I don't give a fuck about you anyways

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    Pur con tutti i problemi che Raiden aveva in quel peculiare momento della sua vita, abbandonarsi alla sola occupazione di meditare vendetta e attuare piani da giustiziere non era contemplabile. Per mesi e mesi aveva subito un trattamento condiscendente e a tratti persino umiliante da parte del corpo auror; aveva faticato come un mulo per farsi riconoscere anche solo il più piccolo merito, e aveva dovuto lottare puntualmente contro una burocrazia assurda e ingarbugliata che non sembrava volerlo aiutare in alcun modo, ma addirittura rendergli la vita più difficile. Il tutto per arrivare finalmente ad ottenere un buon lavoro – che non era comunque quello che cercava – solo ed esclusivamente perché non potevano negarglielo e perché era stato abbastanza fortunato da rientrare nelle norme di assunzione che sarebbero scadute nel giro di un anno. Ma quando sei dentro ci sei e basta. Non possono schiodarti. E io di certo non sono il tipo che gli presta il fianco per farlo. Così Raiden aveva ottenuto la propria docenza, convinto che la vita non potesse andargli meglio di così in circostanze come la propria, solo per poi vedersi togliere tutto il resto: la famiglia, i compagni, il senso di appartenenza e le proprie stesse radici. Il classico caso del lenzuolo che lascia scoperti i piedi; più il giapponese si impegnava a sistemare un lato della propria vita, più i restanti sfuggivano dal suo controllo. Una continua lotta, una continua salita. Era come se non riuscisse mai ad aver pace – a sedersi in poltrona per un attimo, tirando un sospiro di sollievo e dicendosi “sì, ora posso rilassarmi”. Persino in quel momento, per quanto distrutto fosse, non poteva permettersi di lasciarsi andare; intanto perché doveva far sì che quelle morti venissero vendicate e l’ordine ristabilito, ma anche perché non poteva ignorare tutto il resto. Aveva comunque firmato un contratto, si era preso un impegno – e si sa, il giovane Yagami tendeva ad essere terribilmente fiscale quando si trattava di rispettare gli impegni presi e la parola data.
    Giunti ormai agli sgoccioli di Luglio, Raiden sentiva avvicinarsi sempre di più quello che sarebbe stato il momento più impegnativo del proprio lavoro: l’inizio delle lezioni. Sapeva che la propria giovane età gli avrebbe richiesto di impegnarsi il doppio per ottenere il rispetto di studenti che non erano poi tanto più piccoli di lui; non che fosse un gran problema: il giovane Yagami proveniva da un tipo di educazione di stampo militare. Sapeva essere rigido e severo senza bisogno di sbraitare o fare la voce grossa. Un talento naturale, il suo, che si rispecchiava nel portamento tenuto e nella forma mentis che lo aveva portato a scalare velocemente i gradi dell’esercito fino a diventare Sottotenente in giovane età. Era conscio, tuttavia, di quanto importante fosse la prima impressione e il modo in cui ci si presentava in classe. Ovvero non come alcune delle cariatidi che doveva suo malgrado chiamare colleghi. Tipo il professore di Storia delle Arte Oscure, un vecchio rimbambito che si ostinava ad atteggiarsi da giovane, scegliendosi puntualmente assistenti di sesso femminile dall’aspetto non dissimile a quello di modelle da catalogo di costumi da bagno. Ragazze, quelle, con cui Raiden aveva avuto il piacere di chiacchierare diverse volte, scoprendo quanto brillanti e valide fossero, ma anche quanto viscido e degradante fosse il trattamento a loro riservato dal professore, che le teneva con sé solo a mo’ di belle statuine. Però quella merda viene presa comunque sul serio per via di quei quattro peli bianchi che ha in testa. Come sarebbe andata per lui, invece? Di ciò non poteva avere certa risposta fin quando non avrebbe effettivamente varcato la soglia dell'aula universitaria, ma il suo intuito gli diceva che non sarebbe stato altrettanto facile. E poi questa gente non ha disciplina a prescindere. Rispondono a tono alle figure di autorità, in classe si comportano come se fossero a casa propria, e non hanno alcun rispetto per gli spazi comuni, che imbrattano e trattano a mo' di discarica personale, credendo che i collaboratori scolastici e gli elfi domestici siano le loro colf. Un atteggiamento, quello, che lo aveva sorpreso non poco, arrivando a lui come un vero e proprio shock culturale durante i primi mesi di permanenza in Inghilterra; aveva potuto notare con i propri stessi occhi come molte persone fossero convinte del fatto che la sola esistenza di un lavoratore dedicato alle pulizie li autorizzasse a lasciarsi dietro la propria spazzatura. Inutile dirlo: l'idea di avere a che fare con gente di quello stampo lo innervosiva non poco. Quanto meno non dovrò preoccuparmi di stargli troppo dietro. Alla fine dei conti, si tratta pur sempre dell'università: non sono obbligati a venire a lezione e dare gli esami.. è solo nel loro interesse farlo. Di certo non perderò il sonno dietro ai cafoni e agli scansafatiche.
    Con quei pensieri a frullargli nella testa, Raiden aveva deciso di dedicare il pomeriggio alle commissioni a Diagon Alley. Nello specifico: depositare al Ghirigoro la lista dei libri di testo scelti per il proprio corso, e passare da Madama McClan per acquistare tre completi formali. La prima tappa, in ordine di priorità, fu ovviamente il Ghirigoro, dove il giovane Yagami ebbe già un primo assaggio di ciò che lo avrebbe attesto. « Professor Yagami? » chiese la commessa con tono dubbioso, sollevando lo sguardo dal foglio che lui le aveva consegnato per squadrarlo con un certo scetticismo da sopra l'orlo delle lenti. « Eh già. » fu la risposta del moro, che spinse il mento all'insù e sciabolò le sopracciglia, tamburellando le dita sul bancone. Reazione alla quale la donna fece schioccare la lingua contro il palato, inarcando a propria volta un sopracciglio. « Non è un po' troppo giovane per essere professore? » E lei non è un po' troppo vecchia per indossare una maglia con scritto juicy? Tuttavia stirò un sorriso gentile. « Vorrà dire che le mie qualifiche sono davvero sorprendenti, se hanno superato l'esperienza di altri. » Quindi stai un po' al tuo posto Karen - eh?! In tutta risposta, la donna strinse le labbra come una gallina, scrollando le spalle e facendo fluttuare il foglio fino ad appendersi ad una bacheca alle sue spalle. « Bah.. sarà. Comunque è un po' prestino per far uscire la lista dei libri del corso. Gli altri professori tendono a consegnarla verso i primi di Settembre. » « Preferirei dare il tempo ai miei studenti di consultare il materiale qualora volessero avvantaggiarsi, o anche solo di ordinarlo per tempo in modo da averlo per l'inizio del corso. È solo giusto che vengano messi al corrente del programma con il dovuto anticipo. » Fece una pausa, prendendo un lungo respiro. « Quindi le sarei molto grato se inoltrasse l'ordine il prima possibile. » « Mh sì, vabbè. Altro? » Molto gentile. « No. Tutto qui. Le auguro una buona serata. » « Ciao. » E già da questa interazione, breve ma intensa, il pessimo cipiglio di Raiden non fece che declinare ulteriormente, portandolo ad uscirsene dalla libreria con la fronte aggrottata, lo sguardo assassino e il passo di chi era pronto a fare una strage. Che poi lo fosse davvero, ma per altri motivi e in altri luoghi, questo era un altro conto. « Kono kuso no kuni wa shitsureina kirainahito de ippaidesu! »
    Da Madama McClan non cominciò affatto meglio. Raiden era un tipo piuttosto autonomo negli acquisti: sapeva cosa volesse comprare, sapeva cosa gli stesse bene addosso e conosceva il buon gusto. Un buon gusto che evidentemente mancava alla vecchia signora McClan, la quale gli si fece vicino, parlando a voce alta, con cadenza lenta e gesticolando ampiamente come se il suo interlocutore fosse sordo o stupido. « TU - CERCHI - ABITI - E - MANTELLI - ORIENTALI? - NOI - NON - VENDIAMO - ABITI - E - MANTELLI - ORIENTALI. » La pazienza di Raiden sembrò vacillare con forza a quelle parole, che gli imposero di inspirare profondamente, mordendosi la lingua per trattenersi dal rispondere a tono all'anziana signora. « GIACCHE E PANTALONI LI VENDETE? GIACCHE. E. PA-NTA-LO-NI. » Evidentemente il suo tentativo di calmarsi non andò come previsto, dato che si ritrovò a scandire quelle parole con un tono un po' più alto del dovuto. Inutile dire che la donna arretrò con aria sconvolta, fissandolo come se le avesse appena lanciato il malocchio sul negozio. « Questi stranieri. » borbottò a mezza bocca, scuotendo il capo e girando i tacchi per tornarsene al bancone a confabulare con un'altra commessa. Fu in quel momento che, tornato con un sospiro a dare un'occhiata agli abiti esposti, il suo sguardo incrociò quello di un paio di occhi inconfondibili dall'altro lato del negozio, quella molto più vasta adibita all'abbigliamento femminile. « Non li vendono abiti e mantelli orientali, se te lo stavi chiedendo. » commentò sarcasticamente in direzione della sin eater. E detto ciò, tornò alle proprie mansioni come se nulla fosse, decidendo di far finta di nulla quanto meno per il tempo necessario a selezionare alcuni dei completi che più erano nei suoi gusti. Nel giro di qualche minuti, si ritrovò appesi al braccio diversi abiti piuttosto simili tra loro se non per tessuto e colore. Si avviò quindi a passo spedito verso lo specchio più vicino, accostandoseli al corpo uno ad uno in modo da capire se effettivamente il taglio e la sfumatura potessero piacergli. Selezionarli fu piuttosto facile finché non arrivò ai due abiti grigi. Aggrottò la fronte, ponendosene uno di fronte, poi l'altro, poi di nuovo il primo e poi ancora il secondo. Lanciò uno sguardo alla figura riflessa di Fujiko, poco distante alle sue spalle. « Gessato o tinta unita? » borbottò prima di voltarsi verso di lei, mostrandole le due opzioni mentre si ostinava a tenere lo sguardo seccato puntato altrove. Chissà se almeno per consigliare un abito ci posso contare su di te. Come sin eater non è che sia stata tanto presente, sai. Che sulla questione avesse il dente avvelenato, non gliene avrebbe di certo fatto mistero. Fujiko se l'era data a gambe dal Giappone ben prima che il solo pensiero solcasse la mente di Raiden. Ciò significava solo una cosa: lei sapeva già da prima di lui quanto corrotto quel governo - doveva necessariamente averlo capito una volta passato il confine. Eppure non aveva fatto nulla per contattarlo. Neanche con tutto ciò che era accaduto, Fujiko si era fatta viva. Ci avrai almeno provato a trovarmi? Oppure eri troppo presa a fare la it girl da qualche parte?


     
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    L'Inghilterra non le è mai davvero piaciuta. Sarà perché lì c'è finita per un crudele scherzo del destino, un po' perché c'è finita per obbligo morale, ancora una volta, nei confronti dei genitori. Già, quel tarlo che l'accompagna da quando è piccola, il portare loro l'acqua con le orecchie, cercando di compiacerli, nel tempo, annullando fin troppe volte se stessa e le proprie volontà. Ed è lì perché Goro Yamazaki ha voluto così, per allontanarla dalle acque decisamente torbide che sono andate ristagnandosi in Giappone. E lì lei c'è rimasta un anno, facendo tutto il contrario di ciò che suo padre avrebbe voluto. Una mossa d'autodeterminazione, la sua, che la fa sentire meglio e peggio allo stesso tempo. Perché se da una parte è libera, dall'altra si sente in colpa. Se da una parte il gusto di essere ciò che è sempre stata senza la possibilità di esserlo davvero è dolce sulla sua lingua, dall'altra diventa ferroso e velenoso se pensa a che dispiacere darebbe ai suoi genitori se venissero a sapere. Se sapessero che ammasso di spazzatura è la loro figlia prediletta. Un pensiero dannoso, che la fa rimuginare da anni, a tal punto da arrivare a pensare, una volta scesa dall'aereo, che forse forse non sarebbe poi questa cattiva idea fare un cambio di facoltà, di prendere Magisprudenza e farla finita con tutte queste bugie. Poi però si ricorda di quella goccia che ha fatto traboccare il vaso del suo senso del dovere, quel piccolo insignificante neo che le ha fatto rivalutare il tutto. Se pensa veramente che mi sposerò con qualcuno che ha deciso lui per me, si sbaglia di grosso. Ho fatto di tutto ma anche questo no. Ed è sicuramente questo particolare che ha creato una frattura netta nell'anima della giovane Fujiko, che continua ad oscillare sopra questa altalena costante di emancipazione e conseguente frustrazione. La carota e il bastone, il miele e la frusta. Al momento, mentre cammina spedita per le viuzze acciottolate di Diagon Alley, con un passo tanto leggero da non essere quasi udito, è in piena fase euforica. E' tornata dall'America, la patria della sua totale espressione di sé, a trecentosessanta gradi. Si sente stranamente potente, a posto con se stessa, decisa a prendersi la rivincita per una vita vissuta sempre a metà. Vorrebbe esporre il proprio dito medio al mondo. Kuso kurae! Prendi su e porta a casa, tiè. Sente che non può capitarle niente di male, forse perché il suo buonumore è alimentato, nell'immediato, dalla decisione di comprarsi un nuovo completo giacca e pantaloni per presentarsi al Quartier Generale per l'inizio del terzo anno. « Ultime notizie: si avvicina il processo di Byron Cooper? Le rappresaglie di Inverness sembrano aver velocizzato le indagini a discapito dell'ex professore. » La voce dello strillone all'angolo - di chissà quale testata - le fa diminuire il passo, deglutendo appena. Ha ovviamente seguito oltreoceano l'andamento del processo del professor Cooper, uno dei suoi preferiti del corso. Processo finale che, ad oggi, non ha ancora vista la sua data fissata. Le rappresaglie di Inverness, poi. Seppur immersa negli ultimi esami, ha sentito anche certe notizie circolare nel mondo magico americano. Notizie singolari che nelle ultime ore, da quando ha rimesso piede a Londra, la giapponese ha deciso deliberatamente di ignorare per il momento. Posso godermi quelle misere briciole di felicità che mi rimangono? Posso? Grazie. Convinta che quei giorni può prenderseli liberi prima di rientrare nella routine dei casini di Inverness. Tanto saranno lì anche domani, figurati. Così riprende a camminare, a passo sostenuto, più tranquilla. La vena più frizzantina e frivola di sé viene stuzzicata dalla vetrina di Madama McClan e decide così di entrarvi. E' un negozio piuttosto illuminato e rinfrescato, non ricorda di esserci mai stata nel suo unico anno a Londra ma gli occhi gialli della giapponese vengono immediatamente attirati dal reparto che sprizza evidentemente gioia da ogni suo poro: quello dei vestiti neri e di ogni declinazione scura di altri colori. Comincia a tastare i tessuti, riconoscendone le fattezze di un paio, storcendo il naso per qualcun altro decisamente troppo ruvido al tatto. Alla fine si sofferma su un completo di un viola decisamente scuro, sganciandolo dal proprio appendiabiti. E che non si dica che non mi vesto colorata. Pensa tra sé e sé, trovandosi talmente divertente da accennare un sorriso divertito mentre si guarda intorno alla ricerca della proprietaria o di qualsiasi altro commesso. Ma gli occhi che incontra, dopo qualche istante di peregrinazione, sono inaspettatamente altri. La Yamazaki si ritrova a sgranare i propri, sentendosi improvvisamente intrappola. Per un istante avverte la pulsione di trasformarsi e scappare via più velocemente possibile. Ma potrei comunque scappare via con le mie gambe, tanto non gliene frega niente di me, figuriamoci, non si è nemmeno scomodato a scrivermi per dirmi che sarebbe venuto qui. Alla fine rimane impalata, con il vestito stretto tra le dita affusolate e gli occhi fissi. « Non li vendono abiti e mantelli orientali, se te lo stavi chiedendo. » Dopo quasi due anni Raiden le rivolge parola per renderla partecipe del nulla più totale e inutile. Ah, ah, che simpatico. Ancora una volta con quel suo atteggiamento menefreghista con il quale viene liquidata dopo appena un'occhiata veloce. Ma chi ti credi di essere tu? Ma come ti permetti di trattarmi così? Ma chi sei? « Buono a sapersi. » Commenta allora, stringendosi nelle spalle mentre finalmente i suoi muscoli sembrano scongelarsi. Perché rivedere Raiden riporta a galla alcuni dei ricordi più spaventosi che si è lasciata alle spalle. Nero. I suoi occhi la disturbano, la sua sufficienza le fa venir voglia di strapparglieli via dalle orbite. Nauseabondo. Lei gli risponde e lui, semplicemente, è già passato oltre, tornando ai suoi acquisti, lasciandole capire che, ancora una volta, non gli interessa ciò che lei a da dire. Viscoso. Stringe un pugno lungo il fianco, sentendo il bisogno di urlargli in faccia. In quel preciso istante. Sapore di morte. Stringe i denti, Fujiko, mentre gli dà le spalle, pronta ad uscire da quel posto per allontanarsi da lui e da tutto ciò che la sua presenza in Inghilterra comporta. Forse dovrei riaccendere il cellulare e chiamare casa. Pensa che sia successo effettivamente qualcosa se lui è lì. Hiroshi invece? Si morde il labbro mentre rimette a posto il completo, sentendosi in colpa al solo pensiero di lasciarlo a zonzo per il negozio. Ed Eriko invece? Non si accorge della presenza della
    proprietaria prima di andarle a sbattere contro. « Oh ma che è oggi? BUONASERA - NON VENDI- » « Mi faccia il piacere, parlo perfettamente la sua lingua. Grazie tante. » Sbotta, indispettita, con il buonumore che va a farsi friggere. E ti pareva se non era colpa di quel coglione di Yagami. La donna sgrana gli occhi, evidentemente presa alla sprovvista. « Ma io veramente..» « Lei, veramente, ha appena perso una cliente. Arrivederci. » « Gessato o tinta unita? » Eh? Con la coda dell'occhio scorge Raiden alle sue spalle, che fa tutto il tranquillo davanti allo specchio, con i suoi due completi da signorino. Quando mai ti sei vestito? Devi andare ad un funerale? Chi è morto? Sente borbottare qualcosa alle sue spalle, immaginando che la signora anziana si sia appena congedata. Troppe emozioni forti dall'oriente oggi. Prende un gran respiro, Fujiko, nel fissare il riflesso del moro allo specchio. "Ti stanno di merda entrambi", vorrebbe dirgli. « A meno che tu non voglia sembrare il costume da gangster per Halloween -» risponde arricciando le labbra «- il tinta unita. » Finge indifferenza a sua volta, con un sopracciglio inarcato mentre gira infine i tacchi per guardarlo meglio. « Prenderei due o tre tonalità più scure. Questo grigiolino ti fa domandare se c'è bisogno del coroner per capire da quante ore ci hai lasciati.» Sorride, angelica, e in un attimo ha la percezione di essere tornata a quei giorni di cammino, asfissianti, stancanti e piene di frecciatine da entrambe le parti. Si avvia verso un completo individuato alle spalle di lui, appeso elegantemente con la sua stampella d'ottone. « Non voglio essere io a dare il triste annuncio. » E dicendo ciò, gli sfila di fianco, poggiandogli addosso il completo sempre grigio, ma più scuro. Bingo! Come faccio ad avere sempre ragione quando si tratta di vestiti? Fissa Raiden attraverso il riflesso, sfidandolo quasi a darle torto con aria eloquente. « Ovviamente puoi sempre tornare sui tuoi passi con il grigiolino sbiadito, lungi da me imporre qualcosa al sottotenente Yagami. » Il sorriso tremola, lasciando che l'espressione diventi neutra nel momento esatto in cui adocchia una poltroncina sulla quale si siede. « Il camerino è proprio lì! » Gli indica la tenda nera di fronte a sé, accavallando le gambe, fermamente convinta che, se proprio ha deciso di voler attaccare bottone in questo modo, allora lo accompagnerà fino in fondo all'acquisto. « Da quand'è che ti vesti così? » Domanda poi, un punto interrogativo che sembra essere caduto lì per caso, con naturalezza. Falso. « L'occidente ha cambiato pure te. » Questa volta la voce non si arrotonda sul finale, a sottintendere una domanda. No, è una constatazione dei fatti, quasi a volergli lanciare una briciola del cambiamento che in lei è avvenuto. Chissà, magari sopporteresti meglio la mia presenza. « Oppure c'è qualche occasione speciale in vista? » Accenna un sorriso, stringendosi nelle spalle a dissimulare l'interesse che la domanda porta con sé. « Public relation. » Sai com'è..
     
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    Un mese di tempo. Un mese solo. Ogni singolo giorno era stato utilizzato per quell'estenuante caccia all'uomo piena di vicoli ciechi. Quattro menti non sembravano sufficienti a venirne a capo, così si era dovuto reclutare esperti tra le file nemiche: talpe che avrebbero fatto loro da occhi e orecchie nei luoghi di raduno rivali, comunicando alla base ogni informazione ottenuta - sì, anche con metodi poco ortodossi, se necessario. Un'operazione sensibile, quella, che poteva solo essere svolta nella più totale segretezza. Il mistero era quanto mai contorto: chi aveva lasciato la scatola di honmei-choko sul banco di Raiden il giorno di San Valentino? Già, non degli insulsi giri-choko, e nemmeno dei tomo-choko di cortesia, ma dei veri e propri honmei-choko anonimi. Era stata scaltra la ragazza: non si era lasciata dietro tracce né testimoni, tanto che nemmeno i sofisticatissimi incantesimi di localizzazione conosciuti da ragazzi del sesto anno come loro erano riusciti a trovarla. La volpe stava sempre quattro passi avanti. Ma che dico quattro? Dieci! La cosa più paradossale, era che quella non era neanche l'unica scatola che Raiden avesse ricevuto, ma a renderla così speciale era proprio la sua anonimità. Tutte le altre gli erano state consegnate di persona, e Raiden, da bravo sedicenne fesso quale era, era fermamente convinto di averle ricevute per amicizia. Un'ammiratrice segreta, però, era qualcosa che nemmeno lui poteva ignorare del tutto. « Sentite ragazzi. Il white day è domani. Non abbiamo trovato la volpe. Lasciamo perdere e basta. Sarà stato sicuramente uno scherzo. » borbottò un po' imbronciato, steso sul letto della stanza mentre i compagni cercavano ancora di venire a capo di quel mistero. « E se fosse un ragazzo? Cioè, spiegherebbe la segretezza. » Raiden sbarrò gli occhi, lanciando uno sguardo di panico ai compagni. « Oddio pensa se è uno della squadra di Quidditch! Potrebbe essere Haruto. Mi ha sempre dato delle vibes strane. Oddio.. ma ci pensi? Cioè, ti avrebbe visto il cazzo. » In tutta risposta, Raiden si sfilò il cuscino da dietro la nuca, tirandolo dritto in faccia a Hinata. « Eddai, che schifo! » Ragazzi giovani e fragili, che ben poco avevano capito riguardo come girasse il mondo, e che sentivano il costante bisogno di ricevere l'approvazione del branco. Mostrarsi schifati da una simile possibilità sembrava quasi un obbligo sociale a cui adempiere necessariamente. « No, è di sicuro una ragazza. Avete visto la calligrafia del biglietto? E la cura del pacchetto? Si vede che è una femmina. » Ecco Hiro, diglielo un po' tu per piacere. « Già, poi erano pure buoni. I ragazzi non sanno cucinare così. » « Vabbè, magari li ha fatti preparare alla madre. » « Seh vabbè. Vallo a spiegare a tua madre che vuoi fare i cioccolatini per un ragazzo. » « Ma poi questa cosa che i ragazzi non sanno cucinare da dove viene fuori, scusate? Gli chef più famosi sono uomini. » Stereotipi come se piovessero in quel di Mahoutokoro, ma il discorso, per le loro teste immature, non faceva alcuna piega. Tuttavia, a mettere fine a quel battibecco, fu Akira, il più grande del gruppo. Nel sentire tutte quelle baggianate, il ragazzo diede una manata sulla scrivania per riportare tutti al silenzio, aspettando di ottenerlo prima di alzarsi in piedi con una certa solennità e piazzarsi di fronte a Raiden. « Senti Raiden, sto cazzo di white day è domani. Io la mia idea me la sono fatta. Secondo me quei cioccolatini te li ha mandati Yamazaki-san. » Calò il silenzio, di quelli tombali. Che Raiden avesse una cotta per Fujiko - lui e mezza scuola, a dirla tutta - era abbastanza chiaro dalla maniera in cui la evitava nemmeno fosse un'untrice di peste bubbonica. Il classico segreto di Pulcinella: tutti nel gruppo lo sapevano, ma nessuno ne parlava. E poi, era pur sempre Fujiko Yamazaki. Non fu dunque un caso se dopo pochi istanti, quasi tutti i presenti in stanza scoppiarono a ridere. « Seh vabbè, più in alto. Per me glieli ha mandati Angelina Jolie. » « Oh ma la volete smettere di fare i deficienti? È un'ipotesi, ma sono serio. Pensateci: Raiden è a tanto così dalla tunica d'oro, gioca a Quidditch, ha un sacco di amici, tutti gli vogliono bene e se non bastasse ha ricevuto pure un sacco di scatole di cioccolatini. » « Vabbè per gentilezza, dai. » « Vaffanculo, stai zitto. So' gentili solo con te dentro sta cazzo di scuola. » Si ammutolì, scegliendo di lasciar parlare il compagno, sebbene credesse poco al suo filo di ragionamento. « Yamazaki-san se la tira, quindi già di base è difficile che mandi degli honmei-choko a qualcuno. A Raiden soprattutto, dato che non si trova nel giro dei fighetti. Quindi ha senso che glieli faccia trovare anonimamente. E poi solo una brava a scuola può aver coperto così le sue tracce - e lei lo è. Quindi fila. Ergo: domani tu vai da lei a cazzo duro, le ricambi la cortesia e le chiedi di uscire. » Ma neanche se minacci di uccidermi tutta la famiglia, guarda. Se di base il panico lo avrebbe assalito alla sola idea di fare una cosa del genere con una ragazza qualsiasi, con Fujiko Yamazaki.. beh, si sarebbe letteralmente cagato in mano. E infatti scosse subito il capo in un movimento nervoso, mettendosi a sedere sul letto con le spalle ben dritte sull'attenti. « Tu sei fuori di testa. Col cazzo che lo faccio. Sarebbe una figura di merda epocale. » Già riusciva a sentire le risate di derisione di Fujiko e delle sue amiche: il peggior incubo di qualunque ragazzo, vedersi rifiutati in una maniera così umiliante. « No no, non ci penso nemmeno. Neanche per cortesia. » Senza contare che Ichiro e il padre di lei stanno facendo tutte trattative per accoppiarla con Hiroshi, quindi come minimo mi prenderei un sacco di botte. E non ne vale proprio la pena. In realtà Raiden se le sarebbe pure prese quelle botte se avesse avuto una certezza, ma ogni scusa era buona per alimentare la tipica insicurezza adolescenziale che metteva nel suo cuore il terrore di un rifiuto. Raiden era sicuro in tutto ciò che faceva, tranne quando gli piaceva una ragazza; in quel caso, non aveva la più pallida idea di come comportarsi. Non c'era dunque da stupirsi se all'indomani di quella discussione, il giovane Yagami decise semplicemente di lasciar perdere e ricambiare per pura cortesia gli altri cioccolatini ricevuti, senza tuttavia chiedere a nessuna di uscire. « Allora alla fine ci sei arrivato a scoprire la ragazza misteriosa? » Minakata Misa, che sedeva dietro di lui in classe e con cui erano amici sin da bambini, gli pose quella domanda con un certo nervosismo dopo avergli picchiettato l'indice sulla spalla. In tutta risposta, Raiden si strinse nelle spalle, tirando le labbra in una linea e scuotendo il capo. « Akira è sicuro che si tratti di Yamazaki-san, ma Raiden non ha le palle di rischiare. » Intervenne prontamente uno degli amici, mettendosi in mezzo alla conversazione come se nulla fosse. « Non è vero. Penso solo che sia un'ipotesi stupida. Tutto qui. » « Naah, ti piace ma non hai le palle. » Il piccolo battibecco a colpi di "ti piace" e "no non è vero" tra i due ragazzi si esaurì presto con uno scoppio da parte di Misa, che sbatté il piede in terra con una certa foga. « Certo che sei proprio stupido! Yamazaki-san! Secondo te farebbe una cosa del genere? Ci stanno un sacco di ragazze gentili che potrebbero ipoteticamente averti mandato quei cioccolatini e dopo un mese tu pensi a Yamazaki-san! » A quelle parole, tanto Raiden quanto l'amico strabuzzarono gli occhi interdetti. « Ma infatti io non lo penso. Credo sia stato solo uno scherzo. Cioè.. ci sta, il biglietto era un po' stupido. Tipo quella roba kawaii super cringe. » Fosse stato più intelligente, Raiden non solo avrebbe capito che quei cioccolatini provenivano proprio da Misa, ma si sarebbe pure trattenuto dal dirle quelle parole dritte in faccia, portandola a trincerarsi nel silenzio e aspettare la fine della lezione per scappare in bagno a piangere. E il bello è che pure dopo tutti gli anni passati e l'esperienza accumulata, Raiden ancora non ha la più pallida idea di chi gli abbia mandato quella scatola di honmei-choko. L'unico cambiamento in quel senso arrivò tramite il pentimento. Una volta uscito da Iwo Jima e ritrovatosi una sera a bere coi vecchi compagni di scuola, ammise di essere stato un coglione a non rischiarsela con Fujiko. Cosa poteva capitare di così tanto brutto? Che lei gli dicesse no? Con il senno del poi, dopo gli orrori dell'addestramento e della presa di Mahoutokoro, una simile eventualità appariva come una stupidaggine ai suoi occhi.

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    Non erano passati così tanti anni da quei tempi più semplici e ingenui, eppure erano cambiate così tante cose. In primis il rapporto con Fujiko, colei che aveva scoperto essergli legata a doppio filo dal vincolo che unisce un lycan al proprio sin eater. Una cosa del genere avrebbe dovuto renderli inseparabili, eppure non era andata proprio così: lei se ne era andata e lui, dal canto suo, l'aveva sempre trattata con una certa sufficienza. Il motivo era tanto semplice quanto subconscio: il ruolo che lei ricopriva nei suoi confronti. Sin eater e lycan dovevano comunicare ad un livello profondo, scoprendo gli strati più reconditi e personali dei propri animi, e Raiden questo non lo sapeva fare. Ogni volta che si trattava di parlare di sé in quei termini, il giovane Yagami provava un automatico senso di rifiuto dovuto all'educazione impartitagli: quella secondo la quale i sentimenti sono illogici e irrilevanti, mentre è necessario tenere una distante oggettività con la realtà. Di come ci si sente non si parla: bisogna tenere tutto dentro di sé e farci i conti, attuando una strategia di repressione fin quando tutti quegli intralci alla normale amministrazione non finisco per sparire. In caso contrario risulteresti patetico. Debole. Le angherie subite nel corso degli anni sulla propria stessa pelle erano riuscite a fargli entrare bene in testa quel concetto, tanto che ormai, se pure avesse voluto fare altrimenti, non ne sarebbe stato in grado. Non avrebbe saputo esprimere certe cose, in primis perché non possedeva il vocabolario per dargli voce. Dunque, in quell'ottica, Fujiko altro non era se non un grattacapo in più a cui non aveva idea del perché dovesse essere legato. Lo infastidiva. E più di qualunque altra cosa, lo indispettiva il fatto che gli importasse di lei nonostante avesse voltato le spalle a tutto e tutti. « A meno che tu non voglia sembrare il costume da gangster per Halloween - il tinta unita. Prenderei due o tre tonalità più scure. Questo grigiolino ti fa domandare se c'è bisogno del coroner per capire da quante ore ci hai lasciati. Non voglio essere io a dare il triste annuncio. » Stirò un sorriso affettato, assottigliando leggermente le palpebre. « Se lo dice la it-girl di Mahoutokoro posso solo fidarmi. Con tutti quei giornaletti di moda ti sarai fatta sicuramente una cultura. » Ripose i due completi sul manico argentato di un appendiabiti lì accanto, lasciandosi accostare il completo scelto da Fujiko. Diede un'occhiata veloce allo specchio, scrutando l'abito e la sua colorazione per poi annuire in maniera piuttosto sbrigativa. « Ovviamente puoi sempre tornare sui tuoi passi con il grigiolino sbiadito, lungi da me imporre qualcosa al sottotenente Yagami. » Prese il completo dalla stampella, rigirandoselo sotto gli occhi per analizzarne il tessuto e la fattura nel mentre di risponderle con tono distratto. « Ah quindi mi dai il permesso di contraddirti? Sarebbe la prima volta. Magnanimo da parte tua. » Le lanciò quindi un'occhiata di sbieco, inarcando un sopracciglio con aria sarcastica. « Il camerino è proprio lì! » « Intendi lì dove ci sta scritto camerini? » Sospirò, scuotendo il capo. « Sarei perso senza di te. » Senza aggiungere altro, si infilò quindi dietro la tenda, cominciando a svestirsi velocemente per provarsi addosso l'abito scelto. « Da quand'è che ti vesti così? L'occidente ha cambiato pure te. Oppure c'è qualche occasione speciale in vista? Public relation. » Da quando hai voglia di chiacchierare? Un pensiero che solcò istintivamente la sua testa nell'infilarsi la camicia dentro i pantaloni, tirando su la zip e allacciando il bottone per poi sistemare il tutto adocchiando lo specchio all'interno del camerino. « La gente si veste così quando va al lavoro. » Fece una pausa, inclinando il capo di lato e schioccando la lingua contro il palato. « Beh, la gente seria, quanto meno. » Il che non è proprio scontato, a giudicare da alcuni dei miei colleghi. Passò quindi a infilarsi la giacca, sistemandola per bene prima di uscire dal camerino e piazzarsi di fronte a Fujiko, lanciando al contempo qualche occhiata alle proprie spalle in modo da verificare che anche il retro del completo lo vestisse bene. « Ho preso la cattedra di Strategia al college. E dato che questo lavoro non contempla una divisa, devo comprarmi degli abiti appropriati. » E tre quarti del mio armadio, in questo senso, non può essere definito appropriato. Mosse qualche passo verso l'angolo degli accessori, esaminando le cravatte esposte per prenderne in mano un paio: una blu e una rosso bordò. Girò i tacchi per volgersi in direzione di Fujiko, accostandosi entrambe le cravatte al petto. « Dici che la cravatta sia eccessiva? Adeguato sì, ma neanche troppo infiocchettato, insomma. » Sospirò, ponendosele entrambe sulle spalle così da poter incrociare le braccia al petto e inclinarsi di lato, appoggiandosi con una spalla al muro più prossimo. « Tu e il tuo passaporto diplomatico, invece, come ve la passate? Raccontami un po'. Voglio provare il brivido di sapere come ci si sente a scappare dal Giappone senza essere inseguiti o dati per morti. » Dovrebbe essere una bella vita, quella del privilegio.



     
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    « Se lo dice la it-girl di Mahoutokoro posso solo fidarmi. Con tutti quei giornaletti di moda ti sarai fatta sicuramente una cultura. » I lineamenti del volto della giapponese si irrigidiscono all'istante. Neanche aver scalato la cazzo di montagna sotto Mahoutokoro e combattere al tuo fianco sono serviti a farti capire che non sono più quella Fujiko. Ma vaffanculo va. Si sente irrimediabilmente ferita da quelle parole, ma piega soltanto di lato un angolo delle labbra. « Hai ragione, mi è riuscito sempre bene destreggiarmi tra l'essere la it-girl e la prima della classe. Il multitasking è proprio nelle mie di corde. » Neanche sa perché ha bisogno di continuare ad assecondare quella farsa, sa perfettamente di non essere più quella di un tempo, impensabile il contrario. Iwo Jima ha distrutto tutti i suoi soldati e li ha ricomposti a proprio piacimento. E non c'è stato niente di bello e dorato ad infiltrarsi tra le sue crepe per colmarle, per renderle più preziose. No, niente kintsugi, solo sofferenza e un senso di solitudine sempre più presente al suo fianco. Quello che si porta dietro tutt'ora, in costante bilico tra il voler avere di più e sentire di non meritarselo. Quello stesso precipizio che le fa fare un passo indietro di fronte al menefreghismo che, forse per difesa, aveva dimenticato muovere ogni parola di Raiden Yagami nei suoi confronti. La coglie nel vivo, come quelle notti passate insieme nel cammino alla liberazione della loro scuola. La fa sentire piccola, così come non si sente più di essere da quando ha potuto esplorare di più se stessa, lontana dagli occhi di chi la voleva diversa, a seguire una strada già decisa per lei. Eppure, per quanto si possa sentire inadeguata di fronte ai suoi occhi, preferisce che lui continui a crederlo. Sarebbe inutile anche solo provare ad innescare una conversazione che non finisca in un impuntarsi a chi vuole avere più ragione. E a me non interessa se mi sottovaluta. Che lo faccia. Svalutami pure. Una tattica, quella, che le è sempre tornata utile nel vincere nei combattimenti corpo a corpo, quelli in cui veniva spesso e volentieri data per spacciata per la sua stazza decisamente minuta e magrolina. « Ah quindi mi dai il permesso di contraddirti? Sarebbe la prima volta. Magnanimo da parte tua. » Inarca un sopracciglio, il fantasma di un sorriso passa sulle sue labbra, a lasciar percepire quanto effettivamente sia sorpresa dal ricordo che lui sottopone anche alla sua attenzione. Un'altra vita. « Ma poi hai sempre fatto di testa tua. » Sbagliando, ma sono dettagli. Un minuto buono di battibecco più avanti, lui è dentro il camerino, lei fuori, in attesa. Con una voglia matta di scappare, ma la curiosità che la costringe a rimanere lì, per capire fin dove si spingerà il destino che li ha fatti scontrare in un negozio qualunque, in una maniera così casuale. « La gente si veste così quando va al lavoro. Beh, la gente seria, quanto meno. » La gamba destra sopra quella sinistra, il piede destro che ciondola annoiato mentre le sopracciglia della giapponese quasi si toccano per la sorpresa. E che lavoro fai? Non sapevo che un soldato si vestisse così tanto bene. Pensa per poi accorgersi di quanto possa non essere più così da tempo, un'assunzione che non ha fondamenta lì in Inghilterra. « Ho preso la cattedra di Strategia al college. E dato che questo lavoro non contempla una divisa, devo comprarmi degli abiti appropriati. » Se avesse avuto la lingua tra i denti, Fujiko ne è certa, l'avrebbe tagliata di netto con quel serrare vigoroso della mandibola nell'istante in cui capisce che lui sarà un suo professore. Non può essere vero, è uno scherzo e anche di cattivo gusto. Sono proprio sicura di voler entrare nella Squadra Auror Inglese? No, non lo è decisamente più, non solo perché ha sempre ritenuto di essere una spanna sopra a chiunque dei suoi colleghi - ma anche sopra a qualche professore -, ma perché, se il mandare giù bocconi amari quando si tratta di dover adeguarsi alla didattica occidentale può anche accettarlo, farlo sotto gli occhi di Raiden Yagami non rientra decisamente nei suoi piani. Già me lo immagino quello sguardo di pura sufficienza, sapendo perfettamente che continuo a studiare solo per pura ostinazione, per rivalsa personale. Perché, se da una parte sa perfettamente di aver ottenuto in passato un addestramento e una disciplina lontani anni luce da quelli impartiti dai professori del suo corso, dall'altra l'idea di concludere quel percorso, quello che mai si sarebbe vista a battere ma che ora si sente cucito perfettamente addosso, la fa sentire potente e padrona di se stessa, come mai ha fatto prima in vita sua. Fa qualcosa per sé, nonostante ciò non è minimamente scritto nei piani di suo padre. Sa che il venire a saperlo lo ferirà enormemente, eppure l'inebriante sensazione di libertà la fa sentire leggera e presente a se stessa come non mai. Ora l'unico problema è Yagami. Vorrebbe chiedergli come ha fatto, come è riuscito semplicemente a farsi valere, lui, uno straniero qualunque in terra sconosciuta, a legittimare i propri studi all'interno di un sistema accademico tanto differente. E si smuove nervosamente sulla sedia, cambiando la gamba d'accavallare più volte. « Ah, beh, congratulazioni. Non so perché ma pensavo che avresti cambiato vita..un giorno. » Commenta allora, un po' sul vago, un po' sul per niente vago. Non che la sua sia effettivamente un'affermazione che si vada basando su chissà quali fondamenta solide, ma sì, ha sempre creduto che il fare il soldato fosse caduto tra capo e collo anche su Raiden, così come ha sempre pensato che con quel lavoro lo si ha nelle vene già alla nascita oppure sarà effettivamente difficile capirlo. E parla lei, lei che sotto il torchio di quella disciplina è stata schiacciata, lei che non ha mai tolto una vita e sa di non poterlo fare nemmeno in futuro. Un soldato a metà. Si concentra su altro, tenta di farlo nel fissargli le spalle mentre lui cerca la cravatta giusta da abbinare al completo e gli appare come un completo estraneo. Ma l'ho mai davvero conosciuto? « Dici che la cravatta sia eccessiva? Adeguato sì, ma neanche troppo infiocchettato, insomma. » Osserva i due colori a contrasto con il grigio del completo, inclinando di lato la testa come se da quell'angolazione potesse capire meglio. Alla fine scuote la testa, convinta. « Meno è sempre meglio. E' un luogo da rispettare, è vero, ma non stai andando ad un matrimonio o a un funerale e hai vent'anni, almeno all'apparenza. » Un sorriso sarcastico si dispiega sulle labbra mentre fa per alzarsi per prendere le cravatte e rimetterle al loro posto. Ma lui apre bocca e la fredda lì, sul posto. « Tu e il tuo passaporto diplomatico, invece, come ve la passate? Raccontami un po'. Voglio provare il brivido di sapere come ci si sente a scappare dal Giappone senza essere inseguiti o dati per morti. » La sente tutta, la vena d'accusa che serpeggia nel suo tono di voce. Per quanto voglia apparire tranquillo e rilassato, nell'osservarlo, Fuji avverte quasi tutto l'astio che il suo essere stata spedita via gli ha provocato. Quindi ti sto sul cazzo. Beh, almeno è già qualcosa dalla solita indifferenza. Rimane impassibile, gli occhi gialli che si soffermano sulle tempie di lui, aspettandosi quasi un passo falso da parte sua, che lo tradisca, che le possa rendere più appetibile quella sua accusa, rendendola più palese, come una vena che pulsa visibilmente. Dopo qualche istante, insoddisfatta, rotea gli occhi verso il soffitto e si alza, recuperando la borsa dal pavimento. Se c'è una cosa di cui è sicura Fujiko è che non gli mostrerà il fianco in alcun modo. Non gli permetterà di farla sentire in colpa per un qualcosa che non ha minimamente deciso per sé, né gli racconterà ciò che c'era effettivamente dietro la sua fuga notturna dal Giappone. Di come ho sperato di essere data per morta moltissime volte, sarebbe stato coerente alla morte che avevo dentro. Così si erge di fronte a lui, rimanendo comunque a qualche passo di distanza. « Il passaporto benissimo, ti ringrazia. Ha collezionato anche il timbro americano. Ho lavorato a stretto contatto con gli Auror del MACUSA quest'anno. Mai avrei creduto di dirlo, visto ciò che ci è sempre stato detto sull'America, ma hanno più disciplina di quelli inglesi, più simile alla nostra, forse ti piacerebbero. » Gonfia il petto, con un sorriso quasi accennato, mentre continua ad andare dritta per la propria strada senza accennare minimamente alle imputazioni che le ha rivolto. Con la coda dell'occhio scorge lo scaffale delle cinture. Scivola via, dandogli le spalle giusto qualche istante per poi tornare con una cinta nera, di pelle. L'appoggia nella sedia dove era seduta fino a qualche istante prima e gli lancia un'occhiata. « Mi raccomando le scarpe, niente sneakers. Stesso punto di nero della cintura. » Come se niente fosse, prosegue, passando la tracolla della borsa sulla spalla destra. Poi una veloce occhiata all'orologio per fingere di essere in ritardo. Per andare chissà dove poi non si sa, non avendo stretto nessun legame consistente in terra inglese. « Devo andare. » Decreta poi, rialzando lo sguardo su di lui, con una punta di derisione al suo interno. « Sai, cose diplomatiche, il mio passaporto freme. Beh, in bocca al lupo. » Stringe le labbra in un sorriso nel passargli accanto, poi si ferma, qualche passo avanti a lui verso la porta. « L'astio represso ostruisce i chakra. » Non riesce a non rimanere zitta. « E ti fa venire le rughe, tutto molto da prof in effetti, poco da ragazzo. » Gli lancia un'occhiata da sopra la spalla, richiamando a sé tutto il vecchio verve che non sente più come proprio, ma che rispolvera quasi con piacere per lui. Pensi che sono questo no? Ti accontento. « Giusto un consiglio dalla it girl di Mahoutokoro. »

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    [..] Sono passati mesi e sono passati eventi. Eventi che hanno portato Raiden Yagami ad avere un nome nella storia giapponese. L'eroe di guerra, Raiden Yagami, colui che ha capitanato la rivolta che ha salvato il mondo magico in Giappone. E' quasi un paradosso vederlo a lezione ora, mentre spiega - o tenta di spiegare - ad una classe di rincoglioniti. Lui e il suo rigore, che lo porta ad avere sempre il petto all'infuori e le spalle larghe, anche di fronte ad un ammasso confuso di personalità che chissà per quale motivo si trovano iscritte a quel corso. E' la prima volta, quella, in cui Fujiko ha deciso di presenziare ad una sua lezione. Ha scoperto nel frattempo che uno degli esami sostenuti in America le vale anche in Inghilterra e in sostanza lì, per sua fortuna, non c'entrerebbe nulla. Si dice però che è lì perché ha bisogno di una rispolverata in vista dell'inizio di Strategia II. E' con questo slancio che segue la lezione in religioso silenzio e con un'inappuntabile attenzione. Sguardo vispo, schiena dritta, piuma alla mano, foglio di pergamena con qualche annotazione qua e là, un paio di fogli in più impilati alla sua destra. Rimane serena anche quando un ragazzo, un certo Preston, alza la mano, lasciando immaginare a tutti che stia per fare una domanda. "Alimenta una discussione intelligente, per favore!" pensa la Corvonero mentre lui sfoggia tutta la sua sapienza, ridacchiando fuori un « Yo prof, si rilassi, devo andare solo in bagno! » Rimane semplicemente al suo posto per tutto il tempo, fissandone a volte le spalle, a volte il viso. Lo so che hai saputo di mio padre. Una constatazione vivida, la sua. La vera ragione per cui si trova lì, magari? Figurati se Hiroshi si tiene un cecio in bocca, quando si tratta di te. Perché se in Giappone c'è stata una rivoluzione, ce n'è stata un'altra nella sua vita. Perché dopo averlo rincontrato da Madama McClan, Fujiko ha deciso di riaprire i contatti con i suoi genitori e soprattutto con il braccio destro di Goro Yamazaki, Jin, che ha cercato di riempire i buchi di conoscenza nella mente della ragazza. Dal genocidio dei lycan - a cui ha cercato di pensare il meno possibile di giorno, venendo svegliata di notte dagli incubi che prendevano forma nel volto di Eriko - a quanto era peggiorata la malattia di suo padre e anche la condizione psicologica di sua madre. Ha tentato di trovare un modo di rientrare nel paese, legale o illegale che fosse, ma l'elevato grado di tensione, aveva portato la sicurezza ad alzarsi notevolmente. Nessuno entra, nessuno esce. E così ha lavorato a distanza, con un team di medici che la teneva aggiornata giornalmente sulla situazione di Goro e, che infine, aveva scoperto la vera ragione della sua malattia neurodegenerativa: l'assunzione giornaliera di un silente veleno che, lentamente, si è andato mangiando cellule del corpo dell'uomo. Ed è lì che è entrato in gioco Hiroshi e il suo aiuto dall'interno per mettere al sicuro i suoi, mentre lei trovava un modo veloce per tirare fuori i suoi da quella fogna. Certo, ad aver saputo del colpo di stato, mi sarei mossa diversamente. Un'accusa che sente di poter muovere nei confronti del professore che ora sta congedando l'intera classe. Ti è fregato qualcosa nel sapere di Goro? Ti è fregato qualcosa nel sapere che Hiro sapeva e tu no? Pensa, effettivamente piena - un po' troppo - di aspettative, gli occhi fissi sulla propria pergamena mentre intorno a lei scivolano via tutti. Attende, le orecchie ben attente a percepire qualsiasi rumore e si alza solo quando, dopo aver avvertito giusto qualche passo ancora in aula, ha constatato che sono rimasti praticamente solo loro due. « Ci hanno proprio visto giusto dall'alto, ottima lezione, Yagami-sensei. Azzarderei quasi illuminante. » Accenna un battito di mani nell'avvicinarsi, una volta raccolte tutte le sue cose. « Quando esporrai a tutta la classe l'affascinante strategia dietro la tua recente vittoria? » Un sorriso garbato, mentre si poggia contro il primo banco, le braccia strette ancora ad uno dei libri richiesti per il corso. « Sono sicura che, così facendo, riusciresti a guadagnarti la loro completa attenzione, anche quella di quello dalla vescica incontinente. » E' come se stesse continuando a tastare il terreno, girandovi intorno per poi affondare la lama di tanto in tanto, e di nuovo tornare guardinga ad osservare. Allora? Niente? Indifferenza come sempre? « Hai bisogno di un'assistente? » Alla fine se ne esce così, stupendo persino se stessa. Cosa? Ma che stai facendo Fujiko? « Non so, magari potrebbe tornarti utile avere qualcuno che ti sostituisca. » Prosegue, un angolo delle labbra che tende verso l'alto. « Metti il caso tu debba assentarti per un altro colpo di stato, non lasceresti la classe scoperta. » L'organizzazione prima di tutto signori.
     
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    Il ritorno in Inghilterra non era stato affatto semplice per Raiden. Lasciarsi per una seconda volta alle spalle il proprio paese e la propria gente, questa volta con la differenza di non essere obbligato a farlo, era stato doloroso. Il giovane Yagami non si era mai immaginato una vita fuori dai confini nipponici, eppure eccolo là, a scegliere di propria spontanea volontà quella stessa vita che credeva di non volere. Forse era ancora vero, forse non la voleva, ma c'erano così tante cose a richiedergli di tornare in Inghilterra, che quella scelta pareva ai suoi occhi come scontata. In primis c'era la lealtà nei confronti di Inverness e il debito d'onore che sentiva verso tutti quei cacciatori che lo avevano aiutato a ridare dignità al proprio paese, poi c'era l'impegno preso con l'università, e infine - ma non da meno - c'era la sua volontà di non imporre a Mia un cambiamento tanto drastico. Come se non bastasse, a quell'umore si erano poi aggiunte le nuove regole di Bauldry, e i problemi personali e non sorti con sua moglie. In quel marasma, il lavoro sembrava essere quasi un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sentirsi ancora parte di una normalità, o forse per sentire solo che la sua esistenza avesse ancora un senso. Per chi è abituato alla rigida vita da soldato, d'altronde, non è poi così semplice vestire i panni del civile, specialmente in una terra che non è poi così incline a riconoscere il tuo valore o garantirti la dignità che invece sembra spettare quasi di diritto a chi vi appartiene. Questo lui lo aveva capito sin dal primo giorno in Inghilterra: che lì, per ottenere il minimo, doveva darsi da fare il doppio rispetto agli altri. Ma il giovane Yagami da certe cose non si era mai lasciato spaventare, e di contro c'era pure da dire che per gli standard europei il suo modo di lavorare veniva visto come stacanovista. Già nella prima settimana, Raiden aveva sbattuto fuori dalla classe almeno cinque persone, e da lì pian piano anche i suoi studenti avevano iniziato a capire che la giovane età del professore ben poco si allacciava ad una maggiore flessibilità - anzi, tutt'altro! Ciò, comunque, non rendeva quei ragazzi meno incomprensibili agli occhi del giovane Yagami: persino i migliori avevano poca disciplina e sembravano poco o nulla abituati a studiare sodo in maniera costante. E poi c'era il trigger che si portava dietro sin da quando aveva varcato le soglie di quell'istituzione come studente: lì non usava che i ragazzi, alla fine delle lezioni, pulissero l'aula. Anzi, di solito sembravano fare a gara tra loro a chi sporcava di più. Nell'ottica in cui Raiden era stato educato, l'unica soluzione a quella mancanza che non l'avrebbe fatto dormire la notte era prendersene carico lui stesso; nei panni di studente, spesso era rimasto in classe dopo il termine delle lezioni per pulire il casino lasciato dagli altri - cosa che, inutile dirlo, lo aveva reso particolarmente amabile agli occhi degli addetti alle pulizie. Da professore, tuttavia, sebbene avesse conservato in parte quell'usanza, aveva messo su una serie di regole, una delle quali era proprio: non si sporca, e se sporchi ripulisci. Sulle prime non aveva funzionato granché, ma appena aveva iniziato a individuare persone a caso che temperavano la matita in terra o mettevano le proprie cartacce sotto al banco, aveva anche preso a chiamarle per nome e cognome sul fatto per ricordare loro di riordinare a fine lezione. La cosa aveva ridotto tantissimo il tasso di sporcizia, dato che per la mentalità degli studenti europei - i quali sembravano vedere il pulirsi dietro come un lavoro degradante - era decisamente preferibile non sporcare piuttosto che pulire.
    La lezione del giorno non era andata male. A parte qualche vescica incontinente e un paio di domande stupide, le cose iniziavano a prendere una piega decisamente più decorosa. « Ferguson! La sua bottiglietta d'acqua. Se l'è dimenticata sul banco. » disse, alzando di poco il tono di voce per farsi sentire, mentre nel rimettere le proprie scartoffie a posto notava con la coda dell'occhio il ragazzo che tentava di uscirsene svelto dalla classe. Sollevò lo sguardo sul volto di lui, stendendogli un sorriso dai tratti affettati mentre questo tornava indietro sbuffando per riprendersi la propria bottiglietta mezza vuota. Inutile dire che a quel punto lo studente neanche lo salutò. Ma purtroppo la maleducazione non la puoi estirpare dalla gente quando per almeno diciassette anni sono stati abituati allo schifo. Sospirò, tornando a mettere in ordine il proprio materiale mentre pian piano la classe si svuotava, facendosi sempre più
    silenziosa intorno a lui. Ma non troppo, evidentemente. « Ci hanno proprio visto giusto dall'alto, ottima lezione, Yagami-sensei. Azzarderei quasi illuminante. » Le iridi scure del giovane Yagami si sollevarono per inquadrare il viso di Fujiko, al cui tono spiccatamente ironico rispose inarcando un sopracciglio in silenzio. Pure il battito di mani sarcastico! Fammi capire, mi stai prendendo per il culo perché.. uhm.. sono bravo nel mio lavoro? Perdiamo colpi, vedo. « Quando esporrai a tutta la classe l'affascinante strategia dietro la tua recente vittoria? » Infilò un libro nella borsa, rispondendo con tono laconico come se stesse dicendo la più blanda ovvietà. « Quando arriveranno al livello di pensiero strategico necessario a giocare a Monopoly. » A giudicare dalle teste, potrebbe volerci più di un semestre. « Sono sicura che, così facendo, riusciresti a guadagnarti la loro completa attenzione, anche quella di quello dalla vescica incontinente. » Fatta scattare la chiusura della valigetta, si infilò la tracolla oltre la spalla, scendendo dal podio della cattedra per porsi di fronte alla Yamazaki e fissarla seriamente in volto. « Cosa vuoi, Fujiko? » preferì dopo un sospiro dal tono vagamente scocciato. Perché qualcosa lo vuoi se ti sei presa il disturbo di rivolgere spontaneamente parola al sottoscritto. « Hai bisogno di un'assistente? » Come, prego? Dire che quella domanda lo avesse lasciato di sasso sarebbe un eufemismo. E infatti rimase interdetto, in silenzio, fissandola guardingo come se si aspettasse che da un momento all'altro lei gli spiegasse il senso della battuta appena fatta. Solo una battuta poteva essere, in fin dei conti, se si contava che quella richiesta veniva proprio dalla persona che di norma meno lo assisteva. Eppure Fujiko sembrava seria come la morte sul punto. « Non so, magari potrebbe tornarti utile avere qualcuno che ti sostituisca. Metti il caso tu debba assentarti per un altro colpo di stato, non lasceresti la classe scoperta. » « Fare l'assistente richiede una presenza costante. Lo sai questo, vero? » Le parole uscirono dalle sue labbra più velocemente rispetto ai propri stessi pensieri. In fin dei conti da lei proprio non se la sarebbe una richiesta del genere, e non riusciva a capire quale fosse il tornaconto che la portava a muovergliela. Oppure mi vuoi dire che stamattina ti sei svegliata e hai deciso che condividere ogni santo giorno lo spazio di lavoro con me fosse una strabiliante idea? Non diede tuttavia voce a quelle domande, scuotendo piuttosto il capo e facendo schioccare in seguito la lingua contro il palato. « Comunque ce l'ho già un assistente. E pure bravo. » Fece una pausa, puntando lo sguardo in quello di lei come a volerne leggere intenzioni e reazioni prima di inclinare il capo di lato e aggiungere « Questo non significa che un altro non mi faccia comodo. Ma se sei veramente interessata al posto, in segreteria troverai la documentazione necessaria a far richiesta come tutti gli altri. » Come i comuni mortali, insomma. Fare l'assistente, in fin dei conti, dava un sacco di crediti, oltre che opportunità; ma tutto ciò veniva a fronte di un grosso impegno e di un'enorme responsabilità. Insomma, la cosa faceva gola a tanti, ma non tutti passavano lo scrutinio che avveniva in collegio con gli altri docenti del corso. « Piuttosto sono curioso di sapere da cosa sia scaturito questo improvviso interesse. Dalla lezione illuminante? Oppure altro? Perché sai, mi riesce un po' difficile credere che tu voglia genuinamente fare da assistente proprio a me tra tutti i docenti di questo corso. » Anzi, dopo tutto quanto, avrei creduto che ti saresti tagliata un braccio piuttosto di chiedermi una cosa del genere. E c'erano tante cose che Raiden non capiva. In primis perché, una volta uscita dal paese, non li avesse mai avvertiti del fatto che il potere Giapponese fosse solo una menzogna; poi anche il motivo per cui avesse scelto di non tornare in patria per liberarla dalle stesse persone che avevano tentato di uccidere suo padre. Me lo hai reso piuttosto chiaro - no? - che su di te non devo contare. E allora perché questo, adesso?




     
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    « Quando arriveranno al livello di pensiero strategico necessario a giocare a Monopoly. » Sogghigna nell'udire quelle parole, sentendo che almeno per un istante può non stare sull'attenti, prassi ormai consolidata quando si trova in presenza di Raiden. « E quando arriveranno a capire quello per provare a vincere la fortuna nei dadi di Risiko, cosa li attenderà? » Ha bisogno di riempire il vuoto silenzioso che si forma naturalmente tra di loro, anche se è un argomento tanto sciocco se si mette a confronto con tutto l'intercorso che c'è tra di loro. O forse più quello che non c'è mai stato. « Cosa vuoi, Fujiko? » Già, che cavolo ci faccio io qui? Probabilmente provo a farmi vedere da te. Così lancia l'amo e aspetta che lui reagisca in qualche modo, pronta a qualsiasi possibile eventualità. « Fare l'assistente richiede una presenza costante. Lo sai questo, vero? » C'è una sorta di orgoglio nel suo ergersi improvvisamente, con il petto fuori e il mento alto, gli occhi gialli che lo fissano con serietà. « Lo so perfettamente. » Asserisce in tutta risposta. Per quanto quella richiesta arrivi inaspettata persino a se stessa, non è difficile per lei intuire quale sia il vero significato dietro di essa, qual è la spinta innegabile del suo subconscio. Da quando ha potuto riabbracciare i suoi genitori, da quando ha visto negli occhi di Goro tutta la sofferenza decisamente accresciuta negli ultimi due anni, da quando ha potuto toccare con mano le paure e le debolezze che ingabbiano la mente di sua madre Mali, ha sentito lo spasmodico bisogno di provare a ricostruirsi. Se da una parte percepisce ancora la silente rabbia che serba contro il padre per averla allontanata, dall'altra è anche sollevata che l'abbia fatto perché altrimenti non avrebbe potuto conoscersi davvero e accettarsi - non ancora del tutto, ma abbastanza - per quella che è. Se c'è una cosa però che non ha mai accettato della sé rotta e ricomposta su quella dannata isola è proprio l'incapacità relazionale che ne è conseguita. Così affabile e fiduciosa in passato quanto un involucro pieno di falle e incertezze ora. E Raiden rappresenta da anni una delle sue più grandi insicurezze. Non capisce il legame che il destino li ha chiamati a condividere, non capisce la sua indifferenza e la sua supponenza, arrivate ben prima della rabbia che cova ancora per il suo essersene andata. Semplicemente non capisce. Però. Ora c'è un però. Perché ora avverte quella scintilla che la porta a fare un minimo passetto verso di lui, come a conoscere davvero quel Raiden Yagami che può dire di aver rivalutato, forse perché dopo la sua missione in Giappone lo vede in modo differenze, forse perché pensa che l'offrirsi di fargli da assistente può essere un modo per ringraziarlo per ciò che ha fatto alla loro gente, il suo riconoscimento per la libertà che ha riconsegnato insieme agli altri nelle loro legittime mani. Il suo è un tentativo, che riconosce essere da perfetti suicidi con tutte le recriminazioni che il moro è pronto a muovergli. Gliele legge quasi tutte scritte negli occhi mentre si fronteggiano in silenzio, neanche stessero giocando a "Chi sposta per primo lo sguardo perde".« Comunque ce l'ho già un assistente. E pure bravo. » Annuisce, Fujiko, con la parvenza di un sorriso. Perché che è un ammasso di incertezze è vero, ma che le proprie competenze non rientrano minimamente in quel mucchio indistinto è una verità altrettanto riconosciuta per lei. « Non ne ho il benché minimo dubbio. Solo che non è bravo come me. » "E questo lo sai anche tu" sembrano volergli suggerire i suoi occhi, mentre rimane lì, impalata, con le braccia dietro la schiena, come se si trovasse improvvisamente sotto la lente d'ingrandimento, sotto esame. Forse anche sotto un plotone d'esecuzione. « Questo non significa che un altro non mi faccia comodo. Ma se sei veramente interessata al posto, in segreteria troverai la documentazione necessaria a far richiesta come tutti gli altri. » Il sotto testo, il non detto di quel discorso le arriva forte e chiaro ma decide deliberatamente di ignorarlo. « Lo sono, davvero. » Le uniche parole che escono dalle sue labbra, determinata com'è a non dargli alcun appiglio con il quale poterla attaccare. Decide di rimanere composta, tranquilla e diligente come ci si aspetta che si comporti una cadetta dell'esercito. « Piuttosto sono curioso di sapere da cosa sia scaturito questo improvviso interesse. Dalla lezione illuminante? Oppure altro? Perché sai, mi riesce un po' difficile credere che tu voglia genuinamente fare da assistente proprio a me tra tutti i docenti di questo corso. » Non può di certo biasimare la curiosità che Raiden esprime, sarebbe stato strano il contrario dopotutto. « Ho bisogno di un lavoro. » Sentenzia lapidaria, con una stretta di spalle e una tirata di labbra agli angoli. « E..gli altri docenti di questo corso non sono come te. » L'incertezza di volerlo rendere partecipe di quel pensiero serpeggia evidente nel suo tono di voce, che sembra quasi abbassarsi per qualche istante. Ma nonostante tutto, Fujiko ha sempre rispettato Raiden e le sue capacità, la sua preparazione, il suo senso di dovere, peculiarità che stenta a riconoscere nell'attuale restante corpo docenti del Corso Auror. « E veniamo dallo stesso stampo. » Siamo stati distrutti e ricomposti alla stessa maniera. « Pensavo potesse essere più naturale per me entrare nel tuo programma rispetto a quelli a cui non mi sono ancora abituata del tutto. » E così per lei si conclude quella parentesi di spiegazioni, dovute sì ma fino a quel punto. « Ma se può costituire un problema per te-» l'avermi spesso intorno «- posso far richiesta ad uno degli altri professori del primo anno. » Si trattiene dal fare le sue adorate spallucce noncuranti, tipiche del sarcasmo atto a coprire la sua insicurezza. Sorride però, staccandosi dal banco alle sue spalle per muovere qualche passo verso la porta perché ha intuito cosa la sua testa vorrebbe chiedergli ora e non può farlo guardandolo dritto in faccia. « Hai altre lezioni ora? Mi va un caffè. » Ti va un caffè? Si incammina allora fuori, prestando attenzione a non calpestare mai le righe tra le mattonelle. « Quest'anno il rettore ha deciso
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    di attuare un sacco di cambiamenti ma dei distributori magici ancora neanche l'ombra. »
    Sonda il terreno, buttando tra di loro un'affermazione che ha effettivamente del casuale, conseguenza naturale di quella precedente, ma che potrebbe assumere altri significati alle orecchie di Raiden. Come quello di star alludendo alla questione Inverness, per esempio. La stessa Inverness di cui però non è certa di voler parlare, non per il momento perlomeno. Non si sente ancora pronta a riparlare del passato ed è quello che per lei rappresenta la Città Santa: l'inizio di uno dei suoi incubi. Appena svoltato l'angolo, si ritrovano ad imboccare una rampa di scale. « Mmh quindi Hiroshi arriverà a breve. » Non c'è una sola cosa detta negli ultimi cinque minuti dalla ragazza che non sembri voler semplicemente riempire i buchi della conversazione. Eppure anche qui, Fuji ha un doppio fine al quale pensa e ripensa da quando Mali Yamazaki ha voluto raccontarle com'è stato tragico per lei il tragitto per l'Inghilterra. In mezzo a fiumi di parole e frasi, Fujiko ha captato giusto un nome sul quale si è concentrata, pur non volendo. E in quei minuti di silenzio cerca il modo di girarci intorno, di fargli la domanda sì ma indiretta, mettendo sotto la lente d'ingrandimento ogni possibile parola da usare, sotto quella forma di auto pregiudizio che sperava si fosse scrollata di dosso in America ma che, le pare ormai chiaro, si porterà dietro per sempre. « Mi ha detto che verranno anche tua madre e tua sorella. » Accelera il passo per prendere il passaggio della rampa di scale successiva prima che decida di cambiare direzione. Questo la toglie dall'imbarazzo di fare eventuali accenni al padre di lui. « Come stanno? » Un plurale che, per quanto le interessi sapere genuinamente anche della madre, è usato con un'unica accezione.
     
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