Lontano dal tuo sole

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    « Perché non ne parliamo un'altra volta? Da persone mature? », la voce della ventenne Amunet Carrow piomba nel mezzo della conversazione con Albus, regalando una ventata di saggezza, dall'alto della sua veneranda età. Peter rivolge un'occhiata di fuoco anche a lei. Non risparmia nessuno, non a quel giro. Ma certo, parliamone un'altra volta. Abbiamo così tanto tempo prima che James crepi ad Azkaban. Continuiamo a rigirarci i pollici nell'attesa, mi raccomando. Comunque il giovane Potter non replica, consentendo così a Peter di partecipare in tutta tranquillità al secondo conflitto della serata - l'unico che, a dir la verità, si aspettava. Tra urla e schiamazzi con Valerie, gente intorno che inizia ad alterarsi ed altri che la prendono a ridere, ecco che la festa del banchetto d'inizio anno è servita. Fanculo. Punto nell'orgoglio, Peter per poco non finisce per dare un pugno al primo ragazzetto del cazzo che passa di lì a caso, meritevole di punizione per aver esclamato: "avevo ragione a non votare la Paciock, guarda un po' che casini combinano in quella famiglia". E lo farebbe, lo pesterebbe lasciandolo a terra, ma viene interrotto prima di poter dare sfogo a rabbia e rancore. Da una voce familiare. La stessa che non sentiva da tempo - almeno, non faccia a faccia, solo attraverso qualche sporadico messaggio. « Andiamo. Devi venire con me. », è tentato di risponderle di no. Non ha voglia di combattere l'ennesima battaglia, soprattutto con lei. Soprattutto dopo lo scontro con Albus, deluso dal suo discorso - il cui unico intento era incoraggiare Karma e infastidire l’amica di lei, Valerie. A tal proposito, K: amici e guardati le spalle trecento volte prima delle pugnalate sui social. «Anche tu girata di culo perché sono felice per mia sorella?», avanti, Olympia, odiami quanto mi odia Albus, sarà tutto più facile. Non riesce neanche a trattenere il linguaggio particolarmente forbito, è troppo destabilizzato per farlo. Usciamo al naturale, una volta per tutte. No? « [...] Innanzitutto volevo ringraziare i senior uscenti per l'ottimo lavoro svolto negli anni passati, proverò a mantenere alto lo standard. », brava, meno male che l'hai specificato tu. Perché abbiamo nervi scoperti in giro. Si volta dall'altra parte, non riuscendo a reggere il suo sguardo verde - né volendovi leggere tracce di delusione. Perché anche Peter, in fondo, ha detto parole pesanti ad Albus - una delle persone più importanti nel cuore di Olympia. Vali meno della metà di James - o una cosa simile. Si ravvia i capelli, il Grifondoro cuor di leone, per poi arrendersi ad una specifica evidenza. E' vero. Dobbiamo parlare. «Andiamo.», al di fuori del tendone allestito sul Lago Nero, i due concasata si trovano immersi nell'oscurità. Continuano a camminare in silenzio, tra una foglia rinsecchita sul terreno e l'altra, finché non raggiungono il limitare del confine scolastico. «Sai dove.. Dov'è che vorresti parlare?», giusto un lieve tentennamento nella voce. Dettato, invero, dal fatto che non vuole trovarsi in presenza di altre persone. Tanto per citarne una, Albus, consorte e tutti quanti. «Allora..», riflette a voce alta. Fosse accaduto in altri tempi, non ci avrebbe pensato due volte a prendere la mano di Olympia per smaterializzarsi esattamente dove voleva. Adesso, però, è diverso. «Paiolo Magico?», domanda. I suoi genitori non dovrebbero esserci, Louis è al banchetto e i camerieri sapranno benissimo cavarsela da soli. E' dunque con una sensazione di pura vertigine - che lo infastidisce molto, vista e considerata la nausea pregressa scatenata da litigi indesiderati - che atterra di fronte all'ingresso principale del locale ereditato dai Paciock. «Ciao Piti! Ciao stella!», Liza li accoglie con un sorriso a trentadue denti. Spalanca gli occhi quando osserva meglio i loro volti visibilmente provati. «T..Tutto bene, mh? Piti in cucina sono avanzati tipo due chili di pasticcio di patate, ne volete per caso un..», si interrompe quando Peter esclama: «Tutto ok, Lì, grazie..», la liquida così, facendo cenno a Lympy di seguirlo nella saletta laterale, quella riservata al personale. Evoca un Muffliato all'istante. Per sicurezza. Si posiziona in uno dei tavolini laterali, in attesa che la Potter sieda di fronte. Non vuole rompere il ghiaccio con un asettico "allora?". Per cui aspetta, e aspetta ancora. Ma l'attesa non è mai stata una delle sue qualità principali. Iniziano a prudergli le mani - e la lingua. Quindi sbotta, frantumando l'aria intorno a loro col suo tono di voce.
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    «Da dove partiamo? Vuoi iniziare ad elencare anche tu cosa ti ha fatto rimanere male del mio discorso oppure cosa? C'è dell'altro? "Fanculo Peter sei così infantile"? Va bene, ok, sono infantile, buongiorno, lo scopri adesso?», come se avessi mai avuto l'obiettivo di ferirvi intenzionalmente. Di ferire te, soprattutto. «Altre lezioni o messaggi chiave da portare a casa per Peter? Tipo che non sono più il benvenuto nella famiglia Potter o non so che altro? Vai spara. Ti ascolto.», continua a rincarare la dose, quasi come se le parole di Albus fossero state pronunciate da lei. Non posso crederci. Ti sto davvero facendo questo. La consapevolezza di sguazzare nel torto marcio, quanto meno con Olympia, lo divora da dentro. Ti sto addossando una colpa che non hai. Delle parole che non hai detto. Per che cosa? Per sfogare il mio scontento, come ha detto Albus? - lo sguardo di Peter saetta a destra e a sinistra pur di non incrociare quello della Potter. Continua ad interrogarsi sul proprio comportamento, sulle proprie azioni, su cosa è giusto, su cosa è sbagliato. La verità è che non lo sapeva prima e non lo sa adesso. E' solo triste e furente. Ma c'è dell'altro, indiscutibilmente: è come se fosse una rabbia pregressa. Una ferita antica, che risale a mesi prima e trova sfogo nel presente. «Sai che c'è? Io non vi capisco. Cosa vuol dire non sei venuto alla Tana? Che non partecipo al vostro dolore? Che non me ne frega niente di voi? Cosa cazzo vuol dire?», sbotta all'improvviso, chiudendo le mani a pugno per affondare le unghie nel palmo - le sensazioni a livello fisico aiutano a placare il tormento psicologico. Forse è per questo che faccio partire sempre risse. «Non l'avete perso solo voi un fratello. L'ho perso anch'io.», probabilmente sì, è vero che mi sono rinchiuso nel mio dolore. Perché non mi piace condividere questo lato della mia persona. Solo che... Una consapevolezza lo attraversa, fulminea. Non mi sono reso conto che così facendo avrei perso anche te. Ma non può arrendersi a quel pensiero, non vuole neanche pensarlo. Cerca di cancellarlo con la prima frase del cazzo che trova. «Di' qualcosa, cazzo.», proprio una genialata, Peter. La frase migliore che potevi scegliere.

     
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    «Anche tu girata di culo perché sono felice per mia sorella?» Anche tu. Stringe appena gli occhi mentre lui li rifugge. E' ancora immersa nel dolore che ha sentito nel toccarlo, Olympia, tanto da sapere che non sarebbe una buona idea rispondergli per chiedergli a cosa si stia riferendo. Con il senno di poi, conoscendo bene gli elementi dell'equazione, fare due più due non le tornerà troppo difficile. E' ancora stretta da quella stessa morsa rabbiosa che lui prova con così tanta veemenza mentre tentenna nell'allungare la mano verso di lui, ma semplicemente lo fa, lanciando una veloce occhiata intorno a sé, con un certo grado di timore evidente negli occhi. Lei, ormai carta da parati da mesi, ha paura ora di essere guardata, di essere anche soltanto vista di sfuggita. Spera quindi che Peter non opponga resistenza nel sentire le sue dita affusolate stringersi intorno a quelli di lui. Che non faccia niente di strano, che possa essere visto da un occhio attento e mal interpretato. Ti prego gli stanno urlando le iridi verdastre nell'unico momento in cui lui la guarda di sfuggita. «Andiamo.» Il sollievo che prova nell'istante in cui lui si incammina fuori dal tendone è evidente, con le spalle che si rilassano nell'affiancarlo in silenzio mentre si passa la tracolla della borsa sopra la testa. Li accompagna il rumore dei loro passi tra l'erba, i tacchi incontrano di tanto in tanto delle foglie secche e producono una nota differenza in quella sinfonia silenziosa risvegliando l'attenzione della piccola Potter. Gli cammina vicino ma non proferisce parola, è ancora lì, costretta a fare i conti con la propria testa e tutte quelle intrusioni alle quali si è aperta involontariamente. «Sai dove.. Dov'è che vorresti parlare?» Salta quasi sul posto nel sentire la sua domanda, sorpresa nel momento di sua concentrazione massima per tentare di chiudere la mente all'ascolto. « Non...ci ho pensato. » Si ferma, una volta superati i cancelli, la luce di un lampioncino rende leggermente più luminoso il tutto. « Un posto in cui non ci verrebbero a cercare. » Il chi, forse, non è completamente chiaro a Peter. Un posto dove possiamo parlare senza che nessuno ascolti. «Allora..Paiolo Magico?» E' decisamente riconducibile ad Hannah Abbott quel locale, però ricorda bene degli anfratti privati in cui lei e Peter hanno trovato riparo più e più volte nei mesi passati, tra risate cristalline e baci rubati. Deglutisce e annuisce prima di socchiudere gli occhi per visualizzare la taverna, Con un senso di vomito sempre più crescente, il suo corpo si stringe e si allarga, svanendo poi in un turbinio bianco. Riatterra all'ingresso, con aria disorientata, impiegandoci qualche istante a recuperare l'equilibrio, la mano ancorata al muro di fianco. «Ciao Piti! Ciao stella!» Alza una mano per salutare Liza, tentando - invano - di sorridere sinceramente. E i loro sguardi vacui devono suggerirle che c'è qualcosa che non va, portando Peter a mettere subito le mani avanti. Figurati se c'è qualcosa che non vada. E poi semplicemente lo segue, continuando quel cammino del silenzio, mentre lui evoca l'incanto di dovere a renderli impermeabili ad interferenze varie ed eventuali. Poi si siede e lei rimane in piedi, qualche passo indietro rispetto a lui, come a voler tenere una certa distanza di sicurezza, se vista dall'esterno, ma il suo è più un non sapere più come comportarsi in sua presenza. Non so nemmeno se posso più definirti mio amico. Piega le labbra in una smorfia laterale quando si rende conto che, essendo stata lei a volerlo portare via, stia a lei iniziare quella conversazione. Cerca di schiarirsi le idee per capire da dove cominciare quando lui, ancora pieno di adrenalina, sbotta. «Da dove partiamo? Vuoi iniziare ad elencare anche tu cosa ti ha fatto rimanere male del mio discorso oppure cosa? C'è dell'altro? "Fanculo Peter sei così infantile"? Va bene, ok, sono infantile, buongiorno, lo scopri adesso?» Anche tu. E' la seconda volta che lo usa e comincia a non sembrarle più un caso. «Altre lezioni o messaggi chiave da portare a casa per Peter? Tipo che non sono più il benvenuto nella famiglia Potter o non so che altro? Vai spara. Ti ascolto.» Chi ti ha parlato? Mun? No. Albus, decisamente Albus. Deve averti preso da parte quando non me ne sono accorta. Ma anche me ne fossi accorta, dovevo venirti a salvare? «Sai che c'è? Io non vi capisco. Cosa vuol dire non sei venuto alla Tana? Che non partecipo al vostro dolore? Che non me ne frega niente di voi? Cosa cazzo vuol dire?» Batte il piede a terra, involontariamente, le mani dietro la schiena in una posa tanto fanciullesca vista da fuori. Vorrebbe rispondergli, vorrebbe aprire la bocca e farlo, ma non riesce a mantenere il controllo della propria mente nel vederlo così arrabbiato e ferito. Nel sentirlo. «Non l'avete perso solo voi un fratello. L'ho perso anch'io.» Per un attimo ha come l'impressione di essere al centro di un uragano, nell'occhio del ciclone che i sentimenti di Peter provoca in lei. Non capisce più quale siano le proprie emozioni e quali quelle di Peter. Non sa più dove finisce lei e comincia lui. James, mio fratello. James, tuo fratello. Così chiude gli occhi, le braccia portate a stringersi il petto, a difendersi, a tentare di chiuderlo fuori, di sbattergli la porta in faccia. Ma lui mette il piede in mezzo. «Di' qualcosa, cazzo.» Respira a fondo, le dita che si stringono intorno al busto, giusto un istante prima di rilasciare la presa sulla cassa toracica. Silenzio. E riapre gli occhi che, se potessero, sarebbero corrosi da fiamme ardenti. « Sforzarsi di non provare niente per non provare qualcosa.. » Il tono di voce è pacato, il solito di Olympia Potter, senza alcun turbamento. « Che spreco. » Scrolla la testa, con i ciuffi di capelli davanti che le incastonano il volto danzando. « Cosa ti ha portato? » Alza le sopracciglia. « Cosa hai guadagnato, Peter?» Pausa. « Cosa hai vinto dall'allontanarti a gambe levate da ciò che provavi? » Stringe le labbra e corruga la fronte nello sforzo sovrumano che le costa zittire la sua aura. Però lui vuole la sua totale attenzione, glielo urla in faccia e lei non può far altro alla fine che lasciar fluire tutto, senza provare a tirarsi indietro. E si lascia guidare da ciò che lui le sta facendo provare, fa un passo avanti e un altro più frettoloso mentre non gli si siede di fronte. I gomiti poggiati sul tavolo mentre si sbilancia in avanti verso di lui. « Cosa hai vinto a scappare più lontano possibile da tutti noi? » La mano sinistra le trama e non appena se ne accorge, la nasconde con la destra, ritraendole entrambe.
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    « Dimmi che è stato ricco il premio che ti sei aggiudicato nell'abbandonarmi quando avevo più bisogno di te. Non mamma, non papà, non Albus o i nonni. Io avevo bisogno di te. Di poterci essere per te. Per portare questo dolore che sento insieme. » Olympia Potter, destinata al perpetuare della sua storia. Prima Willem, poi Rudy e ora lui. Scocca la lingua contro il palato in segno di frustrazione e stizza. « Non me l'avevi promesso, non ci siamo mai promessi niente in realtà, forse non sapevamo neanche come definirci, ma se avevo una cosa chiara in testa è che tu non avresti fatto lo stesso. Che tu non te ne saresti semplicemente andato senza dirmi neanche il perché. Senza guardarti più indietro per mesi. » Sente il principio di una risata nervosa risalirle la gola mentre gli occhi le si appannano lievemente e allora li abbassa, improvvisamente interessata alle pieghe della gonna, decisamente fuori posto. « Io avrei capito, se non fossi scappato ma me ne avessi parlato, io.. » ci sarei stata. Mi ricordo com'è stato con tua sorella. Ne ha parlato una volta con James, di Peter il fuggitivo e di sua sorella morente sul letto di ospedale. Aveva sentito nonno Arthur, una volta, giudicarlo assai severamente e lei non si era sentita di giudicare il modo in cui aveva scelto di affrontarlo. Cosa che però sta facendo ora. Perché in fondo sono tutti degli ipocriti che non vedono il quadro generale quando si è implicati in prima persona. « Di sicuro hai guadagnato che, non venendo alla Tana, non sai minimamente come comportarti con le dichiarazioni pubbliche. » Dopo attimi di silenzio, semplicemente la voce è una linea piatta. « Non sai che sono mesi che tutti noi stiamo camminando sui gusci d'uovo, cercando di fare il nostro meglio per non dire e non fare qualsiasi cosa che possa essere mal interpretata da uno qualsiasi degli avvoltoi che ci girano in testa per buttarci ancora più fango addosso, per affossare ancora di più James agli occhi dell'opinione pubblica. » Lo sguardo, ormai spento dalla rabbia di lui, si posa su qualcosa oltre le sue spalle. « Dove sei vissuto fino ad oggi, Peter? Per le testate governative siamo delinquenti. La famiglia Potter è l'indesiderata numero 1. La famiglia Potter ha terra bruciata intorno, ovunque si giri a guardare. E ora, dopo stasera, è probabile che avrai un assaggio di ciò che è stato finora per chiunque abbia detto una parola fuori posto intorno a noi. Persino zio Dudley sono andati a scomodare e sono riusciti a ricamarci su un bell'articoletto denigratorio niente male. » Ora la risata amara semplicemente si infrange contro le pareti della stanzetta, con l'intenzione di liberare un minimo la rossa di quel peso costante che si sente addosso. « Le tue parole potrebbero essere rimescolate e usate contro di noi. Immagina che bello il titolone di domani su Strega Moderna. "Anche i Paciock abbandonano il fianco dei Potter, parole taglienti di Peter Paciock sulla sua ex". Ci mangerebbe per giorni con un po' di finto gossip da quattro soldi. » Ma non è neanche tutta colpa tua, non lo sapevi. Avresti potuto sapere ma volevi correre via e nessuno te ne può fare una colpa. Prende un gran respiro, mentre ha bisogno nuovamente di alzarsi. E cammina, allontanandosi sempre di un passo in più. « E' stato facile andarsene? » Di scatto gli chiede, con voce decisamente incerta, gli occhi che cercano quelli di lui. « Hai perso un fratello, è vero, ma a me ci hai mai pensato? » C'è un strano senso di fretta nella sua voce, come se avesse bisogno di quella risposta più dell'aria, in quel momento. C'è un'egoistico bisogno di farsi del male, magari andando incontro ad una risposta negativa. Alla fine dei conti è forse l'unica che vorrebbe avere, l'unica che la farebbe scendere a patti con quell'intera situazione. Spiegherebbe tutto, le farebbe mettere l'anima in pace. Dimmi che è stato facile perdere anche me, ti prego.
     
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    « Sforzarsi di non provare niente per non provare qualcosa.. », viene subito preso in contropiede, Peter. Cosa vorrebbe dire? - si chiede, scuotendo la testa. « Cosa hai vinto dall'allontanarti a gambe levate da ciò che provavi? », rimane quasi paralizzato di fronte a quell'accusa. Quella di esser fuggito. La peggiore accusa del mondo, soprattutto se pronunciata dalle labbra di Olympia. Non è la prima volta che accade. Non si è mai trattato di periodi troppo lunghi, ma è innegabile ci siano state altre occasioni simili. Come quando Karma era in fin di vita e lui non riusciva più a guardarla in faccia, per paura che la sua immagine si sgretolasse all'istante. Davanti ai suoi occhi. Quello probabilmente è stato il suo errore più grande - ma al contempo non riuscirebbe ad immaginare un altro tipo di possibile reazione da parte sua. Non potevo starle accanto. Il mio dolore si sarebbe sommato al suo, questo l'avrebbe soltanto distrutta. Non avrei potuto aiutare Karma. Non vuole convincersi di aver ragione su questo... E' semplicemente la sua modalità di reazione al dolore. Una non reazione. Una fuga. « Cosa hai vinto a scappare più lontano possibile da tutti noi? », sempre la solita merda. Lo stordimento. « Dimmi che è stato ricco il premio che ti sei aggiudicato nell'abbandonarmi quando avevo più bisogno di te. Non mamma, non papà, non Albus o i nonni. Io avevo bisogno di te. Di poterci essere per te. Per portare questo dolore che sento insieme. », stringe i pugni di fronte alla versione dei fatti di Olympia. Avevi bisogno di me. Ed io non c'ero. Si percepisce terribilmente egoista nell'aver messo il proprio dolore di fronte al suo, nell'essersi annullato nell'azione pur di non fermarsi a riflettere sul fatto che altre persone provassero il proprio stesso senso di confusione, rabbia e terrore, unito alla consapevolezza di non essere più al sicuro da ciò che incombe là fuori - eventualità confermata dal completo fallimento della società, delle istituzioni, di tutto ciò che svolge un ruolo di autorità. Perché se il governo si accanisce su un ragazzo come James, evidentemente c'è un problema. Un errore di fondo nel meccanismo del Ministero stesso. La volontà di trovare un capro espiatorio pur di nascondere le falle nell'operato dei potenti. « Non me l'avevi promesso, non ci siamo mai promessi niente in realtà, forse non sapevamo neanche come definirci, ma se avevo una cosa chiara in testa è che tu non avresti fatto lo stesso. Che tu non te ne saresti semplicemente andato senza dirmi neanche il perché. Senza guardarti più indietro per mesi. », stringe le labbra, si morde la lingua per non sparare l'ennesima stronzata. Perché la verità - sono troppo immaturo per far fronte a situazioni del genere - non si sogna neanche di esporla. Sembrerebbe ancora più reale, mettendola a nudo. Sarebbe più facile, invece, attaccare Olympia, giocare sporco con le parole per cadere sempre in piedi. Ma non ci riesce. Non con lei. Tra l'altro, la questione non riguarda la rossa: la questione è il carattere Grifondoro fino al midollo - fino all'iperuranio - di Peter, che tutto farebbe pur di non mostrarsi debole o ferito. «Ho vinto un viaggio ad Azkaban anch'io, fa del puro sarcasmo, il cuor di leone, sottovoce. Le immagini della sera del Golden Match lo soffocano una dietro l'altra. James in manette. Lui che insegue la Squadra Speciale Auror. Lui che arriva a casa di Karma letteralmente sconvolto. Loro che viaggiano, in fretta e furia, verso il QGA. Per fare cosa? Assolutamente nulla di realmente utile. Sparano fuochi, creano scompiglio, attaccano perché sono appena stati attaccati. «Lascia perdere.», commenta, scuotendo la testa per cacciare via i ricordi. Evita di spiegarsi, ancora una volta, perché sarebbe troppo complicato. Lui stesso non riesce a capirsi. Andare dietro ai Potter sarebbe stata quasi una scelta logica, e invece Peter cosa fa? Il terrorista insieme a sua sorella, allo scopo di comunicare un messaggio inesistente, dato che le testate giornalistiche hanno insabbiato tutto e camuffato la notizia a loro piacere. C'è stato persino chi ha raccontato l'evento come incidente avvenuto per via di un "innocente scherzetto" ordito da bambini ai danni del papà Auror di turno. «Non so condividerlo.», il dolore. Si arrende all'evidenza dei fatti. E' vero che, fino a quel momento, non gli è neanche mai successo di poterlo fare. Louis era troppo piccolo quando Karma era in fin di vita, ed i suoi migliori amici non potevano realmente capirlo. Era solo. Adesso... Forse non si era reso conto di non esserlo più, Peter. Di non essere solo. O forse è stato quell'altro discorso che Olympia ha accennato, quel non definirsi, a frenarlo. In fondo cosa ci avrei fatto, alla Tana? Eri già stata inseguita da duemila persone. Tuo fratello, i tuoi cugini, i tuoi nonni, tuo marito e i tuoi amici. Io, lì, cosa ci facevo? «E poi...», tu eri già circondata. Troppe persone. Troppa gente. «Non credevo..», non ci siamo mai definiti. L'hai detto tu. «Volessi portarlo con me. Non credevo.. che avessi bisogno di me.», è la prima cosa vera tra tutte quelle che ha detto Peter da quando i due hanno messo piede al Paiolo Magico. Che cosa stupida. Si ravvia i capelli. I sentimenti fanno schifo.. A testimonianza di ciò, vi è un'emozione ben precisa, un sentimento ben preciso: quello che ha provato la sera del Golden Match, quando si è scatenato l'inferno. Tutti che vedevano il vostro dolore. Nessuno che ascoltasse il mio. E' egoistico, è l'emozione più egoistica che abbia mai provato. Ma mi ha fatto sentire fuori. Fuori dalla vostra famiglia, dalla Tana, da tutto. Come se non potessi provare il vostro stesso grado di sofferenza. La mia non la vedeva nessuno. C'eravate soltanto voi ed il vostro cordoglio. «Perché Olympia io davvero, davvero... A tratti non so...sapevo, si corregge, parlando al passato, «- come comportarmi con te. A volte è semplice, altre volte... Non ti capisco. Forse è questo il problema, non ci capiamo.», addolcisce il tono rispetto all'aggressione di prima, condita da parolacce e mezze urla. Adesso è davvero smarrito. Perché non sa cosa fossero prima, non sa cosa sono adesso, non sa cosa saranno in futuro. «Non so cosa sono per te.», e questo mi fa letteralmente esplodere il cervello. Prima era semplice, perché eravamo all'inizio, potevamo scherzarci sopra, flirtare, boh, non succedeva nulla... Poteva andare bene o male, ci avremmo riso sopra.. Eravamo ragazzi che si comportavano da ragazzi.. Poi non lo so, tu eri comunque sposata, nel frattempo la nostra relazione diventava più seria, io non sapevo cosa aspettarmi da te né cosa tu ti aspettassi da me.. Non lo so, cazzo. Non so più niente. «Forse solo un coglione.», accenna un mezzo sorriso nell'autodefinirsi tale. « Di sicuro hai guadagnato che, non venendo alla Tana, non sai minimamente come comportarti con le dichiarazioni pubbliche. Le tue parole potrebbero essere rimescolate e usate contro di noi. Immagina che bello il titolone di domani su Strega Moderna. "Anche i Paciock abbandonano il fianco dei Potter, parole taglienti di Peter Paciock sulla sua ex". Ci mangerebbe per giorni con un po' di finto gossip da quattro soldi. », morde l'interno delle labbra, Peter, in attesa di trovare la calma per dare una risposta alla Grifondoro. Alla fine niente, sbraita di nuovo.
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    «E che cazzo. Sono stronzate! Stronzate belle e buone! Non ho detto niente su di voi, porca Morgana. Ma l'hai sentito il discorso? Oppure devi darmi contro per partito preso? Ho espresso le mie congratulazioni a Dory, insieme all'elogio di Karma. A Dory! Capisco non faccia Potter di cognome, ma è praticamente la stessa cosa, e questo i giornali lo sanno. Farebbero la figura dei ritardati a scrivere una cosa simile.», fa una pausa per prendere fiato. «E poi, vogliamo far finta che si possa interpretare in questo cazzo di modo traviato? Va bene, mettiamo per assurdo che Strega Moderna domani scriva ste merdate: lo smentisco il minuto dopo. Cazzo, o mi bloccano il profilo social, o mi tagliano la lingua: non credo avrebbero altro modo per fermarmi. Se davvero ci ricamassero sopra, farebbero la figura dei coglioni perché ribatterei pubblicamente.», e qui la chiudo, perché solo un bambino di tre anni potrebbe scrivere un articolo del genere. Va bene che Strega Moderna è diretta da poveri stronzi, ma non posso credere li consideriate così idioti da essere in grado di elaborare un post del genere. Con la consapevolezza che io lo ribalterei di fronte al mondo intero. Il giornale verrebbe screditato, e poi... « E' stato facile andarsene? », viene freddato da quella domanda. Smette di pensare alle cazzate su Strega Moderna e quant'altro. Si concentra sul volto della Grifondoro. « Hai perso un fratello, è vero, ma a me ci hai mai pensato? », ogni istante. Alla fine è stato per lei che non è andato alla Tana. Per non invadere il suo spazio. Perché non sapeva cosa fare. Perché annullarsi nel colpo di stato al QGA era molto più nelle sue corde. E' stata la prima persona cui ha pensato, Peter, quando ha scoperto dell'arresto di James. Olympia. Cosa ho combinato? - il senso di colpa lo tormenta. Non avrebbe voluto fare i conti anche con questo, ma deve. E' il prezzo da pagare quando si inizia a tenere davvero a qualcuno. Fare i conti con i propri errori, con le aspettative degli altri e la conseguente delusione. «Ho sbagliato.», lo ammette, questo. Perché ha raggiunto l'obiettivo esattamente opposto a quello prefissato. Ha perso un fratello e ha perso Olympia. «E' vero. Ho sbagliato. Io ci tenevo - ci tengo a te.», questa volta si corregge usando il verbo al presente. Poi la guarda negli occhi, a confermarle la propria sincerità. Sta parlando a cuore aperto, fregandosene delle incomprensioni e di tutto il resto. Sta provando a farsi capire. «Ma tu cos'hai fatto, a parte chiamarmi la sera del match e invitarmi ad un gioco del cazzo mesi più tardi? E' vero che io ho risposto col silenzio. Non ho preso la chiamata, l'ho ignorata. Ma tu..», tu cosa hai fatto?, «Tu perché hai dato per scontato che non avrei mai più risposto? Che me ne fossi letteralmente... Andato? Io..», ero sempre a quel numero due. Sempre in quella via di Hogsmeade. Ci sei stata un sacco di volte. «Tu... Era.. una forma di rispetto nei confronti della mia decisione di non rispondere? Cazzo -», sto facendo troppi giri di parole. «- quello che voglio dire.. E' perché non hai.. Io potevo pensare qualsiasi cosa..», in fondo eri circondata da mille persone. C'era pure tuo marito e, fondamentalmente, per quanto ne so, potresti anche esserci tornata insieme adesso. Non so più niente di te. Io pensavo... Di non poter essere compreso in quell'equazione. Di essere di troppo. «Ma a te bastava..», bussare alla mia porta. Una seconda volta. Perché io sono sempre stato chiaro nei tuoi confronti, fino a quella sera.. O almeno.. Se non altro.. Ci ho provato. Tu.. no?.. Oppure non ti ho capita io.

     
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    Non riesce a capire il suo discorso, tanto che per un attimo rimane esterrefatta. Che c'entra Azkaban con te? Stai scherzando? «Non so condividerlo.» Non fa in tempo a dare una battuta d'arresto per approfondire quel particolare, che lui finalmente sembra aprirsi in quella piccola confessione che, ne è certa, gli costa tanto fare. Storce le labbra, sentendosi per un attimo fuori posto, lì davanti ai suoi occhi. Si sente in colpa per aver forzato palesemente la mano. Ti ho costretto a dirmi qualcosa che non volevi dirmi. « Ci hai mai provato? » Gli domanda poi, quasi con un filo di voce, quella voce che vorrebbe tanto fosse piena, risoluta, puntigliosa e, per una volta, invadente. Così la schiarisce e ci riprova, ricercandone gli occhi. « Ti sei mai dato davvero una possibilità? Oppure, non lo so, hai provato a fidarti di qualcuno per davvero? » Non c'è alcun accenno di accusa nel porgli quelle domande. Non mette al di sopra della confessione di Peter quel tarlo che le suggerisce che non si è fidato mai davvero nemmeno di lei, provando a ferirla con quel pensiero. Il "Non sei mai riuscita a farlo fidare abbastanza da potersi sentire al sicuro tanto da aprirsi" viene messo da parte, concentrandosi sul vero nocciolo della questione. «E poi...Non credevo..Volessi portarlo con me. Non credevo.. che avessi bisogno di me.» Stringe allora gli occhi, Olympia, sentendosi due onde sballottolarla da dentro, un po' a destra, un po' a sinistra. Perché se da una parte per lei è sempre stato palese il trasporto sentito nei confronti del Paciock, dalle sue parole capisce che non c'è stato niente di chiaro. E quella, nel bene o nel male, è la prima volta che finalmente parlano di cose di un certo calibro. Non ci sono più giochetti, scherzi, battutine per punzecchiare l'altro nel tentare di capire cosa gli passi per la testa. Finalmente si parla apertamente, senza maschere. « Capisco. » E storce nuovamente le labbra, in quella smorfia che sembra essere diventata la sua comfort zone, mentre i denti rosicchiano l'interno della bocca, nell'impazienza di capire dove quella discussione finirà e se lei riuscirà a sostenerla fino alla fine senza scoppiare di rabbia o a piangere, a seconda del mood. «Perché Olympia io davvero, davvero... A tratti non so...sapevo. come comportarmi con te. A volte è semplice, altre volte... Non ti capisco. Forse è questo il problema, non ci capiamo. Non so cosa sono per te. Forse solo un coglione.» Non sei mai stato un coglione per me, non pensarlo neanche per scherzo. Non lo sei mai stato, neanche quando ti davo soltanto ripetizioni. E' allora che stringe la mano sinistra contro il legno del tavolo, aggrappandovisi come se stesse per affondare e quello sia l'unico salvagente a vista. Mentre continua, a spiegargli quanto hanno discusso quella notte alla Tana, rimane ancorata al tavolo e continua a farlo per tutta la sua conseguente risposta. Risposta a cui non può obiettare nulla, sa benissimo che, qualunque cosa uscirà, lui smuoverà mari e monti per smentirla. Perciò va oltre, si alza, passeggia, si massaggia le tempie e torna al punto iniziale. Perché, ora che c'è, parlare le sembra di vitale importanza e ha bisogno di una sua risposta. In quel momento. «Ho sbagliato. E' vero. Ho sbagliato. Io ci tenevo - ci tengo a te. [..] Tu perché hai dato per scontato che non avrei mai più risposto? Che me ne fossi letteralmente... Andato? Io..Tu... Era.. una forma di rispetto nei confronti della mia decisione di non rispondere? Cazzo, quello che voglio dire.. E' perché non hai.. Io potevo pensare qualsiasi cosa. Ma a te bastava..» Le braccia si stringono appena intorno al suo busto esile nell'avere finalmente il quadro generale lì, inconfutabile, sotto i suoi occhi. « Mi sono abituata talmente tanto bene ad essere lasciata indietro che l'ho dato per scontato anche questa volta. E..sì, non lo so, pensavo che rispettare te e i tuoi spazi fosse la cosa migliore. Al Redrum non pensavo nemmeno saresti venuto proprio perché ti avevo invitato io. Ho sbagliato tutto. » Cristo quanto sono stata stupida. A ricordarsi ora come si è sentita in attesa di sapere se si sarebbe presentato quel giorno e poi il cosa ha provato quando l'ha visto comparire nel gioco, sente le guance farsi calde e allora riprende a muoversi. Un paio di giri mentre sa perfettamente che non gli può dire niente di più di quel gioco del cazzo, niente che possa fargli davvero comprendere la portata di ciò che poteva significare tutto quello per lui. Cristo quanto sono stupida. « Sai, è buffo, ho sempre avuto un'idea di me stessa. Che fossi un palese libro aperto, che non fossi minimamente complessa o difficile da decifrare. Forse lo sono stata un po', dopo l'incidente, avevo i miei mulini a vento da combattere ma poi.. la mia copertina esterna dice tutto di me, le mie azioni sono palesi, i miei sentimenti alla luce del sole. E' questo che ho sempre pensato. E ci sono state delle volte in cui ho invidiato persone che erano davvero un cubo di rubik ai miei occhi, la definizione della diversità, il contrario della monotonia, capaci di trattenere parti di sé, che non gli andava di condividere subito. Con il tempo magari, ma non subito. Non come me. » Lascia andare la presa sul tavolo e rialza gli occhi, stringendosi nelle spalle nel momento in cui incontra i nocciola di lui. « Però ora tu mi dici che ci sono volte in cui non mi capisci. » Continua a fissarlo. « Perché non me l'hai mai chiesto cosa sei per me? Non è un'accusa, voglio solo che ti dia una risposta a questa domanda. Perché a me sembra sempre più palese che siamo arrivati a tutto questo perché non è che non ci capiamo, no, noi non sappiamo parlare. Ora è la prima volta che lo facciamo davvero. » Una verità scomoda, questa, alla quale arriva dandosi la risposta alla domanda posta a lui pochi istanti prima. Io non ho mai dato un'etichetta a cosa eravamo, cercando una definizione perché mi vergognavo di parlarti di certe cose, di affrontare certi discorsi, di condividere pensieri sul mio divorzio per paura di chissà cosa avresti pensato, immaginando già in che posizione ti potessi sentire. « Se lo avessi fatto, tra un rossore e l'altro, perché che sono imbranata in certe cose, è appurato, ti avrei risposto che sei l'uragano che è arrivato a sconvolgere la mia calma. Sei quella persona di cui avevo paura perché sei un'esplosione, incontrollata, sei un caos di colori accesi, pieni di vita mentre io sono dei colori pastello, pallidi e tenui. E forse mi spaventi ancora perché sei arrivato all'improvviso e mi hai spiazzato, con tutto il tuo essere chiassoso, vivido, vitale e non potevo più guardare da nessun'altra parte perché come avrei potuto? Hai riempito di colore il mio grigio. Stavo annegando e sei stato ossigeno. » Riprende fiato prima di proseguire, perché ora che ha cominciato, ha bisogno di andare avanti, di continuare, di arrivare fino in fondo. Ha bisogno di sentirsi completamente prosciugata, vuota, perché ha tirato fuori tutto, fino all'ultimo pensiero. « Non sei stato il ragazzo giusto per dimenticare il dolore passato, sei stato quello che mi ha teso una mano, aiutandomi a rialzarmi, che ha creato nuovi ricordi, nuovi sorrisi e nuove strade. » Si passa la lingua tra le labbra, sentendole improvvisamente secche come un deserto, lo sguardo che si sedimenta in quello di lui mentre il
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    calore alle guance continua a vivere. « Non so come si fanno certe cose, se si decide a tavolino che si sta insieme oppure se si capisce soltanto, ma quando mi sono fermata a pensarci, per me è stato chiaro che tu fossi ormai diventato, senza volerlo e senza pretese, importante, un punto fermo alla cui assenza non è stato facile abituarmi. » Si tortura un fianco con le dita mentre si costringe a tenere vivido il contatto visivo per la parte che è più difficile per lei, quella che implica l'andare a stuzzicare quel mostro che è sempre stato per lei quel suo proiettarsi sui sentimenti e poco sul desiderio fisico. Quella particolare sfumatura che l'ha fatta sempre sentire sbagliata, diversa, anormale. Non ricorda di avergliene mai parlato apertamente ed è sicuramente un'altra sua colpa. Forse lui pensa che non lo volessi..sotto quel punto di vista. « Per me non sei più stato soltanto un amico dalla sera del Midsummer. Perché, per come sono fatta, gli amici non fanno quello che facevamo io e te. Perché gli amici non ti fanno provare le cose che..sentivo quando ero con te. » Si accorge di provare dolore solo quando libera il maglioncino dalla presa di indice e pollice, sicura che al di sotto la pelle sarà marchiata di rosso. E decide allora di smetterla, che ha detto abbastanza. Però poi no, ha ancora un'ultima cosa da dire. « E se tutto questo non ti sembra abbastanza, io mi fido di te, forse anche più di quanto lo faccia tu. Mi fido a tal punto che ti consegnerei la mia vita tra le dita, senza pensarci due volte. Sei così tanto per me. » Perché io ho scelto te per quella prova. Te, con tutta la tua impulsività, con tutto il tuo fare di testa tua, con tutto il tuo essere dannatamente poco razionale e sempre così di pancia. Te perché faresti di tutto per proteggere chi ami. L'hai sempre fatto per la tua famiglia, l'hai sempre fatto per James. Allarga le braccia, a voler rimarcare quella sua convinzione, prima di farle ricadere contro il corpo. « E proprio per questo, devi smetterla di metterti nei guai, così gratuitamente, senza pensarci prima due volte. Devi stare attento, a quello che fai, con chi lo fai, a quello che dici, a come lo dici. » Deglutisce. « Non so cosa volessi dire prima, cosa c'entrasse Azkaban, ma ti prego, no. Non anche te. » Scuote la testa e lentamente lo fa sempre più vistosamente. « Mi devi dare la tua parola, qui e ora, che non farai cazzate solo perché pensi che così il tuo dolore cesserà di chiamarti dal fondo del vuoto che senti dentro. Non lo aiuterai così, non servirà a nessuno, men che meno a te. » Si accorge di essere quasi in uno stato maniacale, con quello scuotere la testa e il ritmo sconnesso delle parole, a tempo con il battito altrettanto discontinuo, per la paura. Così si costringe a bloccarsi per guardarlo con una serietà inaudita. « Me lo devi promettere, Peter, ti prego. » Niente masochismo, niente autolesionismo, ti prego. Gli occhi grandi lo fissano, tremolanti. « Puoi promettermelo per favore? »
     
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    « Ci hai mai provato? », la risposta arriva immediata sulle labbra di Peter. No. Tuttavia non la esprime, in attesa che Olympia concluda il proprio discorso. « Ti sei mai dato davvero una possibilità? Oppure, non lo so, hai provato a fidarti di qualcuno per davvero? », si interroga sul quesito, il Grifondoro, e questa volta, suo malgrado, una risposta non la trova. Non si tratta di fidarsi o non fidarsi - perché, da quel punto di vista, potrebbe elencare una sfilza di persone nelle cui mani metterebbe la propria vita a occhi chiusi. Tanto per cominciare, sua sorella. Tanto per seguire, il fratello di Olympia, James. Senza contare la ragazza che lo fronteggia adesso, nel perimetro silenziato ad ascoltatori invadenti del Paiolo Magico. Il nocciolo della questione è, invece, che Peter non è mai stato in grado di affrontare argomenti seri. Ad esempio le proprie emozioni, il dolore che ha provato nello scoprire la malattia di Karma, la rabbia mista ad impotenza vissuta al momento dell'arresto di James. Non è in grado di parlare di come si sente a riguardo, anzi, non è direttamente in grado di formulare un pensiero, a riguardo. Tutto ciò che prova, lo esprime attraverso le azioni - come quella di andare a sparare fuochi d'artificio al Quartier Generale Auror. Poco importa che sia un'azione giusta o sbagliata: è l'unica valvola di sfogo che gli consente di non esplodere in direttissima. O questo, o la fuga. In entrambe sembra avere un talento, Peter Paciock. «E' davvero così importante discuterne?», lo chiede quasi come se fosse un bambino, a parlare, al posto suo. Un bambino curioso di scoprire come funziona il mondo dei grandi. Anzi, un bambino che non ha mai provato altre emozioni - emozioni serie - che non fossero il semplice divertimento in seguito ad un gioco particolarmente piacevole. «O pensarci. Più ci pensi, peggio è. Se non ci pensi..», riesci ad andare avanti, o almeno a fingere di farlo. Cala lo sguardo sul pavimento, Peter, una mossa che non gli capita quasi mai di fare. Si vanta spesso di riuscire a sostenere il contatto visivo altrui - anzi, ne fa quasi una questione di stato, a volte: "chi sbatte prima le palpebre perde". Eppure adesso è completamente sovrastato da quel verde foresta, così intenso da farlo sentire mezzo vuoto. « Capisco. », resta freddato da quella risposta, e soprattutto dall'espressione successiva che compare sul volto di lei. Sembra quasi scocciata. O forse concentrata. O forse delusa. Oppure in imbarazzo. Qualunque emozione provi, comunque, Peter pagherebbe perché si converta in un sorriso - uno di quei suoi splendidi sorrisi. Anche se, forse, qualcosa gli suggerisce che è giusto così. Non bisogna allontanare le emozioni negative solo perché è più confortevole spaziare in quelle positive, tra risate, sorrisi e allegria. Forse bisogna imparare ad esplorare anche la sfera della sofferenza, del dolore, della rabbia - magari quella un po' meno, essendo già stato coinvolto in molteplici risse -, della delusione. Bisogna accettare di aver deluso qualcuno e di poter esser rimasti, a propria volta, delusi dagli altri. E' semplicemente la vita. « Mi sono abituata talmente tanto bene ad essere lasciata indietro che l'ho dato per scontato anche questa volta. E..sì, non lo so, pensavo che rispettare te e i tuoi spazi fosse la cosa migliore. Al Redrum non pensavo nemmeno saresti venuto proprio perché ti avevo invitato io. Ho sbagliato tutto. », forse è questa la frase che fa più male. Sapere di aver fatto parte, anche se per poco, di quel circolo vizioso che Olympia ha vissuto nel corso della propria vita. E questo Peter lo sa benissimo. Sa quanto abbia sofferto a riguardo, sa quanto sia stata dura rifarsi una vita ad ogni batosta. E' insopportabile sapere che lei abbia creduto, a tutti gli effetti, che anche Peter avesse scelto quella soluzione - quella di allontanarla. Tutto questo solo perché sono un egoista del cazzo. Se si fosse fermato ad ascoltare il dolore degli altri, senza concentrarsi solo e soltanto sul proprio e su come annullarlo al più presto possibile - vale a dire con azioni sconclusionate e rifuggendo le situazioni di collettività in cui per certo si sarebbe andati a parare sul discorso di James, provocandogli chissà quali fitte al petto -, adesso probabilmente lui e Lympy non sarebbero lì a confrontarsi. « Sai, è buffo, ho sempre avuto un'idea di me stessa. Che fossi un palese libro aperto, che non fossi minimamente complessa o difficile da decifrare. [...] Però ora tu mi dici che ci sono volte in cui non mi capisci. Perché non me l'hai mai chiesto cosa sei per me? Non è un'accusa, voglio solo che ti dia una risposta a questa domanda. Perché a me sembra sempre più palese che siamo arrivati a tutto questo perché non è che non ci capiamo, no, noi non sappiamo parlare. Ora è la prima volta che lo facciamo davvero. », ammutolisce, il signor Paciock, di fronte a quelle ultime parole. Prova a darsi una risposta alla domanda di Olympia, e anche qui arriva più veloce del vento. Perché avevo paura di conoscere la risposta. E' sempre stato in prima linea, Peter, al momento di lasciare le persone in tredici. Quante volte è stato perseguitato da messaggi fastidiosi, da frecciatine per i corridoi di Hogwarts - una volta gli hanno persino fatto trovare una fialetta di Amorentia spacciandola per Felix Felicis, solo per ripicca! Ad ogni modo, si comportava così perché fondamentalmente, per quanto sia terribile da dire, non gli importava nulla di come ci rimanessero gli altri. Non gli importava che Portia Nickelon lo odiasse, che Sarah Qualley scrivesse sui muri del bagno quanto fosse stronzo, che Amanda Becks gli rifilasse il dito medio per essersi dimenticato che dovevano uscire. Ma quelle poche volte che ha iniziato a provare qualcosa, Peter... Beh, con Daphne in realtà non è stata neanche colpa sua, è vero - ma ha fatto male lo stesso. E con Olympia ha combinato un casino.
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    «No. Non è così. Non è che non sappiamo parlare. Sono io che non ci riesco. Quando si tratta di queste cose, di questi argomenti..», non è una mossa da masochista bello e buono, non è vittimismo né, tanto meno, autosabotaggio. E' la verità nuda e cruda. «Tu sai farlo.», continua. A quel punto la guarda negli occhi, trovando non si sa dove il coraggio e un pizzico di maturità per esporre il concetto successivo: «Non te l'ho mai chiesto perché non volevo sapere la risposta.», ecco, perfetto, adesso lo sai. «Perché tu mi piacevi -», si gratta la nuca, in visibile imbarazzo. Possibilmente non ha mai detto a nessuno tu mi piaci. Con le altre è sempre stato più semplice, bastava tirare fuori una bella dose di spavalderia e due-tre sorrisi maliziosi: il resto si sarebbe concluso tra le lenzuola. «- stavamo più o meno insieme ed era..», troppo bello per essere vero? Certo che sarebbe finito, prima o poi? Chiaro che le cose si sarebbero complicate? Scontato che sarebbe tornato qualcuno, qualcosa, e che la nostra avventura avrebbe subito un graduale declino sino a ridurci a mandarci catene su whatsapp, come quella che ti ho "quasi" inviato l'altro giorno? «Non volevo chiedertelo. Pensavo di rovinare tutto.», di accelerare i tempi rispetto alla nostra rottura., «Mi è già successo una volta.» E in fondo, quello che avevamo noi due, prima che succedesse questo casino, mi andava bene. Stavamo bene... « Se lo avessi fatto, tra un rossore e l'altro, perché che sono imbranata in certe cose, è appurato, ti avrei risposto che sei l'uragano che è arrivato a sconvolgere la mia calma. [...] Stavo annegando e sei stato ossigeno. », lentamente, molto lentamente, si volta a guardare nella direzione di Olympia, ossessionato da un unico pensiero: è davvero lei a parlare? Lo sto immaginando?. Vede poi le sue labbra che si muovono a formulare una serie di parole che si susseguono, andando a colmare tutti i vuoti che Peter si è lasciato dietro, quasi come in un puzzle. « Per me non sei più stato soltanto un amico dalla sera del Midsummer. Perché, per come sono fatta, gli amici non fanno quello che facevamo io e te. Perché gli amici non ti fanno provare le cose che..sentivo quando ero con te. [...] Sei così tanto per me. », quant'è vero, Morgana, che gli uomini sanno essere terribilmente ottusi, quando vogliono, tanto è vero che Peter Paciock si è appena reso conto di aver sbagliato tutto. Di aver perso tempo, di aver rimuginato su chissà cosa e chissà perché, dando per scontato che essendo accaduto una volta - di aver rischiato di perdere, o viceversa di aver perso veramente tutto -, si sarebbe verificato anche adesso: che lui e Olympia avessero le ore contate, che fosse solo questione di tempo sino al prossimo dramma. Si rende conto di essersi tirato indietro per una propria insicurezza personale, piuttosto che per delle azioni eventualmente commesse dalla Grifondoro. Si rende conto, in poche parole, di essere davvero il coglione che effettivamente è. Adesso vorrebbe ridere di se stesso, ma non ha cuore di spezzare la magia di quel momento. Anzi, attende a lungo in silenzio. Degli attimi interminabili, soprattutto per una persona logorroica come lui. «Perché sei ancora lì?», le chiede, spalancando gli occhi. Aggrotta la fronte, confuso. «Perché?», continua a incalzare, fingendo un tono accorato, anche se la sua espressione si distende. «Non credi che abbiamo già perso troppo tempo?», si alza in piedi, abbandonando la sediolina di legno che ha sorretto lui e la sua valanga di emozioni, tutte susseguitesi nell'arco di pochi minuti, per poi dirigersi dallo stesso lato del tavolo in cui si trova Olympia. «Ti sto per baciare.», glielo comunica, ma non attende un'eventuale risposta. Lui deve farlo, e deve farlo adesso. O non se lo perdonerebbe. Ha già accumulato troppi scheletri nell'armadio, nell'arco di quei pochi mesi, Peter: almeno questo deve farlo fuori. «Scusa. Cazzo, scusa.», interrompe il contatto con le sue labbra - forse questo fa più male di tutto il resto -, perché ha appena combinato l'ennesima cazzata. Non si sono sentiti per mesi, lui ha appena litigato con suo fratello - ed anche di brutto - e adesso la bacia. Certo, Olympia gli ha appena fornito la prova tangibile di quanto sia stato ottuso, ma avrebbe dovuto trattenersi ugualmente. E' solo che, ancora una volta, ha percepito la necessità di tradurre in azione ciò che provava. Ciò che ha provato nell'ascoltare le emozioni della Potter - il loro primo momento d'intimità da quando si conoscono, probabilmente. Perché hanno sempre avuto confidenza, moltissima, ma questa comunicazione è decisamente su un altro livello. «Non dovevo. Ma volevo.», sorride flebilmente, sperando che Olympia lo perdoni per la... Quarantaquattresima volta? Forse anche quarantacinquesima, possibile. «Chiariamo una cosa.», dice, allontanandosi verso una delle credenze della saletta. Apre un cassetto e ne tira fuori un blocknotes, uno di quelli che Liza e gli altri usano per prendere ordinazioni. Molto in imbarazzo - che lui sappia non è mai diventato un peperone in viso, ma è possibile che stia assumendo quella precisa tonalità, adesso - inizia a formulare una domanda, nella sua grafia bambinesca. Mi piaci anche adesso, non solo prima. Vuoi stare con me? Sì - No. Prima di consegnarglielo, si rende conto che manca un pezzo. Forse non è giusto scherzarci sopra, ma è pur sempre fatto così: è pur sempre Peter. Per questo, girando il foglietto dall'altro lato, continua la discussione silenziosa: Mi dispiace per il casino che si è creato con tuo fratello, credi che mi perseguiterà da oggi fino alla fine dei miei giorni? In fondo potrebbe essere un po' figo perché sarebbe una roba alla Giulietta e Romeo e - e niente, non conclude la frase. La cancella affinché non sia più visibile, per poi sostituirla con: Mi dispiace per il casino con Albus, però questo lo dico a te e non esce da queste mura. Un po' ingiusto, probabilmente, ma pur sempre Peter. «E questa è una.», commenta, consegnandole il biglietto, neanche fossero tornati indietro a quando lei frequentava il liceo babbano e lui scorazzava per i Corridoi di Hogwarts a lanciare Caccabombe, facendo incazzare i professori. «Seconda cosa. Ho combinato un disastro la sera del Golden Match, magari meglio non entrare nei dettagli -», perché boh, non voglio litigare proprio adesso che forse abbiamo fatto pace, a prescindere dalla tua risposta nel biglietto, «- però ecco. Anche se ne vado fiero -», abbassa la cresta, Ciuffo Ribelle, «- non ho intenzione di... Replicare. Te lo prometto.», il suo sguardo nocciola si posa in quello della Grifondoro. «Ho esaurito le scorte, di fuochi d'artificio. Gli vien quasi da ridere, soprattutto per la sfiga che hanno portato: alcuni li ha sparati la sera del rave - e praticamente anche lì ha combinato un mezzo casino, Peter -, altri al QGA, rendendolo un circo a pieno titolo. «Olympia.», adesso si fa improvvisamente serio, il Grifondoro, perché c'è una terza cosa poco chiara, tra tutte quelle che sono state discusse tra loro. «Cosa sta succedendo?», domanda, lo sguardo velato dall'insicurezza. «Perché non si muove nulla?», incalza, stanco di marciare nella retrovia, in attesa di avere un appiglio - un appiglio qualunque - per far leva sul rilascio di James. Perché non sono state smentite le famose "prove" di cui tanto si parla? Perché i legali non sono riusciti a costruire un alibi di ferro - per lui, lui che è sempre sul campo da Quidditch, sempre sotto i riflettori delle telecamere, sempre in mezzo alla gente? «Non voglio forzarti.», mette le mani avanti, Peter. Non è nella posizione di pretendere spiegazioni da lei. «Se non sai, se non vuoi dirmelo, ne hai tutto il diritto.», continua, sfiorandole poi il braccio con le dita. Vorrebbe di nuovo baciarla, o quanto meno stringerla a sé. «Io però voglio esserci. Per te, per James. Per tutti, tutti i Potter, anche quello stronzo di Albus. «Se non è troppo tardi.»
     
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    «No. Non è così. Non è che non sappiamo parlare. Sono io che non ci riesco. Quando si tratta di queste cose, di questi argomenti..Tu sai farlo.» Lo fissa senza battere ciglio, forse perché lei ha già deciso cosa dire, come intende continuare, ma vuole anche capire cosa c'è dentro la testa di Peter. E le appare più chiaro che mai quanto per lui sia effettivamente complicato intraprendere quel discorso. Non sa come trattarle, certe parole. E proprio in virtù di ciò, rimane in silenzio, un silenzio che vorrebbe solo indurlo a continuare, a non interferire in alcun modo. Ci sono e ti ascolto, ci sono e ti supporto, qualsiasi cosa vorrai dire. «Non te l'ho mai chiesto perché non volevo sapere la risposta. Perché tu mi piacevi - stavamo più o meno insieme ed era..Non volevo chiedertelo. Pensavo di rovinare tutto. Mi è già successo una volta.» Così, perché c'è già successo in passato, perché a te ha fatto male e perché io mi ci sono semplicemente abituata, siamo rimasti così, nella terra di nessuno per dei mesi. Che sciocchi. Sono le parole di lui a darle l'ulteriore spinta necessaria a continuare, perché ora è di vitale importanza farlo, girare le proprie carte, una ad una, su quel tavolo che si frappone tra di loro. Guardami. Mi vedi ora? Non c'è altro che me stessa. Se stessa con il rossore vivido ad irrorarle le guance altrimenti candide, le mani che non sanno più dove stare e si attorcigliano intorno al tessuto della gonna, i piedi rivolti scompostamente verso l'interno. «Perché sei ancora lì?» Quella domanda la costringe ad alzare lo sguardo, incerta sul cosa andrà in contro. Lo fissa evidentemente in confusione. «Perché? Non credi che abbiamo già perso troppo tempo?» Stringe le labbra, per nascondere il sorriso che vi si sta aprendo sopra. «Ti sto per baciare.» Capisce, per una volta, ciò che sta per succedere ancor prima che lui parli e allora chiude gli occhi, aspettando di incontrare le sue labbra. E quando le sente, capisce di averle attese in quei mesi, di averne avuto bisogno. Bisogno di ossigeno. «Scusa. Cazzo, scusa. Non dovevo. Ma volevo.» Deglutisce, passandosi la lingua tra le labbra, a percepire ancora le sue tracce al di sopra. Riapre gli occhi all'improvviso e lo fissa. « Tranquillo, non ti schiaffeggerò per questo, puoi anche smettere di chiedermi scusa. » Non devi. La voce è arrochita e allora tenta di schiarirsela con un colpo di tosse. «Chiariamo una cosa.» Rimane lì, ferma dove la lascia, mentre lo segue incuriosita nei movimenti. Un block notes? Cosa ti devi appuntare? E mentre formula quelle domande mentali, ne avverte l'imbarazzo e l'aura si tinge di un colorito rosso. E' allora che si mordicchia il labbro inferiore e fa un passo verso di lui, volendo palesemente sbirciare oltre la sua testa. Ma lui non glielo lascia fare fin quando non le consegna il biglietto. E' anche questo un modo di comunicare, dopotutto. Si ritrova a pensare con un sorriso che le si propaga a macchia d'olio sul viso mentre finisce di leggere il davanti del biglietto. « Scusa ma credo proprio tu abbia dimenticato il "forse". » Dice prima di agguantare la penna usata da lui per cerchiare il sì con una coroncina di fiori improvvisata. « Tanto per chiarire una cosa, a mia volta: sono una persona da mesiversari, anniversari e tutte quelle ricorrenze lì. Buona fortuna nel ricordarteli tutti. » Seh vabbè, come no. Però è vero che questo lo custodirò gelosamente. Gli mostra il fogliettino con una risata che le sgorga spontanea dalla gola e che la fa sentire bene. Non in colpa per il volersi vivere il momento, ma bene. Soltanto un puro e felice bene. Gli occhi, nel frattempo, si soffermano sulla seconda parte, quella sul retro, quella che riguarda Albus. « E ovviamente non mi vuoi dire, perlomeno, quali parole sono volate e quanto grosse. » Una constatazione dal sapore retorico. « Conoscendovi entrambi, unito a questo -» il foglietto viene frapposto nuovamente tra di loro «- mi immagino una catastrofe di dimensioni tali da non riuscire a stare allo stesso tavolo per un pasto intero senza lanciarvi frecciatine a tutto spiano. Correggimi se la mia fantasia galoppante sbaglia. » Senza neanche aggiungere altro, sa già che proverà a fare di tutto per farli incontrare, inconsapevolmente. «Seconda cosa. Ho combinato un disastro la sera del Golden Match, magari meglio non entrare nei dettagli - però ecco. Anche se ne vado fiero - non ho intenzione di... Replicare. Te lo prometto. Ho esaurito le scorte Via via che lui parla, il suo sguardo si assottiglia fino a diventare due fessure feline. Cosa? Scorte? Di cosa, precisamente. Alla fine sbuffa, roteando gli occhi, e un ciuffo di capelli si alza di appena qualche centimetro per poi ricaderle nuovamente in faccia. « Io ora non ti chiedo nulla, ma è un racconto che vorrò sentire. » Un angolo delle labbra sale leggermente. « Che vorremo. Dal preambolo, penso proprio che faresti fare a James una gran bella risata. » Se la merita tutta, mai come ora avrebbe bisogno di una storia delle tue. Lo sguardo si scalda e si vela appena, agli angoli, mentre gli si fa più vicina, lasciando che le proprie ginocchia cozzino per poi farlo
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    indietreggiare fin quando non lo fa sedere. «Olympia. Cosa sta succedendo? Perché non si muove nulla?» Non può dire di certo di essere sorpresa di quella domanda, una delle più logiche quando si brancola nel buio. Si siede sopra di lui, lasciando che la propria mano si intrecci a quella di lui. «Non voglio forzarti. Se non sai, se non vuoi dirmelo, ne hai tutto il diritto. Io però voglio esserci. Per te, per James. Per tutti. Se non è troppo tardi.» Sbatte le ciglia mentre gli occhi continuano a rimanere fissi sulle loro dita che si cercano, che si riabituano le une alle altre, a quel contatto che riesce a focalizzare la sua totale attenzione. « Ti sto per fare una domanda e vorrei che ci pensassi un attimo prima di rispondermi. » Gli dice poi, rialzando lo sguardo, alla ricerca di quello - lo sente - timoroso di lui.« Ti fidi davvero di me? » Lo incalza nuovamente, questa volta stringendo all'improvviso la sua mano per avvicinarlo a sé quel tanto da percepirne il respiro sul viso. « E se la risposta è sì, cosa saresti disposto a fare per me? » Socchiude gli occhi nell'azzerare ogni distanza, con la punta del naso che scivola contro quella di lui, conscia di quanto quel discorso possa apparire strampalato alle orecchie di Peter. Assolutamente fuori contesto. « Perché io metterei la mia vita nelle tue mani. » Un'ulteriore confessione, una cosa grossa, da grandi, che non ha niente a che fare con il bigliettino di poc'anzi, che non sa minimamente del loro classico battibeccare, riempirsi di frecciatine per poi darsi baci che sanno di risata. Rimane ad occhi chiusi, come a volergli - e volersi - dare tempo per far processare la sua rivelazione. Poi, quando riapre gli occhi e tira indietro la testa per fissarlo, sorride, un sorriso che al suo interno ha tutto. Troppe cose che lui nemmeno capirà perché non sa cosa la rossa stia cercando di fare. Lo sta interrogando per testarne i confini, i limiti, gli ideali, così come non ha mai fatto prima. « Tu puoi dire di poter fare lo stesso? » Rimane in silenzio per qualche istante, mentre avverte il battito cardiaco alzarsi naturalmente. Una mano scivola sulla sua guancia, carezzandogliela. Vorrebbe tanto potergli dire tutto, metterlo al corrente di perché sembra che tutto sia fermo. Vorrebbe che lui semplicemente facesse parte dei Ribelli, che potesse essere al suo fianco e prepararsi per ciò che verrà. E' quello che vuoi anche tu, me l'hai appena detto. Lui vuole essere presente per tutti. Però c'è sempre un però, il suo essere una mina vagante, guidata dall'impulsività. Che alle volte può essere un'arma, ma non sarebbe utile nell'immediato, non quando decisioni come l'attendere è sul piatto. Non quando James, per questo, è ancora ad Azkaban, aspettando il momento. Sai aspettare, Peter? Anche quando sai che così qualcuno starà male? Quando sei tu a soffrire come un cane? Anche quando il primo istinto è quello di partire, agire, assaltare, combattere? Si avvicina ancora una volta e questa volta lo bacia, con le labbra che lo cercano impazienti così come fanno le mani, una a stringergli la felpa all'altezza del petto, l'altra ad incastonargli il volto. « Fidati di me. » Puoi farlo, veramente. « Si muoverà qualcosa. » Annuisce, fronte contro fronte prima di staccarsi. « Però ora la vera sfida è contro il cristallizzarsi del tempo. » Contro l'impazienza nell'attesa. « E tu puoi esserci, per tutti noi, facendo esattamente ciò che hai detto: semplicemente non replicare. » Non fare nulla. Lasciati ghiacciare. Lo guarda negli occhi allora, mordendosi il labbro. « Ti chiedo tanto, ma è l'atto di fede di cui abbiamo bisogno ora. » Semplicemente fidati e fai una battuta d'arresto, anche quando tutto ti dice di fare il contrario. Fermati e aspetta insieme a me.


    Edited by anesthæsia¸ - 7/11/2021, 16:04
     
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    « Tranquillo, non ti schiaffeggerò per questo, puoi anche smettere di chiedermi scusa. », rilassa i muscoli, Peter Paciock, rassicurato dal non aver combinato l'ennesima cazzata nel giro di pochi minuti. Prende un sospiro profondo e poi, semplicemente, attende. Quegli attimi che lo separano da una semplice "X", disegnata su un foglio di block notes per le ordinazioni, sono interminabili. Inizia a figurarsi miliardi di scenari, Peter: quello del no, che gli fa arrossire le guance per l'imbarazzo, e quello del , che gliele fa arrossire - possibilmente - ancora di più. Non credeva, il cuor di leone della casa dei Grifondoro, che una domanda schietta come quella potesse attivargli mille paranoie. A lui, perdinci! Non ha mai avuto un dubbio che sia uno solo quando si tratta di aver a che fare con la popolazione femminile: perché con Olympia regredisce alla capacità di comprensione di un bambino di tre anni e mezzo? Perché ci tieni - è una risposta banale, ma altresì quella corretta. Tenerci, alle cose, è un gran bel casino. Tenerci, fa sballare il contagiri della macchina fino a portarla allo spegnimento: poco importa l'abilità nel gioco di frizione e acceleratore - si spegnerà e basta, perché ormai il circuito è andato in folle. Il motore non tiene più il minimo: sopra mille, sotto mille, sopra mille, sotto mille, su e giù, su e giù - è finita. Si spegne. « Scusa ma credo proprio tu abbia dimenticato il "forse". », strabuzza gli occhi, Peter, di fronte all'unico scenario che non aveva previsto. Un'espressione stupita si dipinge sul suo volto quando comprende che in realtà è uno scherzo, una forma di ironia tutta Olympia Potter. Sorride soddisfatto mentre legge il sì circondato da una coroncina di fiori improvvisata - elemento che lo fa gonfiare d'orgoglio perché, dai, con la coroncina di fiori vale chiaramente di più: come se fosse un doppio sì. Sta per iniziare a puntare su questo aspetto, dal basso della propria umilissima personalità, ma viene interrotto da una precisazione della rossa: « Tanto per chiarire una cosa, a mia volta: sono una persona da mesiversari, anniversari e tutte quelle ricorrenze lì. Buona fortuna nel ricordarteli tutti. », il signor Paciock assume una nuova espressione, quella del "mo' so' cazzi". Ad ogni modo, benché la vocina della propria coscienza gli suggerisca "eh, l'hai voluto tu!", Peter è comunque assolutamente convinto che sì, l'ha voluto lui, gli va bene così. Molto più che bene. Solo, giusto per essere precisi... Prima di fare figure di merda varie ed eventuali... «...Sì però chiariamo un attimo un'altra cosa...», si gratta la nuca, pensieroso, mentre la mano destra va a circondare la punta del mento, nella chiara interpretazione di teatro della figura di un intellettuale. Sarà abbastanza convincente, nella propria messinscena, Peter Paciock? «...Questa roba -», no, un'attimo, roba fa bruttissimo, invece è una cosa bella, e soprattutto lei ci tiene - cretino! - e tu ci devi tenere doppiamente proprio perché tieni a lei, «- cosa, ehm, del mesiversario, cioè... Si considera a partire da oggi, che è il quindici Settembre - oppure è già il sedici perché è passata mezzanotte?, porta il dito indice verso l'alto, a sottolineare la solennità del momento, nonché il fatto che la stia prendendo seriamente anche lui, «- oppure quando ci siamo baciati al Midsummer stavamo già insieme e -», e quindi buona fortuna nel ricordarti il giorno preciso del Midsummer, «- e quindi ecco...?», e quindi niente, Paciock, hai appena compiuto un anno e qualche mese di relazione con Olympia Potter inframmezzato da sei mesi di pausa e quindi... «No aspetta sarebbero uno, due, tre...», inizia a contare i presunti mesi sulle dita, dando prova di essere un vero fenomeno in matematica. Poi guarda Olympia. Si perde un attimo nel verde intenso dei suoi occhi. Decide che è più semplice darle un altro bacio, perché suvvia, Peter Paciock è un ragazzo che dimostra partecipazione attraverso i fatti - i calcoli non rientrano decisamente tra le sue specialità. «Vabbè, sono un coglione, l'ho capito.», le sussurra all'orecchio, dopo averle scostato una ciocca di capelli rosso fuoco - e aver riflettuto sul fatto che, in realtà, l'arancione come colore preferito sia oltremodo sopravvalutato. Il verde e il rosso gli piacciono molto di più, adesso. Tutto questo mentre continua a dire a se stesso che effettivamente ha agito da coglione e che, altrettanto effettivamente, avrebbero risolto anni luce prima se solo si fossero fermati un attimo a parlare. Se solo lui non avesse avuto paura di perdere. Se solo non avesse interrotto la corsa pur di non cadere. Se solo fossi stato un Grifondoro anche - e soprattutto - in questa occasione. « Conoscendovi entrambi, unito a questo - mi immagino una catastrofe di dimensioni tali da non riuscire a stare allo stesso tavolo per un pasto intero senza lanciarvi frecciatine a tutto spiano. Correggimi se la mia fantasia galoppante sbaglia. », chiaramente Peter non si azzarda a correggerla, ammutolendo in un silenzio così assordante che, di fronte ai rimproveri di Hannah Abbott - l'essere umano che più gli incute timore reverenziale e rispetto al mondo -, a confronto, ha agito da giullare di corte. Lo sguardo nocciola che punta su Olympia urla a pieno titolo "la tua fantasia ha centrato in pieno ma figurati se chiederò mai scusa ad Albus perché no, non esiste, ha interpretato male lui, io sono nel giusto, è una questione d'onore, ho ragione io, e comunque i disguidi creano angst all'interno delle coppie e quindi top, l'angst mantiene vivo l'amore, guardiamo l'altra faccia della medaglia slash non soffermiamoci sul fatto che tuo fratello dovrebbe chiamarsi Albus Malpensantus Potter anziché Severus blabla" - però Peter non se l'è mica legata al dito, in tutto questo. « Io ora non ti chiedo nulla, ma è un racconto che vorrò sentire - che vorremo. Dal preambolo, penso proprio che faresti fare a James una gran bella risata. », la discussione si sposta su un altro campo minatissimo, tanto che Peter trattiene il fiato. Okay, magari qui potrei aver agito male io, potrei aver combinato un po' troppo casino ribelle all'interno del QGA ma vabbè, dai, qualcuno doveva farlo altrimenti sarebbe valso il principio del "chi tace acconsente", ed io non avrei acconsentito all'arresto di James manco per il cazzo. Però sì, si farà una bella risata quando verrà a saperlo. Le tinte della conversazione si fanno man mano sempre più dolenti. Si entra in un ambito a Peter completamente oscuro. Confusione.
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    Percepisce solo quello - a parte l'estrema vicinanza di Olympia, seduta sulle sue gambe. E' l'unica cosa reale e concreta nel proprio campo visivo e nella propria mente. « Ti sto per fare una domanda e vorrei che ci pensassi un attimo prima di rispondermi. Ti fidi davvero di me? », la guarda di rimando. La risposta ce l'ha sulla punta della lingua - ma lei gli ha chiesto di riflettere, e quindi Peter lo fa. A riprova di quanto si fidi di lei, invero. « Perché io metterei la mia vita nelle tue mani. Tu puoi dire di poter fare lo stesso?», continua a riflettere, Peter, perché al di là del fatto che abbiano trattato di argomenti seri anche poc'anzi, percepisce che ci sia in ballo qualcos'altro. Viceversa, Olympia nemmeno gli avrebbe posto quelle domande. Avrebbe saputo, e basta. Ad ogni modo, il Grifondoro, per quanto pensi e ripensi alle parole cariche di significato della Potter, non trova che un'unica risposta: . A prescindere dal fatto che adesso stanno insieme sul serio, che quel bigliettino abbia sancito una sorta di punto fermo in un'infinità di cose non dette e soltanto supposte, lui si sarebbe fidato di Olympia ciecamente. Anche soltanto da amici. Si fida persino di Albus, Morgana!, nonostante il litigio bell'e buono appena intercorso. Si fida di tutti i Potter, dal primo all'ultimo. «Sì. Sempre.», non ha bisogno di aggiungere altro. Con queste due parole, sintetizza e dichiara tutto. Mantiene lo sguardo negli occhi di Olympia, in attesa. « Fidati di me. Si muoverà qualcosa. Però ora la vera sfida è contro il cristallizzarsi del tempo. E tu puoi esserci, per tutti noi, facendo esattamente ciò che hai detto: semplicemente non replicare. », fronte contro fronte. Attraverso quel contatto, Peter percepisce un fluire di energia. Tu sai qualcosa. Ci sei dentro. E allora annuisce, il signor Paciock. Non può dire che gli basti questo - che gli basti la promessa, per quanto non posta in questi esatti termini, che qualcosa si muoverà. Può però dire di fidarsi del giudizio di Olympia. E lei gli sta espressamente chiedendo di fare qualcosa - anzi, di non farla. Puoi sopravvivere anche se non fai esplodere fuochi d'artificio ad ogni angolo. Può davvero farcela, Peter. Forse non riusciva prima - magari perché era solo, pur circondato da un'infinità di gente. Essere l'anima della festa è sempre stata un'arma a doppio taglio: ci sono tante, troppe persone, ma chi c'è veramente? Amico di tutti e alla fine di nessuno. E' un po' questo il senso. Tuttavia, adesso Peter sente di poterlo fare. Di poter non fare. Perché non è da solo. Può aspettare. Possiamo aspettare. Si lascia cullare in quella stretta che, pur non dicendo nulla attraverso le parole, al contrario ha detto già tutto.
     
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