Haters gonna hate

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    Riprendere in mano le sorti della sua stanza nello studentato Corvonero fu un'impresa che le occupò più di metà della giornata. Non era più tornata a Hogwarts sin da quando Inverness era stata attaccata dai Rag'nak. Da una parte aveva sentito il dovere di restare vicina al posto che maggiormente considerava come casa, dall'altra semmai avesse deciso di fare diversamente, sua madre di certo non l'avrebbe presa bene. Giunti tuttavia agli sgoccioli dell'estate, era tempo di tornare alle vecchie abitudini, non solo perché aveva qualche esame arretrato, ma anche e soprattutto perché quei due mesi passati costantemente a contatto con sua madre stavano iniziando a pesarle enormemente. Tornare nello studentato aveva comportato un giro di pulizie straordinarie, un rifornimento di erba allegra e diverse bestemmie dovute al fatto che la tipa a cui aveva chiesto di innaffiare le poche piante che curava ossessivamente, l'aveva appena privata della sua unica gioia quotidiana. Inutile era stato tentare di ricorrere alla magia; le piante erano andate, completamente. Così, quando bussarono alla porta, ormai spazientita, aprì la porta come una furia. La conosceva, quella ragazza; giunta con furore dall'America, era una delle tante lycan che aveva visto in giro per Inverness nell'ultimo mese. La Città Santa era diventata una vera e propria terra multietnica, dove spesso e volentieri riuscire a comprendersi era complicato. Nutriva però una speranza - avrebbe finalmente trovato il suo. L'altra metà. La persona che avrebbe dovuto farla sentire in un certo qual modo utile, rendendo il fardello di essere una sin eater meno logorante. « Sei Valerie vero? » La giovane Harmon la squadrò dalla testa ai piedi. E tu sei quella che è svenuta durante la fiaccolata, rimbambendo quell'altra demente. « Stacey. La mia stanza è quella lì. » Stacey le indicò una porta a poco più in là, stirando un leggero sorriso. Valerie non mostrò poi molto interesse. Trovava il suo accento, dannatamente americano, molto fastidioso. Che poi, Stacey, tutta sta confidenza da quando? « Si ok; io però, avrei un po' da fare. » L'americana sembra decisamente sorpresa. Non deve essere certo il benvenuto migliore; in fondo però, per il comitato del benvenuto non si chiede mai alla persona meno empatica del campus. « Prima di venire qui mi hanno chiesto di cercarti. Sei andata via in fretta e furia. » Indovina perché. « Posso entrare? » Seppur controvoglia, si scosta quanto necessario per dare modo all'americana di entrare, facendola accomodare sulla poltroncina accanto al letto. La questione dei sin eater sta ancora preoccupando molto Inverness; è difficile tenerli d'occhio uno ad uno, motivo per cui, responsabilizzare più persone possibili - sin eater più esperti nello specifico - è la strada migliore. Valerie non è certo l'unica all'interno del campus, ma è sicuramente una di quelle che ha vissuto per più tempo a contatto con la Città Santa, anche in tempi non sospetti, quando questa sua peculiarità non era affatto emersa. « Senti.. senza offesa, capisco questa esigenza, ma non fa per me. » Valerie era una tipa che odiava collaborare, socializzare, entrare in contatto con le persone. Non ne era in grado, né lo gradiva. « Per queste cose ci sono i gran comunicatori. Potter.. Scamander. Niente? Hanno l'agenda troppo piena per occuparsi di queste cose? » Stacey, che chiaramente conosce ben poco le dinamiche interne scaturite in seguito al Lockdown e alla guerra civile di qualche anno prima, quel commento lo afferra solo a metà. Certo, probabilmente pensi che se ti hanno mandato da me, lo hanno fatto con cognizione di causa. La verità è che questa decisione è si strategica, considerato che conosco Hogwarts e il college come le mie tasche, ma è altrettanto poco saggia, considerando che dovrò imbottirmi di chissà cosa per reggere il confronto con un manipolo di rincoglioniti che se la fanno addosso e non vogliono saperne di avere legami con Inverness. « Sono spaventati. Hanno bisogno di un po' di empatia. » Di fronte a quelle parole, dette con così tanta ingenuità, Valerie osserva la sua interlocutrice scoppiando a ridere. « Appunto! » Ma in fondo, la giovane Harmon capiva perfettamente il senso di quella richiesta; al di là della mancanza di empatia, al di là dei propri limiti personali, tutti loro erano ormai chiamati a fare dei sacrifici, superare i propri limiti, darsi da fare. Sopravvivere in questo nuovo assetto non sarà semplice. Non dopo il messaggio che il Credo ha mandato al mondo intero. « Dai, fa' vedere. Chi c'è sulla lista. » Un branco di idioti ovviamente. Da che mondo è mondo, si sa che quando a uno casca una macumba addosso, non deve separarsi. È la regola dei film horror. Se ti separi dal gruppo hai più possibilità di morire, verrai mangiato vivo, il serial killer ti metterà KO. Su quella lista c'era diversi studenti, e anche qualche collegiale. Persone quelle, che Valerie non avrebbe potuto raggiungere in quel momento facilmente. Controvoglia e con l'umore sotto le scarpe, decise quindi di iniziare dalle persone più vicine. Questa almeno la raggiungo facilmente. Come minimo vive pure a Hogsmeade; se tutto va bene, la tengo d'occhio easy senza nemmeno sforzarmi più di tanto. Dopo aver quindi invitato con non troppa gentilezza la giovane americana Stacey a lasciare le sue stanze, Valerie concluse il suo giro di pulizie. Trovò il tempo per passare qualche ora in aula studia, e infine, dopo aver concluso la memorizzazione di un capitolo particolarmente noioso, decise di dirigersi verso il villaggio. Incontrò qualche vecchia conoscenza, fermandosi al Suspiria, per qualche bicchiere, controllando di tanto in tanto l'ora.
    Ai Tre Manici si presentò solo all'orario di chiusura. Intendeva procedere per tentativi, finché non si sarebbe trovata faccia a faccia con Alexandra Cooper. Se non l'avesse cercata su Wiztagram il nome non le avrebbe detto niente. Non di rado, Valerie non faceva caso agli altri, e seppur fosse certa di averla già incrociata sui corridoi di Hogwarts, era piuttosto cerca di non averci mai parlato - non che fossero poi molte le persone con cui la giovane Harmon parlasse; ancora meno erano quelle a cui prestava effettivamente attenzione. Non era una questione di disattenzione o superficialità; semplice disinteresse, piuttosto, e apatia nei confronti della vita. Calpestò infatti con una certa svogliatezza la sigaretta che si era fumata nel tragitto dal Suspiria al pub, sospirando profondamente. E fu proprio mentre stava per entrare che un vecchio il cui alito pungente la portò a storcere il naso, le si rivolse squadrandola dalla testa ai piedi. « Lascia sta' principe'.. stanno chiudendo. Mi ha buttato fuori.. » Valerie sollevò un sopracciglio con fare piuttosto scettico prima di alzare gli occhi al cielo, spingendo la porta di legno con per penetrare nel locale, ignorando di sana pianta gli apprezzamenti decisamente poco graditi del vecchio. Una volta dentro, prese a guardarsi attorno con aria indagatrice, cercando all'interno del locale una qualunque presenza. Dopo qualche istante una figura piuttosto slanciata emerse da quella che immaginava fosse la porta sul retro del locale, portando Valerie a prestare più attenzione. Era proprio lei. In carne ed ossa. Senza dire niente, si diresse verso il bancone, sedendosi su uno degli sgabelli, non prima di aver afferrato quasi sovrappensiero da uno dei tavoli l'edizione di quella mattina della Gazzetta del Profeta. L'aveva già letta; ma un'ulteriore sfogliata non faceva mai male. « Lo so.. siete in chiusura. Mi fermerò solo per un bicchiere. » Il tono di voce piatto mentre lasciava cadere la tracolla a terra, dispiegando il giornale davanti a sé. « Un rum di ribes rosso e poooi.. » Disse scorrendo distrattamente il menu come se non lo conoscesse a memoria. « ..due crostatine al miele e zucca. » Avrebbe masticato con estrema lentezza Valerie. Alungo un paio di monete sul bancone prima ancora che l'ordinazione le venisse consegnata, stirando un leggero sorriso. « Tieni pure il resto. » Spero di ricevere il rimborso spese per questa stronzata. I soldi non mi cascano dal cielo. Ed effettivamente, per avere abbastanza soldi per le sue spese, Valerie faceva spesso i doppi turni al Toyland. Un lavoro tutt'altro che piacevole per una che odiava stare a contatto con le persone, ma che quanto meno le permetteva di non dover chiedere più soldi del dovuto a sua madre. « Gran casino vero? » Asserisce indicandole con apparente distacco l'articolo che riguarda Inverness. Un titolone decisamente divertente: Il colosso economico sommerso della società degli invisibili. Una bella trovata quella di iniziare a screditare un pezzo per volta la società di Inverness. « Conti offshore e tutte cose. » Annuisce a tra se e se, sospirando con un'espressione apparentemente catturata da quanto sta leggendo. « Dicono che i Morgenstern sono peggio della Yakuza. Sempre che non siano la stessa cosa. Con tutto quello che è successo in Giappone ultimamente.. » Eh già. « Un grosso guaio questo trovarsi così vicini alle Highlands. » Continua con lo stesso tono di voce neutro, prima di continuare a sfogliare il giornale. « Secondo te.. Hogsmeade è sicura? Intendo per l'inizio dell'anno scolastico. » Si stringe nelle spalle. « Ho sentito che tante gente è preoccupata. » La tua lealtà dove sta, Alexandra?


     
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    I capelli di Ashley profumavano di shampoo all’albicocca. Era un odore familiare, che sapeva di casa, di quando era piccola e sua madre la pettinava ogni mattina prima di andare a scuola. Lo faceva lei perché Lexie si era dimenticata di farlo troppe volte, presentandosi a colazione con la chioma color carota completamente arruffata. E’ incredibile come due situazioni così diverse fossero collegate dallo stesso stimolo olfattivo. La stanza era pressoché buia poiché Ashley aveva insistito tanto per abbassare le tapparelle in camera da letto. Dopo un primo momento di confusione, Lexie si era ritrovata a pensare che non fosse importante e che, per quel che le interessava, poteva persino chiuderle in tutta la casa. Non era sicuramente andata lì per farsi domande. Pensare era esattamente l’ultima cosa che voleva fare. Ruotò la testa verso destra, piano, quasi temesse che anche il più impercettibile dei movimenti avrebbe potuto svegliare la donna al suo fianco. Non perché le dispiacesse svegliarla. Semplicemente, che continuasse a dormire, era un modo per andarsene senza dover affrontare quella fastidiosa farsa del “Si, è stato carino e dovremmo risentirci”. Si era trovata troppo spesso in quel genere di conversazione ed era disagiante poiché sapevano entrambi che non sarebbe stato così. Stavolta, però, aveva l’impressione che sarebbe stato diverso. Lei ed Ashley si erano conosciute su Wiztagram ed era stata la Cooper a fare il primo passo, chiedendole se uno di quei giorni volevano vedersi per un caffè. Aveva studiato le sue foto in modo minuzioso, come faceva sempre con chi conosceva in quel modo. Scorrendo il suo profilo era arrivata ad una conclusione che inizialmente l’aveva fatta titubare: a primo impatto Ashley sembrava più una tipa da fiori e cena fuori, un fattore da non sottovalutare, soprattutto per una come Lexie. Era una categoria dalla quale Alexandra si teneva ben alla larga, per nulla intenzionata a quel tipo di sciocchezze. Eppure, quel pomeriggio, si era presentata a casa sua, a mani in mano, senza romanticherie da portarle. Non desiderava fare buona impressione su di lei. Seppur per tutto il tempo Alexandra avesse voluto convincersi del contrario, qualcosa le diceva che Ashley di questo ci era rimasta male. Una cosa che aveva notato entrando in quella casa era quanto fosse spoglia. Sembrava che mancasse qualcosa, come se alcuni oggetti fossero stati eliminati da poco dall’arredamento, lasciando degli spazi vuoti che nessuno aveva ancora avuto il tempo di riempire. Osservò Ashley con la coda dell’occhio. I capelli color ebano le coprivano parte del viso e si era stretta al petto le lenzuola prima di addormentarsi. Si, pensò. Lei era sicuramente una da fiori e cena fuori. Forse aveva rotto da poco con qualcuno e aveva pensato che gettarsi tra le braccia della prima che incontrava fosse un buon chiodo schiaccia chiodo. Dolce Ashley. Senza fare rumore si sedette sul bordo del letto e rinfilò la maglietta. Si alzò in piedi e finì di vestirsi. Prima di uscire dalla porta, lanciò un’ultima occhiata alla ragazza. Anche se teneva gli occhi chiusi aveva come l’impressione che non stesse realmente dormendo.
    [...] «Ehi, occhi belli, perché non mi versi un altro di questi?» Un uomo sulla sessantina, seduto al bancone, alzò il bicchiere da whisky vuoto, sventolandolo in aria mentre con l’altra mano si reggeva la testa, diventata troppo pesante a causa del troppo alcol ingerito. Lexie si sporse sopra il bancone allungando un braccio, quel tanto che bastava per prendere il bicchierino dalle mani dell’uomo ubriaco. «Spiacente, Doug, ma si è fatto tardi e non ho intenzione di vedere tua moglie con i capelli pieni di bigodini entrare di corsa per trascinarti via per un orecchio. A proposito, mi devi ancora un bicchiere da bourbon.» ... Visto che, per portarti via, tua moglie non fu proprio delicata.. Qualcosa di simile ad un grugnito risalì su per la gola dell’uomo, che si strinse tra le spalle con una smorfia. Aveva le guance arrossate, simili a due pomodori maturi. Somigliava ad un bambino quando sta per cominciare a fare una scenata perché la mamma gli ha detto che no, quel gioco non glielo comprerà perché ne ha già troppi. Alexandra passò il bicchiere sotto l’acqua corrente prima di insaponarlo sapientemente con una spugna e sciacquarlo di nuovo. Lo asciugò con uno strofinaccio che poi mise sulla spalla. Posò i palmi delle mani sul bancone, facendoli scorrere in direzioni opposte, stendendo le braccia e poggiandoci sopra il peso. «Allora...» Le sue dita cominciarono a tamburellare sul legno generando un suono netto e preciso come lo scandire delle lancette dell’orologio. «Ce la fai a raggiungere l’uscita o devo usare la bacchetta?» L’uomo agitò una mano, scuotendo la testa come se qualche ricordo stesse disturbando la sua mente e lui stesse cercando di cacciarlo via. «Ce la faccio.. Ce la faccio..» bofonchiò qualcosa, frugandosi nelle tasche e tirando fuori un mucchio di monete che posò sul bancone senza neanche contarle. «Anche se.. L’ultimo bicchiere.. Almeno un altro..» «Coraggio, Doug, fuori di qui, devo ancora pulire il pavimento.» L’uomo afferrò la giacca e se, goffamente, provò ad infilarsela, ma non riusciva a trovare il buco della manica destra, quindi abbandonò l’impresa. Barcollando, raggiunse la porta del locale ed uscì senza neanche salutare, continuando a bofonchiare qualcosa a cui, ormai, Lexie non dava neanche più ascolto. Finalmente il locale era vuoto. Finalmente. Senza pensarci un secondo di più si precipitò nel retrobottega, aprendo la porta che dava sul vicolo posteriore al locale, sfilò dalla tasca dei jeans il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Inspirò a fondo per poi alzare la testa verso l’alto mente un filo di fumo argenteo usciva dalle sue labbra. L’insegna luminosa del locale accanto schiariva la notte rendendo quasi impossibile scorgere le stelle. Era una cosa a cui non era abituata, essendo cresciuta in periferia, là dove, dalla sua finestra, si scorgeva perfettamente l’Orsa Maggiore. Lo sapeva perché suo fratello aveva un telescopio e gli piaceva fare la cronaca di tutto ciò che vedeva, come un pappagallo che non stava mai zitto. L’ultimo tiro e poi gettò il mozzicone a terra, pestandolo con la punta del piede. Rientrò nel bar, facendo attenzione a richiudere bene la porta. E fu allora che la vide. Sobbalzò in modo impercettibile. «Cazzo!» esordì inspirando a fondo. Fu solo in quel momento che riconobbe nei tratti della giovane donna alla porta Valerie Harmon. Non erano molte le cose che sapeva su di lei, ed infondo una sola di queste le importava: era la moglie di Caél Cousland, una delle peggiori scottature nella vita di Lexie Cooper. Quando stavano insieme, la ex Serpeverde aveva pensato seriamente che il giovane imprenditore potesse essere quello giusto. Era come trovarsi continuamente in balìa delle onde, come essere sulle montagne russe. Quando lui l’aveva lasciata si era sentita in caduta libera e senza paracadute. Si era leccata le ferite per lungo tempo, come una bestiola ferita. Ora guardandola, non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse Valerie che invece a lei mancava. Rimase in silenzio, osservandola mentre si sedeva al bancone, afferrando distrattamente l’ultimo numero de “La Gazzetta del Profeta”. « Lo so.. siete in chiusura. Mi fermerò solo per un bicchiere. » Se lo sai, perché ti trovi qui, dolcezza? Senza sapere il perché, una vocina le suggerì di fare attenzione. Nel corso della sua giovane vita si era trovata a che fare con persone di ogni tipo. Ormai aveva sviluppato una sorta di sesto senso che l’avvertiva quando c’era qualcosa che non quadrava, che stonava. E Valerie Harmon che entrava
    all’ora di chiusura, quando ormai il locale era vuoto, era decisamente qualcosa di strano. « Un rum di ribes rosso e poooi.. due crostatine al miele e zucca. » Ci siamo dimenticate il “perfavore”, noto. «La cucina è chiusa, ormai. Sono avanzati solo un tost al formaggio e una ciambella alla cannella.» Desolata, vossignoria. Pronunciò quelle parole con la stessa voce piatta usata dalla Harmon e, nel frattempo, posò un bicchierino al centro del tavolo. Afferrò la bottiglia di rum e versò il liquido all’interno del bicchiere per poi farlo scivolare in direzione della ragazza. La guardò posare sul tavolo un paio di galeoni -decisamente troppi anche se avesse ordinato il tost e la ciambella-. « Tieni pure il resto. » Alexandra alzò un sopracciglio, guardando la giovane Harmon con lo sguardo sul giornale. Eppure, in qualche modo, le pareva che la guardasse anche lei. Se da una parte avrebbe voluto darle il resto dicendo che non le interessava la carità -tantomeno la sua- dall’altra pensò che, ehi!, non era lei a doverle insegnare a gestire le finanze. Mise i soldi nella cassa e il resto nel barattolo delle mance. « Gran casino vero? » Mhm? Allunga lo sguardo per vedere cosa le sta mostrando e riconosce l’articolo di Inverness che aveva letto poche ore prima. « Conti offshore e tutte cose. Dicono che i Morgenstern sono peggio della Yakuza. Sempre che non siano la stessa cosa. Con tutto quello che è successo in Giappone ultimamente.. » Eh già. « Un grosso guaio questo trovarsi così vicini alle Highlands. » Lexie afferrò un altro bicchierino e lo riempì dello stesso rum che aveva ordinato la Harmon. L’alzò verso di lei, come a voler proporre un bizzarro brindisi e poi svuotò il contenuto in un sol sorso. Ragioniamo, Lexie.. Se c’era una certezza con cui si era svegliata quella mattina era che di sicuro Valerie Harmon quel giorno non si sarebbe presentata da lei a sfogliare il giornale come se fosse interessata a conoscere la sua opinione su ciò che stava accadendo in giro. Sicuramente voleva arrivare da qualche parte con tutto quel blaterale. Ma dove di preciso? Oppure si stava facendo troppe paranoie. E non era affatto una cosa da Lexie Cooper. « Secondo te.. Hogsmeade è sicura? Intendo per l'inizio dell'anno scolastico. Ho sentito che tante gente è preoccupata. » Dove diamine vuoi arrivare, Harmon? Forse se ne sarebbe dovuto versare un altro di quei rum. «Direi che hanno un sacco di motivazioni per essere preoccupati.. Non credi anche tu?» Non credi anche tu, Valerie? Si, forse aveva bisogno di quel rum. Ne versò un altro paio di dita dentro il suo bicchiere. Guardò l’orologio appeso alla parete dietro il bancone: ormai l’orario di chiusura era passato e la giovane donna seduta al bancone non sembrava minimamente intenzionata ad andarsene. Qualcosa le diceva che quella sera avrebbe fatto gli straordinari. Prese il bicchierino e ne bevve solo metà. Fece scoccare la lingua sul palato per poi afferrare lo strofinaccio nel lavello, per passarlo sul bancone, portando via le impronte appiccicose di birra lasciati lì da Doug e i suoi amici. «Nessuno vuole una guerra.» Continuava a strofinare e, pronunciate quelle parole, cercò il volto della Harmon con la coda dell’occhio. Sei d’accordo? «Anche se per molti la guerra è già iniziata. Se ne sentono molte lavorando in un bar. Ogni persona che mette piede qua dentro ha un’opinione tutta sua. So che qualcuno ha lasciato Hogsmeade giorni fa.. Magari stanno esagerando, mhm?» Un’altra strofinata e rimise lo strofinaccio nel lavello. «Tu che ne pensi?» Tu che ne pensi, Valerie?


     
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    Valerie studia con molta attenzione i movimenti della giovane Cooper, quasi come se volesse tentare di capire che tipo di persona è. Non la conosce, se non di vista. L'ha vista diverse volte ai Tre Manici, ma se doveva essere del tutto onesta, prima di quella missione da disperati, non aveva neanche la più pallida idea che fosse una sin eater. D'altronde, riconoscersi in mezzo alla folla non è facile per quelli come loro. C'è però una domanda a cui non riesce a darsi una risposta. Perché una come te vorrebbe non avere nulla a che fare con le uniche persone che sono in grado di darti protezione? Che il mondo fosse crudele per quelli come loro era ormai risaputo. Un'angheria le attendeva ad ogni angolo di strada, specie in quel periodo. Le Logge, gli oppositori e in generale chiunque non riuscisse a capire la complessa natura che si celava dietro la facciata di un mucchio di scappati di casa, erano solo alcuni degli esempio che avrebbe potuto portare all'attenzione della ragazza. No. Non capisco perché non sei lì con noi. Non capisco perché ti stai distanziando, facendo un torto in primis a te stessa, e poi al tuo parabatai. Non proprio l'ultimo stronzo, oltretutto. A te è capitato un principino, pensa. C'è decisamente di peggio. « Prenderò sia il toast che la ciambella. » Disse stirando un sorriso; non aveva affatto fame, ma aveva bisogno di prendere tempo. Non poteva andarsene a mani vuote. Se quel compito le era stato affidato, avrebbe quanto meno tentato di portarlo a termine. Ognuno deve fare la propria parte. Non ne sono poi molto felice, ma poteva andare peggio. Inizia quindi a mangiare il toast con morsi estremamente piccoli, mentre sfoglia il giornale, indicandole infine l'articolo su cui intendeva testare quanto meno in linea di principio le credenze della ragazza. « Direi che hanno un sacco di motivazioni per essere preoccupati.. Non credi anche tu? » La giovane Harmon sollevò lo sguardo verso l'alto con fare riflessivo mentre annuiva tra se e se.
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    « Nessuno vuole una guerra. Anche se per molti la guerra è già iniziata. Se ne sentono molte lavorando in un bar. Ogni persona che mette piede qua dentro ha un’opinione tutta sua. So che qualcuno ha lasciato Hogsmeade giorni fa.. Magari stanno esagerando, mhm? Tu che ne pensi? » Non sarebbe stato un anno facile, quello che stava iniziare. A quello Valerie era piuttosto pronta. Non sarebbe stata certo tra le più bersagliate, ma non avrebbe avuto nemmeno vita facile. Molti sapevano risiedesse a Inverness; e Inverness ora è il nemico. Era altrettanto evidente che molti non sapessero per quale motivo casa sua fosse lì, né la Corvonero aveva mai dato grandi spiegazioni in merito. Era così punto e basta, e fatevene una ragione. D'altronde, se anche non ci fosse cresciuta, da molto prima che la Guerra Santa iniziasse, la questione non sarebbe cambiata più di tanto. C'era poi un tasto dolente se possibile ancora più complesso da aggiungere all'interno di quell'equazione. A domanda diretta, la maggior parte delle persone non sapevano neanche cosa fosse un sin eater. Definire un lycan era facile; è quella gente là che sa combattere da dio e si trasforma in quei magnifici lupi abnormi. Ok - forse magnifici non è proprio la definizione che la maggior parte delle persone dà sul conto dei lycan, ma la sostanza non cambia. Quanto ai sin eater, anche per color che della loro esistenza avevano tentato di capirci qualcosa, erano un qualcosa di astratto. La gente comune li considerava strani, e probabilmente per la maggior parte di loro, l'esistenza di persone come Val e Lexie era semplicemente inutile. Questo perché, non comprendevano affondo l'importanza della loro presenza, il motivo per cui l'universo ne avesse concepito la natura. Erano in fondo un tassello estremamente importante. Fu comunque sorpresa di sentirsi interrogata in merito e non fece nulla per nasconderlo. Si strinse quindi nelle spalle e sospirò, scuotendo appena la testa. « Si credo anche io che hanno tanti motivi per essere preoccupati. Voglio dire.. un'occupazione alle porte di Hogsmeade? I poveri residenti devono essere davvero turbati dall'idea che l'avanzata possa continuare. » Interpretazione da Oscar. Valerie scosse la testa con fare costernato, prima di sospirare ancora una volta portandosi il bicchiere di rum alle labbra. « Detto tra noi, non credo che stiano esagerando. Le persone hanno tutto il diritto di essere preoccupate. In fondo questa cosa è capitata dal giorno alla notte. E chi se l'aspettava! » Ci sono tante cose che non ci aspettavamo. Una preside morta tra le nostre mura, Rag'nak pronti a spazzare via vite preziose, un massacro in terra straniera. Non ci aspettavamo un rapimento di massa su un maledetto treno, o la morte di povero ragazzo che non aveva fatto assolutamente nulla per meritarsi quella sorte. Non ci aspettavamo che uno dei nostri venisse arrestato senza uno stralcio di prova.. e sì.. tante altre cose. « Però, se posso essere del tutto onesta, credo che molte persone si turbano un po' a scoppio ritardato e in maniera del tutto arbitraria. Fa abbastanza ridere rendersi conto che adesso si turbano, mentre due anni fa pensavano agli arcobaleni. A Inverness succedeva di tutto e di più, eppure a nessuno sembrava importare. » Ed eccola emergere un po' alla volta, la vera natura di Valerie, così dannatamente schierata. « Si raccoglie ciò che si semina. Mi fa ridere il vittimismo intrinseco dei maghi dopo aver attuato una politica da maschi bianchi etero basic sin da quando gli accordi post Restaurazione sono entrati in vigore. » Troppo politico tutto ciò per te, Alexandra? Indovina.. la tua stessa esistenza ormai è anche una questione di politica. Che ti piaccia o meno ci sei dentro. « Hanno voluto assumere questo atteggiamento dominante. In fondo sono la maggioranza, ci sta. Ma era davvero necessario calcare così tanto la mano con una minoranza che conoscono davvero poco? » Mossa stupidissima. Quell'articolo, le cui righe continuava a scorrere con aria divertita, ne era la prova. « Questa gente che oggi si caga sotto e lascia Hogsmeade, che rilascia dichiarazioni preoccupate per il futuro dei loro figli e bla-bla-bla è la stessa gente che fino a ieri avrebbe appoggiato un intervento degno dei più eccelsi colonizzatori pur di non avere più uno stato nello stato. » Pausa. « Eppure ce lo dicono da quando siamo piccoli che non è saggio risvegliare il can che dorme. » La società magica al completo aveva motivi per preoccuparsi. Si. « Voglio però farti una domanda. Mettiamo il caso che questa gente ha ragione a lasciare Hogsmeade. Semmai dovessero arrivare, anche tu te ne andresti da qui? Lo faresti pur sapendo che sotto sotto sei un elemento importante per Inverness? Te ne andresti anche se potrebbe arrivare il giorno in cui, distanziandoti dalla tua vita, rischieresti di farti scuoiare viva in terra straniera? » A quel punto Valerie aveva scoperto completamente le sue carte. Non vedeva per quale motivo non dovesse farlo. Prese un'altro morso dal toast con tranquillità e la osservò. « O forse pensi che solo perché non ti trasformi in un animale, allora la tua vita là fuori sarà più semplice senza tuoi simili.. » Saresti estremamente sciocca a pensarlo.


     
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    Punti di vista. Ricordava un documentario televisivo che aveva visto una volta, mandato in onda molto dopo che era stato filmato. Avrà avuto sette o otto anni, era troppo piccola per capirlo. Era la sorta di cose che a sua madre piaceva guardare: storiche, istruttive. Fin dalla nascita di Alexandra, la signora Cooper si era costantemente prodigata per far sì che la sua unica figlia femmina crescesse forgiata con sani principi, femminista, capace di camminare a testa alta in un mondo dove il patriarcato era così radicato. Ricordava che sua madre l’aveva guardata ed aveva cercato di spiegarle che quello che si vedeva era realmente accaduto, ma per Lexie era solo una storia inventata. Tutti i bambini pensano così, di qualsiasi storia prima della loro. E poi, se è inventata fa meno paura. Il programma era un documentario su una di quelle guerre. Intervistavano la gente e mostravano spezzoni di film dell’epoca, in bianco e nero, e fotogrammi. La minore di casa Cooper non ricordava molto, ma rammentava bene la particolarità delle immagini che sembravano rivestite di un miscuglio di sole e polvere, e come fossero scure le ombre sotto le sopracciglia della gente e lungo gli zigomi. Le interviste con i superstiti erano a colori. Quella che ricordava di più era con una donna che era stata l’amante di un uomo che aveva diretto uno dei campi dove mettevano la gente prima di ucciderla, quando invece di farla fuori nel campo di battaglia riuscivano a farla prigioniera con lo scopo di estorcer loro qualche informazione importante. Una guerra lontana, di cui Lexie, al tempo, né conosceva a malapena l’esistenza grazie ai racconti dei suoi genitori e nonni. A quell’età era difficile marcare nettamente il confine tra verità e fantasia. Da ciò che risultava dalle interviste, l’uomo era stato crudele e brutale. La sua amante -sua madre le aveva spiegato cosa fosse un’amante, non credeva nelle mistificazioni- un tempo era molto bella. C’era una foto in bianco e nero di lei con un’altra donna, col costume da bagno a due pezzi, le scarpette di gomma e il cappello a tesa larga che si usava allora. Erano sedute ai bordi di una piscina e portavano degli occhiali da sole con una montatura a forma di occhi di gatto. La piscina era vicina alla loro casa, la quale, era vicina al campo con i forni. La donna aveva detto di non avere notato mai niente di insolito. Aveva negato di conoscere l’esistenza dei forni. All’epoca dell’intervista, quaranta o cinquant’anni dopo, lei stava morendo di enfisema. Tossiva molto ed era molto magra, quasi emaciata, ma andava ancora orgogliosa del suo aspetto. Era truccata con gran cura, aveva molto mascara sulle ciglia e molto rossetto sugli zigomi, dove la pelle era tesa come un guanto di gomma. Portava una collana di perle. «Non era un mostro.» diceva di lui. «La gente non fa che ripetere che era un mostro, ma non è vero.». Che cosa pensava? Pensava a come non pensare. Erano tempi particolari. Andava orgogliosa della propria bellezza. Non credeva che lui fosse un mostro. Non era un mostro, per lei. Probabilmente aveva qualche tratto gradevole, fischiava stonato sotto la doccia, amava il suo cane e per farlo star ritto sulle zampe gli dava dei pezzettini di filetto crudo. Come è facile attribuire un’umanità a un essere qualsiasi. Che tentazione a portata di mano. E’ un bambinone, diceva lei tra sé. Il cuore le si scioglieva mentre lui le scostava i capelli dalla fronte, la baciava sull’orecchio, e non per ottenere qualcosa, era l’istinto di alleviare le preoccupazioni, di rendere più piacevole la vita. Magari lei lo consolava quando lui si svegliava di soprassalto da un incubo. E a tutto ciò lei credeva, perché altrimenti come avrebbe potuto continuare a vivere? Era molto convenzionale, sotto quella bellezza. Credeva alla decenza, era gentile con la donna di servizio, o abbastanza gentile, o più gentile di quanto occorresse. Qualche giorno dopo l’intervista si era uccisa. L’avevano detto in uno di quei quotidiani che leggeva sua madre. Nessuno le aveva chiesto se lo avesse amato o no. Ciò che Lexie ricordava adesso era il trucco sul suo viso, soprattutto. Punti di vista. « Si credo anche io che hanno tanti motivi per essere preoccupati. Voglio dire.. un'occupazione alle porte di Hogsmeade? I poveri residenti devono essere davvero turbati dall'idea che l'avanzata possa continuare. Detto tra noi, non credo che stiano esagerando. Le persone hanno tutto il diritto di essere preoccupate. In fondo questa cosa è capitata dal giorno alla notte. E chi se l'aspettava! » Gia. Chi se lo aspettava. Di sicuro non se lo aspettava Alexandra Cooper, quando quella sera, apparentemente una sera qualsiasi, si rese conto di essere qualcosa di cui aveva sempre ignorato l’esistenza. Quella vita che le piaceva tanto, ricca di frivolezze e di approssimazione, aveva virato all’improvviso, come se avesse beffardamente deciso di farle scontare tutto quanto, rovesciandole addosso responsabilità che mai aveva preso in considerazione. Perché? Non aveva neanche più senso farsi quella domanda. Semplicemente non esisteva nessun “perché”. « Però, se posso essere del tutto onesta, credo che molte persone si turbano un po' a scoppio ritardato e in maniera del tutto arbitraria. Fa abbastanza ridere rendersi conto che adesso si turbano, mentre due anni fa pensavano agli arcobaleni. A Inverness succedeva di tutto e di più, eppure a nessuno sembrava importare. » Ed ecco che Lexie lo percepisce perfettamente, come se qualcuno spalancasse improvvisamente la porta, attirando su di sé l’attenzione: qualcosa che cambia. Qualcosa si è rotto, si è spezzato, le lascia una spaccatura in faccia attraverso la quale sta per prorompere un suono. Senza preavviso. Se lascerà che il suono esca nell’aria si trasformerà in qualcosa di troppo forte, troppo grande al quale non saprebbe dare un nome. « Questa gente che oggi si caga sotto e lascia Hogsmeade, che rilascia dichiarazioni preoccupate per il futuro dei loro figli e bla-bla-bla è la stessa gente che fino a ieri avrebbe appoggiato un intervento degno dei più eccelsi colonizzatori pur di non avere più uno stato nello stato. » Pausa. « Eppure ce lo dicono da quando siamo piccoli che non è saggio risvegliare il can che dorme. » Più quella conversazione andava avanti, più era ovvio ed evidente quando la Harmon fosse politicamente schierata in tutta quella faccenda. La vera domanda, ora, quella che vorticava nella testa di Lexie e che si faceva più chiara con il passare dei secondi era perché stesse parlando di tutto quello con lei. In fin dei conti, quella era la loro prima, vera e propria conversazione. Non si erano mai parlate prima di allora. Alexandra la notava solo per il fatto che sapeva chi fosse, ma dubitava che anche per lei fosse lo stesso. Non le piaceva la sensazione che stava provando adesso. La faceva sentire vulnerabile, come se Valerie conoscesse qualcosa di suo, di personale ed intimo, e lei non avesse a disposizione le armi per contrastarla. « Voglio però farti una domanda. Mettiamo il caso che questa gente ha ragione a lasciare Hogsmeade. Semmai dovessero arrivare, anche tu te ne andresti da qui? Lo faresti pur sapendo che sotto sotto sei un elemento importante per Inverness? Te ne andresti anche se potrebbe arrivare il giorno in cui, distanziandoti dalla tua vita, rischieresti di farti scuoiare viva in terra straniera? » Fu come ricevere un colpo basso, uno di quelli per cui l’arbitro avrebbe fischiato. Lo sentì arrivare infondo allo stomaco, come se Valerie volesse scavarle dentro senza neppure chiederle il permesso. « O forse pensi che solo perché non ti trasformi in un animale, allora la tua vita là fuori sarà più semplice senza tuoi simili.. » Cosa. Cazzo. Sta. Succedendo. Non riesce a parlare. Ha la lingua appiccicata al palato e la mascella sigillata. Ha come l’impressione di avere un nodo in gola, un intoppo, forse creato da quelle parole che vorrebbero uscire senza senso, senza averle davvero meditate, e che si stanno azzuffando tra di loro. Respira.. Ha come l’impressione che il suo labbro inferiore vibri impercettibilmente. Ma infondo c’era qualche motivo preciso per mantenere la calma a tutti i costi? Cosa doveva lei a Valerie Harmon? Un cavolo di niente, ecco. Si drizzò nella schiena, sbilanciandosi all’indietro e poggiandosi al mobiletto alle sue spalle. Inspirò a lungo, guardando Valerie mangiucchiare quella ciambella e il toast senza appetito. «Posso farti io una domanda, Valerie?» cercò i suoi occhi, piegando appena il capo di lato. Respira.
    «E’ stato qualcuno a chiederti di impicciarti della mia vita o semplicemente stasera ti stavi annoiando e cercavi qualcosa per occupare il tempo?» Che rapporto hai tu con Inverness? Perché tu sai cose di me ed io non so un cazzo di te? «Ma la cosa che mi chiedo di più e che rivolgerò anche a te -e quindi perdonami, ma a quanto pare le domande ammontano a due-» alzò l’indice e il medio, come per dover enfatizzare le sue parole «è: perché dovrei starmene qui a giustificarmi con Valerie Harmon quando potrei staccare, fare chiusura e andarmi a strusciare a qualcuno nel locale qui accanto?» Rivolse entrambi i palmi delle mani verso l’alto cominciando a muoverli in modo alternato come se fossero le braccia di una vecchia bilancia. «A mio parere le due cose non sono lontanamente paragonabili.» Incrociò le braccia al petto, arricciando le labbra e scuotendo appena la testa. Perché devo parlare dei cazzi miei con una che so a malapena come si chiama? Con che faccia tosta vieni qui ad interrogarmi su certe cose? Piantò gli occhi sui suoi, per alcuni secondi senza dire neanche una parola. Aveva bisogno di metabolizzare tutta quella faccenda. Lexie non era una pensatrice, lei agiva d’istinto, la maggior parte delle volte senza soffermarsi sulle conseguenze. Ma doveva mantenere la calma. Respirare e mostrarsi più matura di quanto non fosse in realtà. «Allora, chiariamo alcuni punti.» Si passò una mano tra i capelli, dalla fronte alla nuca, cercando di schiarirsi le idee, poi tornò con le braccia incrociate all’altezza del petto. «Personalmente non me ne frega un cazzo di trasformarmi in un animale. Mi pare già così di avere una grossa insegna sopra la testa, figuriamoci se mi trasformassi anche...» Roteò gli occhi, scuotendo appena il capo come se ciò che aveva appena detto fosse pura pazzia. «Perciò non ne facciamo una questione del genere.» Strofinò le mani sulle braccia un paio di volte, come se facesse freddo. In realtà aveva l’impressione che quelle mani stesse fossero diventate due fardelli e non sapeva dove metterle. «Un elemento importante per Inverness..» Ripeté quelle parole lentamente, come se le stesse assimilando una alla volta. «Inverness non deve niente a me ed io non devo niente ad Inverness.» esordì continuando a fissare la Harmon negli occhi. «Ti basti sapere che se non me ne dovessi andare di qui non sarà certo per Inverness Ho altri motivi per restare, cara Valerie.
     
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    « Posso farti io una domanda, Valerie? E’ stato qualcuno a chiederti di impicciarti della mia vita o semplicemente stasera ti stavi annoiando e cercavi qualcosa per occupare il tempo? » Se solo avessi scommesso prima che questa domanda arrivasse.. Perché sì, Valerie quella domanda se l'aspettava ed era preparata a tutto ciò che le sarebbe caduto addosso nell'esatto momento in cui avrebbe scoperto le sue carte. « Ma la cosa che mi chiedo di più e che rivolgerò anche a te -e quindi perdonami, ma a quanto pare le domande ammontano a due- è: perché dovrei starmene qui a giustificarmi con Valerie Harmon quando potrei staccare, fare chiusura e andarmi a strusciare a qualcuno nel locale qui accanto? A mio parere le due cose non sono lontanamente paragonabili. » Di una cosa, la giovane Harmon era certa a quel punto: non c'è cosa peggiore di un sin eater dispettoso. La loro natura era la più semplice da eludere, almeno finché non li colpiva in pieno. Non aveva peculiarità tali da costringerli a prendere una posizione, se non in merito al loro compagno d'armi. Almeno con lui non potrai mentire; puoi sbraitargli contro quanto ti pare, ma quando verrà l'ora farai di tutto per tenerlo al sicuro, e lui farà altrettanto per te. Funziona così, e non c'è nulla che tu possa fare. La verità, Alexandra, è che questa cosa prima o poi busserà alla tua porta. L'unica domanda che dovresti farti è se ti lascerai cogliere impreparata rischiando di non avere la più pallida idea di come agire, oppure se in alternativa deciderai di smettere con queste bambinate. La negazione in cui alcuni loro sceglievano di vivere, Valerie la comprendeva solo in parte. Se è vero che la particolarità della prova che il destino ha posto in capo a loro è spaventosa e a tratti di difficile comprensione, è altrettanto vero che non avere la più pallida idea di come farci i conti è ancora più spaventoso. Ricorda bene come si è sentita la prima volta; quel malessere che non sapeva neanche a cosa imputare, la debilitazione più totale che sentiva ogni qual volta qualcosa di maligno entrasse nella sua sfera. « No ma tu hai ragione.. non sono affatto paragonabili. Però sai.. prima il dovere poi il piacere. Non c'è alcuna ragione per cui l'una dovrebbe escludere l'altra. » La calma e la freddezza con cui espone quelle poche parole ha dell'innaturale. L'empatia di Valerie è quasi inesistente, e a quel punto lo è anche la sua pazienza. Per un'istante le parole della giovane americana che la ha consegnato i nomi dei sin eater da tenere d'occhio, torna a rimbombarle nella testa. Sono spaventati. Hanno bisogno di un po' di empatia. E lì alza gli occhi al cielo. Certo è facile parlare di empatia quando averla viene del tutto naturale. A Valerie, mostrare compassione risultava davvero difficile. Per come la vedeva lei, non rifiutare l'aiuto di Inverness era una questione di sopravvivenza. Forse per lei era più semplice, essendoci nata e cresciuta. Ma ormai non avete più scuse. Se volete starne alla larga, sta diventando ormai un vostro problema. Dovrebbe essere un tuo problema, Alexandra, se vuoi morire, rantolare per terra mentre non hai nessuno che ti aiuti se e quando un'altra battaglia arriverà. « Allora, chiariamo alcuni punti. Personalmente non me ne frega un cazzo di trasformarmi in un animale. Mi pare già così di avere una grossa insegna sopra la testa, figuriamoci se mi trasformassi anche.. Perciò non ne facciamo una questione del genere. » « Mi sembra una specifica inutile considerando che - appunto - hai problemi più grossi di quelli. Senza contare che in fondo, se anche lo volessi, quello è un tratto ereditario quindi.. » Sembra stia a lezione e stia ripetendo a memoria una passaggio specifico di un libro, finché, rendendosi conto del fatto che la ragazza non a finito sospira e si stringe nelle spalle. « ..scusa, ti ho interrotto. Continua pure. » Ogni tanto mi faccio prendere dall'entusiasmo di puntualizzare le cose. Capita. « Un elemento importante per Inverness.. Inverness non deve niente a me ed io non devo niente ad Inverness. Ti basti sapere che se non me ne dovessi andare di qui non sarà certo per Inverness. » Bene, almeno non hai paura di noi. È un inizio. Sospirò, la giovane Corvonero, scuotendo appena la testa. Non si trovava a proprio agio nel parlare di questioni personali, questioni che coinvolgevano oltretutto una matrice profondamente emotiva. Le odiava, Valerie, le persone estremamente emotive, forse perché quella parte di sé non l'aveva ancora esplorata, né sapeva esattamente come esprimerla. Mi seccano le persone emotive. Sua madre era su quello stampo. Una persona estremamente emotiva, che si affezionata letteralmente a qualunque cosa e qualsiasi persona. Un atteggiamento, quello, che la giovane Harmon non riusciva a comprendere del tutto.
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    Sollevò quindi lo sguardo verso l'alto, contando fino a dieci. Superiore, se ci sei, lì, da qualche parte, dammi tu la pazienza. Potrebbe seriamente servirmi. « È vero. » Cominciò quindi con estrema calma, allontanando il piattino con le cibarie, consapevole del fatto che la sceneggiata era crollata su se stessa. « Tu non devi niente a Inverness. Ma ciò che tu potresti fare - il tuo talento - per Inverness è comunque prezioso. Tu sei importante per loro. Noi siamo importanti. » È lì che scopre la sua ultima carta in tavola. Valerie e Alexandra hanno qualcosa in comune. Qualcosa che non le permette di mollare la presa nei suoi confronti. Quelli come noi devono restare uniti. Proteggersi. Se capiscono cosa sappiamo fare, inizieranno a porsi domande anche su quanto siamo adatti a vivere tra i maghi. I sin eater hanno le chiavi tra i mondi. Insieme possono aprire o chiudere tante porte. Se lo capiscono potremmo diventare un target. E di target ultimamente ce ne sono già diversi. « Non mi ha mandato nessuno. Cioè sì - ma anche se non lo avessero fatto, probabilmente prima o poi io o qualcun altro avrebbe bussato alla tua porta in ogni caso. Non è una cosa che ho del tutto scelto, e al contempo è comunque una cosa che faccio di spontanea volontà. Perché capisco.. » Forse non ha affatto senso. Ma quando abbracci ciò che sei, ha tutto il senso del mondo. Sai che non puoi fare a meno di seguire questa strada. Anche se non sai dove ti porterà. C'è la tua vita, e poi c'è questo. E questo è importante al pari di tutto il resto, se non addirittura di più. È istinto. Prima o poi ci finisci in mezzo. Che ti piaccia o meno. « Io non posso obbligarti a fare nulla, né credo che tu debba fare nulla di speciale in questo momento. Anzi.. se senti il bisogno di andare a strusciarti con qualcuno al Suspiria, dovresti farlo. Però.. qualcosa sta arrivando, Alexandra.. e quelli come me e te non sono affatto al sicuro da soli. » Pausa. « Molti si sono riattivati. In questi mesi diversi sin eater hanno avuto qualche episodio.. » Si inumidisce appena le labbra abbassando lo sguardo. Anche lei ha avuto un episodio. « Sta accadendo già da un po'. Quindi.. se dovessi avere bisogno di qualcuno, di persone con cui parlare o un luogo in cui sentirti al sicuro, tu puoi avere tutto questo. » Si stringe nelle spalle e stira un sorriso che vuole avere una parvenza incoraggiante. Insomma, basta chiedere. Forse neanche. Basta fare un cenno. « Ti consiglio di tenerti in contatto con il tuo lycan. E.. se hai bisogno di aiuto nel gestire qualcosa.. qualcosa di strano.. - qualunque cosa che ti stona.. » A quel punto prende il proprio fazzoletto non utilizzato e, estratta una penna dalla tasca della felpa, scrive velocemente il proprio numero di telefono. « Puoi chiamarmi. »


     
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    « No ma tu hai ragione.. non sono affatto paragonabili. Però sai.. prima il dovere poi il piacere. Non c'è alcuna ragione per cui l'una dovrebbe escludere l'altra. » Le sta dando ragione. Le da ragione ma non perché Lexie effettivamente ne abbia. Le da ragione come si fa con un cagnolino al quale si vuole insegnare qualcosa, quando non risponde al comando e gli diciamo comunque che è un bravo cane, convincendoci che con il tempo imparerà. Accondiscendente, come qualcuno che le dice che si, la droga fa male, ma capisce perché lo fa, capisce il suo desiderio smisurato della ricerca di qualcosa, adrenalina, eccitazione, una scossa a quella che era la sua banale e patetica vita. Per quanto si sforzi di pensare ad altro, di concentrarsi su qualsiasi cosa che non sia il modo tronfio in cui la ragazza le parla, Alexandra non riesce a considerare altro: Valerie Harmon le sta proprio sul cazzo. E’ di parte, è prevenuta: le bruciature che Caél Cousland le ha lasciato sulla pelle hanno fatto male per troppo tempo, nonostante lei continuasse a spalmarle con creme trovate su Tinder. Beth, Ewan, Luke, Faith. Prodotti su mercato e a buon prezzo. Nessuno di loro aveva preteso più di un paio di drink e molti erano stati anche gratis. Cospargersi addosso unguenti di pessima qualità le era sembrata la strada più facile per dimenticare. E si, era vero, era andata avanti, a testa alta, come si era imposta di fare, ma starsene lì davanti alla Harmon sembrava far risorgere le sue insicurezze, tutti quei “perché” che si era convinta non le interessassero. E per questo, non poteva fare altro che trovare Valerie irritante. I suoi modi di fare misurati, come se fosse sempre un passo avanti a lei, nonostante tutto. Il suo volto impeccabile sembrava incapace di esprimere sorpresa o qualsiasi altra cosa. A Lexie non era mai importato di capire le persone, ma guardando la giovane donna seduta davanti a lei al di là del bancone, non poteva fare a meno di domandarsi cosa l’avesse spinta a venire da lei, cosa magari si era aspettata che andasse la cosa e se tutto fosse proprio come se l’era immaginato. Forse si, perché il suo sguardo pareva non trafelare emozioni. Era come cercare di guardare aldilà di un foglio di carta velina: Valerie era lì, ma era solo una sagoma della quale Lexie non riusciva a delineare bene i contorni. In un’altra occasione avrebbe definito quella caratteristica “intrigante”. In quel momento, non riuscire a leggerla, era solo l’ennesimo tassello che componeva il quadro della sua arrabbiatura. « È vero. » Smettila di darmi ragione, Valerie. Sarebbe stato più facile litigare. Così, quella calma apparente, per la Cooper era una tortura. « Tu non devi niente a Inverness. Ma ciò che tu potresti fare - il tuo talento - per Inverness è comunque prezioso. Tu sei importante per loro. Noi siamo importanti. » Noi. “Noi” è il plurale di “io”. “Noi” intende che due o più persone siano legate da uno stesso argomento. Non ci voleva un genio per capire a cosa Valerie si stesse riferendo: noi sin eater. Rimase a fissarla per qualche interminabile secondo, gli occhi spalancati e le labbra leggermente dischiuse. Quando aveva circa sei anni, Lexie era stata per un po’ la cocca della maestra perché essenzialmente era brava. Non faceva niente, ma era brava, perciò si era persino fatta questa strana idea che era pure intelligente guardando al futuro con tracotanza. Che arroganza poteva avere una bambina soltanto perché riesce a fare un triangolo isoscele e perché sua madre dice a tutti “eh, si, ha proprio preso dal fratello”. Poi un giorno stava a scuola e sembrava un giorno normale, ma all’improvviso si è aperta una voragine dalla bocca dell’inferno e, senza preavviso, erano arrivate l’algebra e le equazioni, facendole capire che se voleva essere ricordata come una ragazzina sveglia doveva morire prima di ricevere la lettera per Hogwarts. Purtroppo questo non accadde e ancora oggi, Alexandra ricordava le parole della maestra che, col cuore spezzato, la guardava chiedendole cosa fosse successo. Lei avrebbe voluto rispondere che non aveva smesso di studiare. La verità era che non ci capiva niente. Si sentiva dannatamente stupida, ma non riusciva a capire come questo fatto potesse provocare un dolore alla maestra invece che a lei. Quindi era stupida e persino un mostro, perché dava un dolore a quella donna che aveva riposto tante aspettative in lei. Quel pensiero la devastava, caricandola di angoscia ad ogni interrogazione e passava le settimane cercando di riconquistare la sua approvazione. Un giorno, Lexie e la sua amichetta Lory ritardarono l’ingresso in classe dopo la fine dell’intervallo e la maestra fece scontar loro un’ora di punizione dopo la fine delle lezioni. La piccola Alexandra stava malissimo e fu a quel momento che Lory esplose. Sputò fuori tutto ciò che le passava per la mente, compreso il fatto che alla maestra non importava niente di lei, di Lexie, di loro. Alexandra Cooper non era altro che una particella del suo lavoro, una dei quattrocento studenti che erano venuti prima di lei e che sarebbero arrivati dopo. Le disse che non era onnipotente, che non era al centro del mondo della maestra, la cui vita iniziava dopo la fine delle lezioni. Lexie era solo un numero in mezzo ad un’infinità di numeri e che a nessuno, a parte che ai suoi genitori, non importava niente del voto che prendeva. Poi, con un sorriso, però, aveva anche aggiunto che se ci pensava bene tutto ciò era molto bello. Era bello non portare il peso del mondo sulle spalle, che erano soltanto un filo d’erba in un prato. Lexie non aveva più fiatato fino alla fine della punizione. Quella sera stessa, però, Lexie aveva pensato che c’era qualcosa di incredibilmente rassicurante nell’essere solo un filo d’erba che non faceva la differenza per nessuno e non aveva la responsabilità di tutti i mali del mondo. « Non mi ha mandato nessuno. Cioè sì - ma anche se non lo avessero fatto, probabilmente prima o poi io o qualcun altro avrebbe bussato alla tua porta in ogni caso. Non è una cosa che ho del tutto scelto, e al contempo è comunque una cosa che faccio di spontanea volontà. Perché capisco.. » ”Capisco.” Come si capisce un filo d’erba che chiede solo di essere come tutti gli altri, di amalgamarsi a quel mondo senza dover soddisfare le aspettative di nessuno? « qualcosa sta arrivando, Alexandra.. e quelli come me e te non sono affatto al sicuro da soli. » Prede facili. Quelle parole le fecero venire il voltastomaco. Stare da soli. Lexie non era mai stata una tipa solitaria, tutt'altro. Circondarsi di persone le era sempre venuto naturale. Forse lo faceva perché l'idea di stare sola le metteva ansia: quando c’è troppo silenzio le persone si trovano a dover avere a che fare con pensieri che si offuscano quando invece si è in mezzo agli altri. Entrano dentro come tarli, scavando nelle paure più oscure dell’essere umano, facendolo sentire sbagliato. La Cooper sapeva di non essere giusta, ma non aveva bisogno di ulteriori conferme. « [...] Quindi.. se dovessi avere bisogno di qualcuno, di persone con cui parlare o un luogo in cui sentirti al sicuro, tu puoi avere tutto questo. »
    "Puoi avere tutto questo". Qualcosa dentro di lei le suggerì che questo lo aveva sempre avuto. Ginny e Lyra, per esempio. Loro c’erano sempre state. Era lei stessa a schivare i problemi, a nasconderli sotto il tappeto come se non esistessero. Non era qualcuno con cui parlare che le mancava: era il coraggio di guardarsi dentro. Forse sarebbe stato più facile con qualcuno nelle sue condizioni. « Ti consiglio di tenerti in contatto con il tuo lycan. E.. se hai bisogno di aiuto nel gestire qualcosa.. qualcosa di strano.. - qualunque cosa che ti stona.. Puoi chiamarmi. » Mi stai dando il tuo numero? Ci stai forse provando con me, Valerie? Avrebbe voluto dirlo, ma non lo fece. Rimase con lo sguardo fisso sul fazzoletto per qualche secondo, poi lo alzò nuovamente verso la Harmon. «Come hai fatto ad accettarlo?» La domanda le esce di getto, come se fosse sempre stata dentro la sua bocca, diventando sempre più grande, fino a non riuscire più a contenerla, saltando fuori quasi senza preavviso. Se prima non voleva fare altro che litigare con lei, adesso sembrava quasi disorientata, stordita, come un cerbiatto illuminato dai fari di un’auto. «Come fai ad accettare che la tua vita cambi così, senza alcun preavviso, da un momento all’altro?» Scuote appena la testa, tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans. Ne prende una e se la infila tra le labbra. Prima di accenderla apre la porta che da sul retro del locale. Lascia il pacchetto sopra il bancone, come in un buffo e bizzarro tentativo di offrirne una anche a lei senza però aggiungere una sola parola. Inspira a fondo, trattenendo il fumo per una manciata di secondi prima di soffiarlo fuori. Deve schiarirsi la mente. «Io non sono una guerriera. Se scoppierà una guerra sarò una tra i primi a lasciarci le penne..» -questo è poco ma sicuro- «Non voglio essere ricordata come una che si è immolata per la causa.» Sempre che qualcuno si ricordi di te.

     
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    Dicono che i lycan si riconosco nella folla. Sanno. È qualcosa che ho sempre invidiato del loro rapporto. Appartenere a qualcosa, sapere di poter essere riconosciuta e di riconoscere chi è dalla mia, o chi potrebbe esserlo. Io, in mezzo a tutto questo marasma mi sono sempre sentita come se fossi un po' sola. Una fregatura dietro l'altra. Nessun lycan a cui rivolgermi, nessun vero amico con cui parlare. Nessuno che capisca. Ecco.. forse nemmeno io la rendo semplice. Però oggi forse un po' mi ricredo. Non è vero che solo i lycan si riconoscono nella folla. Anche noi lo facciamo. Forse non siamo in grado di "individuarci", ma se sappiamo, l'istinto scatta. C'è un filo invisibile che ci unisce, che non ci permette di perderci di vista. E non è affatto una cosa brutta. Io con questa ragazza non voglio mollare. Sono qui, e ho voglia di darle anche solo un po' di conforto. Sembra ridicolo. Io non sono fatta così. Non mi piace essere così. Affezionarmi. Legarmi. Un legame il più delle volte è una fregatura. E' qualcosa che volente o nolente ti si ritorcerà contro. Eppure, Valerie era ancora lì, e aveva davvero voglia di capire. Di andare fino in fondo. Di non abbandonare Lexie al suo destino. Sapeva quanto crudo potesse essere il destino di un sin eater abbandonato a se stesso. Per noi è ancora più difficile. E' difficile essere da soli al mondo. E quindi, quando infine Lexie molla la presa, Valerie sospira e la osserva con un'espressione consapevole, e al contempo in un certo qual modo - per quanto possibile - rassicurante. « Come hai fatto ad accettarlo? » Come ha fatto, Valerie.. non lo sa nemmeno lei. Per molto tempo non l'ha fatto. Pur essendo nata e cresciuta a Inverness, una parte di lei si è sempre sentita estranea a quei luoghi. Figlia di una donna venuta da altrove, in terra straniera, senza delle vere radici, senza essere in grado di scoprire le sue radici. Diversa per così tante ragioni, nata con evidenti peculiarità che l'hanno resa strana agli occhi di così tante persone. « Come fai ad accettare che la tua vita cambi così, senza alcun preavviso, da un momento all’altro? » Quel sentimento, Valerie, lo comprendeva perfettamente. E non era solo per via del panico che ne deriva, ma anche e soprattutto perché la sua condizione non le permetteva di fare i conti con i cambiamenti in maniera normale. La giovane Harmon è metodica, ma è anche un essere estremamente abitudinario, che mal sopporta qualunque mutamento nella sua quotidianità. Persino lo spostamento di una foglia, la manda in cortocircuito, perché a qualunque cosa, ci mette tempo per abituarsi. « Io non sono una guerriera. Se scoppierà una guerra sarò una tra i primi a lasciarci le penne. Non voglio essere ricordata come una che si è immolata per la causa. » Quella costante incertezza che legge nei volti di chi è consapevole che qualcosa arriverà, Valerie la prova da molto tempo. Forse non ha mai smesso di sentirsi condizionata dalla sua esistenza. Ad aver paura mi sono abituata. Forse fa parte del gioco. Se hai paura significa che sei ancora in grado di sopravvivere. Puoi fare qualcosa. Puoi combattere. Non c'è niente di male nell'aver paura. Nel non essere perfetti. Di ciò è convinta, e se ne è anche fatta una ragione. Eroica non lo è mai stata, e mai lo sarà. Anzi, semmai, è l'esatto contrario rispetto al volto dell'eroismo. Nella sua breve vita ha fatto tanti errori, si è caricata e macchiata di tante colpe che avrebbe potuto evitare. Ma non l'ha fatto, e ognuna di quelle esperienza l'ha portata ad essere ciò che oggi è. Imperfetta, impaurita e per lo più ignara di tante cose, tanto quanto consapevole di altre. Si stringe infatti nelle spalle, e dopo aver roteato un paio di volte il bicchiere sul bancone a sguardo basso, solleva lo sguardo in direzione della giovane Alexandra.
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    « Io sono nata e cresciuta a Inverness, tra i cacciatori. E nonostante ai tempi erano appunto solo questo - cacciatori - un po' esterna lo sono sempre stata. » Sono sempre stata diversa, anche prima di realizzare che lo ero per davvero. Magari per la maggior parte delle persone lo sono sempre stata per le ragioni sbagliate. NOn c'è nulla nella mia condizione che dovrebbe far pensare alla gente che io sia limitata. Non lo sono. Mi rifiuto di essere ricordata così. Come una che ha bisogno di supporto. Come una che per una ragione o un'altra non riuscirà mai a fare le cose al pari di tutti gli altri. « Nonostante loro non abbiamo fatto nulla per farmi sentire diversa - anzi, semmai è stato il mondo esterno a farmi notare che avevo qualcosa di sbagliato - io un po' fuori mi sono sempre sentita. » Si stringe nelle spalle dopo averle confessato quel piccolo dettaglio di sé. Un dettaglio, sì, ma non così insignificante come voleva farlo apparire. « Io questa cosa non l'ho davvero accettata. Mai. Tra quelle persone ci sono i miei amici di infanzia, bambini con cui giocavo da piccola. Poi ho scoperto che così fuori non lo ero davvero. Ho scoperto questa.. cosa. » Non propriamente il mondo a cui avrebbe voluto essere legata ai lycan. « All'inizio ho fatto finta di niente. Era molto più semplice.. ignorare. Specie perché, io, a differenza di molti miei simili non ho mai trovato la mia metà. » Una condizione che ormai aveva accettato, e con cui conviveva tentando di ignorare la pesantezza della questione. « Forse è morto, il mio lycan. Mi piace pensare che era una tipa molto cazzuta, di tre teste più alta di me.. tipo con un accento texano e uno stecchino tra i denti. » Di fronte a quella descrizione scoppia a ridere appena, scuotendo la testa. « Io non riesco ad accettare molto i cambiamenti in generale. Ho.. una cosa nella testa, che non me lo lascia fare. Non facilmente. Se sposti un tavolo dentro questa sala anche solo di pochi centimetri io me ne accorgerò e questa cosa mi tormenterà per un sacco di tempo perché i tavoli non sono più perfettamente allineati. Tipo.. quella bottiglia - » Le indica improvvisamente la fila di bottiglie alle sue spalle. « È molto più distanziata da quella a sinistra rispetto che da quella a destra. Mi urta da morire. » Di cose così, che mi urtano e mi danno sui nervi, ce ne sono a bizzeffe. Saresti sorpresa di scoprire quante cose poco perfette o disarmoniche ci sono in giro. Ma non era quello il punto. E infatti, dopo aver tirato un lungo sospirò, continuò inclinando appena la testa di lato nell'osservarla. « Quella bottiglia tu puoi aggiustarla. Puoi spostarla e metterla apposto. Questa roba invece è inevitabile. Se anche provi a vivere una vita normale, prima o poi, qualcosa arriverà. E se non ti metti quanto meno nelle condizioni di essere al sicuro, stando assieme a chi ne sa più di te, ti travolgerà. » Pausa. « Ha travolto anche altri. Molti sono caduti. Il rischio c'è sempre. I lycan non sono una carta di uscita di prigione universale, né possono garantire che vivrai o che tutto filerà liscio. E - detto tra noi - a volte non sono neanche le persone più piacevoli a cui accostarsi. » Sono rigidi, maledettamente impostati e spesso anche estremamente pesanti. Questo loro senso del dovere rompe il cazzo a intervalli regolari. « Ma noi siamo state scelte. Nessuno sa perché proprio. È così. E per quanto accettare questa risposta mi secchi, non abbiamo accesso ad altri tipi di conoscenza in merito. Non abbiamo fatto nulla di particolare per meritarcelo, né possiamo fare nulla per guarire. » Insomma. È così punto e basta. « Nemmeno io sono nata per essere una guerriera. Ma mi sono impegnata e faccio del mio meglio. Non posso dire che sono al loro livello - fisicamente sarebbe impossibile. Ma per loro la mia fedeltà e fiducia è sufficiente affinché mi considerino una loro responsabilità. Una di loro. » In fondo è questo il punto. Fare la propria parte. Per quanto piccola. Non ci sono contributi irrilevanti. Non ci sono persone inutili. Tutti sono necessari, anche se nessuno è indispensabile. « Nessuno vuole essere ricordato come una vittima sacrificale, Lexie. E nessuno te lo sta chiedendo. Noi, in prima linea non staremo mai. Siamo troppo.. indispensabili. Ma al di là di tutto, se hai paura di essere ricordata come una che si è immolata per la causa, considera che ora con molta probabilità non verrai affatto ricordata. » Solleva in mento e la osserva con un'espressione estremamente seria. « Oppure verrai ricordata come una che aveva troppa paura di fare una scelta - a tal punto da lasciarci la pelle. » Si stringe nelle spalle e accenna un leggero sorriso. « Per come la vedo io, non hai nulla da perdere, se non forse la stima di qualche coglione anti-lycan. » Ma io non sono certo qui per farti un'orazione pro-Inverness. Non m'interessa. Di ciò non me ne faccio nulla. « Ti chiedo solo di pensarci. Posso assicurarti che non troverai mai una porta sbattuta in faccia. » Devi solo avere il coraggio di fare una scelta.



     
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    Alexandra non ricordava mai i sogni che faceva. I ricordi di ciò che il suo cervello elaborava negli ultimi minuti del sonno, venivano interamente cancellati pochi secondi dopo il risveglio. Non se ne era mai fatta un cruccio, dicendosi che non c’era niente di interessante nel ricordarsi ciò che il cervello creava senza il suo consenso. Eppure, una volta era successo di ricordare. Era successo tempo addietro, seppur fosse passato qualche anno, riusciva a collocarlo perfettamente nella sequenza spazio-temporale della sua vita. Nel sogno, Lexie era sola al centro di un’enorme stanza. Non c’era niente di particolare, nulla di preciso che le facesse capire se quella stanza fosse stata sua o di qualcun altro. Una stanza perfettamente anonima. Ad un certo punto tutto cominciava a tremare. L’unico quadro appeso alla parete cadeva a terra, rompendo la cornice in alcuni pezzi. Lexie aveva la sensazione di trovarsi in una giostra dove tutto girava. Sapeva di dover scappare, ma non riusciva ad individuare la porta. Poi, qualcosa la trascinava via. Era come un’ombra dalle sembianze umane che l’afferrava con le sue braccia inconsistenti aiutandola a fuggire da una finestra. Una finestra che fino ad allora non aveva neanche notato. In realtà avrebbe giurato che prima non ci fosse affatto. Era stato come essere invasa da un senso di pace e tranquillità. Si sentiva al sicuro. Il sogno finiva così, facendola svegliare con quella sensazione che ancora le si dipanava nel petto. La giovane Cooper aveva passato il resto del pomeriggio cercando di dare un volto a quell’ombra, ma non riusciva a visualizzarlo. Era offuscato, tremolante, fatto di pura energia. Forse stava cercando qualcosa che neanche esisteva. Aveva deciso di non pensare più a quel sogno, a quell’ombra. Qualche giorno dopo Adam Lindstörm le aveva confessato di aver ucciso qualcuno e lei gli aveva vomitato sulle scarpe. « Io sono nata e cresciuta a Inverness, tra i cacciatori. E nonostante ai tempi erano appunto solo questo - cacciatori - un po' esterna lo sono sempre stata. Nonostante loro non abbiamo fatto nulla per farmi sentire diversa - anzi, semmai è stato il mondo esterno a farmi notare che avevo qualcosa di sbagliato - io un po' fuori mi sono sempre sentita. » Estranea. Diversa. Forse Valerie ed Alexandra non erano così diverse come la ex Serpeverde aveva sempre pensato. Anche con lei il mondo era stato più volte brutalmente sincero nello spiattellarle in faccia quanto i suoi modi fossero spesso inusuali e diversi da quelli delle altre persone. Fin da bambina aveva sempre percepito qualcosa dentro di lei, qualcosa che la spingeva ad andare oltre, qualcosa che le suggeriva di non fermarsi, di sognare l’impossibile, di fare tutto ciò che il suo cuore le dicesse di fare. Se la vita era un viaggio lei voleva coglierne ogni sfumatura, ogni rumore, ogni consistenza. L’ ombra. Quell’ombra l’aveva salvata, trascinandola fuori, costringendola a respirare l’aria fuori da quelle mura che tremavano e che ben presto sarebbero cadute giù. « All'inizio ho fatto finta di niente. Era molto più semplice.. ignorare. Specie perché, io, a differenza di molti miei simili non ho mai trovato la mia metà. Forse è morto, il mio lycan. Mi piace pensare che era una tipa molto cazzuta, di tre teste più alta di me.. tipo con un accento texano e uno stecchino tra i denti. » Valerie scoppiò a ridere, ma Lexie non ci trovò niente di divertente in quelle parole e qualcosa le suggeriva che anche per l’altra fosse così. Una risata quando non c’era niente da ridere. Per un attimo si ritrovò a fare qualcosa che non aveva mai pensato: mettersi nei panni di lei, della Harmon. Cosa significava essere una sin-eater? Nel momento in cui tutto era accaduto aveva provato un senso di completezza, di totalità, come se facesse parte di qualcosa, come se non si sentisse più così sola al mondo. Era una sensazione che l’aveva spaventata, fatta sentire come se le mancasse la terra sotto i piedi, instabile, impaurita dalla possibilità di fare un passo falso in quel territorio che non conosceva affatto. Allo stesso tempo, però, quella instabilità le sembrava la cosa più solida che ci fosse. Non aveva senso, ma forse andava bene che non ne avesse, che tutta quella storia non avesse una spiegazione logica, ma solo emotiva, emozionale. Per quanto faticasse ad ammetterlo, quando si trovava insieme ad Adam aveva come l’impressione che i pezzi di un puzzle combaciassero perfettamente. « Io non riesco ad accettare molto i cambiamenti in generale. Ho.. una cosa nella testa, che non me lo lascia fare. [...] Tipo.. quella bottiglia - » sovrappensiero, Lexie si voltò verso il punto che aveva attirato l'attenzione di Valerie. « È molto più distanziata da quella a sinistra rispetto che da quella a destra. Mi urta da morire. » Alexandra osservò la bottiglia per qualche secondo, soppesando le varie distanze che la separavano dalle altre che aveva intorno. Non lo aveva notato, forse perché le bottigliere erano sempre fuori posto, ma nessuno ci faceva mai caso. Clienti ubriachi, giovani desiderosi di prendersi velocemente una sbornia. Chi avrebbe mai notato un dettaglio simile? A quanto pare la Harmon lo aveva fatto, invece. Ciò le fece spuntare in volto un sorriso sghembo. Si voltò, cancellandolo subito dalla faccia, tornando a concentrarsi su Valerie. « [...] Se anche provi a vivere una vita normale, prima o poi, qualcosa arriverà. E se non ti metti quanto meno nelle condizioni di essere al sicuro, stando assieme a chi ne sa più di te, ti travolgerà. I lycan non sono una carta di uscita di prigione universale, né possono garantire che vivrai o che tutto filerà liscio. E - detto tra noi - a volte non sono neanche le persone più piacevoli a cui accostarsi. » Si ritrovò ad annuire, senza nemmeno farci caso. Il loro senso del dovere era a dir poco fastidioso. « Ma noi siamo state scelte. [...] Non abbiamo fatto nulla di particolare per meritarcelo, né possiamo fare nulla per guarire. » Guarire. Già. Forse era davvero così e, forse, l’unico unguento che potevano usare era contare gli uni sugli altri e sui loro lycan. « Nemmeno io sono nata per essere una guerriera. Ma mi sono impegnata e faccio del mio meglio. [...] Nessuno vuole essere ricordato come una vittima sacrificale, Lexie. E nessuno te lo sta chiedendo. Noi, in prima linea non staremo mai. Siamo troppo.. indispensabili. Ma al di là di tutto, se hai paura di essere ricordata come una che si è immolata per la causa, considera che ora con molta probabilità non verrai affatto ricordata. » Accoglie quel pensiero, restando perfettamente immobile. Forse, tutto sommato, quello era il punto di vista migliore. Come era nata, Lexie Cooper se ne sarebbe andata senza lasciare nulla del suo passaggio. Probabilmente non era quello il senso stretto della vita, ma a lei quel pensiero la fece egoisticamente sentire meglio. « Oppure verrai ricordata come una che aveva troppa paura di fare una scelta - a tal punto da lasciarci la pelle. » Un moto di orgoglio le risalì su per il petto, piazzandosi in mezzo al torace, infastidendola. Si perché, come lei stessa aveva sempre puntualizzato, si potevano dire molte cose su Alexandra, ma non che fosse una che si tirava indietro. Se fino a quel momento lo aveva fatto era perché tutta quella storia le sembrava una cosa troppo grande, più grande di lei, più grande di quanto potesse sopportare. Dal sorriso che Valerie aveva sembrava voler giocare proprio con l’orgoglio della ex Serpeverde, cosa che funzionò in modo inaspettato, ma Lexie tentò in ogni modo di non darlo a vedere. Forse era proprio perché sembrava si somigliassero più del dovuto che Valerie sapeva quale fosse il bottone giusto da premere. « Ti chiedo solo di pensarci. Posso assicurarti che non troverai mai una porta sbattuta in faccia. » Quella era una sensazione nuova: accoglienza. L’idea di fare parte di qualcosa. Si, Adam aveva provato a spiegarglielo in mille modi, ma aveva sempre avuto la sensazione che lui non la capisse fino infondo, che non potesse capirla fino infondo. Questo perché, seppur in qualche modo collegati, loro erano diversi. Valerie invece la capiva, Valerie era come lei.
    Seppur provasse ancora dei sentimenti contrastanti nei suoi confronti a causa del rapporto che la ragazza aveva con Caél Cousland, Lexie pensò che, infondo, la Harmon fosse tollerabile. «Okey..» Fu tutto ciò che riuscì ad uscire dalle sue labbra, guardando la Harmon negli occhi. Era incredibilmente raro riuscire a lasciare Lexie senza parole, ma Valerie ci era riuscita. La verità era che troppe cose le stavano frullando in testa in quel momento, una marea di informazioni che si mescolavano senza mai perdere la loro integrità. Aveva bisogno di tornare a casa, bersi una birra e rimuginare su ciò che era appena successo, rimuginare su ciò che era e su ciò che aveva. Rimuginare era ciò che si era costretta a non fare fino ad allora. Proprio per questo avrebbe avuto bisogno di parecchio tempo. «Ci penserò.» Le sue labbra si incresparono in quello che forse somigliava ad un sorriso tirato. Passarono alcuni secondi, poi, inaspettatamente, Lexie si mise dritta con la schiena, battendo i palmi delle mani e strofinandoli tra loro. «Adesso però devo chiudere.» Aveva bisogno di restare da sola. La guardò negli occhi. «Ci vediamo, Valerie.»

     
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