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    Da quando si era diplomata, Veronica non aveva fatto altro che pensare a quella nuova vita che la attendeva al college. Persino le preoccupazioni più grandi, come la consapevolezza del ritorno delle Logge e i problemi che Inverness stava affrontando, persino quelle cose sembravano in qualche modo sbiadire in secondo piano rispetto alle mille aspettative che si accavallavano nella sua testa. Ogni tanto si fermava a pensarci e si sentiva in colpa, imputando a se stessa un’imperdonabile superficialità. Come poteva intrattenersi su certe bazzecole – sentirsi addirittura felice ed elettrizzata – quando su tutti loro incombeva la spada di Damocle? Come poteva permettersi una tale leggerezza quando alcuni dei suoi amici più stretti avevano subito perdite enormi e venivano costantemente messi con le spalle al muro? Mia, ad esempio, era la sua migliore amica, e per quanto provasse a dare a vedere il contrario, Veronica sapeva bene quanto brutta se la fosse passata durante quell’estate. Si sentiva stupida a parlarle dei propri progetti, o dei corsi che stava seguendo a Portland per avvantaggiarsi sul programma dell’anno a venire. Si sentiva incredibilmente stupida e insignificante, ma non voleva nemmeno precludere all’amica quel poco di svago che la sua presenza poteva donarle. E così aveva fatto del suo meglio per distrarla, includendola in tutte quelle piccolezze che in circostanze normali sarebbero sembrate delle enormità agli occhi di due ragazze di diciotto anni. Forse qualcuno avrebbe dovuto dirle quanto preziosa fosse quella scintilla che aveva ancora nel cuore e quanto gelosamente avrebbe dovuto costudirla. Essere cinici, d'altronde, è facile, ma riuscire a cogliere i momenti belli anche quando la speranza sembrava vacillare non era da tutti - di certo non era qualcosa di cui vergognarsi. Tra mille pensieri, tuttavia, l'estate era infine giunta al suo naturale termine, e quella soglia tanto sospirata tra la vita da studentessa liceale e quella di collegiale libera era finalmente stata raggiunta. Inutile dire che quando si era trattato di fare i bagagli e mettere tutta la sua vita in degli scatoloni, Vanessa Diaz-Rigby aveva dato il peggio di sé: pianti e scene da melodramma come se piovessero, il tutto corredato da mille raccomandazioni e dalla decisione suicida di farsi un tuffo nei ricordi d'infanzia della film, tutti documentati nell'album fotografico di famiglia. La donna aveva insistito per aiutarla nel trasloco, così da poter dare anche un'occhiata alla casetta che da ora in avanti Veronica avrebbe condiviso con Nessie. Anche lì, non mancarono né i pianti, né tanto meno le critiche riguardo tutto ciò che secondo lei non andava bene in quel posto. Come se fossi vissuta in una reggia e non in un buco di culo all'interno di quel buco di culo un po' più grosso che è Liverpool. Era proprio in quei momenti che Veronica sentiva di più la mancanza dei suoi migliori amici: una che aveva ormai scoperto essere in Giappone a godersi la gloria di una rivoluzione andata a buon fine, e Shai, che aveva deciso di godersi la sua vita in vacanza fino al giorno in cui sarebbe ufficialmente ricominciata la scuola.
    All'alba del primo giorno di autonomia, la giovane Rigby si ritrovò da sola nel piccolo terrazzino a guardare il sole sorgere su Hogsmeade, sorseggiando caffè sottomarca da una tazza sbeccata e fumando una sigaretta in cui aveva messo quanto meno tabacco possibile pur di risparmiare. Chiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino inglese, accompagnata da un silenzio spezzato solo da distanti cinguettii. Forse alla fine anche questa è come tutte le altre cose: le sogni tanto solo per poi renderti conto che ti manca comunque un pezzo. Sempre un altro, sempre un po' più in là. Non ci si completa mai del tutto. Io la libertà me l'ero immaginata come turbolenta e rumorosa. Ma forse mi sbagliavo. Forse alla fin fine è solo questo: ritrovarti da sola a bere caffè in terrazza nel totale silenzio. Beh.. poteva andare peggio. Eppure sentiva comunque un senso di vuoto, una mancanza. Veronica era abituata a vivere con una famiglia ingombrante o, in alternativa, all'interno di un castello che stipava insieme centinaia di ragazzini. Silenzio e solitudine erano cose che diceva sempre di volere, ma che in quel momento la facevano sentire a disagio al punto di rimpiangere la sua famiglia caciarona e priva di limiti. Cazzo mi manca persino il rumore del treno che passava vicino a casa nostra e faceva tremare tutte le finestre e il mobilio. Cose, quelle, che non pensava avrebbe mai voluto indietro. Eppure eccola lì, a rimpiangere tutte le cose che più aveva odiato di Liverpool e che per anni le avevano fatto sognare il giorno in cui sarebbe scappata. Rimase quindi lì ad osservare il risveglio della città: i lavoratori che passavano a pulire le strade, l'alzarsi delle saracinesche, i primi visi ancora assonnati che calcavano le strane, le signore anziane che raggiungevano a passo lento il mercato della città e il lento ma sicuro animarsi di quelle viottole che le sarebbero diventate sempre più familiari. Era ancora mattina presto quando tra quei visi ne scorse uno familiare. Per un momento pensò di averci visto male, ma aggrottando la fronte e sporgendosi un po' più oltre l'inferriata del balcone dovette ricredersi: quella peculiare chioma biondo platino apparteneva proprio a Wednesday Mortimer. « Weed! Ehy Weed! Quassù! » disse a voce abbastanza alta da farsi sentire, sventolando la mano sopra la testa per farsi notare dall'ex compagna di scuola. « Che ci fai in giro a quest'ora? » In realtà non la stupiva più di tanto l'idea che la Mortimer potesse essere una tipa mattiniera, ma di certo non si aspettava di trovarla in giro per Hogsmeade a quell'ora, ad ancora diversi giorni di distanza dall'inizio dell'anno accademico. « Non so se hai da fare.. o se hai già fatto colazione, ma se ti va di salire posso mettere su un caffè. O quello che vuoi. Sì insomma, così per farci due chiacchiere. » Si strinse nelle spalle, rivolgendole un sorriso gentile. Anche perché non ci rivediamo tipo da mesi e non so più che fine abbia fatto metà della gente della nostra classe. Che in certi casi non è necessariamente un male.. ma vabbè. « Dai sali. Terzo piano. Ti apro il portone che
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    ancora dobbiamo mettere il nome sul campanello. »
    Detto ciò, corse dentro casa sulla punta dei piedi nudi, raggiungendo velocemente il citofono per premere il tasto d'apertura del portone principale. Tolse quindi il chiavistello dalla porta di casa e l'aprì velocemente, aspettando l'amica sull'uscio. « Ehilà! » la accolse con un largo sorriso, facendosi da parte per farla entrare prima di chiudersi la porta alle spalle. « Non far troppo caso al disordine. Sono arrivata ieri pomeriggio e ancora è tutto un po' work in progress. A giorni dovrebbe arrivare pure Nessie quindi penso che aspetterò lei per sistemare gli spazi comuni. » Insomma, non voglio monopolizzare la casa. Ok che sono del Leone, ma so controllarmi. Nel farle strada dentro l'appartamento si fermò di colpo per qualche istante, passando lo sguardo indeciso tra la cucina e il salottino ancora fatiscente. Dove si ricevono gli ospiti? Dovrebbe essere in salotto. Però è pieno di scatole. E poi sarebbe più comodo in cucina dato che le ho offerto un caffè. Oddio, ce le ho delle alternative in frigo? Mica mi ricordo. Mamma mi ha dato qualche busta e ha cacciato tutto lei chissà dove. Vabbè, facciamo in cucina, dai. Sterzò quindi verso sinistra, liberando il tavolo alla bell'e meglio e aprendo il frigo per controllare cosa ci fosse dentro. « Mmh.. allora. Ho del latte, del succo di pesca e da mangiare.. » fece una pausa, allungando il braccio per aprire uno scaffale. No qui no. E allora il secondo. « ..biscotti, a quanto pare. » Devo fare la spesa. Girò quindi sui talloni per tornare a guardare la compagna. « E il caffè. Pure il tè, in alternativa. Però ho solo zucchero di canna. » Vabbè sì insomma, dimmi tu cosa preferisci. Nel dubbio mise comunque sul tavolo il pacco di biscotti, prendendone un paio da smangiucchiare mentre si issava a sedere sul bancone della cucina in attesa che la compagna gli desse le sue preferenze. « Allora.. raccontami un po': come è andata l'estate? Se sei andata a Portland mi sa che non ci siamo incrociate. » Arricciò le labbra in una piccola smorfia dispiaciuta, dando subito dopo un morso ad uno dei biscotti e masticandolo con cura. « Tu ti sei già trasferita? Studentato o appartamento? » Pausa. « Se ti dovesse interessare, l'appartamento al piano di sotto è ancora sfitto. »


     
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    L’estate di Wednesday Mortimer non aveva avuto niente di particolarmente straordinario. Le sue giornate si susseguivano in modo ordinato, una dietro l’altra, scandite da quella rassicurante routine che sembrava dirle che tutto stava andando per il verso giusto. Era come una tenera coccola prima di dare il via a ciò che era stato, a detta sua, un incosciente salto nel vuoto. Fin da quando aveva memoria, la figlia di mezzo dei Mortimer aveva sempre programmato tutto quanto nei minimi particolari. Che si trattasse semplicemente dello svolgere i compiti o di programmare la propria giornata in modo accurato in base agli impegni previsti, Wednesday poteva ritenersi infine soddisfatta quando tutto andasse com’era nei piani. Credeva di poter prevedere tutto, persino gli eventuali imprevisti. Non per questo temeva di peccare di superbia. Wednesday non si riteneva superiore agli altri né provava disprezzo verso le persone. Cercava sempre di mantenere un atteggiamento mite e remissivo, quel modo di vivere che, a detta sua e del suo Credo, le avrebbe spianato la strada verso la vita eterna. La oramai ex Corvonero era lo stereotipo vivente della perfetta fedele. Nell’ultimo anno, però, più volte aveva temuto di smarrire la via, di essere una pecorella smarrita, di dover affrontare da un momento all’altro qualcosa di molto più grande di lei, che andasse oltre le sue capacità. Forse Arawn la stava semplicemente mettendo alla prova, forse voleva testare quanto forte fosse la fede della sua discepola. Seppur la sua fede avesse per un attimo vacillato, Wednesday non l’aveva mai smarrita e quando era tornata in sé questa si era palesata più concreta che mai, seppur con nuove consapevolezze. La giovane Mortimer aveva sbirciato aldilà della sua miope visuale, vedendo srotolate davanti a sé infinite possibilità. Prendendo per mano un coraggio che non credeva di possedere, aveva deciso di intraprendere una strada fino ad allora mai presa in considerazione, quella di frequentare il College. Per quanto tumultuosa fosse stata quella decisione, si volse convincere che dietro ci fosse lo zampino del suo Dio, che Egli avesse qualcosa in serbo per lei, che la voleva vedere sbocciare e superare i propri limiti. Quando aveva comunicato la sua decisione a mamma e papà non pensava che loro l’avrebbero presa così serenamente. Seppur non l’avessero mai ostacolata nei suoi obiettivi, Wednesday non aveva mai fatto mistero del fatto che appena finita Hogwarts sarebbe voluta andare a lavorare a tempo pieno nell’Impresa Funebre di famiglia. Lo aveva sempre creduto fortemente, da quando era solo una bambina e sua madre le aveva insegnato ad intrecciare i fiori per comporre le ghirlande mortuali. I signori Mortimer, nonostante tutto, si erano mostrati sereni nell’apprendere che la loro bambina avesse voluto continuare a studiare. Lei stessa era convinta che intraprendere gli studi di psicologia avrebbe portato punti in più alla prospettiva che la vedeva finalmente a capo dell’azienda di famiglia. Wednesday Mortimer stava guardando il mondo con occhi nuovi, come se fosse la prima volta che alcuni colori e forme si palesavano davanti a lei. Carpe diem, cogli l’attimo. Forse stava cominciando a capire a pieno il significato di quelle parole. Anche quella mattina Wednesday si era alzata di buon’ora. Le piaceva aprire la finestra e guardare Chinnor, godere un po’ di quella breve parentesi di pace prima che il resto della gente si svegliasse e il piccolo villaggio brulicasse di vita ancora una volta, almeno fin dopo il tramonto. E così sarebbe ricominciato, ancora e ancora, in un circolo perfetto, in quella quotidianità che tanto le piaceva. Ogni cosa sembrava essere al suo posto. Scese le scale a piedi nudi, chiudendo piano la porta della sua camera per non svegliare gli altri. Arrivata in cucina si preparò un caffè e mangiò uno di quei muffin ai mirtilli che suo padre aveva comprato il giorno prima alla graziosa pasticceria all’angolo della strada. Lanciò un lento sguardo alla cucina, come se cercasse di catturare ogni caratteristica, dipingendolo nella propria mente con minuzia di particolari. Ancora pochi giorni e le sue abitudini sarebbero cambiate. Allo studentato probabilmente sarebbe stato tutto più rumoroso, costringendola a doversi adattare in fretta ad un ambiente totalmente diverso da quello che era il Tartaro. Le sarebbe mancato tutto, anche le cose più piccole, come il modo che aveva adottato di camminare in punta di piedi quando passava davanti alle camere dei genitori e dei suoi fratelli quando ci passava davanti così mattiniera. Se ne sarebbe voluta stare lì ancora per un po’ ma, guardando l’orologio, si rese conto che doveva sbrigarsi. La sua destinazione era un negozietto ad Hogsmeade, quello dove si era sempre recata per acquistare colori e tempere che le servivano per dipingere. Il proprietario era un anziano signore con gli occhiali rotondi e dalla montatura spessa che spesso gli scivolavano sulla punta del naso. Lui li rimetteva sempre al suo posto, con prontezza, utilizzando il dito indice, ma Wednesday era consapevole che tra non molto sarebbero scivolati di nuovo. Quella mattina, quando l’uomo arrivò ad aprire la saracinesca del negozio, Wednesday era già lì ad attenderlo. Se ne stava ad un lato della porta, eretta sulla schiena, come un soldatino imperturbabile durante il suo turno di guardia. Nella pagina di un block-notes aveva scritto tutto ciò di cui aveva bisogno: due pennelli nuovi, tre differenti sfumature di blu e l’avorio. Ma infine comprò anche una nuova tavolozza e un carboncino. Avrebbe passato ore a girovagare tra gli scaffali, costatando con soddisfazione il modo in cui tutto era messo in ordine, di come i colori si succedessero di sfumature, creando un effetto cromatico senza errori. In qualche modo, c’era un effetto catartico in tutto ciò. Pagò ed infilò tutto quanto dentro la borsa a tracolla, quella su cui aveva fatto l’incantesimo di espansione. Ringraziò l’uomo con gli occhiali dietro la cassa ed uscì dal negozio. Notò subito, con dispiacere, come le strade avessero cominciato a popolarsi, seppur di poca gente ancora assonnata che si trascinava diretta chissà dove. Era intenzionata a tornarsene di nuovo a casa, ma qualcuno pronunciò il suo nome catturando la sua attenzione. « Weed! Ehy Weed! Quassù! » Fu immediatamente certa che chiunque avesse pronunciato quel nome si riferisse proprio a lei. Aveva un nome singolare, come il resto dei suoi fratelli, e non aveva mai incontrato qualcuno che avesse i genitori tanto stravaganti quanto i suoi da dare ai sette figli i nomi del giorno della settimana in cui erano venuti al mondo. Quindi, frenò di colpo la sua passeggiata alzando la testolina platinata verso l’alto, sicura che la voce fosse venuta da una delle graziose abitazioni che costeggiavano la strada. Ed infatti, aguzzando di poco la vista, vide il volto di Veronica Rigby affacciato da una terrazza. «Buongiorno, Ronnie.» abbozzò un sorriso alla ex compagna di scuola, alzando di poco il tono della voce per farsi sentire, ma non troppo, certa di poter disturbare chi dormiva ancora dietro le saracinesche abbassate degli altri appartamenti. Aveva conosciuto Veronica tramite Mia e doveva ammettere che l’aveva trovata subito simpatica. Era una ragazza così piena di vita da inglobare tutto lo spazio circostante, un uragano impossibile da non notare. Come Mia, si era sempre mostrata gentile nei suoi confronti, un comportamento assai raro da parte della maggioranza dei loro coetanei. In realtà c’era un altro modo in cui la mezzana di casa Mortimer era venuta a conoscenza dell’esistenza di Veronica. Era il Midsummer e nel foglietto di Benjamin, quello pescato nel pozzo delle fate, era uscito proprio il nome della ragazza. Non si era sentita ferita in quel momento, sapeva bene come stavano le cose e si era apprestata a dirlo immediatamente a Benji. Aveva pensato che il giovane Bellow non meritasse di provare un simile senso di colpa nei suoi confronti. L'ultima volta che ci aveva parlato, a Londra, lui le aveva detto che si erano baciati. Era stata felice per lui, per loro. Non sapeva cosa ci fosse ora tra di loro. Tra la fine della scuola e tutto il resto non parlava con Benjamin da diversi mesi e, dal suo canto, Veronica non si era mai sbilanciata con lei su certi argomenti. Rispettava comunque la loro privacy, come le era sempre stato insegnato fare. « Che ci fai in giro a quest'ora? » Weedy si strinse nelle spalle, come per anticipare che quello che avrebbe detto non sarebbe stato nulla di che. «Avevo finito alcuni colori per dipingere..» « Non so se hai da fare.. o se hai già fatto colazione, ma se ti va di salire posso mettere su un caffè. O quello che vuoi. Sì insomma, così per farci due chiacchiere. » All’inizio ebbe l’impulso di rifiutare. Nonostante fosse stata la padrona di casa ad invitarla, la Mortimer aveva sempre l’impressione di essere di troppo. Ma quello era il periodo dei grandi cambiamenti, no? Forse sarebbe dovuta essere più coraggiosa. «Si, va bene. Sei molto gentile.» Non sapeva dire con certezza se fosse stata lei a parlare davvero. Fu felice però di aver detto quelle parole: ora era tardi per tirarsi indietro. « Dai sali. Terzo piano. Ti apro il portone che ancora dobbiamo mettere il nome sul campanello. » Sentì il portone aprirsi ed entrò, precipitandosi a passo moderato su per le rampe di scale, contando mentalmente i piani quando si ritrovava davanti un portone. Al terzo, scorse la figura esile di Veronica aspettarla fuori dalla porta. « Ehilà! » Sorrise alla padrona di casa, mentre lei la faceva accomodare all’interno dell’abitazione. Wednesday si guardò intorno, incuriosita. C’erano doversi scatoloni sparsi per la stanza, ma non era un problema per Wednesday. Le piacevano gli arrivi e le partenze, erano momenti che parevano vibrare di vita propria, sprigionando nell’aria quella sensazione di cambiamento capace di emozionare e spaventare allo stesso tempo. Quello era l’ennesimo segnale che stavano diventando grandi. Annuì nell’apprendere la notizia che Veronica e
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    Nessie sarebbero state coinquiline. La seguì all’interno della cucina per poi vederla rovistare nel frigo per controllare cosa ci fosse. « Mmh.. allora. Ho del latte, del succo di pesca e da mangiare.. biscotti, a quanto pare. E il caffè. Pure il tè, in alternativa. Però ho solo zucchero di canna. » «Oh, del thè sarebbe davvero l’ideale.» esordì con un largo sorriso, guardando la brunetta destreggiarsi come una trottola tra un mobile e l’altro della cucina. Era desolata di quanto la stesse facendo ammattire a cercare e tirar fuori. « Allora.. raccontami un po': come è andata l'estate? Se sei andata a Portland mi sa che non ci siamo incrociate. » Scosse la testolina argentata con un piccolo sorriso. Era più che certa che i suoi coetanei avessero passato una meravigliosa e pazzesca estate prima del College. Chissà cosa avevano fatto, chissà quante cose avevano visto. La sua estate non era stata così entusiasmante e di fronte agli occhi incuriositi di Veronica, si sentì quasi in colpa per non poterle dare un racconto straordinario, ma solo molto ordinario. «In realtà non ho fatto molto. Ho passato una settimana a Glamis un villaggio in Scozia, ospite di un’anziana signora amica di famiglia. E’ stata una breve vacanza rilassante. Nonostante sia un piccolo paese ci sono un sacco di cose da vedere. Il Castello è un luogo davvero incantevole..» Si, perché essendo considerato il luogo più infestato del mondo, per la piccola Mortimer aveva un fascino irresistibile. «Il resto dell’estate l’ho passata a casa. C’è stato un po’ di lavoro da fare e ho aiutati i miei con l’Impresa..» « Tu ti sei già trasferita? Studentato o appartamento? Se ti dovesse interessare, l'appartamento al piano di sotto è ancora sfitto. » Le sorrise, sinceramente. Riusciva a capire cosa Benjamin vedesse in lei: era una ragazza molto gentile e piena di vita. «Grazie, ma per il momento mi sto trasferendo allo studentato. Ma non metto in discussione che un giorno possa trovare un’altra sistemazione..» Le rivolse un piccolo sorriso. «E tu, invece? Come hai passato l’estate?» strofinò i palmi delle mani l’uno contro l’altro. «Sai.. Non so neanche quale indirizzo universitario hai deciso di seguire..»

     
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    « In realtà non ho fatto molto. Ho passato una settimana a Glamis un villaggio in Scozia, ospite di un’anziana signora amica di famiglia. E’ stata una breve vacanza rilassante. Nonostante sia un piccolo paese ci sono un sacco di cose da vedere. Il Castello è un luogo davvero incantevole.. » L'idea che Veronica aveva sul concetto di vacanza, inutile dirlo, era un po' diversa da quella di Weed. La giovane Rigby era sempre stata una ragazza dalla natura piuttosto esuberante: le piaceva stare in gruppo, fare festa, star sveglia fino a tarda notte anche solo per ridere con un'amica. Probabilmente non sarebbe resistita due giorni in un piccolo villaggio scozzese, ospite di un'anziana signora. In uno scenario del genere, per lei non c'erano stimoli, a prescindere da quanto incantevole potesse essere il posto. Però Weed era diversa da lei, e questo lo aveva sempre saputo. Si ritrovò quindi ad annuire, trovando la cosa estremamente nelle corde dell'amica, sebbene dal canto suo non potesse dire di comprenderla totalmente. Non che Ronnie avesse fatto chissà cosa quell'estate: i soldi per viaggiare non li aveva e Portland poteva essere vista solo in maniera relativa come una meta da vacanza. Una vacanza in cui ti porti avanti con lo studio è davvero una vacanza? Cazzo.. sono proprio diventata una tristona. È così. « Il resto dell’estate l’ho passata a casa. C’è stato un po’ di lavoro da fare e ho aiutati i miei con l’Impresa.. » Insomma, alla fine dei conti, nemmeno Weed aveva fatto grandi cose. Forse non le ha fatte nessuno, in realtà. Forse questa cosa dell'estate dopo il diploma è solo un mostro mitologico di cui tutti parlano come se fosse la fine del mondo ma che poi non è nulla di speciale. La giovane Rigby ci aveva pensato tante volte a cosa avrebbe fatto in quei magici mesi estivi; spesso ne aveva parlato con Mia, durante le pause tra una lezione e l'altra al castello, organizzando piani che forse avrebbe già dovuto capire essere irrealizzabili. Robe come un viaggio in America coast to coast a bordo di un vecchio e cigolante pulmino Volkswagen. All'epoca quelle cose non sembravano così assurde, forse perché le sognavano da dentro le mura di un castello pieno di regole, da cui l'esterno sembrava un mondo pieno di possibilità pronte per essere colte con semplicità. Sembrava quasi che quelle regole fossero l'unica cosa a mettersi tra loro e ogni sogno, anche il più semplice. Una volta uscite di qui - quante volte avevano pronunciato quelle parole? Troppe per contarle. Scrollate le spalle, decise quindi di addentare un biscotto e cambiare discorso, chiedendo a Weed quali fossero i suoi piani per l'alloggio. « Grazie, ma per il momento mi sto trasferendo allo studentato. Ma non metto in discussione che un giorno possa trovare un’altra sistemazione.. » Annuì, bofonchiando qualcosa a bocca piena prima di darsi il tempo di ingoiare e dare un ordine a quelle parole. « Inizialmente ci avevo pensato pure io, sai? Allo studentato, dico. Poi però ne abbiamo parlato con Nessie e pian piano questa cosa della convivenza è diventata un piano tangibile. Quindi eccoci qui. » A Ronnie, d'altronde, piaceva avere i propri spazi, e lo studentato era un posto che quel lusso te lo permetteva fino ad un certo punto. Probabilmente ci sarebbe andata comunque, se solo non avesse trovato quell'accordo con Nessie, una delle sue più care amiche. In caso contrario, condividere casa con un estraneo non le sarebbe andato troppo a genio. « E tu, invece? Come hai passato l’estate? Sai.. Non so neanche quale indirizzo universitario hai deciso di seguire.. » Sorrise, balzando giù dal ripiano della cucina e sfregandosi le mani per ripulirle dalle briciole residue dei biscotti. Si allungò verso la mensola per prendere un bicchiere pulito in cui versò del succo, prendendone un sorso. « Alla fine sono rimasta su Pozionistica. Penso di esserne stata sicura sin da quando è stato creato il College. » Si strinse nelle spalle con semplicità. « Non lo so.. l'ho sempre sentita come la mia strada. E sono molto elettrizzata all'idea di cominciare. » Ronnie era sempre stata una ragazza decisa: sapeva di essere portata in quella cosa, era la sua passione e quindi era
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    determinata a seguirla e metterci tutta se stessa. Finire Hogwarts e lasciarsi indietro materie che sentiva non l'avrebbero aiutata in quel percorso era qualcosa che aveva atteso da molto tempo. Sospirò, prendendo poi un altro sorso di succo prima di continuare. « Per quanto riguarda le vacanze, non ho fatto nulla di speciale. Sono andata a Portland per un periodo, ma principalmente l'ho fatto per portarmi avanti col programma dei primi corsi. Il resto del tempo l'ho passato a Liverpool con la mia famiglia. » Sciabolò le sopracciglia, rivolgendole un'occhiata eloquente. Insomma, niente botti e squilli dal mio fronte. Liverpool non era esattamente una città da vacanza, e il quartiere in cui Veronica viveva lo era ancor meno, ma di tutto ciò, difficilmente la giovane parlava. Non era tanto vergogna quella che provava nei confronti della propria condizione di origine, quanto piuttosto un moto di eccessivo orgoglio che rifiutava di mettersi nella condizione di essere guardata quasi con pietà dagli altri. Per questa ragione era anche il tipo di persona che preferiva sacrificare se stessa e fare più di un lavoro piuttosto che chiedere anche solo mezzo galeone in prestito. « In realtà avevo in mente un sacco di cose per questa estate.. ma c'è stato qualche cambio di rotta. » Fece una pausa, spostando per un istante lo sguardo fuori dalla finestra. « Shai è tornato a casa. Mia.. beh.. immagino avrai letto i giornali e tutte le cose che sono successe. » Tirò un sospiro. E poi rimango io, con la sola sicurezza di voler fare Pozionistica. Un tempo quella consapevolezza l'aveva fatta sentire in una botte di ferro, come se avesse in pugno la propria vita. In fin dei conti quanti ragazzi della sua età potevano dire di sapere con precisione cosa volessero fare? Pochi. Quasi nessuno a dirla tutta. Eppure in quel momento la cosa non sembrava consolarla poi tanto, forse perché al di là di quella sicurezza non ne aveva altre. Rimase per qualche istante in silenzio prima di voltarsi di nuovo verso Weed, interrogandola con lo sguardo. « A volte non ti sembra che tutti stiano facendo grandi cose? Non necessariamente importanti, ma comunque.. bo.. che stiano andando avanti - qualunque cosa ciò significhi per loro. » Fece una pausa. « Io un po' mi sento così. Come se tutti intorno a me stessero cambiando, ma io fossi sempre la stessa. Ed è strano.. capire come adattarsi a questo costante movimento. »


     
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    « Inizialmente ci avevo pensato pure io, sai? Allo studentato, dico. Poi però ne abbiamo parlato con Nessie e pian piano questa cosa della convivenza è diventata un piano tangibile. Quindi eccoci qui. » I lati delle labbra di Wednesday si sollevarono appena, rivelando quello che doveva essere un piccolo sorriso. Comprendeva il desiderio di Veronica e Agnés di avere uno spazio tutto loro, qualcosa di diverso da ciò che avevano avuto fino ad allora, qualcosa di più adulto, di più loro. Fin da quando era nata, la ex Corvonero si era subito ritrovata a dover condividere gli spazi con la sua numerosa famiglia. Seppur immensa, la tenuta del Tartaro a volte sembrava andarle troppo stretta. Era quasi impossibile varcare i corridoi senza imbattersi in uno dei suoi fratelli o nei fantasmi che popolavano la dimora. Seppur amasse incondizionatamente la sua famiglia, era stato automatico ritagliarsi un posticino tutto suo, un luogo dove recarsi quando voleva stare sola, quando aveva bisogno di lasciare il resto del mondo fuori dalla porta. Aveva escluso la sua stanza perché, troppo spesso, i suoi fratelli avevano la pessima abitudine di entrare senza essere invitati. Inutile si era rivelato chiudere bene a chiave. Il laboratorio mortuario dell’impresa di famiglia si era svelato il posto più adatto. Una volta messo piede in quella stanza, la figlia di mezzo dei Mortimer poteva fare quello che voleva. Non le dispiaceva condividere gli spazi con qualcuno steso sul tavolo chirurgico. Quando si dedicava alla pittura, sulla tela o sul volto dei defunti, era solita mettere musica che a questi piaceva ascoltare quando erano vivi. Era un’informazione che chiedeva sempre ai parenti quando si recavano all’Impresa Funebre a consegnar loro il corpo dei propri cari. Quando era stanca di dipingere si dedicava alla lettura. Prediligeva la lettura ad alta voce come se chi aveva accanto potesse effettivamente sentirla. Anche se sola, continuava a comportarsi come se fosse in compagnia. Forse era troppo abituata alla presenza degli altri. « Alla fine sono rimasta su Pozionistica. [...] l'ho sempre sentita come la mia strada. E sono molto elettrizzata all'idea di cominciare. » Si vedeva. Era ammirevole la determinazione con cui Veronica palesava il suo desiderio su cosa voler fare da grande. Era una qualità rara, non sempre presente nei ragazzi della loro giovane età. Persino la stessa Wednesday aveva avuto non poco materiale su cui rimuginare, cambiando idea più e più volte. Non perché possedesse chissà quanti talenti. Semplicemente l’idea di esplorare un solo orizzonte la terrorizzava. Aveva sempre avuto una visione straordinariamente ampia delle cose e scegliendo una sola strada temeva che non avrebbe avuto più molto tempo per guardarsi attorno. Aveva voluto convincersi che si sbagliava. «Fa star bene, non è vero? L’idea di potersi finalmente dedicare completamente a ciò che si ama, lasciandosi indietro quelle pesanti lezioni su argomenti di cui non ci interessa niente..» Si strinse leggermente nelle spalle. «Non sto esagerando nel dire che le lezioni di Divinazione non mi mancheranno affatto..» Si concesse un sorrisetto più accentuato. « Per quanto riguarda le vacanze, non ho fatto nulla di speciale. Sono andata a Portland per un periodo, ma principalmente l'ho fatto per portarmi avanti col programma dei primi corsi. Il resto del tempo l'ho passato a Liverpool con la mia famiglia. » Rimase piacevolmente colpita dalle parole di Veronica. Il pensiero che qualcuno della sua età avesse passato l’estate a studiare invece che ad ubriacarsi dalla mattina alla sera fu piacevole come una boccata d’aria primaverile. Certe informazioni la facevano ancora sperare per il futuro. Non che il futuro avesse bisogno di migliaia di Ministri della Magia o cose del genere, semplicemente aveva bisogno di persone con sale in zucca. Veronica le aveva sempre dato l’idea di essere una tipa tosta. Ammirava il modo in cui appariva sempre sicura di sé anche se magari a volte non lo era affatto. Era un’attitudine da non sottovalutare. «Sai, penso che ai nostri genitori faccia piacere la nostra presenza in questo particolare periodo. Stiamo attraversando quella fase della vita che ci porterà a diventare degli adulti che avranno una vita propria, un lavoro, magari un nuovo nucleo familiare più avanti e temo che loro questo lo sappiano.» Arricciò le labbra, mentre le sopracciglia si avvicinavano leggermente, creando sul suo volto un’espressione quasi dispiaciuta. «Sarei devastata se la mia famiglia pensasse che non avrò più tempo per loro.» « In realtà avevo in mente un sacco di cose per questa estate.. ma c'è stato qualche cambio di rotta. Shai è tornato a casa. Mia.. beh.. immagino avrai letto i giornali e tutte le cose che sono successe. » Annuì con un piccolo accenno del capo. Solitamente non si interessava ai gossip e alle stupidaggini che alcuni giornali scrivevano. Ma i pettegolezzi avevano anche la capacità di volare di bocca in bocca, quindi fu impossibile che le chiacchiere non arrivassero anche alle sue orecchie. Ora che ci pensava era passato un mucchio di tempo dall’ultima volta che aveva sentito Mia. Forse avrebbe dovuto mandarle un messaggio in quei giorni. «Immagino che faccia parte dei programmi.. La capacità di cambiare da un momento all’altro, intendo.» Le rivolse un sorriso, come se volesse in qualche modo rassicurarla. «Ti confesso che l’imprevedibilità è una delle cose che mi spaventano di più. Ma temo che ora che stiamo crescendo dovremmo averci a che fare più di quanto immaginiamo.» “Dover risolvere cose da grandi”. Quella frase la spaventava terribilmente, seppur in qualche modo Wednesday fosse grande già da quando era una bambina. « A volte non ti sembra che tutti stiano facendo grandi cose? Non necessariamente importanti, ma comunque.. bo.. che stiano andando avanti - qualunque cosa ciò significhi per loro. Io un po' mi sento così. Come se tutti intorno a me stessero cambiando, ma io fossi sempre la stessa. Ed è strano.. capire come adattarsi a questo costante movimento. » Restò in silenzio, per una manciata di secondi che parvero infiniti. Le parole pronunciate da Veronica le entrarono sotto la pelle, aiutandola a realizzare quanto tutto ciò appartenesse anche a lei. Le sembrava di partecipare ad una corsa, dove lei non riusciva a stare al passo con gli altri. Non le era mai importato di provare a stare al passo, a dire la verità. Non si sentiva una spettatrice, lei aveva ben chiaro cosa e come dovesse andare la sua vita. Step dopo step, senza forzare le cose, senza fretta. Eppure, i paragoni, a volte, venivano spontanei. Annuì, sistemandosi meglio nella sedia, come se quel discorso le
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    stesse scomodo e non riuscisse a trovare la posizione adatta per affrontarlo. «Sai, Veronica. Non credo che sia sbagliato rimanere te stessa. Anzi, a mio parere è una cosa estremamente rara. Significa non amalgamarsi al sistema.» Amalgamarsi al.. Ma ti senti quando parli, Wednesday Mortimer? Dalla sua gola salì una piccola risatina, come se trovasse divertenti le sue stesse parole. «Voglio dire.. Viviamo in una società in continuo mutamento ed è normale avere la sensazione di non riuscire a stare al passo. Non sempre fare grandi cose combacia con fare le cose giuste. Tantomeno ad essere felici.» Si strinse nelle spalle. «Penso che come in natura, tutti noi abbiamo tempi di fioritura diversi. Non si può affrettare un fiore a sbocciare prima del suo tempo.» Tempo al tempo. Era questo che si ripeteva sempre. «Anche se.. Il tempo da solo non basta. L’ho imparato a mie spese, a dire la verità. C’è sempre bisogno di qualcosa, di un innesco, perché il cambiamento cominci. A volte migliaia di occasioni ci passano sotto il naso e noi neanche ce ne accorgiamo. Il fatto è che stiamo attraversando un momento davvero delicato della nostra vita dove ci vengono chieste di fare cose a cui non eravamo abituati.. Alcuni ci mettono di più a metabolizzare, altri meno.» Le sorrise, stavolta più apertamente, come se stesse cercando di rassicurarla. «Sono sicura che anche tutto ti verrà naturale piano piano..»

     
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