattuta alle spalle. Sospirò, Raiden, scuotendo il capo mentre si alzava per aiutare la suocera a sparecchiare. « Non voglio che si senta soffocata. Diamole i suoi tempi e i suoi spazi. » proferì con tono dolce alla donna, scoccandole un piccolo sorriso che sperava potesse tranquillizzarla. Come potesse sentirsi davvero, Raiden non lo capiva. Poteva immaginarlo, sì, ma non capirlo. L'apprensione di una madre verso i propri figli era un tipo di sentimento che non poteva essere davvero descritto o trasmesso in alcun modo. Io non la capivo mia madre quando cercava di forzarmi a parlare, dopo la chiusura delle Logge. Forse nemmeno ci provavo. Ma volevo soltanto chiudere gli occhi e lasciar fuori tutto e tutti. Volevo che la smettesse di spingere, di scavare per trovare sotto le macerie una persona che non c'era più. Credo volessi ciò perché sotto sotto, sapevo sarebbe rimasta delusa dalla verità di chi vi avrebbe trovato al posto del bambino che un tempo allattava dal proprio seno. A modo mio, forse, volevo proteggere anche lei, oltre che me stesso. Quei pensieri lo accompagnarono nel quieto svolgersi delle faccende domestiche, mentre si dava tempo di riordinare la propria mente assieme all'ambiente intorno a sé - anche quello, un tipo di controllo come un altro. Alla fine tranquillizzò Gillian sul fatto che avrebbe tenuto lui d'occhio Mia, che non doveva preoccuparsi e che poteva tranquillamente raggiungere gli altri due figli per accertarsi della situazione di Logan. La salutò con un abbraccio che sperava potesse infonderle un po' di sicurezza e poi, dopo una chiamata alla squadra che si trovava ancora alla torretta assieme a Kyoko, salì al piano superiore per farsi una doccia.
    Ogni tanto li sentiva. In quei momenti di silenzio era più semplice percepire i tentativi di chi ancora non si era dato per vinto nell'entrare in contatto con lui. Chiuse gli occhi, poggiando una mano sulle piastrelle mentre l'acqua fredda gli scivolava addosso. Si concentrava su quel flusso, sui rivoli che tracciavano le linee del suo corpo, focalizzandosi su ogni sensazione superficiale. Ormai dovreste aver capito. Voglio solo essere lasciato in pace. Non è affar vostro, ciò che sento. Non vi appartiene. Non voglio la vostra pietà, né il vostro aiuto. Io mi aiuterò da solo. Chiuse la manopola dell'acqua con un gesto secco, mettendo piede fuori dalla doccia e avvolgendosi velocemente un asciugamano intorno alla vita prima di passare la mano sullo specchio per spannarlo e incontrare i suoi stessi occhi. Era tutto così diverso nella solitudine, quando non c'era nessuno a guardarlo. Il suo sguardo in primis, lo era. Non era spento o vuoto, era soltanto freddo - incredibilmente presente a sé, ma glaciale. Non c'era modo di evitare quella rabbia che sentiva pulsare continuamente dentro di sé, né il dolore che ancora gli squarciava il petto a metà; tutto quanto, tutto ciò che sentiva e che gli ribolliva dentro, era sempre lì, sempre presente. Raiden era semplicemente bravo a non mostrarlo. Ma andrà meglio. Ogni giorno ci sono sempre più vicino. Un piccolo passo alla volta - ci vuol pazienza per queste cose. Ma metterò i conti in regola, costi quel che costi.
    Una volta uscito dal bagno il suo viso riprese automaticamente un'espressione neutrale, incrociando con lo sguardo per un istante la figura di Mia seduta a fumare sul davanzale della finestra aperta. In un altro momento, probabilmente si sarebbe lamentato, chiedendole di scendere al piano inferiore o uscire in giardino per non impregnare di fumo la camera proprio prima di andare a dormire, ma di certo non era quella la sera per mettersi a fare polemica. Non che avesse chissà quale problema col vizio di Mia, ma da non fumatore, le sue narici erano abbastanza sensibili all'odore e mal lo sopportavano nell'ambiente in cui dormiva. Ma tra tutte le cose che mal sopporto, in questo periodo la puzza di fumo è decisamente l'ultima della lista. « Tu come stai? Ho sentito che ci sono stati problemi. » Si strinse nelle spalle, tirando fuori un paio di pantaloni comodi dall'armadio e infilandoseli velocemente. « Sto bene. In realtà di problemi veri e propri non ce ne sono stati, ma abbiamo dovuto portare ad Inverness gli auror della torretta. » Lanciò un'occhiata fugace allo specchio, passandosi le dita tra i capelli umidi per dargli un qualche verso. « A quanto pare uno dei Rag'nak è stato evocato da lì. E beh.. lo sai.. io nelle coincidenze di credo poco. » Inclinò il capo di lato, sollevando un sopracciglio alla propria stessa immagine riflessa allo specchio. Diciamo piuttosto che non ci credo per niente. Se pure quegli auror nello specifico non dovessero c'entrare nulla con la faccenda, di sicuro c'è un legame tra il QGA e quelle evocazioni. Non ci credo che qualche sconosciuto si sia messo a evocare un Rag'nak proprio da lì e che guarda caso nessuno se ne sia reso conto. Per come la vedeva lui, non era nemmeno una questione di essere paranoici o iper-cauti, ma semplicemente di saper fare due più due: ci sarebbe arrivato anche un bambino. « Credo di aver capito. » Si voltò a guardarla, rivolgendole uno sguardo placidamente interrogativo. « Si. Ho capito perché fai così. » Fu naturale per lui scattare immediatamente sulla difensiva a quelle parole, preparandosi all'eventualità di affrontare nuovamente un discorso come quello della sera precedente. Eppure non disse nulla, limitandosi semplicemente a fissarla con una certa neutralità nello sguardo, in attesa di sentire cosa avesse da dire a riguardo. Voleva sfogarsi con lui? L'ipotesi fu la prima a solcargli i pensieri. Avrebbe avuto senso, d'altronde, evitare qualunque cosa la stesse affliggendo tramite un simile mezzo. Ma spero che tu sia più intelligente di così, Mia. « Puoi.. aiutarmi a capire come si fa? » E infatti quella domanda lo lasciò leggermente sorpreso e un poco confuso, costringendolo ad aggrottare la fronte come nel tentativo di capire meglio cosa lei intendesse di preciso. « Per favore.. insegnamelo. È l'unico favore che ti chiedo in questo momento. Io.. da sola non ci riesco. Mi fa venire un terribile mal di testa. Non so a cosa aggrapparmi, come controllare questa cosa.. Mi serve una pausa. » Sospirò, distogliendo per qualche momento lo sguardo da Mia mentre incrociava le braccia al petto, appoggiandosi con una spalla al muro più vicino. Avrebbe dovuto chiederle di raccontargli ciò che era avvenuto? Probabilmente. Era certo che molti avrebbero ritenuto quella la cosa giusta da fare in una simile situazione. Ma sono tutti bravi a parlare di comunicazione quando non sanno come ci si sente. Quando nessuno dall'alto ha deciso per loro cosa possono e devono necessariamente sbattere sul piatto comune. Le persone dovrebbero aver diritto alla propria intimità, a scegliere cosa tenere per sé, invece di essere costantemente messe a nudo contro la loro volontà. « Non voglio sentirmi il fiato sul collo. Voglio solo.. stare bene.. essere normale. Affidabile. Voglio solo spegnere tutto.. per un po'. » Quelle parole, tuttavia, sembrarono farlo sorridere. Un sorriso piccolo e amaro, tracciato in una linea che solo verso l'angolo delle labbra si inclinava leggermente all'insù. « Adesso loro sono qui e io sono felice. Ma la vicinanza creerà solo problemi. Tu capisci, non è così? » Riportò lo sguardo negli occhi di lei, annuendo appena. « Sì, lo capisco. » Non c'era condiscendenza nel suo tono di voce. Comprendeva davvero il desiderio di Mia, e lo riteneva più che legittimo, tanto che non sentiva il bisogno di essere pregato o convinto per aiutarla a realizzarlo. « Se vuoi fare qualcosa per me, ti chiedo solo questo. Aiutami a spegnere tutto. Conviene comunque ad entrambi. Almeno non succederà più ciò che è accaduto l'altra sera. Staremo bene. » Ancora una volta quel sorriso amaro ricomparve sulle sue labbra nel fissarla, accertandosi che non avesse altro da aggiungere. Constatato ciò, prese un lungo respiro, abbassando di poco il mento per guardarla da sotto le ciglia scure. « Lo sai che non sono un genio della lampada, vero? » Fece una pausa, facendo scoccare un sopracciglio verso l'alto in seguito a quella domanda retorica. « Posso aiutarti a chiudere il contatto - quello sì - ma spegnere tutto.. » scosse il capo, sbuffando una risata amara dalle narici « ..mi dispiace dirtelo ma non è così che funziona. » Non starai meglio. Non starai nemmeno bene. Normale puoi provare ad esserlo, per gli altri. Affidabile.. quello è qualcosa di totalmente scollegato e di certo non può essere insegnato. Mosse qualche passo in avanti verso di lei, facendosi più vicino per guardarla meglio in viso. « Qualunque cosa tu senta, non sparirà con la chiusura del contatto. Sarà ancora lì. » Inclinò quindi il capo di lato, come a voler dare un contro peso a quelle affermazioni. « Ma sarà solo tua. » Forse in molti avrebbero potuto intendere quella frase con una sfumatura negativa, come se fosse tesa a sottolineare un senso di solitudine e il peso di un fardello che ci si rifiutava di condividere. Ma Raiden la vedeva in maniera totalmente opposta, come una forma di controllo su se stessi e le proprie emozioni - un'autodeterminazione. Sospirò, ponendosi a spalle dritte di fronte a lei. « Ce l'hai qualche base di occlumanzia? » Una domanda la cui risposta non era affatto scontata. La maggior parte delle persone non aveva la minima tangenza con quel tipo di magia, che tra l'altro non veniva nemmeno insegnata nelle scuole. Raiden poteva solo ringraziare l'esercito per l'infarinatura necessaria che aveva ricevuto a riguardo. « Sarà difficile sulle prime, ma con la pratica verrà sempre più facile. » Fece una pausa, scrutandola per qualche istante prima di far schioccare la lingua contro il palato e farle cenno col capo di scendere dal davanzale. « Vieni qui. Ti insegno un trucco. » Quando i piedi di Mia toccarono terra, Raiden appoggiò le mani sulle sue spalle, facendola ruotare piano in modo tale che lei gli desse la schiena. A quel punto la guidò verso un angolo della stanza, fermandosi solo quando il naso di lei andò a sfiorare l'angolo creato dai due muri. Molti maestri suggerivano di chiudere gli occhi e concentrarsi sui propri respiri, ma Raiden trovava quella pratica fuorviante e decisamente poco d'aiuto. Chiudere gli occhi ti scollega dalla realtà e scatena l'immaginazione. A mio parere, è molto più utile per aprirla, la mente, piuttosto che per chiuderla. Fatta quindi presa più salda sulle spalle di lei, si avvicinò al suo orecchio, cercando di guidarla gradualmente e delicatamente nella pratica di concentrazione. In quel momento la mora non aveva nulla nel suo campo visivo se non quell'angolo di stanza; i suoi occhi erano così vicini al muro che ne avrebbe potuto osservare ogni piccola imperfezione, distinguendo persino i diversi strati di vernice. « Concentrati bene sui dettagli. La grana, le crepe, il colore, le piccole macchie.. tutto quanto. Toccalo pure: sentirlo sotto la pelle può aiutarti. » Le diede quelle istruzioni con voce pacata, regolando il proprio respiro in maniera tale che i suoi soffi non le giungessero troppo forti o rumorosi, finendo per distrarla. « E respira. Hai il cuore a mille. » Una reazione piuttosto normale alla richiesta di concentrarsi su una singola cosa e svuotarsi da tutto il resto, dato che il pensiero di doverlo fare tendeva a creare la reazione esattamente opposta. « Prenditi il tuo tempo. Puoi anche descrivermelo a voce, se ti aiuta. » Attese, dandole il tempo necessario per elaborare quelle istruzioni e metterle in pratica. Pazientò fin quando non sentì con le proprie dita la tensione sciogliersi lentamente dalle spalle di Mia, e il suo respiro farsi più regolare. Le diede quindi altro tempo ancora, e poi, semplicemente, le sussurrò piano « Chiudi la porta, Mia. »

     
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    « Sì, lo capisco. » Scostò istintivamente lo sguardo, tornando a osservare le serene pieghe della fresca notte delle campagne scozzesi. Era un discorso che doveva filare liscio, nella testa di Raiden, e a Mia, in merito, una conferma serviva. La sua richiesta non aveva nulla di subdolo, ma nonostante ciò confermava comunque questioni che forse avrebbe preferito non conoscere fino in fondo. Si stava immergendo in acque profonde, la cui portata non era certa di saper gestire. A modo suo, con o senza contatto, con o senza una dose di intuizione sufficientemente attenta e obiettiva, nonché rodata, Mia stava finalmente ottenendo qualcosa dal diretto interessato. Di certo quanto accaduto la notte prima non le era passato di mente, né i brevi scambi che avevano avuto il giorno precedente avevano smesso di ronzarle in testa. Semmai, forse ingenuamente, Raiden stava aprendo il suo animo all'unica cosa che evidentemente voleva in prima persona. Il distacco. Provò una punta di risentimento nei confronti di quella conferma. Lo capisci? No. Non dovresti capirlo. Io non lo capisco. Non lo capisco tra noi. Io non sono mia madre, non sono la mia soffocante famiglia. Non voglio remarti contro, non voglio aggiustarti, non voglio soffocarti. Dovrei essere la tua compagna, la tua metà per la vita. È questo ciò che sono le coppie sposate no? È questo ciò che dovremmo essere. Io dovrei essere al tuo fianco. E tu dovresti fare altrettanto. Eppure, in questo momento, sorprendentemente, e contro ogni previsione, Raiden, l'unica dentro questo matrimonio - in questa "relazione" che tanto hai puntato i piedi per avere - sono io. Man mano che sciorinava quei pensieri, il risentimento e la frustrazione, aumentò. E ciò che sembrò colpirla maggiormente fu proprio la sua mancanza di reazione sull'ultima parte del suo discorso. Conviene comunque ad entrambi. Quindi è veramente questo ciò che conviene.. « Lo sai che non sono un genio della lampada, vero? Posso aiutarti a chiudere il contatto - quello sì - ma spegnere tutto.. mi dispiace dirtelo ma non è così che funziona. » Raiden sembra essere entrato nella sua futura classe a Hogwarts in anticipo. Espone i suoi pensieri con estrema eloquenza e una certa dose di distacco che la porta a osservarlo con attenzione. Un'attenzione che potrebbe sembrare desiderio di carpire quei concetti fino in fondo, quando in realtà aspira più a capire se c'è in quelle parole almeno un briciolo di empatia. « Qualunque cosa tu senta, non sparirà con la chiusura del contatto. Sarà ancora lì. Ma sarà solo tua. » E a te non interessa nemmeno un po'? Non vuoi davvero sapere? A te frega qualcosa di me? Tuttavia, annuì, Mia, e tentò di registrare mentalmente quanto le veniva detto. Indipendentemente dall'evidente difficoltà e disagio che quel discorso le stava creando, ne aveva comunque bisogno. Era difficile riuscire a separare il piano emotivo che la legava a Raiden, dall'assoluto bisogno di trovare comunque una maniera per creare la giusta distanza con la sua famiglia, almeno per i primi giorni. Eppure, di fronte a quel pensiero, iniziò a sentirsi in colpa. Sto giocando allo stesso gioco non è così? Mia madre e i miei fratelli si sentiranno nella stessa maniera. Però non è la stessa cosa, non è comunque la stessa cosa. Io lo so che sono due piani diversi. E in fondo, Mia non aveva tutti i torti. Il contesto famigliare era ormai una realtà che Mia si era lasciata in parte alle spalle. Aveva staccato il cordone ombelicale per iniziare una nuova vita; alla luce di ciò, non poteva permettere che sua madre continuasse a trattarla come una bambina. Ciò non significava, tuttavia, che all'interno della sua famiglia ristretta - Raiden nello specifico - le cose potevano andare nella stessa maniera. Io non sono cresciuta così. Mamma e papà non erano così. Brian e Olivia non era così. E seppure, non potesse sapere fino in fondo quanto intima fosse l'unione dei suoi modelli, era certa del fatto che ciò che lei e Raiden stavano vivendo non era neanche lontanamente quell'ideale con cui era cresciuta. « Ce l'hai qualche base di occlumanzia? » Si strinse nelle spalle, Mia, inumidendosi le labbra. « Durante l'addestramento ci hanno insegnato le basi, ma non mi ci sono mai cimentata. Non faceva per me. » Quella giovane Wallace intenta a superare lo scoglio della cerimonia finale post addestramento, non si è mai seriamente interessata a quel tipo di questioni. Non era brava a tenersi le cose per sé, e di conseguenza, le sue conoscenze potevano dirsi quasi inesistenti. A New Orleans erano abbastanza meticolosi - eseguivano un addestramento in vecchio stile, cercando di preparare al meglio i futuri soldati del Credo a qualunque situazione. Se non eri bravo in qualcosa, dovevi comunque farla. Così, qualora dovesse mai servirti, non parti da zero. L'occlumanzia - che pure poteva dirsi fondamentale, specie secondo l'educazione impartita prima che il Credo uscisse allo scoperto - Mia non l'ha mai presa sul serio, tanto quanto non ha mai preso sul serio lo studio del greco e del latino. Figuriamoci. Tra noi c'è chi studia anche l'arabo, l'ebraico e altre lingue antiche. Immagino che qualcuno dovrà pur farlo. Non io, però. « Sarà difficile sulle prime, ma con la pratica verrà sempre più facile. Vieni qui. Ti insegno un trucco. » Corrugò appena la fronte, prima di spegnere la sigaretta e spalancare ulteriormente la finestra per lasciare che l'aria fresca penetrasse nell'ambiente. A quel punto si posizionò davanti a lui ricercando il suo sguardo senza sapere cosa aspettarsi di preciso. Quando le dita di lui toccarono le sue pelle, guidandola a dargli le spalle, deglutì appena, avanzando lentamente verso quello che era uno degli angoli della stanza. Lì, tutto era claustrofobico. Non c'era nulla, se non una banalissima parete. L'aria sembrava comprimersi, lo spazio annullarsi. Nello stesso momento in cui il moro rinsaldò la presa sulle sue spalle, la tensione nel suo corpo crebbe e respirare diventò più complicato. Provava un senso di panico e di ansia; Mia non era all'angolo. Si trovavano piuttosto sul limitare di un precipizio; una sensazione quella che sentiva, la giovane Yagami, portava con sé una dose considerevole di amarezza. Se spingi, io cado. È così. « Concentrati bene sui dettagli. La grana, le crepe, il colore, le piccole macchie.. tutto quanto. Toccalo pure: sentirlo sotto la pelle può aiutarti. E respira. Hai il cuore a mille. E respira. Hai il cuore a mille. » Ispirò profondamente, Mia, schiarendosi la voce. Non si era neanche accorta di quanto difficile fosse respirare finché Raiden non gliel'aveva fatto notare. « Prenditi il tuo tempo. Puoi anche descrivermelo a voce, se ti aiuta. » E allora raggiunse coi polpastrelli la parete bianca tastandone la consistenza, lasciando che ciascuna delle sensazioni tattili e visive le raccontassero la storia di quel luogo. Ha molti anni alle spalle e ha visto l'arrivo di tanti cacciatori. Ricorda uno specifico momento nella sua infanzia in cui lo Brian era stato mandato in Scozia per una missione giunta a New Orleans da Richard Morgenstern in persona. Era un grande onore servire la Città Santa. Uno dei più grandi. Il precedente patriarca amava far rispettare le gerarchie anche a costo di governare col pugno di ferro. Erano tempi diversi rispetto agli attuali; tempi in cui Mia e Raiden probabilmente non si sarebbero mai incontrati. In quella casa, suo fratello deve averci vissuto per almeno un paio di mesi. Ha occupato quella stanza o ne ha scelta un'altra? Le manca l'aria lo sente; è come se fosse stata scaraventata a forza all'interno di una scatola di ridotte dimensioni. « Raiden.. » La voce di lei trema, ma segue comunque coi polpastrelli i dettagli della parete chiudendo di scatto gli occhi. E allora i sensi sembrano acuirsi. Sprovvista della vista ha modo di concentrarsi su altro. Le dita di lui che scavano contro la sua pelle, il soffio leggero; le crepe e i dislivelli di quella ruvida superficie sembrano formare assieme un disegno arzigogolato. E non sa di preciso per quanto tempo resta lì, in quella posizione, con gli occhi chiusi e il fiato sospeso. Sa solo che continua a disegnarlo. Un simbolo. È rosso. Brilla nel buio di una foresta. E poi un'immagine dopo l'altra si sussegue nella sua mente senza che possa fare nulla per frenarne il moto. La foresta è grigia. È buia. Un tentacolo di contorce attorno al suo polso. La trascina sul terreno ghiacciato. Mia urla e scalcia e poi il tentacolo viene reciso e la creatura si allontana. La melma nera che scorre nelle vene del demogorgone imperla ora tutto il suo viso. « Chiudi la porta, Mia. » Il soffio di Raiden solletica la sua pelle e il respiro di Mia riprende ad animarsi. Il cuore prende a battere se possibile ancora più velocemente mentre le spalle sotto il tocco di lui si inarcano. « Raiden.. fa molto freddo.. » Chiudi la porta, Mia. Quelle parole rimbombano nella sua testa mentre cerca il contatto col muro appoggiandovi la fronte. E lì, in quel momento scoppia a piangere. Diversamente da altre volte, le emozioni sembrava confluire fuori come un fiume in piena. Si sentie talmente vulnerabile ed esposta, che prova l'irrefrenabile desiderio di stringersi le braccia attorno al busto in maniera talmente salda da sentire la pressione sulla propria cassa toracica. Chiudi la porta, Mia. « Fa un sacco freddo.. » C'era tanto rumore lì, nella sua testa. Come se fosse costantemente in una piazza ghermita di gente il cui chiacchiericcio circostante sovrastava a tratti i suoi stessi pensieri. Voleva farlo cessare, sì. In quel momento sentiva di averne bisogno. Voleva stare da sola, pensare, riflettere. Per una volta Mia sentiva il bisogno di smettere di confondersi nella massa. Voleva guardarsi allo specchio e vedere solo se stessa, senza che nessuno interferisse. Eppure, qualcosa glielo impediva. Una forza esterna interferiva con quel suo bisogno di silenzio. Era una forza fatta di dita snelle dalla presa salda; era un soffio caldo e una voce dolce e rassicurante. Chiudi la porta, Mia. Io lo capisco. E lei, quella forza, uguale e contraria ai suoi sforzi, non riusciva a ignorarla. Al respiro affannato e la presa salda attorno a se stessa, si unì un palese senso di disequilibrio. Chiudi la porta, Mia. Ogni cosa sarà ancora lì, ma sarà solo tua. E Mia scuote la testa insistentemente. E tu.. tu dove vai se io chiudo la porta? Dov'è casa tua, se butto fuori anche te? Io vorrei tanto buttarti fuori. Non sai quanto. Dopo questa sera, io odio questa parte di te. Odio il fatto che mi vedi come un problema - ed è evidente. È evidente che lo sono. Stasera ti ho cercato.. Sono rimbalzata da una testa all'altra ma non volevo nessuno.. nessuno. Nessuno poteva aiutarmi, e nessuno mi ha aiutato. Non potevano, e forse non volevo neanche che lo facessero. E non lo voglio neanche adesso. Vorrei solo andare a casa. Restare in silenzio, piangere se mi va, oppure non farlo, ma sapere comunque che l'unica persona a cui ho affidato me stessa è lì. Ma quella voce continuava a chiederglielo. Chiudi la porta, Mia. E non era certa se fosse reale o solo nella sua testa. Di certo, ad un certo punto, dopo un tempo che le sembrò infinito, tra singhiozzi e respiri pesanti, la serratura scattò. E rimase solo il silenzio. Sgranò gli occhi mentre lasciava cadere le braccia scostando la fronte dalla parete. Da qualche parte, in lontananza, quel chiacchiericcio persisteva, ma la sua presenza era differente. E come quando chiudi la finestra. Il traffico e i rumori della città sono ancora lì, ma dentro casa stai comunque bene. Già. La casa. Quel pensiero la intristì, ma nonostante ciò si asciugò le lacrime si voltò con lentezza in direzione del ragazzo. Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. Ringraziarlo? Non ci riusciva. In fondo, come era da aspettarsi, ogni cosa era ancora lì, incluse quelle che si erano aggiunte quella sera. Eppure, per una volta, Mia era semplicemente stanca di lottare contro i mulini a vento. Aveva bisogno di riposare. Forse addirittura godersi quel silenzio. Tenere a bada quella porta, lo sentiva, non sarebbe stato facile, e la tentazione di aprirla per sfondare con un calcio rotante quella di lui, sarebbe stato sempre più forte. Gli circondò quindi il viso, e poi strofinò il naso contro il suo mento, gettando lo sguardo in quello di lui. « Ho freddo. » Disse ancora una volta nonostante i tremori avessero smesso di scuotere le sue ossa. « E mi manchi. » E quindi lo baciò e lasciò che il silenzio trovasse il proprio spazio ed equilibrio tra loro.

    Stesa a letto nel buio della stanza, cullata dall'ormai profondo sospiro di un Raiden addormentato, rimase a fissare il soffitto a lungo. I pensieri che si annidavano nella sua mente non vennero meno, né i sentimenti contrastanti che provava nei confronti del giapponese si erano assopiti. Lo osservò con apprensione; ogni tanto il volto di lui si contorceva in smorfie dolorose e tormentate. Cosa ci fosse lì dentro, solo Raiden lo sapeva. Che non volesse parlare ormai le era piuttosto chiaro, ma non per questo intendeva venir meno alle sue convinzioni. A mente più lucida si rese conto che aveva diverse cose per le mani; da una parte quanto accaduto nella foresta - un tarlo fisso che non poteva ignorare. Dall'altro lato Kyoko e la sua improvvisa comparsa nella vita di Raiden. Per non parlare della gestione della sua famiglia, che certamente non se ne sarebbe stata con le mani in mano. E poi tutto il resto.. un qualcosa la cui portata non riusciva nemmeno a concettualizzare. Non si vive di presentimenti, né di cattive vibrazioni, ma io ho comunque un brutto presentimento. Bruttissimo. E non prese sonno ancora per un po', nella speranza di trovare una soluzione che l'aiutasse quanto meno a capire come muoversi. Fu il rumore dell'acqua nella doccia a svegliarla. L'altro lato del letto ormai sgombro la portò ad alzasi stiracchiandosi appena. E per la prima volta dopo giorni di assenza e lontananza, Mia decise di proseguire il racconto della sera prima, scostando la porta appannata della cabina doccia, per farsi spazio alle sue spalle. Si sarebbe comportata in maniera normale. Finché qualcosa non si sarebbe mosso. O finché a forza di scavare non avrebbe trovato risposta alle sue domande. Pazientare non era certo un suo forte, ma a quel punto, non aveva altra soluzione. Inutile dire che la parte più ingenua e gentile dell'animo della giovane Serpeverde, volle addirittura illudersi in merito. Forse stare così aiuterà entrambi. Forse inizierà ad aprirsi. Forse devo solo dargli un altro po' di tempo. [...] « Ti va di metterci fuori oggi? Se devi lavorare, io devo comunque studiare. La prossima settimana iniziano i corsi di recupero ed io non ho ancora cominciato i libri consigliati. » Un modo come un altro per non permettergli di rintanarsi nella nursery. Era una bella giornata di sole, e un po' d'aria fresca faceva bene ad entrambi. Quella proposta, tuttavia, era anche funzionale. Mettersi in giardino significava permettere a Gillian di tenerla d'occhio senza il bisogno che Mia si sentisse soffocata. Dopo una giornata passata a stare buoni, capirà che è tempo di gettare la spugna. Si costringeva a sorridere e accettare le incursioni di questa e quell'altra persona di passaggio per salutare gli Wallace e di conseguenza anche Mia e Raiden. Ad un certo punto, notando sua madre alla finestra, diede un leggero calcio scherzoso a Raiden sotto il tavolo, sollevando un sopracciglio. « Non guardare, ma Gillian Wallace ha rotto il cazzo. » Lasciò cadere la matita sul tavolo gettandogli uno sguardo eloquente. Non mi stupisce il fatto che nessuno dei miei fratelli viva qui. Tu guarda se sono più intelligenti di me. « Non possiamo buttarla fuori da casa sua, ma non possiamo neanche vivere con lei. » Sgranò gli occhi mostrandogli un'espressione apertamente esasperata. « Dobbiamo trovare un'altra sistemazione il prima possibile. » Si inumidì le labbra e richiuse il libro. « Rispetto a quella partenza.. se pensi che potrebbe essere una cosa imminente preferirei che ce ne occupassimo prima. Non mi va di restare qui da sola mentre non ci sei. » Un'esigenza che in fondo, in seguito a quanto accaduto la sera prima, non doveva certo essere poi così assurda. « I primi giorni di vacanza potevo ancora permettermi di stare tutto il giorno fuori casa, ma ormai dovrò seriamente mettermi sotto se voglio arrivare ad essere ammessa a settembre. Non riesco a concentrarmi se sta lì a seccarmi di continuo. Ora è tranquilla giusto perché mi tieni d'occhio tu. » Abbassò lo sguardo passandosi una mano tra i capelli color indaco, scuotendo la testa. Odiava dover scendere a quel compromesso - permettere agli altri di pensare che avesse bisogno di una babysitter era l'esatto contrario di ciò che si sarebbe prospettata per la sua vita adulta. Ma era comunque un sacrificio che era disposta a fare, se ciò significava avere meno rogne.
    Fu proprio in quel momento che un sacchetto di plastica all'interno del quale riuscì a individuare dei vestiti bianchi atterrò sotto i suoi occhi. « Lavata e stirata! Hai visto che brava? » Kyoko prese posto su una delle sedie attorno al tavolo e li osservò con un gran sorriso. « Raiden ha detto che ci tieni un sacco alle tue divise, quindi l'ho fatta lavare e stirare da Clement. Ragazzo d'oro. Ieri notte è stato così carino da invitarmi a casa sua. » Sollevò un sopracciglio sbattendo le palpebre piuttosto perplessa prima di gettare uno sguardo fugace in direzione di Raiden. « Il Clement Dubois che doveva stare nella nostra squadra? » Lo aveva visto diverse volte all'Alveare. Era un tipo burbero; parlava un inglese terribile e trasudava testosterone da tutti i pori. Uno dei maschi più problematici che abbia mai visto in vita mia. « Ha lavato e stirato la mia divisa? » « Perché no? Raiden non le fa le faccende di casa? Non le fai le faccende in casa, Yagami-dono? » Si ma Raiden è Raiden. « Ma certo che le fa. Lui è proprio il miglior ragazzo del mondo! Si vede proprio! » E dicendo ciò gli pizzica la guancia affettuosamente prima di dargli una pacca sul braccio, ridendo di gusto. Mia dal canto suo si passa la matita tra le mani, mettendo da parte la busta con la divisa. « Prima ho parlato con tua madre. È una signora dolcissima. Anche lei è d'accordo sul fatto che posso rimanere finché mi pare. Tua nipote poi, bambina squisita. Molto sveglia. Devo ammettere che nonostante tutto vi crescono abbastanza bene.. per essere americane. Mi piacerà stare con voi. » Mia stira un sorriso decisamente snervato, sospirando profondamente. Questa tipa mi sta seriamente insultando a casa mia. Siamo seriamente arrivati a questi livelli. In tutta risposta la giovane Yagami solleva un sopracciglio e osserva Raiden con fare eloquente, mentre si morde la lingua, consapevole di non voler offendere anche Raiden nell'intento di colpire la ragazza. Non è tuttavia necessario essere in contatto per rendersi conto del fatto che è apertamente seccata. L'argomento cadde di colpo; ciò che divenne sempre più lampante era che lo sguardo di Kyoko sembrava essere più insistente nei confronti della mora. Le bastò infatti tornare a osservarla per rendersi conto che non aveva mai smesso di farle una radiografia dettagliata dalla testa ai piedi.
    « Ma basta parlare di me. » Pausa. « Come stai Mia? Ti senti meglio? » Cos? La confidenza con cui le prese la mano tra le proprie la lasciò interdetta. « Uhm.. sto bene. Grazie. » Disse tentando di non esagerare nel tenerla a distanza. Raiden è ancora qui; non è scappato da nessuna parte. Ieri sera era assieme a noi e questa tipa non sembra in grado neanche di trovare la strada verso il bagno da sola. Forse è stato un errore di qualche guardia. Forse è tutto apposto. Reagire in maniera plateale in quel momento sarebbe stato comunque inutile, oltre che controproducente. Di scatto parte della parvenza superficiale di Kyoko venne meno, stringendo la mano di Mia tra le sue con più decisione. « Ho sentito cos'è successo ieri sera. Mi dispiace. Succede anche a me a volte.. » Di fronte a quelle parole, Mia sgranò gli occhi. Cosa succede anche a te? « Se vuoi parlarne qualche volta.. » La pressione sulla mano della Serpeverde divenne sempre più evidente, mentre lo sguardo scuro di lei sembrava voler scavare nelle interiora di Mia, con una tale forza di volontà da non riuscire a distaccarne lo sguardo. Anche perché accadrà sempre più spesso. Sarà sempre peggio. Una voce interiore, quella, che le apparve come sua, pur creandole una sensazione diversa rispetto al solito. « ..siamo amiche ormai. Puoi contare su di me. » Il tono frivolo era tornato; Kyoko sorrise e Mia ritrasse la mano bruscamente continuando a osservare la ragazza con un'espressione interrogativa e apertamente confusa. L'altra, dal canto suo, non sembrò neanche accorgersene, oppure di certo se lo notò, ignorò di sana pianta la questione. Come se niente fosse successo. Avrebbe voluto farle più di una domanda, ma a dirla tutta, non era certa di volerne parlare in presenza di Raiden, né quando sua madre e il resto della sua famiglia le ronzavano attorno così tanto. « Uhm.. io.. vado a.. » Corrugò la fronte, Mia. Di colpo sentiva il bisogno di allontanarsi. Scappare. Era ancora brava a scappare? Gli occhi scuri osservò Raiden per qualche istante prima di evitarlo quasi come se si sentisse messa sotto esame. Si inumidì le labbra e sbatté le palpebre diverse volte un po' confusa. « No no no, aspetta un secondo. Dobbiamo organizzarci per quando parte Raiden. Finalmente un po' di tempo tra ragazze! STU-PEN-DO! Come minimo andiamo a fare shopping insieme, e poi devi portarmi a vedere il college. Ho sentito cose fantastiche su quel posto. » Pausa. « Raiden ha detto che mi ci porti. Vero che mi ci porti? Serata ragazze e rimorchio ovviamente!» A quel punto a Mia stava letteralmente scoppiando la testa e non la stava nemmeno ascoltando più di tanto. « ..a me è venuta un po' di fame. Io.. torno tra un po'.. voi.. volete qualcosa? » « Non mi dispiacerebbe un gelato. Tu cosa prendi Raiden? » In circostanze differenti, si sarebbe sentita addirittura mortificata da quel comportamento. In quel momento però cercava solo una scusa per girare i tacchi e uscire da quella situazione. E non tornò, Mia. Rimase piuttosto stesa sul letto, a guardare il soffitto e mandare qualche messaggio a Ronnie, commentando meme stupidi e scorrendo Wiztagram distrattamente. I suoi ormai ex compagni di scuola si stavano godendo le vacanze post diploma, e in quell'equazione Mia doveva essere la persona più fortunata di tutte; quello non era solo il periodo di un passaggio importante, ma doveva essere anche il periodo più roseo della sua relazione. E invece lo stava passando a letto, accarezzando i gatti, e tentando di sopravvivere a un terribile mal di testa. Il peggiore che avesse mai avuto.





    Edited by « american beauty » - 18/8/2021, 17:39
     
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    « Raiden.. fa molto freddo.. » Fece un passo avanti, facendosi più vicino a lei mentre stringeva un po' più la presa sulle sue spalle. Da quella posizione, ignorare le lacrime di Mia era impossibile. Ma andrà meglio. Col tempo andrà meglio. Tutto ciò che è successo, tutto ciò che ci ha feriti, forse non sparirà mai, ma impareremo a conviverci. Chiuse gli occhi, Raiden, cercando di convincersi a propria volta di quelle parole che tante volte, in diverse circostanze, si era ripetuto. Non serve a nulla mettere tutto in bella mostra. È solo una sofferenza, è solo un grido d'aiuto a cui il mondo tende a rispondere con la pietà, con gentilezze affettate che "devono essere fatte". E io non voglio essere guardato in quel modo, come qualcosa di rotto da aggiustare. Non voglio che la gente mi parli come se fossi un bambino, come se potessero comprendere ciò che provo. Perché non è così. « Fa un sacco freddo.. » Faceva freddo, sì. Non sapeva cosa quel freddo potesse significare per Mia, né pretendeva di esserne messo al corrente. Ma il proprio, di freddo, Raiden lo sentiva. Era la più alta forma di solitudine - una a cui era ben avvezzo, forse addirittura assuefatto. Gli era stato insegnato che fosse quella, la giusta condizione - che fosse esattamente ciò a cui dovesse auspicare in un momento del genere. Tutto il resto sarebbe stata una sconfitta, un'ammissione di debolezza, ed era decisamente meglio essere soli piuttosto che essere deboli. « Ce la puoi fare. » Mormorò all'orecchio di lei, con la gola arsa, mentre quell'incoraggiamento si sedimentava nel suo stesso cuore, mettendo radici tra le convinzioni che vi aveva impresse nel tempo. Serrò le palpebre e cercò di ignorare al meglio che poteva i singhiozzi di Mia e i ricordi che essi evocavano nella sua mente. Tutto in Raiden era associato al dolore; ogni lezione imparata era passata tramite quel severo maestro che non lasciava mai scampo. Era stato fortunato, lui, rispetto ad altri; si ricordava ancora steso sulla propria brandina a Iwo Jima, intento a ringraziare il cielo per gli schiaffi a piena mano e le cinghiate di Ichiro: tutte punizioni che lo avevano preparato ad affrontare la realtà in cui si trovava, instillando in lui la forza psicologica necessaria a trattenere dentro di sé delle emozioni che volevano solo essere sfogate. Ma non tutti avevano avuto una simile educazione, e di certo Raiden non poteva permettere che simili persone rovinassero ogni suo sforzo, condannandolo al biasimo e alle severe punizioni dei maestri. Quando lui e gli altri compagni si facevano aguzzini dei propri commilitoni più deboli, una parte di loro era forse convinta di fargli del bene, di risparmiarli in tal maniera da pene più severe. Eppure non si trattenevano in alcun modo dal reiterare gli stessi comportamenti dei maestri, usando le armi dell'umiliazione e del dolore fisico per correggere l'individuo deviante e imporre la norma del gruppo. Non erano affatto diversi: stavano solo facendo il lavoro sporco al posto di altri, interiorizzandone gli insegnamenti. Si diceva che a Iwo Jima tutto potesse essere corretto: la maleducazione, la debolezza, la mancanza di controllo, e persino l'orientamento sessuale. Uscivi da lì completamente trasformato nel prodotto ultimo che l'esercito desiderava avere, e a quel punto c'era davvero poco che si potesse fare per disimparare quanto appreso. L'istinto più forte, in fin dei conti, è sempre quello di autoconservazione - e come tale può essere sfruttato per imparare qualsiasi cosa.
    Quando Mia si voltò, con gli occhi ancora arrossati dalle lacrime, Raiden non disse nulla. Incollò la fronte alla sua e le cinse la vita con le braccia, invitandola mutamente a farsi più vicina per sentire almeno un po' di quel calore di cui si stava privando. Un sacrificio consapevole, il suo, che vedeva come necessario alla protezione di qualcosa di più grande. « Ho freddo. E mi manchi. » « Mi manchi anche tu.. amore mio. » sussurrò in un soffio appena udibile sulle sue labbra, imprimendole poi in un bacio che voleva cancellare qualunque traccia di quel dolore, di quella mancanza che gli squarciava il petto e a cui non sapeva né voleva dar voce.

    « Non guardare, ma Gillian Wallace ha rotto il cazzo. » Alzò gli occhi dalle pergamene solo per incrociare quelli di Mia, sollevando un sopracciglio con aria divertita. Che la madre di Mia fosse in stato apprensivo, non ci voleva il contatto lycan per saperlo: Raiden riusciva benissimo a percepire lo sguardo della donna dalle finestre, sempre pronta a tener d'occhio la figlia per paura che scoppiasse. Dal canto suo, il giovane Yagami riteneva piuttosto normale la reazione che Mia aveva mostrato la sera prima: dopo tutto ciò che era accaduto nel giro di pochi giorni, non era strano che lo stress avesse avuto la meglio su di lei. Probabilmente ha solo bisogno di un po' di riposo e normalità. Tutto qui. « Non possiamo buttarla fuori da casa sua, ma non possiamo neanche vivere con lei. Dobbiamo trovare un'altra sistemazione il prima possibile. » Sospirò, Raiden, tracciando due pesanti righe rosse e un grosso punto interrogativo su un passaggio della tesi che stava correggendo. Illeggibile - vi scrisse vicino, prima di passare alla pergamena seguente come se niente fosse. Di certo non avrebbe perso tempo a interpretare calligrafie svogliate. « Con l'espansione ci sarà sicuramente più spazio. Ma se non vogliamo aspettare possiamo sempre parlare con Beatrice e vedere se c'è qualche casa libera. » Sollevò lo sguardo in quello di Mia, sorridendole serenamente. « Cioè.. sarebbe un po' il caso di avere un posto nostro a prescindere, no? » Gillian o non Gillian, Raiden ci teneva ad avere una casa che fosse loro. « Rispetto a quella partenza.. se pensi che potrebbe essere una cosa imminente preferirei che ce ne occupassimo prima. Non mi va di restare qui da sola mentre non ci sei. I primi giorni di vacanza potevo ancora permettermi di stare tutto il giorno fuori casa, ma ormai dovrò seriamente mettermi sotto se voglio arrivare ad essere ammessa a settembre. Non riesco a concentrarmi se sta lì a seccarmi di continuo. Ora è tranquilla giusto perché mi tieni d'occhio tu. » Annuì, inumidendosi le labbra mentre appoggiava la schiena contro la sedia e riponeva la penna sui fogli di pergamena in modo da non farli svolazzare via con la leggera brezza estiva. « Mh.. per la partenza credo proprio che sarà nella settimana del dodici. Un paio di giorni, niente di che. Giusto per il fine settimana. » Fece una pausa, aggrottando la fronte con aria pensierosa. « Avrei detto di passare pure oggi da Beatrice, ma dopo gli avvenimenti di ieri sera non voglio disturbarla: sarà sicuramente occupata con faccende più pressanti. Potremmo farle uno squillo in serata e sentire quando è libera. » Stava per aggiungere qualche altra ipotesi quando l'arrivo di Kyoko ruppe immediatamente la quiete della conversazione. Raiden non la vedeva dal giorno precedente, e aveva solo notizie sommarie riguardo ciò che aveva scoperto alla torretta; per questo il suo sguardo si fece subito vigile, pronto ad accogliere qualunque notizia. « [..] Perché no? Raiden non le fa le faccende di casa? Non le fai le faccende in casa, Yagami-dono? » Alzò gli occhi al cielo. La smetterai mai di chiamarmi così? « Ma certo che le fa. Lui è proprio il miglior ragazzo del mondo! Si vede proprio! » Stirò un sorriso sarcastico a quelle parole, allargando le braccia prima di lasciarsele ricadere sulle gambe. « Prima ho parlato con tua madre. È una signora dolcissima. Anche lei è d'accordo sul fatto che posso rimanere finché mi pare. Tua nipote poi, bambina squisita. Molto sveglia. Devo ammettere che nonostante tutto vi crescono abbastanza bene.. per essere americane. Mi piacerà stare con voi. » « Non è una cosa molto garbata da dire, Kyoko. Specialmente quando sei ospite. » Ma la giapponese lo liquidò presto con un cenno veloce della mano, portandolo ancora una volta ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare. Compreso che Kyoko avesse solo voglia di convenevoli, Raiden riprese in mano la penna e continuò col proprio lavoro, scorrendo tra le fitte righe confuse di quel tesista che ormai aveva la curiosità scientifica di conoscere di persona. « ..a me è venuta un po' di fame. Io.. torno tra un po'.. voi.. volete qualcosa? » Sollevò lo sguardo solo a quelle parole, scuotendo leggermente il capo con un sorriso e lasciando che Mia rientrasse in casa senza dire nulla. Solo quando fu fuori dalla portata di orecchio, con gli occhi che erano già tornati alla pergamena, il giovane Yagami prese parola con tono piatto. « Allora? Qualche pista? » Per un istante Kyoko non disse nulla, ma Raiden ne riusciva a percepire lo sguardo addosso con una certa precisione. « Certo che sei proprio insensibile, tu. » Sollevò le iridi in quelle di lei, inarcando un sopracciglio a mo' di laconico interrogativo. « Maschio stupido. Non ci capisci nulla. » Di rimando, Raiden si strinse nelle spalle, tirando un sospiro sarcasticamente affranto. « Ognuno deve convivere con i propri fardelli. » Kyoko sembrò poco soddisfatta da quella risposta, che la fece imbronciare e incrociare le braccia al petto come una bambina contrariata. Per qualche istante non disse nulla, forse aspettandosi qualcosa da lui che non arrivò. E poi, dopo uno sbuffo pesante e una pistata di piedi a terra, borbottò qualche parola. « Comunque avevo ragione, sai? È stato evocato proprio da lì il Rag'nak. » Fece una pausa. « Ho chiamato mio fratello. Lui saprà essere più d'aiuto, siccome è la sua branca. » Ci mise qualche istante per elaborare la cosa, ma annuì. In realtà si aspettava che una cosa del genere potesse portarla a chiamare rinforzi. « Bene. Quando arriverà? » « Dovrebbe arrivare domani mattina all'alba. »

    Kimura Arata si era rivelata una presenza decisamente meno ingombrante rispetto a quella della sorella. Per quanto fosse esuberante e spesso fuori luogo, lui arrivava per fare il proprio lavoro e se ne andava dopo averlo svolto. Riuscì persino a convincere Kyoko a non abusare ulteriormente dell'ospitalità di Inverness, portandola con sé al quartiere warlock di Londra, nascosto tra le viottole di Chinatown. Col tempo Raiden aveva avuto modo di visitarlo, quel luogo, e di scoprire molto di più riguardo la complessa società con cui era finito per entrare in contatto. Gli warlock non erano quei pericolosi e maligni maghi oscuri che la maggior parte del mondo magico pensava che fossero: erano una comunità piuttosto pacifica - per quanto bizzarra - e molto solidale, in cui ciascuno aveva il proprio ruolo e lo svolgeva con il più alto senso dell'onore e della responsabilità. Strettamente connessi l'uno con l'altro, traevano il proprio potere dal connubio di quelle tecniche che ciascuno sceglieva arbitrariamente per sé. Kyoko, ad esempio, era una psichica: la sua forma di magia affondava le radici nella testa della gente, dove una vasta gamma di incanti le permetteva di portare il bello e il cattivo tempo. Un potere immenso e terribile che la giapponese - così come altri dei suoi colleghi - aveva dimostrato di controllare in maniera magistrale, senza mai cedere alla tentazione di utilizzarlo per scopi personali o frivoli. Pian piano i rapporti con quella comunità erano diventati più assidui e più stretti, fino a legarla ad Inverness tramite un accordo di collaborazione che aveva messo insieme le più alte cariche di entrambi i contesti. Forse non si fidavano ciecamente l'uno dell'altro, ma che avessero un obiettivo comune era chiaro: acciuffare chiunque stesse gettando scompiglio e ristabilire l'ordine tanto magico quanto mistico.
    Dare il primo impulso per la creazione di quel nesso tra le due comunità aveva permesso a Raiden di concentrarsi di più su altre sponde di quella guerra: nello specifico, l'ambasciatore Yamamoto. Scovarne l'amante era stato semplice come bere un bicchier d'acqua, dato che l'uomo non sembrava poi così interessato a nascondere la cosa. Non c'era da stupirsi, infatti, che la moglie sapesse già tutto sulla questione. Il divorzio, quello non lo aveva mai chiesto per una semplice questione di convenienza, ma che detestasse l'uomo con cui ormai non condivideva nemmeno più il letto era evidente. Quando si erano incontrati, la donna era stata molto chiara con lui: non le interessava nulla di chi vincesse o perdesse quella guerra, voleva solo vendicarsi del marito e far sì che lei e sua figlia ne uscissero prive di onta. Era stata dunque una stretta di mano a suggellare l'accordo: lei avrebbe fornito lui tutto lo sporco sul marito, e lui, dal suo canto, avrebbe provveduto a farle ottenere un vantaggioso divorzio da parte del marito stesso. Non gli rimarranno neanche i calzini - era stata quella la promessa alla quale lei aveva finalmente sorriso, allungando una mano nella sua direzione e accettando l'accordo. Così, nel giro di un mese dal massacro, la strategia di Raiden era riuscita ad assicurargli un'intera comunità magica alleata, un vantaggio tattico sul nemico e, infine, un piccolo manipolo di uomini dell'ex governo giapponese. Era stato l'ambasciatore, sotto il ricatto attuato dalle pressioni di lui e Penelope, a fornirgli le informazioni di cui aveva bisogno: il fatto che quelle persone fossero ancora in vita, e l'ubicazione del loro luogo di prigionia.
    Il sole era ormai calato da diverse ore quando Raiden, Beatrice e alcuni altri esponenti del Credo e degli warlock si riunirono a un tavolo tattico sul quale era stata dispiegata una grossa mappa del Giappone e alcune pedine. « Partirò stanotte. Se i miei calcoli sono giusti, ci vorrà un mese per radunare le forze e organizzare l'attacco. » Puntò lo sguardo negli occhi di Beatrice. « Mio fratello è ancora in Giappone. Non è un lycan, ma è onesto, e so che sarà dalla nostra parte. Altri tre cacciatori saranno sufficienti per questa prima fase. Non avrebbe senso portarne di più: si darebbe troppo nell'occhio, e comunque non sarebbe necessario se contiamo anche la disponibilità degli warlock. » Il capo congrega di Londra annuì, spostando alcune delle proprie pedine sulla mappa. « Per le missioni potrebbero bastare uno psichico, un elementale e un qualsiasi altro warlock che sappia evocare portali. » « Un lavoro pulito. Entriamo, prendiamo i prigionieri e usciamo. Se stiamo attenti, possiamo persino evitare inutili spargimenti di sangue. » In fin dei conti, molti nell'esercito sono solo dei ragazzini che non sanno nemmeno cosa stanno facendo. Non è contro di loro questa guerra. Sono solo vittime inconsapevoli. Non le ucciderò a meno che non si riveli strettamente necessario. « A quello penserò io. » proferì Kyoko, alzandosi in piedi e guardando tutti i presenti prima di porsi di fronte al suo rappresentate. « Parteciperò io come psichico. Yagami-senpai mi conosce bene e ha visto il mio operato alla torretta. Nessuno li vedrà entrare. » Il moro si voltò verso quella che ormai era diventata un'amica, oltre che una provata risorsa, stirandole un sorriso sicuro prima di rivolgersi nuovamente a Beatrice, interrogandola mutamente alla ricerca di una conferma, di un via che lo avrebbe messo sulla strada di partenza. L'alpha si prese il suo tempo per ponderare la situazione, osservando attentamente quella mappa che si spiegava sotto i suoi occhi mentre le sue dita giocherellavano distrattamente con un coltello. Alla fine ne impugnò il manico e piantò la lama con decisione sul punto in cui a grossi caratteri era impressa la scritta Tokyo. « E sia. »
    [..] « Glielo dirai? » Avevano percorso metà della strada che li divideva da casa in silenzio, ma in cuor suo Raiden era già preparato alla domanda di Kyoko. La ragazza non aveva mai saputo farsi i fatti propri, quindi era solo naturale che gli chiedesse quali intenzioni avesse con Mia riguardo ciò che era stato stabilito nella stanza che avevano appena lasciato. Ci aveva pensato bene, Raiden, nei giorni precedenti, e più volte era stato tentato dall'idea di andarsene nel cuore della notte lasciandosi dietro solo un biglietto. Eppure sapeva non fosse né giusto né giustificato. Probabilmente in altre circostanze lo avrei fatto. Se Mia non fosse stata una cacciatrice, se non fosse stata addestrata sin da bambina, non avrei mai voluto esporla a un tale pericolo. E il pericolo c'è - c'è ancora, a prescindere dalla sua preparazione in merito. Però può affrontarlo. O quanto meno dovrei darle la possibilità di scegliere se farlo o meno. Ormai nascondersi non ha più senso: siamo arrivati agli sgoccioli di questa storia, non c'è più molto che possa fare per fermarla. Sospirò, il giovane Yagami, rigirandosi le chiavi di casa intorno all'indice. « Sì. Glielo dirò. Non posso partire senza farne parola. Le ho già mentito a sufficienza. » E lo aveva fatto per delle ragioni che adesso non sussistevano più. Continuare a raccontarle bugie, o anche solo a nasconderle la verità, non avrebbe avuto alcun senso: l'indomani avrebbe comunque capito ciò che stava per avvenire. « È meglio che lo sappia da me. » Kyoko annuì, rimanendo in silenzio per qualche istante. « Lo sai che se la prenderà, vero? » « Certo che lo so. » A quel punto Kyoko non proferì più parola, ma fece comunque scivolare le dita intorno al polso di Raiden, stringendolo leggermente in una presa che sembrava volerlo incoraggiare. Gli scoccò uno sguardo, sorridendo tiepidamente prima di ritrarre la mano e continuare a camminare come se nulla fosse.
    L'appuntamento era stato fissato alle tre di notte fuori dalle porte di Inverness. Lì uno warlock avrebbe aperto il portale per i viaggiatori, portandoli alla base di Tokyo della loro comunità - la stessa in cui si trovava Rōraito, che ormai contava i minuti che lo dividevano da quell'incontro. Raiden e Kyoko si divisero di fronte a casa di lui, così che lei potesse raggiungere il fratello dall'altro capo di Inverness e prepararsi per il viaggio imminente. Erano circa le una di notte quando il giovane Yagami varcò la soglia della dimora immersa nella silenziosa penombra, gettando le chiavi sul piattino vicino alla porta e togliendosi subito le scarpe per salire al piano superiore e infilarsi in camera da letto. A giudicare dal rumore dell'acqua, Mia doveva essere sotto la doccia - il che gli diede il tempo di tirare fuori il borsone dall'armadio e infilarvi quel poco di necessario per il viaggio: qualche vestito e le armi che si era portato dietro dal Giappone. Si infilò quindi una tenuta scura da combattimento, infilando un paio di kunai e la bacchetta nelle fondine della cintura. Un lavoro piuttosto veloce, che si concluse con uno scalciare la sommaria valigia sotto al letto e sedersi sul materasso in attesa che lei uscisse dal bagno. « Hey.. » proferì a bassa voce, quando la figura della mora comparve da dietro la porticina che divideva i due ambienti. La fissò per alcuni istanti senza dire nulla, certo che la mise da lui indossata dovesse averle già lasciato intendere che quella non sarebbe stata una serata qualunque. Non era semplice cominciare quel discorso, specialmente perché non sapeva esattamente da dove tracciare un punto di inizio. Ma scommetto che non ci sia un modo giusto di metterla. Quindi sospirò, tenendo gli occhi incollati in quelli di lei mentre si chinava di poco in avanti per infilare una mano sotto al letto. Le sue dita si strinsero attorno al tessuto del borsone, tirandolo con la forza necessaria a farlo scivolare fuori, ai piedi di Mia. « Scommetto che hai capito, no? » disse piano, alzandosi in piedi per colmare a passi cauti la distanza tra loro due e poterla guardare meglio negli occhi. « In quest'ultimo mese.. ci siamo preparati. » Fece una pausa. « Io, Kyoko, Penelope, Beatrice e altri. Daremo giustizia ai nostri compagni e riprenderemo il Giappone. Abbiamo il piano e i numeri. » Un'altra pausa. Sentì il cuore accartocciarglisi nel petto quando mandò giù il groppo che aveva piantato nella gola secca per pronunciare le parole successive. « Parto stanotte. » Nel silenzio che intercorse, i battiti cardiaci di Raiden bussavano contro la sua cassa toracica come un martello, rimbombando fino a diventare assordanti alle sue orecchie. « Non devi seguirmi se non vuoi, ma io non posso rimanere. » Gli occhi del moro si piantarono in quelli di lei in una muta supplica. « Vieni con me. »

     
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    Fu la prima e l'ultima volta in cui Kyoko menzionò la notte della fiaccolata. Inutile dire che Mia fece di tutto per lasciarsela a sua volta alle spalle. Non ne fece più menzione e decise di lavare quell'onta con l'impegno quotidiano nei confronti di Inverness. Ogni mattina si presentava al centro addestramenti prima della maggior parte dei cacciatori. Si era costretta a svegliarsi presto e iniziare le giornate molto prima rispetto al suo solito. Non è più tempo di oziare a letto fino a tardi. Si presentava a Portland tre volte a settimana per i corsi di recuperato, e studiava per quanto possibile, tentando di mantenere la testa sui libri con dedizione. A volte chiedeva aiuto a Raiden, nella speranza di poter passare almeno un po' di tempo con lui. Era giunta a chiedergli persino cose di cui non aveva bisogno, nella speranza di mantenere quel sottile filo che li legava intatto. Cercava ancora risposte a domande che non sapeva più come porsi. E cercava puntualmente nei luoghi sbagliati; era completamente fuori pista, fuori fase. Ogni sua intuizione partiva da una permessa sbagliata. Dopo la partenza di Raiden per Londra, si era quasi messa l'anima in pace sul fatto che non l'avrebbe più rivisto. In quei giorni, Kyoko era stata più gentile del solito con lei. I piani di shopping e rimorchio tra ragazze erano stati sostituiti da serate tra ragazze a cui si erano aggiunte Stacey e Veronica, alla quale aveva proposto di farle compagnia a casa anche solo per qualche giorno. Non so con quale cuore l'ho lasciato partire. Non volevo farlo. In quei giorni era stata più insofferente e intrattabile che mai. Ma l'aveva fatto, l'aveva lasciato partire; gli aveva detto buon viaggio con gli occhi lucidi e l'aveva osservato dalla finestra dell'entrata imboccare la strada verso l'uscita dalla Città Santa, consapevole che poteva essere l'ultima volta che l'avrebbe rivisto. E per il primo giorno è stata certa di non rivederlo più. Era simbolo di grande maturità, o di grande stupidità, lasciarlo partire. Un atto di fede che non immaginava mai sarebbe stata in grado di fare e che pure aveva compiuto, forse perché non aveva la più pallida idea di cos'altro fare. Raiden non parlava, non voleva condividere nulla di significativo con lei. E poi, se ami qualcuno, devi lasciarlo libero, così diceva sua nonna un tempo, e lei a quelle parole voleva crederci, pur non trovando la forza di fidarsi fino in fondo. Fu solo al suo rientro che Mia sembrò mettersi l'anima in pace. Lo aveva abbracciato talmente forte da lasciarlo quasi senza aria. Sono stata paranoica. È colpa di questo periodo, è chiaro. Mi sta mandando fuori di testa. E seppure la situazione in casa non vedesse grandi svolte, l'americana si mise l'anima in pace e accettò il fatto che dovesse pazientare. In poco tempo, Mia imparò più di quanto si aspettasse. Si sforzò a essere paziente, a restare calma, a non infierire e puntare il dito. Parlava sempre meno; una caratteristica che sembrava venir meno solo quando poteva godersi qualche pranzo in compagnia del resto della sua famiglia. A volte riacquistava la sua coinvolgente risata e si scopriva curiosa di causare qualche piccolo danno qua e là. Ci provava, Mia; provava a trovare la sua dimensione in quel mondo insolito, e in quella condizione emotiva complessa. E persino Gillian Wallace si accorse di quei progressi, e cominciò a riporre maggiore fiducia nella figlia. Non diede di matto neanche quando a Mia vennero affidate piccole missioni di ricognizione. Si era messa a completa disposizione e faceva qualunque cosa le venisse chiesto senza discutere. Certo, questo non significava che non se ne lamentasse in separata sede. La sua vita era più in bilico che mai; ma proprio sotto quella fonte di stress perenne, comprese di poter dare il meglio di sé se solo avesse trasformato quell'evidente disagio in qualcosa di positivo. Riusciva a trovare il tempo per tutto; persino per fermarsi qualche volta al centro anziani per tenere compagnia ad alcuni dei vecchietti sopravvissuti al massacro. Nessuno era più la persona di prima, ma in un certo qual modo la comunità sembrava essersi paradossalmente compattata. Erano più gentili tra loro, più pazienti, più permissivi, persino più solidali. Anche le differenze culturali, sembrava portare ricchezza alla vita di quella culla scossa dalla catastrofe. E in quel castello di carte, Mia trovò la sua inerzia, una base d'appoggio piuttosto precaria da cui ripartire a costruire se stessa. Ogni giorno trovava persino un momento da dedicare a quel maledetto angolo della sua nuova stanza da letto. Fissava sempre lo stesso punto; una macchiolina giallognola sulla quale si concentrava insistentemente, finché non accedeva a quella parte del suo cervello che le permetteva di fare silenzio. Scoprì ben presto che il primo tentativo eseguito assieme a Raiden, non era stato altro che un abbaglio. Da lì però era ripartita, e grazie all'aiuto di qualcuno di più esperto, aveva cominciato a capire la differenza di ciò che stava facendo e ciò che avrebbe dovuto fare affinché potesse esplorare la sua natura. Voleva accettarsi, essere più gentile con se stessa, oltre che con gli altri. Ne aveva bisogno; aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa per tentare di distogliersi da quei pensieri ossessivi che a intervalli regolari tornavano a ruoteare attorno allo stato d'animo di Raiden. Attese; attese e provò ancora a farlo parlare, a farlo aprire. Ma nulla cambiò. E forse ad un certo punto gettò semplicemente la spugna.
    « Psicologia Criminale quindi eh? Ti facevo più tipa da Corso Auror. » Mi facevi più scontata, quindi. Al tramonto, sul porticato di sua madre, Mia scuote la testa e scoppia a ridere, prima di osservare Gabriel con un'espressione eloquente. È chiaro d'altronde che per i lycan non c'è più posto nel corpo auror. E anche se ci fosse, io non lo vorrei. Guarda come hanno trattato Raiden. Guarda come trattano noi. Chissà da quanto tempo quelle torrette sono là? « Quindi diventerai una roba alla Criminal Minds? Caccia ai serial killer e cose così? Cazzo, al Magical Federal Bureau pagano un fottio. » Risero entrambi, e Mia si portò di conseguenza la bottiglia di birra alle labbra. « Preferisco The Mentalist.. ma non credo di poter aspirare a nessuna delle due. Non sono così sveglia. » Senza contare che potrei fare di meglio. Quelle conoscenze possono essere spese in tanti modi differenti. Non intendo vivere chiusa in un ufficio in ogni caso. Mia restava in ogni caso coi piedi per terra. Sapeva di essere ancora molto indietro e di avere tante lacune. Per un po', i due non dicono nient'altro e osservano il tramonto, sorseggiando le birre fresche in silenzio. Poi ad un certo punto, Gabriel allunga il braccio sul poggiaschiena del divano, volgendo lo sguardo nella sua direzione. « Sai una cosa? Io invece sono abbastanza certo che non c'è cosa che tu non possa fare. » Mia alza gli occhi al cielo e scoppia a ridere. Tenta di buttarla sullo scherzo, nonostante sappia che Gabe, una cosa del genere non gliel'ha mai detta. « Divertente! Va beh dai, ti concedo la battutona. » Ma Gabriel è estremamente serio, e riesce a spiazzare la moretta, seduta lì in maniera scomposta. « Dico sul serio, Speedy. Datti più credito. » « Era Brian quello sveglio in famiglia. » E a me manca davvero tanto. Scommetto che lui avrebbe la soluzione a tutto. Lui sapeva sempre cosa fare, o almeno dava sempre l'impressione di saperlo. « Eri la sua preferita. » Le rivolge un sorriso tiepido, Gabe, mentre entrambi si abbandonano a quella sensazione di asfissiante melanconia. « Perché - modestamente - sono la più carina. » « Un palo nel culo. » « Però carina! » Asserisce di scatto sempre più divertita alzando l'indice per mantenere il punto. E per un po' ridono solo; Mia scuote la testa e sospira. Vorrebbe ringraziarlo. Non è così in pace con se stessa da molto tempo. Forse è stato tutto un piano ben calcolato, ma non importa. Ne avevo davvero tanto bisogno. Mi mancava tutto questo. « Senti Speedy.. se vuoi parlare qualche volta.. dico di.. sai.. » Mia frena quel discorso sul nascere scuotendo la testa. Sente l'emergenza di chiudere la questione prima che venga aperta. Prova addirittura un senso di panico all'idea che Gabriel abbia deciso di andare in quella direzione. « Non è un periodo semplice. » In tutta risposta, Mia gli getta uno sguardo veloce con la coda dell'occhio accennando un sorriso leggero. « Gabe.. non mi metterò a frignare, smettila! » Sdrammatizza con un tono leggermente divertito, seppur l'amarezza di fondo sia evidente. Non rovinare il momento. Va bene così. Stiamo già parlando. « Sono una tipa tosta, io. Un carrarmato. » E risero entrambi. Già. Dopo poco venne il momento di separarsi; si salutarono con un abbraccio prima di prendere ciascuno la strada verso casa. Solo quando si trovò da sola si permise di rivisitare quella lunga conversazione. Gabe le aveva aperto un varco; le aveva dato la possibilità di sfogarsi e lei aveva gentilmente declinato. Sono proprio un carrarmato, talmente corazzata che non appena rimasta da sola a percorrere le stradine più anguste della Città Santa, con le cuffiette nelle orecchie e coltellino tra le mani, iniziò a sentire un leggero pizzicore agli occhi. Le guance bollenti presagivano solo l'arrivo di una scarica violenta di frustrazione che ancora una volta avrebbe represso come faceva ormai di continuo. Se avessi ragione, se io potessi fare - non dico tutto - ma almeno qualcosa, forse avrei una soluzione. Forse saprei come sistemare la mia vita e quella di Raiden. Forse sarei più veloce a studiare e riuscirei a farmi assegnare missioni più importanti. Se posso fare qualunque cosa perché non riesco a essere abbastanza rassicurante? Perché non ispiro abbastanza fiducia? Perché non mi vedono come una persona abbastanza affidabile? Sono indietro, al mio solito. Forse anche più del solito. La mia vita è una Waterloo. Sconfitta dopo sconfitta dopo sconfitta. Se fossi in grado di fare qualunque cosa, allora perché non sto vincendo proprio nulla? Non riesco neanche ad andare in pari. Alla fine di ogni giornata mi sembra di aver perso qualcos'altro. Forse un altro po' di equilibrio. Forse sto perdendo me stessa. A volte mi manca davvero tanto avere quattordici anni. Vorrei tornare a quando la mia massima preoccupazione era un'espulsione e l'idea di dover partire per una nazione a me completamente estranea. Vorrei tornare a quando mi convincevo che avrei rimorchiato a cazzo di cane, per poi finire puntualmente a guidare una macchina senza patente per riportarvi a casa. Mi mancano quelle cose semplici, ridere di gusto fino a stare male, mangiare patatine e nutella alle tre di notte, combattere per il diritto di avere un reggiseno di cui non so cosa farmene. Credo mi manchi la mia vita di prima. Mi manca papà, e mi mancano Brian, Michael, Jacob e Robert. Mi mancano le nostre ridicole cene a base di costolette e la serata pizza. Mi mancano le cose semplici; l'orto, i bagni a mezzanotte e il biliardino, perdere caramelle a poker e correggere il caffè latte con il bourbon. Io avevo il diritto di essere ancora una bambina felice, la più piccola della cucciolata. E invece mi sono risvegliata di colpo adulta e inabile.
    Tornò a casa più scossa di prima. Quella discesa nel viale dei ricordi aveva fatto più danni che altro. Alla tristezza si era aggiunta la nostalgia, alla frustrazione si era aggiunto il rimpianto. Eppure, invece di abbandonarsi all'apatia, Mia decise di concludere contro ogni previsione i compiti facoltativi assegnati per il corso del giorno successivo. Ci mise parecchio, tant'è che sfiorata la mezzanotte, era talmente stanca da dover ricorrere a una potente Pozione Energizzante. L'aveva preparata per la prima volta da sola la settimana precedente; era stato motivo di gran orgoglio per lei reperire uno ad uno gli ingredienti e seguire i procedimenti in maniera corretta. Se avessi capito metà di queste cose mentre ero a scuola, a quest'ora ero la migliore della classe. Ma non lo era, Mia, ed era anche lontana dal poter aspirare a quel podio. Andava bene così. In quel periodo, d'altronde, pur tentando di dedicare il giusto tempo a quelle attività, non erano di certo la sua priorità, né il college era la sua principale occupazione. Concluso quindi di rispondere all'ultima domanda, arrotolò la pergamena e la gettò nello zaino assieme a tutto il resto del materiale, per poi decidere di accendere la radiolina che tenevano in bagno per sentire qualche notizia e buttarsi nella doccia, annotandosi già mentalmente di tentare di richiamare Raiden qualora non avesse fatto ritorno a breve. Le aveva detto che avrebbe fatto tardi; qualcosa relegato alle testimonianze degli Auror interrogati a Inverness. Doveva essere piuttosto importante considerato che difficilmente il moro andava a letto dopo il solito orario. Non ci fu bisogno, perché una volta uscita dal bagno, incontrò immediatamente la figura del giapponese seduto sul letto. « Hey.. » Corrugò appena la fronte, Mia, piuttosto confusa. Sarebbe stato difficile non notare la tenuta scura - un abbigliamento decisamente differente da quello che aveva indosso nel pomeriggio, quando le loro strade si erano divise. Raiden si era diretto verso il centro operativo, mentre Mia era andata verso casa dei suoi. « Hey.. » Accennò appena, ben poco convinta, fermandosi di colpo a qualche passo dalla porta del bagno, osservando man mano i dettagli più insignificanti di quel quadretto. C'è una sola domanda che vorrebbe porgli, ma nell'esatto momento in cui si materializza nella sua mente, si sente come investita da un treno. Lo sguardo di lui tutto fuorché rassicurante, mentre Mia si stringe insistentemente i lembi della larga maglietta scura che ha indosso. Stai andando da qualche parte? Eccola, la domanda che non avrà mai il coraggio di fare a bruciapelo. Ma se anche non fosse stata pronta a chiedere, il borsone che venne trascinato da sotto il letto ai suoi piedi, si materializzò come un uccello del malaugurio. Non ebbe bisogno di guardarlo per sapere di cosa si trattasse. Sembrava più interessata a mantenere lo sguardo ben saldo in quello di lui; occhi scuri, inespressivi, neutri. Il cuore di lei si raggomitolò di colpo su se stesso, nello stesso momento in cui deglutì tentando di scacciare il groppo che aveva in gola. « Scommetto che hai capito, no? » Soffiò pesantemente; i grandi occhi vacui non interruppero il contatto visivo neanche per un istante. E solo dopo qualche istante di silenzio schiuse le labbra. « No.. non ho capito. Spiegamelo.. come se avessi cinque anni. » Il tono quasi impercettibile; un soffio incolore che le si spezza in gola. Era lucida; capiva. Eppure sembrava voler sfuggire a quella evenienza come se si trattasse di qualcosa che non sarebbe mai stata in grado di accettare. Quella paralisi sembrò durare finché lui non si mosse. Fece un passo indietro solo quando il giovane Yagami si alzò in piedi. Si muoveva e altrettanto faceva Mia, come sempre. Tu ti muovi, io mi muovo. Ma non ci muoviamo più insieme da tanto tempo ormai. « In quest'ultimo mese.. ci siamo preparati. » Al primo passo di lui, Mia scostò lo sguardo. Plurale. Un plurale che non la riguardava. « Io, Kyoko, Penelope, Beatrice e altri. Daremo giustizia ai nostri compagni e riprenderemo il Giappone. Abbiamo il piano e i numeri. » Ripeteva mentalmente ognuna delle sue parole, scuotendo la testa tra se e se. Un sorriso dalla pungente ironia si dipinse sul suo volto a discorso finito. In quest'ultimo mese ci siamo preparati. « Parto stanotte. Non devi seguirmi se non vuoi, ma io non posso rimanere. » Stanotte. Stanotte è.. ora. La notizia la colse talmente impreparata che non riuscì a trattenere il senso di frustrazione che la investì, indietreggiando ulteriormente alla ricerca di un rifugio che potesse proteggerla da quell'evidente delusione. In fondo, era molto più semplice concentrarsi su una delusione personale piuttosto che tuffarsi nel mare di questioni che comportavano quel veloce annuncio. « Vieni con me. » Solo allora sollevò gli occhi lucidi in quelli di lui. Respira, Mia, respira. Vorrebbe prenderlo a calci, insultarlo, urlare fino a restare senza voce. Almeno per una volta sarei giustificata a impazzire. Se perdessi il controllo, potrei essere davvero biasimata? « Stanotte.. cioè domani? » Tentò con un tono tremante, nonostante conoscesse già la risposta. Stanotte è adesso. Stanotte è ora. È già pronto. Ed io invece sono pronta per andare a letto. Ho fatto i compiti per domani. Mi sono bevuta una birra con mio fratello. Ho addirittura promesso a Grace che domani l'avrei portata a Diagon Alley per comprare il materiale scolastico per il primo anno. « Adesso ho una scelta quindi.. mentre stai partendo.. » Che cazzo di scelta è? Che cosa sto sentendo? È per caso un fottuto scherzo? Sbottò di colpo in maniera più brusca di quanto aveva calcolato. Scosse la testa e abbassò gli occhi nell'istante immediatamente successivo. Non riusciva a sostenere il suo sguardo; non voglio neanche guardarti. Non voglio essere pregata. Non posso sentirti così.. adesso non puoi guardarmi così dopo aver subito la tua freddezza per settimane. Lo superò quindi, velocemente, impaziente di mettere la giusta distanza tra loro. Attraversò infatti la stanza, dirigendosi verso le ampie vetrate della camera da letto di quella nuova casa. Un'abitazione provvisoria, in attesa di trovare il posto giusto. Il giardinetto interno era minuscolo, l'erba incolta; era una casa piuttosto sgombra che non avevano neanche tentato di curare più di tanto. Questo potrebbe essere l'ultimo posto in cui abbiamo vissuto insieme. L'ultimo pasto che abbiamo condiviso è stata una colazione veloce. L'ultima volta che siamo stati assieme ti ho chiesto di spiegarmi una dannata formula di pozioni.
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    Di scatto si passa le mani tra i capelli color indaco e sospira. « Hai fatto passare ogni cosa da me fatta o detta come illecita.. mentre tu, Kyoko, Penelope, Beatrice e altri stavate giocando a Risiko? » Non avrebbe mai voluto starsene con le mani in mano, Mia, ma ogni qual volta abbia tentato di parlare di quanto accaduto, Raiden l'ha sempre chiusa fuori. Mi hai volutamente esclusa. Kyoko ha sempre saputo e.. Inutile dire che sente il suo orgoglio completamente calpestato. Non lo è mai stata, orgogliosa, Mia, ma questo non significa che è priva di amor proprio. « Per fare giustizia era davvero necessario essere così ingiusto con me? Fino alla fine? » Pausa. « Anche adesso - persino adesso Raiden! » Scuote la testa e solleva lo sguardo verso l'alto, tentando di trattenere le lacrime. « Ma sono stata avvisata giusto? Sono stata avvisata dall'inizio. Io lo sapevo che prima o poi tu saresti scappato nella notte per tornare a casa tua. » Tira su col naso e incrocia le braccia al petto. Forse erano altri tempi. Altre circostanze. Ma l'ho sempre saputo. « Stupida io a pensare che sposarti potesse cambiare qualcosa. » Prova un senso di frustrazione tale da non riuscire neanche a esprimerlo a parole. Ho tentato di esserci per tutto questo tempo, ma tu non mi hai mai voluta. Di scatto si volta nella sua direzione, ma non lo guarda. Non ci riesce. Non vuole. « Quindi in pratica ciò che devo capire è che non sono degna di essere coinvolta nei grandi piani di riconquista di Raiden Yagami - per quello ci sono Kyoko, Penelope, Beatrice e altri; io servo solo per essere costantemente scansata e per scaldarti il letto quando torni dalle tue cose serie. » Pausa. « Ti rendi conto di quanto è umiliante e ingiusto tutto questo? » Solo allora alza lo sguardo lucido per incontrare il suo. È delusa, Mia, ma è anche arrabbiata. « E ora offenditi ancora quando dico che sono la scopata del venerdì sera! » La voce di lei si alza di scatto di due ottave nel proferire quelle ultime parole. Ci prova a mantenere il controllo, a non sbottare, ma non ci riesce. « Ho pensato di essere io quella paranoica, di esagerare.. mi sono raccontata una marea di cazzate perché volevo fidarmi di te, cazzo. Ma tu hai sempre avuto altri piani. Mentre io mi lasciavo mortificare di continuo, la tua testa era proprio altrove. » Tutta l'amarezza e la frustrazione dell'ultimo periodo sembra risalire insieme. Dal massacro li dividevano solo poche settimane, eppure quel tempo era stato avvertito dalla giovane Serpeverde come un periodo infinitamente lungo. Le giornate non sembravano passare mai, neanche quando le riempiva a forza. Anche io stavo male, ma non importava, perché ho pensato che forse, il tuo dolore era più giustificato del mio. Ho pensato che avessi più diritto di me di sentirti e stare così. « Spiegami, Raiden, perché - io, che dovrei essere la tua famiglia - vengo messa di fronte a tutto adesso? Perché non avevo il diritto di sapere cosa ti stava succedendo? MI HAI RACCONTATO UNA MONTAGNA DI CAZZATE. » E io ci ho creduto. Forse sono davvero così stupida. Sì. Lo sono. Si passa velocemente i palmi sulle guance e annuisce tra se e se, riacquistando un po' di dignità. Non ha voglia di piangere, non ha voglia di rendersi ancora più ridicola di quanto non lo è già. « Sono davvero così inutile, stupida e insignificante ai tuoi occhi? » Pausa. « Spiegami! » Voglio davvero saperlo? Deglutisce, Mia, e avanza un passo nella sua direzione corrugando la fronte in un'espressione contrariata. « Almeno adesso, credi che mi merito una spiegazione? » Un modo per mettermi l'anima in pace. Qualunque cosa. « Oppure pensi che chiedermi di venire con te con un piede fuori dalla porta scuserà il tuo essere stato un grandissimo testa di cazzo? » Stronzo. Mi hai fatto piangere. Io ho giurato che per gli uomini non avrei pianto, e tu mi avevi promesso che non avresti fatto così. E invece hai fatto sempre di più lo stronzo.





     
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    « Stanotte.. cioè domani? » Aggrottò la fronte, leggermente confuso da quella domanda incentrata su delle tempistiche che, a parer suo, dovevano essere piuttosto chiare. « Stanotte cioè stanotte. L'appuntamento è alle tre alle porte di Inverness. » specificò con una certa cautela, come se non fosse del tutto certo che quell'interrogativo fosse davvero tale e non fosse invece spia di qualcos'altro che non riusciva ad afferrare. « Adesso ho una scelta quindi.. mentre stai partendo.. » E infatti eccolo qua, il campanello d'allarme che lo fece sospirare. D'altronde se lo aspettava - non poteva essere altrimenti. Già dall'inizio sapeva che quando quella storia sarebbe venuta fuori, Mia non l'avrebbe presa bene: si sarebbe sentita tagliata fuori e messa da parte a prescindere da qualunque spiegazione lui le avrebbe dato a riguardo. Un confronto inevitabile, quello sul cui orlo Raiden si sentiva di stare in bilico; un confronto a cui si era preparato, ma che non per questo risultava più semplice da affrontare. Volse lo sguardo altrove, poggiando le mani sui fianchi mentre si mordeva l'interno del labbro inferiore in un moto di frustrazione. Ma lo stupido sono solo io che ci sono andato in cerca - che tutto questo l'ho causato pur sapendo sin dal primo giorno in questo paese a cosa sarei andato incontro. Mi ero fatto una promessa: dovevo semplicemente starmene per conto mio, non legare troppo profondamente con nessuno. Questa relazione non sarebbe mai dovuta andare oltre l'occasionalità, e c'era una ragione ben specifica: per evitare questo momento. Non dovevo far altro che stringere i denti e mantenere il mio punto. E invece eccomi qua, come un coglione. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, no? « Hai fatto passare ogni cosa da me fatta o detta come illecita.. mentre tu, Kyoko, Penelope, Beatrice e altri stavate giocando a Risiko? Per fare giustizia era davvero necessario essere così ingiusto con me? Fino alla fine? Anche adesso - persino adesso Raiden! » Sospirò, Raiden, chiudendo le palpebre e massaggiandosele con indice e pollice. Per quanto potesse comprendere la posizione di Mia, il fatto di doverne parlare in quel momento specifico lo innervosiva. Ma ad innervosirlo di più era il punto di vista così personale col quale lei stava leggendo l'intera situazione, mettendosi al centro di qualcosa che non la riguardava. Perché deve essere sempre un attacco contro di te? Perché, persino in una situazione del genere, non riesci a vedere più in là della punta del tuo fottutissimo naso? Morse l'interno delle proprie guance con più forza, cercando di controllarsi dal risponderle in maniera sgarbata. « Ma sono stata avvisata giusto? Sono stata avvisata dall'inizio. Io lo sapevo che prima o poi tu saresti scappato nella notte per tornare a casa tua. Stupida io a pensare che sposarti potesse cambiare qualcosa. » Quelle parole, tuttavia, furono sufficienti a fargli sollevare lo sguardo, sgranando gli occhi e puntandoli su di lei in un misto di sorpresa e rabbia. « Sei seria? Sei davvero seria, Mia? » sbottò sarcasticamente, fissandola come a cercar conferma del fatto che lo stesse prendendo per il culo e nient'altro. Cazzo ma ti senti quando parli? « È questo il motivo per cui mi hai sposato? Per tenermi buono e startene tranquilla sul fatto che non sarei più tornato indietro? » Mosse un passo in avanti verso di lei, continuando a tenere gli occhi fissi sul viso della ragazza, che cercava in tutti i modi di evitare il suo sguardo. « Cosa ti aspettavi, Mia? Mh? Dimmelo. Che mi rimangiassi tutto? Che tutte le cose di cui ti ho parlato - più e più volte, sottolineerei - non sarebbero più state una priorità per me? » Fece un altro passo avanti, inclinando il capo di lato mentre le sue palpebre si assottigliavano a due fessure. « Oppure vuoi dirmi che mi hai solo assecondato? Che mi hai detto "sì sì, certo Raiden", mentre dentro di te mi vedevi solo come un povero illuso intento a sperare in qualcosa che non sarebbe mai arrivato? » Un altro passo. « È una delle due di certo. Quindi dimmi, ti prego, quale? » Il tono pacato con cui aveva proferito quelle parole non nascondeva tuttavia l'evidente cinismo e l'intolleranza che provava nei confronti di simili congetture. « Mi sa proprio che siamo in due, gli scemi in questa relazione. Perché a quanto pare mi ci hai trattato fin dal giorno zero. » Deve essere così, se pensavi davvero che sarei retrocesso su ciò che mi stava più a cuore - se pensavi che mi sarebbe passata, che avrei cambiato idea, che tenendomi tranquillo e dandomi il contentino, a un certo punto avrei dimenticato tutto e lasciato perdere. Ma quella è la mia vita, è la mia gente. Ho dato tutto per quel paese. Fa parte di me, e se mi hai sposato, hai sposato ogni parte - non solo quelle che ti convenivano. « Quindi in pratica ciò che devo capire è che non sono degna di essere coinvolta nei grandi piani di riconquista di Raiden Yagami - per quello ci sono Kyoko, Penelope, Beatrice e altri; io servo solo per essere costantemente scansata e per scaldarti il letto quando torni dalle tue cose serie. Ti rendi conto di quanto è umiliante e ingiusto tutto questo? E ora offenditi ancora quando dico che sono la scopata del venerdì sera! » Sbuffò un singolo colpo di risata amara, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo come se non si capacitasse davvero di quelle parole. E poi si volse nuovamente a guardarla, annuendo con un veloce movimento sarcastico del capo. « Eh sì è proprio così. Hai capito tutto quanto. » Tanto ha senso che ti dica il contrario? Ha senso che mi metta a discutere quando è evidente che vuoi vederla esattamente così? « Ho pensato di essere io quella paranoica, di esagerare.. mi sono raccontata una marea di cazzate perché volevo fidarmi di te, cazzo. Ma tu hai sempre avuto altri piani. Mentre io mi lasciavo mortificare di continuo, la tua testa era proprio altrove. » Avrebbe voluto risponderle parola per parola, avrebbe voluto urlarle in faccia che lui non l'aveva mai mortificata e che per quanto potesse essere comprensibile il suo sentirsi persa di fronte a quelle notizie, ciò non giustificava comunque la maniera in cui lo stava trattando. Era rosso in viso e si sentiva i nervi a fior di pelle, pronto a scattare. Posso capire tutto, ma non queste accuse. Non quando sono sempre stato qui, facendo del mio meglio per non essere di peso a nessuno e non allontanarmi nemmeno quando avrei voluto, nemmeno quando il mio istinto mi diceva di farlo. Cosa dovevo fare? Dovevo scegliere tra buttarmi in terra a piangere o scodinzolare di gioia come un cane? Erano queste le mie opzioni? Dopo tutto ciò che è accaduto, il mio pensiero doveva andare a come gli altri potessero sentirsi nei miei confronti? Dovevo pensare a non farti sentire esclusa? Nemmeno il diritto di avere la testa altrove mi era concesso? « Spiegami, Raiden, perché - io, che dovrei essere la tua famiglia - vengo messa di fronte a tutto adesso? Perché non avevo il diritto di sapere cosa ti stava succedendo? MI HAI RACCONTATO UNA MONTAGNA DI CAZZATE. Sono davvero così inutile, stupida e insignificante ai tuoi occhi? Spiegami! Almeno adesso, credi che mi merito una spiegazione? Oppure pensi che chiedermi di venire con te con un piede fuori dalla porta scuserà il tuo essere stato un grandissimo testa di cazzo? » Quelle parole vennero segnate nel cuore di Raiden da un crescendo di rabbia, dolore e frustrazione che lo portò a scoppiare. « PERCHÉ NON AVRESTI MAI CAPITO E ME LO STAI PROVANDO IN QUESTO CAZZO DI MOMENTO! » si ritrovò ad urlare, a metà tra il furioso e l'esasperato, con gli occhi sgranati, il viso rosso e le vene del collo in bella vista. Mosse un paio di passi in avanti, piazzandosi di fronte a Mia per fissarla bene in viso.

    « Puoi negarlo? Eh? Puoi negarlo, Mia? Puoi negare il fatto che avresti fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote? Cazzo, non azzardarti nemmeno a dirmi che mi sbaglio, non dopo che mi hai biasimato persino per aver fatto fuori un fottutissimo sicario venuto col solo obiettivo di ammazzarmi. » Scosse la testa, ridendo amaramente. « Quello era illecito, ma invece questo ti sarebbe andato bene? Non fare la finta tonta, Mia, lo sai benissimo che questa storia non verrà risolta con un paio di sculacciate. Lo sai che morirà un sacco di gente. E vuoi dirmi che lo avresti accettato? Che mi saresti stata vicina? » Fece una pausa, sporgendosi in avanti per sillabare con chiarezza le successive parole in modo che lei le comprendesse bene. « Io ho fatto quello che dovevo fare. » E avevo bisogno di farlo a modo mio. Sentiva il cuore battergli a mille nella cassa toracica e il controllo venir meno, rendendogli decisamente più arduo il compito di mantenere chiuso il contatto lycan. Si sentiva male, come se un senso di nausea gli stesse risalendo dalla bocca dello stomaco e fosse in procinto di farlo vomitare - sintomi fisici di un qualcosa che altro non era se non psicologico: un mese di sforzo continuo, la rabbia dirompente che aveva custodito nel proprio cuore insieme al dolore e alla tristezza di tutte quelle perdite, la stanchezza di mantenersi sempre sobrio di fronte a chiunque, e adesso anche il carico delle parole di Mia. Non ce la faceva più a sopportare, ad ingoiare e far finta che tutto andasse bene, che si stesse semplicemente prendendo il tempo di guarire. Eppure si sforzava comunque a tener tutto blindato dentro di sé - uno sforzo, quello, che ovviamente non faceva altro che peggiorare la situazione. Tanto che a un certo punto non riuscì più a trattenersi. Le porte della sua sfera emotiva si spalancarono come se un ariete le avesse sfondate. Come una diga che aveva trattenuto più acqua rispetto alla propria effettiva capacità, i suoi sentimenti ne fecero esplodere gli argini, sgorgando con forza al di fuori fino ad abbattersi violentemente contro la sfera emotiva di Mia. « SEI CONTENTA ADESSO? SEI CONTENTA, CAZZO? TI SENTI INCLUSA? » Le mani di Raiden tremavano incontrollate, mentre quel malessere somatizzato prendeva possesso del suo corpo, offuscando ogni pensiero logico. Sulla lingua sentiva solo il retrogusto amaro di tutto quel dolore stipato e della rabbia che lo accompagnava. « HO PERSO TUTTO E L'UNICA COSA DI CUI TI IMPORTA È TE STESSA. COME VOLEVI STARMI VICINA, MIA? ALLE TUE CONDIZIONI? DOVEVO REAGIRE COME VOLEVI TU, AFFINCHÈ TI ANDASSE BENE. DOVEVO FAR SENTIRE UTILE TE ANCHE QUANDO IO STESSO MI SENTIVO INUTILE. » Annaspò alla ricerca d'aria. I suoi respiri si erano fatti improvvisamente veloci e quasi disperati, come se non ci fosse abbastanza ossigeno da permettergli di prendere una sola altra boccata per tenersi in vita. « MIA SORELLA È MORTA. LA MIA GENTE È MORTA. TUTTO CIÒ CHE CONOSCEVO È MORTO. E TU TI SENTI TAGLIATA FUORI? SE TU SEI TAGLIATA FUORI IO COSA SONO ALLORA? » Sono sradicato completamente. Ecco cosa sono. Non sono niente. Però chiaramente sono io l'egoista qui. Scosse il capo velocemente, tirando su col naso mentre girava velocemente sui tacchi, raggiungendo il borsone con passi veloci. Ogni suo movimento era a scatti, ma ormai non riusciva nemmeno a concentrarsi per richiudere tutto e chiamare a sé il controllo di cui aveva usufruito fino a quel momento. Nemmeno la sua pazienza sembrava essere un serbatoio infinito, e questo non faceva altro che peggiorare la situazione nella sua sfera emotiva, rendendola indomabile e piena di forti sentimenti che rimbalzavano da tutte le parti. La vergogna era uno di questi, perché nonostante tutto, detestava l'idea di essersi lasciato andare così - di non essere stato in grado di mantenere salda la presa sulle proprie emozioni fino alla fine, di sentirsi forzato ad affrontare qualcosa che lo stava divorando da dentro e che adesso stava sgorgando al di fuori da tutte le parti. E nonostante mancassero ancora poco meno di due ore all'appuntamento, il bisogno di scappare da lì si fece impellente. Si buttò quindi il borsone sulle spalle, facendo verso la porta. « Fai il cazzo che ti pare, Mia. L'hai sempre fatto comunque. » disse velocemente senza nemmeno voltarsi, oltrepassando la soglia della stanza per raggiungere la scalinata a passi veloci. Nella perdita di controllo, diverse presenze cominciarono ad accavallarsi nella sua testa, facendo comparire sul proprio percorso verso la porta principale tutti coloro che aveva tenuto fuori fino a quel momento: Savannah, Joaquin, Charlotte e più o meno chiunque. Tutti cercavano di parlare con lui, di infilare una parola di conforto in quel casino che era la sua testa, portandolo solo a sentirsi peggio. « ANDATEVENE! ANDATEVENE TUTTI! » urlò a pieni polmoni, con la voce roca che gli raschiava la gola, fuori di sé da quel groviglio che gli attanagliava lo stomaca ed esplodeva da tutte le parti. Ho bisogno d'aria. E di andarmene. Devo andarmene da qui. Sono rimasto anche troppo a lungo.

     
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    « Sei seria? Sei davvero seria, Mia? È questo il motivo per cui mi hai sposato? Per tenermi buono e startene tranquilla sul fatto che non sarei più tornato indietro? Cosa ti aspettavi, Mia? Mh? Dimmelo. Che mi rimangiassi tutto? Che tutte le cose di cui ti ho parlato - più e più volte, sottolineerei - non sarebbero più state una priorità per me? » Restò completamente di sasso di fronte a quelle parole. Non puoi aver capito questo. D'altronde Mia gli ha ripetuto a più riprese che sarebbe andato assieme a lui; io volevo abbracciare le tue battaglie come fossero mie, ma tu non me lo hai mai permesso. Con me parli solo di arcobaleni e conigli. Divenne rossa in viso mentre scuoteva la testa incredula. « Oppure vuoi dirmi che mi hai solo assecondato? Che mi hai detto "sì sì, certo Raiden", mentre dentro di te mi vedevi solo come un povero illuso intento a sperare in qualcosa che non sarebbe mai arrivato? È una delle due di certo. Quindi dimmi, ti prego, quale? Mi sa proprio che siamo in due, gli scemi in questa relazione. Perché a quanto pare mi ci hai trattato fin dal giorno zero. » A quel punto sollevò lo sguardo a ricercare il suo stirando un sorriso millimetrico. « Entrambe no? In fondo è questo ciò che ti ho detto sin dall'inizio. È proprio da me. Cazzo, mi hai proprio beccata! » Per uno che sembra saperne una più del diavolo sei proprio stupido. Il fatto che fosse quella l'idea che si era fatto in seguito alle sue parole la feriva; era frustrata e delusa e non aveva la più pallida idea di come prendere tutta quella massa di informazioni che aveva ricevuto nel giro di pochi istanti. Voleva solo sapere perché; una spiegazione, una qualunque. Se la sarebbe fatta andare bene. Aveva solo bisogno di farci pace. Forse però, avrebbe preferito non riceverla. Forse sarebbe stato meglio separarsi e andare ciascuno per la propria strada prima che quel momento arrivasse. « PERCHÉ NON AVRESTI MAI CAPITO E ME LO STAI PROVANDO IN QUESTO CAZZO DI MOMENTO! » Nel momento in cui alza il tono, Mia non può fare a meno si passare sulla difensiva e proteggersi. « CHE CAZZO DOVREI CAPIRE QUANDO TI PRESENTI CON UN BORSONE DAL NULLA - DAL CAZZO DI NULLA! » Per te sarà stato un sedimentare giorno dopo giorno il da fare. Ciò che vuoi, come vuoi farlo. Per me è una cazzo di bomba atomica venuta giù dal nulla. E lo era per davvero; perché nonostante tutti i suoi sospetti, Raiden aveva fatto di tutto per sradicare di continuo i suoi dubbi, per mandarla fuori pista. Quando sei andato a Londra ho pensato che stessi andando. Poi sei tornato, ed io ho voluto davvero credere a quello che mi hai raccontato. Un po' di tranquillità e poi si vedrà. Non era così. Mi stavi già raccontando un mucchio di stronzate. « Puoi negarlo? Eh? Puoi negarlo, Mia? Puoi negare il fatto che avresti fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote? Cazzo, non azzardarti nemmeno a dirmi che mi sbaglio, non dopo che mi hai biasimato persino per aver fatto fuori un fottutissimo sicario venuto col solo obiettivo di ammazzarmi. » La confusione regnò sovrana negli occhi di lei in quel momento. Sin da quando avevano seppellito quel cadavere, Mia non ci aveva più pensato. Non aveva avuto rimorsi, né si era sentita in colpa per esser diventata complice di quel omicidio. Sul momento aveva sì pensato al fatto che potesse avere una famiglia, che qualcuno - una madre, una sorella, forse addirittura dei figli - potessero aspettarlo a casa. Poi però le era passato di mente, come ad un certo punto erano iniziati a sbiadire dalla sua memoria tanti altri; i bambini che ha visto morire a Hogwarts, i compagni che non sono mai tornati dall'Upside Down. Non ricordo così tanti volti. Non ricordo neanche chi era con me quando sono finita dall'altra parte. Quella realizzazione sembrò spiazzarla. Sono una persona orribile oppure è semplicemente umano? « È tutta un'altra cosa! Non me lo aspettavo. Io non sapevo assolutamente nulla ai tempi! Mi sei letteralmente piombato in testa mezzo morto, Raiden! » Gli sbraita contro, Mia, perché avverte quelle come delle accuse. Accuse che sembrano voler esporre all'aria le sue debolezze e fragilità. Mia però, al pari di tanti altri era una cacciatrice a tutti gli effetti. Conosceva cosa comportasse quella vita, quali rischi corresse e cosa poteva accadere. Non è giusto. Vengo giudicata sulla base di un episodio che non mi aspettavo minimamente. Che Mia avesse una coscienza molto salda, era abbastanza evidente; non le piacevano le vittime ingiustificate, né le stragi. Valeva da una parte e dall'altra. Quella di uccidere ingiustificatamente non è giustizia. È vendetta. E la vedetta non porta pace.. solo altro odio. Un concetto che nonostante la sua tenera età, era molto chiaro nella testa di Mia. Al di là di tutto, di trovarsi un morto nella stanza di Raiden non se lo aspettava; non si aspettava che avesse dei sicari al seguito, né che potesse trovarlo steso sul pavimento in procinto di tirare le cuoia. Era umorale e istintiva e aveva appena passato una serata fuori dal comune. Fino al giorno prima la sua massima preoccupazione era se al ragazzo con cui stava andando a letto piaceva o meno. C'erano sì problemi su strumenti mortali scomparsi e possibili insidie da parte delle logge. Ma le apparivano così lontane da non riuscire neanche a realizzarne la portata. Non ero pronta. Io volevo solo una vita normale. Credevo davvero di poterla vivere. Credevo di poter essere solo Mia e basta. Una studentella qualunque la cui media faceva schifo solo perché non studiava abbastanza. Non era mai stato così, ma per Mia era più semplice pensarla in quella maniera. Un anestetico che l'aiutava a dimenticare; dimenticare l'Upside Down, le tende, la prigionia dentro Hogwarts. Tutto.

    « Quello era illecito, ma invece questo ti sarebbe andato bene? Non fare la finta tonta, Mia, lo sai benissimo che questa storia non verrà risolta con un paio di sculacciate. Lo sai che morirà un sacco di gente. E vuoi dirmi che lo avresti accettato? Che mi saresti stata vicina? » Scosse la testa, indietreggiando. « E allora perché mi hai chiesto di venire con te? Se è questo ciò che pensi, perché chiedermelo? È ovvio che non hai bisogno di me e non mi vuoi. Sono un problema per te. » Un cazzo di problema. È a questo che siamo arrivati. Una lacrima scivolò velocemente sulla guancia di lei, ma venne prontamente scacciata con ostinazione. « Tu non sai proprio niente di me. Ecco qual è la verità. Vuoi vedere solo la tua bella favoletta della brava ragazza. VAFFANCULO RAIDEN! » Una realizzazione che la portò a chiudersi a riccio ulteriormente. Perché nonostante tutto, Mia non era una sprovveduta. Poteva andare male a scuola, poteva essere spesso disorganizzata, con la testa tra le nuvole. Le piaceva essere così, mostrarsi superficiale, approssimativa. È così semplice essere la ragazzetta scema che non ci capisce niente. Essere questo spruzzetto di sole che si fa scivolare tutto di dosso. Tutti si credono migliori di me, tutti sanno che in un modo o nell'altro, avendomi nei paraggi potranno pompare la propria autostima. È sempre stato semplice sentirsi migliori di me, specie da quando sono tornata. E a me è sempre andato bene; è semplice dissimulare quando vivi nell'anonimato, quando non ci provi neanche, quando non hai quasi nulla da perdere. Ma non sono l'ultima arrivata. Anche io ho un'eredità. E per quanto tu provi a ignorarla, mi definisce. E potrei dare tanto, se solo per una volta, avessi la possibilità di non essere solo una vittima della loggia, oppure una povera stupida irresponsabile. Ma anche tu hai deciso di trattarmi così. Anche tu hai mi hai trattato come tutti gli altri. « Io ho fatto quello che dovevo fare. » Sollevò lo sguardo verso l'alto Mia e scosse la testa. Mi arrendo. E si arrese per davvero, esasperata e stremata da quella discussione. Poi, di colpo, nonostante la calma piatta in cui stava ricadendo, qualcosa cambiò. Rabbia, frustrazione e dolore si abbatterono su di lei con una forza inimmaginabile. Quella presenza, Mia, la conosceva molto bene. La sua indole ne era l'incastro perfetto. E proprio in virtù di ciò, quel momento di comunione la colpì a tal punto da restarne completamente sopraffatta. « SEI CONTENTA ADESSO? SEI CONTENTA, CAZZO? TI SENTI INCLUSA? HO PERSO TUTTO E L'UNICA COSA DI CUI TI IMPORTA È TE STESSA. COME VOLEVI STARMI VICINA, MIA? ALLE TUE CONDIZIONI? DOVEVO REAGIRE COME VOLEVI TU, AFFINCHÈ TI ANDASSE BENE. DOVEVO FAR SENTIRE UTILE TE ANCHE QUANDO IO STESSO MI SENTIVO INUTILE. MIA SORELLA È MORTA. LA MIA GENTE È MORTA. TUTTO CIÒ CHE CONOSCEVO È MORTO. E TU TI SENTI TAGLIATA FUORI? SE TU SEI TAGLIATA FUORI IO COSA SONO ALLORA? » Fu un fiume in piena che le fece scoppiare il cuore nel petto in mille pezzi. La destabilizzò completamente, a tal punto che ogni parola che le ringhiò contro le giunse ovattata. Riusciva a sentire cosa stesse dicendo, ma era come se non riuscisse a processare nemmeno una di quelle parole. Quella qualità di dolore la stava letteralmente smembrando. E l'ho sempre saputo. È così che ci si sente quando la perdita arriva improvvisa. Quando non hai modo di darle un senso. Quando non puoi fare nulla, ma proprio nulla. Arriva, e tu devi assistere, inerme, da lontano, consapevole che è già avvenuta prima ancora che tu potessi anche avere il tempo di reagire. Non riesci a farci pace, ti tormenta. È frustrante, inconciliabile.. inconsolabile. Tutto ciò si mischiò a vecchie ferite tutt'ora sanguinanti, che Mia si portava appresso da anni. A volte si rimarginavano, poi tornavano ad aprirsi sprigionando una ad una la più squisita qualità di dolore che conoscesse. « Fai il cazzo che ti pare, Mia. L'hai sempre fatto comunque. » Inerme lo osservò lasciare la stanza con la consapevolezza che non sarebbe tornato. Tu, così, non tornerai. Ti farai ammazzare. Lo sguardo scuro si perse nel vuoto per qualche istante, mentre con mani tremanti, scacciava distrattamente un'altra lacrima. Fu un provvidenziale miagolio da sotto il letto a risvegliarla alla realtà. Mochi, concluso quel giro di urla, fece capolino da sotto il letto, osservando l'ambiente con occhi timorosi. Osservò il gattino per qualche istante prima di scuotere la testa. Si coprì la bocca, guardandosi attorno con estrema incertezza, prima di attraversare a grandi falcate la stanza. Ma cosa sto facendo? Aprì la porta attraversando il breve corridoio che portava alle scale, attirata dalle urla di Raiden che non cessavano di scuotere quella casetta sgombra dalle fondamenta. Prima ancora di raggiungerlo, si fermò, osservando le varie figure che comparivano e scomparivano, scacciate a più riprese dal ragazzo. Li combatteva come poteva, senza comprendere che proprio quello stato talmente precario li attirava ulteriormente. « FUORI! TUTTI FUORI! » La voce della Mia, seppur tramante, fu tagliente e irremovibile. Nella comunione delle indoli di entrambi, comunicare quella volontà fu più semplice. « HO DETTO FUORI! » Asserì quando l'ennesima personalità preoccupata tentò di raggiungerlo. E mentre si impegnava a respingere quelle incursioni attirate a forza dallo stato emotivo catastrofico di Raiden, Mia lo raggiunse e senza preavviso alcuno gli gettò le braccia al collo, ignorando ogni sua protesta. « Puoi colpirmi. Puoi fare quello che ti pare. Non mi muovo. Fermati. » E infatti si appellò a tutta la sua forza di volontà per mantenere salda quella presa senza lasciarsi destabilizzare dal fiume in piena che confluiva dal suo animo. « Fermati, Raiden.. » Strinse i denti Mia, e non si mosse, facendo di tutto per frenare quel moto di rabbia e frustrazione. E per un po' non disse nient'altro. Assolutamente nulla. Lo lasciò sfogarsi, convinta a non togliersi di mezzo neanche se avesse tentato di respingerla. Non fece nulla, semplicemente non si mosse, stringendolo in quel abbraccio nel quale lasciò scorrere ad un certo punto la mano destra lungo la sua schiena. « Shhhh.. non c'è più nessuno. Se ne sono andati. Hanno capito.. » Sussurrò piano, cercando di non infierire in alcun modo. Tentava in tutti i modi di tenere a bada le proprie emozioni, di reprimerle a forza, di lasciargli lo spazio necessario per trovare una qualche forma di equilibrio senza scuoterlo ulteriormente. Gentilezza. Ne hai bisogno. Ed io te ne avrei data a palate se solo me lo avessi permesso. E infatti prese a carezzargli i capelli, come spesso le aveva chiesto in passato, aspettando che lentamente si rilassasse. Lo trattò con cautela e pazienza; senza spingere, senza invadere i suoi spazi mentali, dandogli il tempo di abituarsi alle sensazioni che provava. « Lascia andare.. » Continuò ancora una volta con un tono morbido, cullandolo con dolcezza. Cancellava tutto il resto? Assolutamente no. Ma è altrettanto vero che tutto il resto non cancella il fatto che io ti amo e non sopporto che tu ti senta così. Io non riesco a vederti così. Che tu ti sia sentito in questo modo per tutto questo tempo mi manda in bestia. « Lascia andare. » Ripeté ancora una volta in un soffio. Non c'è nulla che no abbia già visto. Una mano scese con lentezza in direzione del borsone, portandolo a lasciarlo cadere a terra. Non dovevi reagire come volevo io. Dovevi semplicemente non convivere con tutto questo così a lungo. Raggiunse il suo viso, scostandosi quanto necessario per guardarlo negli occhi. « Amore.. respira. Andrà bene. Ormai ci sei.. » Parole che la fecero star male nel profondo, ma di cui sapeva avesse bisogno. Continuò con quei semplici gesti, ispirando ed espirando, ricercando il suo sguardo per tentare di convincerlo a fare altrettanto. Ispirava ed espirava, Mia, una volta, due volte, tre volte. E via così per diverso tempo, ignorando ancora qualunque sua improvvisa reazione. Non ti lascio andare da nessuna parte così. Gli portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e incollò la fronte alla sua. Ora riusciva a percepire quella vergogna in maniera più specifica. « Ehi ehi.. no.. guardami. » Attese per qualche istante accarezzandogli il viso. « Non c'è niente di male in tutto questo. Guardami.. e respira. » Gli accarezzò i capelli, prima di abbracciarlo ancora; con pazienza e dolcezza. « Nessuno ti sta giudicando. Non è una bugia. Lo senti vero? Puoi sentire tutto adesso.. ti sembra che ti sto giudicando? » Non lo stava giudicando per quelle sensazioni, né provava pietà. Erano solo cose da gestire, cose naturali. Tira su col naso, Mia, e prende tra le sue mani quelle di lui, abbassando lo sguardo. Per la prima volta da quando le emozioni di Raiden sono fuoriuscite, Mia non reprime più le proprie. Lascia andare a sua volta tutto. Il dolore, la frustrazione, lo smarrimento, la confusione. Gli dà modo di vedere tutto, si concentra affinché la sua parte resti ben distinta da quella di lui, seppur non sia affatto semplice. Si è allenata, si è impegnata molto per capire come funzionasse, ma non è certa di riuscirci come vorrebbe. Eppure, quelle emozioni fuoriescono e mentre ne riconosce la portata, in un muto attacco di arrendevolezza, diverse lacrime scorrono sulle sue guance. Solo dopo un po' cerca il suo sguardo mentre aggiunge una leggera pressione sulle dita di lui. « Se me lo avessi chiesto, ti avrei risposto che non ho paura di uccidere. Non sono una bambina. Lo so che le guerre non si fanno con le belle parole. E ti avrei detto che un animale che stupra una ragazzina prima di accoltellarla dieci volte a sangue freddo, tanto quanto un barbaro che uccide un neonato nella culla, per me è irrecuperabile. » Il tono tremante portò con sé un'ondata di vergogna che si univa alla rabbia e al senso di impotenza che aveva provato per così tanto tempo. Io so scindere. Riconosco la mia missione e riconosco anche quali possono essere i suoi limiti. E a ciò, Mia ci teneva molto. « A me fa male. » Adesso puoi sentirlo. Non è uno stupido bluff. Non voglio solo entrare in empatia con te. Io quelle cose le ho sentite davvero, e le ho accusate più di quanto credi. D'altronde, Mia era il tipo di persona in grado di lottare persino per la liberazione delle puffole pigmee. Essere colpita nel profondo dallo sterminio di un'intera civiltà di suoi compagni d'armi, di certo non sarebbe stato un boccone facile da mandare giù. « Se fanno male a qualcuno che amo, a me fa male il doppio. Ed io non riesco a vivere con ciò che hanno fatto. Non riesco a vivere con ciò che hanno fatto a te. Non te lo meritavi, e soprattutto tutti loro non se lo meritavano. » La voce le si spezzò in gola su quell'ultimo punto mentre tornava ad annullare le distanze precedentemente poste tra loro. A volte era come se quel malessere la stesse soffocando. Erano persona che non conoscevo personalmente. Ma posso dire davvero di non conoscere affatto ogni persona del mio branco? Io li sento.. sono lì da qualche parte. Mi fanno sentire meno sola, voluta. È casa mia. « Se me lo avessi chiesto, ti avrei risposto che le tue battaglie sono anche le mie. » Pausa. Ecco, adesso te lo spiego io come se avessi cinque anni. « Amare abbastanza da fidarsi fa parte del pacchetto. Io aspiravo solo a questo.. e potevo fare tanto.. » Io mi sono fidata. Parla ormai con gentilezza, accarezzandogli appena il visto mentre tira su col naso. « Ma non importa. Io ci sono e.. verrò con te ok? Non ti lascio da solo. » Stirò un leggero sorriso stampandogli un bacio sulla fronte, continuando ad accarezzargli le guance e i capelli con un moto di più emergenza. « Solo che.. » Si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo. « ..non posso venire sulla tua responsabilità. » Non voglio sparire dalla città trascinata all'ultimo come se niente fosse. E non voglio esserci neanche unicamente come tua moglie. « Ci sono delle gerarchie. Ed io voglio essere assegnata dal mio diretto superiore. » Deglutisce e abbassa lo sguardo, tirando un lungo sospiro. « Dovrò chiedere a Gillian.. » Si umettò le labbra a quel punto, e incollò la fronte contro la sua. « Farò presto. Adesso so cosa devo fare. Fidarsi fa parte del pacchetto, giusto? » E a quel punto si strinse nelle spalle mentre gli occhi si velarono nuovamente di una pattina lucida. È tempo di smetterla con le bugie. Con i segreti. È giusto che lei sappia. Che smetta di preoccuparsi. Non sono fragile. Non ho bisogno di protezione o di essere trattata come un bambolina di porcellana. E non sono da sola. Non voglio esserlo. « Se non vuoi farmi compagnia o aspettarmi qui, vediamoci direttamente ai cancelli alle tre. Semmai dovessi fare tardi e non riuscissi ad aspettarmi.. troverò un altro modo per raggiungerti. » Roteò velocemente la bacchetta a quel punto lasciando che una bottiglia di acqua li raggiungesse aprendola per farlo bere. « Promettimi solo che a prescindere da tutto resterai in contatto, almeno qualche volta. » Posò un bacio sul sulla punta del suo naso, e un altro sulla fronte, prima di abbracciarlo ancora una volta. « Va meglio? » Sapeva, Mia, che ciò non cancellata tutto il resto e che in fondo quella ferita l'avrebbe punta altre volte sul vivo; nonostante ciò non riusciva a lasciare Raiden in quello stadio emotivo. A me manca il mio ragazzo solare. Non credo che tornerà come prima e non credo neanche che tutte le parole del mondo lo aiuteranno a capire la verità su di me. Però io vorrei provarci lo stesso. Vorrei sperare che nonostante questo amaro in bocca e le parole che ci siamo rivolti, lentamente capiremo e troveremo un po' di serenità ed equilibrio.



     
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    dauntless

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    Le vacanze dai nonni erano sempre state il momento dell'anno che Raiden più attendeva. Certo, li andavano a trovare ogni qualvolta potessero, ma non era la stessa cosa. Trattenersi in campagna per settimane, respirare l'aria pulita e avere lo spazio di correre dove preferiva rappresentava per il piccolo Yagami l'apoteosi della felicità. A fine giornata crollava sempre esausto prima ancora di arrivare a toccare la testa sul cuscino, stanco per tutte le attività a cui si era dedicato: accompagnare la nonna al mercato, giocare coi bambini del paesino, aiutare il nonno nella cura dell'orto e stare in compagnia degli animali di cui i due anziani coniugi si prendevano cura. Nello specifico avevano un piccolo recinto di conigli a cui Raiden col tempo aveva iniziato a dare molte attenzioni: erano animali adorabili e si prestavano alle sue coccole, a differenza del pollaio, che ancora gli incuteva un certo timore. Era piccolo, e ancora non aveva del tutto realizzato che quei coniglietti non fossero lì per fargli da compagni di gioco. Nell'ingenuità della sua età, non aveva ancora collegato quei dolci esserini pelosi allo spezzatino che sua nonna serviva di tanto in tanto a tavola. Forse credeva fossero tipologie di coniglio differenti, o forse ancora credeva che i nonni prendessero altrove gli animali da cucinare. Eppure del pollaio lo conosceva, lo scopo. Fatto sta che, nel suo ignorare beatamente quel fattore, Raiden si era affezionato in modo particolare ad un coniglietto nello specifico, arrivando persino al punto di dargli un nome. Aiko era una piccola pallina grigia a cui piaceva essere coccolato e tenuto in braccio, specialmente da Raiden, che all'epoca aveva non più di quattro anni. I suoi nonni non avevano la più pallida idea di questa sua predilezione; se l'avessero saputo, probabilmente avrebbero tenuto il cucciolo come animale domestico. Ma ahimè, del senno del poi son piene le fosse.
    In una tarda mattinata, di ritorno da una lunga sessione di nascondino con gli altri bambini, Raiden tirò dritto verso il recinto dei conigli, sporgendovisi in punta di piedi per individuare il suo amichetto peloso. Sparito. Per un momento ebbe paura che Aiko fosse riuscito a scappare - una prospettiva, quella, che lo allarmava non poco, siccome i nonni possedevano due grossi cani che avrebbero tranquillamente potuto inghiottire il piccolo. E così, con gli occhioni sbarrati e il colorito sbiancato, Raiden corse in cucina, dove il forte odore di stufato segnalava l'imminenza del pranzo. « Dov'è finito Aiko? » La nonna si voltò a guardarlo con aria interrogativa, aggrottando la fronte. « Aiko? » « Il mio coniglietto Aiko. Quello grigio! Non c'è più nel recinto. » La realizzazione si fece presto spazio negli occhi dell'anziana signora, che si voltò costernata a guardare il figlio e la moglie, altrettanto spiazzati da ciò che ormai era per loro piuttosto evidente.
    La decisione presa su due piedi fu quella di conservare lo stufato per un altro giorno e preparare un pasto più frugale, il tutto mentre Haru Yagami portava il figlio in un'altra stanza per inventarsi una storia su come il piccolo Aiko fosse uscito dal recinto per seguire i suoi amici coniglietti in un viaggio pieno di magnifiche avventure. « Ma tornerà, vero? » Chiese il bimbo, con gli occhioni pieni di lacrime e il labbro inferiore tremante. Haru sospirò, stirando un sorriso amaro e scuotendo il capo. « Chissà. Forse un giorno. Ma è un viaggio molto lungo, il suo. Però devi stare tranquillo: è felice, è con i suoi amici. » Raiden tirò su col naso, venendo colto alla sprovvista da un singhiozzo che fece sobbalzare il suo piccolo petto. « Ma anche io ero suo amico. Non è giusto!! Perché non mi ha portato? » Haru tirò un sospiro, piegandosi per mettersi a sedere in terra a gambe incrociate e avvolgere le braccia attorno al proprio bambino, cullandolo a sé e carezzando i suoi morbidi boccoli scuri nel tentativo di tranquillizzarlo. « Non ti ha portato proprio perché è tuo amico. Non voleva che tu lasciassi indietro la tua famiglia e i tuoi altri amici solo per seguirlo. Ti avrebbe voluto con sé, ma ha deciso di non essere egoista. Questo è un grande segno di amicizia. » Sì, ma ad un bambino di quattro anni importa poco o nulla dell'altruismo o dei segni di amicizia. Raiden voleva solo il suo coniglietto, e ora non c'era più. Era solo normale che le parole del padre non riuscissero a placare i suoi singhiozzi. « GLI AMICI NON SI FANNO PIANGERE! » Il padre si distanziò quanto bastava a guardarlo in viso, passandogli con gentilezza una mano ad asciugargli le lacrime e scansare i riccioli che gli si erano appiccicati sulla fronte e le guance. « È vero.. ma va bene piangere quando un amico se ne va. È normale sentirsi tristi e arrabbiati. Non c'è nulla di male: vuol dire che ci tenevi tanto. » Il bimbo tirò un singhiozzo, passandosi il pugnetto chiuso sotto i grossi occhioni per catturare le lacrime che continuavano a scendere copiose. « Vieni qua. Va tutto bene. Sfogati. » mormorò piano Haru, stringendo le braccia attorno al figlio e cullandoselo al petto per lasciare che quel pianto facesse il suo naturale corso. Restarono così per diversi minuti, senza dire nulla né essere interrotti. Solo Hanna, ad un certo punto, fece capolino dalla porta socchiusa, osservandoli con un sorriso mentre si accarezzava il pancione di otto mesi pieni, ignara di quanto quella felicità dal retrogusto amaro le sarebbe presto sfuggita dalle mani. In quel momento si sentiva fiera della sua famiglia: fiera dell'uomo che aveva sposato e dell'ottimo padre che dimostrava puntualmente di essere. Non aveva idea di quanto le cose sarebbero cambiate, o del fatto che l'arrivo di Ichiro avrebbe violentemente spazzato via ciò che Haru aveva costruito con pazienza giorno dopo giorno. Momenti come quello, Hanna non li avrebbe più visti, né Raiden si sarebbe più sentito a proprio agio nell'accettare e riconoscere i propri stessi sentimenti, mostrandoli e sfogandoli. Nel giro di qualche anno quel senso di protezione sarebbe stato sostituito dalla vergogna e dal dolore acuto di uno schiaffo in pieno viso. Impara a controllarti. Sei una femminuccia. Sei un debole. L'ho sempre saputo che eri inutile. Un buono a nulla. Una delusione - solo alcune delle tanti frasi che col tempo si era poi sentito rivolgere da Ichiro Nakamura e che col tempo avevano attecchito nel suo cuore, mettendovi salde radici.

    Non era la tristezza, né il dolore, né tanto meno la rabbia, la parte peggiore. La parte peggiore era la netta sensazione di non averne il minimo controllo. Più tentava disperatamente di chiudersi, più difficile diventava far presa anche solo su una singola emozione. E lo odiava. Raiden odiava sentirsi impotente, specialmente quando si trattava di se stesso. Il giovane Yagami aveva visto morire più compagni di quanti potesse contarne, aveva visto in faccia il dolore in ogni sua forma più e più volte, e aveva sempre ingoiato il rospo; si era fatto forza, aveva stipato dentro di sé quei sentimenti e li aveva lasciati incolti fin quando non aveva pian piano iniziato a conviverci. Sapeva fossero lì, ma li ignorava, certo del fatto che quello fosse l'unico modo per affrontarli. In fin dei conti, quella era la sua vita: non se l'era scelta, ma quella era e con quella doveva fare i conti. E poi si sarebbe sentito stupido ed egoista a fare diversamente, nel momento in cui tutti i suoi colleghi erano condannati alla medesima sorte dal lavoro che gli era stato affibbiato. Se ci mettessimo tutti a piangere ogni volta che perdiamo qualcuno, affogheremmo nelle nostre stesse lacrime. Non si può crollare. Bisogna solo accettarlo e andare avanti. Bisogna solo fare il nostro lavoro. Ma nessuno lo aveva avvisato del fatto che in quel gioco avrebbe perso tutto. Come si poteva accettare una simile cosa? Come si poteva pretendere da un essere umano che non scoppiasse? Ma forse, in quel caso, l'obiettivo era proprio quello: farlo scoppiare al punto di fare qualcosa di stupido, di compiere un singolo passo falso che lo avrebbe portato allo scoperto e consegnato dritto ad un'inevitabile morte. Un lavoro pulito. Era anche in questa consapevolezza che Raiden si era negato le più umane reazioni: non voleva farli vincere, non voleva arrendersi né rendergli più facile il gioco. Se devono ammazzarmi, voglio che se la sudino fino all'ultimo. Voglio che ci perdano il sonno.
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    Quando le braccia di Mia si strinsero attorno al suo collo, la naturale reazione di Raiden fu quella di tentare di divincolarsi, evitando in tutti i modi di incrociare il suo sguardo. « Lasciami andare. » disse in un soffio di voce spezzata - un tentativo disperato di proteggere quel meccanismo claustrofobico che gli era stato inculcato. « Puoi colpirmi. Puoi fare quello che ti pare. Non mi muovo. Fermati. » In tutta risposta, cercò di divincolarsi con più forza. Non voleva farle del male, ma sentiva comunque l'opprimente bisogno di essere lasciato in pace - di prendersi lo spazio necessario a tornare indietro e ripristinare il sistema con cui aveva affrontato le cose nell'ultimo mese. « Lasciami. » « Fermati, Raiden.. » « Ti ho detto di lasciarmi. » Lo ripeteva come un automa. Un messaggio registrato che partiva in automatico di fronte ad ogni tentativo di lei di recuperarlo lungo quella strada tossica e autodistruttiva che aveva preso. Eppure, agli occhi di lui, non ne esisteva altra. Non c'era altro modo di affrontare simili avvenimenti. La nausea non smetteva di montargli in corpo al reiterarsi del pensiero ossessivo di aver fallito. Perché era così che si sentiva: come se avesse fallito nella più misera delle maniere, dimostrandosi troppo debole per reggere quella situazione. Eppure non voleva accettarlo; non voleva accettare l'idea che Ichiro ci avesse visto lungo su di lui, che avesse avuto ragione a denigrarlo, insultarlo e punirlo. A forza di odiarlo, Raiden si era trasformato nel suo prodotto più sublime e perfetto; il degno figlio di un padre che non aveva mai voluto né tanto meno amato. « Shhhh.. non c'è più nessuno. Se ne sono andati. Hanno capito.. » Ma tu no. Tu non hai capito. Sei ancora qui. Perché sei ancora qui? Vattene. Porca puttana, vattene e basta. Lasciami andare. A quel punto nemmeno ce la faceva più a pronunciarle, quelle parole. Si sentiva esausto, col cuore in frantumi, in balia di una bomba emotiva che non sapeva come gestire. Era straziante sentirsi così, diviso tra troppe emozioni e dalla sensazione fisica di affogare. Con respiri brevi e veloci, Raiden annaspava alla ricerca d'aria come se gli fosse stata tolta di colpo. Le immagini del massacro si rincorrevano nella sua testa, intervallate da tutto ciò che aveva soppresso negli anni: le angherie del patrigno, l'orribile addestramento di Iwo Jima, il terrore delle Logge, la guerra, le perdite, le persone che aveva ucciso senza alcun senso, il dolore di scoprire la verità che vi si celava al di sotto, la delusione e lo sradicamento dalla propria terra natale. Tutte quelle cose, Raiden non le aveva mai veramente affrontate: le aveva semplicemente lasciate lì a sedimentarsi, e ora venivano fuori tutte assieme, insopportabili. « Lascia andare.. » Chiuse gli occhi, tentando di prendere un profondo respiro dietro l'altro per calmare il battito tachicardico che gli martellava in petto. Era panico. Puro e semplice attacco di panico, quello che stava sperimentando per la prima volta in vita propria. E pian piano, a forza di imporsi quei respiri, il battito iniziò lentamente a placarsi, facendosi più regolare fino a lasciarsi dietro solo la chiara evidenza di ciò che era sempre stato lì. Nulla era passato, nulla era stato risolto, ma solo ignorato e rimandato. « Amore.. respira. Andrà bene. Ormai ci sei.. » Scosse il capo velocemente, in maniera compulsiva, cercando ossessivamente di evitare lo sguardo di Mia mentre gli occhi cominciavano a bruciargli per le lacrime che a stento tratteneva. Le carezze sembravano creare in lui uno strano senso di conforto, spingendolo a lasciar la presa su quel controllo disperato che ancora tentava di mantenere, producendo però al contempo altra vergogna e senso di fallimento. Una parte di lui si ritrovò quasi a desiderare un altro schiaffone di Ichiro, un altra bastonata dei maestri - un qualsiasi tipo di dolore fisico capace di rimetterlo in riga e fargli ricordare quale fosse il comportamento appropriato. Per quanto assurdo e malsano, di tutte quelle atrocità subite, Raiden in quel momento ne sentiva un nauseante bisogno. « Ehi ehi.. no.. guardami. Non c'è niente di male in tutto questo. Guardami.. e respira. Nessuno ti sta giudicando. Non è una bugia. Lo senti vero? Puoi sentire tutto adesso.. ti sembra che ti sto giudicando? » Scosse il capo, opponendosi ancora al bisogno pressante di piangere. « Tu non capisci. » la sua voce era appena udibile; roca e raschiante, bruciava contro la sua gola asciutta. E non voglio nemmeno che tu capisca. Non voglio che nessuno capisca. È meglio così. La comprensione di.. questo.. non la auguro a nessuno. Riusciva a sentire le emozioni di lei, seppur parzialmente ovattate. Le sentiva e sapeva di non essere giudicato, eppure quel senso di vergogna non sembrava volersene andare da nessuna parte: era lì, ben radicato in anni e anni di educazione. « Se me lo avessi chiesto, ti avrei risposto che non ho paura di uccidere. Non sono una bambina. Lo so che le guerre non si fanno con le belle parole. E ti avrei detto che un animale che stupra una ragazzina prima di accoltellarla dieci volte a sangue freddo, tanto quanto un barbaro che uccide un neonato nella culla, per me è irrecuperabile. A me fa male. » Serrò le palpebre, lasciando che alcune lacrime silenziose sfuggissero da quella pressione sui propri occhi brucianti. « Se fanno male a qualcuno che amo, a me fa male il doppio. Ed io non riesco a vivere con ciò che hanno fatto. Non riesco a vivere con ciò che hanno fatto a te. Non te lo meritavi, e soprattutto tutti loro non se lo meritavano. » No, non se lo meritavano. Avranno fatto delle scelte sbagliate, avranno pure commesso degli errori che mi hanno portato a biasimarli, ma non se lo meritavano. Alcuni di loro, poi, non hanno neanche avuto il tempo naturale di sapere cosa fosse, un errore. « Io dovevo rimanere lì. » Quelle parole sembrarono uscire quasi involontariamente dalle sue labbra. Un filo di voce. « Non avrei mai dovuto fuggire. Mi sono arreso subito, quando avrei dovuto solo dargli tempo. Avrei dovuto convincerli. » E invece sono scappato egoisticamente col mio risentimento. Scosse il capo compulsivamente. « È anche colpa mia. Lo capisci? È colpa mia. È colpa mia. » « Se me lo avessi chiesto, ti avrei risposto che le tue battaglie sono anche le mie. Amare abbastanza da fidarsi fa parte del pacchetto. Io aspiravo solo a questo.. e potevo fare tanto.. » Rimase per un istante in silenzio, sprofondando nella vergogna di quelle lacrime che gli rigavano il viso. « Mi dispiace. » Che altro poteva dire se non quello? Se non la verità? Aveva dato per scontato che Mia avrebbe agito in un certo modo, e forse si era convinto di ciò per proteggersi da quell'esatto momento che stava vivendo, usando quella convinzione come una scusa dietro la quale celare un altro bisogno più profondo e nascosto. « Mi dispiace di averti tradita.. e delusa. Delusa. Ho rovinato tutto. » Ancora. Pare che non sappia fare altro. Riesco solo a tradire la gente a cui tengo. Non faccio altro che voltargli le spalle e poi mi stupisco quando intorno a me tutto crolla, quando non mi trovo altro che morte. Sempre e solo morte. E sono puntualmente io a rimanere, quando forse la cosa migliore sarebbe solo che fossi io, a tirare le cuoia. Forse così si fermerebbe tutto quanto. « Ma io.. » annaspò alla ricerca di parole che non aveva, di un vocabolario amputato che lo bloccava ogni qualvolta cercasse di esprimere qualcosa che andava più in profondità. Un linguaggio, il suo, paralizzato da continui buchi e mancanze mai colmati, e che creava puntualmente in lui un senso di frustrazione nel tentare di esprimersi. « ..io non so fare diversamente. Non so.. non so.. non so come si faccia. » Il modo in cui parlava, in circostanze come quella, era in tutto e per tutto assimilabile al linguaggio di un bambino ancora in procinto di imparare le più basilari espressioni della comunicazione umana. E in fin dei conti, così era. Dal punto di vista della comunicazione emotiva, Raiden era ancora in fasce. Il suo sviluppo in quel senso era stato bloccato alla più tenera età e poi invertito violentemente, riportandolo al punto di partenza, al livello zero di chi non conosceva nemmeno le parole per dar voce a come si sentiva, né aveva la capacità di riconoscere - e quindi comunicare - quegli stati turbolenti e sensibili del proprio animo. « Ma non importa. Io ci sono e.. verrò con te ok? Non ti lascio da solo. » Annuì, tirando su col naso. « Solo che.. non posso venire sulla tua responsabilità. Ci sono delle gerarchie. Ed io voglio essere assegnata dal mio diretto superiore. Dovrò chiedere a Gillian.. Farò presto. Adesso so cosa devo fare. Fidarsi fa parte del pacchetto, giusto? » Rimase in silenzio per un breve istante prima di annuire ancora. « Ok. » « Se non vuoi farmi compagnia o aspettarmi qui, vediamoci direttamente ai cancelli alle tre. Semmai dovessi fare tardi e non riuscissi ad aspettarmi.. troverò un altro modo per raggiungerti. Promettimi solo che a prescindere da tutto resterai in contatto, almeno qualche volta. » « Non posso fare altrimenti. Devo tenerlo aperto. Devo comunicare con gli altri qui. » Non ho alcuna scelta su questo. Io volevo solo tenere per me ciò che non era necessario a nessuno sapere. E guarda come è andata. Adesso tutto il branco sa. Un'altra ondata di vergogna lo colpì violentemente alla solo idea di dover nuovamente guardare in faccia le persone a cui aveva sbraitato contro poco prima: gente che sapeva esattamente come si sentisse e aveva visto ogni cosa. Fosse stato per lui, avrebbe voluto non vederli mai più in seguito a quanto accaduto. « Va meglio? » Come rispondere a quella domanda? Poteva davvero dire che stesse meglio? No, non poteva, perché non era così. Ma se possibile, si sentiva ancora peggio all'idea di rispondere negativamente, dandole l'impressione che ogni suo sforzo di aiutarlo fosse stato vano. Non voleva mortificarla, ma non voleva neanche mentirle. È per questo che evito queste situazioni. Perché non aiutano nessuno - né me, né tantomeno gli altri. Finiscono solo per diventare un eterno circolo di frustrazione, vergogna e dolore. E allora non si fa prima a tenersi tutto per sé? Perché devo condividere qualcosa che non porta a nulla di buono? Dunque preferì non rispondere, limitandosi semplicemente ad abbracciarla in silenzio prima di distanziarsi delicatamente. Tirò su col naso, evitando accuratamente il suo sguardo mentre riprendeva parola. « Vai da Gillian. Se riusciamo a partire tutti insieme è più semplice. » Fece una pausa, prendendosi il tempo di mandar giù il rospo amaro che sentiva ancora in gola. Si volse quindi a guardarla, annuendo appena mentre stendeva un piccolo sorriso. « Non preoccuparti per me. Ho solo bisogno di un attimo per.. » Per fare cosa? « ..per riprendermi. »
    [..] Il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva dietro le spalle di Mia lo lasciò per qualche istante come in catalessi. Fermo, in piedi nel bel mezzo del soggiorno. Fissava assente un punto a caso dell'ingresso senza davvero guardarlo, immerso nello strascico di quanto appena avvenuto. Non stava bene. Per quanto ci provasse, non riusciva a sentirsi a posto con quello scoppio emotivo. Rimase immobile per diversi minuti senza far nulla. E poi, come posseduto da una presenza esterna, si volse verso il bagno di servizio, raggiungendolo a passi tranquilli per farsi strada verso il lavandino. Anche lì, si fermò per diversi minuti senza far nulla. Tirò quindi un sospiro, sfilandosi la maglietta dal capo e piegandola con accuratezza per poggiarla sul coperchio chiuso della lavatrice. A quel punto, come se stesse compiendo le più ordinarie delle azioni, estrasse uno dei kunai dalla cintura e fece lo stesso con la bacchetta. La seconda, per il momento, venne appoggiata accanto alla maglietta. Prese un respiro profondo, puntando lo sguardo nel proprio riflesso mentre avvicinava il lato della lama al proprio fianco. « Lo sai come funziona. » disse, rivolto a quel riflesso di se stesso che gli appariva quasi come un estraneo. Strinse i denti quando la pressione della lama sulla sua pelle andò a creare un taglio sullo strato più superficiale, facendo sgorgare rivoli di sangue dalla sottile ferita. Allontanò quindi il kunai, ripulendolo velocemente con uno straccio e poggiandolo accanto alla maglietta. Prese la bacchetta, la puntò alla ferita, e la fece rimarginare con un semplice incantesimo curativo. Il tutto solo per ripetere il procedimento d'accapo con gesti meccanici e automatici, andando di volta in volta più in profondità. Fin quando non ti entrerà in quella cazzo di testa che sei un patetico fallito. Parole non sue, quelle, che tuttavia andarono a riecheggiargli nella testa come se lo fossero, come se le avesse sentite così tante volte da averle ormai fatte proprie.

     
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