No more dream

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    dauntless

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    Tornare a Londra fu meno semplice di quanto preventivato. Avere con sé la propria famiglia e sapere di poter tornare in Giappone in qualsiasi momento senza rischiare la vita erano certo cose che mettevano in pace il cuore di Raiden, ma nonostante ciò, lo strappo si verificò comunque. Abbandonare il proprio paese, salutare le persone con cui era cresciuto e calarsi nuovamente nell’ottica di uno straniero che all’interno di un tessuto sociale ci sarebbe sempre stato in maniera marginale – tutte quelle cose erano pur sempre lì, pronte a far assaporare il proprio gusto amaro sulla lingua del giovane. Ma il branco, quello era una garanzia, quello ci sarebbe sempre stato. Inverness era lì per lui tanto quanto lui era lì per essa. Le Highlands erano diventate ormai una seconda casa pronta ad accoglierlo senza pregiudizi o sbarramenti, e almeno questo sembrava in parte rincuorarlo. Avere qualcosa era sempre meglio di non avere nulla, specialmente in un momento come quello, in cui era piuttosto evidente che gli Stati – quello inglese soprattutto – non guardassero bene ai lycan e alle loro mosse. Erano una minaccia, e quanto successo in Giappone lo aveva ribadito forte e chiaro, portando l’eco di quel boato in ogni angolo del tessuto sociale magico mondiale. Ciò che accadde al banchetto, dunque, lo lasciò solo relativamente sorpreso. C’era da aspettarsela, in fin dei conti, una controffensiva ministeriale in seguito ai diversi avvenimenti estivi. Correre ai ripari per circoscrivere l’influenza di Inverness e sedarla il più possibile era una mossa ovvia; ma il fatto di aspettarsela non contribuiva certo a rendere la pillola meno amara. Non importava che Raiden fosse già segnato ufficialmente come lycan dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta in Inghilterra: il segnale era chiaro e inequivocabile. Chiunque fosse in qualche modo collegato ad Inverness, dunque, tornò a casa da quel banchetto con l’animo nero e l’aspettativa di un anno accademico tutt’altro che semplice o felice. Incluso Raiden, che alla luce di quanto visto e sentito all’evento sembrava aver improvvisamente perso ogni preoccupazione per la prima lezione che avrebbe tenuto il giorno successivo. D’altronde, a paragone, quella ormai sembrava una preoccupazione talmente piccola e insulsa da non meritare nemmeno considerazione. E infatti non ne ebbe, nemmeno quando, una volta arrivato a casa, fattosi una doccia e cambiatosi per la notte, Raiden cominciò a preparare il materiale per la mattina seguente. Gesti meccanici e sovrappensiero, i suoi, come automatici nel creare un perfetto tetris maniacalmente ordinato nella valigetta che sistemò poi accanto alla porta d'ingresso, pronta per l'uscita della mattina seguente. Tutte le proprie lezioni, il giovane Yagami le aveva fatte mettere alle otto in punto: un po' perché era convinto che la mattina fosse davvero il momento migliore per apprendere, e un po' perché in questa maniera la scrematura degli svogliati sarebbe stata naturale. Sistemato all'ingresso, si diresse quindi in cucina, dove cominciò già ad avvantaggiarsi per la colazione preparando il riso. Lo lavò tre volte, come da prassi, mettendolo poi a cuocere nell'elettrodomestico che si era portato dietro dal Giappone. Quando Mia scese in cucina, sulle prime non ci fece neanche troppo caso, cercando di intralciarla il meno possibile nel credere che pure lei si trovasse lì per avvantaggiarsi qualche preparativo della mattina. Ma evidentemente si sbagliava, a giudicare dal modo serio in cui lei si mise a sedere al tavolo, invitandolo a fare lo stesso. La cosa non sembrò preoccuparlo o metterlo sulla difensiva; dopo ciò a cui avevano appena assistito al banchetto, d'altronde, era piuttosto naturale che Mia volesse parlare - anche solo banalmente delle questioni burocratiche che avrebbe dovuto affrontare al più presto. E Raiden, ormai, di burocrazia inglese era un grande esperto, suo malgrado. « Senti.. metto subito le mani avanti e ti dico che non voglio riaprire il discorso di qualche sera fa. » Ma già da lì fu piuttosto evidente che l'americana non volesse parlare di visti di studio o censimenti di razza. Bastarono quelle parole, quindi, a far scattare Raiden sulla difensiva. Se non vuoi aprirlo che bisogno c'è di fare questa premessa, allora? Nessuno. Ecco qual era la risposta. Se davvero Mia non avesse voluto toccare quel tasto, semplicemente non vi avrebbe accennato, cominciando piuttosto a dire qualunque cosa volesse effettivamente dirgli. Ma il solo atto di premettere qualcosa del genere significava che a conti fatti, sì, Mia quel discorso lo avrebbe riaperto, anche a dispetto di ciò che Raiden le aveva esplicitamente richiesto. « Però io ci ho comunque pensato. E ci sto pensando ancora di più dopo questa sera. » Ecco, appunto. Sospirò, tamburellando leggermente le dita sul ripiano di legno mentre buttava un'occhiata al bollitore. « Voglio solo dirti che avevi ragione. Quasi su tutto. È vero che voglio crescere assieme a te, e sono vere pure tutte le altre cose. Però.. non posso andare avanti. Io questo desiderio ora non ce l'ho. » Io questo desiderio ora non ce l'ho. E Raiden lo sapeva, lo sapeva benissimo da diverso tempo. Eppure quelle parole sembrarono colpire più a fondo del dovuto, su un nervo scoperto che il giovane non desiderava venisse toccato e che costituiva la ragione per cui le aveva chiesto di non farne più parola. Sapere e sentirselo dire, si sa, sono cose molto diverse. E quando quelle parole arrivarono, nude e crude, portarono con loro un effetto che nessuna consapevolezza pregressa o preparazione poteva attenuare. Si sentì l'amaro in bocca, la bocca dello stomaco che si stringeva sul nulla, e una fitta al cuore a cui altro nome non poteva dare se non quello di delusione. Una delusione che tuttavia non era rivolta a quella mancanza di cui già era conscio e che già aveva accettato, ma direttamente a Mia, che ignorando senza scrupolo l'unica richiesta da lui mossa, aveva ben pensato di rigirare ulteriormente il coltello nella piaga. Come se non lo sapessi già. Come se non lo avessi già capito da solo. No, tu dovevi sottolinearlo di nuovo. Tu dovevi proprio scandirmelo dritto in faccia nel caso in cui ci fosse stato anche solo il minimo dubbio. Lo sai cosa, Mia? Sei una stronza. Sei proprio una grandissima stronza. Si sentiva triste e arrabbiato, ma soprattutto si sentiva ferito. Io non ti ho mai chiesto nulla. Non ti ho chiesto di assecondarmi o di essere pronta a tutto. Non credo neanche che la mia pazienza meriti un premio perché è solo umana decenza e nient'altro, però mi aspettavo almeno che quel rispetto venisse ricambiato. Non so, mi aspettavo che tu capissi quanto meno quanto ci tengo e che non c'è bisogno di ripetermi costantemente che non lo vuoi.. come se il mio desiderio fosse ridicolo, o assurdo, o come se io avessi mai fatto nulla per forzarti la mano. Voleva andarsene. Si sentiva nauseato e non riusciva nemmeno a guardarla in viso, offeso com'era da quel modo in cui Mia aveva calpestato la sua unica richiesta in materia, per giunta con il tempismo peggiore del mondo: dopo il banchetto, e con una giornata importantissima ad attenderlo. « Però.. questi problemi che abbiamo.. che io ho.. che non ci fanno vivere.. bene.. Sto iniziando a sentire la necessità di reagire. » Annuì meccanicamente, volgendo di nuovo lo sguardo al bollitore in un gesto che ormai sembrava essere diventato quasi un tic. In fondo, il riso non si sarebbe di certo cotto da un minuto all'altro, quindi cosa aveva da controllare? Che l'elettrodomestico non esplodesse? A questo punto quasi vorrei che lo facesse. « Cercherò delle risposte. Non so esattamente da dove comincerò, né a chi porrò le domande, però.. io.. ho bisogno di risolvere questa cosa. Voglio solo che tu sia al corrente di cosa vado cercando. Non mi va di tenerti all'oscuro o di.. farti svegliare un giorno con chissà quale sorpresa. » Mille grazie per il pensiero. Si sentiva preso per il culo, e nel sentirsi così, la sua ormai proverbiale pazienza sembrava cominciare a vacillare. Non capiva per quale ragione Mia stesse giocando con lui al gatto col topo, dicendogli una volta una cosa e poi tutto il contrario, tra l'altro senza che lui la istigasse in alcun modo a farlo. Quel continuo andare avanti e indietro cominciava a farsi sfiancante per il giovane Yagami, che già di suo amava poco il ritornare sugli stessi argomenti senza capo né coda. « Di questi tempi la gente viene arrestata pure per aver respirato. Succede di tutto, quindi ecco. Voglio quanto meno che tu sappia cosa c'è realmente dietro al mio non riuscire in nulla. » Stirò le labbra in quello che doveva essere una sorta di sorriso, ritrovandosi ancora una volta ad annuire meccanicamente. Ma io lo so cosa ci sta dietro. La tua volontà, Mia, ecco cosa ci sta. O meglio: la tua mancanza di volontà. Non esiste una causa scatenante per l'immaturità cronica, non c'è un colpevole o una risposta da chiedere a chissà quale oracolo. C'è solo la propria cazzo di volontà. E io mi sono anche un po' stancato di trovarti giustificazioni o fingere che ogni tua cazzata sia lecita. Dici puntualmente una marea di cose e le smentisci nel giro di cinque secondi, tanto a parole quanto a fatti. Vuoi contribuire, ma non sai neanche se vuoi davvero fare il college. Sei solida, e poi vien fuori che in realtà non ti senti pronta a nulla. Mi prendi per il culo in continuazione. « Sono ricordi. I miei. Ti ho risparmiato quelli inutili. E anche quelli la cui storia conosci già. Altri non sono riuscita proprio a estrarli. Darò un ordine a tutta questa roba, te lo prometto. Farò quello che devo fare per dare un senso a tutta questa.. merda. Voglio solo che tu sia al corrente di tutto. E te lo racconterei.. davvero. Vorrei riuscire a raccontartelo per sfogarmi.. ma non ci sono mai riuscita. » Rimase in silenzio per diversi istanti, come se si aspettasse altro. Ma no, Mia aveva finito. Quando se ne rese conto, Raiden prese la scatola solo per sposarla un po' più in là, annuendo prima di alzarsi dal posto. « Va bene. Mi fa piacere sentirlo. » Per quanto incazzato fosse, di discutere non aveva alcuna voglia, e a quel punto non pensava nemmeno che fosse proficuo farlo. « Ci guarderò nel fine settimana, quando potrò dargli la giusta attenzione. Domani ho la prima lezione e devo essere al meglio. » Qualcuno qui dentro dovrà pur fare qualcosa, no?
    [..] Col passare dei giorni, quella sua silenziosa insofferenza nei confronti di Mia non sembrò scemare; piuttosto Raiden pareva fare quanto in proprio potere per averla sott'occhio il meno possibile. In questo senso, la sua routine serrata era certamente un ottimo alibi: si svegliava presto la mattina per allenarsi, andava a lezione, rimaneva sempre a lavorare in ufficio, poi andava in palestra o in piscina e tornava a casa la sera a pelo a pelo per mangiare, farsi una doccia e mettersi a dormire. Se aveva del tempo libero, lo impegnava per incontrare qualche amico o stringere di più i rapporti con i propri colleghi. Sabato sera lo passò a cena con loro: un altro insegnante del dipartimento aveva proposto di andare tutti insieme al ristorante per conoscersi meglio e scambiarsi un po' su quel nuovo assetto scolastico. Però di lavoro si parla per non più di un quarto d'ora, eh - era stata quella la promessa bonaria del docente, il quale lo aveva da subito accolto con gentilezza, facendogli spesso compagnia nel pranzo o bussandogli di tanto in tanto alla porta dell'ufficio per portargli un caffè. Si chiamava Philip Garrison e insegnava Trasfigurazione avanzata: era un bell'uomo brizzolato sulla fine dei quaranta, molto amato dagli studenti per la sua gentilezza e serietà. A Raiden fu subito simpatico, e dunque accettò volentieri l'invito offerto. Trovarsi per la prima volta in un contesto più conviviale con i propri colleghi fu una ventata d'aria fresca: c'era chi era più gentile e chi meno, chi più prevenuto e chi per nulla, ma in linea generale quello non era affatto diverso da un qualunque altro contesto lavorativo. Insomma.. non ci si poteva stare tutti simpatici, ma in nessun momento Raiden si sentì davvero a disagio. Nonostante fossero tutti di diversi anni più grandi di lui, il giovane giapponese non sembrava percepire la differenza: lì poteva intavolare discorsi che con i suoi coetanei inglesi non si era nemmeno mai immaginato di toccare, ricevendo in cambio risposte che avevano prospettive molto simili alla sua. E fu lì che una consapevolezza lo colpì veloce e lucida: Mia in quel contesto non c'entrava nulla. Di quella cena, ovviamente le aveva parlato, ma era stato naturale convenire sul fatto che fosse poco saggio portarla con sé: molti dei suoi professori sarebbero stati presenti, e dunque la situazione si sarebbe rivelata strana per entrambe le parti, portando a un discreto imbarazzo. Ma una volta lì si rese conto che non era neanche quello il più grosso dei problemi: Mia lì dentro sarebbe stata un vero e proprio pesce fuor d'acqua. Si guardò intorno, posando lo sguardo su quei colleghi che presenziavano accompagnati dai propri partner: tutti sembravano a proprio agio, tutti conversavano, ridevano o al massimo battibeccavano. Ma Mia? Mia cosa avrebbe fatto se si fosse trovata lì? Come si sarebbe sentita? Prese un lungo sorso di vino, vuotando il bicchiere che andò subito a riempire di nuovo. Il problema è alla base. Siamo su due binari completamente differenti, e nessuno può abbandonare il proprio. Ma questo io lo sapevo.. solo che l'ho stupidamente preso con troppa leggerezza, credendo che non sarebbe stato un problema. Però lo era, e già da quella prima settimana si rese lampante agli occhi del giovane Yagami. La parentesi in Giappone era stato l'ultimo momento di comunione tra loro, ma non appena avevano rimesso piede in Inghilterra, le loro vite avevano preso strade completamente opposte. Mia era iscritta al college, ed era giusto che vivesse tutti i lati di quell'esperienza; ma era anche altrettanto giusto che Raiden vivesse quelli della propria. Lei non poteva trattenerlo indietro e lui non poteva trascinarla avanti; vivevano in una condizione sfasata, in cui pur nella migliore delle circostanze, la condivisione sarebbe risultata difficile.
    La mattina seguente, il giovane Yagami si prese la libertà di rimanere a letto un po' più a lungo per recuperare la stanchezza accumulata nella settimana appena conclusa. Una volta alzatosi, tuttavia, fece tutto ciò che faceva normalmente, prendendosi un po' più tempo per allenarsi, siccome non aveva alcun impegno per la giornata. Solo quando tornò a casa e uscì dalla doccia il suo pensiero tornò a ciò di cui Mia gli aveva parlato la sera del banchetto. Già, ci sta pure quello. Ho detto che me ne sarei occupato. Si infilò la felpa con un sospiro, legandosi i capelli alla bell'e meglio mentre raggiungeva a passi strascicati la stanza che aveva adibito a suo studiolo personale. Era lì che aveva lasciato la scatola di Mia in attesa del fine settimana. Sedutosi alla scrivania se la pose quindi di fronte, aprendola con uno scatto solo per trovarsi di fronte ad alcune fiale piene di una melma nera che tutto sembrava tranne ricordi estratti per essere gettati in un pensatoio. Cos'è? Una sorta di metafora? Sbuffò stizzito, richiudendo di colpo la scatola. Nessuno sano di mente avrebbe mai messo una roba simile dentro un pensatoio, tuffandocisi di faccia. Per un po' rimase lì, in silenzio, a fissare il vuoto davanti a sé e rimuginare, mentre tutti i sentimenti provati la sera del banchetto tornavano a galla. Voleva parlarle? No, non voleva. Non ne aveva alcuna voglia. Ma non poteva neanche ignorarla e far finta di nulla. Qualcosa doveva pur dirglielo a riguardo di quella scatola, ma era talmente incazzato, ferito e insofferente che non sapeva nemmeno dove un simile discorso sarebbe potuto andare a parare. E io di discutere non ho voglia. Perché tanto si ritornerebbe sempre sullo stesso punto, e mi farebbe incazzare, e quindi se ne parlerebbe di nuovo. Ma io non voglio farlo. Non voglio più niente. Persino ciò che volevo mi è stato rovinato talmente tanto che adesso non lo voglio più. Poi, di scatto, prese la scatola e si alzò in piedi, uscendo a grandi passi dalla porta per raggiungere la cucina in cui Mia stava iniziando a preparare il pranzo. Non si annunciò: fece semplicemente scattare l'apertura della scatola e la spinse abbastanza da farla scivolare sul tavolo e arrivare dritta di fronte a Mia. « Non so se siano ricordi o un qualche elaborato messaggio metaforico, ma capirai da sola che nel pensatoio non intendo metterli. » E non credo neanche di doverti spiegare il perché. Proferì quelle parole con tono piatto, indietreggiando per appoggiarsi con una spalla allo stipite della porta e incrociare le braccia al petto. Scrollò leggermente le spalle, con una noncuranza che aveva dell'insofferenza pure in quella calma piatta che ostentava. « Ma non importa. Non è che devi giustificarti.. o vendermi qualcosa. » Pausa. « Fai le tue cose. Non so cosa ti aspetti di preciso che io ti dica. »

     
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    Ci guarderò nel fine settimana. Inutile dire che quella risposta la lasciò completamente di sasso, così come tutto ciò che seguì. Mia ci aveva messo impegno per tentare di spiegarsi, per dare a Raiden gli strumenti adeguati per comprendere, e perché no, addirittura aiutarla. Chissà. Magari ci vedrai qualcosa che a me sfugge. Forse tu capirai qualcosa che io non ho capito. Sei sempre stato tu quello intelligente. Mia dal canto suo, su quelle questioni, sembrava non voler capire; la sua mente sembrava completamente bloccata, come se ogni qual volta si trovasse di fronte a cose di quella natura, le sue sinapsi non fossero in grado di elaborare assolutamente nulla. Non disse niente in quell'occasione, ma ci rimuginò comunque tantissimo. Si sentì come se ogni suo sforzo fosse stato vanificato. Ci aveva messo impegno e molti sforzi per tentare di estrapolare qualcosa di utile da tutte quelle esperienze. Qualcosa da ripercorrere, qualcosa di utile per mettere insieme una qualche pista. Perché di una cosa a quel punto Mia era certa: non era stata un'allucinazione. Dopo la notte dell'occupazione e fino alla partenza per il Giappone, per quanto avesse tentato di non pensarci, quegli attimi le erano tornati in mente diverse volte. Aveva tentato di dare a quell'episodio un senso. Aveva provato in tutti i modi a convincersi che si trattasse solo di un'allucinazione, di un incubo ad occhi aperti. Ma come si spiegava il seguito? Stacey, Logan e Billie, tutti e tre privi di sensi a terra, senza alcun ricordo di ciò che era successo negli istanti immediatamente precedenti. Perché? Se lo era chiesto per molto tempo, senza saper darsi una risposta, ma soprattutto senza cercarla davvero. Le cose però si erano complicate piuttosto in fretta; altre questioni avevano richiesto la sua attenzione, e per un po' tutto ciò che riguardava quella sfera era passato in secondo piano. Dei fantasmi però non si scappata; né il miglior gruppo di amici di sempre, né la più bella relazione possibile, né tanto meno una gloriosa vittoria possono cancellare certi tarli fissi. Da qualche parte lungo il tragitto, quell'ossessione si era insinuata nuovamente nella sua mente. Forse era stato quando aveva piantato la prima pallottola nel cuore di uno dei tanti soldati ad Iwo Jima, o forse quando si era gettata nella mischia nel palazzo del governo. Forse era stato alla fine; quando le lame le aveva ormai riposte, e per difendersi aveva dovuto usare le proprie mani. La forza bruta. Se glielo avessero chiesto precedentemente, Mia non ci avrebbe scommesso sul fatto che fosse in grado di finire una persona senza un'arma. L'avevano addestrata ad essere pronta a tutto; i cacciatori stimolavano il loro istinto di sopravvivenza a lavorare di ingegno di continuo, sin da quando erano estremamente piccoli. Ma se già uccidere non era una cosa che pensava di poter fare, uccidere a mani nude pensava fosse altamente improbabile. Da qualche parte le sue brutture erano ricomparse. Forse è stato semplicemente alla fine. Io quel sollievo non l'ho mai davvero provato. Non ho mai sentito di aver vinto. Perché non ho vinto. Il suo non sono proprio così era quindi tornato. Non era così. Così allegra, spensierata e felice. Alla sua giovialità volle comunque aggrapparsi. In un modo o nell'altro. E lo fece in maniera eccelsa, quanto meno per la maggior parte del tempo. Fino alla sera nella fattoria dei signori Yagami. E poi, la sera del banchetto. Se la prima volta che ne avevano parlato, Raiden le aveva dato l'impressione di essere intenzionato a lasciarla da sola lungo quella strada, la seconda ogni dubbio venne disseminato. Da lì tutto era colato a picco come una nave. In altre circostanze avrebbe reagito. Lo avrebbe riempito di domande, insistendo affinché le spiegasse perché faceva così. Ci penserò alla fine della settimana? Tutto qua? Cazzo, ti ho detto che è successo il finimondo a luglio, e tu mi ignori per l'ennesima volta. Mi hai ignorato sul momento, mi hai ignorato mentre eravamo in Giappone e mi stai ignorando anche ora? Era talmente frustrata, talmente ferita da quel comportamento che considerava quanto mai egoistico e premeditato, che provare a dire qualunque cosa sarebbe significato esplodere. Mia si era ripromessa di non essere mai brusca con Raiden; di tutte le cose, quella sapeva fosse una cosa che non si sarebbe mai permessa di fare. Così aveva semplicemente lasciato cadere la cosa, mortificata e ferita oltre misura. Non è che tu non capisci; è che non vuoi proprio ascoltarmi. Non mi senti mai. Potrei urlarti contro di aver bisogno di aiuto, ma tu non mi sentiresti comunque. Inutile dire che mettere le distanze era stato quasi naturale. Al trattamento del silenzio di Raiden, che aveva tentato di spezzare qualche volta, alla fine aveva contrapposto un completo eliminare il problema alla radice.
    Fece esattamente ciò che avrebbe voluto fare sin dal principio: tornò a essere una studentessa. Mia Wallace, primo anno, piacere. Era riuscita a farsi dare qualche turno al Suspiria, e oltretutto seguire le lezioni non era stato nemmeno così male. Le prime lezioni di Diritto Costituzionale, grazie anche alla simpatia del professore, l'avevano sin da subito conquistata. Meno intelligibili erano stati i primi cenni di Microeconomia, ma nonostante ciò si era persino costretta a prendere appunti, tanto là quanto durante le lezioni di Storia della Magia I. Quanto all'ultimo corso del semestre - quello opzionale - Mia aveva pensato a lungo al da farsi, ma, dopo aver saltato a pie pari la prima lezione per protesta, aveva comunque deciso di presentarsi per le lezioni di Strategia a partire dalla seconda volta. Con Raiden non ne aveva parlato, né prima, né dopo, quasi come se non si fossero nemmeno trovati nello stesso posto. D'altronde, in mezzo a quella miriade di persone, non era nemmeno certa che l'avesse notata. Mia si era seduta da qualche parte in fondo all'aula, tra tante altre teste addormentate, tirando fuori libro e pergamene, cercando di amalgamarsi il più possibile con la massa. Non aveva gradito ciò che aveva sentito da certe sue colleghe sul conto di Raiden; alcune di quelle racchie sedute al primo banco non avevano sicuramente buone intenzioni. L'avevano persino coinvolta nelle chiacchiere in merito durante la lezione del venerdì mattina, quando, dopo averle chiesto se avesse una penna in più, Tina Huxley si era abbandonata a una serie di confessioni riguardo al professor Yagami e come intendeva andare a ricevimento per farsi notare. Quello era stata solo la ciliegina sulla torta alla fine di una settimana che aveva fatto schifo almeno quanto il resto dell'estate. Così, alla fine, dopo aver ingoiato l'ennesimo rospo, aveva chiamato Veronica, chiedendole di andare a bere. Non aveva fatto chissà cosa, ma quelle due birre che si era scollata le erano sembrate una scusa abbastanza buona per restare a dormire dalla miglior amica per la notte. La sera dopo era andata anche meglio. Il turno al Suspiria era stato la scusa perfetta per saltare a pie pari una cena a cui non aveva affatto voglia di assistere, specie perché era ovvio che Raiden non si trovava a proprio agio a portarla. Lei aveva convenuto e dopo il turno era uscita con gli altri per un altro giro di bevute. Non si era divertita. Vedere Stacey e Antonio in atteggiamenti intimi così dal nulla, le aveva ricordato di quando anche lei si divertita assieme a Raiden all'interno di quella compagnia. Alla fine si era fatta prestare la stanza di Stacey nello studentato Corvonero, specie perché era abbastanza ovvio che lei non l'avrebbe usata. E così, a Inverness ci era tornata solo il giorno dopo abbastanza presto, saltando in doccia, solo per poi fare una capatina a casa della madre per un caffè e qualche chiacchiera di circostanza. Qualche chiacchiera di circostanza che si era conclusa con una richiesta parecchio scomoda. « Ma'.. senti, non ti allarmare per favore, non è nulla davvero però.. mi puoi prestare un po' di soldi? È solo per un po'.. ho iniziato a lavorare al Suspiria, ma sono rimasta a corto e non mi va di andare a ritirare. » Inutile dire che non aveva voglia di toccare la camera blindata. Seppur lì ci fossero anche i suoi pochi risparmi, non voleva toccarli a meno che non fosse assolutamente necessario. Gillian rimase parecchio interdetta. Ma più di tutte, a rimanerci male era Mia, il cui orgoglio venne completamente spezzato da quella richiesta. « Mia.. » Stava per chiederle se fosse tutto apposto. Lo sapeva. E infatti scosse la testa, prima che l'interrogatorio iniziasse. « Ma'.. » Non è aria. Alla fine, a malincuore, Gillian le aveva prestato più di quanto Mia avesse chiesto, ma la mora si era affrettata a ribadire che glieli avrebbe restituiti tutti. Certo, cento galeoni mica sono due spicci. Non mi è neanche chiaro quanto mi pagano al Suspiria. Le mance però erano generose, e questo le avrebbe permesso di rimettere insieme la somma necessaria da sostituire in qualche settimana. Con la paga forse in un mese.. oddio forse un po' di più. Non lo so. Dipende da quanti turni riesco a fare. E alla fine era tornata a casa, decidendo di mettersi sui libri. Aveva una piccola consegna a cui dedicarsi, che saltò ancora una volta a pie pari, per dedicarsi ai libri che aveva preso in prestito in biblioteca a Inverness. Nello specifico, da un paio di giorni, tra i libri che teneva in salotto, dove aveva stabilito il suo campo base universitario, soggiacevano un paio di libri di natura decisamente differente rispetto a quelli necessari per il suo corso di studio. Un po' alla volta negli ultimi giorni si era concentrata su un capitolo nello specifico di un antico libro che approfondiva la natura dei fuochi fatui e le loro proprietà. Aveva continuato a leggere senza grandi risultati in merito a ciò che le interessava, mentre tirava fuori dal frigo gli ingredienti per il pranzo.
    Di scatto qualcosa cambiò nell'aria, e Mia, fu obbligata a sollevare lo sguardo dal libro, ritrovandosi dinanzi lo sguardo freddo e indifferente di Raiden, seguito dal rumore metallico della scatola che gli aveva consegnato diversi giorni prima. Per un istante non ne guardò il contenuto, cercando piuttosto di capire il perché di quella freddezza. Ancora! « Non so se siano ricordi o un qualche elaborato messaggio metaforico, ma capirai da sola che nel pensatoio non intendo metterli. »
    Solo allora abbassò lo sguardo sulla scatola, sgranando gli occhi. La confusione e il panico che provò furono a dir poco sconfortati. Ma che vuol dire? No aspetta.. è uno scherzo. Va beh, dai, è pure di pessimo gusto, diciamolo. Qui stai proprio passando il limite. Fai proprio schifo, cazzo. « Mi stai prendendo in giro? Queste non sono mie. » Lo disse con estrema convinzione. La scatola era la stessa. Le fiale opache anche. Ma non era ciò che Mia vi aveva riposto. Nella notte di non più di una settimana prima, nella scatolina metallica aveva riparato diversi rivoli argentei, forse a tratti un po' grigini, ma non certo questo. Quel petrolio era talmente inorridente che dovette richiudere il coperchio allontanando la scatola. Ma che scherzo del cazzo è? Dai, fai il serio. Per qualche istante lo osserva come se si aspettasse di vederlo scoppiare a ridere da un momento all'altro. « Ma non importa. Non è che devi giustificarti.. o vendermi qualcosa. Fai le tue cose. Non so cosa ti aspetti di preciso che io ti dica. » Ammutolì sul posto; Raiden non si era mai comportato in quella maniera, e per quanto tentasse di comprendere cosa nello specifico avesse scatenato quella relazione, non solo si sentiva di brancolare nel buio, ma aveva anche l'impressione di essere sottoposta a una manovra inquisitoria senza alcuna ragione. « Venderti qualcosa? » È questo ciò che ho fatto? Ma chi sei - tu! - di preciso. Il sangue le ribolle nelle vene, tant'è che richiude il libro velocemente, gettandolo sul banco da lavoro alle sue spalle, per poi voltarsi nuovamente nella sua direzione. « E cosa ti avrei venduto di preciso fino ad ora, sentiamo. » Sono molto curiosa di saperlo. Scosse la testa sbuffando colta da un attacco di ironia. « No.. sai una cosa? Non m'interessa saperlo. Hai reso la tua linea abbastanza ovvia: le mie cazzate non sono una tua priorità. Sono in fondo alla lista dopo il ritiro delle giacche in tintoria e la pulizia della cuccia del coniglio. » Peggio di così c'è solo venire dopo la spazzatura da portare fuori. Dei trattamenti del silenzio di Raiden, Mia era stanca. Dopo averlo subito per una seconda volta nel giro di pochi mesi, di trattarlo con delicatezza non ne aveva più voglia. Io non ti ho fatto niente. Né a luglio, né ora. Ma nonostante questo, devo sempre subirmi i tuoi sbalzi d'umore da stronzo patentato. « I miei ricordi però li rivoglio. Non c'era bisogno di fare tutta questa sceneggiata. Se non t'interessava, potevi dirlo dall'inizio. Troverò qualcuno che ha voglia di aiutarmi. » Perché è questo ciò che fa la gente. Quando uno gli dice che non sa che pesci prendere, l'altro dovrebbe quanto meno mostrarsi interessato. Tentare almeno. Ma forse non siamo fatti alla stessa maniera. Non è che perché io ho messo in pausa tutto per te, devo aspettarmi che tu prenda sul serio quello che ti sto dicendo. « Sono sola, messaggio ricevuto. Tante grazie. » Gettò la scatola di metallo nel bidone della spazzatura, osservandolo con sdegno. « Ma tutto questo non ti dà il permesso di dire che tutta la mia vita è una merda.. soprattutto in questo modo. » Cosa volevi dimostrare? Più ci pensava, più la cosa la faceva innervosire. Decise quindi di afferrare una pera dalla cesta della frutta e morderla mentre si dirigeva in salotto, giusto per non guardarlo più. Non voleva urlargli contro, anche se dopo tutto ciò che aveva fatto, glielo rendeva davvero difficile.


     
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    « Wow.. per un momento quando sei entrato sono quasi riuscita a sentire la Marcia Imperiale in sottofondo. » Il commento di Eriko fu ironico, ma piuttosto azzeccato. Sapendo che Mia sarebbe uscita, venerdì Raiden aveva invitato la madre e i fratelli per cena così da distrarsi un po' da tutti quei pensieri che lo appesantivano. Alla fine, tutti se ne erano andati tranne Eriko, che con la scusa di voler bere una tazza del tè che i nonni avevano dato al fratello in quantità industriali, se ne era rimasta lì fino a tarda ora, trovando il momento adatto per andare a scandagliare l'umore instabile di Raiden. Lei, d'altronde, poteva percepirlo, a differenza degli altri. « È stata una settimana un po' difficile. » rispose quindi il giovane con tono piatto, stendendole un sorriso poco convinto mentre poggiava sul tavolo la bottiglia di sakè che era andato a prendere dalla cantina. La scaldò con un colpo di bacchetta, procedendo poi a versarne generose dosi nelle tazze da tè ormai vuote di entrambi. « Ti hanno rubato i gessetti per la lavagna? Dai, confessa: quante persone hai buttato fuori dalla classe in soli due giorni di lezione? » Era evidente che quell'ironia di Eriko fosse tesa ad arrivare pian piano al nocciolo della questione, tentando di turbare il meno possibile Raiden. Anche lui lo capì, ma non se ne tirò indietro. Da nascondere, in fin dei conti, non aveva nulla. « Solo tre per ora. Ma fino a Dicembre è ancora lunga. » La Yagami ridacchiò, buttando giù il sakè in un colpo solo, da vera pro, per poi riempirsi nuovamente il bicchiere. « Dai, sul serio, sputa il rospo. Lo sento che sei proprio triggerato a merda. Che è successo? » Nel chiederglielo, il tono di Eriko si rivelò quasi gentile, pur se accompagnato da un piccolo calcio affettuoso sotto al tavolo, volto più a scuoterlo che altro. In tutta risposta, il moro prese un lungo sospiro, replicando le mosse di lei nel buttar giù la tazza di sakè e riempirsela generosamente. Si passò quindi una mano sul volto e tra i capelli, scuotendo leggermente il capo. « Non lo so, Eriko.. le cose non vanno bene con Mia. » Ma non da oggi. Da un po'. Alla luce dell'ultimo exploit, non so nemmeno se ci siano mai andate bene o se il nostro benessere fosse solo frutto di quella bolla che ci isolava dalla realtà, quando nessuno di noi due era né carne né pesce e non avevamo nulla in ballo. Proseguì quindi a spiegarle sinteticamente ciò che era successo da quando erano andati a far visita ai nonni fino ad ora, senza dilungarsi troppo nei propri sentimenti a riguardo ma limitandosi quasi esclusivamente a presentare i fatti così come si erano svolti. « Che ti devo dire? Ci sono rimasto male. Non tanto per la cosa in sé, ma perché mi sento proprio preso per il culo. In continuazione. E quest'ultima cosa mi sta facendo rimettere insieme tutti i pezzi degli ultimi mesi. Capisci? » Ci avrei dovuto pensare prima. Le avrei dovute vedere subite, queste cose. Però stupidamente io ci ho creduto alle cose che lei mi diceva. Ci ho creduto al fatto che per quanto bislacco fosse stato il nostro matrimonio, per lei avesse comunque valore. E quando lo nascondeva agli altri mi sono detto che fosse lecito, che era normale si sentisse un po' scrutinata dai coetanei, ma che sarebbe passata. E invece non è così. Siamo esattamente allo stesso punto di prima. Lei di questo matrimonio si è vergognata sin dal primo giorno, e non ha mai smesso di farlo. Non ha mai davvero smesso di comportarsi come se fosse uno scherzo, tranne quando stavamo in Giappone, ma solo perché lì c'era chi davvero era interessato. A quelle parole, Eriko si morse l'interno del labbro inferiore, aggrottando la fronte con aria pensierosa mentre rannicchiava le ginocchia al petto, poggiando i piedi scalzi sulla sedia. « Mmmh.. senti, io non ti dirò che te l'avevo detto.. però.. » Però lo intendi comunque, vero? Non avresti nemmeno torto, a questo punto. Ti avrei dovuta ascoltare sin dall'inizio. « ..cioè che Mia fosse proprio di un'altra pasta era evidente. » Fece una pausa, affrettandosi poi a puntare lo sguardo sul viso del fratello e riprendere il discorso. « Che non è necessariamente un male, eh, sia chiaro! Cioè, alla fin fine io sono felice se tu sei felice. Però che lei volesse farsi i cazzi propri te l'ho sempre detto. » Sospirò, umettandosi le labbra prima di continuare. « Con questo non voglio dirti di buttare tutto alle ortiche perché è chiaro che si tratti solo di una crisi. Però secondo me sei stato un po' troppo accomodante fin dall'inizio. Cioè, adesso non è che devi fare il marito padrone, eh - quello anche no, ti prego - però secondo me dovresti farle capire che si deve dare una svegliata. » Fece una pausa, bevendo un sorso di sakè prima di piantare le iridi in quelle di Raiden. « Cosa la blocchi io non lo so, ma Raiden.. i traumi li abbiamo tutti. Tutti quanti abbiamo visto, subito o fatto cose che ci hanno segnati per sempre. Ma non sono una giustificazione per tutto. Certe cose.. uno le sceglie. » E di scelte, Raiden ne capiva più di tutti. Per la sua età ne aveva fatte a sufficienza, e più grandi di quanto avrebbe dovuto. Iwo Jima, insieme a tutto ciò che ne era derivato, lo aveva segnato così profondamente che mai quelle ferite si sarebbero del tutto sanate. Le avrebbe sempre portate con sé, così come tutte le altre. Eppure in quel campo, il giovane Yagami aveva preso una decisione: quella di non lasciarsi bloccare. Aveva urlato al proprio compagno di prendere la katana e combattere, di non arrendersi, di non stamparsi in fronte il marchio della vittima. Certe cose, lui non le avrebbe mai veramente superate, ma non aveva nemmeno voluto lasciare che lo fermassero. E quella scelta era stata dettata da nient'altro che la sua volontà. Io non ho mai avuto risposte. Forse non le ho mai neanche cercate. Forse ancora una parte di me rimarrà sempre paralizzata da quello che ho vissuto. Non penso ci sia una soluzione, o una cura. Ho solo scelto di conviverci e costruirmi una vita che fosse a mia misura.
    [..] « Venderti qualcosa? E cosa ti avrei venduto di preciso fino ad ora, sentiamo. » Alzò gli occhi al cielo, mordendosi l'interno delle guance per trattenersi dal risponderle male. Ormai, che una discussione ci sarebbe stata, era piuttosto ovvio. Eppure Raiden non riusciva a scrollarsi di dosso quel fastidio nei confronti di lei. Si sentiva come se qualunque cosa dicesse o facesse fosse destinata in ogni caso a rivelarsi inutile, cadendo in un buco nell'acqua. Perché è sempre stato così. Ogni santa volta. Parliamo e parliamo e parliamo ma non si arriva mai da nessuna parte. Tu poi, parli davvero un casino. Prometti questo e quest'altro, ma la verità è che sono solo parole. « No.. sai una cosa? Non m'interessa saperlo. Hai reso la tua linea abbastanza ovvia: le mie cazzate non sono una tua priorità. Sono in fondo alla lista dopo il ritiro delle giacche in tintoria e la pulizia della cuccia del coniglio. » Annuì sarcasticamente, in un moto sbrigativo. Eh sì, ci hai visto proprio lungo. Non ti sfugge nulla. « I miei ricordi però li rivoglio. Non c'era bisogno di fare tutta questa sceneggiata. Se non t'interessava, potevi dirlo dall'inizio. Troverò qualcuno che ha voglia di aiutarmi. » Quelle parole lo lasciarono di sasso, portandolo a strabuzzare gli occhi in un'espressione a dir poco esterrefatta. Davvero Mia stava arrivando così in basso? A un tale livello di infantilità da tentare di rigirare la frittata e fingere che quelle fiale le avesse piazzate lui. « No scusa, ma mi prendi per il culo? Ancora? » Dopo il danno pure la beffa. Davvero, Mia? Cazzo non è che vuoi rimanere bambina, tu lo sei proprio, da cima a fondo. « Sono sola, messaggio ricevuto. Tante grazie. Ma tutto questo non ti dà il permesso di dire che tutta la mia vita è una merda.. soprattutto in questo modo. » Assottigliò le palpebre, seguendo col capo la sua traietteria verso il salotto solo per scostarsi dallo stipite della porta una volta che lei vi fu passata attraverso, andandole dietro con un passo che la diceva piuttosto lunga su quanto spazientito fosse dalle continue cazzate che lei gli riversava addosso. « Quindi adesso vuoi anche far finta che non sia stata tu a darmi quelle fiale? Anzi, mi vuoi addirittura dire che ce le ho piazzate io in un elaborato piano per non venire in tuo soccorso! Cazzo, non pensavo che potessi davvero scendere così in basso nella tua infantilità. » Ma evidentemente mi sbagliavo. A quel punto, Raiden era convinto di essersi sbagliato su fin troppe cose per troppo tempo. Dentro di lui si era sedimentato il pensiero di aver letto male ogni situazione, riponendo in Mia più fiducia e speranza di quante avrebbe dovuto accreditargliene. Raggiunto il tavolo del salotto, sbatté il palmo della mano sulla sua superficie, facendo rimbombare il suono per tutto l'ambiente. « Basta. » Sibilò, puntando lo sguardo in quello di lei con una rabbia che non aveva mai provato prima nei suoi confronti. Raiden aveva raggiunto la saturazione. Non ne poteva più di quei giochi, di quel continuo fare un passo avanti per poi tornare al punto di partenza come se stessero facendo il gioco dell'oca. « Basta con le cazzate. Vieni a farmi la morale quando poi, appena metti piede fuori di casa ti vergogni come un cane del nostro matrimonio. Cerchi in tutti i modi di cavarmi di bocca i miei problemi e ti gonfi di paroloni, poi però se tu della tua roba non parli la colpa è mia che ti lascio da sola. » Oltre che infantile e menefreghista, sei pure ipocrita. Tanto perché non c'è due senza tre, vero? Non ci facciamo mancare proprio nulla. « Cosa ti aspetti da me, eh? Che sia frate indovino? Che prenda per buona ogni cazzata che mi dici? Quale delle tante dovrebbe essere una mia priorità, eh Mia? » Perché se le dovessimo davvero prendere tutte per buone, allora sul serio non ci sarebbe nemmeno il tempo di buttar fuori la spazzatura e soffocheremmo nella merda di coniglio tempo un paio di giorni. Tra tutto ciò che provava, il sentirsi ferito da lei era quello che andava per la maggiore. Non riusciva ad andare oltre le parole che lei gli aveva rivolto, oltre il suo ignorare bellamente l'unica e semplice richiesta che le aveva fatto. No, tu devi sempre mortificare ciò che mi sta a cuore. Devi sempre farmi sentire come se ti stessi costringendo in qualcosa che non vuoi. E io mi sono stancato di sentirmi così umiliato. « Io non ti ho mai chiesto un cazzo. L'unica volta che l'ho fatto, te ne sei altamente fregata. E davvero, Mia, il messaggio è passato forte e chiaro. Anzi, nel tuo essere una grandissima stronza hai fatto un lavoro egregio, perché sei riuscita addirittura a togliermelo il desiderio. » Fece una pausa, scuotendo il capo mentre indietreggiava di un passo con un'espressione che trasformava quel profondo ferimento che sentiva in nausea. « Stai tranquilla: non hai bisogno di rifilarmi scuse. Non voglio più nulla. Non mi aspetto più nulla. »



     
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    Quando Raiden si era chiuso in se stesso durante l'estate, ciò di cui Mia aveva avuto maggiormente paura era che qualunque suo tentativo di parlarci o migliorare la situazione, avrebbe scatenato in lui un sentimento di fastidio. Odiava l'idea di essere vista in quella maniera, come se fosse di troppo, come se qualunque cosa avesse detto o fatto non avrebbe comunque cambiato nulla, perché in partenza, lui il suo aiuto non lo voleva. Ad ogni tentativo, Mia si era sentita sempre più in imbarazzo, come se stesse invadendo uno spazio in cui non era desiderata. A tratti si era sentita persino rincuorata dall'idea di non poter entrare in collisione con la sua sfera emotiva. Di una cosa era abbastanza certa: temeva di sentirsi indesiderata. Ogni qual volta gli parlasse, cercava di essere più cauta e lo faceva con più imbarazzo della volta prima. Cercava di trovare le parole giuste per dire qualcosa di diverso, per tentare di spingerlo a farle capire che cosa gli passasse per la testa, ma ogni volta era un po' più incerta della volta prima. Raiden, dal canto suo, era freddo, sembrava trovarsi altrove. Ai tempi non le era certo se il problema era lei oppure tutto il resto. Oppure entrambe le cose. Pur essendo la persona più invasiva e impicciona del mondo, Mia era il tipo di persona che prendeva confidenza e si faceva spazio nella vita altrui se le veniva permesso; provava ad evitare di esporsi a inutili rifiuti che non avrebbero fatto altro che alimentare la sua paura di abbandono. Con Raiden, però, ad un certo punto non aveva potuto fare altro che insistere. Finché ha smesso, scoraggiata di fronte ad ogni possibile tentativo. Immaginare è un conto, scontrarsi con quelle sensazioni però era un altro. Più parlava, più si sentiva come se non l'ascoltasse affatto, come se non volesse nemmeno vederla. Si sentiva rifiutata. Dalla notte del banchetto ogni contatto tra i due si era arrestato, e per un po' Mia ha persino tentato di convincersi che si trattasse solo di un periodo di assestamento. Forse avevano solo bisogno di trovare la loro dimensione; abituarsi a quella complessa quotidianità, tra il nuovo lavoro di Raiden, l'inizio delle lezioni, le questioni burocratiche e anche banalmente la vita da sposati. Inutile dire che, Raiden e Mia, una tradizionale coppia di neosposini non lo erano mai stati. Dopo il diploma, la loro luna di miele era stata completamente rovinata dal massacro dei lycan giapponesi, seguito da un periodo di malumori, dispiaceri e tristezza, di confusione e tante questioni da risolvere. Poi avevano passato un altro mese stipati in una stanzetta del quartier generale degli warlock a Tokyo. Una vera e propria quotidianità non l'avevano mai avuta, né avevano avuto il tempo di abituarsi a ciò che poteva significare vivere effettivamente insieme. I pochi giorni di sole che si erano presentati nei quasi sei mesi che contava il loro matrimonio, erano stati quasi un'eccezione alla regola. A tutte queste cose, Mia nello specifico, non ha mai pensato con lucidità, ma era abbastanza ovvio che fosse stata travolta dagli eventi. Troppi, in troppo poco tempo. Non aveva mai avuto modo di reagire, di dire la sua. Per la maggior parte, non aveva avuto alcuna scelta, e anche se c'era chi volesse dirle il contrario, non avrebbe comunque saputo imboccare strade differenti rispetto a quelle effettivamente percorse. Giungere lì, in quel preciso istante, intenta a parlare con Raiden, corrosa dalla netta sensazione di parlare a vuoto, percependo il distacco e il fastidio che il ragazzo provava nei suoi confronti, si sentiva come se fosse sul punto di mollare. Non solo non la stava ascoltando; non le credeva, dubitava di qualunque cosa dicesse, mentre lei dal canto suo non sapeva nemmeno cosa dire. Non riusciva a immaginare il motivo che aveva scatenato tutto quel risentimento e tutta la rabbia che provava nei suoi confronti. Mi stai lasciando da sola. Di nuovo. Perché secondo te è questo ciò che voglio. O è questo ciò di cui pensi che ho bisogno. Tu non mi hai mai capita. Non ci hai neanche provato. Ed io addirittura pensavo che la notte dell'occupazione non riuscivi a vedermi perché avevi altro per la testa, perché il tuo dolore valeva più del mio. Io ci ho creduto che fosse così. Ti ho dato priorità perché ero convinta che la tua perdita valesse più di tutta quella roba. Almeno la morte di tante persone è qualcosa che si può capire, è una perdita, qualcosa di materiale. Io non avevo nulla di concreto di cui avere paura; non ho mai avuto nulla di concreto per poter spiegare alle persone perché mi sento così. Capisci perché era tanto più semplice lasciare che tutti pensassero che fossi letteralmente una scappata di casa? Magari non aveva un cazzo di senso, ma almeno era qualcosa. Così è il nulla. E del nulla non si può parlare; è invisibile, sembra che non ci sia. Ma per me c'è, e non c'è una sola anima che può anche tentare di darmi una mano. « Quindi adesso vuoi anche far finta che non sia stata tu a darmi quelle fiale? Anzi, mi vuoi addirittura dire che ce le ho piazzate io in un elaborato piano per non venire in tuo soccorso! Cazzo, non pensavo che potessi davvero scendere così in basso nella tua infantilità. » L'insistenza di Raiden nell'accusarla in ogni maniera possibile e immaginabile la porta a stringere i pugni e corrugare la fronte. Non sa che cosa c'è di preciso in quella scatola, ma sa per certo che non è ciò che lei le ha consegnato. E fino a prova contraria dei gremlin dentro casa non li abbiamo. « Mi stai dando anche della bugiarda? » No. Questo non te lo permetto. Perché di tutte le cose che a Mia si potevano imputare, l'essere una bugiarda era una cosa che non poteva proprio accettare. Con Raiden era sempre stata sincera, anche più del dovuto. Lo aveva sempre coinvolto in qualunque cosa pensasse - almeno ci ho provato.. ho provato a renderti partecipe. Ho cercato la tua comprensione, il tuo consiglio, la tua empatia. Tu però di empatia non ne hai proprio. Sei un fottuto automa di merda. « Io non ti ho dato quelle fiale! Ti ho dato i miei ricordi, e ho anche fatto un sacco di fatica per fare tutta quella roba! » Sbotta sulla difensiva, sentendosi messa con le spalle al muro. Come se ogni sua parola e gesto venisse messo sotto scrutinio. « Io credevo che.. » Ma poi di colpo venne interrotta dal colpo di lui contro la superficie del tavolo. Sgranò gli occhi osservandolo con incredulità. « Basta. » No. Non ci poso credere. Tu non ti stai veramente comportando così. Era come se di punto in bianco vedesse una persona completamente differente. Poco le importava del substrato che poteva chiaramente percepire - Mia e Raiden si amavano comunque, questo era evidente, ma in quel momento non volle proprio vederlo. Tutto ciò che notò era un estraneo che la stava accusando di cose insensate e stava scatenando una lite solo per metterla di fronte a tutto il fastidio e la rabbia che provava nei suoi confronti. I sentimenti di lui si rispecchiarono per un istante nell'animo di lei e nel vedersi come lui la vedeva, si sentì disgustata. Io mi faccio schifo. Tutto questo fa schifo. « Basta con le cazzate. Vieni a farmi la morale quando poi, appena metti piede fuori di casa ti vergogni come un cane del nostro matrimonio. Cerchi in tutti i modi di cavarmi di bocca i miei problemi e ti gonfi di paroloni, poi però se tu della tua roba non parli la colpa è mia che ti lascio da sola. » « Cavare di bocca! Corretto! Almeno a me frega qualcosa di quello che provi a differenza tua! Abbastanza da provarci.. io ci provo. Tu non ci hai neanche provato, Raiden, NON MI STAI NEANCHE ASCOLTANDO! E io non mi vergogno proprio di nulla, hai capito? » A quel punto non ha neanche voglia di farlo finire. Si intromette nel discorso ribattendo velenosamente ogni qual volta ne abbia l'occasione. Perché Raiden ha detto basta. Ma basta di cosa! Ti devi dare una calmata. È chiaro però a quel punto che nessuno dei due intende darsi una calmata. « Cosa ti aspetti da me, eh? Che sia frate indovino? Che prenda per buona ogni cazzata che mi dici? Quale delle tante dovrebbe essere una mia priorità, eh Mia? Io non ti ho mai chiesto un cazzo. L'unica volta che l'ho fatto, te ne sei altamente fregata. E davvero, Mia, il messaggio è passato forte e chiaro. Anzi, nel tuo essere una grandissima stronza hai fatto un lavoro egregio, perché sei riuscita addirittura a togliermelo il desiderio. » Scuote la testa e allarga le braccia, Mia, ormai esasperata da quella manovra inquisitoria a cui viene sottoposta senza ragione alcuna. « Ma di cosa stai parlando, Raiden! Tu mi hai chiesto di non parlare di una cosa nello specifico - non di ogni cosa! » Davvero è questo il punto? Che non vuoi proprio sapere nulla? Davvero non t'interessa per niente? « È così vero? Non devo parlare di nulla? Devo stare zitta? È questo ciò che il matrimonio significa per te? Provvedere? Avere qualcuno di cui prenderti cura materialmente e poi per il resto sticazzi? » Io.. io non capisco neanche come ho fatto a non accorgermi di tutto questo. Si sentiva estremamente frustrata, Mia, come se avesse vissuto letteralmente su un altro pianeta rispetto a lui per tutto quel tempo.
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    « Stai tranquilla: non hai bisogno di rifilarmi scuse. Non voglio più nulla. Non mi aspetto più nulla. » E lì si ferma. Ammutolisce e abbassa la testa. Le parole di lui le fanno male. Si sente ferita e offesa. In pochi minuti Raiden l'ha messa in discussione in ogni maniera possibile, offendendola a più riprese. Nonostante il suo orgoglio non è mai stato dei più ferrei, Mia si sente comunque pizzicata, oltretutto per ragioni che non comprende. Ci prova a ripensarci a cosa potrebbe avergli detto di così tanto imperdonabile, ma non le viene in mente proprio niente. E mi aspettavo anche che avessi il desiderio di aiutarmi. Che stupida! Non si capacitava però del perché di quel rifiuto. Del perché avesse archiviato qualunque cosa avesse detto e soprattutto fatto sin da quando si conoscevano. Sono davvero una persona così orribile? Magari ha ragione lui. Sono inadatta, un po' in tutto. Perché sto cercando di combattere questa cosa così tanto? Quelle parole facevano male perché erano l'esatta idea che lei stessa aveva di sé; sensazioni che si teneva per se stessa, che preferiva nascondere. Ora però, arrivavano da parte di Raiden, e non solo facevano male perché suonavano come una conferma; il problema stava proprio nel fatto che era proprio lui a dirgliele. « E allora cosa stiamo facendo? » Chiede di scatto stringendosi nelle spalle? Ha gli occhi lucidi e leggermente arrossati; le guance e la punta delle orecchie altrettanto bollenti. Non piangerà, non davanti a lui, ma sa comunque che di motivi gliene ha dato a sufficienza. « Se non vuoi niente, se non ti aspetti niente.. cosa succede? » Deglutisce mentre indietreggia di un passo sollevando lo sguardo verso l'alto. Osserva con una certa insistenza la carta da parati logora della loro casetta provvisoria. « Devo andarmene? È questo ciò che mi stai dicendo? » Perché sappiamo entrambi che se è questo il punto a cui stiamo, di qui sono io quella che deve andare via. Si sente come colpita da una cosa inaspettata; una serie di rimostranze che non immaginava neanche e che pure deve essersi tenuto per sé per diverso tempo. Io però non voglio questo. Mi sento come una cazzo di sfollata. Come se qualcuno tentasse di darmi un calcio in culo fuori dalla propria vita perché sono difettosa. « È evidente che non mi vuoi tra i piedi ma per quel che vale, ti ho dato quei ricordi perché speravo volessi aiutarmi. » Il tono di voce arrendevole, deluso, semplicemente triste. A quel punto ha capito l'antifona e vuole quanto meno dire l'ultima volta la sua. Magari la prenderai comunque male, ma comunque non ti aspetti più nulla, no? « Forse tu ci avresti visto qualcosa che a me è sfuggito. Speravo nella tua esperienza.. » Si stringe nelle spalle. « Sei tu quello intelligente. » Pausa. « Io non intendo archiviare la questione, ma non posso neanche obbligarti a fare qualcosa che non ti va di fare. Ed è evidente che sia così, perché una cazzo di cosa che mi perseguita da un sacco di tempo, per te è da relegare nel fine settimana. Te l'ho detto perché credevo volessi sapere cosa combino.. sai vivendo sotto lo stesso tetto. » Respira affondo. Tenta di mantenere la calma, ma non ci riesce. « Ma l'hai rifatto. Come quando è successo! Mi hai messa all'angolo a fare i conti con chissà cosa da sola. Non ti sei neanche disturbato di chiedere cosa. Perché tu avevi altro da fare. » Si passò le mani tra i capelli e scosse la testa. Davvero non riesci a vederlo? Per te c'è sempre qualcosa di più importante che ti impedisce di vedere ogni tanto me. Prima c'era il Giappone, poi i massacri del Giappone, ora sono gli ipotetici bambini che io non ti sto dando oggi 19 settembre 2021. « Cazzo, mi fai la predica sul matrimonio, quando è evidente che tu sei il primo a non avere la più pallida idea di cosa significa stare insieme a qualcuno: tipo fare gioco di squadra. A te non fa differenza se faccio o non faccio qualcosa, tanto ci pensi tu. Non t'interessa se concludo o meno qualcosa, tanto ci sarai sempre tu. E non fraintendermi, è tutto molto bello sulla carta Raiden - non avere una cazzo di pressione che sia una - se non fosse che a te interessa solo essere tu quello impeccabile. » Tu devi riuscire a fare tutto. Devi avere tutto. Devi essere in grado di fare tutto. Ed è molto bello, finché non diventa un'arma a doppio taglio. C'è solo una cosa che non riesci a fare da solo, non è così? Altrimenti faresti anche quella da solo. La faresti comunque meglio di me. E lì indietreggia di un passo mantenendo lo sguardo basso. Si sente estremamente ferita da quello che ha sentito. Io non so davvero chi sei e con chi sono stata fino ad ora. « Dovresti averle delle aspettative da me però.. e io dovrei averle da te. Tipo non dover andare a caccia di chissà cosa da sola mentre vivo in casa con qualcuno che ha esperienza in un sacco di cose - tranne che nell'avere un minimo di tatto. » Si morde il labbro inferiore, Mia, colta da un'immane frustrazione. Con te non ci siamo mai io e te contro il problema. Sono piuttosto io contro il problema e anche contro di te. Devi sempre mettermi in dubbio. Devi sempre mettermi sotto esame, come se la mia inadeguatezza fosse data per scontata prima ancora di averla dimostrata. Solleva lo sguardo nella sua direzione solo dopo un po'. Questa volta è solo amareggiata. Non ha più voglia di dargli contro, né tentare di dimostrare un punto che è chiaro Raiden non sia nemmeno intenzionato a comprendere. Non posso convincerti di nulla. Anche se dici il contrario, tu hai un sacco di pregiudizi nei miei confronti. Mi stai guardando con gli stessi occhi giudicanti di tua sorella. Di tanta altra gente. « Posso almeno sapere cosa ti ho detto di tanto brutto da giustificare tutto questo processo? » Deglutisce. Magari riuscirò a evitarlo la prossima volta.


     
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    Essere lo specchio della perfezione era l'aspettativa che sin dalla più tenera età tutti avevano calato su Raiden. Quel bambino virtuoso, pieno di pregi e apparentemente capace di eccellere in ogni ambito sembrava essere una tela vuota su cui chiunque si sentiva in diritto di proiettare le proprie aspirazioni. Con il passare degli anni, quel macigno non aveva fatto altro che farsi più pesante sulle sue spalle, portandolo a guardare all'eccellenza come a qualcosa che da lui era dovuta. Deludere significava fallire, e fallire era quanto di peggiore una persona come lui potesse concepire. Eppure in quel momento, Raiden quel sentimento lo sentiva forte e chiaro nel petto: il dolore di aver fallito nell'unica cosa totalmente personale. Guardandosi indietro, credeva che forse avrebbe dovuto capirlo: Mia una relazione nemmeno la voleva, e in quel matrimonio c'erano precipitati dal giorno alla notte. Potevo davvero aspettarmi un risultato diverso da questo? Potevo davvero pretendere di mettere tutte le mie speranze e aspettative in un colpo di fortuna capace di ribaltare la situazione? No, sono stato semplicemente uno sciocco. Sono io, quello ad aver sbagliato, perché ero io quello che sapeva ciò che voleva da un simile impegno. Lei non lo sapeva, e quindi non c'era da aspettarsi che potesse sostenerlo. La responsabilità di averci voluto vedere qualcosa su cui puntare è solo mia e di nessun altro. Avventato nelle proprie scelte, specialmente quando importanti, Raiden non lo era mai stato, ma le considerazioni di quel momento lo portarono a sentirsi così: come uno sciocco che si era lasciato trascinare dagli eventi, dando credito eccessivo a qualcosa che già dal principio si era mostrato come poco solido. E nel realizzare tutto ciò, Raiden si sentiva stanco e frustrato, incapace di trovare una strada che potesse dare un senso a tutto quanto. « E allora cosa stiamo facendo? » Distolse lo sguardo da Mia, scuotendo il capo tra sé e sé in silenzio, in un moto amaro. Non lo so. Non lo so cosa stiamo facendo. Dove stiamo andando. Se stiamo andando da qualche parte. Mi sembra solo di trovarmi in una cazzo di palude. Non era semplice accettarlo. Non era affatto facile per lui concepire una simile idea, ma questo non significava che potesse evitarla. Per quanto ci provasse, Raiden non riusciva a nascondere a se stesso quell'insoddisfazione, quello scontento che giorno dopo giorno si era sedimentato fino a diventare evidente. Non si trattava nemmeno più di una cosa specifica, ma di un contesto talmente fitto e complesso che non poteva essere spiegato se non come una sfasatura tra loro due. Il problema non è un bambino. Il problema non è nemmeno ciò che la Loggia fa o non fa. Il vero problema è che viviamo due vite diverse. E di quel problema, Raiden non poteva che attribuire la colpa a se stesso. Prima di conoscere Mia, aveva sempre guardato al matrimonio come all'unione tra due persone che si sceglievano sulla base di diversi fattori, tra cui uno dei più importanti era la comunione di obiettivi e punti di vista. Poi era arrivata lei, con la sua spontaneità, e lo aveva fatto ricredere. Ma adesso che quei problemi affioravano in superficie, il giovane Yagami poteva vedere ben chiaro di fronte a sé l'errore commesso. L'amore non è tutto. Non può riparare ogni cosa. Non può far funzionare da sé una relazione. Ci vuole anche altro. « Se non vuoi niente, se non ti aspetti niente.. cosa succede? Devo andarmene? È questo ciò che mi stai dicendo? È evidente che non mi vuoi tra i piedi ma per quel che vale, ti ho dato quei ricordi perché speravo volessi aiutarmi. » Sospirò, passandosi le mani sul volto stanco mentre muoveva alcuni passi in avanti e indietro per il soggiorno. Sarebbe stato semplice, mollare tutto, dire "questa cosa non funziona, chiudiamola qui". Sarebbe stata la scappatoia più veloce per uscire da quel circolo di frustrazione in cui era entrato suo malgrado. Però anche volendo non ci sarebbe riuscito, un po' perché Raiden non era mai stato il tipo che mollava senza nemmeno provarci, e un po' perché l'amava così tanto che una separazione da lei l'avrebbe comunque distrutto. Ma se ci avessi pensato prima.. se fossi stato più cauto.. più intelligente.. io di te non mi sarei mai innamorato e tutto questo non sarebbe mai successo. Sarebbero stati più felici? Questo non poteva saperlo, ma il dolore che provava in quel momento lo portava a credere che un senno preventivo lo avrebbe potuto risparmiare da ciò che provava attualmente. « Forse tu ci avresti visto qualcosa che a me è sfuggito. Speravo nella tua esperienza.. Sei tu quello intelligente. » Si passò le mani tra i capelli, puntando le iridi in quelle di lei con uno sguardo estenuato. « Che devo fare? Mettere quelle fiale nel pensatoio? Vuoi questo da me? Che mi ci tuffi di testa nella speranza di trovarci qualcosa che a te è sfuggito? » Non so.. è una prova? È tipo un trabocchetto per vedere quanto sono disposto a rischiare per te? Siamo arrivati a questo punto, Mia? « Io non intendo archiviare la questione, ma non posso neanche obbligarti a fare qualcosa che non ti va di fare. Ed è evidente che sia così, perché una cazzo di cosa che mi perseguita da un sacco di tempo, per te è da relegare nel fine settimana. Te l'ho detto perché credevo volessi sapere cosa combino.. sai vivendo sotto lo stesso tetto. Ma l'hai rifatto. Come quando è successo! Mi hai messa all'angolo a fare i conti con chissà cosa da sola. Non ti sei neanche disturbato di chiedere cosa. Perché tu avevi altro da fare. » Annuì, stirando un sorriso amaro a quelle parole. « Va bene, Mia. Hai ragione. Ti ho sempre messa all'angolo e di te non mi importa nulla. » Si strinse nelle spalle, come ad accettare quelle critiche con filosofia, rassegnandosi all'idea che ribattervi non avrebbe davvero avuto alcun senso. Perché è così. Quando le accuse sono assurde, non puoi ribattere con la logica: l'altra persona non la usa e dunque non cambierebbe niente. « Se questo ti aiuta a sentirti più giustificata o in pace con te stessa, allora raccontatelo pure. » Se vuoi dirti che ti ho sempre lasciata sola, fai pure. Non importa che quella notte sia corso da te, che ti sia sempre rimasto al fianco. Non importa neanche ciò che ci siamo detti a New Orleans quando mi hai raccontato di quello che ti era successo. Ma d'altronde non ti è importato nemmeno del perché io volessi tenere il mio dolore per me, quando l'intero cluster giapponese è morto. Hai sempre pensato a ciò che volevi tu, e io sono sempre stato quello a chiedere scusa. Però sono stanco di farlo. « Cazzo, mi fai la predica sul matrimonio, quando è evidente che tu sei il primo a non avere la più pallida idea di cosa significa stare insieme a qualcuno: tipo fare gioco di squadra. A te non fa differenza se faccio o non faccio qualcosa, tanto ci pensi tu. Non t'interessa se concludo o meno qualcosa, tanto ci sarai sempre tu. E non fraintendermi, è tutto molto bello sulla carta Raiden - non avere una cazzo di pressione che sia una - se non fosse che a te interessa solo essere tu quello impeccabile. » Sbuffò una risata amara dalle narici, annuendo ancora mentre si faceva strada verso il divano, solo per appoggiarsi col sedere allo schienale e incrociare le braccia al petto, in ascolto. « Dovresti averle delle aspettative da me però.. e io dovrei averle da te. Tipo non dover andare a caccia di chissà cosa da sola mentre vivo in casa con qualcuno che ha esperienza in un sacco di cose - tranne che nell'avere un minimo di tatto. Posso almeno sapere cosa ti ho detto di tanto brutto da giustificare tutto questo processo? » Rimase a guardarla per qualche istante in silenzio, incapacitato da quella sfilza di accuse che percepiva come totalmente immotivate. Tu davvero non sai cosa vuoi, vero? Ma tipo mai. Su niente.

    Però la colpa è sempre di qualcun altro.. o di qualcos'altro. È della Loggia, o dei lycan uccisi, o mia che non ti ascolto. Sia mai che ti guardi dentro una cazzo di volta e prendi responsabilità per qualcosa.
    « Sai.. stupidamente ero convinto che non metterti pressione fosse il modo migliore per aiutarti a lavorare su te stessa con tranquillità. » Prese a dire, mantenendo il proprio tono pacato senza distogliere lo sguardo dal suo viso. « Pensavo non fosse giusto, spingerti. Forse perché sono sempre stato convinto che quello non sia un buon metodo per concludere qualcosa. » Fece una pausa, prendendo un sospiro. « Ma tu mi stai dicendo che ho sbagliato ad aver fiducia nelle tue capacità. Avrei dovuto trattarti come una bambina, ma ho avuto la sciocca pretesa di volermi rapportare a te come un'adulta. » E poi sono io lo stronzo, vero? Se ti avessi tenuta in così bassa considerazione da starti dietro come se io fossi un insegnante e tu la studentessa che salta di continuo le interrogazioni, allora sì che tu mi avresti ritenuto d'aiuto. Bel gioco di squadra, bella idea di relazione che hai! « Pensa tu - quando mi hai detto che tutti ti trattavano come un'immatura, come se fossi inadatta.. io ti ho ascoltata e ho pure voluto fare diversamente. Che scemo, eh? » Ma forse tu, sotto sotto, in quel modo ci vuoi essere trattata. È più semplice, vero, quando nessuno si aspetta niente da te se non un fallimento? Puoi sempre sorprenderli, o quanto meno non farceli rimanere troppo male. Puoi sempre avere l'alibi per vivere la tua vita a risparmio energetico. O forse non è neanche quello. Forse, più semplicemente, cambi versione in base a ciò che ti fa più comodo in un dato momento. Scosse il capo, come ad allontanare quel discorso che, per quanto pacato, lasciava chiaramente a intendere la profonda delusione che provava in quel momento. « Ma non importa. Ho fallito. Mi pare chiaro. Sono in grado di riconoscerlo. » Si strinse nelle spalle, incurvando le labbra in un mezzo sorriso pregno di un'amarezza che non pensava avrebbe mai potuto provare all'interno di quella relazione. Io in te ci credevo davvero. E non è che ci credessi solo per quello che mi riguardava, ma per tutto. Ci ho creduto da quando abbiamo studiato insieme per quell'interrogazione in cui hai preso O--. Quando ti ho detto che tu eri in grado di uscire con la media dell'O, io ci credevo davvero. Perché pensavo di aver visto qualcosa in te, e pensavo anche che tutti gli altri fossero degli stupidi per non averci visto lo stesso, per averti costantemente sottovalutata. Ma alla fine vien fuori che forse sono stato io, quello a sopravvalutarti. « Forse ho fallito anche perché tutto questo ti ha dato l'idea che nulla mi colpisse - che tutto quanto mi scivolasse addosso. Ma la verità è che io ci tenevo molto al futuro che stavamo progettando. Ci tenevo da morire, a quel desiderio di avere un bambino, un giorno. Non ora, o tra una settimana. Un giorno, quando per entrambi sarebbe stato qualcosa da accogliere con gioia. » A quelle parole, Raiden fu costretto a fare la pausa, ingoiando il groppo in gola che si sentiva nel realizzare quanto ci avesse creduto all'idea che quell'obiettivo fosse condiviso e che Mia riuscisse a capire l'importanza che lui gli dava. « Non mi sentivo derubato di quella felicità. Anzi, credevo che l'attesa fosse importante.. per fare quel passo al momento giusto. Ma ci tenevo lo stesso. E nonostante ti avessi ribadito più e più volte quanto quell'attesa non costituisse un problema per me, tu hai sempre voluto riaprire il discorso. Come se ti avessi chiesto qualcosa.. come se ti avessi mai messo fretta. » Mi hai fatto sentire come se stessi pretendendo qualcosa da te. Come se il semplice fatto di avere in me quel desiderio fosse sbagliato e ti minacciasse. Io questo non l'ho mai fatto. I tuoi desideri li ho sempre rispettati, così come i tuoi tempi e la tua persona più in generale. « Ti ho chiesto di non parlarne più perché mi avrebbe solo fatto male, pensarci costantemente. Ma tu non mi hai voluto concedere neanche quel poco di compassione; evidentemente sentivi il bisogno di sottolineare quanto non lo desiderassi. E questo non riesco a perdonartelo, perché è un dolore che mi hai inflitto gratuitamente, ignorando una richiesta semplicissima, e trattandomi come se i miei desideri fossero una minaccia. » Di norma Raiden non era un tipo di troppe parole, ma quella volta non voleva lasciare alcun dubbio su ciò che provava. Anche per questo non aveva mai chiuso la propria sfera emotiva nei giorni passati: non voleva lasciare Mia a brancolare nel buio, ma voleva che fosse consapevole di quanto male e quanto gratuitamente gli avesse fatto con la sua superficialità. Pur non avendo parlato con rabbia, Raiden arrabbiato lo era comunque. Una rabbia, la sua, che aveva assunto sempre più tinte amare di fronte all'evidenza di uno scoglio che non sarebbe riuscito ad abbattere. Eriko è una stronza, ma su una cosa ha ragione: certe cose, uno le sceglie per sé. Tu ne hai passate tante e brutte, è vero, ma il modo in cui ti comporti è una scelta che compi ogni giorno. E di quella scelta, sei l'unica ad avere responsabilità. Nessuna risposta potrà mai cambiarlo; solo la tua volontà può. Si staccò dal divano con un sospiro, avvicinandosi al mobiletto su cui tenevano un piattino con le chiavi di casa, che prese velocemente in pugno. Nel voler arrivare alla porta, si fermò prima accanto a lei, fissandola negli occhi con tutta la serietà che lo contraddistingueva. « Con te sono sempre stato onesto e lo sarò anche oggi. » Fece una pausa. « Mi hai deluso. E non perché non sei pronta ad avere figli, o perché mi aspettassi da te qualcosa nello specifico. Ma perché credevo in te come persona e ti tenevo in altissima considerazione. » Inclinò il capo di lato, stendendo le labbra in una linea amara. « Ma se tu per prima non ci credi, c'è davvero poco che io possa fare. E significa solo che mi sono sbagliato. » Detto questo la oltrepassò, tirando dritto verso la porta di ingresso per uscire di casa. Aveva bisogno d'aria, e soprattutto aveva bisogno di silenzio per metabolizzare tutto ciò che stava accadendo nella sua vita. Non volle nemmeno passare da sua sorella o sua madre. Voleva solo rimanere un po' per conto suo, a passeggiare fino a trovarsi fuori dalle mura di quella città, dove le ampie distese delle Highlands potevano permettergli di trasformarsi nella propria natura e correre senza la pretesa di avere alcuna meta. Sarebbe tornato a casa nel tardo pomeriggio, ma in quel momento sentiva solo il bisogno di rimanere con se stesso.



     
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    Non aveva ribattuto. Alla fine aveva piegato la testa, Mia, sentendosi ancora una volta in difetto. Se quelle cose le aveva dette, o le aveva lasciate intendere, ormai non era più rilevante. Era evidente il fatto che questo era ciò che ne aveva tratto Raiden. Poteva in tutta onestà dire che non gli avesse dato alcun motivo per pensarlo? Un giorno era convinta di ciò che faceva, il giorno dopo lo era un po', il giorno dopo ancora non era nemmeno certo di come fosse fatta di preciso la vita di una ragazza sposata. Nel circolo degli amici trovava sempre difficile immaginare la sua dimensione. Non era certa di potergli chiedere se aveva voglia di andare o meno a una festa oppure se poteva passare tempo di qua e di là insieme a lei. Raiden lavorava molto, e, se ciò non bastasse, lavorava nello stesso ambiente in cui lei studiava. In quelle circostanze, più di una volta si era chiesta se fosse giusto dire che fossero sposati. Alcuni lo sapevano, ma per molti la questione era era ancora del tutto inesistente. Forse era più semplice per entrambi non dire niente, specie dal momento che Mia aveva deciso di seguire comunque tutti i corsi opzionali che poteva inserire nel corso di studi in comune con il Corso Auror. Quella era l'unica dimensione in cui si vedeva veramente, quello l'unico corso di studi in cui forse avrebbe potuto dimostrare qualcosa senza sforzarsi particolarmente. Ma nonostante ciò non lo aveva scelto; era una questione di principio. Una presa di posizione stupida, come tante altre che aveva preso nel corso del tempo. Come quelle antipatie alimentate con le mean girls. Come il terrore di ammettere che fosse sposata per pausa che quella condizione avrebbe cambiato qualcosa nella sua esistenza. A che pro? Non cercava le attenzioni dei ragazzi, né cercava di mantenere chissà quale status; se anche qualcuno si fosse avvicinato, Mia lo avrebbe spedito al mittente con la stessa velocità con cui si era palesato. Quanto alla questione dei figli, quella era più complessa. Se si fosse guardata dentro, si sarebbe resa conto che gran parte delle sovrastrutture che la portavano a dimensione di totale incertezza aveva a che fare con ciò che pensa la gente. Nonostante facesse di tutto per andare controcorrente, la verità è che Mia cercava a tutti i costi di essere conforme, di essere accettata. Non voleva la fama, ma di fungere a modo suo sì. Voleva emergere dalla massa, ma al contempo tendeva a cercare la costante omologazione, come se in mezzo ai tanti fosse in grado di nascondersi meglio. Un paradosso, scaturito dalla giovane età e da una dose sconfortante di insicurezze. A ben guardare era sicura di sé, Mia, ma evidentemente non abbastanza da combattere per se stessa. Non voleva che qualcun altro lo facesse al suo posto, ma non riusciva nemmeno a farlo da sola. Un sistema di pesi e leve che non portava fondamentalmente a nulla e che la costringeva a cambiare costantemente idea, a girovagare senza meta, senza mai ascoltarsi davvero. Cos’è che tu vuoi davvero? Raiden gliel'aveva chiesto, e nonostante fosse sicura di essere stata sincera, la verità è che aveva tergiversato. Come aveva tergiversato nel momento in cui Raiden le aveva chiesto se volesse o meno una relazione, un figlio, una vita assieme a lui. Ogni domanda di quel calibro scatenava l'inferno, come se prendersi un impegno fisso rispetto a cose così importanti la mandasse completamente in tilt. Non era certa di tenere a fede a ciò che diceva e allora tentava di trovare modi alternativi per comunicare, nella speranza che di tutta quelle miriade di parole il suo interlocutore scegliesse esattamente quelle che lei sperava per ricostruire il puzzle giusto. Non era andata così. Anzi, se possibile, il risultato era stato il peggiore di sempre. E tutto il resto era stato di colpo cancellato. Le parole del giovane Yagami le spezzarono il cuore, a tal punto che, ad un certo punto lo lasciò semplicemente parlare, esausta. Le sembrava di lottare contro i mulini a vento, ma in realtà tutto ciò che faceva era lottare contro se stessa, autosabotandosi di continuo. « Mi hai deluso. E non perché non sei pronta ad avere figli, o perché mi aspettassi da te qualcosa nello specifico. Ma perché credevo in te come persona e ti tenevo in altissima considerazione. Ma se tu per prima non ci credi, c'è davvero poco che io possa fare. E significa solo che mi sono sbagliato. » Sotto i tiepidi raggi di sole della tarda mattinata, la ragazza rimase da sola in un silenzio assordante. Improvvisamente riusciva a vedere tutte le crepe della casa in cui vivevano. Nel salotto ammaccato c'era una grossa macchia gialla che non aveva mai notato; la spessa carta da parati ingrigita, cadeva a tratti a pezzi. Il tavolino di fronte al divano consunto aveva un leggero alone più chiaro attorno al quale la lacca aveva perso il suo antico splendore. Il tappeto era scolorito e le assi al di sotto scricchiolavano appena. Quella non era la casa che sognavano, non era la vita che sognavano e quella non era la versione di sé che voleva guardare allo specchio. Osservò le proprie mani; le crepe salde sulle nocche, le unghie mordicchiate. Nel riflesso della credenza colma zeppa di orridi piatti decorati con sgargianti ghirigori dorati - piatti che insieme avevano definito i piatti della nonna, ridendoci sopra - i capelli di Mia sfuggivano disordinatamente dalla coda leggermente storta. Aveva indosso un ridente maglione color senape sul quale dominava una bruciatura da sigaretta che l'aveva costretta a relegare quell'indumento per la casa. Un tempo le piaceva quel maglione; poi l'aveva rovinato, e come con tante altre cose, aveva fatto finta che quella disattenzione non importasse. Ne ho tanti altri. Ma non quello. La somma delle cose insignificanti di cui a Mia non importava, era proprio ciò che la rendeva inaffidabile. Ma io quelle cose che tu hai capito non te le ho mai dette. O almeno, non le ho mai pensate. E ora non so come rimediare. Devo rimediare? Se è questo ciò che pensi di me, ha davvero senso che io provi a fare qualcosa? Devo farlo per farti un piacere? Voglio davvero lottare per una cosa in cui parto in svantaggio semplicemente sulla scorta di una serie di assunzioni sbagliate? Perché dovrei farti cambiare idea? Sei stato crudele.
    Ore più tardi giaceva a terra con attorno un cumulo di vestiti. Non si era convinta a piegare neanche uno. Aveva rimuginato e pianto e rimuginato ancora continuando a ripetersi internamente quel poco del discorso di Raiden che riusciva a ricordare. A quel punto nella sua mente era tutto estremamente confuso. Avevano discusso sì in passato, ma lei, così mortificata non si era mai sentita. I torvi raggi di sole autunnali le scaldavano il viso mentre accarezzava con un certo affetto una delle felpe del ragazzo finita nella sua parte di armadio. Alla fine la indossò respirando affondo il fresco profumo di bucato che emanava. Cos’è che tu vuoi davvero? La domanda rimbomba nella sua testa i passi famigliari di Raiden attraversano le scale. Lo scricchiolio dell'asse sul terzo gradino, la balaustra che tentenna appena nell'ultimo tratto delle scale. Il fruscio della moquette al primo piano, poi la porta che si apre con un leggero lamento. Per un po' non dice niente. Altrettanto, non ha il coraggio di guardarlo. Ha pausa di cosa potrebbe vederci, e così elude anche di leggere la sua sfera. Si passa piuttosto la manica della felpa sotto il naso, per poi ricomporsi gettando lo sguardo fuori dalla finestra. L'albero un po' storto che sovrasta il piccolo giardinetto incolto ha perso quasi tutte le foglie. A Inverness fa già freddo da parecchio.
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    « Mi dispiace di non essere all'altezza. » Asserisce di scatto mentre i raggi del sole colpiscono direttamente i suoi occhi scuri come la pece. « E mi dispiace anche di averti deluso. » Un senso di totale abnegazione e stanchezza. Non aveva più la forza di ribattere. « Ti ho ferito e quindi mi hai ferito di rimando. » Se solo funzionasse così, Raiden. Tu l'hai fatto in maniera chirurgica. Mi letteralmente distrutta semplicemente perché non avevi voglia di ascoltarmi. Non so se per disinteresse o perché credi che io non abbia alcuna ragione di dire o fare niente. Che poi io capisco che non è che ho ragione così tante volte. Però non sono proprio così matta. « Non me la sono presa. Cioè si.. ma non è davvero rilevante ciò che penso a questo punto. » Voleva crederci davvero di non essersela presa. Ma era davvero così? Non se l'era presa? Di certo farsi sbattere in faccia tutta quella miriade di cose non era stato un colpo semplice da digerire. « Ho pensato di andarmene. » Annuncia infine, dopo una lunghissima pausa in cui non dice niente. Si sfrega le mani nervosamente assalita da una profonda forma di vergogna. Era così facile scappare. Non vedevo l'ora. Riuscivo già a vedere la mia tristissima vita con cibo istantaneo nello studentato Serpeverde. Io prima di conoscerti quella vita la volevo così tanto. Sarebbe stato fighissimo. Io, Ringo e un corridoio pieno di matti urlanti che mi avrebbero dato fastidio di continuo. Poca acqua calda nelle docce e zero carta igienica. Probabilmente la mia vicina della stanza accanto sarebbe stata una che si portava un ragazzo a sera in stanza, mentre io tornavo dal mio gatto dopo l'ennesimo rimorchio sfanculato. « Poi però mi sono ricordata che ti avevo detto che non me ne sarei andata di nuovo a meno che non mi avessi mandato via. » Poi però mi sono ricordata che addormentarmi accanto a te mi piace davvero tanto. C'è una cosa nello specifico di cui non riesco a fare a meno. Il bacio sulla tempia e quel strascicato buonanotte, prima di crollare di colpo. Accidenti, quando ti decidi di dormire, tu ti addormenti di colpo. A me ci vuole di più. Ma è carino così; mi dà il tempo di ascoltare il tuo respiro pesante. Poi mi piace quando facciamo colazione. Mi lasci avere il cornetto che mi piace di più, mi fai sempre trovare il caffè anche se esci presto la mattina e poi quando torni, se sono a casa, non c'è mai una volta che ti scordi di darmi un bacio appena rientrato. Io allo studentato tutte queste cose non le avrei. Non ci saresti tu che ti lamenti del pelo di gatto prima di dare da mangiare sia a Ringo che a Mochi. « Puoi ancora mandarmi via se è questo ciò che vuoi. Ma io non voglio andarmene. » Scuote la testa con un moto infantile, mentre deglutisce chiudendo gli occhi. Ha gli occhi umidi, ma se lo spiega con il sole che ha tormentato le sue iridi per diverso tempo. « La famiglia non si abbandona. Mai. Specie quando te la sei scelta. » Ecco io ti ho detto tante volte che sei la mia famiglia. Ma non so se ho mai capito che cosa intendevo. Forse dovevo essere sul punto di rinunciarci per capire che famiglia è più di un contratto, più di un sentimento irruento, scandito da tante scelte frettolose e stupide. Casa.. famiglia.. sono quei posti e quelle persone che non sei disposto ad abbandonare mai. Neanche quando non ti piacciano così tanto. « Io so che a questo punto non mi credi più, quindi non tenterò neanche di convincerti del contrario. Però.. » Abbassa lo sguardo sulle proprie mani mordendosi il labbro inferiore. « Mi fa comunque male che tu abbia pensato quelle cose.. e anche che tu ti sia fatto l'idea che quello è ciò che io penso. » Si stringe nelle spalle con un senso di arrendevolezza. « Ma soprattutto.. mi dispiace di averti derubato della tua felicità. Mi fa sentire davvero una fallita. » Io volevo davvero renderti felice. Speravo che prima o poi sarei stata in grado di sostituire tutto quel male con qualcosa di differente. Mi piaceva l'idea. Mi dava un senso. A me piace prendermi cura di te in quel senso. Mi fa sentire emotivamente in grado di cambiare qualcosa. Migliorarlo. Non aggiustarlo; non c'è nulla di aggiustare. Però io volevo davvero darti tanto affetto, e volevo darti tutto ciò che volevo. Cercavo solo la mia dimensione per mettere insieme tutti i pezzi. Speravo potessimo metterli entrambi insieme. Sospira e si stringe nuovamente nelle spalle, colta da un profondo senso di inadeguatezza e incertezza. « Io però devo davvero chiedertelo. » Pausa. « Se mi vedi davvero così.. se è questo fastidio ciò che provi nei miei confronti.. allora mandami via. » Io non voglio vivere così al tuo fianco. Lo studentato mi renderebbe triste e sola, ed io non vedrei davvero niente, come non ho visto niente in questi giorni. Però stare qui e vivere all'ombra della tua delusione mi renderebbe ancora più triste e sola.


     
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    dauntless

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    Nonostante quella necessaria pausa di qualche ora dai propri problemi, Raiden era tornato comunque a casa col cuore pesante. Immergersi nella propria natura lo aveva sempre aiutato a distanziarsi dalle situazioni, placando almeno in parte il proprio animo quando necessario, o semplicemente liberandolo quando si sentiva ingabbiato in situazioni piccole o grandi che fossero. Eppure in quel caso, la pausa non era stata nient'altro che quello: un inciso all'interno di un lungo discorso che ancora non sembrava giungere ad un punto e a capo. Non appena era tornato alla grotta in cui aveva lasciato i propri vestiti e le chiavi - l'unico oggetto che si era portato appresso - il giovane Yagami aveva sentito rifluire in sé tutto ciò che vi aveva lasciato insieme agli indumenti. La strada verso casa non fu da meno, e in cuor suo, il giapponese aveva paura di aprire quel portone e trovarsi di fronte alla conferma delle parole che aveva rivolto a Mia. Aveva paura di sentire i propri passi rimbombare in uno spazio ancor più vuoto; di entrare in camera e vedere l'armadio aperto, sgombero per quella metà disordinata su cui tanto spesso aveva pizzicato Mia. Non era nella sua natura, provare paura. Anzi, lui sembrava quasi essere noto per la straordinaria capacità di privarsene. Ma che questo non corrispondesse alla realtà era chiaro.. solo che adesso lo era un po' di più anche ai suoi occhi. Il cigolio del piccolo cancello arrugginito venne presto sostituito dal suono dei suoi passi sul selciato, che gli rimbombavano nelle orecchie allo stesso ritmo pressante del suo battito cardiaco. Si sarebbe lasciata dietro almeno un biglietto? Poche parole, giusto per dirgli che sarebbe andata a stare da sua madre, o da Veronica, o chissà dove. Ormai se lo aspettava - anzi, forse lo dava quasi per scontato. Mia reagiva spesso in questa maniera: scappando dalle situazioni scomode. Perché non avrebbe dovuto farlo anche in quel momento? Non era il tipo da aspettare che lui tornasse a casa per fare una scena d'addio in cui gettava rabbiosamente i propri vestiti in un borsone, talmente a casaccio che a chiunque con un po' di senno sarebbe risultato evidente che stesse solo cercando una leva psicologica per farsi pregare a rimanere. No, quel genere di persona, lei non lo era mai stata. Se ne andava senza far rumore e senza guardarsi indietro, stringendosi al petto la propria dignità. Raiden era fatto alla stessa maniera, solo che per lui andarsene era una questione molto più complessa, e necessitava di uno strappo davvero irreparabile. Ma questo lo è, riparabile? Io credo che lo sia. Ma la mia opinione conta poco. Se qualcosa sia riparabile o meno, lo decide solo la volontà di tutti i coinvolti. E proprio di quello Raiden aveva paura: del fatto che la volontà di Mia fosse davvero così tanto friabile. Aprì la porta con un sospiro, gettando le chiavi sul piattino da cui le aveva prese prima di salire le scale a passi pesanti e raggiungere la camera da letto. Un casino. Mia sedeva in terra su un mucchio di vestiti sparpagliati. L'aveva beccata nel momento dei bagagli? Il solo pensiero gli provocò un tuffo al cuore. E quindi, dopo quel breve blocco che lo portò a rimanere impalato sull'uscio a fissarla per alcuni istanti, scelse semplicemente di non dire o fare nulla. Passò oltre, tirando verso il piccolo bagno solo per sciacquarsi velocemente la faccia e bagnarsi i capelli un po' sudaticci, tornando poi in stanza con l'intento di.. nulla, in realtà. Non sapeva cosa fare, né tanto meno cosa dire. Ma quel silenzio assordante venne spezzato dalla stessa Mia prima ancora che Raiden potesse preoccuparsi delle proprie stesse azioni. « Mi dispiace di non essere all'altezza. » Si voltò di scatto a guardarla, senza tuttavia incontrare i suoi occhi, fissi da qualche parte fuori dalla vetrata della finestra. « E mi dispiace anche di averti deluso. Ti ho ferito e quindi mi hai ferito di rimando. » Era così? Per difendersi Raiden era passato all'attacco? Forse. Dirlo era davvero difficile in quelle condizioni. Quando si è arrabbiati si dicono un sacco di cose, e ciò che da uno viene inteso come una difesa, da chi invece la riceve può tranquillamente essere visto come una coltellata bella e buona. Eppure Raiden non aveva mai avuto l'obiettivo di ferirla. Le aveva detto ciò che pensava, ciò che lo aveva fatto star male e che non gli permetteva di vivere la loro relazione con serenità, sentendosi veramente come se fossero entrambi sulla stessa barca. A me sembra che stiamo proprio in due barche differenti. E non lo voglio. A comunicare non sono mai stato bravo, lo so, ma queste cose me lo rendono ancora più difficile. Il moro le aveva fatto una promessa, in Giappone: quella di provarci, a migliorare, a condividere. E a modo suo, a quella promessa aveva tenuto fede. La tentazione di chiudere la propria sfera emotiva e sbatterla fuori da ciò che provava era stata forte - quello, d'altronde, era sempre stato il suo modo di fare: nascondere ogni dolore e debolezza dallo sguardo altrui. Ma non l'aveva fatto. Ci aveva sì rimuginato per giorni, ma quella parte di sé era sempre stata aperta e ben visibile, sempre alla portata di Mia. Mia sapeva, o quanto meno aveva gli strumenti di sapere cosa provasse. « Non me la sono presa. Cioè si.. ma non è davvero rilevante ciò che penso a questo punto. Ho pensato di andarmene. » A quelle parole, Raiden distolse automaticamente lo sguardo, mordendosi l'interno delle guance mentre muoveva alcuni passi nella stanza, rimanendo sempre a distanza di sicurezza, come se stesse cercando di occupare il proprio corpo per distrarsi da ciò che sentiva e al contempo fosse convinto che quella distanza potesse risparmiarlo dal dolore di un ipotetico abbandono. Lo so. Lo immaginavo. Mi sono preparato all'eventualità. Ma pure prepararsi serviva a ben poco. Raiden non sarebbe mai stato pronto a qualcosa del genere. Se lei se ne fosse voluta andare, l'avrebbe lasciata andare, ma solo per una questione di dignità. Dentro, si sarebbe inevitabilmente sentito come se gli fosse stato amputato un braccio. « Poi però mi sono ricordata che ti avevo detto che non me ne sarei andata di nuovo a meno che non mi avessi mandato via. » Annuì in silenzio, le braccia conserte al petto e lo sguardo basso sui piedi, appoggiato con la schiena a un angolo della stanza, protetto da quelle due mura che gli premevano contro le spalle. « Puoi ancora mandarmi via se è questo ciò che vuoi. Ma io non voglio andarmene. La famiglia non si abbandona. Mai. Specie quando te la sei scelta. »
    Riusciva a percepire gli occhi di lei farsi umidi come se fossero i propri - e in parte, forse lo erano. Anche quelli di Raiden vennero pizzicati, portandolo ad alzare lo sguardo al soffitto, su quella macchia che aveva promesso di coprire non appena avrebbe trovato la tonalità giusta di vernice. « Io so che a questo punto non mi credi più, quindi non tenterò neanche di convincerti del contrario. Però.. Mi fa comunque male che tu abbia pensato quelle cose.. e anche che tu ti sia fatto l'idea che quello è ciò che io penso. Ma soprattutto.. mi dispiace di averti derubato della tua felicità. Mi fa sentire davvero una fallita. » « Mia.. » Fece un passo in avanti, scostandosi dal muro ma fermandosi non appena si rese conto che lei aveva ancora qualcosa da dire. « Io però devo davvero chiedertelo. Se mi vedi davvero così.. se è questo fastidio ciò che provi nei miei confronti.. allora mandami via. » Tirò un lungo sospiro, colmando la distanza tra loro a grandi passi e facendosi spazio tra quei vestiti disseminati in terra per sedersi alle sue spalle. Divaricò le gambe, slittando in avanti quanto bastava ad avvolgere le braccia attorno al busto di lei e inglobarla in quello spazio creato col proprio corpo. Per un po' non disse nulla, la strinse solo a sé, più forte che poteva, poggiandosi la sua guancia al petto mentre le carezzava i capelli e le stampava qualche bacio sulla nuca. « Io non voglio che te ne vada. Non l'ho mai voluto. » Cazzo, dovresti davvero fare l'impensabile per portarmi a un punto del genere. Sì, mi hai fatto incazzare, e pure tanto, ma questo non significa che io voglia buttare tutto alle ortiche solo perché qualcosa in questo momento non funziona. « Mettiamo a posto questa roba, ti prego. » Tutto. I vestiti che aveva tirato fuori dall'armadio, così come i lati della loro relazione che avevano ancora bisogno di cure. Forse quel casino in cui si trovavano era la rappresentazione più accurata di ciò che stavano vivendo: da un lato un armadio ordinatissimo, e dall'altro il disordine più completo. È così. C'è solo bisogno di lavorarci. Non siamo una mela marcia, dove il lato guasto rischia di contagiare tutto il resto a meno che non si applichi un taglio netto per eliminare ciò che non va. Siamo solo un po' disordinati. Sospirò, affondando il viso nel collo di lei e chiudendo gli occhi per respirare il suo odore. Altri baci, piccoli, altre carezze, gentili. Raiden non era mai stato il tipo da tenere il muso per principio. Mia gli aveva chiesto scusa, e magari non aveva del tutto capito perché le avesse mosso quelle accuse, ma il modo in cui gli si era rivolta era sincero: non gli stava dando un contentino. Questo non cancellava ciò che Raiden aveva provato o le preoccupazioni che ancora aveva nel cuore, ma per il momento era sufficiente. « Io.. » fece una pausa, mordendosi il labbro inferiore insistentemente mentre cercava di trovare in sé le parole giuste per esprimere quei mille pensieri complessamente intrecciati che aveva in testa. « ..io penso che tante cose necessitino tempo.. e impegno. E penso che questo vada al di là delle risposte che cerchi. » Fece un'altra pausa, scostando appena il viso e intimandola a fare lo stesso per poterla guardare negli occhi. Con una carezza gentile, le scostò dal volto quei capelli che sfuggivano dalla coda sfatta. « Però non intendevo negarti il mio aiuto nel cercarle. » Tirò un lungo sospiro. « Ma tu con me devi parlare, Mia. » Pronunciò quelle parole in un moto quasi sconfortato, tentando di comunicarle quella necessità di sapere da lei, cosa davvero volesse e cosa la turbasse così tanto. Io con te l'ho fatto. Lo sai quanto mi è costato, e adesso sai anche i motivi per cui mi è così difficile e doloroso. Però l'ho fatto lo stesso. Hai dovuto insistere, ma alla fine mi sono sforzato e ho trovato il modo di parlarti. E tu dovresti fare lo stesso con me, proprio perché sai come ci si sente dall'altro lato. « Io non so cosa volessi dirmi con quelle fiale che mi hai dato, ma se vuoi che ti aiuti.. o anche solo che capisca.. devi parlarmi. » E forse è ciò di cui hai bisogno. Non lo so. Io davvero non lo so. In queste cose sono il peggiore. Ma magari parlarne ti farà realizzare qualcosa che prima ti era sfuggito. Vale almeno un tentativo, no? Sospirò di nuovo, stringendola un po' più a sé mentre le stampava un bacio sulla fronte. « Però.. io voglio porti una domanda. E non mi devi rispondere. Voglio solo che ci pensi. » Fece una pausa, appoggiando il mento sulla nuca di lei e puntando lo sguardo su quell'armadio fatiscente che aveva di fronte. « I blocchi e le insicurezze che provi.. credi davvero che spariranno nel momento in cui capirai cosa ti è successo? Sei davvero così sicura del fatto che la chiave di volta si trovi fuori.. e non dentro? » Perché io non ne sono così certo, Mia. Capire può aiutarti ad accettare quanto avvenuto. Ed è giusto che tu lo faccia. Anzi, è essenziale. Ma io non credo che queste risposte possano aggiustare ciò che non va. Quello lo puoi fare solo tu. Neanche io posso aiutare.


     
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    Una completa paralisi; questa la sensazione che le si era insinuata sotto la pelle sin da quando era salita al piano di sopra. Sarebbe stato così semplice scappare. E in fondo, era quella l'intenzione con cui era salita. Come un cucciolo ferito, Mia voleva solo scomparire, trovare un posto in cui leccarsi le ferite e attendere che il suo amor proprio trovasse il modo per riequilibrare quel carico emotivo negativo. Sarebbe rimasta nell'ombra per qualche giorno, poi si sarebbe asciugata le lacrime e sarebbe tornata alla carica come se niente fosse successo. Sarebbe tornata a sorridere, o almeno, avrebbe fatto finta di non avere voglia di piangere costantemente. Si sarebbe sentita vuota e prosciugata dalla voglia di fare qualunque cosa, ma avrebbe comunque trovato un modo per fare finta di niente, cancellare quel dolore autoinflitto dalla sua stessa incapacità di affrontare le situazioni. Eppure, giunta al piano di sopra e gettato il borsone a terra, non era riuscita a concludere niente, combattuta tra la necessità di scappare e la paura di perdere Raiden. Voleva davvero arrivare a tanto? Credeva davvero che quella situazione fosse talmente irrimediabile da non tentare neanche di sistemarla? Il cuore di Mia era diviso a metà; da una parte era arrabbiata e ferita, dispiaciuta e mortificata, dall'altra tuttavia, l'idea di abbandonare la sua storia e il ragazzo che amava nonostante tutto, la dilaniava. Lei gli aveva promesso tante cose, in primis di non andarsene mai; aveva capito in cuor suo che lasciarlo era la cosa peggiore che potesse fare. Non si sentiva abbastanza nella posizione di dargli una lezione, né riusciva a guardare a quella situazione con abbastanza distacco da dire che se anche se ne fosse andata, una simile decisione lo avrebbe fatto ricredere su quanto detto. A me non farebbe ricredere. Anzi, ce l'avrei proprio tantissimo con te. Mi sentirei solo.. abbandonata. E l'abbandono, Mia non sapeva proprio gestirlo. È così che affrontò il tempo trascorso da sola in casa, in quel girone di pro e contro di ciascuna decisione, che tuttavia non portò mai a un bilancio positivo nei confronti dell'ipotesi di una veloce e indolore scomparsa. Dopo l'iniziale momento in cui aveva gettato tutto a terra in un raptus di impulsività, non era stata in grado neanche di piegare il tutto e gettarlo nel borsone, figuriamoci richiuderlo, cercare Ringo, metterlo nel trasportino e uscire. In definitiva, Mia non era mai stata intenzionata ad andarsene, ma ascoltare l'impulso di fuga sembrava farla sentire meglio; avvalorava ulteriormente la decisione di restare. Se provi la strada più facile ma comunque non riesci a convincerti di imboccarla, c'è più di una buona ragione per restare. Anche se non è semplice. Anche se è scomoda. E scomoda lo era per davvero; decidendo di farsi trovare ancora lì al ritorno di Raiden, sapeva che avrebbe dovuto affrontare più di una chimera. Eppure, nel momento in cui le braccia di lui si strinsero attorno al suo busto, pensò che ne era valsa la pena lo stesso. Indipendentemente da quanto si fossero feriti a vicenda, lì, Mia stava bene, si sentiva al sicuro, a casa, e si fidava, era a suo agio. « Io non voglio che te ne vada. Non l'ho mai voluto. » Nonostante la lotta intrinseca di quella decisione, paradossalmente bastarono quelle parole perché si rilassasse, chiudendo gli occhi mentre ispirava l'odore di lui, strofinando la guancia contro il suo petto. Sapeva di erba e terriccio, di bucato fresco e di Raiden, quel suo odore tipico che ormai avrebbe saputo distinguere rispetto a quello di chiunque altri. Ricercava quell'abbraccio come un bambino privato dal suo punto di riferimento, come un cucciolo che, ancora acerbo, riponeva tutta la sua fiducia nel padrone. Mia, di quell'affetto di Raiden, di quell'accoglierla indipendentemente da quanto stupida potesse dimostrarsi in certi frangenti, ne aveva bisogno. La faceva sentire accettata, desiderata. Solitamente la sua ingenuità era innocua, ma aveva bisogno di essere rassicurata a maggior ragione quando non lo era affatto. « Mi dispiace.. » Sussurrò nuovamente, aggrappandosi appena alla felpa di lui, mentre cercava comunque di nascondersi, questa volta contro il suo petto. Che si sentisse comunque in colpa, era evidente. Non più per averlo ferito, neanche per la portata delle parole che poteva avergli rivolto; Mia era dispiaciuta di non essere stata altezza, di aver disatteso aspettative a cui ci teneva. « Mettiamo a posto questa roba, ti prego. » Annuisce, ad occhi chiusi, asciugandosi le guance bagnate dal pianto silenzioso che risente del sollievo e della commozione dovuta all'affetto che riceve. Aggrappata al suo braccio, esercita una pressione tale da fargli capire che vuole ancora un momento. Solo uno, così, io e te, senza i sensi di colpa e i problemi. Un contatto che forse ricorda ad entrambi per quale ragione si trovano lì e non altrove, per quale ragione hanno scelto di stare insieme, indipendentemente dalle mille differenze che avrebbero potuto dividerli troppe volte. Mia si era detta tante volte che sarebbe stata in grado di vivere senza Raiden, che era abbastanza indipendente da poter scegliere volontariamente di stare assieme a lui, ma che all'occorrenza potesse farne a meno. In quel momento però, non sembrava affatto così. Forse le circostanze erano cambiante; lui aveva mostrato la sua parte più vulnerabile, e lei aveva fatto altrettanto. Avevano visto l'uno le carenze dell'altro, ma nonostante ciò Mia non aveva fatto altro che innamorarsene ancora di più. Quelle debolezze li rendevano più belli, più umani, meno superficiali, nonostante gli errori che potessero commettere. Si.. mettiamo a posto tutto. Ci proverò. Non te lo prometterò questa volta, ma lo prometto a me stessa. Non lo farò più. « Io.. io penso che tante cose necessitino tempo.. e impegno. E penso che questo vada al di là delle risposte che cerchi. Però non intendevo negarti il mio aiuto nel cercarle. Ma tu con me devi parlare, Mia. » Incontrò il suo sguardo con una certa timidezza e un po' di timore. Non sapeva in fondo cosa vi avrebbe trovato, nonostante le sensazioni che provava. Poteva essere ancora arrabbiato o ferito, e questo Mia non voleva vederlo. Certo, non tutto viene cancellato dal giorno alla notte, né la discussione che avevano avuto poteva concludersi con una grossa grassa risata. Le sarebbe piaciuto; erano bravi a ridere insieme, Mia e Raiden. Un po' meno lo erano a scontrarsi. In quei momenti venivano a galla tutte le loro fragilità. Si morse il labbro, Mia, e ci mise qualche istante per trovare la forza di guardarlo negli occhi. Erano occhi buoni, quelli di Raiden, colmi di affetto e di pazienza, di puro e incondizionato affetto, nonostante tutto. Tutto ciò riusciva a smuovere il suo buon cuore, la sua coscienza. Non c'era cosa che la alimentasse più della gentilezza e della pazienza. Forse perché, in fondo, non ne aveva mai ricevuta a sufficienza. Quando cresci con sei maschi, la pazienza non è mai abbastanza, né le attenzioni sono sufficienti. La pazienza poi, Mia riusciva a farla perdere a chiunque, in un modo o nell'altro. Quanto alla gentilezza, il suo carattere spigoloso non ne smuoveva mai a sufficienza, nonostante la stessa Serpeverde lo fosse per natura. Lì aveva un essere umano fatto di carne e ossa che le donava entrambe in abbondanza, e lei di rimando sembrava innamorarsene ogni volta ancora di più. « Io non so cosa volessi dirmi con quelle fiale che mi hai dato, ma se vuoi che ti aiuti.. o anche solo che capisca.. devi parlarmi. » Deglutì, abbassando lo sguardo. Si era lasciata tradire dalle solite impressioni. La gente pensa che sono fatta di vetro, ma pensa anche che tendo a esagerare su certe cose. Io lo so che a volte mi fisso e inizio a vedere cose che non ci sono. Ma questa non è come quella volta che ero convinta che eri andato a letto con Gabriela. Di scatto si stringe nelle spalle e sospira. « Io pensavo.. pensavo.. che non mi credessi. » Fa una pausa mentre torna a trovare gli occhi scuri di lui. « Magari hai pensato che ho sbattuto la testa oppure che vedere gli altri così mi ha fatto.. partire di testa. C'è così tanta gente che pensa che non ci sto con la testa.. » E in fondo, lo dicevano anche sulle vittime della Loggia, sui ludopatici, su tanta gente che era entrata in contatto con quella realtà. Nessuno ne era uscito uguale a come era entrato. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi di sradicare il dolore derivante da quell'esperienza e nonostante la sua mente si fosse abituata a un regime evitante per difendersi da quei traumi, Mia era sempre stata lucida. Non si era mai sentita tentata da qualunque danno quell'esperienza le avesse provocato. « Ma io non sono come quella gente che sta ancora al San Mungo, devi credermi, Raiden. Io.. sono in me.. » Lo che tutti i matti dicono di non essere matti, ma io non lo sono. Di ciò, Mia era convinta. Forse aveva una carenza di determinazione in tante cose e spesso le mancava la volontà di farne altrettante, ma la sua forza d'animo, non poteva metterla in dubbio. Era l'unica cosa che l'aveva mantenuta sana. Una cuor di leone sotto le squame le squame di una serpe. « Però.. io voglio porti una domanda. E non mi devi rispondere. Voglio solo che ci pensi. I blocchi e le insicurezze che provi.. credi davvero che spariranno nel momento in cui capirai cosa ti è successo? Sei davvero così sicura del fatto che la chiave di volta si trovi fuori.. e non dentro? » Per un istante fu sul punto di rispondergli affermativamente. Si io ne sono certa. Prima la risolvo, prima posso tornare a vivere. Cosa questa cosa fosse, tuttavia, a Mia non era neanche chiaro. Cosa voleva risolvere? Quali erano davvero le risposte che cercava? Voleva sapere il motivo per cui era rimasta bloccata lì dentro oppure il perché dietro a una tenda ci fosse un labirinto pieno di fantasmi e immagini allucinanti? Oppure ancora, voleva solo capire cosa era accaduto nelle foreste fuori dalle mura di Inverness? Se anche io l suo obiettivo fosse uno di questi i quesiti specifici, la sua sembrava una caccia alle streghe e ai fantasmi, una battaglia che poteva anche perdurare senza mai portare da nessuna parte. Di scatto scostò lo sguardo, iniziando a provare un leggero senso di incertezza in merito. La prospettiva che Raiden aveva utilizzato per affrontare quel problema la portò a dubitare di quella convinzione. Di colpo si stacca appena, il giusto per posare un bacio sulla sua spalla, strofinando il naso contro la la felpa scura. Poi abbassa di nuovo lo sguardo, questa volta sfregandosi con insistenza le mani, come se sapesse già di scivolare in acque profonde. « Tu.. l'hai trovata una risposta no? Fuori.. » Non ne era così sicura. Se da una parte era certa che con una preoccupazione in meno, Raiden avesse trovato la forza di aprirsi di più e parlare, non era certa che ciò avesse a che fare solo col fatto che, risolto un problema, poteva occuparsene di un altro. Il giovane Yagami non era neanche consapevole del fatto che quel problema esistesse - se quel dolore c'era, bisognava solo conviverci. Mia ci aveva messo molto impegno per tentare di portarlo a parlarne, per indicargli una via e una piccola luce alla fine del tunnel; anche quando la sua missione - liberare il Giappone e vendicare i suoi compagni - si era conclusa, la strada era ancora tutta da percorrere. Di scatto scosse la testa. « Ho fatto una domanda stupida. Non ha proprio senso.. Però.. ci penserò. Davvero. Non voglio promettertelo, ma.. » ..sai già che accadrà anche più del dovuto. E infatti scoccò la lingua contro il palato, sentendosi ancora una volta pervadere dalla frustrazione. Una risposta l'aveva già; doveva solo trovare la forza di darle voce. Di scatto prese ad alzarsi, afferrando istintivamente una parte dei vestiti gettandoli sul letto per iniziare a piegarli. « Inizio a mettere a posto. Questo posto è un casino. » Non usò la magia. Aveva bisogno di fare qualcosa, tenersi impegnata, sentire di rimediare a qualcosa faticando, persino annoiandosi a forza di piegare e sistemare le cose sugli scaffali.
    Ad un certo punto, la causa scatenante di quel loro litigio iniziò a insinuarsi nella sua testa, sovrastando tutto il resto. Stava considerando l'idea di parlargli direttamente di quei ricordi. Ma venne distratta. Solo allora iniziava a pensare con un po' più di lucidità a quello che aveva visto all'interno della scatola metallica che Raiden le aveva aperto dinanzi. Con un maglione piegato a metà, si girò di colpo nella direzione del moro schiudendo le labbra. Voleva fare una domanda. Solitamente le domande di Mia erano scomode, e quella lo era forse più di tutte. Tirò un leggero sospiro, prima di attirare la sua attenzione osservandolo con eloquenza. « Se quando io ti ho dato quei ricordi non erano così, e tu non ci hai fatto niente allora.. cos'è successo di preciso? » Finì di piegare il maglione sistemandolo su uno dei ripiani assieme ad altri indumenti simili. « Penso di sapere cosa ho estratto.. ed è vero che non erano cose felici ma - hai mai sentito di una cosa del genere? Alla fine sono solo immagini.. è una riproduzione di qualcosa che è già accaduto. » A quel punto allarga le braccia, scuotendo la testa con un'espressione perplessa. Senza contare che io non ti avrei mai dato una roba del genere se avessi sospettato che potesse essere difettosa.. o peggio ancora pericolosa. « Erano cristallini. Te lo posso assicurare. » A quel punto deglutisce e scuote la testa. « Hai mai sentito di ricordi che vanno a male? » Quelli sembravano.. non aveva neanche una definizione. La sostanza che fluttuava in quelle fiale sembrava rancida, marcia, come se nel corso del tempo le fiale avessero alterato la composizione di ciò che contenevano. « Magari ho sbagliato qualcosa. » Plausibile. Che Mia non fosse la strega più brillante del mondo era un dato di fatto. Dubitare in primis delle sue capacità era un passaggio quanto mai obbligato. Di scatto corse in bagno, aprì il mobiletto delle medicine e tirò fuori una delle sue pozioni. La svuotò velocemente e tornò nella stanza sedendosi ai piedi del letto. Mise la filetta a terra ed estratta la bacchetta ripercorse gli stessi step che aveva compiuto diverse notti prima in Giappone. Mantenne lo sguardo ben saldo sul volto di Raiden, cercando di comprendere se anche secondo lui stava eseguendo i passaggi correttamente. Si concentrò su un ricordo banale. La lezione di venerdì di Diritto Costituzionale. Sapeva di essere stata sufficientemente attenta da poterlo considerare un ricordo integro e inalterato. Il rivolo argento scivolò all'interno della fialetta che venne chiusa con un tappo di sughero. « Erano proprio così. » Disse quindi sollevando sotto la luce del sole calante il piccolo contenitore di vetro. [...] Lasciando la fialetta sul proprio comodino si prodigò nel finire di sistemare tutto quanto solo per poi iniziare a sentire un certo vuoto allo stomaco. Non era certa nemmeno di chi fosse più affamato tra i due; di certo entrambi avevano mangiato poco e niente e a quel punto, giunti quasi a sera, Mia si sentiva quasi stremata. Senza perdere quindi di vista il suo nuovo oggetto di osservazione prediletto, scese in cucina e preparò velocemente una cena veloce ma pur sempre abbastanza consistente da saziarli, tenendo sempre i ricordi d'occhio. Dopo un po' la situazione sembrò quasi rilassarsi. A stomaco pieno infatti, si piazzò sul divano, proponendo a Raiden di portarsi il lavoro di sotto e passare la serata insieme, pur concentrandosi ciascuno sulle proprie cose. Lei si era messa seriamente a lavorare sulla consegna della settimana seguente, piazzandosi ai piedi del divano, con la tempia incollata contro il ginocchio di lui, accarezzando di tanto in tanto la testolina di Aiko che si era a sua volta piazzato sul divano vicino a loro. Poi di colpo, qualcosa mutò. Se ne accorse dopo un po'. La fiala che aveva appoggiato sul tavolino di fronte al divano, iniziò a mutare colore. E lì, la mora diede diversi colpetti alla caviglia di Raiden intimandolo a smettere di dedicarsi al lavoro, per prestare la stessa attenzione a quello stupido ricordo della lezione di venerdì che stava lentamente cambiando colore. « Raiden.. » Sgranò gli occhi rimanendo a osservare il fluido il cui bagliore argenteo stava lentamente sbiadendo in favore di un grigiume sempre più persistente.
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    Non se lo aspettava. Avrebbe davvero preferito che quello fosse per qualche stupida circostanza un qualche messaggio del giovane Yagami, uno che non voleva confessarle ma che era pur sempre una sua opera. Sarebbe stato addirittura più semplice pensare che la colpa fosse la sua. Magari l'ho fatto apposta. Che ne so. Forse psicologicamente volevo dirgli qualcosa che non ho il coraggio di ammettere. Rendersi conto del contrario, osservando quella metamorfosi, apriva uno spettro di ipotesi a cui non sapeva neanche come dare voce. « Ottimo. No ma benissimo.. ho la merda nel cervello. » Disse con una pacatezza che dimostrava solo quanto si sforzasse a non dare di matto per ovvie ragioni: non serviva a niente. « Mi apriranno la testa in due per trovarci letteralmente la merda. » Ipotesi che non erano neanche poi molto lontana dalla verità. Sapeva che a quel punto tenersi per sé tutta una serie di questioni stava diventando impossibile, né quella era una questione che poteva continuare a nascondere sotto il tappeto. Di qualunque cosa si trattasse, la visione di quella fiala era orrida. Di fronte a quel grigio informe, simile alla melma, provava la stessa repulsione che aveva provato nei confronti del contenuto che Raiden le aveva posto di fronte quella stessa mattina. Forse lui aveva provato dei sentimenti molto simili. Forse quella rabbia era partita anche da quello; questa roba fa vomitare. Di scatto si alzò in piedi, colta da un'improvvisa voglia di capire se il problema fosse solo suo, oppure se, in alternativa, c'era qualcos'altro. Qualcosa di certo era accaduto. E se fosse contagioso? E se avesse a che fare con tutte queste debolezze? Se fossimo incappati in qualcosa da qualche parte? Nessuno dei due si è comportato in maniera normale ultimamente. È una malattia? Quanta altra gente potrebbe stare così? Cosa cazzo è questa roba. Di colpo apre tutti i cassetti in cucina finché non riesce a trovare quello in cui tengono qualche fiala vuota, in caso di necessità. Lo sa che quelli non sono i contenitori adatti per i ricordi, ma in fondo, pur godendo di incantesimi particolari, i vetri che racchiudono la memoria dei maghi, sono semplicemente incantati affinché siano più resistenti. Se il vetro si rompesse, i ricordi scomparirebbero per una strana forma di evaporazione. Di colpo torna da Raiden e gli allunga il contenitore. « Estrai qualcosa. Non so.. qualunque cosa. » Pausa. « Quelli che ti ho consegnato l'altro giorno erano ricordi di cose strane.. ma questo qua era la cazzo di lezione di diritto di venerdì. A meno che non sono stata intercettata dal fantasma di quello stronzo di Edmund Kingsley, direi che uno vale l'altro. » Sgrana gli occhi e si passa le mani tra i capelli mentre si siede accanto a lui, facendo zompare di lato il coniglio mezzo addormentato, accoccolato contro la gamba di Raiden. « Non ha un minimo di senso. » Pausa. C'è una punta di esasperazione e tanta incredulità nel tono di voce di lei. Metabolizza solo in parte la questione, così come le sue ripercussioni. « Come al solito. » Come sempre. Non sa cosa sta guardando all'interno di quella fiala. E per quanto vorrebbe dire che i ricordi vanno a male, il sesto senso della sua natura, combinato a una certa dose di esperienza nel vedere cose strane, al pari di chiunque sia uscito anche solo una volta nelle lande desolate dell'Upside Down, la portano a propendere per una visione decisamente meno negazionista. I've got a feeling we're not in Kansas anymore.



     
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    dauntless

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    « Tu.. l'hai trovata una risposta no? Fuori.. » Rimase in silenzio per qualche istante, incerto riguardo alla maniera migliore per rispondere a quella domanda. La verità, d'altronde, non era affatto confortante. Fuori o dentro.. io una risposta non l'ho mai trovata. Non penso neanche ce ne sia una. E se pure ci fosse, vorrei davvero saperla? Conoscerne la qualità mi aiuterebbe o non farebbe altro che peggiorare le cose? In fin dei conti, io il passato non posso cancellarlo. Nessuno può farlo. Puoi solo muoverti in avanti. Forse in cuor suo, Raiden ad una risposta era già arrivato da sé. Una cinica e terrorizzante, ma non per questo meno vera: le cose brutte accadono tutti i giorni e per quanto tu possa provare a prevenirle o combatterle, succederanno indipendentemente dalla tua volontà o dalle tue azioni. Le violenze, la guerra, le Logge - tutte queste cose non avrebbero mai avuto una fine, e avrebbero per sempre continuato a colpire le persone in maniera casuale, che se lo meritino o meno, che se le siano cercate oppure no. Trovare una risposta, un senso, un motivo.. ciò sarebbe confortante. Il caso, invece, quello non lo è per nulla: perché di fronte al caso chiunque è impotente. E forse, sotto sotto, Raiden di quella mancanza di risposte era pure consapevole - una consapevolezza che lo aveva spinto a non cercarne, a guardare avanti piuttosto che indietro, accettando tutto ciò che gli era accaduto come qualcosa di intrinsecamente irrisolvibile che lo avrebbe solo bloccato se avesse provato a fare altrimenti. Ma l'esperienza del singolo non è la cifra universale di tutte le altre, e per quanto scettico potesse essere riguardo la possibilità che delle ipotetiche risposte potessero dar pace a Mia, non pensava nemmeno fosse giusto imporle un processo che non necessariamente poteva rivelarsi adatto a lei. Dunque sospirò, stirando un sorriso quasi meccanico, e scosse il capo. « No. Non le ho mai trovate. Ma va bene così. » Se pure ci fossero, come potrebbero aiutarmi? E quali sarebbero? La crudeltà altrui? I piani spietati di una realtà che non posso nemmeno conoscere? Il semplice fatto che il mondo sia pieno di ingiustizie e la mia vita sia solo una della tante, nemmeno la peggiore? Risposte del genere sono sterili: non generano nulla, non danno alcun sollievo. Sono solo altrettanto crudeli. « Ho fatto una domanda stupida. Non ha proprio senso.. Però.. ci penserò. Davvero. Non voglio promettertelo, ma.. » Annuì, tentando di dar più pigolo al proprio sorriso mentre si avvicinava per scoccarle un tenero bacio sulla tempia, carezzandole dolcemente i capelli prima di alzarsi dal pavimento assieme a lei. « Inizio a mettere a posto. Questo posto è un casino. » « Ti do una mano. » Non che ce ne fosse chissà quanto bisogno, ma voleva comunque condividere quello spazio con lei, anche nel silenzio se necessario. Senza contare che un simile impiego lo avrebbe comunque aiutato a riassestarsi emotivamente, concentrandosi su piccole faccende manuali. [..] « Se quando io ti ho dato quei ricordi non erano così, e tu non ci hai fatto niente allora.. cos'è successo di preciso? » Infilò con cura nell'armadio una felpa che aveva appena ripiegato con la massima precisione, voltandosi poi a guardare Mia con la fronte aggrottata e uno sguardo leggermente confuso. Il giovane Yagami aveva dato per scontato che la ragazza gli avesse consegnato quelle fiale esattamente come lui le aveva trovate - per qualche ragione che gli sfuggiva - e avesse poi mentito a riguardo nel momento in cui si era sentita attaccata sulla questione. « Penso di sapere cosa ho estratto.. ed è vero che non erano cose felici ma - hai mai sentito di una cosa del genere? Alla fine sono solo immagini.. è una riproduzione di qualcosa che è già accaduto. Erano cristallini. Te lo posso assicurare. Hai mai sentito di ricordi che vanno a male? » Quindi erano davvero diversi quando me li hai dati? Quel fattore, lui non lo aveva mai nemmeno preso in considerazione; e non lo aveva fatto per un motivo molto semplice: perché del mutamento di stata di ricordi estratti, specialmente in quella melma, non si era mai sentito parlare nella storia della magia. Era ritenuto impossibile. Ma d'altronde, dopo tutto ciò che avevano visto, c'era davvero ancora qualcosa che potesse essere automaticamente bollato come tale? Con sguardo pensieroso, si appoggiò con una spalla all'anta dell'armadio, incrociando le braccia al petto. « Sinceramente.. no, non ne ho mai sentito parlare, e in tutta onestà neanche lo ritenevo possibile. » Ma se mi dici che è davvero così, non ho motivi per non crederti. « Magari ho sbagliato qualcosa. » Ci rifletté un attimo, facendo poi schioccare la lingua contro il palato. « C'erano ricordi della Loggia, tra quelli che hai estratto? È possibile che quel tipo di memorie muti in questa maniera.. non so, mi sembra l'unica spiegazione. » L'unica abbastanza logica da poter giustificare qualcosa del genere, quanto meno. La seguì dunque con lo sguardo, guardandola correre in bagno con un cipiglio a metà tra il curioso e il preoccupato che lo portò a scostarsi dall'armadio, sporgendosi per vedere meglio cosa l'americana stesse facendo. Continuò a fissarla in quella maniera anche quando lei tornò in stanza, sedendosi sul pavimento e concentrandosi in quella che era evidente fosse una nuova estrazione dei ricordi. Gli occhi del moro si puntarono sul classico filo argentato che la bacchetta trascinò lentamente fuori dalla tempia di Mia, seguendolo fin quando lei non lo lasciò cadere nella fiala, tappandola. Ad occhio e croce, non sembrava esserci nulla di strano. « Erano proprio così. » Si avvicinò, piegandosi in avanti per osservare a palpebre strette la fiala da ogni angolazione possibile. No.. nulla di strano. « Mh.. ok, teniamola d'occhio. » disse, annuendo, pur se in cuor suo riservava ancora un certo scetticismo nei riguardi di quell'ipotetico mutamento.
    A cena, Raiden aveva colmato quel grosso buco allo stomaco creatosi dall'assenza di un pranzo e dalle energie spese in forma di lycan. In sintesi: aveva mangiato molto, spazzolandosi una bella fetta di ciò che avevano in frigo e dispensa. Dopo un simile pasto, dunque, prendersi un caffè per carburare e lavorare un po' fu più una necessità che uno sfizio. Si portò quindi sul divano un paio di tomi e la valigetta in cui teneva le proprie scartoffie maniacalmente divise e classificate, concentrandosi sul rifinire i dettagli delle lezioni che avrebbe tenuto durante la settimana a venire. Aveva diviso il proprio corso per moduli, dandosi un primo tempo per tenere lezioni quasi esclusivamente frontali, un secondo per passare a uno stampo più seminariale col quale avrebbe dato modo agli studenti di interagire maggiormente e affinare le capacità di ragionamento, e infine un terzo in cui avrebbe affiancato alle lezioni anche delle esercitazioni pratiche. Graduali salti di livello che richiedevano chiaramente la presenza costante degli studenti in classe; alla fine dei conti, nei termini dell'esame, quella sarebbe risultata molto più decisiva. Anche perché diciamocelo chiaro: quando si parla di Strategia, dai libri si può imparare solo fino ad un certo punto. In cuor suo era elettrizzato - e un po' spaventato - dalla prospettiva di saggiare davvero le menti dei suoi studenti, capendo come ciascuno di loro ragionasse; per il momento, tuttavia, si sarebbe limitato a far loro lezione frontale. E stava proprio rivedendo alcuni passaggi da toccare durante l'incontro successivo quando i colpetti di Mia alla sua caviglia lo portarono automaticamente a distogliere lo sguardo dalle scartoffie, mugolando interrogativo. « Raiden.. » Gli occhi dell'americana erano puntati di fronte a sé, sulla fiala che aveva poggiato sul tavolino da caffè in attesa. Quando anche quelli del moro vi si fissarono, mettere fisicamente da parte fogli e penna fu automatico. Sgranò gli occhi, sporgendosi in avanti - pur con cautela - per osservare quel grigiume che velocemente stava prendendo possesso del liquido contenuto nella fiala. Ma che cazzo è questa merda? « Ottimo. No ma benissimo.. ho la merda nel cervello. Mi apriranno la testa in due per trovarci letteralmente la merda. » Ma Raiden non le rispose, né sembrò in alcun modo intenzionato a sdrammatizzare l'intera situazione. Piuttosto, si alzò piano dal divano, avvicinandosi cauto al tavolino di fronte al quale si mise in ginocchio, ponendo lo sguardo sulla stessa linea di quella fiala torbida per osservarla più da vicino, rimanendo comunque restio a toccarla. Rimase così, in silenzio, fin quando Mia non gli piazzò un'altra fiala - questa volta vuota - di fronte. « Estrai qualcosa. Non so.. qualunque cosa. Quelli che ti ho consegnato l'altro giorno erano ricordi di cose strane.. ma questo qua era la cazzo di lezione di diritto di venerdì. A meno che non sono stata intercettata dal fantasma di quello stronzo di Edmund Kingsley, direi che uno vale l'altro. » Sollevò un sopracciglio, passando lo sguardo da lei, al contenitore immondo, a quello vuoto e infine di nuovo a lei. « Non ha un minimo di senso. Come al solito. » Prese un profondo respiro, schiarendosi la gola prima di afferrare la piccola ampolla vuota con decisione e stapparla, mettendo contemporaneamente mano alla bacchetta. « Ok.. un ricordo semplice. » Ci mise qualche istante a decidersi su cosa estrarre, optando infine per il ricordo ancora fresco della cena avuta con i colleghi venerdì sera. Lo estrasse senza particolari sforzi, facendolo cadere nel contenitore e chiudendolo per bene in modo da assicurarsi che non venisse a contatto con nulla di esterno. Poi, semplicemente, poggiò anch'esso sul tavolo. « E adesso aspettiamo. »
    Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Per quanto tentasse di tenersi impegnato, i suoi occhi andavano a puntarsi a intervalli regolari sui ricordi appena estratti, timorosi di vedere un cambiamento nel tipico colore argenteo che li contraddistingueva. Che conclusioni avrebbe dovuto trarne? Forse siamo stati troppo a contatto con gli warlock. La loro magia non è un gioco. Ho visto gli effetti che può avere. Kyoko glielo aveva spiegato: ogni magia ha un prezzo, specialmente la nera. Non era raro trovare deformazioni nella progenie warlock - anzi, molti di loro portavano sul proprio corpo il segno di quella genetica contaminata. Gli warlock non sembravano percepire quelle cose come una disabilità, e la maggior parte delle volte riuscivano a trarne comunque un qualche beneficio, ma ciò non toglieva comunque nulla all'evidenza di un prezzo piuttosto alto da pagare, e Raiden non poteva escludere l'ipotesi che un contatto prolungato con loro, con i loro oggetti, ambienti e magie potesse in qualche modo aver contagiato anche lui e Mia. Ma avrebbero dovuto dircelo. Ce l'avrebbero detto, no? Avrebbero detto qualcosa. Non possono semplicemente nasconderlo come se nulla fosse, lasciandoci ignari di simili conseguenze. Ma le ore passarono, arrivando a notte inoltrata con i ricordi di Raiden ancora nelle stesse identiche condizioni in cui li aveva estratti. Era una condizione che colpiva solo Mia? Oppure era davvero lei a fare qualcosa di sbagliato nel prenderli? Pure se fosse, non dovrebbe essere la prima, no? Eppure non si è mai sentito nulla di qualcosa così. Forse la scelta più saggia sarebbe stata portarla immediatamente al San Mungo, ma per qualche ragione il giovane Yagami non sembrava volerlo davvero fare. Non riuscendo a prevedere i possibili risvolti di una simile scelta, le possibilità che ciò potesse portarli su una strada pericolosa apparivano ai suoi occhi come piuttosto alte. Però era chiaro che loro non ne sapessero abbastanza - o meglio, che non ne sapessero nulla di quanto accaduto sotto i loro occhi. Dobbiamo rivolgerci a qualcuno. Per forza. Ci sarà pure qualcuno in grado di dire di che si tratti. Qualcuno di cui possiamo fidarci. Stava proprio per dar voce a quei dubbi, confrontandosi con Mia sulle possibili strade da intraprendere, quando alcuni rumori lo zittirono, portandolo a scattare con lo sguardo in direzione della cucina. A rumori in casa, Raiden e Mia erano abituati: avevano un coniglio e due gatti. I secondi, specialmente, trovavano nelle ore notturne il momento perfetto per cimentarsi in corse folli e prive di senso per la casa; spesso e volentieri, infatti, Raiden si svegliava la mattina trovando il tappetino di gomma in cucina trascinato dall'altro capo della stanza e ribaltato, insieme ad alcuni oggetti o giocattoli fuori posto. E infatti non vi era nulla di davvero strano nel tonfo sordo che sentì, ma i soffi e i miagolii minacciosi provenienti dalla cucina lo fecero scattare subito in piedi. Che casino hanno combinato adesso? « RINGO! MOCHI! » tuonò mentre si dirigeva a lunghe e veloci falcate verso la cucina, pronto a sgridare i due gatti per qualunque cosa avessero combinato. Eppure la scena che si trovò di fronte una volta varcata la soglia della stanza fu quanto mai inusuale. I due animali se ne stavano acquattati vicini in un angolo, col pelo dritto e i denti scoperti, intenti a soffiare minacciosamente in direzione di qualcosa che si trovava al capo opposto. Il secchio della spazzatura, completamente ribaltato a terra, con l'immondizia riversa sul pavimento. Sulle prime, assumere che quella fosse stata opera loro fu automatico. « NO! Non si fa! Cattivi! » cominciò a dire, avvicinandosi ai due gatti e avanzando una mano nella loro
    direzione con l'intento di prenderli e metterli fuori a mo' di punizione. Mossa sbagliata. Non appena le dita di Raiden arrivarono solo a sfiorare il pelo irto di Mochi, questo emise un miagolio acuto seguito da un grosso soffio e una zampata veloce che lasciò con i suoi artigli solchi ben visibili sul dorso della mano del ragazzo. « MOCHI! » Ritrasse subito la mano, portandosela al petto in un moto difensivo mentre fissava il gatto con gli occhi sgranati. Da quando lo aveva, non era mai successo che lo graffiasse - non in quel modo, almeno. Di solito gli lasciava solo qualche piccolo morso o graffietto per giocare, ma nulla di più: non lo aveva mai attaccato. Adesso pure i gatti ci si mettono. Sospirò pesantemente, decidendo di lasciar perdere almeno per il momento, mentre si dirigeva verso il lavandino per far scorrere dell'acqua fredda sul taglio. Fu lì che, arrivato più vicino al secchio ribaltato, Raiden si gelò sul posto, capendo immediatamente cosa fosse accaduto. Sul pavimento, tra i vari rifiuti, vi era la scatola che Mia gli aveva dato qualche giorno prima - quella contenente le prime fiale incriminate, che poi quella mattina lei aveva gettato nel secchio con noncuranza. Era aperta. E aperte, o piuttosto rotte erano anche le fiale in essa contenute. Vuote. Ma il loro contenuto c'era, ed era lì a pochi passi. Un agglomerato nero e immondo dalla forma di un feto animale ancora ai primissimi stadi del proprio sviluppo. Si stiracchiava, aprendo e chiudendo la bocca sdentata ritmicamente, mentre le sue piccole zampe cercavano di farlo muovere con poco successo nell'arrancare sul pavimento. Di scatto, come un movimento automatico, Raiden estrasse il kunai che teneva nella fondina accanto alla bacchetta, mantenendo lo sguardo fisso su quella mostruosità solo all'apparenza innocua. Quel cucciolo immondo tentò di farsi un po' più strada a fatica, alzando la piccola testa malforme e aprendo la bocca per emettere un gemito flebile, come un guaito, una richiesta d'aiuto. Ma una cosa del genere non poteva muovere a tenerezza, e Raiden non ci pensò due volte a stroncare quel vagito sul nascere, ficcando il pugnale nel corpicino indifeso della bestiaccia. « Mia! MIA! Vieni subito qui. » L'allarme nel suo tono di voce era piuttosto evidente, così come nello sguardo che le rivolse quando lei varcò la soglia della cucina. « Questo.. questo coso è uscito dai tuoi ricordi. » Ad occhio e croce, aveva tutta l'aria di essere un demogorgone. Uno appena nato. È così che nascono? È questo il collegamento? Ma perché da Mia? Si alzò velocemente in piedi, decidendo di rimandare quelle domande ad un secondo momento. « Dobbiamo sbarazzarci di questa merda. E l'altra fiala.. prendila. Dobbiamo andare subito nel quartiere warlock a Londra. Se qualcuno sa qualcosa, sono loro per forza. »

     
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    « E adesso aspettiamo. » Per un istante, mentre osservava il flusso cristallino dei ricordi di Raiden presenti all'interno della piccola fiala, Mia si ritrovò a sperare che assumessero le stesse tinte dei propri. Era terrorizzata all'idea di dover affrontare qualunque cosa stesse accadendo da sola, senza alcuna conoscenza in merito e soprattutto con la consapevolezza che ancora una volta non avrebbe avuto la volontà e gli strumenti adatti per ricercare quella necessaria comprensione di cui era evidente avesse bisogno. Fu estremamente difficile concentrarsi sui suoi appunti, mostrarsi sicura di sé e in grado di sorreggere la tensione dettata dal momento. Era evidente che fosse agitata e in parte estremamente spaventata. Ora, ciò che prima non aveva minimamente accettato, nell'esatto momento in cui Raiden l'aveva messa di fronte al fatto compiuto, le appariva estremamente tangibile, reale. Quei ricordi erano i suoi, e qualunque cosa stesse succedendo, dipendeva da lei, o quanto meno anche da lei. Ad un certo punto si perse nei suoi pensieri, afflitta da una sorta di mutismo selettivo. Non aveva voglia di parlare, né sapeva cosa dire di preciso. Ogni tanto osservava i ricordi di Raiden, non molto lontano da quelli di lei che si erano scuriti ulteriormente, fissandoli come se tentasse di farli mutare col solo pensiero. Ma le ore passavano, e nulla mutò, se non nel torbido flusso di quel rivolo color petrolio che fluttuava all'interno della sua fiala. Passò in rassegna molte ipotesi. Forse era un effetto di tutto quel periodo passato lì dentro. Forse aveva a che fare con quanto accaduto dietro le tende ormai un anno prima. No. Non ero da sola. Ne avrei sentito parlare. E se fosse davvero così? Se gli altri semplicemente non ne sono al corrente ma è proprio lì che è cominciato tutto? O forse semplicemente il suo intuito era giusto, e quanto accaduto durante la notte del quattro luglio aveva cambiato qualcosa. Quella non scelta le aveva pesato al pari di una qualunque opzione. Come avrebbe potuto scegliere tra Raiden, la sua famiglia, i suoi amici e la sua comunità, senza sapere neanche cosa stesse scegliendo? A ben guardare quella le era apparsa in quel momento come un passaggio di testimone. Di quale tipo di testimone si trattasse non ne era certa. Ma io l'ho sentita così. Era come se qualunque cosa stesse succedendo a me, sarebbe successa anche a chiunque io avessi scelto. E lì, in quel momento, Mia ha pensato a molte cose; al fatto che stesse per scegliere una prossima vittima o un prossimo massacro. Al fatto che quella scelta significasse scegliere chi altri si sarebbe ritrovato di fronte alla stessa scia degli eventi che aveva coinvolto lei. Non scegliere aveva quasi il sapore di uno spezzare la catena prima ancora di averla fatta partire. E se davvero qualcun altro ha scelto me? In fondo Mia era solo una delle tante; una guerriera leale sì, ma non certa la migliore. Non la più intelligente, né la più metodica. Non trovava un solo motivo per cui certe cose dovessero colpirla, neanche in un ottica di disegni ai piani alti. Ma si sa, quelle cose, quelle creature, le realtà a cui erano fedeli e che contrastavano, agivano secondo logiche del tutto incomprensibili e indecifrabili. Solo allora, posta nuovamente di fronte a un mistero la cui risoluzione le appariva inaccessibile, si rese conto la sua stessa ossessione e foga di risposte non aveva senso di esistere. L'aveva sentito spesso soprattutto nell'ultimo anno: le Logge non si sconfiggono. Si contrastano. A oltranza. Si lotta per tenerle il più possibilmente lontane dal mondo dei vivi. Questa era la loro missione. Non sconfiggerle. Di colpo si passò le mani sul viso, colpendosi energicamente le guance per destarsi dal torpore della stanchezza, sbattendo le palpebre insistentemente per un paio di volte. Condividere la propria sfera emotiva con Raiden in quel momento le apparve più difficile che mai. La tensione nell'animo di entrambi sembrava moltiplicarsi ulteriormente. Come se qualunque cosa li facesse star bene solitamente, riuscisse a destabilizzarli ulteriormente nel momenti peggiori. Furono i rumori molesti prevenienti dalla cucina a far calare leggermente quel senso di inerzia. Sospirò appena prendendosi la testa tra le mani, mentre richiudeva i libri ormai spazientita. « RINGO! MOCHI! » Non si preoccupò più di tanto della questione, allungandosi piuttosto verso l'altra estremità del tavolino per afferrare la bottiglia di vetro e versarsi un altro po' di acqua nel bicchiere. Stava iniziando ad avere davvero tanto sonno. A breve avrebbe proposto senz'altro a Raiden di andare a letto. Per un istante rabbrividì. Realizzò solo in quel momento che faceva davvero freddo. La prima ipotesi che le venne in mente era che la porta del bagno di sotto fosse rimasta aperta con le finestre spalancate. D'altronde, nelle Highlands le temperature erano di molto scese già da parecchio e infatti Mia e Raiden stavano pensando di controllare i caminetto della casa sin da quando erano tornati. Non lo avevano ancora fatto, un po' perché avevano avuto altro a cui pensare, un po' perché non avevano reputato facesse davvero così freddo. In quel momento però, si maledì per averlo convinto a pensarci solo verso la fine di settembre, convinta che il clima mite avrebbe retto almeno per un altro po'. Si spostò quindi, stringendosi nel maglioncino leggero che aveva indosso continuando a rabbrividire mentre si dirigeva a passi veloci verso il piccolo corridoio che conteneva il vano delle scale e il bagno degli ospiti. La porta era chiusa. La stessa cosa si poteva dire della finestra. Quello in cui soggiaceva il pianterreno della piccola casetta, era un freddo gelido, quasi invernale. Non era affatto naturale. E nulla aveva di naturale neanche quel senso di agitazione che sembrò rimontarle nel petto. La paura. Il terrore. L'incredulità. Il disgusto. Non erano sue emozioni. Lei, Mia, non aveva alcuna ragione di provarle. Raiden. « Mia! MIA! Vieni subito qui. » Cambiò rotta prima ancora di sentire il tono allarmato di lui andando quasi a sbattere contro i due gatti che le corsero incontro per poi saltare i gradini su per le scale due alla volta. Erano terrorizzati, specie dal modo in cui ringhiavano e soffiavano durante la corsa. « Ringo? » Probabilmente li avrebbe trovati sotto al letto o nascosti in fondo all'armadio oppure nella cesta dei panni. Non aveva mai visto Ringo così nervoso, nonostante fosse abituato a vedere ogni sorta di stranezza durante le sue villeggiature all'interno del castello. Decise di proseguire fino a varcare la porta della cucina, osservando Raiden con uno sguardo interrogativa. « Ma che hanno fatto? Sono agitatissimi. » A quel punto si aspettava che Raiden li avesse messo in fuga oppure che avessero combinato qualcosa che li aveva spaventati. Succedeva spesso; per quanto svegli, i gatti sapevano essere comunque estremamente stupidi. Tipo come quando si fanno cadere addosso qualche scatola e poi ci restano intrappolati correndo per mezza casa con quella roba in testa. O quando restano bloccati sotto le coperte. Questa voleva poteva essere successo di tutto. Non si sarebbe certo stupita. Ma ciò di cui si stupì pochi istanti dopo aver posto quella domanda risulto decisamente più macabro. Il pugnale di Raiden macchiato di una sostanza color petrolio, così come parte dei suoi vestiti. E poi il corpo della creatura. Era piccolo e sfigurato al pari di quelli di dimensioni decisamente più imponenti che avevano affrontare altrove. « Questo.. questo coso è uscito dai tuoi ricordi. » Sgranò gli occhi, la giovane Yagami, scuotendo la testa. « No.. è.. » Impossibile? Terrificante?Fuori da ogni logica? Il battito cardiaco le scardinò la cassa toracica. Per un istante venne assalita da una forma di panico senza precedenti, mentre lasciava oscillare lo sguardo dalla creatura immonda al volto di Raiden e poi al resto della scena. Era innegabile. Le fiale vuote, la spazzatura rovesciata. I gatti devono averlo trovato per primi. Al solo pensiero che quella creatura potesse essere uscita dalla sua testa, provò un senso di estremo disgusto. « Dobbiamo sbarazzarci di questa merda. E l'altra fiala.. prendila. Dobbiamo andare subito nel quartiere warlock a Londra. Se qualcuno sa qualcosa, sono loro per forza. » Col sangue gelido nelle vene fece un profondo sospiro passandosi le mani tra sul viso annuendo con convinzione. Stava cercando di mantenere la calma. Non puoi dare di matto ancora, Mia. Cazzo, resta in te per favore. Non entrare nel solito circolo vizioso. E quindi deciso di non pensare ed eseguire. Si arrotolò le maniche mordendosi il labbro inferiore mentre armeggiava in cucina alla ricerca di qualcosa che potesse contenere l'abominio. « Ok. » Non sapeva neanche a cosa acconsentiva. Aveva solo bisogno di fare qualcosa. « Forse è meglio portarlo con noi. Ha senso.. potrebbe essere qualunque cosa. » Senza contare che io non mi sono mai sbarazzata di uno di questi cosi. Cosa si fa? Lo si brucia? Si disintegra? Si seppellisce? Srotolò quindi un sacco della spazzatura nuovo di zecca. Reggerà? Quanto è pesante uno di quei così. « Vai a cambiarti. Qui ci penso io. »

    Nonostante l'iniziale reticenza, avvisare il centro operativo di Inverness era stata una decisione a cui non si era sottratta. Non voleva diventare quella che aveva letteralmente fatto comparire un demogorgone nel cuore della Città Santa, ma al contempo il senso del dovere, così come l'evidente convinzione di aver sbagliato nel non dire nulla quasi due anni prima quando aveva rivisto la luce del giorno, le impedì di fare altrimenti. E così, una volta giunti al limitare dei nuovi confini dei territori di Inverness si smaterializzarono nel bel mezzo di una Londra addormentata e piuttosto silenziosa. Tra la domenica e il lunedì, nelle zone meno turistiche il ritmo frenetico si appiattiva e tutto sembrava crollare sotto il misterioso incantesimo di Morfeo. L'accesso per il quartiere warlock si trovava in un grande sottopassaggio colmo zeppo di piccoli negozietti vintage. C'era un'unica insegna a lampeggiare nel buio pesto. Un orologiaio aperto 24 su 24. « Dici che i babbani riescono a vederlo? » Chiese ad un certo punto desiderosa di spezzare quel silenzio che si era creato tra i due sin da quando erano scesi lì sotto. Non le era difficile immaginare che il piccolo negozietto fosse custodito da un qualche incantesimo anti-babbano. « Questo posto mi fa venire i brividi. » Ma quella sensazione non fece altro che accrescersi non appena varcarono le porte della piccola bottega le cui mura erano tappezzate da centinaia di orologi. Non c'era nessuno. Mia si guardò attorno con un senso di impazienza dirigendosi verso quello che le apparve come un banco di lavoro, dove premette un paio di volte un antico campanello che risuonò diverse volte. « Ehilà? Mi scusi.. c'è qualcuno? » Di scatto sobbalzò colta alla sprovvista da un improvviso baccano che portò diversi orologi ad annunciare l'ora esatta. Erano ormai le due di notte e gli orologi a cucù non si fecero scappare l'occasione di annunciarlo con un ritmo che nel mezzo degli sfortunati eventi di quella notte, non fecero altro che accrescere il senso di ansia e tensione. Incollò istintivamente la spalla contro il braccio di Raiden, sollevando lo sguardo nella sua direzione prima che il silenzio prendesse nuovamente il sopravvento di colpo. « Raiden e Mia Yagami. Benvenuti. Vi aspettavo. Grazie per la puntualità. » Puntualità? Si trattava di un anziano signore gobbo; privo di un occhio e un sorriso sdentato. Il solo provare a guardare nella voragine che riempiva la piccola porzione sgombra del volto del warlock era inquietante. Il benvenuto di cui aveva goduto in Giappone non era diverso. Ai tempi però, Mia aveva imputato quel trovarla nel bel mezzo di uno snodo ferroviario in mezzo a decine di migliaia di persone, come una semplice casualità. Forse Raiden aveva mostrato loro una foto prima del suo arrivo, oppure semplicemente era stato quasi naturale assumere che fosse lei la persona da prelevare considerati i suoi tratti occidentali. Un'ipotesi quella che tuttavia poteva crollare abbastanza in fretta, considerato l'ingente numero di stranieri che visitava Tokyo ogni giorno. « Questo lo prendo io, se non ti dispiace. » Disse quindi indicandole il secchio della spazzatura all'interno del quale soggiaceva l'abominio che Raiden aveva eliminato. « L'altro campione? » Mia rimase completamente di stucco, osservando per un istante Raiden con fare incerto. Doveva fidarsi? Quelle persone avevano ormai un patto con la sua gente, ma nonostante ciò, la sua reticenza dovuta al suo essere completamente impreparata sulla questione era evidente. « Siamo già in contatto con Inverness, mia cara. » A quel punto Mia sospirò scuotendo la testa prima di consegnare tra le mani dell'anziano signore la scatola in cui aveva riposto la fiala, lasciando che li conducesse infine verso la porta sul retro dalla quale si accedeva al quartiere warlock. [...] Al cospetto di un gruppo variopinto, sotto gli occhi di Raiden, Mia si era sentita costretta a sputare il rospo. Parlare di ciascuna di quelle esperienze che aveva estratto era stato un processo lungo e doloroso che le aveva preso diverso tempo. Il tè che le avevano offerto, sembrava aver risollevato il suo spirito. Le aveva sciolto la lingua, e per la prima volta era riuscita a mettere in fila tutte quelle esperienze a parole. La vergogna che aveva provato era stata immensa. Più di una volta avrebbe preferito poterne parlare in un ambiente più ristretto, ma se anche le avesse offerto la possibilità di un po' di privacy, a quel punto non l'avrebbe accettata. Non si oppose neanche all'intrusione nella propria indole o in quella di Raiden di altre persone. Altri lycan. Sapeva che a quel punto, in un modo o nell'altro la sua famiglia era in ascolto. Stava facendo la sua parte. Forse troppo tardi, ma lo stava facendo. E non si sarebbe opposta dal permettere a chiunque volesse sentire per poter essere messo in guardia. Ad un certo punto mentre è una delle warlock a prendere parola, Mia stacca la testa. Si sente esausta, e così recepisce solo una parte del discorso. « ..abbiamo motivo di pensare che si espanderà. Lo squilibrio si è reso evidente a settembre dell'anno scorso. Sono stati scelti i primi due - poco prima oppure immediatamente dopo -, ma in seguito si è sparsa. Non possiamo dire con certezza se Mia sia uno dei pazienti zero, ma se la profezia è corretta, è probabile che sia entrata in gioco in seguito. Non abbiamo ancora gli elementi per decretare quale sia la modalità di selezione, ma sospettiamo che il cerchio si possa chiudere durante il prossimo ottobre. » Ottobre. Di nuovo il fottuto fine ottobre. « Mia è un target facile. Le sue esperienze l'hanno resa estremamente duttile. Ma non è l'unico modo. I vostri sin eater sono fondamentali anche per questa ragione: la purificazione dei guerrieri della Loggia Bianca è imprescindibile affinché non vengano tratti in inganno. » La donna fece una leggera pausa osservando prima Raiden e poi Mia, la quale, dal canto suo, posò la tempia contro la spalla di lui alla ricerca di un leggero conforto, non sapeva nemmeno da cosa nello specifico. « Qualora riuscissimo a estrarre quei ricordi dal corpo della creatura che ci avete portato, indagheremo ulteriormente. Mi sento però di interpretare l'episodio che ci hai raccontato in maniera positiva. È probabile che quella scelta fosse indirizzata al trovare i prossimi bersagli. Non farlo potrebbe aver velocizzato determinati meccanismi prima del tempo, ma può aver anche rallentato la ricerca di.. altri. Non sappiamo però quanti altri sono nelle stesse condizioni - se ce ne sono - e per avere un quadro completo avremmo bisogno di un demonologo esperto della materia. » « Quindi potrebbero essere dei tramiti? » La proiezione di Beatrice Morgenstern alle spalle di Raiden, la fece sobbalzare. « E allora perché gli strumenti mortali sono stati rubati? Perché il Big Ben continua a essere sorvegliato giorno e notte? » « È più complicato di così. Ma qualunque cosa si trovi lì - non è uno strumento mortale. Siamo certi che gli oggetti che hanno dato inizio allo squilibrio sono stati disinnescati oppure sono tornati in fase dormiente. » Mia si passò le mani tra i capelli e sospirò, sfregandosi distrattamente le mani. « Le forze si muovono in maniera differente. Noi però non abbiamo accesso né a quel luogo, né a nessun altro da cui Il Caos è esploso. Siamo stati tagliati fuori. Chi custodisce il Big Ben sa difendersi da noi. Ma non sa farlo completamente con voi. Per lo stesso motivo noi non sappiamo nasconderci completamente da voi. » La cosa la sorprese. Era questo il motivo per cui l'entrata verso il quartiere warlock si era svelata con così tanta facilità? In merito gli warlock non sembrano voler scoprire tutte le carte, né intendevano spiegare cosa intendessero con quel noi non ne abbiamo accesso. Gli warlock sembravano estremamente informati in merito a tante cose che tanto i maghi quanto i lycan ignoravano. A me sembrano invincibili. Chi si metterebbe mai contro questa gente? L'intervento della donna venne intervallato da quello del custode che ha condotto Mia e Raiden nel quartiere in primo luogo. « Il Big Ben è sotto custodia da sempre. Noi non siamo mai riusciti ad avvicinarci da soli. Se però deciderete di avventurarvi, vi daremo tutti gli strumenti necessari per comprendere ciò che sospettiamo possa accadere là dentro. » A quel punto Mia sollevò appena la testa. Non era certa di voler andare ulteriormente oltre prima di capire se qualche speranza l'aveva. « Io però voglio sapere solo una cosa: questa roba è reversibile? Voglio dire.. avete detto che non è completa - e allora si può tornare indietro? » L'unica risposta che ricevette tuttavia, fu tutto fuorché soddisfacente. « Ci servono più elementi. E dobbiamo condurre i nostri studi in merito. Di certo il fautore della profezia potrebbe esserci di aiuto. E anche avere per le mani i relitti degli strumenti mortali. Vi aiuteremo comunque a tenerla a bada.. in questa fase transitoria. » [...]
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    Ha tra le mani una grossa tazza di caffè. È seduta sul bordo di una fontana, al centro della piazza principale del quartiere, mentre fissa il vuoto di fronte a sé con un'espressione vacua. Lentamente le strade si stanno ripopolando, ma nessuno sembra fare particolarmente caso a loro. Lì, tutti sanno che sono degli estranei, ma nonostante ciò nessuno sembra stranirsi della loro presenza. « Cioè di base sono in prognosi riservata. » Non sta tentando di sdramatizzare, ma l'ironia nel tono della voce di lei e evidente. « Ma a ciò si aggiunge anche il fatto che potremmo tranquillamente avercela tutti senza saperlo. O magari non ce l'ha nessuno, ma io ho solo più culo degli altri. E ora dobbiamo attendere che un qualche warlock faccia chissà che per evitare non so neanche cosa. » Si rigira tra le mani il biglietto di quel disegno che hanno mostrato loro. Non ne ha uno. Se ne sarebbero accorti se così fosse. Ma non è detto che non comparirà. « Una delle persone che potrebbe aiutare alla risoluzione di tutta questa roba è al fresco. Uno dei posti che potrebbe farci capire mezza cosa, ha praticamente.. i cecchini appostati sul tetto - oh, e non dimentichiamoci: sti cazzo di strumenti mortali sono spariti chissà dove. » Allarga le braccia prima di portarsi la tazza di caffè alle labbra e prendere un lungo sorso. Mannaggia a me che volevo parlare. Ma io dico, ma non potevo starmi zitta? Non potevo semplicemente prendermi una camomilla e parlare punto? Tipo come stanotte, no? Teino e chiacchiere, come la cazzo di gente normale! Ma no, io dovevo fargli vedere le cose, perché così capiva. Brava cogliona. Resta per diverso tempo a osservarlo in silenzio, per poi abbassare lo sguardo. Che si senta in colpa è evidente. Non doveva andare così. Io volevo renderti felice, non farti trovare il gatto che fa a pugni con un fottuto demogorgone. A quel punto non poteva nemmeno biasimarlo semmai volesse prendere le distanze. Un conto è prepararsi a una battaglia con la Loggia. Un'altra è averla potenzialmente in casa. E in fondo, Mia aveva visto come aveva reagito di fronte a quelle fiale. Poteva biasimarlo? Certo che no. Poteva dirsi davvero stupita a quel punto dal suo nervosismo, dal disgusto con cui aveva trattato quelle fiale. Sarebbe stato strano il contrario. « Senti.. Raiden. A me non mi è chiaro che succederà e stasera ci hanno dato una risposta a mezza bocca e.. » Si stringe nelle spalle. « ..non mi sembra nemmeno giusto di chiederti che si fa o cosa vuoi fare. Cioè certo che te lo chiedo, però un po' non so se me la sento. » Deglutisce a quel punto, la mora, e scuote la testa. « Uhm.. dico solo che capisco che questa roba fa abbastanza schifo. Tipo schifo da non ne voglio proprio sapere. E io lo capirei se fosse così.. cioè.. » Oddio non so se capirei. Ma alla luce di tutto quanto, io spero quasi che tu dica che non ce la fai. « Va beh insomma hai capito.. non sappiamo neanche se questa cosa è contagiosa. Boh quella sera tu c'eri tra le scelte. » Pausa. « Non so se era una cosa random tra tutte le persone che mi stanno a cuore oppure no.. però.. ecco.. sì. » Ad un certo punto, esasperata dal suo stesso girarci intorno senza giungere a nessuno punto, sospira e solleva lo sguardo nella sua direzione. « Io non voglio che tu ti faccia male. »


     
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    « ..abbiamo motivo di pensare che si espanderà. Lo squilibrio si è reso evidente a settembre dell'anno scorso. Sono stati scelti i primi due - poco prima oppure immediatamente dopo -, ma in seguito si è sparsa. Non possiamo dire con certezza se Mia sia uno dei pazienti zero, ma se la profezia è corretta, è probabile che sia entrata in gioco in seguito. Non abbiamo ancora gli elementi per decretare quale sia la modalità di selezione, ma sospettiamo che il cerchio si possa chiudere durante il prossimo ottobre. » Annuiva, e per quanto il suo sguardo potesse sembrare assente, Raiden a quelle parole prestò tutta la sua attenzione. Con un'espressione neutra congelata sul volto, il ragazzo teneva le braccia conserte al petto in quella che appariva come una postura ufficiale, in tutto e per tutto simile a quella che teneva duranti gli incontri strategici ad Inverness o in Giappone. Forse qualche sovrapposizione tra quelle situazioni e il suo umore del momento c'era davvero, ma ben più forte era il meccanismo difensivo che a quella postura dava luogo in prima istanza. Si sentiva come se fosse dal medico, e questo gli stesse dicendo che la persona da lui amata soffriva di una qualche orribile condizione per la quale non vi era ancora alcuna cura nota. Che cosa avrebbe dovuto fare? Come avrebbe dovuto sentirsi se non impotente? Gli warlock parlavano, ne dicevano tante, ma alle orecchie del giapponese quelle parole suonavano solo come un "non c'è nulla da fare". Certo, Mia non era afflitta da una qualche malattia terminale, ma ciò che avevano visto coi loro stessi occhi era tutto tranne che rassicurante, e l'idea di non avere alcuna risposta a riguardo rendeva le ipotesi ancor più scure. Oggi è stato così. Ci è andata bene. Ma domani? Tra una settimana? Un mese? Cosa dobbiamo aspettarci? Cazzo, le è uscito un fottuto demogorgone dalla testa! Dovremmo star qui ad aspettare che ne esca un altro ad ammazzarci nel sonno? Il punto era proprio questo: Raiden e Mia, nella sfortuna, erano stati fortunati, quella sera. Avevano preso la situazione per tempo - ma quale situazione? Non sapendo cosa aspettarsi, non potevano neanche prepararsi. « Mia è un target facile. Le sue esperienze l'hanno resa estremamente duttile. Ma non è l'unico modo. I vostri sin eater sono fondamentali anche per questa ragione: la purificazione dei guerrieri della Loggia Bianca è imprescindibile affinché non vengano tratti in inganno. » « Ok. Quindi dovrà vedere un sin eater? Ogni quanto? » Chiese sbrigativo, come se stesse cercando in tutti i modi di giungere al dunque della questione. Ci state dando un sacco di informazioni astratte ma nessuna risposta concreta. « Qualora riuscissimo a estrarre quei ricordi dal corpo della creatura che ci avete portato, indagheremo ulteriormente. Mi sento però di interpretare l'episodio che ci hai raccontato in maniera positiva. È probabile che quella scelta fosse indirizzata al trovare i prossimi bersagli. Non farlo potrebbe aver velocizzato determinati meccanismi prima del tempo, ma può aver anche rallentato la ricerca di.. altri. Non sappiamo però quanti altri sono nelle stesse condizioni - se ce ne sono - e per avere un quadro completo avremmo bisogno di un demonologo esperto della materia. » Annuì a scatti, mordendosi il labbro inferiore per trattenere la propria seccatura. Ok quindi in soldoni ci state dicendo che non sapete cosa fare. Il temporeggiamento era sempre stato qualcosa che Raiden mal sopportava; preferiva di gran lunga una brutta notizia data a bruciapelo piuttosto che una verità parziale continuamente rimandata e diluita.
    Nel momento in cui il Big Ben venne nominato, lo sguardo di Raiden si fece più vigile, seguendo i due interlocutori in attesa di informazioni che potessero aiutarlo a riunire i puntini con l'unica che lui aveva. Era un'informazione la sua? Non lo sapeva. Forse non era nulla di utile. Forse ancora si trattava solo di una qualche chiave in codice che solo i diretti interessati al caso avrebbero saputo interpretare. Quando aveva trovato quella runa sconosciuta nel file all'interno dell'archivio auror, Raiden ne aveva subito parlato a Inverness, ma anche lì nessuno aveva saputo dire di cosa si trattasse; sembrava fosse qualcosa di completamente sconosciuto un po' a chiunque. Tentare, tuttavia, non nuoceva. « Il massimo a cui ci siamo avvicinati è stato il file del Big Ben nell'archivio auror. » Gli warlock si voltarono nella sua direzione con interesse, interrogandolo silenziosamente con lo sguardo. « Dentro ci ho trovato solo un foglio con un disegno strano. » « Sapresti riprodurlo? » Nel momento in cui annuì, lo warlock gli allungò un foglio e una penna sul tavolo, osservandolo con estrema attenzione mentre tratteggiava quelle poche e semplici linee difficili da dimenticare. Il disegno non era complesso e, appunto, aveva tutte le sembianze di una runa - una che, tuttavia, non sembrava essere nota ai maghi. Gli warlock lo analizzarono con attenzione, come se tra quelle linee riuscissero a leggere qualcosa di diverso rispetto ai suoi occhi. E poi, semplicemente, l'uomo annuì, passando il foglio a quello che sembrava essere un suo sottoposto. « Fallo avere ai demonologi. Sicuramente ne sapranno qualcosa in più. » Detto ciò si voltò in direzione di Raiden e Mia. « Le rune sono innumerevoli. Questa simboleggia la consacrazione. Magia oscura - non credo sorprenderà nessuno. Ma per avere un responso più preciso è necessario sottoporla all'analisi di un demonologo. Se non sbaglio ve ne abbiamo anche fornito uno nella vostra scuola, giusto? » Sì, Raiden lo aveva incrociato qualche volta di sfuggita. Gli era stato presto indicato come una persona a cui rivolgersi in casi di quel tipo. « Io però voglio sapere solo una cosa: questa roba è reversibile? Voglio dire.. avete detto che non è completa - e allora si può tornare indietro? » « Ci servono più elementi. E dobbiamo condurre i nostri studi in merito. Di certo il fautore della profezia potrebbe esserci di aiuto. E anche avere per le mani i relitti degli strumenti mortali. Vi aiuteremo comunque a tenerla a bada.. in questa fase transitoria. » Ancora una volta Raiden annuì, tirando un sospiro. Certo. Questa fase transitoria.
    Odiava quella situazione. Odiava sentirsi in balia di un fato contro cui nulla poteva. Si rigirò la tazza di caffè tra le mani, osservando il logo della caffetteria del quartiere warlock, lì dove erano stati serviti da un goblin. La ruota della fortuna, come la carta dei tarocchi. Sollevò un sopracciglio, sbuffando dalle narici una risata dalle tonalità amare. Ogni cosa in quel posto sembrava estremamente puntuale. Pure il caffè, a quanto pare. Sospirò, prendendone un sorso mentre osservava una vecchia strega gobba attraversare a fatica la piazza. « Cioè di base sono in prognosi riservata. » Per quanto ironico fosse il tono di Mia, Raiden non rise, né tanto meno sorrise. Non trovava nulla di divertente in ciò che stavano vivendo, e sapere di non poter fare nulla se non aspettare mentre qualche warlock gli riempiva casa di ninnoli di certo non aiutava il suo umore. « Ma a ciò si aggiunge anche il fatto che potremmo tranquillamente avercela tutti senza saperlo. O magari non ce l'ha nessuno, ma io ho solo più culo degli altri. E ora dobbiamo attendere che un qualche warlock faccia chissà che per evitare non so neanche cosa. » Siamo sempre punto e a capo. Però quella volta Raiden non aveva nessuno da incolpare, e dunque nessuno a cui spaccare la testa con un colpo di katana per risolvere la situazione. « Una delle persone che potrebbe aiutare alla risoluzione di tutta questa roba è al fresco. Uno dei posti che potrebbe farci capire mezza cosa, ha praticamente.. i cecchini appostati sul tetto - oh, e non dimentichiamoci: sti cazzo di strumenti mortali sono spariti chissà dove. » In poche parole stiamo messi a novanta. E aspettiamo. Aggrottò la fronte con aria contrariata, portandosi alle labbra la tazza di caffè per berne il contenuto fino all'ultimo goccio e accartocciare il contenitore, che gettò con rabbia nel cestino più prossimo. Raiden in quelle cose non era bravo; aveva bisogno di un obiettivo tangibile e della almeno vaga consapevolezza della situazione in cui si trovava. Così, però, erano solo in balia degli eventi - e come loro anche tutti gli altri. In un moto di sconforto, poggiò i gomiti sulle ginocchia, affondando il viso stanco tra le mani. Nonostante tutto, cercava di pensare - si scervellava pur di trovare una qualche soluzione, o reperire un indizio che potesse essergli sfuggito. Ma non c'era nulla: tutte le strade percorse sembravano portare a vicoli ciechi, e anche la speranza degli warlock cominciava pian piano ad apparire più come un'utopia che come una vera e propria risposta ai loro problemi. « Senti.. Raiden. A me non mi è chiaro che succederà e stasera ci hanno dato una risposta a mezza bocca e.. » Alzò il viso dalle mani, rivolgendo a Mia lo sguardo fiaccato dalla giornataccia. « ..non mi sembra nemmeno giusto di chiederti che si fa o cosa vuoi fare. Cioè certo che te lo chiedo, però un po' non so se me la sento. » A quelle parole, drizzò pian piano le spalle, aggrottando la fronte mentre il suo sguardo assumeva una tinta più confusa. « Che intendi, scusa? » « Uhm.. dico solo che capisco che questa roba fa abbastanza schifo. Tipo schifo da non ne voglio proprio sapere. E io lo capirei se fosse così.. cioè.. Va beh insomma hai capito.. non sappiamo neanche se questa cosa è contagiosa. Boh quella sera tu c'eri tra le scelte. Non so se era una cosa random tra tutte le persone che mi stanno a cuore oppure no.. però.. ecco.. sì. Io non voglio che tu ti faccia male. » Rimase per qualche istante in silenzio a fissarla, come se si aspettasse qualcos'altro, ma non arrivò nulla. Che quella non fosse stata una delle loro giornate migliori era evidente, e prima che tutto quel casino si dipanasse erano emersi tra i due alcuni problemi di coppia che avrebbero comunque dovuto capire prima o poi, ma di certo Raiden non si aspettava questo "vola via, sei libero se vuoi" proprio quando la situazione si metteva male. « Spero che tu lo abbia detto tanto per dire, Mia. » proferì un po' piccato, inarcando un sopracciglio come a voler lasciar intendere quanto assurda gli apparisse quell'ipotesi. Anche perché se pensi davvero che io possa essere tentato dall'idea di andarmene, mi sa che di problemi ne abbiamo diversi. « Secondo te ti lascerei da sola? Ma non pensarci neanche. Col cazzo, Mia. La affrontiamo insieme questa cosa.. qualunque cosa sia. » Prese un lungo sospiro, passandosi una mano sul volto e tra i capelli prima di posarla sopra quella di lei. Intrecciò le dita alle sue, stringendole appena in un gesto che sperava darle se non conforto, quanto meno la sensazione di non essere sola in quel casino. Ci siamo fatti delle promesse, io e te. Ma non avevo neanche bisogno di dirti quelle cose di fronte a un prete per tenervi fede. Si fece quindi più vicino a lei, stringendolo un po' più la mano, questa volta con entrambe le proprie. « Ne verremo a capo, ok? Un giorno per volta. » Fece una breve pausa, indagando il viso di lei per carpirne eventuali reazioni. « Ma nel frattempo è importante tenerci strette le nostre vite quanto più possiamo. Non si può campare di sopravvivenza. » Altrimenti tutti questi sforzi non varrebbero nulla.

     
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