I ain't 'fraid of no ghost

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    Era stato abbastanza naturale per Mia proporsi per tenere compagnia a Lily e Jay in seguito a quell'improvviso sconvolgimento di piani. James Potter. Libero. Non ci si crede. Nell'ultimo mese Mia aveva abusato della disponibilità di quella famiglia, così come aveva fatto con altri sin eater in città. Per sdebitarsi e con la scusa di fare un piccolo extra, le era capitato diverse volte di restare coi bambini la sera, anche in seguito chiamate senza preavviso; non le pesava, anzi. A quel punto contribuiva ovunque, in qualunque modo potesse, per tentare di trascorrere una vita il più normale possibile. Le era stato consigliato di trovare qualcuno di abbastanza disponibile da ascoltarla ed essere disposto a vomitare un bel po' di melma, ma a dirla tutta, il più delle volte si ritrovava lì con il giovane Potter o con qualcun altro e a malapena riusciva a parlare. Ormai la sua condizione era ben nota nella Città Santa, ma nonostante ciò, e nonostante le mille paure e paranoie in merito, nessuno l'aveva messa all'angolo. I lycan le riservavano piuttosto diversi gesti di gentilezza, chiedendole come stesse e come andassero le cose. Si sentiva un po' come una malata terminale, come se in fondo, quelle persone sapessero che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto a meno che una risposta certa non fosse arrivata in tempi brevi. Di episodi strani tuttavia, non ce ne erano più stati - un po' perché sia Mia che Raiden erano stati estremamente attenti a seguire passo passo tutte le istruzioni dei warlock - che avevano letteralmente riempito casa loro di talismani e rune - un po' perché forse quel tipo di cose si presentavano ancora di rado. Quanto alla serata di Halloween, l'avevano messa in guardia. Non doveva rimanere mai da sola, né andare a dormire fino all'alba del giorno successivo - possibilmente - così da evitare episodi come quello di luglio. Il punto è non cedere. Ho capito. Non lasciarsi ingannare. Non farsi tentare. E per questo, Mia aveva deciso che passare una serata di Halloween normale era il modo migliore per esorcizzare qualunque paura. Aveva fatto sapere i suoi piani a Raiden sin da quando aveva appreso le notizie circa la liberazione di James Potter e dopo le perplessità relegate alla notizia in sé, ciascuno era tornato ai propri impegni, promettendosi di ricongiungersi a Hogsmeade non appena avessero finito con gli impegni della giornata. Voglio una roba normale. Si sarebbe vestita e truccata, avrebbe portato Lily e Jay a fare dolcetto e scherzetto assieme a Raiden, poi li avrebbero portati a casa loro a Hogsmeade, messi a letto e atteso che Albus e Mun tornassero. A quel punto si sarebbero recati a una festicciola improvvisata col resto del gruppo di amici. Niente alcol né erballegra. Una serata normale senza dare di matto.
    Gillian si era raccomandata con Raiden diverse volte: non perderla di vista neanche per un istante, che palle.. si l'ha capito! Specie perché non sarebbero tornati a Inverness fino a tardi, o nella peggiore delle ipotesi fino al giorno successivo. Un atteggiamento quello, che l'aveva un po' seccata, ma che aveva accettato senza troppe paturnie. A quel punto tentava di infervorarsi il meno possibile; teneva la testa bassa, studiava e provava a mantenere un ritmo stabile nella sua quotidianità. Equilibrio. Dicevano aiutasse. Ma in quel modo, Mia si sentiva solo più malata terminale, come se dovesse sforzarsi a restare calma e scongiurare eventuali effetti collaterali. Ciò che sembrava rincuorare maggiormente la madre era proprio la presenza di quel tale warlock a Hogsmeade. « Ha un nome. Si chiama Eliphas, ma'. » « Si si lui. » Proprio lui. Sarebbe rimasto nei paraggi qualora qualcosa fosse andanto storto. Ma non accadrà. Andrà tutto bene. Tuttavia, il 31 ottobre non è mai un giorno qualunque. Non lo è da ormai troppi anni. Non a caso tutt'ora la giornata si celebra con un misto di melanconia, ricordando con diverse cerimonie la triste chiusura delle porte di Hogwarts. Ricordi, quelli, a cui preferì non dare seguito, affrettando piuttosto il passo, recandosi a casa dei Potter a Hogsmeade, dove Lily e Jay l'aspettavano in compagnia della madre. Era ancora il primo pomeriggio quando una giovane Mia vestita a tema andò a prendere i bambini. Nonostante in tempi meno bui passasse tutto ottobre a pensare al suo costume, quell'anno aveva dovuto ripiegare su qualcosa di semplice, recuperando solo una maschera in un negozio a Hogsmeade e riciclando alcuni pezzi delle sue divise da cacciatrice per ricreare una specie di cat woman con tanto di frusta recuperata in armeria per l'occasione. Piuttosto fallimentare in termini assoluti, ma pur sempre soddisfacente e pratico. Jay spuntò alla porta al seguito di Mun vestito da Peter Pan. A poca distanza c'era Lily vestita da unicorno, o principessa unicorno. Mia non poté fare a meno di ridacchiare sommessamente accogliendo tra le proprie braccia la bambina mentre allungava la mano libera in direzione di Jay. « Grazie davvero. Ho lasciato la cena in frigo. C'è abbastanza anche per voi, ovviamente. Non far fare loro troppo tardi. » Mia annuì. Ormai conosceva abbastanza i ritmi dei due bambini. Li avrebbe stancati a dovere portandoli in lungo e in largo per le vie di Hogsmeade, lasciandoli giocare con gli altri bambini, finché non sarebbero crollati. Certo, far crollare quei due era davvero difficile, però posso farcela. « Tranquilla. Il mio babysitter penserà a tutto. » Disse stringendosi nelle spalle con noncuranza. Mun e Albus sapevano che non sarebbe stata da sola; forse era il motivo per cui si erano fidati con così tanta facilità. Era Raiden il tipo estremamente affidabile; da quando erano tornati dal Giappone poi, la sua reputazione tra le mura di Inverness era diventata salda al pari di uno che tra i lycan viveva da sempre. Era affidabile e solido; non poteva certo dare torti a chi di lui si fidava ciecamente e non se ne faceva neanche un cruccio se quella fiducia era estesa a lei per semplice proprietà transitiva. « Ehi! Voi due! Fate i bravi. » E quindi fu il momento di separarsi. Aveva appuntamento con Raiden da Fortebraccio, che fu anche la prima sosta per fare dolcetto o scherzetto. Mia si premurò di comprare per i bambini un succo di frutta a testa, e insieme si sedettero a uno dei tavoli interni. Lily sedette sulle gambe di lei e Jay sulla sedia accanto alla sua. « Posso mangiare un cioccolatino? » Bambini. Zucchero. Prima di cena. Caos. Ormai conosceva quella parabola sin da quando Olivia era piccola. Mia si schiarì quindi la voce, sospirò e osservò il bambino con un'espressione estremamente eloquente. « Ricordi le regole? Solo quando abbiamo finito di fare dolcetto scherzetto. » Anche perché minimo ci saranno un sacco di dolcetti differenti e tu vorrai assaggiarli tutti. Di questo passo iperattività fino al 3 novembre. I tuoi mi ammazzano. Il bambino mise il broncio, osservando il proprio sacchetto con un'espressione frustrata tentando ancora di contrattare per un po', mentre Lily continuava a giocare con la treccina viola tra i capelli di Mia, scoppiando a ridere ogni qual volta quest'ultima cambiava colore. Aveva usato un incantesimo per ottenere quell'effetto. « Oh! Eccolo! » Disse infine quando notò la figura del giovane Yagami fuori dalla finestra del locale.
    Si apprestò a far scendere Lily dalle proprie ginocchia aiutandola a rimettersi la giacchettina color cipria, per poi fare altrettanto con Jay, scompigliandogli i capelli tra una risata e un'altra. Lo raggiunsero in fretta e furia con Lily che apriva la fila correndo incontro a Raiden, sotto lo sguardo divertito di Mia che attese la fine dei saluti prima di stampargli un bacio sulle labbra osservandolo con un'espressione contrariata. « Ma perché non ti sei vestito? » « Si infatti - Raiden - perché non ti sei vestito? » Ripeté Mia con lo stesso tono di voce sollevando un sopracciglio. « Come fai a fare dolcetto o scherzetto!? » Il tono catastrofico del biondino la fece ridere. « INFATTI! » « BISOGNA VESTIRSIIIIII! » Il siparietto la fa sbellicare dalla risate a tal punto che non riesce a restare seria neanche provandoci con tutte le sue forze. « Adesso la risolviamo, dai. » E dicendo ciò fa cenno a Raiden di sedersi a uno dei tavolini fuori dalla gelateria, non prima di aver fatto sedere Lily e Jay sulle sedie libere. A quel punto si toglie lo zainetto dalle spalle ed estrae l'eyeliner che Stacey le ha prestato, sedendosi sulle sue gambe. Gli cala il cappuccio della felpa sulla testa ed estrae il tappino, sollevando le sopracciglia. « Giuro che non ti disegno un.. » E dicendo ciò abbassa la voce per non farsi sentire dai bambini. « - un pene. Fidati. Li farai contenti. » Inizialmente pensa al muso di un gattino, ma non lo trova poi molto adatto, specie per i piani che hanno in seguito. Opta quindi per il disegno di una ragnatela attorno all'occhio e fino alla fronte. « Ooooh! Perfetto! » Gli stampa un bacio sulla punta del naso saltando in piedi con un'espressione fiera. « Ma da che è vestito? » EH. Bella domanda. Da Raiden con una ragnatela in faccia. Forse era meglio il muso di gatto a questo punto. O il pene. « Non lo conosci il.. il signore dei ragni? Uno spaventosissimo signore che controlla i ragni e li fa.. ballare.. il tip tap.. sull'acqua.. durante la luna piena. » A quel punto è tempo di andare.
    Percorrono Hogsmeade in lungo e in largo tra negozi e case di simpatici signori che regalano ai bambini tantissimi dolci. Mia li intrattiene con estrema maestria ascoltando ogni loro racconto con grande interesse, partecipando alle conversazioni in maniera estremamente dinamica, proponendo sempre nuovi giochi e modi per passare il pomeriggio senza mai annoiarli. Alla fine giungono in una delle piazzette del villaggio dove hanno allestito una piccola competizione di decorazione delle zucche, alla quale Jay decide subito di voler partecipare insieme a Mia. La mora osserva Raiden con un'espressione divertita stringendosi nelle spalle. « A quanto pare le squadre sono state scelte. » La Serpeverde si siede a una delle postazioni facendo saltare Jay sulle proprie ginocchia, prima di mettersi al lavoro interrogandolo costantemente su cosa vuole fare e il modo in cui vuole procedere nell'allestimento della propria zucca. Ogni tanto getta uno sguardo in direzione di Lily e Raiden, intenta a comunicare col ragazzo, ma non fa in tempo perché Jay richiede subito la sua assistenza. Procedono così per un po' tra colla e disegni pasticciati, finché la zucca prende forma. Ormai sembra un albero di Natale. Altroché zucca. Ma quelle degli altri bambini non sono da meno - se non si considera la zucca del bambino sega di turno che è stata completamente decorata dal genitore troppo competitivo per lasciare che il figlio sfogasse il proprio estro creativo. La zucca di Jay ha una storia. E' una zucca-dinosauro che fa il capotreno e sa controllare i ragni. Ma combatte anche i cattivi e scrive cose - non a caso ha appiccicato su quella che immagina sia una guancia, una sottospecie di foglio su cui Jay ha scritto a caratteri cubitali "giornale". « La disegni una ragnatela per favore? » Se me lo chiedi così, come faccio a dirti di no? « Aspetta. Ora ti insegno come si fa. Coooosì.. e poi.. » La ragnatela di Jay è un pasticcio come tutto il resto. Ma è sua, e lui ne è estremamente orgoglioso tanto da tenersela ben stretta al petto con l'intento di farla vedere a mamma e papà appena saranno tornati a casa. Il tempo scorre; scorre in maniera piacevole, tra smorfie e risate. Si sente l'animo leggero e la mente riposata, mentre si dirigono nuovamente verso casa con una zucca a testa tra le braccia; Lily e Jay aprono la strada pochi passi più avanti, pur non avendo la più pallida idea della direzione in cui andare. Non a caso si fermano di continuo per vedere se Mia e Raiden sono ancora alle loro spalle. « Comunque la nostra è più bela. Senza nulla togliere al vostro egregissimo lavoro, oggettivamente il bambino ha talento. Una zucca-dinosauro che fa il capotreno e controlla i ragni. Ah - e combatte anche i cattivi e scrive cose.. » E dicendo ciò indica a Raiden il pezzo di carta su cui una calligrafia infantile ha indicato il giornale a parole con l'aiuto di Mia che ha aggiunto una o alla parola journal. Era stranamente serena. Forse perché non aveva più provato il piacere di festeggiare Halloween da tanto tempo. Le piaceva molto quella festa. Specie a New Orleans. Quando era piccola era la sua festa preferita dopo il Mardì Gras. Le feste in costume suscitavano un certo fascino su di lei. No in realtà non è così. È che a me piacciono tutte le feste. Stare coi miei amici, con la mia famiglia. Mi piace Halloween, il Ringraziamento, il Natale, la Pasqua. Il Quattro Luglio. Labour's Day. Mi piacciono davvero tutte. Ogni festa è bella per Mia; forse perché in fondo ogni festa prevede un momento di raccolta. Stare insieme. Stare così. Sereni. Sospira ad un certo punto. Manca poco per arrivare a casa dei Potter, così, ne approfitta per parlare un po' con lui, prima di iniziare il rituale della cena e del mettere i bambini a letto che avrebbe richiesto decisamente più attenzioni. « A me piace un sacco la festa di Halloween. Ma è la prima volta che ci sto bene da.. anni? » Sgrana gli occhi e scuote la testa. « Tanta roba davvero. » Ciò che tuttavia non sembrava sorprenderla, né darle da pensare, è il fatto che fino a quel momento era stato comunque un Halloween decisamente differente da ciò che lei considerava la giusta maniera di divertirsi. Per quelli della sua età Halloween significava alcol e tanta musica; una notte sopra le righe. Mia si era divertita invece accompagnando due bambini a fare dolcetto e scherzetto e a intagliare e decorare zucche. Se fosse stata più saggia, si sarebbe chiesta per quale ragione stesse così bene, perché quelle cose così semplici le stessero dando la stessa soddisfazione di un festino in piena regola in compagnia dei suoi coetanei. Se fosse stata più saggia, si sarebbe resa conto del fatto che le sue convinzioni non erano necessariamente giuste e che ciò che veniva considerato giusto e naturale per le persone della sua età, non doveva essere necessariamente ciò di cui aveva veramente bisogno. Se fosse stata più saggia, Mia si sarebbe accorta che per tutto il pomeriggio aveva fatto esattamente ciò che non aveva voglia di fare, perché certa di voler ancora dell'altro. Divertirsi, nello specifico. Essere libera. Non avere responsabilità. Non avere pressioni. Non sentirsi diversa. « È stato un botto figo vero? A me è piaciuto tutto tantissimo. Va beh a parte che loro sono tipo una forza. Ti passa proprio un botto il tempo. Tutto figo sì - tranne quel demente che ha decorato la zucca al posto di quel bambino scemo. Quello da grande diventa un Tassorosso te lo dico. Proprio pesce lesso. » Una cattiveria gratuita, quella che si lasciò sfuggire mentre tirava fuori le chiavi che le erano state consegnate, facendo infine entrare dentro la piccola casa tutta la squadra. « Alloooooora io li cambio tu prepari il tavolo? Viceversa? » A te la scelta. Si tolse lo zainetto abbandonandolo a terra, prima di iniziare ad aiutarli a liberarsi a loro volta dei sacchetti colmi di dolci e le giacche. « Allora squadra. Vi ricordate le regole giusto? Ci si cambia, cena e poi massimo mezz'ora di giochi. Ma tipo massimo massimo massimo.. altrimenti poi mamma e papà si arrabbiano ed è la fine. »


     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    Arrivando in Inghilterra, Raiden aveva scoperto quanto sentita fosse la festività che cadeva il trentuno di Ottobre. Certo, Halloween era noto in Giappone - come in ogni altra parte del mondo, ormai - ma non era qualcosa di culturalmente sentito, e il giovane Yagami tendeva ad associarlo principalmente alla baldoria imperdibile dello Shibuya Halloween. L'anno passato, tuttavia, si era reso conto di quanto invece quella che lui reputava una festa di semplice carattere commerciale fosse al contrario molto importante per gli inglesi. Glielo aveva spiegato Jeff, cosa ci fosse di così speciale in quella data che per il Giappone aveva il proprio corrispettivo intorno alla metà di Agosto. Inutile dire che, al suo solito, Raiden aveva trovato da ridire pure su quel punto; trovava infatti particolarmente offensivo il fatto che una festività dedicata ai defunti fosse stata snaturata in qualcosa di prettamente commerciale e a tratti superficiale. Se le ricordava le celebrazioni di Obon, che per la sua cultura erano sempre state un momento sì di festa, ma soprattutto di grande spiritualità; insomma, niente a che vedere con il corrispettivo occidentale, che Raiden aveva festeggiato l'anno precedente partecipando ad un festino tutta tranne che spirituale. In compenso, però, si era divertito, questo doveva concederglielo.
    Questo nuovo anno, tuttavia, sarebbe stato molto diverso dal precedente. Gli warlock avevano dato loro istruzioni precise, e la necessità di qualcuno che guardasse Lily e Jay mentre i genitori erano via sembrava cascata quasi a fagiolo in quelle bislacche circostanze. Un'esperienza nuova anche per Raiden, quella del dolcetto o scherzetto - usanza che si era dovuto far spiegare da Mia, essendo questa completamente assente in Giappone. In soldoni si trattava di portare i bambini a spasso per il quartiere a chiedere dolciumi sotto ricatto di uno scherzetto che era ovvio non sarebbe mai stato realizzato. Ci sta, ha senso nell'ottica di un bambino. La parte difficile, ne era certo, sarebbe stata trovare il modo di convincere Lily e Jay e non ingozzarsi di cioccolata e farsi venire un cosmico mal di pancia. Da un certo punto di vista è pure un po' crudele, portare dei bambini a fare incetta di dolciumi e poi impedirgli di gustare appieno il loro bottino. Ma chi era lui per contestare? Così, dopo aver passato il pranzo assieme alla famiglia, il giovane Yagami si era diretto ad Hogsmeade, facendo innanzitutto tappa al minimarket asiatico per prendere una scorta di ginseng con lo scopo di rimanere svegli nelle ore notturne fino all'insorgere dell'alba. A quel punto era andato dritto al punto di ritrovo, la Gelateria Fortebraccio, dove senza tanti mezzi termini era stato costretto a supplire alla propria mancanza di un costume con il disegno di una ragnatela attorno all'occhio. Sospirò, chiudendo le palpebre mentre lasciava libero campo a Mia di lavorare. « Lo sai perché non mi sono vestito oggi, Jay? » disse con tono pacato, come se stesse per proferire le più serie delle parole. « Perché?? » « Per non farmi riconoscere. » Aprì una palpebra, puntando lo sguardo al bambino per osservarne la reazione confusa. A quel punto gli fece cenno di avvicinarsi, come se dovesse comunicargli un gran segreto. « Non lo dire a nessuno, ma io faccio parte di una categoria che spaventa tutto l'anno. » Fece una pausa di suspance, fissando il bimbo intensamente. « Sono un professore. » A quel punto si portò l'indice alle labbra, intimandolo al silenzio come se gli avesse confessato qualcosa di indicibile. « Come la mia maestra di matematica che ci ha fatto la verifica a sorpresa sulle sottrazioni? » Annuì. « Esattamente. Ma è un segreto. Ce lo teniamo io e te. E se qualcuno non ci dà i cioccolatini.. gli faccio una verifica a sorpresa. » L'idea sembrò stuzzicare particolarmente la sadica verve infantile di Jay, che cominciò a ridacchiare sotto i baffi e sfregarsi le mani. Inutile dire che a quel punto Jay aveva insistito in maniera quasi petulante sul trovare in tutti i modi la casa in cui viveva la propria maestra di matematica, la quale probabilmente nemmeno viveva ad Hogsmeade. Tuttavia Raiden aveva fatto del suo meglio per assecondare il desiderio di vendetta di Jay, intrattenendolo con quella che aveva trasformato in una vera e propria caccia al tesoro. Di tanto in tanto puntava a qualcosa per strada che poteva in qualche strana maniera essere ricollegato alla matematica, e lo indicava a Jay, dicendogli che fosse sicuramente un indizio da seguire per trovare l'abitazione della signora e chiederle tutti i dolciumi che teneva nascosti. Alla fine, ovviamente, non l'avevano trovata, ma il bambino sembrava essersi divertito comunque nel gioco. A distrarlo dall'obiettivo, poi, era stata utile anche la gara di decorazione di zucche che avevano scoperto tenersi nella piazza di Hogsmeade. Lì, Lily aveva richiesto tutte le attenzioni da parte del proprio fidanzato. La bimba era piccola, ma sapeva essere particolarmente determinata e decisa; era infatti stata proprio lei a dettare la linea da seguire per quella competizione: lei gli avrebbe detto cosa fare e lui avrebbe eseguito. Interrogata riguardo quale fosse la sua visione artistica, la piccola Lily rispose con decisione. « Giochiamo che io sono la mamma e tu sei il papà. » Lo sguardo confuso di Raiden passò dall'espressione sicura della bambina alla zucca che avevano di fronte. « E questo è il bambino? » « No! È il figlio. Io sono la mamma, tu sei il papà, lui è il figlio. » Ok.. I guess. Ma per quanto bizzarra fosse quella richiesta, il moro non ne rimase eccessivamente stupito. Avendo fatto già diverse volte da babysitter ai piccoli Potter, sapeva bene quanto il giocare a mamma e papà fosse uno dei passatempi preferiti della piccola. A Lily piaceva imitare la gestualità di Amunet, le sue parole, le premure che aveva nei suoi confronti e anche i rimproveri; tutte cose piuttosto normali, a quell'età. « Quindi è un lui? » « Sì. » « Mh.. ok.. e come si chiama? » « Si chiamaaaa... si chiama Azzurro! Come il principe. Lui è un principe perché io sono la regina e tu sei il re, quindi il figlio è un principe. » Annuì, Raiden, serissimo. « Non fa una piega. » A quel punto la bimba, sistematasi bene sulle ginocchia di Raiden, cominciò a indicargli per filo e per segno come voleva il proprio figlio zucca, prendendo spesso il sopravvento nel processo di creazione per dare quel tocco di kitch in più che proprio serviva. Il risultato, ovviamente, fu la zucca più pacchiana di tutta la piazza; ma Lily ne andava orgogliosa, e dunque anche Raiden, che la portò in braccio a ricevere il proprio premio per il terzo posto. Secondo me ce l'hanno dato per essere politicamente corretti. Questa zucca è palesemente una drag queen. Si scattò pure una foto insieme alla zucca e alla bambina, inviandola non solo ai genitori della piccola, ma anche a Jeff e Delilah - che era certo avrebbero apprezzato.
    « Comunque la nostra è più bela. Senza nulla togliere al vostro egregissimo lavoro, oggettivamente il bambino ha talento. Una zucca-dinosauro che fa il capotreno e controlla i ragni. Ah - e combatte anche i cattivi e scrive cose.. » Rivolse a Mia uno sguardo di sbieco, come a volerle chiedere se fosse seria, mostrandole poi meglio l'opera d'arte glitterata che teneva sotto al braccio. « Come scusa? Vuoi paragonarti alla zucca RuPaul? Dai, torna quando avrete il lecca-lecca a forma di unicorno del terzo posto. Terzo posto immeritatissimo, precisiamolo. Siamo stati discriminati solo perché la nostra era una zucca queer. » proferì, sfociando poi in una risata di gusto mentre dava un altro sguardo alla zucca e scuoteva la testa tra sé e sé. Per quanto impegnativi potessero essere, Jay e Lily erano sempre deliziosi. Forse un po' viziati, ma comunque Albus e Amunet li stanno crescendo bene. Sono gioiosi. E sereni.. il che non è scontato. « A me piace un sacco la festa di Halloween. Ma è la prima volta che ci sto bene da.. anni? Tanta roba davvero. » Mia gli aveva a più riprese raccontato di come avesse trascorso i propri Halloween durante l'infanzia; gliene parlava con gioia, ricordando semplici momenti di felicità che è difficile provare da adulti. Raiden, dal canto suo, non aveva un termine di paragone identico per quelle esperienze: lui di Halloween sapeva poco o nulla, e non aveva alcun attaccamento nei confronti di quella festa che aveva sempre vissuto solo come un'occasione per fare baldoria in età decisamente più avanzata. « Mi fa ancora strano, sai? Per me Halloween era solo.. beh.. bere e scopare, in sintesi. » Ridacchiò, inclinando il capo dopo aver detto quelle parole sottovoce, così da non farsi sentire dai bambini che facevano strada qualche passo più avanti. « Mia mamma ha assorbito molto la cultura giapponese. Per questo in casa nostra non abbiamo mai festeggiato queste ricorrenze. » Fece una pausa. « Credo che del lato tedesco, a me ed Eriko sia stata passata solo la lingua.. e un po' di cucina. » I krauti e la zuppa di patate, quelli la mamma non li ha abbandonati. Ma nonostante tutto, tanto Raiden quanto Eriko erano stati cresciuti come giapponesi, e come tali si erano sempre identificati, tanto che spesso stentavano a individuare nel substrato materno anche solo una parte della loro cultura. Fino a qualche mese prima, Raiden si era interrogato spesso riguardo al come avrebbe agito nel momento in cui lui e Mia avrebbero avuto un bambino; certamente lui gli avrebbe parlato solo in Giapponese, e avrebbe fatto di tutto pur di mantenere vive quelle radici culturali, ma sapeva anche che molto sarebbe dipeso dal luogo in cui il bambino sarebbe effettivamente cresciuto. Quei pensieri, forse, avrebbero dovuto sfiorarlo anche adesso, eppure non lo fecero. In seguito alla discussione avuta ormai più di un mese prima, nella mente di Raiden era andato come a crearsi un blocco a riguardo - quasi come se lo stesso germoglio dell'idea fosse stato estirpato di netto, dal giorno alla notte. Della cosa, il giovane Yagami non sembrava preoccuparsi. Mentre chiacchieravano del più e del meno lungo la strada verso casa, la piccola Lily fece dietrofront, piazzandosi di fronte a Raiden con aria lamentosa. « Mi fanno male i piedi! » « Siamo quasi arrivati, dai, tra un paio di minuti siamo a casa. » La moretta non approvò, mettendo su il broncio e piombando con il sederino a terra. « Ma a me fanno malissimoooo. » Sospirò. « Non ce la fai proprio? » In tutta risposta, la piccola scosse il capo con veemenza, tirando su col naso in un palese tentativo di fargli pena. « Va bene, dai. » disse con un altro sospiro, sistemandosi meglio la zucca sotto al braccio e inginocchiandosi per prendere su Lily con l'altro. Assicuratasela bene per non farla cadere, la bimba gli avvolse le piccole braccine attorno al collo, appoggiando la testolina sulla sua spalla mentre riprendevano a camminare. Evidentemente la giornata l'aveva stancata davvero - come era normale che fosse per una bimba di tre anni - dato che, nonostante la brevità del tragitto, nel giro di poco da quando venne presa in braccio, Lily sembrò addormentarsi pacificamente sulla spalla di Raiden. [..] « È stato un botto figo vero? A me è piaciuto tutto tantissimo. Va beh a parte che loro sono tipo una forza. Ti passa proprio un botto il tempo. Tutto figo sì - tranne quel demente che ha decorato la zucca al posto di quel bambino scemo. Quello da grande diventa un Tassorosso te lo dico. Proprio pesce lesso. » Ridacchiò, tentando di fare meno movimenti bruschi possibile nell'entrare in casa così da non svegliare la piccola di soprassalto. Avrebbe dovuto svegliarla comunque, sì, ma non voleva farle prendere un coccolone o, peggio ancora, farla piangere. « Alloooooora io li cambio tu prepari il tavolo? Viceversa? » Annuì, poggiando la zucca sul tavolo più vicino così da poter cominciare a scuotere delicatamente la bimba ancora appisolata. « Lily.. hey.. siamo arrivati a casa. » La piccola mugolò qualcosa, alzando la testolina per guardarsi intorno confusa e corrucciata, con gli occhi ancora appiccicati dal sonno. « Dai che adesso ceniamo e poi mangiamo i dolcetti. » La moretta ci pensò un attimo, ancora rintontita dalla pennichella, breve ma pesante, e poi si voltò verso Raiden. « Posso avere Mr Snuggle? » Mr Snuggle, ovvero il peluche a forma di scimmietta che Lily si portava più o meno ovunque. Quando avevano iniziato a fare dolcetto o scherzetto, la bimba lo aveva affidato alle cure di Mia, chiedendole esplicitamente di riporlo nello zainetto che Amunet le aveva fornito con tutte le cose di prima necessità. A quella richiesta, Raiden annuì, facendo cenno a Mia di voltarsi così da poter aprire lo zainetto ed estrarne il peluche, che venne subito stretto dalle manine di Lily. A quel punto, rimessa a terra, la bimba non fece storie per farsi togliere il giacchetto e acconsentire a cambiarsi dal costume al pigiama. « Allora squadra. Vi ricordate le regole giusto? Ci si cambia, cena e poi massimo mezz'ora di giochi. Ma tipo massimo massimo massimo.. altrimenti poi mamma e papà si arrabbiano ed è la fine. » A quel punto, esclusa qualche bizza sul numero di dolciumi elargiti - che ovviamente tanto Lily quanto Jay ritennero da elemosina - il resto della serata sembrò andare piuttosto liscio. Finito di mangiare, i bambini scelsero di giocare al gioco del ristorante, dove Mia e Raiden erano i clienti, Jay il cameriere e Lily la cuoca: portavano loro pietanze di ogni tipo - spesso inventate -, li guardavano far finta di mangiare e parlare tra loro riguardo quanto buono fosse il cibo di quel ristornate, gli chiedevano se tutto fosse di loro gradimento, sparecchiavano e poi, alla fine, gli chiesero un conto decisamente esiguo in cui Jay diede sfoggio delle proprie piccole abilità matematiche. « Sono dieci falci. Meno due di sconto. Che fa... » ci pensò un attimo, con aria seria, contando lentamente sulle dita « Otto falci! » Gli diedero quindi qualche moneta finta e, chiuso il gioco, decretarono che fosse ora di lavarsi i denti e andare a dormire. Inutile dirlo: i due bimbi non accolsero troppo bene la notizia, e per Mia e Raiden fu necessario spartirseli in modo da assicurarsi che il programma venisse rispettato. Lily fu un osso duro: dopo essersi fatta rimboccare le coperte e accendere la lucina da notte, insistette affinché Raiden gli leggesse almeno tre storie e gli cantasse una canzone della buonanotte. Alla fine giunsero al compromesso di una storia e una canzoncina, nello specifico twinkle twinkle little star, che era l'unica in inglese per bambini che Raiden conoscesse. « Il papà mi dà sempre un bacino sulla fronte. » Sorrise, il giovane Yagami, nel concludersi di quella parentesi che aveva portato Lily a farsi decisamente più assonnata ma non meno tenace nel richiedere tutti i privilegi che normalmente le spettavano. Si chinò dunque sul lettino della bimba, rabboccandole meglio le coperte. « Buonanotte principessa. » disse piano, stampandole un piccolo bacio sulla fronte che lei ricambiò presto con uno sulla guancia. « Buonanotte Raiden. » Lily pronunciò quelle parole nel mezzo di uno sbadiglio, stringendosi poi forte al petto il suo adorato Mr Snuggles e lasciando che il moro si dileguasse a passo leggero dalla stanza, tornando al piano inferiore dove Mia stava già sparecchiando il tavolo della cena. « Pensa che voleva tre storie e una canzone! Ha detto che mamma e papà fanno sempre così, ma io non ci credo neanche morto. » commentò, ridacchiando, mentre si apprestava ad aiutarla - nel suo caso, rimettendo a posto tutte le cianfrusaglie che Lily e Jay avevano tirato fuori per giocare al ristorante. Di norma li avrebbero dovuti far mettere in ordine i propri giocattoli, ma in quell'occasione avevano deciso di non farlo per accelerare il processo già di per sé complicato di portarli a dormire. « Comunque quando finiamo qua possiamo guardarci un film. Albus e Mun dovrebbero tornare entro mezzanotte, quindi pensa a.. bo, qualche commediola breve.. o un reality stupido. » Si strinse nelle spalle: di certo non aveva voglia di vedere qualcosa di impegnato. E infatti alla fine optarono per spararsi qualche puntata di Bake Off UK accoccolati sul divano. Insomma: morte cerebrale. A Raiden e Mia piaceva mettere in tv qualche programma leggero e commentarlo tra loro, facendosi qualche risata; di solito con i reality o i talent andavano sempre sul sicuro: erano così tanto sopra le righe che le risate e i commenti da finti intenditori erano assicurati. Stavano per l'appunto ironizzando riguardo la quantità eccessiva di zucchero che una delle torte doveva sicuramente avere, quando un rumore di piedini scalzi andò ad attrarre la loro attenzione verso le scale. « Jay! Tutto a posto! » Sceso fino all'ultimo gradino, il biondino si fermò, guardandosi i piedi con un broncio evidente. « Ho fatto un incubo. Posso avere un bicchiere di latte caldo? » Una richiesta affatto assurda, quella del piccolo, alla quale i due stopparono immediatamente il programma, portando il bambino in cucina e mettendo a scaldare un po' di latte. « Era tanto brutto questo sogno? » Chiese a un certo punto Raiden, più per spezzare un silenzio che pareva quasi innaturale piuttosto che altro. In tutta risposta, il piccolo annuì, giocando con l'orlo del proprio pigiamino. « Ho sognato che la mamma e il papà litigavano perché il papà non mi voleva più. » Ah. Niente mi dicono. Cazzo, ma i bambini di sei anni fanno davvero questi sogni? Ma come gli
    viene?
    « Oh.. mi dispiace. È un sogno bruttissimo. Ma era solo quello.. un sogno. Non era reale. Tuo papà ti vuole un sacco bene. » Fece una pausa, togliendo il latte dal fuoco quando fu tiepido e versandolo in un bicchiere che mise di fronte a Jay. « Grazie. » Stirò un sorriso in direzione di Jay, mettendosi a sedere dall'altro capo del tavolo. « Sai.. ci ha chiamati proprio poco fa per chiederci di te e di Lily. Ha detto che tra poco lui e la mamma saranno a casa, vero Mia? » Lanciò uno sguardo alla mora, chiedendole implicitamente un assist su quella piccola bugia. Albus e Amunet ne avevano di gatte da pelare, specialmente ora che il fratello di lui era stato rilasciato da Azkaban. Raiden e Mia li avevano tenuti aggiornati sullo svolgimento delle cose con i bambini, ma era normale che i due genitori fossero occupati in altro al momento. « Così tornate anche voi dai vostri bambini? » Sorrise divertito, Raiden, sbuffando una risata dalle narici e scuotendo il capo. « No, noi non li abbiamo. » Quelle parole sembrarono confondere Jay, che si arrestò dal bere il proprio latte per fissare Raiden con un certo sgomento. « E perché non li avete? Non li volete? » Ma che cazzo di domanda è, Jay? Era chiaro che il bambino non potesse avere una dimensione di come girava il mondo o del fatto che esistessero coppie diverse rispetto a quella che aveva come modello in casa propria, ed era anche altrettanto normale che ponesse domande del genere. Insomma.. si sa come sono fatti i bambini: dicono tutto quello che gli passa per la testa. Tuttavia una domanda del genere era e rimaneva spinosa: già lo era di per sé, figuriamoci dopo i precedenti del mese scorso. La verità, però, non poteva dirla: un po' perché Jay era un bambino e un po' perché aveva appena sognato di non essere voluto dal padre. Cioè non gli posso mica dire "no, non li vogliamo". Minimo lo traumatizzo e si fa un altro incubo. « Mh.. vedi.. non tutte le coppie sono uguali. Alcune coppie sono mamma è papà, altre invece stanno insieme e basta. » Dai, non gli avranno spiegato come si fanno i bambini. Questo dovrebbe bastare. Dire che gli fosse uscita bene era un lancio lungo, ma di certo c'erano modi peggiori in cui avrebbe potuto rispondere. « Quindi voi non siete una coppia mamma e papà? » Raiden scosse il capo, assecondando il percorso di pensieri del bambino. « Mh.. ok. » Grazie a Dio quella risposta sembrò placare le domande di Jay, che dopo aver finito il proprio latte chiese a Mia di accompagnarlo in bagno per lavarsi di nuovo i denti perché altrimenti il papà e la mamma si sarebbero arrabbiati molto. Di quella pausa, Raiden approfittò per mettere su la caffettiera col caffè al ginseng comprato quel pomeriggio. Al ritorno di Mia, le due tazze erano già belle pronte e fumanti. « Tieni. Più tardi se siamo di nuovo stanchi ne facciamo un altro. » disse, stendendole un sorriso tranquillo mentre le porgeva una delle due tazze e soffiava sulla propria prima di prenderne un piccolo sorso. « Facile a dirsi questa cosa di rimanere svegli tutta la notte dopo averli fatti scorrazzare per tutto il pomeriggio. » Un po' meno a farsi. Io ho già la palpebra calante.

     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    « Mi fa ancora strano, sai? Per me Halloween era solo.. beh.. bere e scopare, in sintesi. » Ridacchiò a sua volta, Mia, assestandogli una leggera gomitata sul braccio, strofinando appena la guancia contro la spalla di lui. Halloween è tante cose; per lei ha sempre avuto svariati significati e altrettante sfaccettature. Dal punto di vista della Riserva di New Orleans era un momento di raccolta, un evento mistico durante il quale i loro naturali alleati del Quartiere Francese - la comunità voodoo - vestivano le celebrazioni di un'aura di mistero, atta a esorcizzare quella che per gli abitanti del Sud era la notte in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si fondevano. Poi c'erano le feste, i costumi, il caos che emanava la sua città natale anche per ragioni puramente economiche, relegate alla necessità di attirare i turisti. Durante Halloween, New Orleans si tingeva di un'atmosfera sinistra sì - ma pur sempre allegra. L'esuberanza veniva incoraggiata, così come il dar sfogo alle passioni più sfrenate. Nulla era troppo esagerato. Sfortunatamente, Mia non aveva avuto modo di viversi quella festività durante un'età in cui potesse testare ogni sfaccettatura che la componeva, ma ricordava bene l'eccitazione dei fratelli maggiori e di tanti giovani all'interno della riserva - Halloween risvegliava la voglia di spingersi oltre, di esorcizzare la paura cedendo ad ogni tentazione. Nei giorni immediatamente precedenti i suoi fratelli continuavano a citare la stessa frase: do the scary thing first, and get scared later. Un modo per dare sfogo alla propria incoscienza, buttarsi, rischiare. Quella massima, Mia l'aveva a modo suo assimilata. Non sempre, né in tutte le circostanze. Per quanto potesse sembrare una specie di incarnazione dell'incoscienza, sapeva essere esercitare cautela nelle cose. Forse anche troppa. Forse proprio quando avrebbe dovuto fare l'esatto contrario. In quel momento, tuttavia, a tutti quei problemi sepolti e rimasti in sospeso, non pensò. Piuttosto si strinse nelle spalle e gli gettò un'occhiata di sottecchi. « Una cosa non esclude l'altra, te lo assicuro. » Disse quindi piantando lo sguardo di fronte a sé con un sorrisino leggermente malizioso, prima di alzare gli occhi al cielo. Perché in fondo, Mia intendeva passare davvero un bel Halloween. Stava cercando di rimanere rilassata, di non pensare a tutte quelle raccomandazioni che le erano state fatte; era certa che più ci avrebbe pensato, più avrebbe rischiato di andare incontro a rischi inutili. A volte non pensare è la maniera più semplice per superare una crisi. « Mia mamma ha assorbito molto la cultura giapponese. Per questo in casa nostra non abbiamo mai festeggiato queste ricorrenze. Credo che del lato tedesco, a me ed Eriko sia stata passata solo la lingua.. e un po' di cucina. » « Beh, professor Yagami, preparati a una vita fatta di Halloween vistosissimi, perché per me è una roba abnorme. » Forse non quest'anno. Quest'anno è stato un po' tutto un fiasco. Diciamo pure che è un anno di transizione. Ci sta. « Mia mamma ha sempre addobbato casa per Halloween a livelli imbarazzanti. E poi c'è l'intagliare le zucche, e preparare le torte di zucca, mangiare dolciumi fino a farsi venire il mal di pancia. » Si stringe nelle spalle sospirando con aria serena. « Una volta lo dobbiamo festeggiare in America - te lo dico è una roba. Lì non pensare neanche di farti vedere per strada senza essere vestito. » Un'altra occhiata di disapprovazione. Ancora non ci credo che hai davvero deciso di non vestirti. Eddai! Ma che roba è! « È carino anche a Hogsmeade. Lo spirito è quello giusto. Ma meno.. » Meno rispetto a ciò che io considero un Halloween coi fiocchi. Però, tutto sommato, accettabile. A ben guardare, il villaggio era pieno zeppo di gruppi di giovani che si spostavano verso i vari locali che avevano organizzato diverse feste o verso le varie piazze all'interno delle quali erano state organizzate diversi giochi e attività di gruppo. Sapeva che quella sera ben poca gente sarebbe andata a dormire; già di base le persone stipate negli studentati facevano baldoria fino a tardi. Figuriamoci il sabato della notte di Halloween. In fondo, la stessa Mia sperava che Albus e Mun tornassero a casa abbastanza in fretta da permettere loro di godersi almeno qualche ora in compagnia dei loro amici. Perché ok, mi sono proposta. Ma un conto è dare una mano. Un conto è passare tutta la notte dentro casa. Un pensiero che riconsiderò di fronte alla tenera immagine di una Lily che posò la testolina sulla spalla di Raiden addormentandosi poco dopo. Nonostante la posizione che aveva preso all'interno della loro vita di coppia - una posizione il cui ago della bilancia si spostava spesso e all'improvviso - a Mia i bambini piacevano davvero tanto. Lily e Jay poi, erano davvero deliziosi. Però sono belli quando non li hai sempre per casa. Te li godi solo quando sono carini. Quando ci giochi e quando sono teneri. Non aveva però considerato quanto carina potesse trovare quell'immagine, finché non se la ritrovò davanti. Avrebbe voluto tirare fuori il cellulare e fare una foto. La cura con cui Raiden si muoveva per non disturbare il pisolino della bambina, la disarmò completamente. Non ebbe tuttavia il coraggio di scattare quella foto, decidendo piuttosto di affiancare Jay, prendendolo per la manina e continuando a blaterare finché non giunsero a casa. La promessa di poter godere del loro bottino di guerra, scansò le tipiche paturnie del caso, convincendoli persino a mangiare le loro verdurine senza grandi drammi. E dopo una sessione di giochi che li aveva visti come commensali protagonisti di un ristorante stellato immaginario, fu il momento di andare a letto. Convincere Jay che era il tempo di spegnere le luci, fu più faticoso del previsto. Una volta nella sua cameretta, il bambino dovette farle il tour di tutti i giocattoli che aveva ed elencarle anche tutti quelli che invece teneva a Inverness - come se Mia non avesse avuto modo di constatare da sé quanto fosse viziato. Alla fine scelse uno dei suoi libri preferiti come storia della buonanotte e ad un certo punto, ormai stanco, sbadigliò. Mia dal canto suo sorrise richiudendo il libro con un'espressione fiera. Ripensò a una filastrocca che sua madre recitava ogni volta mentre le rimboccava le coperte e infatti, utilizzando la stessa tattica che tanto funzionava su di lei, avvolse per bene Jay come un fagottino sotto al piumone, mentre recitandola sottovoce: « La luna brilla, è notte inoltrata ti guardo dormire e resto incantata; il visino disteso e in pace col mondo, ascolto il respiro tuo, dolce e profondo. » Gli dà un leggero colpetto sul nasino prima di intimarlo a chiudere gli occhi. « Chissà cosa sogni, chissà cosa vedi, vado verso la porta in punta di piedi; » Sull'uscio della porta si ferma. Penso: la perfezione, io l'ho creata. La filastrocca finirebbe così, ma Mia non la concluse. Osserva piuttosto Jay sbadigliare e sorride nuovamente. « 'Notte Mia! » Parole strascicate a cui Mia risponde con un fugace quanto dolce « Sogni d'oro, Jay. »
    Dopo aver rimesso in ordine il piano di sotto, decisero di ammazzare anche l'ultimo neurone ancora in vita - specialmente dopo i giochi che Lily e Jay avevano proposto loro - con qualche puntata di un reality sui dolci. Piuttosto controproducente, visto che a intervalli regolari quella trasmissione faceva venire fame ad uno dei due, suscitando nell'altro pressoché la stessa reazione. Di fronte a una cheese cake particolarmente riuscita, Mia iniziò a sentire un certo languorino, nonostante avessero mangiato da poco, e non si vergognò affatto all'idea di rubare un cioccolatino da uno dei sacchetti che i bambini avevano lasciato sul tavolino in salotto. « Senti! Non giudicarmi. Io l'avrei pure fatto dolcetto e scherzetto se solo da queste parti non fosse ridicolo farlo a diciotto anni. » Me lo merito questo cioccolatino, e non intendo vergognarmi per aver rubato le caramelle ai bambini. Anzi! Ne vado pure fiera. Si strinse nelle spalle e dopo aver morso metà del gianduiotto che aveva scartato, gli offrì l'altra metà, sollevando le sopracciglia con un'espressione maliziosa, atta a tentarlo di condividere quella terribile malefatta insieme a lei. « Adesso sei un complice. Vergognati! » E ne avrebbe rubato anche un secondo se solo non fosse stata sorpresa letteralmente con le mani nel sacco. Sgranò gli occhi, la mora, nascondendo di colpo il sacchetto alle spalle di Raiden. « Jay! » E te pareva che non era il mio a svegliarsi. Minimo ora viene fuori che dovevo veramente raccontargli tre storie e cantargli pure una canzone. « Ho fatto un incubo. Posso avere un bicchiere di latte caldo? » Lo portarono in cucina; Mia lo aiutò a sedersi su uno degli sgabelli di fronte all'isola, prendendo posto accanto a lui, osservando Raiden intento a scaldare il latte. « Era tanto brutto questo sogno? » Va beh, minimo avrà visto troppi scheletri e fantasmini in giro. A Halloween è normale. Che fosse una serata in grado di suggestionare facilmente, soprattutto i più piccoli, era abbastanza evidente. « Ho sognato che la mamma e il papà litigavano perché il papà non mi voleva più. » Dovette ricredersi, Mia, gettando uno sguardo piuttosto perplesso in direzione di Raiden. Come non detto. « Oh.. mi dispiace. È un sogno bruttissimo. Ma era solo quello.. un sogno. Non era reale. Tuo papà ti vuole un sacco bene. Sai.. ci ha chiamati proprio poco fa per chiederci di te e di Lily. Ha detto che tra poco lui e la mamma saranno a casa, vero Mia? » Davvero? Venne colta di sorpresa, ma si ricompose ben presto annuendo con sicurezza. « Oh si.. vero. E poi.. ti confesso un segreto. » Si fece leggermente più vicina, come se volesse sussurrargli qualcosa di udibile solo dal biondino. « È impossibile non volerti più. Se solo questa cosa non rendesse un sacco tristi papà e mamma, io ti ruberei all'istante. » Gli rivolse un occhiolino veloce prima di intimarlo a finire il suo bicchiere di latte. « Così tornate anche voi dai vostri bambini? » La mora corrugò appena la fronte, ritirandosi appena. E questa da dove è uscita? Mia avrebbe ben volentieri chiuso quella conversazione con una battuta e l'invito a ritornare in camera sua, perché questo era il comportamento più adatto di fronte a intuizioni del tutto sbagliate. Evidentemente Raiden decise per una linea differente. « No, noi non li abbiamo. » Ah. Per qualche ragione che non seppe spiegarsi, quell'affermazione la portò ad abbassare lo sguardo con un misto di senso di colpa e dispiacere. Quasi come se quel vuoto, l'assenza di qualcosa che non avrebbero potuto avere in quello specifico momento, fosse da imputare solo ed esclusivamente a lei. Lui li vuole. Sono io il problema. « E perché non li avete? Non li volete? » Fu come se il bambino le avesse letto nella testa. E quella cosa non fece altro che metterla ulteriormente a disagio, infastidendola. « Mh.. vedi.. non tutte le coppie sono uguali. Alcune coppie sono mamma e papà, altre invece stanno insieme e basta. » « Quindi voi non siete una coppia mamma e papà? » Istintivamente si morse l'interno delle guance anticipando altre risposte di Raiden. « Ci vuole un po' di tempo per diventare una coppia mamma e papà. » Ribatté stirando un sorriso in direzione del bambino prima di riservare uno sguardo un po' più ostile a Raiden. Non c'è mica bisogno di dire così, eh. È comunque troppo piccolo per capire certe cose. A quel punto afferrò le dita fredde di Jay accompagnandolo nuovamente di sopra, dove gli sistemò lo sgabello di fronte al lavandino per permettergli di lavarsi i denti. L'innaturale silenzio creatosi all'interno dell'ambiente non le apparve strano, nonostante fosse evidente che l'atmosfera gioiosa e rilassata era venuta meno; il piccolo Jay, un raggio di sole all'interno della stanza, era ora un esserino silenzioso e un po' sinistro. Nulla le stonò. In fondo il bambino era ancora leggermente assonnato e probabilmente anche parecchio stanco. Anche Mia lo era. Un po' alla volta, le forze la stavano abbandonando. Si sentiva un po' prosciugata. Una sensazione che imputò alla stanchezza di quel lungo quanto faticoso pomeriggio. « Mia? » « Si? » « Io non ho capito. Ma perché tu e Raiden state insieme e basta? » Pensava che l'argomento fosse chiuso, e invece, Jay aveva altre domande in canna. Quella nello specifico la spiazzò, forse perché nemmeno lei aveva pensato fino in fondo al significato delle parole di Raiden. Tentava di dare meno peso possibile al modo in cui diceva certe cose. Sapeva che non arrivavano da una base di cattiveria. Il giovane Yagami non aveva filtri, e ciò lo portava a volte a dire cose un po'.. non lo so. Non so se questa volta è stato insensibile. Magari no. Di certo però, alla luce della loro lite di qualche settimana prima, tornare sull'argomento non era di molto aiuto. « È un pochino tardi. Perché non ne parliamo un'altra volta? » Non aveva voglia di affrontare quelle questioni in quel momento. Preferiva di gran lunga chiudere la questione e fare finta che il tabù bambini non fosse tornato a perseguitarli. Era come uno spettro. Uno di cui Mia stava iniziando ad avere paura, come se l'argomento stesso fosse destinato a creare squilibrio nella sua vita. « Non vi volete bene? » Jay però insiste e ignora completamente la richiesta della mora, tant'è che di fronte a quelle parole, l'equilibro emotivo della lycan inizia a cedere. Inclina appena la testa di lato e assottiglia lo sguardo. Alcune ciocche di capelli iniziano cambiare colore, assumendo una sfumatura bluastra. Mia corruga la fronte sempre più confusa, mentre quell'evidente cambiamento continua ad avvenire senza che lei possa fare nulla per invertirlo. « Certo che ci vogliamo bene. » La sua è una posizione quasi sulla difensiva. Si sente come se dovesse difendere i suoi sentimenti di fronte al giudizio di un bambino di sei anni, non a caso gli mostra la sua fede, stirando un sorriso bonario. « Vedi? Raiden mi ha regalato questo anello, e io gliene ho regalato un altro uguale uguale.. proprio perché ci vogliamo bene. » Il biondino non sembra particolarmente convinto. « Anche il papà ha regalato un anello alla mamma, però la mamma dice sempre che lei sa che papà gli vuole ancora più bene perché le ha regalato me e la mia sorellina. » « Certo.. » Forse sta prendendo quelle parole un po' troppo sul serio, quasi come se di scatto Jay fosse diventato una specie di guru delle questioni di cuore e gli stesse indicando tutto ciò che di sbagliato era nella sua vita. Non si fa troppe domande, Mia, in verità. Pensa solo alle sue mancanze. Alla delusione e al dispiacere che ha provocato a Raiden. Però non è giusto che io debba sentirmi perennemente in difetto per questo. Come se fosse un dovere a cui sto vendendo meno. Resta a pensarci su con aria triste e confusa e un principio di dubbio primordiale.
    Il biondino torna da solo nella propria stanza, nonostante Mia gli chieda se vuole essere accompagnato, e allora non le resta che scendere nuovamente di sotto con uno spirito differente.
    « Tieni. Più tardi se siamo di nuovo stanchi ne facciamo un altro. » Osserva la tazza che il moro le sta porgendo solo per qualche istante, prima di gettare lo sguardo negli occhi di lui. Sono leggermente lucidi; non sta certo piangendo, ma è stanca, e ciò influisce sul resto del suo umore. « Facile a dirsi questa cosa di rimanere svegli tutta la notte dopo averli fatti scorrazzare per tutto il pomeriggio. » Dal canto suo non sorride; abbassa lo sguardo sulla tazza solo dopo un po', tamburellando i polpastrelli sulla superficie in ceramica con un palese senso di nervosismo. Di scatto si morde la lingua, ma neanche quel meccanismo basta per frenarla dal dire ciò che pensa. Non ci riesce. Ha promesso che non ne avrebbero più parlato, però a quel punto è chiaro che il fantasma del bambino che non hanno, continuerà a perseguitarli. E Mia, sentirà quel fantasma come una sua responsabilità. Come se la sua mancanza fosse colpa sua. « Dovevi proprio dirle quelle cose? Noi non li abbiamo. » Scuote la testa e solleva lo sguardo verso l'alto. Le antiche travi a vista della cucina a vista la distraggono per un istante, e tutto ciò non fa altro che agevolare il perdere di vista l'obiettivo di quella sera: mantenere l'equilibrio. « Ma cosa vuoi che ne sappia un bambino, dai.. potevi rispondere diversamente. Tipo che ne so.. » Tipo che non li abbiamo ma in maniera più carina. Tipo che li avremo. Tipo che stiamo insieme da troppo poco tempo per avere un bambino. A quel punto le sembra l'ennesima puntualizzazione inutile. Tanto la sua, quanto quella fatta da Raiden in precedenza con Jay. Tu parli poco ma quando dici le cose, devi proprio colpire di brutto. La verità è che mi stai punendo. Ed era proprio così che si sente. Scocca la lingua contro il palato e sospira, con un'espressione apertamente dispiaciuta. « Potevi dire che non li abbiamo ancora.. che li avremo. Boh.. potevi dire che ci vuole tempo. Che stiamo insieme - materialmente - da troppo poco tempo per avere i bambini invece di.. noi stiamo insieme e basta. » Si sta infervorando e non sa nemmeno per quale ragione. Oppure lo sa, ma non lo vuole ammettere. Forse in fondo ciò che si sono detti qualche settimana prima, non poteva essere sistemato con un abbraccio e il rimettere in ordine un armadio. Perché indipendentemente dalle logge, dalle consacrazioni e da tutto ciò che li aspettava, certe parole erano state dette, e ora si erano sedimentate tra loro diventando come un costante macigno a cui far fronte. « Ti ho deluso davvero così tanto da dire che noi stiamo insieme e basta? » Posa la tazza di caffè sul bancone scuotendo la testa. « Ho capito che non ne vuoi parlare e ho capito che ci sei rimasto male, ma non puoi punirmi costantemente per questa cosa, quando sei tu che non ne vuoi parlare. Mi hai letteralmente sbattuto la porta in faccia. » Si stringe nelle spalle. Figuriamoci. Pensi sempre il peggio di me.. tipo come quando hai dato per scontato che ti avrei mai messo in pericolo dandoti della melma nera da versare in un pensatoio. Tu non ti fidi di me, ed io non so nemmeno come invertire questa roba. Ma poi perché devo invertirla? Cosa devo fare. Ogni cosa sembra una prova. Devo dimostrare di essere affidabile, responsabile, adatta a essere considerata degna della tua fiducia. Io non ho fatto niente di sbagliato. Avevo solo bisogno di aiuto.. per fare ordine. Però per te devo fare ordine da sola. E io non so farlo. Da sola. A quel punto, a sguardo basso, scuote la testa. « Forse ha ragione. Tu mi vorrai sempre meno bene per questa ragione. » Si passa velocemente una mano tra i capelli e sfugge a un'ulteriore confronto, ricercando la felpa che si infila velocemente ricercando il pacchetto di sigarette mettendosene una tra le labbra, prendendo la direzione della porta finestra. Ma non riesce a resistere alla tentazione di andare fino in fondo. « È così? » Allarga le braccia e stringe i denti osservandolo con un'espressione timorosa, ma convinta di voler andare fino in fondo. « Insomma.. dovevi davvero.. » Un groppo in gola le impedisce di concludere la frase tutta d'un fiato. « Far notare che noi stiamo insieme e basta? Io non ho mai detto che voglio stare insieme e basta. In verità tu non mi hai mai dato l'occasione di dire niente. Sei tu che non si sa più cosa vuoi.. » Pausa. « Ah no.. si sa solo che non ne vuoi parlare ed esplodi appena dico qualunque cosa. » A tal punto che ormai devo aver paura di parlare di certe cose. « E ora devo sentirmi giudicata anche da un bambino di sei anni. Grazie tante Raiden. » Grazie davvero. « Sicuro così mi schiarisco le idee. »


     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    Per quanto bizzarra e imbarazzante fosse stata l'interazione con Jay, Raiden non sembrava avergli dato troppo peso. In fin dei conti era pur sempre di un bambino che stavano parlando: parlano a ruota libera, senza filtri, e fanno domande scomode più spesso di quanto non dicano cose socialmente accettabili. In fin dei conti il punto era proprio quello: i bambini, non avendo nozione di cosa fossero certe dinamiche sociali o limiti da rispettare, dicevano semplicemente tutto ciò che gli passava per la testa. Quante volte, da quando era arrivato in Inghilterra, non gli era capitato di andare al supermercato e vedersi indicare in pubblico da qualche bimbo in passeggino, che seguitava a chiedere ad alta voce ai genitori per quale ragione la sua faccia fosse diversa dalla loro?! Troppe volte. E Raiden, di fronte all'imbarazzo evidente dei genitori, rispondeva sempre con una risata e un sorriso al bambino. Sapeva non ci fosse cattiveria in quelle parole, che al contrario non erano altro se non semplici constatazioni dell'evidenza. Lo stesso valeva per Jay, che aveva fatto una supposizione piuttosto lecita: i suoi genitori erano una coppia, dunque tutte le coppie erano genitori o potenzialmente tali. Da lì alle domande che aveva posto loro, il passo era estremamente breve, e il fatto che quell'argomento potesse essere spinoso per Raiden e Mia non aveva nulla a che vedere con il povero Jay, intento solo a capire il mondo che lo circondava. Per questa ragione, il giovane Yagami aveva trattato la faccenda con una certa semplicità, sbrigandola con risposte veloci che potessero placare la curiosità del bambino senza scadere in un discorso troppo grande. Così, quando Mia accompagnò il piccolo Potter al piano superiore, Raiden archiviò immediatamente l'intera questione, tornando all'ordinaria amministrazione di quella serata. Non credeva, in fondo, che Mia avrebbe voluto prendere la cosa con serietà, e anzi, era quasi convinto che si sarebbero fatti una risata sull'impertinenza di Jay. Peggio di mia nonna, quel bambino. Evidentemente, però, si sbagliava - e questo fu evidente fin da quando Mia scese nuovamente in cucina, rendendo l'atmosfera improvvisamente gelida. « Dovevi proprio dirle quelle cose? Noi non li abbiamo. » Lo sguardo di Raiden si fece confuso, mostrando la sua fronte aggrottata in un'espressione interrogativa da sopra il bordo della tazza, da cui stava bevendo un sorso di caffè. Adesso cos'è che ho sbagliato? Che dovevo dire? Ha letteralmente chiesto se saremmo tornati dai nostri bambini. « Ehm.. è vero che non li abbiamo. Quale sarebbe il problema, scusa? » In fin dei conti non vedeva la necessità di dire a Jay qualcosa di diverso. Il fatto che fosse un bambino non significava che fosse completamente avulso dal mondo. Poteva tranquillamente comprendere il fatto che non tutte le coppie avessero figli. Insomma, non è che dobbiamo necessariamente sparargli cazzate su tutto quanto. « Ma cosa vuoi che ne sappia un bambino, dai.. potevi rispondere diversamente. Tipo che ne so.. Potevi dire che non li abbiamo ancora.. che li avremo. Boh.. potevi dire che ci vuole tempo. Che stiamo insieme - materialmente - da troppo poco tempo per avere i bambini invece di.. noi stiamo insieme e basta. » A quelle parole, fu istintivo per Raiden prendere un sospiro e alzare gli occhi al soffitto, poggiando la tazza sul bancone della cucina a vista. « Eddai Mia, lo hai capito cosa intendevo dire. » Ovvero che fossero un nucleo composto da due persone, senza bambini. Capiva che a volte il suo modo di esprimersi potesse essere travisabile, specialmente da una come lei che tendeva a farsi fin troppe pippe mentali sulle parole che le venivano rivolte, ma in quel caso l'interpretazione gli sembrava decisamente eccessiva. « Cazzo, ha sei anni! Non capisco perché ora mi venga richiesto di descrivere esaustivamente la nostra situazione coniugale a Jay Potter. » Lo trovava semplicemente assurdo, così come trovava esagerata la reazione che Mia stava avendo riguardo quella faccenda. Una faccenda che Raiden considerava ormai chiusa. Eppure quel modo in cui la mora aveva deciso di intraprendere il discorso non mancava di infastidirlo, come se nonostante tutto ciò che si fossero detti, l'ennesima puntualizzazione dovesse essere necessariamente fatta. Poi sono io quello che non ascolta quando parli, eh? « Ti ho deluso davvero così tanto da dire che noi stiamo insieme e basta? » A quella domanda, Raiden si ritrovò a strabuzzare gli occhi, incredulo. Come prego? « Ho capito che non ne vuoi parlare e ho capito che ci sei rimasto male, ma non puoi punirmi costantemente per questa cosa, quando sei tu che non ne vuoi parlare. Mi hai letteralmente sbattuto la porta in faccia. » Più Mia continuava a scavare su quel punto, più Raiden iniziava a innervosirsi. E in seguito a quelle parole, quel suo nervosismo cominciò a farsi evidente, portandolo a prendere un lungo sospiro e mordersi l'interno delle guance per trattenersi dal risponderle troppo male, mentre le nocche delle sue dita si facevano bianche nello stringere il bordo di uno sgabello. Non ce la fai proprio, eh? È più forte di te. Tutto deve necessariamente ruotare sempre intorno a te. « Forse ha ragione. Tu mi vorrai sempre meno bene per questa ragione. » Annuì a scatti, visibilmente alterato, mentre riprendeva il manico della tazza e buttava giù un sorso di caffè. « Va bene Mia, se vuoi capire quello che ti pare ci posso fare ben poco. Evidentemente se preferisci dar retta a un bambino di sei anni piuttosto che a me, qualcosa vorrà pur dire. » "Forse ha ragione". Cioè ma ti senti quando parli, cazzo? Stiamo parlando di una gnappetta che ancora non sa neanche allacciarsi le scarpe da solo. Però sì, sicuramente ha ragione lui. Ha capito la nostra intera relazione e con puntualità ha pronunciato le parole dell'oracolo di Delfi. Io veramente non so più cosa dire. Più ci pensava e più gli saliva la rabbia. Mia si stava davvero affidando a un bambino di prima elementare per interpretare le dinamiche della loro relazione? « È così? Insomma.. dovevi davvero.. Far notare che noi stiamo insieme e basta? Io non ho mai detto che voglio stare insieme e basta. In verità tu non mi hai mai dato l'occasione di dire niente. Sei tu che non si sa più cosa vuoi.. Ah no.. si sa solo che non ne vuoi parlare ed esplodi appena dico qualunque cosa. E ora devo sentirmi giudicata anche da un bambino di sei anni. Grazie tante Raiden. Sicuro così mi schiarisco le idee. » A
    quel punto Mia aveva davvero toccato il fondo, e Raiden aveva colmato la misura di sopportazione delle sue scene riguardo quella situazione. Erroneamente aveva creduto che la litigata di qualche settimana prima fosse servita a farle comprendere quale fosse la sua posizione su diverse questioni, ma a giudicare dal mondo in cui lei parlava, le parole che lui le aveva rivolto dovevano essere entrate da un orecchio e uscite immediatamente dall'altro. Appoggiò nuovamente la tazza sul tavolo, questa volta quasi sbattendola, tanto che alcuni schizzi scuri di caffè andarono a spargersi sulla superficie di marmo del bancone. « Cosa cazzo vuoi da me, Mia, eh? Seriamente, rispondimi. Te lo chiedo perché proprio non lo capisco. Non ti va mai bene nulla. Non ti basta mai nulla. C'è sempre qualcosa che ti manca. » E ad un certo punto diventa stancante, perché non sei una bambina. Io mi sono sempre rifiutato di trattarti come tale, ma ogni volta vieni a provarmi che sbaglio. E allora dimmelo direttamente, cosa devo fare. Ma non lo sai neanche tu, non è così? Non sai quello che vuoi e dunque, nel dubbio, la colpa è del resto del mondo che non sa trovarlo al posto tuo. Gli occhi scuri del giapponese si piantarono in quelli della ragazza, visibilmente alterati. « Su cos'è che ti devi schiarire le idee adesso? Volevi capire cosa ti fosse successo e non mi pare che io mi sia tirato indietro dall'aiutarti. Abbiamo letteralmente fatto tutto ciò che era in nostro potere fare. Non lo so.. pensavi che una risposta ti sarebbe piombata dal cielo nel giro di due giorni? O ti aspettavi che fossi io, ad avercela? » Fece una pausa. « Non ce l'ho. Sorpresona! Non ho le risposte a tutto quanto. » disse, con tono sarcastico, allargando le braccia e facendosele ricadere pesantemente lungo i fianchi. « Oppure adesso non è neanche più quello che vuoi? Adesso il problema è che io ti starei.. punendo? » Nel pronunciare quella domanda, sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Era proprio da lì che la rabbia di Raiden nei confronti di Mia era partita: dal fatto che lei lo avesse continuamente fatto sentire come se la stesse pressando a dargli qualcosa che lei non era disposta a dargli. E lo trovava ingiusto - estremamente ingiusto, perché tutto ciò che lui aveva fatto era stato esprimere un desiderio a lungo termine, vedendoselo poi distorto in tutte le maniere possibili e immaginabili fino a passarci come quello che stava tentando di obbligarla ad avere un bambino. Lì, quando Mia aveva detto quelle parole la sera del banchetto, qualcosa era scattato nella testa di Raiden: un meccanismo difensivo che lo aveva portato a rifiutare in toto quel desiderio che tanto aveva ritenuto speciale. Volente o nolente, Mia aveva attaccato qualcosa che a lui stava a cuore, facendolo sentire in colpa per il semplice fatto di pensare alla possibilità di avere un bambino in un futuro più o meno distante. E Raiden l'aveva visto più volte, lo sguardo di scandalo che in quel mondo veniva rivolto ai valori del proprio. Se avesse avuto una falce per tutte le volte in cui aveva letto negli occhi altrui il disgusto e il rifiuto nei confronti della cultura secondo la quale lui era stato cresciuto, probabilmente ora avrebbero già avuto una casa molto più confortevole. Si era sentito giudicato nella propria intimità, per giunta dalla persona a cui aveva messo tutto il proprio cuore in mano. E così era arrivato il rifiuto. Pur di non sentirsi in quella maniera, pur di non provare il doloroso imbarazzo di quel giudizio errato che percepiva su di sé, la sua testa aveva reagito da sola, scegliendo di proteggergli il cuore da ulteriori ferite. Aveva estirpato quel desiderio con violenza, arrivando a distaccarsene completamente fin quasi a sentire una sorta di automatico rifiuto nei confronti dell'intera faccenda. E infatti, a passi lenti, fece il giro del bancone, ponendosi di fronte a Mia per guardarla bene negli occhi. « Forse non mi hai sentito bene, un mese fa. O forse non sono stato abbastanza chiaro io, quindi lo espliciterò nella maniera più inequivocabile possibile. » Fece una pausa, preparandosi a scandire le parole successive. « Io non voglio un bambino, Mia. E non nel senso che non te lo sto chiedendo; non lo voglio proprio. Ti è chiaro oppure devo far scendere Jay per spiegartelo? » A questo punto penso che potrebbe entrare più facilmente in testa a lui rispetto che a te. « Di cosa dovrei parlare, quindi, mh? Di una cosa che non voglio? Di una cosa che neanche tu vuoi? Del nulla, Mia? Dobbiamo parlare del nulla pur di dar fiato alla bocca? Perché di questo stiamo parlando. Del nulla. Di un bambino che non esiste e che quindi per me non significa nulla. » Pausa. « Quindi per cosa ti starei punendo, di preciso? Per.. il nulla? »

     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    « Cosa cazzo vuoi da me, Mia, eh? Seriamente, rispondimi. Te lo chiedo perché proprio non lo capisco. Non ti va mai bene nulla. Non ti basta mai nulla. C'è sempre qualcosa che ti manca. » Boccheggiò appena, scostandosi qualche ciocca di capelli dal viso inclinando appena la testa di lato con un'espressione combattuta. Ed eccolo, il masochismo a cui si sottoponeva di spontanea volontà; sapeva che Raiden avrebbe reagito in quella maniera, ma aveva deciso comunque di dare sfogo a tutto quel marasma di confusione che aveva in testa. « Su cos'è che ti devi schiarire le idee adesso? Volevi capire cosa ti fosse successo e non mi pare che io mi sia tirato indietro dall'aiutarti. Abbiamo letteralmente fatto tutto ciò che era in nostro potere fare. Non lo so.. pensavi che una risposta ti sarebbe piombata dal cielo nel giro di due giorni? O ti aspettavi che fossi io, ad avercela? Non ce l'ho. Sorpresona! Non ho le risposte a tutto quanto. » Scosse istintivamente la testa. « Ma io.. non ho detto niente su quello.. » Si intromise automaticamente nel discorso, ma non ebbe poi molto tempo per andare oltre. L'aveva alterato. Era evidente anche senza il bisogno del contatto. « Oppure adesso non è neanche più quello che vuoi? Adesso il problema è che io ti starei.. punendo? » Si sentiva attaccata. Ormai sulla difensiva, posò le nocche sul banco della cucina soffiando profondamente, come se tentasse di far fronte a tutta quella rabbia con una forma di autocontrollo visibilmente instabile. « Tu mi stai punendo.. mi stai punendo! » Ripeté ben due volte con una convinzione quasi infantile, sostenendo il suo sguardo a fatica. « Mi stai punendo e basta. » Forse a forza di ripeterlo, quella supposizione si sarebbe trasformata in verità. Forse l'avrebbe letta così anche nei suoi occhi, oltre che nelle interpretazioni e le idee che si faceva di ciò che vedeva e sentiva. Perché indipendentemente da tutto, Mia era convinta che Raiden reagisse così per tentare di colpirla. Forse non lo faceva consapevolmente, ma lei la percepiva come tale: una punizione. « Mi stai punendo perché non sono come te. Perché secondo te sono una bambina che non capisce un cazzo e.. perché non ho le idee chiare. Mi punisci perché cambio idea, mentre tu non cambi idea mai. Ma se tu hai già capito come si fa, perché io devo farlo da sola? » Perché non mi aiuti a capire. Io non ci riesco da sola. Tu continui a dire che riuscirò a trovare una strada e bla bla bla, ma io una strada la voglio trovare adesso. Una risposta facile. Veloce. Indolore. Forse era questo ciò che chiedeva a Raiden. Si incaponiva, Mia, e voleva andare incontro proprio all'unica cosa che non desiderav - non davvero: dipendere da qualcuno. « E p-p-poi comunque.. perché quando io parlo d'altro tu pensi ai bambini e quando io parlo di bambini e di noi, tu parli d'altro? » Sono troppo lenta o troppo veloce? Sei tu a non starmi dietro o sono io a non stare dietro a te? Perché non riuscissero a stare sulla stessa pagina, Mia, non lo capiva. Sin da quando avevano scoperto le carte in merito alla loro definizione di famiglia, sembravano impazziti. Eppure sul momento, la notte prima dell'attacco a Iwo Jima, Mia e Raiden erano davvero sulla stessa pagina. Era bello immaginare la vita che avrebbero avuto una volta conclusasi l'imbarcata in Giappone, quando si sarebbero riassestati. Eppure, per una qualche ragione, ad un certo punto, ogni cosa di cui Mia parlava, Raiden la interpretava come un fare un passo indietro. E lei faceva altrettanto. Si sentiva pressata - ma no da Raiden. Forse quelle pressioni se le stava mettendo da sola, perché cercava una risposta rapida e facile. Qualcosa che rendesse Raiden felice e che permettesse a lei di sentirsi finalmente sulla strada giusta. In grado di mantenere il passo di Raiden - e per quel che vale del mondo intero. Era lenta Mia, e al contempo a volte era troppo veloce. Impaziente. Io ti ho detto che un bambino lo voglio. Anzi, ti ho detto che quella casa avrebbe dovuto avere più di una stanza, perché essere messi al mondo da soli è brutto. Perché questo per te non esiste? Perché scegli di ignorare questo? Ti ho detto che ho paura di non essere pronta a nulla. Ti ho detto che sono intimorita da questa confusione e tu hai capito che io non fossi pronta a darti dei bambini. Volevo avvertirti.. forse metterti in guardia.. perché io lo so già che farò stronzate, e se anche non le faccio, mi sembra che devo stare sempre attenta il triplo. Volevo dirti che ho paura di deluderti e alla fine ti ho deluso lo stesso. E ora non so più cosa dire. A dirla tutto, la verità è che non ho più voglia di dirti nulla. Ogni volta le sembrava di peggiorare solo le cose. aveva l'impressione che non facesse altro che deludere ulteriormente le sue aspettative. Non riusciva a sopportarlo. Forse perché alla stima di Raiden ci teneva davvero e stare al suo passo le sembrava davvero la cosa più congeniale. E non importava quanto lui l'avesse tranquillizzata dicendole che non c'era fretta. Lei quelle pressioni addosso se le sarebbe messe lo stesso, cercando di arrivare prematuramente a una risposta che solo il tempo e l'esperienza poteva effettivamente darle. « Forse non mi hai sentito bene, un mese fa. O forse non sono stato abbastanza chiaro io, quindi lo espliciterò nella maniera più inequivocabile possibile. Io non voglio un bambino, Mia. E non nel senso che non te lo sto chiedendo; non lo voglio proprio. Ti è chiaro oppure devo far scendere Jay per spiegartelo? » « Smettila! Smettila di trattarmi come una bambina! Mi hai rotto il cazzo, Raiden! » Gli sbraita contro come un cucciolo ferito, diventando paonazza. Ma nonostante tutto, a sentirsi dire quelle parole, non era pronta e quando le metabolizza, si frena di colpo dal dire qualunque altra cosa. Inconsciamente aveva preventivato una reazione scomposta. Ma quelle parole, scomposte, non lo sono affatto. Sono a modo loro lucide. No. Non dici sul serio.
    Indietreggiò automaticamente di un passo sgranando gli occhi. Se le era già sentita dire, quelle parole, ma aveva immaginato fossero dette sulla scia di un'incazzatura. È solo arrabbiato. Andrà meglio. Ne riparleremo. Aveva pensato che Raiden non le pensava minimamente quelle cose. D'altronde, anche Mia dice un sacco di cose quando è arrabbiata e il più delle volte non ne pensa neanche mezza. Non avrebbe mai immaginato che quella consapevolezza si era ramificata talmente tanto nel cuore di Raiden. « Di cosa dovrei parlare, quindi, mh? Di una cosa che non voglio? Di una cosa che neanche tu vuoi? Del nulla, Mia? Dobbiamo parlare del nulla pur di dar fiato alla bocca? Perché di questo stiamo parlando. Del nulla. Di un bambino che non esiste e che quindi per me non significa nulla. Quindi per cosa ti starei punendo, di preciso? Per.. il nulla? »
    34ebecc549916bc58c019fe1fc74c2dcbc3cfd7a
    Una cosa che io non voglio? Ma io credevo volessimo la stessa cosa. Solo che.. che avevamo bisogno di chiarirci sul come.. io pensavo.. io volevo parlarne.. volevo chiarire. No.. tu non puoi dire così. Ma a quel punto la verità è che Mia non pensa più. I suoi pensieri sono scomposti, frammentati. Saltano da un ricordo all'altro cercando di capire come e quando quella presa di posizione è diventata così definitiva. È paralizzata e non riesce a mettere insieme i propri pensieri. Non riesce a ragionare. « M-mai? » Non sa per quanto tempo è rimasta in silenzio. Un silenzio macabro, quasi spettrale. È come se l'ambiente attorno a loro fosse stato privato di suoni in assenza delle loro voci. Come se lì non ci fosse più nulla. Non suoni provenienti dall'esterno; per quel che vale non riesce a sentire neanche il fruscio del vento attraverso gli antichi infissi. « Tu non vuoi un bambino.. mai? » Se l'avesse investita un treno si sarebbe sentita meno a pezzi. Come se Raiden avesse improvvisamente tolto dal piatto qualcosa che seppur intangibile, esisteva nei suoi pensieri. Per Mia era tangibile e prima o poi sarebbe arrivato. E ci avrebbe resi un sacco felici. E noi.. noi ci saremo voluti ancora più bene. Io volevo davvero arrivarci. Ci stavo lavorando per questo motivo. Mi stavo ostinando a trovare una risposta perché voglio liberarmi di tutta questa merda. Io voglio essere felice. Voglio la nostra vita. Tu.. non la vuoi più.. la nostra vita? Indietreggiò di qualche altro passo, Mia, osservandolo incredula, come se Raiden le avesse tolto da sotto i piedi ogni certezza. Di certezze gliene aveva date tante, il moro. Ma non era mai successo il contrario, se non in un periodo in cui lui per primo non ne aveva. Scosse la testa, di fronte a quella consapevolezza e abbassò lo sguardo, sentendo un senso di sconfitta senza precedenti. Le logge e le rivelazioni degli warlock messe assieme non erano riuscite a creare nel suo cuore un simile senso di alienazione. Si sentiva svuotata, delusa. Per un istante chiuse gli occhi e pensò a quel contatto che li univa; un contatto che non percepiva più. Era stata lei a chiudere il contatto o era stato lui? Non lo sapeva. Ma per la prima volta dopo tanto tempo, era sola con se stessa, senza alcuna incursione dell'indole di lui tra le pieghe della propria personalità. Percepì nettamente la recisione di quel loro legame. Come ci si sente? Come se ti avessero amputato un braccio. Come se di colpo ti avessero strappato un polmone, costringendoti ad annaspare tra un respiro e un altro. Uno schifo. Puoi farne a meno se non l'hai mai provato, se non hai mai promesso a nessuno quello che noi ci siamo promessi. Ma quando l'hai provato.. boh, tutto il resto è un po' una merda. Non ha senso. Quello strappo netto, Mia, non provò a spiegarselo, né indagò in merito. Forse, in un momento differente ci si sarebbe fossilizzata, alla ricerca di una spiegazione; forse avrebbe persino capito che era davvero innaturale, specialmente per loro. Padre Matthew non scherzava quando diceva che un matrimonio secondo le vecchie usanze avrebbe rinsaldato il loro legame. Persino nel periodo in cui Raiden l'aveva chiusa fuori, le bastava farsi abbastanza vicina per poter udire - seppur in maniera estremamente ovattata - il tormento che si celava al di là di quella spessa membrana contro cui continuava a rimbalzare ogni qual volta tentasse di farlo aprire. Se avesse razionalizzato quello che stava succedendo, forse si sarebbe resa conto che lei e Raiden non erano più nel Kansas da diverso tempo. E lì era tutto peggio, amplificato, gelido. « Io però volevo sapere tutte quelle cose anche per questo - per la nostra vita insieme. Anche.. per la nostra vita insieme. » Si corregge mentre la voce le si spezza. « Io ci tengo ancora alla nostra vita, Raiden. Per me qualcosa significava.. ciò che tu volevi; per me aveva un peso, ecco perché ho insistito. E non era solo quello.. io.. » A Mia non piace piangere, e così, non appena sente che quelle lacrime stanno sgorgando, si nasconde e tira su col naso portandosi una mano tremante sul volto per frenare una reazione che le appare del tutto incontrollabile. Io lo volevo. Lo voglio ancora. Però tu non lo vuoi più. Non lo vuoi.. adesso capisco. E avrebbe aggiunto altro se solo non avesse percepito di colpo rumori alla porta principale. Un'intromissione improvvisa. Venne investita di colpo dalla consapevolezza che non erano più da soli e allora, si asciugò di colpo gli occhi, stirando un sorriso meccanico in direzione di Albus e Mun. Tempismo perfetto, eh! La sua carta di uscita di prigione. Tirò un lungo sospiro e dirigendosi automaticamente verso il divano, dove aveva lasciato la sua giacca. « Uhm.. i bambini sono andati a dormire come previsto. Jay ha avuto un incubo, ma l'abbiamo risolta. » Albus annuì con un'espressione serena e spensierata. Quello sguardo contrito che gli aveva visto addosso nel pomeriggio sembrava esser venuto meno. « Tipico di Jay. Crea sempre problemi quel mostriciattolo. » « Tesoro! Non dire così! Mia, Raiden.. grazie di cuore per ciò che avete fatto. Vi siamo davvero grati. » Mun si incollò al fianco della dolce metà, stirando un sorriso cordiale, in attesa che Raiden e Mia togliessero le tende. « Avete sentito le notizie? Spero che vi siete organizzati per stanotte. » Di scatto Mia si fermò inclinando la testa di lato, prima di gettare un fugace sguardo in direzione di Raiden. Non riusciva ancora a guardarlo. Non so se voglio più guardarti.. per un po'. « Quali - quali notizie scusate? » « C'è stato un grave incidente sulla Metropolvere. Hanno deciso di chiudere le tratte magiche da e per Hogsmeade per qualche ora. Secondo me fino a domani mattina il villaggio resterà sconnesso. » Nulla di particolarmente allarmante, insomma. Probabilmente non c'era neanche alcun incidente. Dopo la Restaurazione però, avevano sempre trovato un modo o una scusa per scansare eventuali agitazioni durante una notte che era ormai diventata emblematica. « Non importa. Abbiamo una macchina. E poi una mia amica mi ha lasciato la stanza nello studentato se proprio.. » « Sicuri? C'è una folta foschia là fuori. » Ed effettivamente a ben guardare fuori dalla finestra la coperta di nebbia che si era abbattuta sul villaggio era quasi spaventosa. Innaturale. « Se avete bisogno di un posto, potete rimanere qui. » No. Ma manco morta. Sto in mezzo a una lite; ci manca solo che la condivido con Albus Potter e Amunet Carrow. Piuttosto dormo sotto il Ponte Vecchio a Hogwarts. E infatti si schiarì la voce, posando le dita sul pomello della porta. « Grazie ma.. siamo stati invitati a una festa.. » [...] Più facile a dirsi che a farsi. Una volta superato il porticato dei Potter, Mia si ritrovò di fronte una nebbia talmente spessa che rendeva difficile vedere addirittura le zucche intagliate presenti nel giardino di Albus e Mun. Per un istante si voltò nella direzione dei due sul porticato; il sorriso con cui li salutavano mentre avanzavano sul vialetto le mise i brividi. Forse era solo quell'atmosfera macabra o forse era solo quella notte. Gioca brutti scherzi. Punto. Ti entra nel cervello. Nulla a che vedere con lo spirito funebre con cui affrontarono il tragitto verso casa di Jeff e Delilah, dove tutti gli altri si erano riuniti. Un silenzio assordante, che rimbombava anche sulle strade di Hogsmeade. Solo in lontananza riusciva a sentire coretti e schiamazzi. Attorno a loro, tuttavia, non c'era anima viva - o morta, per qual che valeva. Mia, dal canto suo, non aveva proposto un cambio di piani, né avrebbe accettato di seguire un'eventuale controproposta di Raiden. Un po' perché ciò sarebbe significato effettivamente parlare, e un po' perché sapeva che in ogni caso restare svegli era ancora nei piani. Seppur fosse certa che la festa a casa di Jeff e Delilah non sarebbe andata avanti per le lunghe, l'avrebbe quanto meno distratta per un po'. Forse stare con i loro amici avrebbe disteso gli animi. « PROFESSOR YAGAMI! » « E SIGNORA! » Oppure creerà altri casini. Jeff e Antonio, più chiassosi che mai, diedero loro il benvenuto sul porticato. Mia corrugò appena la fronte, gettando solo per un istante uno sguardo in direzione di Raiden prima di superare i ragazzi salutandoli velocemente per farsi spazio dentro la casa. Mentre tentava di liberarsi del giacchetto, venne superata da Gabriela che non la salutò neanche, puntando dritto verso l'entrata principale, andando incontro a Raiden per salutarlo con un grosso abbraccio. Molti altri casini. Mia abbassò istintivamente lo sguardo scuotendo la testa con un'espressione contrariata, prima di farsi spazio all'interno dell'ambiente, in cerca dei suoi amici. Si intrattenne per un po' con Delilah che per una volta sembrava talmente di buon umore da farle quasi paura, per poi remare dritta verso Veronica e Alyssa. « Oooooh! Era ora. » « Stavamo giusto parlando di questa cosa che ci hai mollate pure stasera per far da balia ai bambini del tuo grande amore. Con tuo marito. Si può dire che è tuo marito, oppure no? » Mia alzò gli occhi al cielo, osservando Alyssa con un'espressione contrariata. « Dai non fare la stronza, non è proprio serata. » Si allungò per prendere una birra, gettandosi infine su uno dei divanetti vicino alle amiche. « Abbiamo litigato. Di brutto. » « Di nuovo? » « A quanto pare Raiden non vuole più diventare padre. » « Top, no? Guarda che fine ha fatto Delilah. Una balena. » Infatti. Proprio quello che dovrei dire pure io. Ma non lo pensava, Mia. Non lo pensava affatto. Gettò piuttosto lo sguardo dall'altra parte del salotto, là dove Raiden si trovava in compagnia dei loro amici. Improvvisamente andare a quella festa le sembrava la peggiore delle idee. Tutto le sembrava innaturale. Odiava persino la compagnia delle sue amiche che le apparivano come due oche giulive. Tutta quella gente, le loro abitudini, le loro scelte - tutto le appariva fuori posto. Persino il modo in cui ridevano, il modo in cui camminavano. Forse perché fuori posto lo erano davvero. O forse sono io quella fuori posto. Forse ha più senso. « Gattamorta a ore nove. » Disse di scatto Alyssa alzando gli occhi al cielo nel veder nuovamente Gabriela avvicinarsi al gruppo di ragazzi. « Che dire signori.. non ce la fa proprio. Quant'è vero che quando dico una cosa è così. Ci sta provando pure con quelli sposati. » Mia dal canto suo osservò Alyssa con un'espressione quanto mai dispettosa. Si va beh, infatti. Come l'altra volta. Guarda Aly, meglio se lasciamo perdere va che già sono mesi che mi fai girare di culo.. « È spagnola. » Era questa la scusa no? « Boh oddio.. un botto spagnola. » [...] E così alla fine si era estraniata, cercando di ignorare anche Gabriela, che quella sera le stava antipatica più del solito. Era effettivamente molto più espansiva del solito. E lei, Mia, non poteva neanche dire o fare nulla. Con il suo birrino, aveva semplicemente deciso di passare il tempo guardando un video stupido che Stacey le aveva mandando quella stessa mattina direttamente da New Orleans. Aveva tentanto di aggiornare Wiztagram diverse volte per stare al passo con le mirabolanti vite dei suoi compagni, ma l'app sembrava morta, come morto era whatsapp e tutto il resto. Forse hanno chiuso pure le comunicazioni. Boh? Non ho manco visto gufi. Non si era chiestq poi molto, quanto meno finché non venne affiancata sul divanetto presente sul porticato da Jeff. « Stiamo per iniziare a giocare a poker. Tu vieni? Puoi fare squadra con Antonio. Lui ci starebbe un sacco. » Cos? Mia stirò un leggero sorriso rimettendo il cellulare in tasca. « Boh guarda, sinceramente non mi sento molto fortunata stasera. Passo. Si è pure fatta una certa. Delilah vorrà andare a dormire. » « Scherzi? L'ha proposto lei. » Delilah. Delilah ha proposto di giocare a poker. Non ci posso credere. « Va beh comunque non mi va. » Jeff la osservò per qualche altro istante, tempo in cui Mia rimase leggermente interdetta. « Tutto.. bene? » Sta per dirle qualcosa. Se lo sente. « Senti Mia.. Raiden me l'ha detto. Cioè ne abbiamo parlato diverse volte di questa cosa. » Di cosa. Ma siete impazziti tutti stasera? Che è tutto sto farsi i cazzi degli altri? « Ah beh, almeno con te parla. » « Si noi ci raccontiamo tutto. Mi ha chiesto un po' di consigli. » « Raiden.. ha chiesto consigli a te. » « Beh si.. quando stava per lasciarti per tutto quel casino il mese scorso è venuto da me. E io gli ho consigliato di provarci ancora. Non si può mollare così un matrimonio. Di punto in bianco. Però.. non so.. forse a questo punto.. » Mia corrugò la fronte osservandolo con un'espressione inorridita. « Raiden voleva lasciarmi.. » Sempre più perplessa, Mia non poteva fare altro che ripetere quanto le veniva detto. « Credevo che avreste chiarito, Mia. Però a questo punto.. vi fate solo del male. A me dispiace molto vedervi così. Gli errori si commettono di continuo. L'importante è rimediare.. » Il sangue le ribolle nelle vene, tanto da sgranare gli occhi e ricercare con una certa insistenza di sfondare le porte della sua mente. Vuole fargli male. Per la prima volta, Mia vuole ferire sul serio Raiden. Fargli provare esattamente ciò che prova lei. Rabbia, delusione, tristezza, sconfitta. Però non ci riesce. Non lo trova, e a onor del vero non trova nessuno. Là fuori tutto tace e lei non sta facendo nulla per creare quella barriera. E ci prova. Ci prova, mentre Jeff continua a parlargli di quanto Raiden è deluso, e di quanto sta male, di quanto è evidente che tanto lui quanto Mia hanno bisogno di altro. Di quanto lo ha ferito e di quanto non sono fatti l'uno per l'altro. E forse ci mette un po'. Ci mette davvero parecchio per realizzare che quel silenzio non è naturale. Non ha nulla a che fare con blocchi suoi o di Raiden. Non mi ha chiuso fuori. Non può semplicemente scomparire del tutto. No.. lui non mi sente.. e io non sento lui. « Dobbiamo lasciarci.. vero? » Jeff si stringe nelle spalle con un'espressione costernata. « Dobbiamo chiudere questa roba. » Lo dice con un'espressione persa, Mia, mentre oltrepassa l'uscio della porta finestra ricercando lo sguardo di Raiden nell'ambiente. Alla fine gli va incontro senza mezza misure, fregandosi altamente di Gabriela, Antonio e chiunque si trovi nei paraggi. « Possiamo andare a dormire? Io ho molto sonno. » Dice solo, osservandolo con un'espressione estremamente seria ed eloquente. Non aveva sonno, a quel punto - neanche un po'. Ma era l'unica scusa che le veniva in mente per uscire da lì dentro. Chiedere di andare a dormire fu l'unica cosa che seppe inventarsi così su due piedi. Si avvicinò di un'altro passo e abbassò lo sguardo. « Jeff me l'ha detto.. mi ha detto tutto. Credo che dovremmo parlarne sul serio. E finirla stanotte, Raiden. Non ne posso più.. sono stanca. »


     
    .
  6.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    « M-mai? Tu non vuoi un bambino.. mai? » Mai era una parola forte e incredibilmente definitiva. Raiden non si era sentito di usarla per una buona ragione: perché non sapeva. Se già una sicurezza che credeva inscalfibile come quella di volere dei figli nella propria vita era stata spazzata via nel giro di poco tempo, come poteva prevedere che il processo contrario non potesse altrettanto prendere luogo? Probabilmente avrebbe cambiato idea col tempo, ma poteva giurarci? Poteva metterci la mano sul fuoco? Voleva farlo? La verità era che in quel momento, l'idea di avere un figlio con Mia sembrava quanto di più lontano e impensabile potesse essere concepito. E quindi, come se stesse parlando dei programmi triviali dell'indomani, Raiden si strinse semplicemente nelle spalle. « So come mi sento ora. » Fece una pausa. « E non lo voglio. » Ma che senso ha pensare a un lontano futuro ipotetico quando evidentemente non siamo neanche in grado di gestire il nostro presente? « Io però volevo sapere tutte quelle cose anche per questo - per la nostra vita insieme. Anche.. per la nostra vita insieme. Io ci tengo ancora alla nostra vita, Raiden. Per me qualcosa significava.. ciò che tu volevi; per me aveva un peso, ecco perché ho insistito. E non era solo quello.. io.. » Scosse il capo, sbuffando una risata sardonica dalle narici. Certo.. adesso ciò che volevo significava qualcosa per te. È sempre così, non è vero? Vuoi quello che non hai perché è più facile vivere nella scontentezza. Se ti dici che ti manca sempre qualcosa per essere qualcuno, non devi impegnarti. Puoi attendere in eterno. « Non importa. Se ciò che volevo per te aveva un peso, dovrebbe averlo anche adesso. E adesso le cose stanno così. » Disse secco, prima che il rumore della serratura arrivasse a porre fine a quel discorso che comunque non aveva nemmeno voglia di continuare. Per dirsi cosa? Agli occhi del giovane Yagami era estremamente ridicolo parlare di bambini in quel momento. Avrebbero solo continuato a dire ognuno la propria senza veramente comunicare, perché Mia si era ormai fissata sull'idea che lui la stesse punendo per non avergli fatto da incubatrice. E con una persona che produce questo genere di pensieri non ha davvero senso parlare, mi sembra ovvio. Così, senza aggiungere nulla, lasciarono casa di Albus e Amunet senza rivolgersi per tutto il tragitto verso la piccola festicciola a cui erano stati invitati. Lo scenario che li avvolse una volta in strada fu ben diverso da quello che avevano lasciato quel pomeriggio: Hogsmeade sembrava ricoperta da una pesante coltre di nebbia che impediva all'occhio di individuare le provenienze dei pochi suoni vitali che vi si infiltravano. Risate sguaiate a distanza, il rumore di una bottiglia di vetro che cadeva in terra, bisbigli, i bassi lontani e ovattati della musica proveniente da qualche locale. Ogni tanto da quella foschia emergeva di colpo qualche viso - sempre all'ultimo, sempre annunciato troppo tardi dai passi del suo proprietario. Incrociava brevemente i loro sguardi ed era come se il gelo si infiltrasse sempre più nelle sue ossa. Camminavano come dita su un tavolo: in un'unica direzione. Una città irreale, scossa dal suono morto della campana al rintocco della mezzanotte. Tutto lo sembrava - irreale. Persino la festa a casa di Jeff e Delilah. Teneva sempre un bicchiere di qualche bevanda in mano, senza sapere o chiedersi come ci fosse finito. Quando ne finiva una, qualcuno gliene metteva un altro tra le dita, come se stessero attivamente cercando di fargli ingerire qualcosa con costanza - alcolico o meno che fosse non importava. E Raiden non si faceva domande. In fin dei conti erano i suoi amici, no? E quella era una festa. Forse potevano percepire il suo umore e volevano distrarlo. Importava? « Lo sai qual è la regola per chi non si veste ad Halloween? » La voce squillante di Gabriela lo obbligò a non ignorarla, portandolo a voltarsi nella sua direzione con un sorriso stanco, in attesa del responso. In tutta risposta, la mora gli si avvicinò all'orecchio, arpionando le dita sotto l'orlo della sua felpa. « Deve svestirsi. » Con una mossa secca, Gabriela tentò di tirargli su la felpa e farla scivolare dalla schiena oltre la sua testa. Ma altrettanto secco fu il movimento con cui Raiden si ritrasse, indispettito dall'eccessiva cordialità che l'amica stava dimostrando quella sera. « Smettila. Non sono nell'umore. » disse infastidito, lanciandole uno sguardo accusatorio come a volerle comunicare di aver capito benissimo dove volesse andare a parare. Davvero? Così? Di colpo? Che cazzo di problemi hai? Forse gliene avrebbe parlato un altro giorno con più calma, o forse avrebbe lasciato perdere bollando il tutto come un 'Gabriela è un po' ubriaca'. Non lo sapeva e sinceramente non gliene importava. Voleva solo fingere di divertirsi per ammazzare il tempo che gli rimaneva da stare sveglio. A quel punto, persa la voglia di stare in quel gruppetto, Raiden si allontanò per un attimo, avvicinandosi al tavolo su cui Jeff e Delilah avevano disposto cibi e bevande. Niente acqua? Sospirò. Non l'avrebbe presa dalla cannella. I due amici avevano ripetuto più volte quanto pregne di calcare fossero le tubature in quella casa. Decise quindi di versarsi un po' di acqua tonica nel bicchiere, senza aggiungervi alcolici. « Anneghiamo i dispiaceri nell'alcool, Professor Yagami? » La voce divertita di Veronica lo portò a lanciarle uno sguardo di lato, rivolgendole un piccolo sorriso. « È solo acqua tonica. Devo guidare. » La mora ridacchiò, alzando ironicamente gli occhi al cielo mentre si allungava verso una bottiglia di vodka per versarsene una quantità a dir poco eccessiva nel bicchiere. « Ok nonno, scusa. » Fece una pausa, scrutandolo mentre beveva un sorso del proprio drink mortale quasi stesse cercando di trovare qualcosa di specifico nel viso di lui, per poi sospirare pesantemente. « Mio Dio, Raiden, sei a una festa! Potresti avere un po' meno la faccia da funerale?! » Scrollò le spalle, il giovane, bevendo un po' di tonic mentre cercava Mia con lo sguardo nella sala. La individuò in procinto di uscire sul terrazzino, probabilmente per fumare una sigaretta. Doveva comunque tenerla d'occhio, no? « Sono solo stanco, Ronnie. È stata una giornata un po' lunga. » « Mh sì.. Mia mi ha detto. Tra i bambini e.. beh.. la vostra situazione. Posso capire. » Fu quasi automatico per Raiden voltarsi a incrociare lo sguardo di Veronica, che lo stava fissando più o meno come se fosse un barbone steso in metropolitana a dormire su fogli di giornale sporchi. Fece per aprir bocca e dire qualcosa, ma lei lo fermò subito, scuotendo il capo e mettendo via il bicchiere per poggiargli una mano sul braccio con fare quasi materno. « Senti. Lo so che non dovrei impicciarmi, ma voglio molto bene a Mia, e lo vedo che non sta bene. Vedo anche che non fa star bene te, e ho paura che voi vi stiate sforzando di mandare avanti qualcosa che finirà per intrappolarvi in una relazione infelice. » Su quelle parole, Raiden prese subito il timone, scivolando via dalla presa della Grifondoro. « Con tutto il rispetto, Veronica: è giusto che Mia si confidi con te e che tu le dia appoggio, ma il nostro matrimonio non è affar tuo. » Mi sa che stasera un po' tutti quanti hanno bisogno di ricordarsi quale sia il loro posto. Che cazzo è successo alla gente? Nel sentirlo parlare, Veronica si morse il labbro inferiore, come se stesse trattenendo una risatina che, a trattenere, ci riuscì a malapena. « Vabbè.. adesso.. matrimonio! Vi siete sposati da ubriachi dopo aver scopato per un mese, Raiden. Matrimonio per modo di dire, su! » Il palese scherno di Veronica lo lasciò di sasso, boccheggiante per quell'affronto che decisamente non si aspettava di sentire dalla bocca della migliore amica di Mia. Lo stava deridendo, e neanche si preoccupava di nasconderlo. Anzi, gli diede pure un colpetto sulla spalla come a chiedergli di prenderla sul ridere. « Eddai non fare quella faccia! Mia ti vuole un sacco bene, però su.. lo sai come la pensa su tutta questa roba. » Freddo come il ghiaccio, le parole scivolarono dalle sue labbra senza nemmeno passare prima dal filtro del pensiero. « No, Veronica. Come la pensa? » La faccia della Rigby si fece di colpo seria e costernata, come se fosse caduta dalle nuvole. « Aspè.. ma tu sei serio serio? Cioè non ti ha detto proprio nulla? Io pensavo che.. » Si morse il labbro, la mora, passandosi velocemente una mano tra i capelli e sospirando forte mentre si rivolgeva con lo sguardo al soffitto. « Porca puttana, Mia! » Scosse quindi il capo, tornando con lo sguardo a Raiden. « Allora, senti, io queste cose non penso che dovrei dirtele, però a questo punto mi pare l'unica. Cioè, Mia è proprio una cogliona! Si sta incartando e non credo che ne possa uscire da sola. Però devi promettermi che non le dirai nulla. » Annuì, Raiden, sentendo già il panico strisciargli piano sotto lo strato epidermico. Sentiva freddo. Un freddo che non era fisico, ma dettato dalla paura che lo paralizzava. Avrebbe tenuto fede a quella promessa? Probabilmente no. Dipendeva da cosa lei gli avrebbe detto. « Guarda.. Mia ti vuole molto bene, però questa cosa del matrimonio.. cioè, non l'ha mai presa sul serio. Nel senso: è la roba su cui ci ridiamo sopra quando andiamo a farci un aperitivo. Lo sai come è fatta lei. Non è quello lo stile di vita che vuole. E un po' ci soffre, perché comunque per assecondarti si sente in dovere di fare un sacco di cose che non le va di fare. » Mise subito le mani avanti. « Lo so, lo so. Me lo ha detto che la mentalità del tuo paese è un po' arretrata e che tu hai il desiderio di fare l'uomo tutto casa e famiglia. Però non credevo che la prendessi così seriamente, date le circostanze. E pensavo anche che Mia te ne avesse parlato. » Veronica parlava, e più parlava, più il cuore di Raiden sprofondava giù nel suo stomaco, privo di battito. Si sentiva come se fosse sul punto di svenire, ma non voleva credere a quelle parole. Io la conosco. Io posso sentire ciò che prova. Lo so che non è così. Che non può essere così. Possiamo avere i nostri problemi, ma lei vuole stare con me, e ci crede nel nostro rapporto. « Mia.. » prese a dire, in un filo di voce appena udibile, come se stesse parlando più a se stesso che a Veronica. « ..lei è solo un po' in imbarazzo. Ti ha detto queste cose perché non vuole essere giudicata dai suoi coetanei. Ma non le pensa davvero. » Ed ecco il ritorno dello sguardo della pietà, questa volta più intenso. Veronica rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, titubante, prima di sospirare e aprire la propria borsetta, frugandovi all'interno alla ricerca del cellulare. Quando lo estrasse, digitò qualcosa e poi glielo passò. « Forse è meglio se lo vedi con i tuoi occhi. Questi sono di quando quest'estate sei andato via per una settimana. Prenditi pure tutto il tempo che vuoi. » Per un istante, Raiden guardò quel telefono con titubanza. Voleva farlo? Voleva davvero leggere ciò che Mia e Veronica si erano scritte? La loro era sempre stata una relazione basata sulla fiducia: Raiden non aveva mai dubitato di Mia, né aveva mai sentito il bisogno di controllarla. Eppure in quel momento le sicurezze che aveva sembravano non essere poi così forti come credeva. Così, dopo qualche secondo, se ne appropriò, cominciando a scorrere la lunga conversazione tra le due ragazze. Ogni parola era una coltellata. Messaggi spalmati su diversi giorni, scritti o vocali, in cui Mia si confidava con l'amica. La foto assieme a un ragazzo. 'Ieri sera ce la siamo rischiata ahahah Vado dal pozionista vah, che altrimenti..' e poi emoji del pancione. Due giorni dopo, Mia raccontava in un vocale di essere stata con un altro tipo, tranquillizzando l'amica sul fatto di aver preso precauzioni questa volta. Una parte di Raiden non voleva crederci, ma quelle parole erano scritte, quelle foto erano impresse sullo schermo del telefono e la voce di quei vocali era quella di Mia. Non si era mai sentito tanto male in vita propria, come se le sue interiora fossero state ribaltate all'esterno. Era pallido, e sentiva freddo, ma sudava. Il tremore delle sue mani lo portò più volte a selezionare messaggi specifici, illuminandoli di azzurro, mentre voleva in realtà solo scorrere più in basso in un moto masochistico. Nel giro di una settimana, Mia lo aveva tradito più volte, e a giudicare da come ne parlava, lo aveva fatto pure a cuor leggero. « Pensava te ne fossi andato per sempre. Credo fosse entrata in crisi e volesse.. non so.. far finta di star bene. » Il tono di Veronica era flebile e costernato, come se stesse comunque cercando di proteggere l'amica. Sono stato via una settimana. Le avevo detto che sarei tornato. Se pure si fosse convinta del contrario, il cadavere era ancora caldo. « Lo sanno un po' tutti, Raiden. » Lo sanno. Lo sanno tutti. Un mix letale di dolore e umiliazione. Nemmeno Ichiro, nemmeno Iwo Jima, nemmeno rendersi conto di cosa avesse fatto per l'esercito lo aveva fatto sentire in quella maniera. Come se fosse morto. Come se forse, sotto sotto, preferisse esserlo invece di vivere quell'incubo: la materializzazione di tutte le sue paure peggiori, quelle che non aveva mai neanche ritenuto possibili. Quando alzò lo sguardo dal telefono, ebbe come la sensazione che tutti lo stessero guardando, che tutta la pietà e lo scherno del mondo fossero diretti proprio a lui. Restituì il telefono a Veronica, incapace di dire qualunque cosa, mentre alcuni amici lo raggiungevano in un turbine festante per parlare di beer pong e cose che Raiden nemmeno sentiva. « Possiamo andare a dormire? Io ho molto sonno. » Come uno schiocco di frusta, le parole di Mia lo riportarono alla realtà. Aveva ancora il bicchiere di tonic in mano. La mano ancora tremava. Volse lo sguardo alla ragazza, guardandola come se la vedesse per la prima volta. « Jeff me l'ha detto.. mi ha detto tutto. Credo che dovremmo parlarne sul serio. E finirla stanotte, Raiden. Non ne posso più.. sono stanca. » Certo. Sei stanca. Non disse nulla. Semplicemente poggiò il bicchiere di tonic sul tavolo, salutando
    brevemente gli amici e avviandosi verso la porta con le chiavi della macchina in mano. Non le rivolse parola, né uno sguardo mentre raggiungevano la macchina. Non la voleva guardare. Il solo pensiero gli provocava un moto di nausea. Salirono in macchina, chiusero le portiere e si avviarono per le lugubri strade deserte che portavano ad Inverness. Il viaggio trascorse nel più completo silenzio, di quelli pesanti che riescono a soffocarti. Le iridi di Raiden, scure come la pece, rimanevano fisse sulla strada, come ipnotizzate dai coni di luce dei fari che tentavano di fendere la fitta foschia. Sempre nel silenzio parcheggiarono ed entrarono in casa. Gli sembrava più fredda del solito, ma a quel punto il gelo era entrato a far parte di lui, tanto che non se ne curò. Gettò le chiavi sul piattino e salì le scale verso la camera da letto. Aprì tutte le ante dell'armadio e tutti i cassetti. Tirò poi fuori il baule di Mia da sotto il letto, aprendolo con un calcio e iniziando a gettarvi dentro a manciate tutto ciò che in quella stanza apparteneva alla ragazza. Vestiti e biancheria che non si curò di piegare e che crearono una montagna indomabile all'interno della valigia, tanto da richiedere che Raiden ci si sedesse sopra per chiuderla. La portò giù per le scale, lanciandola fuori dalla porta principale come fosse un sacco della spazzatura - e ai suoi occhi, in quel momento lo era, tanto la valigia quanto la sua proprietaria. Ancora non disse nulla, voltandosi più volte nella stanza per individuare ciò che stava cercando: il cellulare di Mia poggiato sul tavolino da caffè. Lo raggiunse a grandi passi, afferrando il piccolo oggetto di cui conosceva già il codice di sblocco e prendendo a camminare velocemente in cerchio per la stanza, ignorando qualsiasi reazione da parte di Mia mentre cercava con mani tremanti una parola chiave nella chat con Veronica: rischiata. Trovò presto quello che cercava, fermandosi di colpo e sbattendo il telefono sul tavolo mentre una risata tra l'amaro e l'isterico gli risaliva dalla gola. « Neanche ti sei preoccupata di cancellarli. Sapevi proprio di potermi prendere per il culo. » Scosse il capo, allontanandosi di un passo. Fu allora che gettò il primo sguardo a Mia da quando si erano ricongiunti alla festa. Uno sguardo di disgusto talmente profondo da lasciare ben poco all'interpretazione. Le diede giusto il tempo di dare un'occhiata al telefono per vedere l'origine della sua collera. « Esci da casa mia. » disse freddo, indicandole la porta. « I letti in cui dormire a quanto pare non ti mancano. »

     
    .
  7.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    La situazione si quietò di colpo. In un batter d'occhio qualunque cosa avesse ricreato una tempesta in piena nell'animo di Mia, venne meno nello stesso momento in cui varcò la porta di quella casetta. Riprendere possesso della propria giacca fu una manna dal cielo; Jeff e Delilah non avevano acceso i riscaldamenti, né quel fuoco che ardeva nel caminetto sembrava in grado di riscaldare gli ambienti in cui avevano passato le ultime ore. Faceva freddo; un gelo quasi innaturale che non aveva mutato minimamente le sue condizioni rispetto all'interno della casa. Come minimo si sarebbe presa un raffreddore, ma quella era una delle sue ultime preoccupazioni. Tutto ciò a cui pensò mentre se ne stavano andando fu quel tocco leggero, gelido come la morte, che Veronica esercitò sul suo polso. « Ehi! Vai via senza salutare? » Seguì con lo sguardo Raiden, intento a salutare i suoi amici. « No.. è solo che.. » La osserva con occhi sgranati e un'espressione quasi alienata. Come se qualcosa nella sua amica non quadrasse. Veronica è stata la prima persona con cui Mia ha legato a Hogwarts; hanno sempre fatto tutto insieme. Insieme sono sopravvissute al Lockdown, insieme hanno riso e scherzato, insieme hanno pianto, fino al punto in cui il loro rapporto è diventato quasi simbiotico. Al di fuori della famiglia era una delle persone a cui voleva più bene e che meglio conosceva. Eppure, quella sera la riconosceva a stenti. Ti ho detto che io e Raiden abbiamo litigato di brutto. Sai già quanto sto male quando accade. Lo sapeva; lo sapeva e come! La giovane Rigby era una delle poche persone che si era sorbita le crisi di pianto di Mia durante la settimana in cui Raiden era partito per Londra; era la persona con cui condivideva tutti i suoi problemi, ma anche tutte le sue gioie. Si ascoltavano a vicenda, anche più di quanto fosse umanamente sopportabile, e si spalleggiavano a vicenda, indipendentemente da qualunque cosa succedesse. Quella sera però, Veronica sembrava completamente noncurante di fronte a ciò che Mia le aveva detto. Forse l'ho buttata nel discorso in maniera troppo menefreghista. Forse è il suo modo di farmi stare meglio: ignorare. In fondo, ignorare era una cosa Mia sapeva fare sin troppo bene. Ma lei e Ronnie non ignoravano mai. « Andrà tutto bene, Mia, ok? » Pacca sulla spalla e un sorriso rassicurante che tuttavia non la rassicurò affatto, come non l'avevano rassicurata le parole di Jeff. Non la rassicurava l'assenza di Raiden, il non riuscire a percepirlo in alcun modo. Lui se ne è accorto? Vuole andare via per la stessa ragione? « Raiden sa.. e anche tu sai.. » Corrugò la fronte, Mia, e scosse la testa, ma prima di poter chiedere qualunque altra cosa, Veronica venne chiamata per un giro di beer pong a cui non poté sottrarsi. « Ti chiamo domani! Notte! » Si. Raiden sa. E anche io so. Sappiamo entrambi di amarci. Non importa cosa potrebbe aver detto a Jeff - sempre che gli abbia detto qualcosa. Qualcosa di strano c'era. In quella realtà perfettamente ordinata, c'erano delle evidentissime crepe che la portavano a deviare costantemente i suoi percorsi mentali. Era lì, perfettamente consapevole di trovarsi in mezzo ai suoi amici, eppure era come se a tratti, venisse sottratta da quell'ordine per iniziare a vedere il disordine. Le parole di Jeff, il disinteresse di Veronica, il freddo, persino la totale assenza dei loro amici che sembravano completamente sconnessi. Tutti stipati nella stessa stanza, ma ben intenzionati a non passar troppo tempo tutti assieme. E poi c'era il silenzio; il silenzio nella sua testa. Per un qualunque lycan quel tratto poteva risultare del tutto ininfluente; ma per una come Mia, che a controllare il flusso delle altrui visite era davvero difficile, quella completa assenza di ricezione era a dir poco insolita. Gradevole, sì, ma pur sempre insolita. Scosse infine la testa e lasciò la casa di Jeff e Delilah raggiungendo i passi di Raiden in fretta e furia. Gli ha detto che era tempo di andare a dormire - l'unica cosa che non avrebbero dovuto fare. E gli ha detto che voleva finirla. Sperava che il combinato disposto delle due cose fosse in grado di convincerlo a uscire senza dare poi troppo nell'occhio. Per sicurezza. Anche quella era stata una crepa. Una che sembrò rientrare non appena si ritrovarono da soli in mezzo alla nebbia. Di colpo prese a maledirsi mentalmente, quasi come se quelle parole le avesse pensate sul serio sin dal principio. « Non vale la pena tornare a casa. Possiamo rimanere allo studentato. Ho la chiave di Stacey.. » Inutile. Raiden salì in macchina in attesa che lei facesse altrettanto, e così trascorse tutto il viaggio - in un silenzio funebre, che non venne rotto da nessuno dei suoi tentativi di dire una cosa qualunque. Lo lasciò quindi guidare, convinta che con quella nebbia concentrarsi alla guida fosse la cosa più saggia da fare. Non si fermarono di fronte al punto di accesso verso la Città Santa, né nessuno li controllò. Un evento più unico che raro, soprattutto di quei tempi. Ma non se ne curò. Forse li avevano riconosciuti. Forse semplicemente le disposizioni erano cambiate. Ma perché dovrebbero cambiate? L'anno scorso Inverness era in subbuglio per la notte di Halloween, soprattutto dopo quanto avvento nell'ormai lontano 2019 con la Preside di Hogwarts. Quella donna, Mia non l'aveva mai conosciuta, né aveva avuto modo di dispiacersi per la sua terribile morte. Era appena tornata. Tornata da altrove. Il solo pensiero la fece rabbrividire. E improvvisamente i suoi pensieri si persero tra quei ricordi lontani. Iniziò a focalizzarsi su ciò che quella notte significava per lei - su cosa aveva provato quando per la prima volta aveva rivisto l'alba il primo novembre. Erano passati due anni, eppure per la giovane Mia Wallace, il tempo si era fermato. Era come se non fosse mai trascorso. Non aveva mai lasciato quel posto, né quella sensazione di freddo e disperazione l'aveva abbandonata. Riusciva a sentirla ancora sulla propria pelle, proprio in quel momento. Come se qualcosa la stesse guardando nella penombra della macchina in attesa di una distrazione. Volevano scuoiarmi viva. Ora ricordo. Le voci lo dicevano sempre. Mi cercavano: volevano la pelliccia della lupa. Dicevano che mi avrebbero strappato gli occhi dalle orbite, messo il mio core su un altare. Riesco ancora a immaginarmelo quell'altare. L'ho sognato; la mia carcassa impreziosita da fiori secchi e frutta marcia. Trasalì solo quando si rese conto che si erano fermati. Lo scatto della portiera del conducente la portò a guardarsi attorno solo per rendersi conto che si trovavano di fronte a casa loro. Anche a Inverness la nebbia era surreale e non c'era anima viva per le strade. Nessuna processione, nessuna cerimonia. Nulla. La Città Santa sembrava completamente addormentata. Uno scenario quanto mai surreale a cui non aveva mai assistito. Tutto tace. Una volta all'interno, rabbrividì, mentre una nuvoletta di vapore fuoriusciva dalle sue labbra. Consapevole del fatto che avrebbero dovuto passare la notte svegli, Mia si diresse immediatamente verso il caminetto, gettandovi all'interno un po' di tronchetti, curandosi relativamente della veemenza con cui Raiden salì su per le scale. C'erano così tanti motivi per cui scagliarsi verso le scale con quella urgenza, che decise di dargli del tempo. In fondo, mancavano ancora diverse ore prima dell'alba.
    E' il trambusto proveniente dal piano di sopra a farla insospettire; la coda dritta di Ringo annuncia la discesa del ragazzo, mentre il gatto scappa in salotto alle sue spalle, nascondendosi sotto il divano, ringhiando e soffiando con fare minaccioso. « Ringo! » Il volto illuminato a metà dal fuocherello nascente nel caminetto, resta completamente paralizzato nel vedere il proprio baule prendere il volo oltre la porta d'entrata. Di scatto si rialza in piedi e osserva la scena con un'espressione a dir poco scioccata.
    gif
    Schiude le labbra, Mia, scuotendo la testa mentre le guance assumono un perfetto colorito paonazzo. Collegare quanto appena visto ai movimenti scattosi di Raiden era impossibile. Non riusciva a darsi una sola spiegazione a ciò a cui stava assistendo. « Ma che diavolo stai facendo, Raiden! » Il tono è decisamente più alterato di quanto vorrebbe. E poi lo vede. Ha il suo cellulare tra le mani. Si controlla quasi ossessivamente la tasca posteriore dei pantaloni. Non si è neanche accorta di averlo abbandonato sul tavolo in salotto. « Ooooooo!! Ma vuoi calmarti? Mi dici che hai? » E' nel panico più totale. Non capisce cosa sta accadendo o per quale ragione si comporta in quella maniera. Di tutte le cose, vedersi gettare il baule in strada era l'ultima cosa che si aspettava. « Neanche ti sei preoccupata di cancellarli. Sapevi proprio di potermi prendere per il culo. » Con uno sguardo ancora confuso afferrò il cellulare che lui aveva sbattuto sul tavolo, deglutendo appena. La chat di whatsapp la portò a pensare al peggio prima ancora di leggerne il contenuto. Ho detto qualcosa che l'ha fatto incazzare? Oddio può essere. Ma nulla spiegava davvero quella reazione. Neanche i piagnistei di Mia dell'estate appena passata, neanche i vocali incazzati che a tratti ha mandato alle sue amiche lamentandosi del fatto che Raiden la trattava male. L'aveva detto e l'aveva pensato. C'era stato più di un momento durante quell'estate in cui Mia non aveva saputo neanche spiegarsi per quale ragione si stesse sforzando. Completamente scollegata da Raiden, aveva avuto l'impressione più di una volta che l'unica ragione per cui stessero ancora insieme era perché lei non riusciva a smettere di amarlo, e lui non voleva sopportare l'onta di un matrimonio fallito, pur non volendo starci all'interno. Ma è durato qualche giorno. Sono stati momenti. Ne abbiamo parlato. Ci siamo chiariti. Tu lo sai che ci sono rimasta malissimo. Si dicono un sacco di cose quando uno è arrabbiato. Però io quelle cose non le pensavo. Non c'era giorno in cui non sperassi che ti svegliassi e avessi voglia di tornare a essere.. come prima. Come stavamo quando tutto tra noi andava bene. Non appena abbassò lo sguardo sullo schermo, tuttavia, lo scenario che si propose sotto i suoi occhi fu completamente differente. Foto e screenshot di cose che non aveva mai visto prima. C'era lei in quelle foto. Con diversi ragazzi. E c'erano cose.. cose da lei dette, che non avrebbe mai neanche lontanamente pensato. Scosse la testa scorrendo lo schermo come impazzita. « No.. » Il mondo sembrò caderle addosso. Ma io quel giorno ero al lago con Veronica e Stacey. Abbiamo giocato a briscola e fatto test stupidi su cinque numeri arretrati di Strega Moderna. Come cazzo facevo a stare a Hogsmeade. « Senti io non so che cazzo di scherzo malato è questo ma.. » « Esci da casa mia. » Venne interrotta di colpo prima di poter dire qualunque altra cosa. « I letti in cui dormire a quanto pare non ti mancano. » E restò completamente ammutolita. Non riusciva a crederci a ciò che aveva appena sentito. Schiuse le labbra, Mia; schiuse le labbra e tentò in tutti i modi di dire qualcosa mentre abbassava lo sguardo sul cellulare che aveva tra le mani. Andrà tutto bene, Mia, ok? Raiden sa.. e anche tu sai.. Ricercò il suo sguardo tentando di aggrapparsi a un qualche briciolo di razionalità nei suoi occhi. Raiden, dal canto suo, sembrava completamente fuori di sé; d'altronde non era facile scatenare in lui una reazione talmente scomposta, oltre che completamente irrazionale. « Non sono stata io. Io non ho fatto queste cose. Raiden.. » Come cazzo fai a crederci. E' assolutamente fuori da ogni logica. Lo capisci che non ha un cazzo di senso. « ..tu non puoi crederci. Queste cose non sono mai successe. Sono stata Inverness per tutto il tempo. Ero con Stacey e Veronica - siamo andate al lago. Ho cotto stupidi muffin e spazzolato i gatti e il coniglio così tanto che ad un certo punto si sono chieste se fossi ancora sana di mente. » Ho strimpellato quella dannata chitarra come una deficiente e letto depliant informativi del college. Ecco cosa ho fatto. Ho fatto la fallita. Ho fatto la sfigata. Aspettando che tornassi a casa. Durante l'estate del mio cazzo di diploma. Scuote la testa e getta un ultimo sguardo in direzione del telefono scuotendo la testa. « Questa cosa non ha un solo cazzo di senso. La gente a Inverness sa dov'ero. Ho dormito da mia madre per quasi tutte le sere.. » Indietreggia di un passo quasi senza fiato, scuotendo la testa. « Sono stata malissimo! Tu lo sai che sono stata male.. » Lo sai. Te ne ho parlato. Ne abbiamo parlato, cazzo. Lo hai sentito. Sai che mi ha fatto malissimo. « E poi erano i giorni dopo.. dopo l'incidente! Ma secondo te.. » Si interruppe. Non capiva neanche per quale ragione stesse tentando di ripercorrere quei giorni alla luce delle informazioni che Raiden le aveva messo sotto gli occhi. Quelle cose non erano mai avvenute. Perché mi sto giustificando? Perché devo spiegarmi quando non ho fatto nulla? Perché devo essere costantemente messa sotto torchio come se fossi una cazzo di delinquente. E in fondo, che differenza c'era tra ciò che Raiden voleva credere sul suo conto adesso, e ciò che gli altri avevano pensato quando era tornata. E' proprio da Mia scappare di casa. E' proprio da Mia fare la puttana e tradire suo marito. Di scatto corrugò la fronte scuotendo la testa, mentre un sorriso sarcastico e al contempo amaro si materializzava sul suo volto. Tu.. ci stai credendo davvero. E il punto non era ciò che stava succedendo - e a quel punto per Mia diventava sempre più lampante che qualcosa di strano c'era, soprattutto alla luce di ciò a cui aveva assistito - ma il fatto che Raiden non stesse minimamente dubitando di ciò a cui era stato sottoposto. Per quanto tentasse razionalmente di combattere quell'idea, le frustrazioni del suo passato sembravano annullare ogni tentativo di resilienza. Una vocina le urlava internamente di smetterla. Smettila, Mia, nulla di tutto questo è reale. Ma lei non sembrava riuscire a sentirla, quella voce, non razionalmente, e per quel che valeva non riusciva a maggiore ragione ad aggrapparvisi. E quindi deglutì ricercando il suo sguardo con insistenza. « Jeff ha detto che stavi per lasciarmi il mese scorso. Ha detto che quando sei uscito, sei andato da lui per sfogarti, perché ti eri stancato di me. Ma lui ti ha consigliato di provarci ancora. » Di colpo abbassò lo sguardo. Seccare le persone era una cosa che mal sopportava, Mia. Seccare Raiden poi, intrappolarlo, l'aveva sempre fatta sentire malissimo. Era così che si era sentita durante l'estate: come se gli stesse dando costantemente fastidio, come se fosse di troppo, come se la sua presenza fosse ininfluente. Forse io ininfluente lo sono davvero. Soprattutto alla luce del fatto che ho tentennato su tutto il discorso del bambino. « E' così? Ti sei stancato di me? E' per questa ragione che riesci a credere con così tanta facilità a questo scempio? » Scuote la testa, Mia e stira un sorriso ironico. « Ma perché chiuderla così, eh? Togliti tutti i sassolini dalle scarpe se tanto ci siamo no? Dillo! » Asserì di scatto in un moto di arresa allargando di colpo le braccia mentre si stringe nelle spalle. Internamente è distrutta, ma a quel punto si taglierebbe la gola piuttosto di dargli la soddisfazione di vederla piangere. Ho fatto la sottona a sufficienza. « Dillo che sono una troia.. che ti ho messo le corna e poi sono tornata insieme a te boh.. per i soldi? Non ti sei mai fidato di me. Mai! Hai sempre voluto vedere il peggio. » Che cazzo ne so di cosa hai in testa? « A giudicare da quei messaggi a me di te non frega proprio un cazzo giusto? Devo aver annusato la parcella che hai in conto a Tokyo, il bell'appartamento, la gloria.. ecco perché sono rimasta con te. Perché mi piace la tua grana. » Quelle parole suonavano così sbagliate. Così fuori luogo. Come fai a pensare una cosa del genere! Dove trovi la logica di questa cosa! « Perché io sono un'incapace e una buona a nulla.. a qualcuno dovrò pur attaccarmi. » Quelle parole le fecero ribollire il sangue nelle vene, mentre compiva un altro passo all'indietro. « Ma come fai! Con chi cazzo sono stata per tutto questo tempo? » A quel punto gli sbraita contro come un animale ferito, mentre gli punta il dito contro osservandolo con un'espressione incredula. « Sei proprio una merda! Mi fai schifo, Raiden! Mi hai riempito di belle paroline sulla relazione di qua e la relazione di là! » Pausa. « Ma a quanto pare, tu, dentro la nostra relazione giusto il cazzo ci hai messo! »



    Edited by blue velvet - 20/11/2021, 13:16
     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    Più volte Raiden si era trovato in quello studiolo. Non era mai stato piacevole. Se ne stava seduto sulla punta della sedia, con la schiena dritta e le mani appoggiate sulle ginocchia, senza sapere se dovesse tenere lo sguardo basso o sostenere quello del patrigno. Occhi di cani che si sporgevano sul tavolo - erano quelli a venirgli in mente ogni qualvolta incontrasse le iridi scure di Ichiro, che lo fissava dalla grossa poltrona di pelle nera. All'epoca sembrava molto più imponente, come un trono brunito da cui l'uomo osservava, giudicava ed eseguiva. Quel pomeriggio erano rimasti solo loro due in casa, e Ichiro lo aveva invitato nel suo studio. Di solito, quando lo faceva, era sempre in risposta a un qualche comportamento di Raiden visto come punibile; quella volta, però, non gli era stata data alcuna motivazione, lo aveva convocato e basta. Gli istanti di silenzio scanditi dai rintocchi pesanti dell'orologio a pendolo si dilatarono all'infinito nella percezione del ragazzo, che cercava freneticamente di trovare un senso al perché si trovasse lì. Non aveva fatto nulla, non che lui sapesse almeno. E poi un fruscio. Gli occhi di Raiden misero a fuoco la fotografia che Ichiro aveva fatto scivolare sulla superficie del tavolo, ruotandola per dargli modo di vederla. La foto ritraeva suo padre, Haru, da giovane, in Germania: era bello e spensierato, col sorriso di chi stava seguendo i propri sogni. Voleva sorridere anche lui, ma non sapeva se gli fosse concesso. « Ti manca, non è così? » Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Raiden sentì della gentilezza nel tono di Ichiro. Alzò lo sguardo come per trovarvi la conferma nei suoi occhi, fissandolo in volto confuso e titubante. Ichiro Nakamura lo fissava con aria morbida, un piccolo sorriso ad incurvargli appena quelle labbra sempre contrite. « Tranquillo, puoi dirlo pure. Non è che mi aspetti nulla di diverso. Ti ho chiamato qui proprio perché ho trovato la foto nello scantinato quando stavo ripulendo, e pensavo che potessi volerla. » Perché Ichiro gli stava improvvisamente dimostrando gentilezza? C'era una trappola? L'uomo probabilmente riuscì a leggere quella titubanza negli occhi del ragazzo, dunque sospirò. « So cosa pensi di me. So anche che non mi vedi come un padre perché ti ricordi ancora della tua infanzia. Ma il fatto che io sia più duro di lui non significa che non mi interessi crescerti. Voglio solo che tu diventi un uomo tutto d'un pezzo. Quindi dimmi.. cosa ti manca di lui? » Rimase in silenzio per qualche altro istante, fissandolo sotto i rintocchi del pendolo. Si tormentava le dita, incerto sul da farsi, ma alla fine parlò. « Mi manca il rapporto che avevamo.. e le cose che facevamo insieme. » proferì in un filo di voce appena udibile. « Tipo ascoltare la musica? » Annuì, silenzioso. « È per questo che tieni quel vecchio giradischi scassato in camera? » Annuì di nuovo, ancora una volta senza dire nulla. A quel punto Ichiro sospirò, alzandosi dal seggio con un pacato « Aspettami qui. » Non ci mise molto a tornare nello studio, tenendo tra le mani il giradischi che una volta era appartenuto ad Haru. Lo poggiò con cura sul tavolo, rimanendo fermo di fianco a Raiden mentre gli rivolgeva un sorriso dai tratti paterni. E poi, prima che Raiden potesse capire cosa stesse accadendo, le dita di Ichiro si erano già strette attorno a un pesante fermacarte di ottone a forma di dragone. Il rumore fu assordante. Un colpo dietro l'altro, il giradischi venne violentemente disintegrato sotto lo sguardo impotente e scioccato di Raiden, che indietreggiò automaticamente per evitare che le schegge volanti gli ferissero il volto. Strinse le palpebre, sentendo le lacrime colare giù lungo le guance e rendere offuscata pure la visuale nera di quello sguardo chiuso. Ichiro lo strattonò per il colletto, costringendolo ad alzarsi traballante sui piedi solo per assestargli uno schiaffone così forte che lo fece cadere in terra. « Allora sei proprio stupido. MAI - ABBASSARE - LA - GUARDIA. » Un calcio in piena pancia gli tolse l'aria, portandolo a tossire ed annaspare alla ricerca d'ossigeno su quel pavimento che vedeva offuscato. « Che c'è? Ti manca essere la principessina di papà? Guardati! Piagnucoli come un frocio. » La risata di scherno di Ichiro risuonò lugubre nella stanza vuota, accompagnata da un secondo calcio nell'esatto punto in cui aveva assestato il primo. E Raiden rantolava sul pavimento come un animale ferito che sapeva di non poter fuggire dal cacciatore. « Allora immagino ti farà piacere sapere che se continui così te lo prenderai nel culo per tutta la vita. » La sensazione di bagnato sul viso. Il disgusto di sentire la saliva che il patrigno gli aveva sputato in faccia per umiliarlo ulteriormente, come se non fosse già stato ingannato, traumatizzato e picchiato. « Smettila di essere così fottutamente debole! È per il tuo bene. Imparerai da me così da non fare gli stessi errori col nemico. » A quelle parole, il viso tremante di Raiden scattò verso l'alto, puntando gli occhi iniettati di sangue e odio sul viso di Ichiro. « HO QUATTORDICI ANNI! CHI DOVREBBE MAI ESSERE IL MIO NEMICO? » Rise ancora, il Nakamura, piegandosi sulle ginocchia per abbassarsi più al livello di Raiden, stringendogli i capelli sulla nuca in modo da guardarlo bene in faccia, abbastanza vicino da sentirne il fiato pesante. « Fino a prova contraria.. tutti. » La tempia del ragazzo andò a sbattere con forza sul pavimento. Un fischio acuto e poi il nero.

    « Non sono stata io. Io non ho fatto queste cose. Raiden.. tu non puoi crederci. Queste cose non sono mai successe. Sono stata Inverness per tutto il tempo. Ero con Stacey e Veronica - siamo andate al lago. Ho cotto stupidi muffin e spazzolato i gatti e il coniglio così tanto che ad un certo punto si sono chieste se fossi ancora sana di mente. » Parole. Ce ne erano state tante, tra loro. Avevano parlato a lungo, si erano confidati, si erano promessi il mare e le stelle. Ma parole e promesse sono labili, specialmente quando messe a contrasto con un'evidenza concreta. Raiden, concreto lo era sempre stato. Non parlava molto e non prometteva ciò che non poteva mantenere, ma teneva sempre fede alla parola data e le sue azioni erano coerenti con ciò che diceva. Non si sbilanciava mai su un argomento di cui non sapeva abbastanza, e prima di puntare il dito si accertava sempre di avere qualcosa di tangibile tra le mani. Non era semplice, buttarsi. Non era stato cresciuto con quel valore - e se pure ne avesse avuto il germe nell'animo, le esperienze passate glielo avevano estirpato. Con Mia, però, le cose erano andate diversamente. Ti ho fatta entrare nel mio cuore prima ancora che tu ti concedessi di chiederne la chiave. Si era aperto a lei in maniera totale, tuffandosi alla cieca in una situazione che un'occhio clinico avrebbe letto come rischiosa in partenza. Eppure pensava che ne fosse valsa la pena - che loro ne fossero valsa la pena. Una sicurezza che gli avvenimenti di quella notte avevano detonato un pezzo alla volta fino a farla crollare in macerie, ponendolo di fronte allo specchio dei propri fallimenti e di tutto ciò che più temeva. E ciò che più feriva, era rendersi conto di quanto quella storia non avesse senso. Non c'era una motivazione, non c'era stato un campanello d'allarme; i sentimenti di Mia, lui li aveva sempre percepiti come propri. Lo amava, lo aveva sentito, ne era certo. Ma cos'è più fallibile - la percezione umana o la schiacciante evidenza? Cos'era più plausibile credere - l'essersi ed essere stato ingannato o la complessa fabbricazione nei minimi particolari di quella menzogna? In quelle circostanze, a carte coperte, solo uno sciocco avrebbe creduto alle parole di Mia. E Raiden ci si sentiva, uno sciocco, ma non voleva più esserlo. « Questa cosa non ha un solo cazzo di senso. La gente a Inverness sa dov'ero. Ho dormito da mia madre per quasi tutte le sere.. Sono stata malissimo! Tu lo sai che sono stata male.. E poi erano i giorni dopo.. dopo l'incidente! Ma secondo te.. » A chiunque, in simili circostanze, quelle parole disperate sarebbero suonate come le scuse di una bugiarda. E fu proprio così che suonavano alle orecchie di Raiden, il quale scosse il capo, come a rifiutarsi di sentire altre menzogne. Non basta ciò che hai fatto? Non basta aver tradito la mia fiducia e infangato il nostro matrimonio? Devi continuare a mentirmi in faccia così spudoratamente, anche di fronte all'evidenza? Non aveva parole. Non ne aveva per esprimere cosa provasse in quel momento. Ma se pure ne avesse avute, non le avrebbe comunque pronunciate, perché forse alla fine quella lezione era davvero ora che la imparasse: non doveva abbassare la guardia, mai, con nessuno. Non doveva aprirsi, non doveva concedere a qualcun altro di insinuarsi così a fondo nel suo animo. « Jeff ha detto che stavi per lasciarmi il mese scorso. Ha detto che quando sei uscito, sei andato da lui per sfogarti, perché ti eri stancato di me. Ma lui ti ha consigliato di provarci ancora. » In altre circostanze avrebbe negato. Avrebbe detto la verità: che quelle cose, lui non le aveva mai pensate, né mai dette, e che se pure le avesse pensate, di certo non sarebbe andato a dirle a Jeff. Ma non lo fece, forse perché la delusione lo aveva colpito così nel profondo da pensare che in ogni caso non ci fosse ragione di difendersi; per salvare cosa? Cazzo, vorrei davvero che fosse vera questa cosa. Avrebbe significato che in tutta la mia stupidità, un attimo di lucidità ci fosse stato. « E' così? Ti sei stancato di me? E' per questa ragione che riesci a credere con così tanta facilità a questo scempio? Ma perché chiuderla così, eh? Togliti tutti i sassolini dalle scarpe se tanto ci siamo no? Dillo! Dillo che sono una troia.. che ti ho messo le corna e poi sono tornata insieme a te boh.. per i soldi? Non ti sei mai fidato di me. Mai! Hai sempre voluto vedere il peggio. » Un sorriso tra l'amaro e l'ironico andò a delinearsi sulle labbra di Raiden, che rimaneva silenzioso di fronte a lei come un monolite. Certo. Sono io quello che vuol credere che il cielo sia azzurro e non verde pisello, che i tuoni siano un fenomeno naturale e non gli angeli che giocano a bocce. È questa la considerazione che hai di me fino alla fine, vero? Raiden sapeva di non meritarsi quelle accuse. In Mia aveva riposto tutta la propria fiducia, e sempre in Mia aveva creduto quasi religiosamente, spronandola continuamente a dare il meglio. Io ero il coglione che vedeva in te una marea di potenzialità. Ho cercato di farle vedere anche a te. Ero quello che ti portava i fiori una volta a settimana. Quello che ti preparava la borsa dell'acqua calda quando ti venivano i crampi da ciclo. Quello che ti coccolava e ti ascoltava. Ero quello che ti faceva le sorprese perché l'idea di renderti felice e valorizzarti ogni giorno mi dava la più intensa forma di gioia. Ho mantenuto ogni promessa che ti ho fatto. Ho sempre avuto cura e riguardo di te. E sarei io, il colpevole della situazione? No, si sentiva solo un idiota per aver abbassato così tanto la guardia ed essersi fidato tanto ciecamente e tanto facilmente. E bruciava, bruciava tantissimo, non solo per il cuore spezzato che si ritrovava, ma anche per l'umiliazione di dover ammettere che Ichiro forse non aveva avuto tutti i torti. Se la starà ridendo dall'inferno. « A giudicare da quei messaggi a me di te non frega proprio un cazzo giusto? Devo aver annusato la parcella che hai in conto a Tokyo, il bell'appartamento, la gloria.. ecco perché sono rimasta con te. Perché mi piace la tua grana. Perché io sono un'incapace e una buona a nulla.. a qualcuno dovrò pur attaccarmi. » O forse perché è comodo stare con un coglione che ti fa da tappetino senza porsi una domanda che sia una. « Ma come fai! Con chi cazzo sono stata per tutto questo tempo? Sei proprio una merda! Mi fai schifo, Raiden! Mi hai riempito di belle paroline sulla relazione di qua e la relazione di là! Ma a quanto pare, tu, dentro la nostra relazione giusto il cazzo ci hai messo! » Rimase a fissarla in silenzio, con quell'espressione fredda dietro la quale si celava tutto il dolore e l'umiliazione che provava ma che non voleva darle la soddisfazione di vedere. Non disse nulla, per un po', perché Mia era solita parlare molto. Diceva tante cose a macchinetta, senza riflettere, senza dar peso o valore a nessuna. Ma il silenzio, quello le valorizza le parole: gli dà un peso specifico nel farle fluttuare nell'aria, distendendone l'eco nel tempo. Voleva che quelle parole rimanessero lì; voleva che Mia le sentisse, le ripensasse, le ripercorresse una ad una. A quel punto non credeva che l'americana potesse vergognarsi di nulla, dato ciò che aveva fatto, ma almeno dentro di sé avrebbe rimasticato il gusto marcio delle accuse che gli aveva appena rivolto. Poi, dopo un po', mosse qualche passo in avanti, ponendosi di fronte a lei. La fissò mentre le toglieva il cellulare di mano, salendo nella chat per aprire la foto che la ritraeva insieme a un tizio qualsiasi. Zoomò sul viso di lei, mostrandole lo schermo. « Guardandomi negli occhi, vuoi dirmi
    che questa non sei tu? »
    Una domanda retorica che le pose con tono freddo, fissandola. Scese leggermente più in basso nella chat, schiacciando il tasto play su un vocale in particolare. « Allora allora, adesso che sono a casa ti racconto tutto. » Ridacchiò, la voce di Mia, sotto lo sguardo gelido e fisso che Raiden teneva puntato sul viso di lei. « Che dire, signori? Niente male, compagno Jacob, eh. Un po'.. mmh.. entusiasta. » Rise di nuovo. « Nel senso che mezzo mi serve la fisioterapia. Però oh, Ronnie, ci sta, cazzo! Cioè la galanteria al posto suo. A letto mi devi SBATTERE! E poi il piercing alla lingua.. madò.. che te lo dico a fare? Una roba! » La voce del vocale tirò un sospiro. « Poi me lo spizzo meglio su wiztagram, che per le giornate aride questo qui fa sempre comodo. Però vabbè, a parte questo era molto basic. Ma va bene così. Bo, davvero, ho diciassette anni! È questo che dovrei fare. ESPERIENZA! » E poi il suono che annunciava l'intermezzo tra un vocale e un altro. « E comunque in mezzo alle gambe aveva un pitone. UN PITONE, RONNIE! » E poi il silenzio, tornato a far sedimentare ancora una volta quelle parole. Raiden non aveva mai smesso un attimo di fissarla, pur sentendo il dolore che ciascuna di quelle parole gli infliggeva al cuore. « Vuoi dirmi che queste parole, che questa voce.. non sono le tue? » Un'altra domanda retorica, pronunciata questa volta con voce roca che gli graffiava la gola come se vi fossero mille pezzi di vetro minuscoli. Le riconsegnò il cellulare in mano. A quel punto avevano entrambi visto e sentito quanto concrete e inequivocabili fossero quelle prove. Indietreggiò di qualche passo, scuotendo il capo. « Non ti darò la soddisfazione di insultarti. Penso di averti dato già abbastanza. Tutto il mio cuore, la mia fiducia cieca, il mio supporto incondizionato e le promesse che ho sempre mantenuto nei tuoi confronti - sono sufficienti. » Fece una pausa, ricacciando indietro le lacrime che non voleva farle vedere. Hai già visto abbastanza di me. Hai visto troppo. Non avrei dovuto. È colpa mia. Era sempre colpa sua. La testa di Raiden funzionava così: se qualcosa andava storto, la responsabilità era sua - o anche sua - e ne avrebbe pagato le conseguenze. La sentiva, quella necessità di punirsi per lo scivolone clamoroso tanto ingenuamente commesso. « Ti ho amata ogni singolo giorno. Ti ho dato tutto - tutto quello che avevo. E tu mi hai tradito. Mi hai umiliato e deriso con le tue amiche. Mi hai fatto credere che il nostro matrimonio valesse qualcosa per te, mentre andavi da Veronica a ridere dei miei valori, dicendole che fosse la mentalità arretrata del mio paese. » Scosse il capo, tirando su col naso nel ricacciare indietro il dolore che sentiva ad ogni parola sedimentata, come se una mano gli stesse stringendo le interiora in una morsa ferrea. « Mi hai fatto desiderare una famiglia nostra, e poi sei riuscita anche a non farmela desiderare più. Mi hai riempito di parole diverse ogni giorno fin quando le tue insicurezze non sono diventate anche le mie. E alla fine mi hai fatto più male tu di chiunque altro. » Proprio te. La persona da cui meno me lo sarei aspettato. « No, non ha senso, è vero. Tutto questo non ha alcun senso per me. Ma non sarebbe la prima volta. »

     
    .
  9.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    Non sono stata io. Mia lo ripeteva in continuazione; sin da quando era piccola le era toccato più di una volta il prendersi qualche colpa che non le apparteneva completamente. Continuava a comportarsi come una vittima degli eventi, come se le cose avvenissero e lei non avesse alcun potere per cambiarne il corso. Le cose accadevano, e puntualmente dare per scontato che la colpa fosse sua era naturale. Forse perché in parte si metteva spesso in situazioni controverse. Ma a ben guardare, tanti di quei momenti in cui Mia non aveva fatto nulla per giungere al risultato che effettivamente la realtà le aveva proposto dinanzi, ne era comunque stata complice, se le era cercata, non aveva ascoltato chi ne sapesse più di lei. Nella sua ingenuità, Mia era arrogante e spaccona, e non guardava in faccia nessuno. Si convinceva di saperne una più del diavolo e andava in fondo alle cose imperterrita, anche quando avrebbe dovuto esercitare cautela. Quando invece, avrebbe dovuto mollare la presa, essere meno rigida nelle sue convinzioni, diventava improvvisamente cauta, quasi come se tentasse a modo suo di riprendere il controllo almeno su una parte della sua vita. Sceglieva sempre le battaglie sbagliate, contro le persone sbagliate e nelle circostanze mento adatte. Ai tempi della guerra santa, Mia aveva deciso di fare la guerra ai suoi simili, oltre che alle logge, ignorando dall'inizio alla fine ogni ordine che le era stato impartito. Non doveva essere là fuori quando il grigio si era ritirato, e non perché non fosse una guerriera abbastanza addestrata, bensì perché il suo ruolo era un altro, doveva essere altrove, fare altre cose. Lei però cercava vendetta e rivoleva la sua famiglia. Una perdita con cui non aveva mai fatto i conti e con la quale, forse, non voleva neanche misurarsi. Non lo aveva mai fatto. Quando la notizia della scomparsa di Isaac Wallace era giunta alle sue orecchie, Mia si era girata dall'altra parte. Aveva annuito e fatto finta di niente. Uscita dall'incubo del Lockdown, affrontare anche la morte del padre e la scomparse di quattro dei suoi fratelli e di un'altra dozzina di appartenenti al suo branco, le era sembrava insostenibile. E aveva covato nell'ombra, Mia, senza mai versare una lacrima. In molti avevano pensato che fosse sotto shock. Che quella reazione fosse arrivata in quella maniera semplicemente perché Mia doveva ancora processarla. Ma le fasi del lutto, Mia non le ha mai veramente attraversate. Lei ha preferito agire. Di colpo. Nel momento meno opportuno. Non sono stata io. Ma forse me la sono cercata. E anche se non me la sono cercata, avrei dovuto reagire. Su una cosa Raiden aveva avuto ragione sin dal principio. Mia non era una vittima, e vivere in quella condizione per pura paura di reagire, non avrebbe fatto altro che definire il corso degli eventi che la colpivano. Forse il senso di ciò che mi hai detto non è che ti aspetti che certe cose siano unicamente affar mio. Lo aveva interpretato in quella maniera, perché Raiden dal canto suo era il tipo di persona che faceva le cose da solo, si portava appresso il peso del mondo e non accettava che nessun altro se ne facesse carico assieme a lui. Forse il senso di tutte le cose che mi hai detto è che bisogna reagire. Farsi coraggio. Forse è così semplice essere presa di mira perché io non reagisco mai. E perché adesso, come allora, Mia preferiva fare la guerra. Questa volta, la faceva contro Raiden, perché illustrargli tutto ciò che non gli andava bene, era più semplice che affrontare ciò per cui ricadevano all'interno delle stesse trappole. « Guardandomi negli occhi, vuoi dirmi che questa non sei tu? » Osservò la foto che il giovane Yagami le metteva sotto gli occhi solo per qualche istante, prima di sollevare nuovamente lo sguardo sul volto di lui. La ragazza nella foto era senza dubbio lei, ma il tipo non l'ha mai visto. In circostanze differenti avrebbe dubitato di sé a quel punto. Specie quando Raiden fece partire il messaggio vocale che continuava a raccontare di una fantomatica notte di fuoco col soggetto presente nella foto al suo fianco. Sì - in circostanze differenti avrebbe addirittura pensato che il problema fosse lei. Che quelle cose le aveva fatte, ma non se le ricordava. Non sarebbe certo la prima cosa che la sua mente decide di omettere per salvaguardare la sua sanità mentale. Ma aveva davvero dimenticato, Mia? Forse dovresti ricordare. Quelle parole le aveva già sentite. « [...] per le giornate aride questo qui fa sempre comodo. Però vabbè, a parte questo era molto basic. Ma va bene così. Bo, davvero, ho diciassette anni! È questo che dovrei fare. ESPERIENZA! » E sì, quella era la sua voce, tanto quanto la ragazza nella foto poteva sembrare lei. Ma non non sono io. Poteva esserlo. Mia sarebbe potuta diventare quella versione di sé in qualunque momento, ne era perfettamente consapevole. Ma non era andata in quella maniera. E quindi lo osservava; in attesa che quel messaggio vocale finisse. Avrebbe voluto strappargli di mano il cellulare, fermarlo dal continuare a tormentarsi con una storia che era stata ricreata a misura d'uomo affinché rispecchiasse i peggiore incubo di Raiden. « Vuoi dirmi che queste parole, che questa voce.. non sono le tue? » Faceva male vederlo in quella maniera, tanto quanto era difficile superare il colpo che il suo amor proprio aveva ricevuto. Perché in cuor suo, Mia era certa che Raiden avrebbe dovuto quanto dubitare di tutte quelle cose. Sembra tutto estremamente vero. Ma non ti ho davvero dimostrato niente? Davvero tutto ciò che ho fatto non ha alcun significato? Davvero hai una così bassa considerazione di me? La sua parte più istintiva era pronta ad imporle di lasciar stare. Se era questo ciò che il giovane Yagami voleva credere, se questa era la strada che voleva imboccare, senza neanche farsi tentare da alcun dubbio, forse era meglio così. Ma mia non ci riusciva. Non riusciva a chiudere quella faccenda in quella maniera. È ingiusto. Lo è per me, per te e per noi. Ma lo è anche per le tante persone che sono state trascinate in questa storia senza alcun diritto di replica. A quel punto, il quadro nella sua testa stava iniziando a prendere senso. Non riusciva ancora a dire come fosse possibile, dove fossero o perché, ma che quella non fosse casa loro, o il posto in cui insieme erano vissuti negli ultimi mesi, le era abbastanza evidente. Quella voce, per quanto simile alla sua, Mia la riconosceva. Ci aveva parlato per molto tempo, fino a chiedersi se per tutto quel tempo avesse parlato con se stessa o con un'entità distinta dalla sua ma specularmente molto simile. « Non ti darò la soddisfazione di insultarti. Penso di averti dato già abbastanza. Tutto il mio cuore, la mia fiducia cieca, il mio supporto incondizionato e le promesse che ho sempre mantenuto nei tuoi confronti - sono sufficienti. » Abbassò lo sguardo Mia, mordendosi il labbro inferiore. Decise di tacere, di lasciarlo parlare. Perché forse, in fondo, nonostante la loro lite partisse da una premessa sbagliata, quei problemi esistevano davvero tra loro. Ad esempio, Mia era certa di non aver mai avuto la fiducia cieca di Raiden. Non ce l'ho. Ma in realtà a questo punto non me l'aspetto neanche. Come fai a crederci per partito preso che non ti darei mai delle fiale corrotte, quando al loro interno c'è della fottuta melma nera da cui nascono demogorgoni? Come fai a credere che non avrei mai il cuore di tradirti quando ogni prova va contro ciò che sostengo? Forse il punto era che la superficialità di Mia aveva reso sin troppo facile quell'operazione: dipingerla come inaffidabile. « Ti ho amata ogni singolo giorno. Ti ho dato tutto - tutto quello che avevo. E tu mi hai tradito. Mi hai umiliato e deriso con le tue amiche. Mi hai fatto credere che il nostro matrimonio valesse qualcosa per te, mentre andavi da Veronica a ridere dei miei valori, dicendole che fosse la mentalità arretrata del mio paese. Mi hai fatto desiderare una famiglia nostra, e poi sei riuscita anche a non farmela desiderare più. Mi hai riempito di parole diverse ogni giorno fin quando le tue insicurezze non sono diventate anche le mie. E alla fine mi hai fatto più male tu di chiunque altro. No, non ha senso, è vero. Tutto questo non ha alcun senso per me. Ma non sarebbe la prima volta.» Scosse la testa Mia, e azzardò quasi istintivamente un passo in avanti, con cautela e delicatezza. Schiuse le labbra e sgranò gli occhi ricercando il suo sguardo con insistenza. Guardami, Raiden, per favore. Guardami davvero. Voleva dirgli tante cose e ancora una volta non sapeva da dove iniziare; per questa ragione per un volta lasciò che il silenzio prendesse spazio tra loro, accertandosi che lui non volesse dire altro. Aveva il cuore a pezzi, Mia. Vederlo soffrire l'ha sempre messa in uno stato di palese agitazione. Raiden non piangeva mai; era quello forte, quello che sapeva esattamente cosa fare, dove guardare. Forse non trovava sempre le parole giuste per esprimersi al meglio, ma dava sempre seguito ai suoi sentimenti nella maniera più pura e onesta possibile. Raiden era sincero, era devoto, ed era estremamente dolce e premuroso. Aveva un cuore enorme; ed era buono. E lo dimostrò anche in quel momento. Alla fine deglutì, ma non abbassò lo sguardo. Lo avrebbe guardato per tutto il tempo in cui gli avrebbe parlato. « Hai ragione. Quella potrei essere io. E quella è la mia voce. » Era un'ammissione di colpe? In parte sì. Lo era per davvero. Perché seppur quelle cose Mia non le aveva fatte, non poteva garantire che in circostanze differenti non sarebbero accadute. Sono stata anche io. Se lei è così è perché io le ho permesso di essere così. « Ma quella non sono io. » Quelle parole, Mia la disse con una decisione inaudita, corrugando appena la fronte. Avrebbe lottato finché avesse avuto fiato nei polmoni per rivendicare se stessa. Per rivendicare la versione di sé che ce l'aveva effettivamente fatta, indipendentemente da ciò che poteva essere. Io potevo essere tante cose a questo punto. Cazzo, potevano succedermi un miliardo di cose. La gente dava per scontato che avrei fatto una fine orribile. E invece sono ancora qui, e ho anche una vita tutto sommato equilibrata. Forse ci devo lavorare un po' su, però sono una brava persona anche io. E sono onesta. E le ho comunque le mie certezze. Una di queste era di fronte a sé. E Mia non l'avrebbe lasciato andare. Non in quelle circostanze. Non per cose che non dipendevano da loro. « La mia migliore amica non avrebbe mai assecondato una cosa del genere. » Perché in fondo, da quei messaggi, Mia e Veronica sembravano molto complici nel prendere in giro Raiden, e nel portare avanti quella sceneggiata. « Ronnie è una persona altruista, buona e sincera; non diventerebbe mai - mai! - complice di una cosa così. Ci vuole bene. Tantissimo. » E lei è una delle poche persone che non mi ha mai messo pressione in merito alle scelte di vita che ho presto. Forse avrei dovuto ascoltarla di più, invece di inseguire l'approvazione di persone di cui non m'interessa e che comunque non diventeranno mai sinceramente miei amici. « Ma io lo so che ti ho dato tante ragioni per crederci. Lo so.. » Deglutisce e abbassa lo sguardo mentre si morde l'interno delle guance scuotendo la testa. « Ho incolpato qualunque cosa per la mia indecisione. Mi sono comportata da vittima, ho costantemente soppesato i miei sentimenti in base ai giudizi della gente. » Stringe i denti e sospira, Mia, tirando su col naso. « Io ti ho messo sempre in discussione.. » E forse doveva essere messa in discussione così tanto affinché Mia riuscisse a riconoscere i suoi errori. La sua stupida infantilità. Il tradimento che aveva comunque commesso. Ti ho tradito. È vero. Perché ho dato più peso a cose che non posso controllare. Tipo questa notte. Io non la posso controllare. Non potevo controllare cosa sarebbe successo o cosa succederà - ma posso controllare il modo in cui mi comporto. « Mi dispiace. E mi dispiace di averti dato della merda.. non è vero. Non lo penso nemmeno un po'. » Si stringe nelle spalle ancora una volta mentre si sfrega gli occhi cercando di restare in sé. « Ti ho dato tantissimi motivi per non fidarti di me. Per credere a questa roba. Però.. » C'era un però, e a quel punto Mia avrebbe messo tutto sul piatto, perché forse in fondo, se bugie simili potevano attecchire, era proprio perché tra loro c'erano tante cose fuori posto. E tutto ciò prescindeva dalla Loggia e da ciò che poteva fare o non fare. « ..io ti ho dato anche tanti motivi per non crederci. Abbiamo vissuto e sentito le stesse cose. Io ti ho seguito dall'altra parte del mondo, Raiden. Sono rimasta anche quando non avevo alcuna certezza - anche quando me l'hai resa davvero davvero difficile. » La vista le si annebbia, mentre incrocia le braccia al petto quasi come se tentasse di proteggersi da qualcosa di invisibile. Il dolore di una perde che teme potrebbe arrivare. « Ho messo da parte il mio orgoglio e ho provato a prendermi cura di te anche quando non volevi lasciarmelo fare.. ho ignorato ogni tuo rifiuto, anche quando rischiavo di essere un accollo, perché io non ho mai voluto nessuno come voglio te. » Annuisce tra se e se e abbassa nuovamente lo sguardo.
    6e6984436657fd721fb65afef0da8656634a8c43
    « A volte ho proprio sentito la mia dignità che faceva crack, perché si presuppone che tu non debba mai stare dietro a qualcuno così tanto se non vuoi fare la figura del tappetino o della sottona. » E lì sorride con una certa amarezza. Se sapessero certe cose, quella stessa gente che ora mi guarda con un misto di pietà e derisione perché mi sono sposata prima ancora di aver cominciato a "vivere" - qualunque sia questa accezione di vivere - lo penserebbe davvero che sono un tappetino. « Però io ho sempre sentito che questa cosa ne valeva la pena. Poteva andare davvero male. Un sacco di gente se ne sarebbe approfittata. » Sento così tante storie in merito. Le sento e le giudico, e penso a mia volta che quelle ragazze siano estremamente stupide e credulone. « E se tu te ne fossi approfittato, probabilmente te lo avrei lasciato fare in ogni caso, perché le cose belle superano comunque quelle brutte. » Prova un senso di estrema vergogna, Mia, nel confessargli quelle cose. Ma lo fa comunque, perché lei quelle cose le ha pensate; una parte di sé, soprattutto in una fase iniziale della loro conoscenza, ha tentato più volte di avvertirla sui pericoli del modo in cui aveva deciso di portare avanti quella storia. Sono andata avanti senza il freno a mano. Senza un paracadute. Non pensavo che ne avessi bisogno. Ne sono ancora convinta. A quel punto azzarda un'altra passo nella sua direzione, lentamente, con cautela, come se si avvicinasse un animaletto ferito. Gli toglie il cellulare dalle mani e avvicina una mano alla sua guancia scostandogli una ciocca di capelli dal viso. « Amore.. » Annaspa, Mia, mentre le dita tremanti accarezza il profilo del suo volto. « ..qualunque cosa sia questo posto, non siamo a casa nostra, ed io non posso chiederti di sentire. Ma ti prego, per favore, apri gli occhi e guardarmi. Io sono.. la tua ragazza.. ricordi? » Ricordi? Ricordi quante risate ci siamo fatti su questa storia? Non sono mai stata la tua ragazza, ma sono diventata tua moglie. E noi, dopo lo sgomento iniziale, ci abbiamo riso sopra. E abbiamo cercato la nostra dimensione. Abbiamo tentato di capire chi fossimo insieme. Vorrebbe farsi più vicina, Mia, ma non vuole forzarlo. Non vuole invadere ulteriormente i suoi spazi, né dargli un'impressione sbagliata che potrebbe annullare tutto il resto. « E non importa se non siamo a casa. Tu sei comunque la mia casa. Ovunque.. » E lì, Mia non riesce a frenarsi, e la lacrime sgorgano mentre getta lo sguardo in quello di lui stringendo i pugni per frenarsi dal toccarlo. E vederti così, non poterti toccare, vedere il modo in cui mi guardi, mi distrugge. « ..e io mi accollerò ancora finché non mi vedrai di nuovo. Perché per me ne è sempre valsa la pena. Dal primo istante. Quindi ti prego.. ti supplico, Raiden. Guardami. Non sarò perfetta, però io sono sempre stata completamente e incondizionatamente tua.. dal primo momento. E non c'è un solo mondo parallelo in cui questa cosa può cambiare, perché io ti amo da morire. » La sente, Mia, la paura e l'urgenza che porta con sé quelle parole. La paura di perderlo, la paura che indipendentemente da ciò che gli dirà e da quanto tenterà di supplicarlo, Raiden non riuscirà a vedere oltre. Ma io non rinuncio a noi. Non per questo. Non per colpa di questo. Non così. Non è questo il giorno in cui le nostre strade si separano. Io non intendo permetterti di gettare la spugna.




    Edited by blue velvet - 22/11/2021, 01:44
     
    .
  10.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    Le coppie che giocano a scacchi - era così che Raiden le chiamava nella sua testa. Ne conosceva tante, in Giappone, di coppie su quello stampo: mariti e mogli che non si amavano, che stavano insieme per convenienza o per la scelta altrui. Le loro fredde relazioni erano una costante partita a scacchi; solitari, seduti a lati opposti dello stesso tavolo, muovevano le proprie pedine in silenzio, senza mai guardarsi negli occhi, in attesa di vincere sull'altro. Quelle unioni infelici erano tipiche dell'alta società, dunque la metafora nata nella testa del ragazzo sembrava particolarmente appropriata, dato che spesso e volentieri vedeva coppie di quel genere sedersi a giocare a scacchi e bere liquori costosi in qualche locale alla moda ma tranquillo. Gli abitanti di quei quartieri indossavano vestiti di seta, e il sabato andavano dagli amici a prendere il tè. La domenica una partita a scacchi, e poi tè. Loro avevano sempre un'altra domenica quando l'ultima era finita. Sapevano cosa provare e cosa pensare, e lo sapevano già dal primo inchiostro della stampa mattutina. Vivevano legati alla ruota. Ma cosa c'era lì per Raiden? Cosa c'era da fare o da dire per lui tra quelle persone? Forse avrebbe dovuto stare anche lui in una coppia che gioca a scacchi - di certo sapeva che ciò era quanto la società si aspettava da lui. Forse avrebbe dovuto fare anche lui come gli altri, unendosi a quella società che si ammassava come covoni nei locali importanti, senza parlare - o senza dire nulla. In fin dei conti cosa mai doveva avere da dire un soldato? Cosa mai ci si aspettava che dicesse alla propria moglie, ai propri amici, ai propri colleghi? Ma è terribile sentirsi solo con un'altra persona. E quindi lo aveva rifiutato. Aveva rifiutato di prendersi una moglie con cui giocare a scacchi e passare la propria vita con le pedine d'avorio a far compagnia tra di loro, fingendo che colmassero la distanza. Quel dovere, Raiden non era riuscito a portarlo a termine. Aveva desiderato di più: una compagna, una confidente, qualcuno per cui essere più di un amministratore del patrimonio. Quella decisione aveva creato lo spettro dell'infelicità nel suo animo, come se quelle partite a scacchi e quei silenzi fossero sempre in agguato, pronte a prendere possesso della sua vita al primo passo falso. « Hai ragione. Quella potrei essere io. E quella è la mia voce. Ma quella non sono io. » Il tono di Mia era cambiato, prendendo una sfumatura più pacata, ma comunque ferma, mentre pronunciava quelle parole guardandolo negli occhi con la massima serietà. Ma come poteva crederle? Come poteva credere che quella non fosse lei, quando tutto il resto diceva il contrario? Quando la sua stessa voce diceva il contrario in quei vocali. Eppure la lasciò parlare. Probabilmente avrebbe dovuto interromperla e costringerla ad andarsene immediatamente da casa propria, ma la fece comunque parlare. Una scelta masochista, inutile dirlo. « La mia migliore amica non avrebbe mai assecondato una cosa del genere. Ronnie è una persona altruista, buona e sincera; non diventerebbe mai - mai! - complice di una cosa così. Ci vuole bene. Tantissimo. » Ma Ronnie è la tua di migliore amica, non la mia. Sarà sempre dalla tua di parte, non dalla mia. E ha senso che fosse dalla tua parte anche in quel momento, no? L'intera storia sembrava filare alla perfezione: era plausibile, ad un occhio attento sarebbero pure saltati alla vista i particolari che la avvaloravano, e poi vi erano tutte le prove concrete per supportarla. Insomma, convincersi del contrario sarebbe apparso a chiunque come uno sciocco mentire a se stessi. Però c'era anche tutto il resto: c'era ciò che Mia e Raiden avevano condiviso, ciò che si erano detti, ciò che avevano sentito l'uno dell'altro e ciò che avevano dimostrato coi fatti. Ma se pure tutto questo non ci fosse stato, c'era anche qualcosa di più forte: l'amore ubriaco che Raiden provava per lei. Quel genere di amore che ti porta ad essere cieco e stupido, a buttarti di testa perché non riesci a fare altrimenti, e anche a convincerti delle cose più assurde pur di provare un altro po' di quella felicità che solo l'altra persona riesce a darti. Insomma.. l'amore che può renderti un idiota, e anche allegramente cornuto, all'occorrenza.

    « DOVE HAI DETTO CHE STA? » La voce di Antonio tuonò insieme accompagnato dal cigolio acuto della porta che si apriva di scatto e lasciava entrare i rumori della festa come uno scroscio d'acqua rilasciato da una diga aperta. Fino a quel momento, quei rumori erano rimasti ovattati come un sottofondo distante ai sospiri, ai deboli gemiti e al rumore dei baci che Mia e Raiden si scambiavano - vicini al frastuono, ma allo stesso tempo così distanti nella loro bolla. Erano i primi tempi della loro bislacca relazione che ancora non era neanche tale. Ogni qualvolta uscissero insieme al gruppo di amici, si giungeva sempre al momento in cui i loro sguardi sembravano quasi implorarsi a vicenda di trovare un posto in cui rimanere soli, in cui potersi toccare. Nessuno sapeva di loro, e a loro andava bene così - o almeno questo era ciò che si dicevano. Quella sera non era andata diversamente. C'era una festa a casa di Gabriela per il compleanno della coinquilina - un'occasione come un'altra di far baldoria e comunella. C'erano andati un po' tutti, anche gente che nessuno conosceva. Al loro solito, Mia e Raiden si erano stuzzicati per tutta la sera, finendo inevitabilmente per appartarsi nel primo luogo utile: un angusto stanzino adibito agli oggetti delle pulizie e ubicato oltre una porticina all'interno della stanza di Gabriela. « CE NE STANNO DUE DI FILE DI CASSETTI, GABRIE'! » La voce di Antonio li impietrì, portandoli a frenare di colpo i loro movimenti per non farsi sentire dall'amico. Gli sarebbe importato? Probabilmente no. Probabilmente non avrebbe fatto nulla in ogni caso, ma Raiden non voleva nemmeno che quei rumori rendessero il loro successivo ritorno alla festa un affare di Stato accolto da gomitate, occhiolini e battutacce. Così si arrestarono di colpo. Nello spazio angusto, la luce accesa della stanza adiacente gettava un leggero chiarore che disegnava i contorni dei loro tratti nella penombra. Stretti tra quelle quattro pareti che ne avrebbero imposto la vicinanza pur se non l'avessero voluta, quella mancanza d'aria sembrò farsi di colpo più evidente. Fermi, coi nasi che si sfioravano e gli occhi fissi gli uni negli altri in silenzio - in attesa. Così vicini da svuotarsi i polmoni a vicenda lo erano sempre stati, ma adesso era diverso. Non hai tempo di pensare quando ti muovi veloce, rincorrendo il piacere. Nel buio puoi sentire, ma non vedere. Quella battuta d'arresto, invece, li costrinse a vedere, e pensare. Li costrinse a rimanere così, immobili, a guardarsi l'un l'altra tra quei respiri ancora pesanti e i battiti cardiaci che non sembravano accennare a farsi più pacati. In quel momento di destabilizzante lucidità, Raiden sentì forse per la prima volta l'entità del campo magnetico che lo tirava verso di lei. Sentì di desiderarla tanto intensamente da non riuscire a farne a meno, anche a discapito di tutti gli altri suoi piani e convinzioni. Si fissavano senza dire nulla, semplicemente respirando l'uno l'aria dell'altro, ascoltandone i sospiri e i battiti, sentendone l'odore. Non succedeva nulla, ma succedeva tutto. Era così chiaro e lampante che nessuno dei due vedesse l'altro come una storiella passeggera. Era così evidente la disperazione con cui volevano aggrapparsi l'uno all'altra senza lasciarsi andare, ma anche con cui non volevano accettare coscientemente una simile idea. E allora si sporse in avanti e la baciò. Non si interrogò a riguardo: lo fece e basta, perché sentiva di non riuscire a trattenersi dall'avere di nuovo il sapore delle labbra di lei sulle proprie. I suoi pensieri un groviglio, da cui uno sembrava voler fuggire e rotolare per terra fino a guadagnare l'uscita. Uno che conosceva. E se gli avesse dato voce? Se glielo avesse comunicato? Avrebbero continuato a respirare, ad ascoltare musica, a ridere, a mangiare cibo scadente come prima? Una volta aperta la porta e tornati alla festa, si sarebbero rivolti la parola o ne avrebbero avuto paura? Se è terribile da soli, è sordido nella folla.

    « Ma io lo so che ti ho dato tante ragioni per crederci. Lo so.. Ho incolpato qualunque cosa per la mia indecisione. Mi sono comportata da vittima, ho costantemente soppesato i miei sentimenti in base ai giudizi della gente. Io ti ho messo sempre in discussione.. Mi dispiace. E mi dispiace di averti dato della merda.. non è vero. Non lo penso nemmeno un po'. Ti ho dato tantissimi motivi per non fidarti di me. Per credere a questa roba. Però.. » Quel sentimento non era mai del tutto svanito dal cuore di Raiden. Non l'amore, ovviamente. Quello lo aveva presto riconosciuto e accettato, donandolo interamente a Mia. Ma la paura. La paura di pronunciarsi. La paura di stare da solo in compagnia. La paura di essere sbagliato nella folla. Forse, più semplicemente, la paura di essere sbagliato.. e basta. Sbagliato per lei, e dunque anche per se stesso. Erano successe così tante cose tra loro; cose che a volte non avevano nemmeno deciso, ma erano semplicemente capitate. Il loro matrimonio, ad esempio. Non era in quella maniera che Raiden si era immaginato di sposarsi, ma alla fine aveva accolto quella cosa nella sua vita come una benedizione, dandogli il valore che meritava. Non era mai stato il tipo da dare peso ai cerimoniali, in fin dei conti. Mia invece? La situazione era più complessa per lei. Ogni tanto a Raiden sembrava come se lei volesse nasconderlo, quasi se ne vergognasse. A tratti aveva l'idea che lei volesse evitare il pensiero, che accettasse di essere sua moglie solo perché ormai ci si trovava e perché con lui comunque ci voleva stare. Lui lo voleva. Voleva essere suo marito, voleva sentirsi tale, voleva anche che lei ne fosse orgogliosa. Ma lei quella parola non la pronunciava, e quando lui lo faceva, in agguato c'era sempre il timore di una partita a scacchi. Di smettere di respirare, ascoltare la musica, ridere, mangiare cibo scadente come prima.. se avessi detto ciò che volevo. « ..io ti ho dato anche tanti motivi per non crederci. Abbiamo vissuto e sentito le stesse cose. Io ti ho seguito dall'altra parte del mondo, Raiden. Sono rimasta anche quando non avevo alcuna certezza - anche quando me l'hai resa davvero davvero difficile. Ho messo da parte il mio orgoglio e ho provato a prendermi cura di te anche quando non volevi lasciarmelo fare.. ho ignorato ogni tuo rifiuto, anche quando rischiavo di essere un accollo, perché io non ho mai voluto nessuno come voglio te. A volte ho proprio sentito la mia dignità che faceva crack, perché si presuppone che tu non debba mai stare dietro a qualcuno così tanto se non vuoi fare la figura del tappetino o della sottona. » Raiden sapeva come ci si sentisse. L'aveva provata più volte, quella sensazione: il lento disintegrarsi della sua dignità dietro ai compromessi e non detti che aveva usato per salvaguardare la felicità che provava nella sua compagnia. Comprimersi per non comprimere lei, come se i desideri che aveva in cuore fossero una minaccia da cui proteggerla, una verità sordida da cui schermarla. E se lo avessi detto? Se avessi detto che volevo tutti sapessero che eri mia moglie? Se avessi detto che con te ero pronto ad avere un bambino anche subito? Se avessi detto che lo desideravo? Una parte di lui aveva continuato a vivere in quello stanzino: a guardarla negli occhi, negandosi di chiedere a se stesso cosa sarebbe successo se le avesse detto che l'amava. Aveva sempre messo la scelta di tutto nelle mani di lei, ponendola di fronte a quella scelta come se lui fosse una parte neutrale, come se qualunque cosa lei avesse detto a lui sarebbe andata bene. Come se di desideri propri, lui non ne avesse. Per paura di spingerla, Raiden si era puntualmente negato di esprimersi, ma soprattutto di ascoltarsi. Ma in quel momento lo stava facendo. Ascoltava lei, e ascoltando lei, ascoltava anche se stesso. Non è una perdita di dignità anche questa? Questo mettere sempre i desideri altrui di fronte ai propri fin quando non senti il terrore di esprimerli? Fin quando non arrivi a vederti come una minaccia alla libertà dell'altro? Fin quando non finisci per giocarci a scacchi. « Però io ho sempre sentito che questa cosa ne valeva la pena. Poteva andare davvero male. Un sacco di gente se ne sarebbe approfittata. E se tu te ne fossi approfittato, probabilmente te lo avrei lasciato fare in ogni caso, perché le cose belle superano comunque quelle brutte. » Quando la mano di Mia alla sua guancia, Raiden non si ritrasse, ma tremò. Chiuse gli occhi, premendoli fino a sentirli bruciare come se non avessero palpebre. « Amore.. qualunque cosa sia questo posto, non siamo a casa nostra, ed io non posso chiederti di sentire. Ma ti prego, per favore, apri gli occhi e guardarmi. Io sono.. la tua ragazza.. ricordi? » Sull'orlo della follia. La logica gli diceva una cosa, e il sentimento tutt'altra. Il dovere e la volontà ancora una volta contrapposti. Avrebbe dovuto volerlo - sbatterla fuori di casa senza rimorso, facendo valere la propria dignità su delle emozioni che sentiva come suicide. Era la scelta più ovvia, quella più saggia, e anche quella che avrebbe maggiormente dovuto salvaguardare il suo cuore dall'infrangersi nuovamente in mille pezzi. Avrebbe dovuto scegliere di alzare la guardia e non abbassarla mai più, imparando da quell'esperienza quanto persino uno come lui potesse facilmente essere ingannato dai propri stessi sentimenti. Ma la sola idea di non aver più Mia nella sua vita lo gettava nella disperazione, creando un circolo vizioso di frustrazione e umiliazione capace di portare alla pazzia. « E non importa se non siamo a casa. Tu sei comunque la mia casa. Ovunque.. » Per quanto cercasse di impedirselo, le lacrime cominciarono a sgorgare inevitabilmente dai suoi occhi serrati, scuotendo il suo corpo con i tremori di quel dilaniarsi che sentiva nel petto. Si sentiva debole, come preda dell'amore che provava nei confronti di lei e che gli sussurrava all'orecchio di credere a quelle parole che chiunque altro all'esterno avrebbe giudicato come menzogne. « ..e io mi accollerò ancora finché non mi vedrai di nuovo. Perché per me ne è sempre valsa la pena. Dal primo istante. Quindi ti prego.. ti supplico, Raiden. Guardami. Non sarò perfetta, però io sono sempre stata completamente e incondizionatamente tua.. dal primo momento. E non c'è un solo mondo parallelo in cui questa cosa può cambiare, perché io ti amo da morire. » Se avesse detto che non l'amava? Se avesse trovato la forza di costringersi a crederlo, se avesse pronunciato quelle parole false per paura di rimanere ferito di nuovo - allora avrebbero potuto respirare? Il suo corpo si sarebbe rilassato e la vita avrebbe continuato a scorrere - la ruota a girare? La ruota. Anche loro vivevano legati alla ruota come gli abitanti dei quartieri alti di Tokyo? Ingabbiati in un moto ricorsivo degli stessi scenari, delle stesse situazioni, degli stessi atteggiamenti che li rendevano prigionieri di una realtà a spirale. Siamo legati alla ruota.

    Aveva seguito Eliphas per tutto il tempo, rimanendo in silenzio alle sue spalle, con le braccia incrociate al petto e la fronte aggrottata nell'osservarlo fare le sue magie sulla casa. Non ci capiva molto di quella roba, Raiden. Lo vedeva borbottare cose senza senso in una lingua sconosciuta, tracciando segni che brillavano di azzurro intenso fino a dissolversi una volta completati e così via per tutta la dimora. Ci aveva messo tre ore buone a ricoprire tutto il perimetro, accertandosi che non ci fosse nemmeno un angolo cieco in quel fitto reticolo di sigilli che aveva creato. Una volta finito, offrirgli un po' di ristoro per ringraziarlo della quantità di energie spese nella loro protezione gli sembrò il minimo. Gli preparò un po' di riso, e a fine pasto mise su il caffè, mentre lo warlock cercava di alleggerire l'aria facendo conversazione. « Hai detto che siete stati al quartiere. » Fece una pausa, sospirando. « Mi dispiace che le circostanze non fossero le migliori. Dovreste tornarci per visitarlo meglio. È un bel posto. Credo lo trovereste molto curioso. » Raiden stirò un sorriso gentile, allungando ad Eliphas la tazza di caffè fumante. « Curioso è un eufemismo. Sai.. non sono abituato a bar gestiti da goblin. » A quelle parole, lo warlock scoppiò a ridere. Quella visione sembrava divertirlo, come se tramite Raiden vedesse il mondo attraverso gli occhi di un bambino. « Però fanno un ottimo caffè, devi ammetterlo! In quale sei stato? » « Mh.. non ricordo il nome. Come logo però aveva la ruota. Quella dei tarocchi. » Eliphas aggrottò per un istante la fronte, puntando lo sguardo interrogativo in quello di Raiden, come se non avesse idea di cosa stesse dicendo. Poi la fronte si distese, e annuì. « Intendi il Taro. » Fece una pausa. « In realtà non ha un logo. Cioè.. non ne ha uno, ma molteplici. Ciascuno ne vede uno diverso in base alla propria fortuna - in questa maniera la teniamo sempre sott'occhio. Se a te è capitata quella carta nel logo, significa che è la tua.. in questo momento, quanto meno. » Di tarocchi, Raiden non se ne intendeva. Aveva sente guardato con un certo sospetto alla Divinazione - una scienza (se così si poteva chiamare) incerta e labile. Dubitava che il destino potesse veramente essere predetto. « Significa che mi comprerò presto una macchina? » Chiese ironico, sebbene una punta di scetticismo fosse evidente nel suo tono di voce. Eliphas, però, non sembrò volerla affatto prendere sullo scherzo - era evidente che lui ci credesse. Puntò quindi lo sguardo in quello di Raiden, serio. « Rappresenta la mutevolezza del destino, l'alternarsi di fortune e sfortune. La vita è un eterno ricominciare. Questo movimento ciclico è necessario, ma può rendere prigionieri della ripetizione. Fin quando non si risale al cuore, entrando a contatto con la parte più profonda del sé e accettandosi, si sarà destinati a ripetere i medesimi eventi. E si rimarrà.. per sempre legati alla ruota. » Prese un sorso di caffè, facendogli intendere che non avesse finito, e poi riprese. « L'acqua rappresentata al di sotto indica la rigenerazione - o la possibilità di essa. Per uscire, non bisogna spezzare la ruota. È necessario concludere il ciclo e dare inizio a uno nuovo. Altrimenti, temi la morte per acqua. »

    Temi la morte per acqua. L'aveva presa un po' sul ridere, Raiden, come l'ennesima stramberia warlock. Che cosa voleva dire? Perché doveva temere la morte per acqua? Avrebbe dovuto smettere di andare in piscina? Lo trovava assurdo e insensato, come tante altre diavolerie che emergevano da certe pratiche divinatorie. Eppure in quel momento, quando quelle parole affiorarono involontariamente tra i suoi pensieri - Siamo legati alla ruota. - i ricordi lo trasportarono alla conversazione con Eliphas. E il senso affiorò. Temi la morte senza resurrezione. Temi l'acqua che non rigenera. Temi di annegare in te stesso. 'Per uscire, non bisogna spezzare la ruota. È necessario concludere il ciclo e dare inizio a uno nuovo'. Pensieri incoscienti, appesi in grappoli in qualche angolo buio del suo subconscio, che gocciolavano uno ad uno nella sua consapevolezza. Ricordò, ma non collegò, non volontariamente, non su un livello cosciente. Istintivo, come il legame tra natura animale e mentale che contraddistingueva l'essenza dell'uomo nell'icona della ruota. Parti del sé che non potevano rimanere conflittuali. « Dove siamo? Se non siamo a casa, dove siamo, Mia? » Quelle parole uscirono dalle sue labbra come un singhiozzo, un'esalazione disperata nel pianto. « Io e te.. dove siamo? » Domande, quelle, che non volevano chiederle in quale punto geografico o metafisico fossero ubicati. Era diverso il quesito. Più profondo, più metaforico. Aprì gli occhi appannati da lacrime, fissandoli disperati in quelli di lei, pronti a traboccare di pensieri, negazioni, imperativi e non detti. « Se pure tutto questo fosse falso..
    A64Vzy9
    dove ci collochiamo noi? Se pure dovessimo uscirne, dove ci troveremmo? »
    A casa nostra, senza mai essere veramente a casa? Insieme ma da soli - ciascuno dal proprio lato della scacchiera, più in confidenza con gli uomini d'avorio che tra di noi? « Nella paura. Io ho paura. Ne ho sempre avuta, con te. » Faceva male dirlo ad alta voce - ammetterlo a se stesso. Aveva il gusto dell'umiliazione mentre rotolava giù dalla sua lingua. Ma erano probabilmente le parole più vere che avesse mai rivolto a Mia. « Ho paura di allontanarti. Ho paura che tu mi rifiuti, che tu mi giudichi. Ho paura di farti pressione. Ho paura di diventare la fonte della tua infelicità. E ho paura anche che tutte queste paure finiscano per farci diventare due estranei. » A cosa pensi? Io non so mai a cosa pensi. Penso di saperlo, e poi tu spazzi via le mie sicurezze appena faccio un passo avanti. E mi ritrovo di nuovo all'inizio del percorso. Io pensavo di sapere cosa volessi. Pensavo di essere come quelli che sapevano esattamente cosa provare e cosa pensare. Ma in questo momento sento di non sapere più nulla di me o di te o di noi. Aveva la voce spezzata dal pianto, graffiante sulla gola. Gli occhi rossi di lacrime che bruciavano come tizzoni ardenti. « Ho avuto paura di dirti che ti amavo. Ho avuto paura di dirti che io non lo volevo nascondere il nostro matrimonio. Ho avuto paura di dirti che volevo un bambino. » Tentò di respirare tra quelle lacrime che scendevano copiosamente lungo le sue guance. Un respiro affannato, come se stesse cercando di prendere ossigeno dopo essere stato troppo a lungo sott'acqua. « L'ho sempre fatto per proteggere te. Perché forse le volevi davvero quelle cose - fare esperienza, essere libera, fare tutte le cose che fanno i tuoi compagni - e io ero quello a mettersi di traverso. » Un altro respiro. Doveva nuotare. Doveva rimanere a galla per non annegare. Temi la morte per acqua. « E a me fa paura che tu le possa volere, perché vorrebbe dire che non vogliamo le stesse cose.. che non siamo compatibili. Ti ho sempre detto che a me stava bene tutto, perché l'unica scelta che non volevo veramente darti era quella di scappare. Ma a me non sta bene tutto. A me non sta bene che quando mi presenti a qualcuno non dici che sono tuo marito. E non mi sta bene dirtelo così perché avrei voluto che fosse una cosa genuina - non qualcosa per far contento me. » Fece un passo in avanti verso di lei, stringendo le dita attorno al suo polso per portarsi la mano di lei al petto. Movimenti che volevano essere dolci e tenui, ma che si presentavano comunque a scatti, preda del nervosismo, della paura e del pianto che non riusciva a controllare. Teneva gli occhi fissi nei suoi, come se sperasse che in questa maniera le sue parole confusionarie potessero acquisire un senso per lei. Io non riesco mai a farti capire. Non riesco mai a dire le cose come vorrei, quando le voglio dire. « Se io scegliessi di giocarmi l'ultimo brandello di dignità che mi è rimasta. Se scegliessi di credere a te che ti trovi qui di fronte a me, e non alla tua voce o al tuo viso su quello schermo - dove ci troveremmo? Sarei tuoi marito o il ragazzo che ti sei sposata da ubriaca? Tu saresti mia moglie o la persona che tengo intrappolata al mio fianco? » Un singhiozzo scosse il suo petto mentre vi stringeva più forte la mano di Mia, come a volerle comunicare quel dolore pur non potendo farlo tramite i soliti mezzi. L'assenza del legame lo costringeva a dire, a sentire e ascoltarsi, ma anche a farsi ascoltare. « Io so che mi ami - deve essere che mi ami! Ma non so mai cosa pensi, o cosa vuoi. Non so se mi ami come io vorrei che tu mi amassi - come tutte quelle cose che i tuoi compagni non capiscono. Ed è terribile, stare da soli con un'altra persona. »



    Edited by thunderous - 23/11/2021, 04:37
     
    .
  11.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    Chiunque conoscesse Mia Wallace tutto avrebbe detto di lei tranne che fosse una persona insicura. Non lo era. Il più delle volte. Mia non si permetteva di diventare insicura, e in fondo, non teneva mai a nulla abbastanza da diventare insicura e se anche ad alcune persone teneva davvero tanto, non erano mai il genere di persone che potessero crearle insicurezze. A Mia piaceva essere così, un po' menefreghista, sopra le righe, apparentemente intoccabile. Non c'era offesa che potesse ferirla, o insulto che potesse veramente mortificarla. Non c'era giudizio che avesse il potere di farla ritrarre. A ben guardare in molto ascrivevano tutto quel corredo di noncuranza a una grandissima superficialità. E forse superficiale Mia voleva esserlo davvero. Perché era davvero più semplice. Era semplice non affezionarsi mai a sufficienza e far finta che nulla fosse davvero abbastanza importante da poterle fare del male. Non potevano farle dal male gli insuccessi accademici, o le delusione amorose, le amicizie fallimentari oppure i troppi rimproveri ricevuti da sin troppe persone più grandi di lei. Mia sembrava così sicura di sé da sfiorare la stupidità. Ma era davvero così stupida? O era solo piccola? Impaurita? Un po' entrambe, ma la verità era che più di tutto, Mia era terrorizzata dall'idea di fare i conti con se stessa e col mondo che la circondava. In fondo, ammettere di volere cose specifiche, significava anche essere pronta ad assumersi delle responsabilità. E lei di quelle responsabilità aveva paura. Aveva paura di fallire, di disattendere le altrui aspettative. Se non fai niente, la niente non può chiederti niente. Non può aspettarsi niente. Quel castello di carte, tutte le stupide certezze a cui si era aggrappata per diverso verso, così come la percezione di sé a cui si era abituata, erano tutte crollate nel momento in cui aveva conosciuto Raiden. Si era detta che sarebbe andata come al solito - lo avevano pensato a maggior ragione i suoi amici. Un innamoramento precoce che sarebbe finito con la stessa velocità con cui era iniziato. D'altronde Mia parlava a Shai e Veronica alemno una volta al mese di un nuovo colpo di fulmine. Perché quella volta sarebbe dovuta andare in maniera differente? Che la giovane Wallace non avesse voglia di legarsi era evidente dal modo in cui trattava qualunque interesse vagamente amoroso a cui andasse incontro. Non lo faceva consapevolmente; semplicemente si stancava, o se non lo faceva, prima o poi iniziava ad autosabotarsi pur di non dover veramente andare incontro a qualcosa di vero. Con Raiden era andato tutto al contrario. Nel suo non pensarci, non aveva fatto altro che avvicinarsi, convincendosi che in quanto amici, tutto sarebbe stato più semplice. Con lui non provava imbarazzo, né sentiva il bisogno di allontanarsi, semmai faceva l'esatto contrario. Quando Alyssa mi ha detto che eri andato a letto con Gabriela io ci sono rimasta malissimo. Mi sono convinta del contrario, perché anche lì, era più semplice fare finta di niente. Ma ci sono rimasta di merda. E mi sono convinta del contrario. Però io volevo solo vederti. Volevo guardarti negli occhi per capire se mi fossi immaginata tutto. Dopo quella notte allo studentato io ero su di giri; accidenti, non toccavo terra, mi sentivo come se avessi vinto alla lotteria, nonostante non fosse successo nulla. Per tutti, quella era solo una scopata. Ma io non volevo che fossi così. Ciò che era successo, sotto quelle lucine colore nella penombra di quella stanzetta piccola, non potevo essermelo immaginata. Dopo la lite con Alyssa erano partite le prime insicurezze. E poi sono andata via. Quella notte. Dopo il cinema. Anche lì dentro è successo molto di più. Ci siamo a malapena sfiorati e poi ci abbiamo riso sopra. Ma io ho sentito molto di più. E l'hai sentito anche tu. E poi mi hai mandata via. E le incertezze sono aumentate. Più conosceva Raiden, più aveva l'impressione di conoscerlo affatto. L'assenza di comunicazione che regnava tra i due e l'affidarsi unicamente alle forti sensazione che percepivano l'uno nei confronti dell'altra, non faceva altro che aumentare il mare di fraintendimenti tra loro. Crescevano i sentimenti, l'amore e l'adorazione, ma a ciò, tra Mia e Raiden non corrispondeva un maggior dialogo. Semmai, sembravano convincersi che quella unione simbiotica poteva supplire a tutto il resto; alla loro incapacità di raccontarsi, al loro non saper spiegare all'altro cosa desiderassero e cosa non andasse. Pur amandolo e di più e pur avendo sempre più voglia di stare con lui, Mia, in quei mesi non aveva fatto altro che accumulare un mare di insicurezze e paure, che si stratificavano al di sopra di una personalità già traballante di suo. E tutto ciò li aveva portati a quel momento. A quella domanda. « Dove siamo? Se non siamo a casa, dove siamo, Mia? Io e te.. dove siamo? » Accolse quella domanda in apnea. Non si era aspettata né il fiume di lacrime sulle guance di lui, né tanto meno il dover rispondere a una domanda così ampia e vaga. Dove fossero non l'aveva mai capito, forse perché pur parlando di tanti piani e tante cose che volessero fare insieme, Mia e Raiden non parlavano mai di come realizzarli, o di quando farlo. Lei sfuggiva, impaurita di non essere all'altezza, e lui dal canto suo quelle insicurezze non le frenava mai, rassicurandola sul fatto che prima o poi quel vortice che avesse in testa si sarebbe quietato. Mia, dal canto suo, a livello subconscio, sapeva che il problema non era quello. Non era una questione di quando, bensì di come. « Se pure tutto questo fosse falso.. dove ci collochiamo noi? Se pure dovessimo uscirne, dove ci troveremmo? Nella paura. Io ho paura. Ne ho sempre avuta, con te. » Tu.. hai paura? Quella rivelazione non se la sarebbe aspettata. Strabuzzò gli occhi tirando su col naso, osservandolo con un'accenno di incredulità. No. Senti! Non sei tu ad avere paura. Sono io ad aver paura. Tu non hai proprio niente di cui aver paura. Nella sua ingenuità Mia aveva sempre visto Raiden come quello sicuro di sé, l'impavido, quello che non temeva assolutamente nulla e che di certo, considerato il grado di appiccicume che Mia aveva dimostrato, doveva proprio pensare di averla in tasca. Non lo aveva pensato in un'ottica maligna, né si era concessa di pensare troppo a tutto ciò, per tentare di preservare il suo amor proprio, ma su un certo livello del fatto che lei fosse una sorta di cagnolino che gli andasse dietro scodinzolando di continuo era certa. Su un piano subconscio, forse non dare troppo peso al loro matrimonio in pubblico era il suo modo di preservarsi. Se tutto fosse andato male, se Raiden si fosse stancato di essere così paziente e infine avesse deciso che lei non faceva al caso suo, le sarebbe rimasto al meno il pubblico. Avrebbe potuto raccontare che era una così per scherzo, e avrebbe mantenuto la faccia e la dignità almeno agli occhi degli altri, pur morendo dentro. « Ho paura di allontanarti. Ho paura che tu mi rifiuti, che tu mi giudichi. Ho paura di farti pressione. Ho paura di diventare la fonte della tua infelicità. E ho paura anche che tutte queste paure finiscano per farci diventare due estranei. Ho avuto paura di dirti che ti amavo. Ho avuto paura di dirti che io non lo volevo nascondere il nostro matrimonio. Ho avuto paura di dirti che volevo un bambino. » Nonostante non potesse percepire cosa si celava nell'animo di Raiden, quelle parole erano in grado di suscitare in lei molto più di quanto avessero fatto mille sensazione. E infatti, per quanto ci provasse, non riusciva a interrompere il fiume di lacrime che ormai scorreva sul proprio volto. La candida espressione di una bambina triste che faceva i conti tanto con le paure di Raiden, quanto con le proprie. Una relazione basata sui non detti la loro, guidata da un sentimento abbastanza forte da mantenerli saldi nelle loro convinzioni, ma non abbastanza da spingerli ad aprirsi a sufficienza. Sotto il peso di quelle lacrime, Mia vedeva ora Raiden sotto una luce completamente differente. Le aveva permesso di vedere le sue fragilità mentre si trovavano in Giappone, ma nonostante ciò, non ha mai pensato che quest'ultime potessero estendersi all'interno della loro relazione. Era certa di avergli dato abbastanza certezze, di certo, lei nei confronti di Raiden non aveva mai alcun dubbio, né aveva mai considerato l'idea che il loro matrimonio potesse giungere a un punto del non ritorno. Si era convinta che le paure e le fragilità che aleggiavano tra loro erano unicamente le sue, e che dovesse forzarsi a risolverle da sola. Si metteva tante pressioni in merito, Mia, e puntualmente andava in crisi perché aveva l'impressione di non metterci mai abbastanza, di non essere mai all'altezza. Ma era confusa, e il più delle volte aveva l'impressione di dover giocare a fare l'indovino. Pensava che Raiden insistesse affinché lei risolvesse le sue insicurezze col tempo, perché in fondo lui per primo volesse prendersi del tempo. Poi ad un certo punto non ci siamo più capiti. E Mia sapeva per quale ragione non aveva più tentato di capire. Aveva avuto paura di portarlo ad allontanarsi. Non voleva essere rifiutata. Non voleva sembrare troppo appiccicosa. Raiden non voleva parlare di tante cose, e anche quando lo faceva, Mia, si sentiva come se lo stesse forzando, come se lui lo avesse fatto per lei ma contro la propria volontà. Andare oltre le faceva sempre paura. Dire cosa pensasse e cosa volesse fino in fondo la terrorizzava. Un po' per paura di non esserne all'altezza, un po' perché temeva che l'avrebbe forzato a fare qualcosa che non volesse. Mai avrebbe immaginato che quelle stesse paure trovassero un riscontro in Raiden. Eppure io credevo di essere trasparente. E lo era. Tanto quanto lo era Raiden. Ma nella loro trasparenze, l'uno ricorreva a ben poche specifiche, l'altra peccava di poca chiarezza - che in fondo, portava pressoché allo stesso risultato. « L'ho sempre fatto per proteggere te. Perché forse le volevi davvero quelle cose - fare esperienza, essere libera, fare tutte le cose che fanno i tuoi compagni - e io ero quello a mettersi di traverso. » Non lo aveva mai percepito in quella maniera. Aveva sì, desiderato delle cose che non poteva avere, ma a ben guardare, Mia passava ormai poco tempo con i suoi amici. Vedeva regolarmente Veronica e a volte si fermava addirittura a dormire da lei, ma per lo più persino quando le due si vedevano, sceglievano passatempi davvero stupidi, tipo giocare a briscola per tutta la notte. Le serate fuori con il resto del gruppo, Mia voleva comunque passarle con Raiden, voleva ballare con lui, stare insieme a lui, e si divertiva. Non c'era nulla che non potesse fare con Raiden. « E a me fa paura che tu le possa volere, perché vorrebbe dire che non vogliamo le stesse cose.. che non siamo compatibili. Ti ho sempre detto che a me stava bene tutto, perché l'unica scelta che non volevo veramente darti era quella di scappare. Ma a me non sta bene tutto. A me non sta bene che quando mi presenti a qualcuno non dici che sono tuo marito. E non mi sta bene dirtelo così perché avrei voluto che fosse una cosa genuina - non qualcosa per far contento me. » L'improvvisa vicinanza di lui, la fece sussultare e deglutire mentre scuoteva la testa come a volergli comunicare qualcosa silenziosamente. Non è così. Io voglio te. Ma non parlò. Lo lasciò finire. Gli diede tutto lo spazio di cui aveva bisogno mentre metabolizzava tutta quella serie di informazioni che non si sarebbe minimamente aspettata. « Se io scegliessi di giocarmi l'ultimo brandello di dignità che mi è rimasta. Se scegliessi di credere a te che ti trovi qui di fronte a me, e non alla tua voce o al tuo viso su quello schermo - dove ci troveremmo? Sarei tuoi marito o il ragazzo che ti sei sposata da ubriaca? Tu saresti mia moglie o la persona che tengo intrappolata al mio fianco? Io so che mi ami - deve essere che mi ami! Ma non so mai cosa pensi, o cosa vuoi. Non so se mi ami come io vorrei che tu mi amassi - come tutte quelle cose che i tuoi compagni non capiscono. Ed è terribile, stare da soli con un'altra persona. » Tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento era annullare le distanze, abbracciarlo e chiudere quella conversazione. Ma a quel punto non era ciò di cui avevano bisogno. Mia e Raiden avevano bisogno sì di affetto, ma quello, tra loro non era mancato. Ciò che mancava era una sana dose di sincerità. Mettere tutto sul piatto. Senza remore. Senza vergogna. Si passò quindi il dorso della mano sotto gli occhi, prima di raggiungere le nocche di lui che stringevano il suo polso con la mano libera. Rimase lì per qualche istante, a osservarlo e deglutire, cercando di trovare almeno per una volta le parole giuste. Non voleva confonderlo; per una volta, voleva impegnarsi a fare la cosa giusta, a dire esattamente ciò che non riusciva mai a esprimere nella maniera corretta. Eppure non riuscì a resistere, e allungò sufficientemente la mano per passargli il pollice su una guancia e poi sull'altra, asciugandogli alcune lacrime bollenti. « Ok.. uhm.. allora.. » Scosse la testa, obbligandosi a frenare la lingua prima di iniziare a rigettargli addosso un fiume di parole senza senso.
    87bfc126d7e13fea60225abe5bb1c9c273f4ecff
    « Io.. ci ho messo un sacco a fare i conti col tuo prendere le distanze. No. La verità è che non l'ho mia fatto. Non l'ho mai davvero capito e mi ha creato un sacco di problemi. » Dubbi. Insicurezze. Si stringe nelle spalle e scuote la testa mentre la voce le trema appena. Scocca la lingua contro il palato e solleva lo sguardo verso l'alto. Ha un sapore di sconfitta, ammettere tutto ciò. Prova vergogna nell'uscire allo scoperto come una di quelle ragazze appiccicose che a lungo ha criticato. « E magari una ragazza più sicura di sé lo capirebbe. Capirebbe che quando le cose si mettono male tu vuoi prendere le distanze e fare le cose a modo tuo. A me invece ha solo creato problemi. Anche a capirci.. come coppia sposata. E lo so che ti ho detto che mi va bene e ne abbiamo parlato, ma la verità è che non mi va bene. Mi confonde e mi porta a pensare finché non mi incarto. Mi fa ancora paura. Mi sono sentita.. rifiutata.. scansata. Di troppo.. » Ed era successo più di una volta. La notte in cui erano andati a vedere Dirty Dancing, e durante l'estate appena passata. In tutte quelle occasioni, Mia aveva interiorizzato l'allontanarsi di Raiden come una forma di rifiuto. Se voleva restare al suo fianco doveva accettare quei suoi atteggiamenti, pur non riuscendo a farseli andare giù. Ma tacere, non aveva fatto altro che portarla a farsi idee sbagliate, a pensare che lui le richiedesse cose che lei interpretava sempre come un esercizio di controllo. « Io.. ho tanta paura di non essere al'altezza. » Mi vergogno di ammettere che magari non sono così sicura di me come pensavo.. non abbastanza da accettare tutte quelle cose che tu ti aspetti da me quando decidi di metterti addosso il peso di tutto il mondo. Tira su col naso e sospira. « Ho paura di insistere, perché non voglio essere rifiutata e ho paura di chiederti tante cose, perché mi secca da morire l'idea che tu possa pensare che sono una bisognosa. Magari ti ho dato l'idea di essere una che ha tutto sotto controllo e che può incassare di tutto. » Si morde il labbro inferiore e lo osserva con un'espressione frustrata. « Tu hai tutta l'aria di avere tutto sotto controllo, Raiden.. e io non ce l'ho. E mi fa paura mostrartelo, perché mi dico sempre che prima o poi la tua pazienza finirà e boh.. deciderai di.. » ..lasciarmi. Cosa farei se mi lasciassi? « Io ho paura che un giorno mi dirai che ti sei stancato. Che vuoi una tipa più intelligente, più ambiziosa. Indipendente, ecco. E io voglio essere indipendente.. tantissimo, però non riesco a essere indipendente con te. E ho paura che un giorno realizzerai che in realtà volevi una che riesce a tenersi le sue cose per sé senza ammorbarti. E mi secca! » Mi secca davvero un casino. Un disappunto che esprime corrugando la fronte. È arrabbiata con se stessa. « Mi secca pensare che potrei darti fastidio o spingere troppo e portarti a pensare che lo faccio solo per me - per non sentirmi inutile e fuori posto. » C'è tanta disperazione nel modo in cui si agita, cercando di dirgli quello che pensa. Io mi sono sentita così ecco. Quindi si.. è terribile stare da soli con un'altra persona. E seppure di tutte quelle cose ne avevano parlato, Mia, gli strascichi se li portava addosso, e il terrore di parlare di quel periodo le era rimasto, anche quando le cose erano tornare alla normalità. Era diventata più timida, più incline e tacere i suoi desideri, meno propensa a proporre iniziative disparate. L'estate appena passata l'aveva impaurita, resa più timorosa. Aveva avuto un assaggio di cosa potesse essere la vita senza Raiden e non le era piaciuta affatto. « La notte in cui ti ho chiesto come facessi a chiudere tutto poi.. ho capito che forse era ciò che volevi. Che io smettessi di essere una seccatura. Io volevo.. chiudere tutto. Però ci sono rimasta comunque male, perché volevo solo stare con te.. » Abbassa lo sguardo a quel punto Mia. Sente gli occhi bruciarle, e una nuova ondata di lacrime pronta ad annebbiarle le lacrime. « ..toccarti.. parlarti. Volevo solo dirti che mi mancavi e basta. Però avevo paura, perché mi avevi già detto di no e io mi ero sentita così stupida per averci provato. » Solleva nuovamente lo sguardo nel suo stringendosi istintivamente nelle spalle mentre si passa il dorso della mano sotto il naso. Poi di colpo, lo sguardo ricade sul maledetto cellulare incriminante. Non era il suo, o se lo era, di certo ciò che vi aveva letto, lei non l'aveva mai scritto. « Quest'estate io quelle cose le volevo fare. Andare a bere, ubriacarmi, finire a scopare chissà dove, fumarmi qualche canna e.. perdermi. » Si. Lo volevo davvero. Volevo essere libera. Non mi sarei affatto divertita, ma volevo comunque dimenticare. « Io queste cose volevo farle con te però, non con un tizio a caso. E vorrei farle ancora. Ma magari ora tutto ciò per te è infantile e fuori luogo, perché siamo sposati e tu ti aspetti che io mi comporti come una signora. » Forse aveva un'idea distorta, dovuta a ciò che i suoi coetanei associavano all'idea di matrimonio. Si trovava divisa su tutto ciò; da una parte c'erano quelli de il matrimonio è la tomba dell'amore e poi c'erano Raiden e Mia che passavano le serate a mangiare ramen, ascoltare musica e ridere fino alle lacrime. Avrebbe voluto conciliare quelle due visioni, contraddire quella di chi aveva un'idea superficiale del matrimonio. Perché non è così. Noi facciamo tutto. E non siamo più seri di prima, e neanche meno affiatati. Anzi. « Però io non voglio essere libera ok? Non mi va.. e non voglio che tu abbia paura perché.. perché secondo me, noi non ci siamo proprio capiti. Io non ho mai detto che non volevo un bambino. E quando mi hai chiesto di non parlarne più io ti ho detto che andava bene sul momento, però io volevo parlarne ancora. Ne voglio parlare.. perché lo voglio un bambino. » E lì la voce le trema ancora mentre sfida il suo sguardo con più sicurezza nonostante l'emotività spazzi via gran parte del suo aplomb. « Io ci voglio stare con tutte le scarpe.. davvero. È solo che ho paura di non essere all'altezza né come moglie, né come madre. Questo però non significa che non lo voglio. Io con te le voglio davvero tutte queste cose.. » Pausa. « ..perché ho scelto di stare con te. » E lì, Mia compie un ulteriore passo intrecciando le dita di entrambe le mani a quelle di lui, portandosele al petto, mentre lo osserva con un'espressione che si sta lentamente rischiarendo almeno un po'. Sente di aver detto almeno in parte - a modo suo - ciò che pensa. « Io non mi sento come se mi fossi sposata per caso. Abbiamo scelto di restare insieme. Perché ci amiamo. Forse.. dobbiamo solo imparare a.. a dire le cose. Non so. Io.. » La voce di Mia trema. Ha bisogno di chiedere permesso, come se non fosse certa di aver davvero detto le cose giuste. Non riesce a fare a meno di accarezzargli nuovamente le guance asciugandogli le lacrime. « ..vorrei solo abbracciarti.. e dirti ancora che non è vero. E vorrei farti smettere di piangere e darti un bacio. » Abbassa lo sguardo Mia, scuotendo la testa. « Posso.. anche se magari non mi credi ancora? Per favore. »



     
    .
  12.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    Il fatto che Raiden non fosse bravo a parlare di sé era ormai una di quelle ovvietà che aleggiava all'interno della loro relazione dal momento in cui era iniziata. Ma anche al di fuori di essa, tutti coloro che fossero abbastanza vicini al ragazzo lo sapevano altrettanto bene. Il problema, però, si trovava a monte. Non c'era solo il fattore della comunicazione come valore mai davvero impartitogli, ma c'era di più. Come più o meno ogni uomo sulla faccia del pianeta, a Raiden non era mai stato insegnato quanto importante fosse entrare in contatto con i propri sentimenti, riconoscerli, capirli e accettarli; piuttosto sembrava quasi che il mondo gli chiedesse l'esatto contrario - di non averli affatto, o comunque di nasconderli bene per non risultare troppo emotivo. C'era sempre una pretesa di oggettività in ciò che faceva e nel modo in cui guardava a se stesso, come se tutto quanto dovesse rispondere a stretti e definiti criteri logici. Una scarpa troppo piccola, quella, che nessun essere umano poteva illudersi di calzare. Stipare e ignorare non era mai stata la soluzione a nulla, eppure Raiden lo faceva lo stesso. Lo faceva perché altrimenti si sarebbe sentito un fallimento, un peso agli altri, qualcuno di talmente debole da non poter tenere a bada nemmeno se stesso. E questo - questo invece gli era stato insegnato a più riprese, con le buone ma soprattutto con le cattive. Era solo una questione di fortuna e carattere se il giovane Yagami non ne era uscito completamente rovinato, come un uomo incapace di affetto e brusco nei modi. La sua natura, almeno in parte, era prevalsa, creando un mix che sembrava essere più tossico per lui che per gli altri. La colpa non veniva mai proiettata verso l'esterno e scaricata sugli altri, ma piuttosto veniva rivolta a se stesso con la stessa violenza con cui tanti altri suoi colleghi invece la sprigionavano sul prossimo. Raiden saltava a pie' pari lo step dell'autoanalisi per arrivare direttamente all'autocritica, aggiungendo su di sé anche la colpa di cose che una colpa non avrebbero mai dovuto esserla. Con Mia era venuto meno a quelle regole per ben tre volte: una la notte in cui era partito per il Giappone, un'altra dopo la festa al palazzo del governo, e la terza quella sera. E ogni volta, Raiden non aveva mancato di sentire il flusso di vergogna e odio verso se stesso che accompagnava quelle situazioni. Le aveva detto che ci avrebbe lavorato, che avrebbe provato ad essere diverso, e l'impegno ce lo aveva effettivamente messo nel cavarsi fuori certi denti; facile, però, non lo era affatto. Non quando il tuo corpo porta ancora su di sé la memoria di quanto subito. Anche quelle parole erano state uno sforzo continuo, un lottare contro il sentimento nauseante di essere sbagliato, di non essere degno di rispetto, attenzioni o affetto. Dire di aver paura non era un gioco da ragazzi per Raiden, non era qualcosa che riusciva a proferire come se fosse semplicemente qualcosa di salutare da comunicare al proprio partner. Ai suoi occhi era una sconfitta, oltre che l'ennesima degradazione di fronte alla persona per cui più voleva essere impeccabile. Lo aveva pensato a casa loro, lo aveva pensato quella notte in Giappone e lo pensò anche adesso: perché mai Mia, o una qualsiasi persona, avrebbe dovuto accettare di rimanere al suo fianco? Perché mai quelle ammissioni non avrebbero dovuto creare disgusto nel cuore dell'americana? Di motivi per andare a ridere di lui con le sue amiche, a parer suo, Mia ne aveva a bizzeffe. Un insicuro, Raiden non lo era mai stato, ma quei momenti ce lo facevano diventare per via di un processo quasi patologico a cui non era poi tanto semplice venire a capo. A quel punto non sapeva nemmeno cosa aspettarsi da Mia e se aspettarsi qualcosa. Si sentiva in colpa per aver detto quelle cose che tuttavia sapeva di dover dire, si sentiva fragile e si sentiva anche uno sciocco. Sentiva anche di non averle dette come intendeva, preoccupandosi di aver solo sortito l'effetto che aveva sempre tentato di evitare: mettere Mia alle strette, in difficoltà. « Ok.. uhm.. allora.. Io.. ci ho messo un sacco a fare i conti col tuo prendere le distanze. No. La verità è che non l'ho mia fatto. Non l'ho mai davvero capito e mi ha creato un sacco di problemi. » Annuì, tirando su col naso. Quello lo aveva capito. Aveva compreso di aver fatto del male a Mia quell'estate, quando aveva scelto di chiudere ogni contatto e trincerarsi in se stesso nel tentativo di gestire il dolore che la perdita del proprio cluster gli aveva provocato. Il suo intento non era mai stato quello di escluderla, ma il modo in cui Mia gliene aveva parlato gli aveva fatto capire che questo era il modo in cui lei l'aveva vissuta. E in fin dei conti, come poteva pretendere che fosse diverso? L'aveva lasciata senza uno straccio di appiglio, a fare i conti con qualcosa che lui gli aveva tolto dal giorno alla notte senza spiegazione alcuna. Mia aveva brancolato nel buio senza sapere cosa Raiden provasse, pensasse o volesse fare. Per questo le aveva chiesto scusa. L'americana lo aveva messo di fronte a una versione dei fatti che lui non aveva minimamente preso in considerazione, trascurandola. « E magari una ragazza più sicura di sé lo capirebbe. Capirebbe che quando le cose si mettono male tu vuoi prendere le distanze e fare le cose a modo tuo. A me invece ha solo creato problemi. Anche a capirci.. come coppia sposata. E lo so che ti ho detto che mi va bene e ne abbiamo parlato, ma la verità è che non mi va bene. Mi confonde e mi porta a pensare finché non mi incarto. Mi fa ancora paura. Mi sono sentita.. rifiutata.. scansata. Di troppo.. » Scosse il capo, aprendo la bocca come a voler dire qualcosa, a volerla rassicurare del contrario. Non era mai stato quello il suo intento, ma aveva agito male, e lo sapeva - era in grado di riconoscerlo. Però scelse di lasciarla parlare senza interromperla, dandole modo di articolare i propri pensieri. « Io.. ho tanta paura di non essere all'altezza. Ho paura di insistere, perché non voglio essere rifiutata e ho paura di chiederti tante cose, perché mi secca da morire l'idea che tu possa pensare che sono una bisognosa. Magari ti ho dato l'idea di essere una che ha tutto sotto controllo e che può incassare di tutto. Tu hai tutta l'aria di avere tutto sotto controllo, Raiden.. e io non ce l'ho. E mi fa paura mostrartelo, perché mi dico sempre che prima o poi la tua pazienza finirà e boh.. deciderai di.. Io ho paura che un giorno mi dirai che ti sei stancato. Che vuoi una tipa più intelligente, più ambiziosa. Indipendente, ecco. E io voglio essere indipendente.. tantissimo, però non riesco a essere indipendente con te. E ho paura che un giorno realizzerai che in realtà volevi una che riesce a tenersi le sue cose per sé senza ammorbarti. E mi secca! Mi secca pensare che potrei darti fastidio o spingere troppo e portarti a pensare che lo faccio solo per me - per non sentirmi inutile e fuori posto. » La tristezza che lo colpì a quelle parole sembrò spaccargli il petto. Lo colpì così forte perché forse, pur se in maniera e per motivi differenti, Raiden si sentiva alla stessa maniera, e non sopportava l'idea che anche Mia potesse provare un simile dolore. La paura di essere abbandonati, di non essere all'altezza delle aspettative e di deludere puntualmente il prossimo - quelle cose Raiden le capiva, e le provava tutte, una ad una. « La notte in cui ti ho chiesto come facessi a chiudere tutto poi.. ho capito che forse era ciò che volevi. Che io smettessi di essere una seccatura. Io volevo.. chiudere tutto. Però ci sono rimasta comunque male, perché volevo solo stare con te.. toccarti.. parlarti. Volevo solo dirti che mi mancavi e basta. Però avevo paura, perché mi avevi già detto di no e io mi ero sentita così stupida per averci provato. » Le lacrime continuarono a scendere sulle guance del ragazzo, che ancora una volta scosse il capo, con veemenza, incapace di fermare quel movimento quasi patologico. Io non volevo allontanarti. Non sei mai stata una seccatura per me. Pensavo solo.. che tu lo volessi. Quando mi hai chiesto quella cosa, ho pensato che tu provassi le mie stesse cose, che non volessi farti vedere dagli altri. E lo capivo, perché era ciò che io sentivo. Ho dato per scontato che per te fosse lo stesso. Pensavo di aiutarti. Pensavo.. pensavo di farti un torto a rifiutartelo. Io non volevo invalidare il tuo dolore. Ma evidentemente, il messaggio che era passato era tutt'altro, e Raiden aveva ben poco di cui stupirsi. Come poteva pretendere che fosse altrimenti? Non le aveva dato altre chiavi di interpretazione, in fin dei conti. « Quest'estate io quelle cose le volevo fare. Andare a bere, ubriacarmi, finire a scopare chissà dove, fumarmi qualche canna e.. perdermi. Io queste cose volevo farle con te però, non con un tizio a caso. E vorrei farle ancora. Ma magari ora tutto ciò per te è infantile e fuori luogo, perché siamo sposati e tu ti aspetti che io mi comporti come una signora. » Questo, lui non glielo aveva mai chiesto, né tantomeno lo voleva. Raiden sapeva adattarsi al contesto in cui si trovava: se doveva andare ad un incontro di lavoro, sarebbe stato impeccabilmente formale, ma a casa propria o con i propri amici non aveva intenzione di mettere quei filtri. Perché avrebbe dovuto? Anche lui voleva divertirsi. Io volevo solo che crescessimo insieme, non che diventassimo una coppia di cariatidi che il sabato sera vanno a giocare a bridge. Perché le due cose devono essere accomunate? Perché un impegno deve necessariamente diventare un cappio al collo? Lo aveva visto più volte, quel pensiero, negli occhi dei giovani occidentali. Per Raiden, quella era forse una delle più alte forme di immaturità. Per qualche ragione quei ragazzi sembravano credere che la gente cambiasse dal giorno alla notte dopo il matrimonio - che fosse costretta a cambiare. Le persone non cambiano così, con uno schiocco di dita. L'anello che si mettono al dito non ha il magico superpotere di farti piacere le domeniche al centro commerciale. Ma quando ti prendi un impegno serio con qualcuno, quando scegli di costruirti una famiglia - le tue priorità cambiano. Ecco cosa cambia. Le priorità. Capisci che se vuoi costruirti un tetto dignitoso sopra la testa devi fare dei sacrifici, lavorare e risparmiare. Capisci il valore delle tue scelte quando non sei l'unico su cui le loro conseguenze vanno ad infrangersi. E tutte queste cose non si possono spiegare, perché le capisci veramente solo quando ti ci trovi, quando la tua priorità non è più quella di farti figo con gli amici. Raiden aveva visto coi propri occhi quanta superficialità ci fosse attorno a sé. Nel chiedere ad alcuni dei propri amici quali fossero le loro priorità, la risposta arrivava standard come un francobollo: 'la mia priorità è concentrarmi su me stesso'. Giusto e doveroso, nulla da ribattere. Il problema è che spesso quelle erano parole vuote, prive di significato, ripetute a pappagallo con la pretesa di una saggezza che non c'era. Nel momento in cui provavi ad indagare oltre, a chiedere cosa ciò comportasse e quali fossero gli obiettivi che si desiderava raggiungere, un festival di vaghezza, luoghi comuni e indifferenza era di solito quanto se ne ricavava. Quelle persone - persone come Antonio o Bartosz, a cui pur Raiden voleva bene - in realtà si concentravano su tutto tranne che su loro stesse. Temporeggiavano, illudendosi che l'illuminazione spirituale gli sarebbe piovuta dal cielo allo scoccare dei trent'anni. Io non ho la presunzione di credere che lo stampo del mio paese sia il migliore, perché non è nemmeno giusto mettere pressione ai ragazzi fin da piccoli per essere adeguati il prima possibile. Ma il lavoro di responsabilizzazione, quello va fatto. « Però io non voglio essere libera ok? Non mi va.. e non voglio che tu abbia paura perché.. perché secondo me, noi non ci siamo proprio capiti. Io non ho mai detto che non volevo un bambino. E quando mi hai chiesto di non parlarne più io ti ho detto che andava bene sul momento, però io volevo parlarne ancora. Ne voglio parlare.. perché lo voglio un bambino. Io ci voglio stare con tutte le scarpe.. davvero. È solo che ho paura di non essere all'altezza né come moglie, né come madre. Questo però non significa che non lo voglio. Io con te le voglio davvero tutte queste cose.. perché ho scelto di stare con te. Io non mi sento come se mi fossi sposata per caso. Abbiamo scelto di restare insieme. Perché ci amiamo. Forse.. dobbiamo solo imparare a.. a dire le cose. Non so. Io.. vorrei solo abbracciarti.. e dirti ancora che non è vero. E vorrei farti smettere di piangere e darti un bacio. Posso.. anche se magari non mi credi ancora? Per favore. » Annuì, frenetico, come se avesse paura che aspettando anche solo un istante o mettendo un po' meno energia in quel movimento, Mia potesse leggere nel suo corpo una titubanza che non c'era. Si sporse in avanti come mosso da un sentimento di profonda urgenza, poggiando il palmo alla base della nuca di lei e premendo le labbra sulle sue in un bacio disperato tra cui ancora continuavano a scorrere alcune lacrime. A quel punto non c'era modo di non farle scendere, bombardato com'era dai mille stimoli emotivi e da tutte le conseguenze aggrovigliate di essi. Poi le labbra di Raiden si spostarono a stampare tanti altri baci su ogni parte del suo viso, tuffandosi infine nell'incavo del suo

    collo mentre l'abbracciava stretta a sé. « Mi dispiace. Mi dispiace tanto averti fatta sentire così. » disse al suo orecchio in un filo di voce rauco che raschiava la sua via d'uscita tra i singhiozzi che ancora gli scuotevano il petto. Quell'estate Raiden si era fatto prendere la mano da tante cose: dal dolore, dalla rabbia, dal desiderio di vendetta e dall'ossessiva tessitura di quel piano a cui aveva dato la priorità su tutto il resto. Se non si fosse sentito in dovere di rimanere in vita per far sopravvivere in sé la comunità a cui apparteneva, probabilmente si sarebbe anche lanciato in una missione suicida. In fin dei conti, morire non era mai stata una paura di Raiden; la morte, lui l'aveva sempre tenuta ben fissa di fronte a sé, consapevole del fatto che gli camminasse accanto in ogni momento. Forse era inevitabile tenersela così stretta al fianco quando di vite ne avevi stroncate già troppe. « Io non volevo allontanarti. Quando.. quando ho fatto quelle cose.. era perché io non volevo tu mi vedessi in quella maniera. » Al mio peggio. Perché Raiden era ben consapevole di quanto marcia potesse essere la sua indole. Sapeva di cosa fosse stato capace, e di quante altre cose indicibili avrebbe potuto compiere. E al contempo non voleva neanche far vedere la sua sofferenza, perché nella distorta visione che lui ne aveva, ciò lo avrebbe reso meno perfetto agli occhi di Mia - meno degno del suo amore e del suo rispetto. In ogni caso, Mia lo avrebbe capito da sola che stesse soffrendo per quelle perdite, no? E allora perché lasciarle vedere quanto a fondo quegli assassini fossero davvero riusciti a ferirlo? Scostò leggermente il viso dal suo collo per guardarla negli occhi, tirando su col naso mentre le scostava con mani tremanti i capelli che le si erano appiccicati al volto. « Ma per me non sei mai stata una seccatura. E non lo sarai mai. » Fece una pausa, tirando un'altra volta su col naso e incorniciando il suo viso con entrambi i palmi delle mani. « Quando mi hai chiesto di chiudere tutto.. io ho fatto in quel modo perché credevo ti sentissi come mi sentivo io. E lo capivo. Capivo il desiderio di nascondersi agli altri, perché era quello che provavo io. O almeno questo è ciò che ho capito in quel momento. Te lo giuro, io pensavo davvero che fosse così. » Ma evidentemente era tutt'altro, e a me è passato proprio sotto al naso senza che nemmeno me ne accorgessi. Scosse il capo, cercando di allontanare almeno momentaneamente il senso di colpa che si sentiva in cuore per quella mancanza nei confronti di Mia. « Io.. in quel periodo sono stato un soldato impeccabile - i risultati parlano da soli -, ma per esserlo sono diventato un marito di merda. Ho trascurato te e ho messo quegli obiettivi davanti al nostro matrimonio. Magari tu me lo perdonerai. Magari tutte le persone che adesso in Giappone sono libere grazie a questo penseranno che c'era bisogno di qualcuno così e mi vedranno come un eroe. » Scosse nuovamente il capo, mordendosi il labbro inferiore tremante mentre puntava gli occhi pieni di lacrime in quelli di Mia. « Io però non mi sento così. E non mi perdono. » Perché avrei dovuto trovare il modo per essere entrambe le cose. Avrei dovuto metterci più impegno. Una vittoria a metà non è una vittoria, perché è comunque per metà fallimento. Prese un grosso respiro, sporgendosi in avanti per appoggiare la fronte a quella di lei, chiudendo gli occhi e premendovisi come se in questa maniera potesse far fluire tutto ciò che pensava nella testa di lei. « Ma devi credermi.. quando ti dico che in noi ci ho sempre creduto.. e che la nostra famiglia - anche fossimo solo noi due - è la cosa che per me ha più importanza e che più mi rende felice al mondo. Tu sei la persona che più mi rende felice al mondo. La prima che riesce a rendermi davvero felice. » Io prima non lo sono mai stato. Non veramente. Si umettò le labbra, aprendo gli occhi per annegare in quelli di lei durante quell'istante di silenzio. « Non potrei mai stancarmi di te perché la verità è che di te non ne ho mai abbastanza. » E su questo, i fatti parlavano piuttosto chiari. Raiden non era un tipo appiccicoso, ma gli piaceva passare un sacco di tempo insieme a Mia. Non c'era una singola cosa che non potesse fare insieme a lei, e includerla gli veniva naturale. Quando parlavano, parlavano per ore anche di cose senza senso, senza mai stancarsi. E finché c'era lei intorno, Raiden le mani a posto non le sapeva tenere. Era più forte di lui: cercava sempre la sua compagnia, la sua vicinanza, il suo tocco, le sue risate.. tutto quanto. Non era neanche una ricerca morbosa la sua, ma un istinto naturale che lo portava a gravitare sempre intorno a lei. « Io mi sento bene quando sto con te. Mi sento al mio posto. Anche negli alti e bassi, io questa pace che sento accanto a te non ce l'ho mai avuta nella mia vita. Tutte quelle cose di cui abbiamo parlato, tutte le cose che vogliamo fare.. a me elettrizzano. Io non vedo l'ora di costruirle insieme proprio perché con te mi sento bene - e queste cose mi fanno pensare che potremmo essere così.. così tanto felici, Mia. » Un piccolo singhiozzo interruppe le sue parole, accompagnato da un sorriso tremante che raccoglieva in sé tutti i sentimenti contrastanti di quel momento. « Io ho tantissime paure.. però non mi fa paura l'idea di passare tutta la mia vita con te. È la cosa che mi fa andare avanti. Semmai.. mi fa paura il contrario. » Le accarezzò il volto, tirando su col naso per l'ennesima volta nel tentativo di fermare quelle lacrime dolceamare. « Mi credi? Mi credi quando ti dico che non potrei essere più serio e convinto? Non voglio che tu ti fidi delle mie parole, voglio che tu ci creda davvero - che le senta dentro di te. Mi capisci? »

     
    .
  13.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    Le labbra del giovane Yagami andarono incontro a quelle di Mia, e per un istante, pur restando senza fiato, si sentì come se per la prima volta dopo tanto tempo avesse riacquistato la capacità di respirare. Era come se fossero rimasti sott'acqua, in apnea, per un tempo decisamente troppo lungo, e ora erano finalmente in grado di respirare. E seppur Mia non riuscisse a percepire cosa accadeva nell'animo di Raiden, quel bacio e il successivo abbraccio che si scambiarono le bastò per rilassarsi, ricercando prima le sue labbra e poi il contatto diretto tra i loro corpi. Le avevano tagliato un braccio, e ora, era come se magicamente gliel'avessero riattaccato, permettendole nuovamente di sentirsi intera. Si stringeva al suo petto, lasciandogli bacio sulla mascella e sul collo, strofinando il naso contro la sua spalla. Ispirava il suo profumo come se non l'avesse mai sentito, come se avesse paura che da un momento all'altro qualcuno potesse strapparglielo, e strapparle Raiden, portarglielo via. Non saprebbe stata in grado di accettarlo. « Mi dispiace. Mi dispiace tanto averti fatta sentire così. » Scuoteva la testa, la mora, tra gli singhiozzi, perché la verità è che non voleva le sue scuse. Le bastava che lui sapesse, e che le cose migliorassero. Le bastava sentirsi più al sicuro, meno timorosa di parlare con Raiden di certi argomenti. Voleva che si fidassero di più, e voleva solo sentirsi dire che in realtà stava andando bene, nonostante le sue mille insicurezze. Era certa di aver fatto dalla sua degli errori. Raiden in primis gliene aveva dichiarati diversi durante quella discussione, e Mia avrebbe davvero fatto del suo meglio per migliorarsi, per renderlo più felice, per non portarlo a dispiacersi dei suoi comportamenti. Io non voglio che tu pensi che non siamo sulla stessa lunghezza d'onda, perché noi possiamo funzionare. E non la sentiva come una costrizione dovuta al fatto che fossero sposati. Mia ne era fermamente convinta. « Io non volevo allontanarti. Quando.. quando ho fatto quelle cose.. era perché io non volevo tu mi vedessi in quella maniera. Ma per me non sei mai stata una seccatura. E non lo sarai mai. » Aprì gli occhi, circondandogli di rimando il viso coi propri palmi, annuendo con convinzione. Non si rese conto, ma aveva davvero bisogno di sentirselo dire. Col terrore di essere troppo - troppo tutto - per il giapponese, Mia aveva convissuto per diverso tempo. Aveva interiorizzato determinati suoi gesti e interpretati nella maniera più negativa possibile, leggendo nel suo completo diniego una forma di rifiuto. Ne era rimasta mortificata, e forse, a conti fatti, una volta conclusa quella avventura, aveva iniziato a chiedersi perché. Perché l'aveva rifiutata? Perché non si era fidato. Per quanto Raiden si fosse spiegato in merito, quei gesti le erano rimasti impressi sulla pelle. Le dita di lui che si stringono attorno ai suoi polsi, allontanandole le mani dal proprio viso, lo sguardo vacuo e assente, le frasi monosillabiche. Per quanto avesse tentato di razionalizzarle e metterle in prospettiva, spiegandosele come una personale elaborazione del lutto, altri pensieri si erano lentamente fatti spazio nella sua mente. Non mi considera abbastanza. Stiamo bene solo quando tutto va bene. Mi tratterà di nuovo così. Ma io non avevo fatto niente. Sono egoista? Sto di nuovo pensando solo a me stessa? Devo parlargliene? No.. si arrabbierà e litigheremo di nuovo. Non gliene parlo. Però così sono una sottona. Io so di essere una sottona, cazzo e lo accetto. Era entrata in un giro che volente o nolente l'aveva riportata a un suo grande terrore - la paura di dover sempre ingoiare il rospo se volesse rimanere con lui. E di rospi, Mia ne avevi mandati giù parecchi. Ogni qual volta le cose la pizzicassero, preferiva tacere, lasciar perdere e andare avanti. Ma non va bene così. Poi inizio a farmi idee strane anche su cose che non c'entrano. E divento insicura. E poi inizio a pensare di non essere abbastanza. E poi.. beh.. Non era un processo mentale semplice, quel viaggio compiuto da Mia. Aveva mille ramificazioni al pari dei discorsi complicatissimi in cui si lanciava per dire cose semplici, o a volte addirittura nulla. Di certo però, di quelle parole aveva bisogno. Le restituiva la fiducia di poter parlare in maniera schietta, di dire la sua senza farsi andare sempre tutto bene. « Quando mi hai chiesto di chiudere tutto.. io ho fatto in quel modo perché credevo ti sentissi come mi sentivo io. E lo capivo. Capivo il desiderio di nascondersi agli altri, perché era quello che provavo io. O almeno questo è ciò che ho capito in quel momento. Te lo giuro, io pensavo davvero che fosse così. » Annuisce con convinzione. E ci crede. Nessuno dei due aveva gestito bene il periodo estivo - soprattutto quella notte. « Lo so.. » Un sussurro il suo, mentre gli asciugava nuovamente alcune lacrime, osservandolo con un misto di affetto e mortificazione. « ..è che non volevo nascondermi da te. Però non sapevo come dirtelo.. ed ero ancora girata di culo per quella storia della partenza.. E ti avevo detto che mi andava bene, però ero preoccupata e tu non parlavi e.. » Di scatto sospiro e abbassò lo sguardo scuotendo la testa. « Abbiamo fatto un casino. » Si. Lo avevano fatto. Per davvero. Entrambi. E a posteri aveva solo creato altri problemi a tratti addirittura inconsapevoli. « Io.. in quel periodo sono stato un soldato impeccabile - i risultati parlano da soli -, ma per esserlo sono diventato un marito di merda. Ho trascurato te e ho messo quegli obiettivi davanti al nostro matrimonio. Magari tu me lo perdonerai. Magari tutte le persone che adesso in Giappone sono libere grazie a questo penseranno che c'era bisogno di qualcuno così e mi vedranno come un eroe. Io però non mi sento così. E non mi perdono. » Scosse la testa Mia, premendo i palmi contro le guance di lui con più decisione, puntando gli occhi in quelli di lui. « Amore.. no.. abbiamo sbagliato entrambi, ok? Anche a me dispiace di non essere stata onesta.. avrei dovuto provarci di più. » Insistere. Dovevo insistere. « Dovevo essere più coraggiosa. Tu stavi male.. io.. io non ti biasimo, Raiden, ok? Non hai nulla da perdonarti. » Gli accarezza con dolcezza i capelli stirando un sorriso appena accennato, mentre lo osserva con muta adorazione. « Ma devi credermi.. quando ti dico che in noi ci ho sempre creduto.. e che la nostra famiglia - anche fossimo solo noi due - è la cosa che per me ha più importanza e che più mi rende felice al mondo. Tu sei la persona che più mi rende felice al mondo. La prima che riesce a rendermi davvero felice. Non potrei mai stancarmi di te perché la verità è che di te non ne ho mai abbastanza. » Il contatto con la fronte di lui è un sollievo inaspettato. E Mia chiuse istintivamente gli occhi, annuendo di tanto in tanto durante quel discorso, lasciandosi pervadere da quelle certezze che rinnovano la sua fiducia nei confronti di ciò che stanno costruendo. « ..e io non potrei mai tradirti. Mai.. capito? Non ti farei mai del male. » Della fedeltà di Mia, Raiden non avrebbe mai dovuto dubitare. Eppure, il loro rapporto era vacillato, e di fronte a tutto ciò, così come lei aveva perso fiducia nei confronti del giovane Yagami, lasciandosi tentare dai suoi pensieri vertiginosi, così immaginava che lui potesse lasciarsi tentare da quelle prove, che per giunta, erano a prima vista inconfutabili. Però io non potrei mai. A maggior ragione quest'estate. Pensavo solo a te. Ero preoccupata. Non riuscivo a smettere a cosa avresti potuto fare. « Io mi sento bene quando sto con te. Mi sento al mio posto. Anche negli alti e bassi, io questa pace che sento accanto a te non ce l'ho mai avuta nella mia vita. Tutte quelle cose di cui abbiamo parlato, tutte le cose che vogliamo fare.. a me elettrizzano. Io non vedo l'ora di costruirle insieme proprio perché con te mi sento bene - e queste cose mi fanno pensare che potremmo essere così.. così tanto felici, Mia. Io ho tantissime paure.. però non mi fa paura l'idea di passare tutta la mia vita con te. È la cosa che mi fa andare avanti. Semmai.. mi fa paura il contrario. Mi credi? Mi credi quando ti dico che non potrei essere più serio e convinto? Non voglio che tu ti fidi delle mie parole, voglio che tu ci creda davvero - che le senta dentro di te. Mi capisci? » Ci credeva. E infatti annuì, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte ridendo tra le lacrime, provando un senso di liberazione, di gioia e al contempo di imbarazzo nei confronti di quei sentimenti così contrastanti. Da una parte c'era il dispiacere per esser rimasti in parte lontani per diverso tempo, dall'altra c'era la felicità di essersi ritrovati. Perché è così che si sentiva; come se stesse vedendo la luce alla fine di un tunnel in cui erano sprofondati lentamente senza nemmeno accorgersene. Era stato un periodo complicato, quello che avevano passato, e seppur fossero rimasti in contatto costantemente, Mia si sentiva in quel momento molto più in sintonia con Raiden di quanto lo fossero stati negli ultimi mesi. Ancora una volta posò i palmi sulle sue guance, asciugandogli per l'ennesima volta le lacrime. « Ehi.. ehi.. basta così, ok? Ascolta.. » Tirò su col naso e lo osservò con maggiore serenità, mentre a sua volta, si passava il dorso di una mano su entrambe le guance. « ..tu mi rendi tanto tanto felice, ok? Noi due ridiamo un casino, e.. siamo bravi. Funzioniamo. » Si morse il labbro inferiore, ammirandolo con un'espressione di puro affetto. « A me piace un sacco stare con te - ma non tipo stare solo nel senso che siamo una coppia.. no! A me piace proprio passare il mio tempo con te. Mi piace quando passiamo le ore a scegliere qualcosa da guardare la sera, e quando mi racconti la tua giornata. Mi piace quando facciamo la spesa e poi decidiamo di ordinare da asporto. Mi piacciono le cose piccole che facciamo insieme - ma tipo che proprio mi piacciono! » Sospira e si morde il labbro inferiore. « E voglio anche fare le cose grandi.. le cose da grandi. Però credo che se dobbiamo farle.. dobbiamo ecco.. non lasciar cadere questa cosa. » Indica automaticamente il piccolo spazio tra i loro petti, come a delimitare la loro vicinanza e ciò che hanno ottenuto quella notte. « Forse è questo il nostro impegno.. forse è su questo che dobbiamo lavorare e impegnarci. » Non sarebbe stato sempre facile. Lo sapeva. In quel momento erano elettrizzati, perché comprendersi dopo tanto tempo rendeva Mia in primis euforica. Ma l'euforia sarebbe venuta meno, e a quel punto Mia e Raiden avrebbero dovuto fare uno sforzo per non ricadere nelle solite trappole in cui inciampavano costantemente. « Abbiamo fatto schifo entrambi a gestirla. E dispiace anche a me.. tantissimo! Per averti fatto pensare tutte quelle cose, e per averti fatto soffrire. E per tutto.. per essere arrivati a questo. E infatti è una colpa a metà e dobbiamo portarla insieme. Quindi al massimo adesso ci perdoniamo a vicenda e perdoniamo noi stessi e.. niente pippe mentali, ok? » Aveva bisogno di assicurarsi che le cose sarebbe tornare a filare come al solito. In maniera naturale, spontanea. Mia e Raiden erano una macchina perfettamente calibrata quando non cadevano preda ai solito pensieri leggermente morbosi. « Me lo prometti? » Stampa un leggero bacio all'angolo delle sue labbra prima di gettargli le braccia al collo abbracciandolo ancora una volta con decisione e una necessità impellente di fargli sentire la propria vicinanza. « Io voglio che tu sia felice e sereno. E vorrei che trovassimo il modo per.. guarire.. insieme. » Pausa. « Staremo bene. Io so che con te starò bene.. » Affondò il volto nell'incavo del collo di lui accarezzandogli dolcemente la schiena. E per un po' non disse niente, Mia, preferendo rimanere in quella posizione, ascoltando i battiti cardiaci di lui, noncurante ormai del freddo o delle circostanze sfavorevoli in cui si trovavano. Poi, ad un certo punto, il telefono di lei squillò. Una nuova notifica illuminò la schermata del suo telefono. A caratteri cubitali, una scritta si materializzò dinanzi agli occhi di entrambi. Round I: Completed. I pixel dai colori sgargianti presero poi a muoversi sullo schermo, formando una alcune scritte che ben conosceva. Un timer al di sopra dei due quadranti scandiva il tempo a disposizione per selezionare una scelta. Watcher or Player? Tre minuti per pensarci. Centottanta secondi. E ciò che risultò ancora più strano fu sentire anche il suono di notifica del cellulare di Raiden dare inizio a un gioco simile. Osservò Raiden con un'espressione irrequieta, prima di tornare a guardare il proprio schermo combattuta. Sospirò. « Cazzo! Non di nuovo. È.. è come l'ultima volta.. nella foresta. » Era troppo sperare di avere un attimo di pace. « Uuuuuhm.. ok. Allora. » Decise di parlare in fretta, mentre i secondi sullo schermo scorrevano. « Io l'ultima volta non ho scelto e abbiamo visto com'è finita. » Con un demogorgone pronto a mangiare i nostri gatti. « Quindi forse bisogna percorrere un'altra strada. Ricordi cosa dicevano gli warlock? Non scegliere velocizza il processo.. » Di cosa non mi è ancora chiaro. « Adesso noi possiamo farcela. Siamo sulla stessa pagina. Non può entrarci nella testa e casa nostra è al sicuro quindi dobbiamo solo.. restare uniti. » E vedere come va. « Forse dobbiamo dare retta a questa cosa. Possiamo farcela. Io posso farcela.. tu puoi farcela? » Parla velocemente, Mia, lasciando oscillare lo sguardo dallo schermo del cellulare al volto di Raiden. « Io credo di riuscire a distinguere cos'è vero da quello che non lo è. A casa di Jeff e Delilah mi ci è voluto un po'.. ma l'ho capito. Io non sono una vittama. » Ripete con convinzione le parole di Raiden deglutendo. « Non siamo vittime. » È eloquente e decisa, ed è pronta a tutto, se questo è ciò che richiede la situazione. « Voglio giocare. Mi sono rotta il cazzo di stare a guardare. » Scuote la testa e deglutisce, sollevando appena il cellulare, mentre intreccia le dita della mano libera a quella di lui, stringendola con decisione. « Sono convinta. » Player. Tocca il pulsante rosa shocking mentre di colpo la schermata scompare, e conseguentemente ritorna alla chat con Veronica. I messaggi non veritieri scompaiono uno alla volta sotto i loro occhi e poi, come se niente fosse il suono stridulo dell'allarme che Mia ha imparato ad odiare per il modo brutale in cui la butta giù dal letto ogni mattina.
    Si sveglia di soprassalto. Ogni sera la sveglia di Mia suona alla stessa ora. Ormai la pozione non se la scorda mai, specie dopo aver confessato di essersela dimenticata. Si ridesta da quel sogno stranissimo che le ha reso la testa pesantissima, iniziando a indagare l'ambiente circostante, rimettendo il cellulare dentro la tasca del giubbotto, abbandonando accanto a sé sul divano. Le puntate di quello stupido show dovevano essere finite. Infatti adesso, la televisione era impostata su uno dei canali del gruppo Peverell col volume al minimo. Gettò uno sguardo verso la cucina, solo per trovarsi Albus Potter intento a mangiare qualcosa, mentre studia con attenzione alcune carte. « Oddio.. » Sgrana gli occhi di colpo, scuotendo leggermente il braccio di Raiden per svegliarlo. Accidenti! CI siamo addormentati! « Raiden.. Rai.. ohi.. svegliati! » Mun comparve nel salotto dall'interno di una delle stanze sorridendo dolcemente ad entrambi. « Ah! Siete svegli! Spero non sia colpa nostra. Siamo tornati da poco, ma non volevamo svegliarvi. » Che figura! Ci siamo addormentati. Passarono un po' di tempo in compagnia dei due, che parevano adesso molto più simili a ciò che Mia conosceva di Albus Potter e Amunet Carrow. Accettò con gran sollievo un caffè, pur restando ancora un po' pensierosa, specialmente per quanto appena sognato. Era tutto estremamente vivido, come se riuscisse a sentire ancora le lacrime scorrerle sulla guance e le labbra di Raiden sulle proprie. Dopo un po' fu tempo di lasciare la famigliola e dirigersi all'esterno. Era ancora presto e Hogsmeade brulicava ancora di persona. Un chiacchiericcio costante proveniente dalle strade principali e la mancanza della foschia, la portò a sospirare, sorridendo con un che di sollevato. Istintivamente avvolse si strinse al braccio di Raiden, posando la guancia contro la sua spalla, attraversando il vialetto della casa di Albus e Mun con quel senso di liberazione che passava anche attraverso la consapevolezza di poterlo sentire nuovamente. E per un po' non disse niente, impaziente di raggiungere una delle vie principali per accertarsi che Hogsmeade fosse davvero Hogsmeade. I negozi ancora aperti e una moltitudine di gente vestita che si dirigeva verso i locali e i chioschetti che vendevano cibi e bevande di ogni sorta. A quel punto Mia strinse appena il braccio di Raiden, portandolo a fermarsi.

    « Senti.. » Una parte di lei avrebbe voluto lasciar perdere quel pensiero. Non parlarne. Ammettere che si era trattato solo di un sogno molto strano e basta. Lei e Raiden non avevano parlato. Non era successo niente. Però era successo. Ed era così vero.. « ..ho tipo sognato che avevi trovato dei messaggi strani nel mio telefono e hai dato di matto. Ma tipo un botto! Roba che mi hai fatto le valigie e me le hai gettate in strada. Non è che tante volte.. ci siamo addormentati insieme? » Scoppiò a ridere, stringendo appena la sua mano. Non è stato solo un sogno vero? C'era una ragione se non dovevamo addormentarci. I sogni non li ricordi così. Non hanno sempre così tanto senso. Questa aveva senso. Lo ricordo perfettamente. Ed era tutto così maledettamente ordinato. Tranne loro. I nostri amici. Scandagliò per qualche istante l'indole di lui, prima di annuire, tirando fuori il cellulare dalla tasca. Ma invece di porgerglielo, per controllare che nulla di tutto ciò fosse vero, lo spense gettandolo nella borsa. « Avanti. Spegnilo anche tu. Solo per stasera.. » Non mi va di pensare a nulla di quello che abbiamo visto. « Che ne dici se ci andiamo per davvero a quella festa? Vediamo i nostri amici per davvero.. ci beviamo qualcosa.. più di qualcosa - non dobbiamo neanche guidare visto che possiamo restare nella stanza di Stacey. Ascoltiamo Delilah che si lamenta di Jeff. Assistiamo all'ennesima rimorchiata a buffo di Bartosz.. Minimo proporranno qualche gioco stupido dove farai il culo a tutti quanti. Ovviamente non aspettarti che io non bari usando il contatto, perché lo farò - senza vergogna! » Si stringe nelle spalle affondando le mani nella tasca della giacca, ritrovando la chiave che Stacey le ha lasciato. Rimase per qualche istante a osservarlo, mordendosi il labbro inferiore. « Possiamo almeno provarci a passare un Halloween normale con gli altri.. » Pausa mentre sospira, tastando la fredda superficie metallica che ha nella tasca. « Oppure.. volendo.. non so.. possiamo passarlo solo io e te. » Altra pausa, mentre scosta lo sguardo di lato con un'apparente indifferenza. « O possiamo fare entrambe le cose. » Si. Potremmo farle davvero entrambe. E sarebbe l'Halloween più figo di sempre. Perché sarebbe normale. E sarebbe nostro. Il primo passato insieme. « In fondo.. com'era quella tua sintesi di Halloween? Magari facciamo questo.. incontro di culture, tra come lo intendo io e come lo intendi tu. Mi sembra abbastanza educativo?.. e tu in fondo vieni pagato per questo.. » Solleva entrambe le sopracciglia decisamente più divertita. « ..agevolare l'apprendimento, ovviamente. »


     
    .
  14.     +1    
     
    .
    Avatar

    dauntless

    Group
    Ricercati
    Posts
    915
    Reputation
    +1,126

    Status
    Anonymes!

    « [..] Abbiamo fatto schifo entrambi a gestirla. E dispiace anche a me.. tantissimo! Per averti fatto pensare tutte quelle cose, e per averti fatto soffrire. E per tutto.. per essere arrivati a questo. E infatti è una colpa a metà e dobbiamo portarla insieme. Quindi al massimo adesso ci perdoniamo a vicenda e perdoniamo noi stessi e.. niente pippe mentali, ok? Me lo prometti? Io voglio che tu sia felice e sereno. E vorrei che trovassimo il modo per.. guarire.. insieme. Staremo bene. Io so che con te starò bene.. » Tra le lacrime di quei sentimenti contrastanti che ancora tempestavano il cuore, un sorriso e una piccola risata gioiosa andarono a spezzare almeno un po' la cappa che si era creata su di loro. Raiden annuì, tirò su col naso, si asciugò alcune lacrime fuggevoli e la abbracciò forte, stringendola a sé in quella muta promessa che sapeva di non aver alcun bisogno di articolare a parole. Sì, Raiden e Mia erano stati due sciocchi: si erano lasciati trasportare dalle proprie insicurezze, cercando risposte in solitaria quando avrebbero potuto parlarne onestamente tra loro. Su questo, il giovane Yagami sapeva di dover lavorare. Non aveva mai trattenuto informazioni da lei per cattiveria, ma per una sorta di seconda natura tossica che gli era stata inculcata e che gli rendeva difficile ogni rapporto umano profondo. Il dilemma era sempre lo stesso, per lui: riuscire a coniugare il soldato e la persona in un'unica entità, senza lasciare che il primo prendesse il sopravvento e dettasse legge anche su ciò che non era di sua competenza. Il passato non poteva cancellarlo, né poteva cancellare tutte le cicatrici che gli aveva lasciato addosso, ma poteva lavorare su se stesso per trovare un equilibrio che lo avrebbe reso funzionale. A parole sembrava estremamente semplice, ma nei fatti era quanto di più ostico e insidioso ci fosse. Essere un soldato era pressoché tutto ciò che Raiden sapesse fare: la sua vita era stata deviata in maniera così violenta verso quella direzione, da tranciare qualunque altro pensiero o aspirazione il giovane potesse avere. Tanto che adesso, della propria libertà, lui non sapeva davvero cosa farsene. Fare il professore per lui era un lavoro - anche buono - funzionale a portargli dei soldi sul conto corrente e a dargli una dignità, ma lì finiva la cosa. Essere soldato, invece, aveva preso possesso di tutta la sua esistenza fin quasi a diventarne il senso stesso. Lui era un soldato, ma faceva il professore - questo era ciò che sentiva in cuor suo. E non sapeva se quel sentimento se ne sarebbe mai davvero andato; sapeva solo di dover fare in modo che ciò non diventasse un ostacolo a tutto il resto. I suoi pensieri, tuttavia, vennero interrotti dal vibrare insistente del cellulare nella propria tasca, esattamente all'unisono con quello di Mia. Una volta fissati i rispettivi schermi, i loro sguardi si incrociarono in un misto di confusione e paura, cercando la risposta gli uni negli altri. « Cazzo! Non di nuovo. È.. è come l'ultima volta.. nella foresta. » « Cosa dobbiamo fare? » Rivolgerle quella domanda fu naturale. Lui, in fin dei conti, non aveva mai vissuto niente di simile. Non c'era un precedente a cui potesse fare appello nella propria memoria per agire in maniera calibrata, e dunque l'unica possibilità era rivolgersi a lei, che quel lato della Loggia lo aveva già vissuto. « Uuuuuhm.. ok. Allora. Io l'ultima volta non ho scelto e abbiamo visto com'è finita. Quindi forse bisogna percorrere un'altra strada. Ricordi cosa dicevano gli warlock? Non scegliere velocizza il processo.. » Ma come si poteva scegliere qualcosa a carte coperte, senza sapere quale effetto avrebbe potuto avere sulle loro vite. Watcher or Player? Raiden ne aveva sentito parlare. Di quel gioco malato, aveva avuto diversi racconti, ciascuno diverso dall'altro. Aveva sentito compagni di università dire quanto gli mancasse quel ping pong di obblighi e verità, ma aveva sentito anche la versione di Beatrice - quando lo aveva ragguagliato su quanto accaduto negli anni passati. Che non fosse un gioco innocuo gli era piuttosto chiaro, ma perché si fosse manifestato a loro e cosa volesse richiedergli, quello non lo sapeva. Io le Logge le ho viste solo in faccia. Ho visto il nero, i mostri, i fantasmi. Ho visto ciò che potevo combattere a viso scoperto. Ma questa roba mai. « Adesso noi possiamo farcela. Siamo sulla stessa pagina. Non può entrarci nella testa e casa nostra è al sicuro quindi dobbiamo solo.. restare uniti. Forse dobbiamo dare retta a questa cosa. Possiamo farcela. Io posso farcela.. tu puoi farcela? Io credo di riuscire a distinguere cos'è vero da quello che non lo è. A casa di Jeff e Delilah mi ci è voluto un po'.. ma l'ho capito. Io non sono una vittima. Non siamo vittime. Voglio giocare. Mi sono rotta il cazzo di stare a guardare. Sono convinta. » Dire che la cosa lo convincesse del tutto sarebbe stato falso. Assecondare qualcosa che non conosceva, sapendo quanto alto fosse il rischio che correvano, non era nella sua natura. Ma quale altra scelta avevano? Abbassò lo sguardo sullo schermo, fissando il lampeggiare sgargiante delle scritte. Però io non ho mai saputo starmene a guardare. Se dovesse succedere qualcosa, preferirei esserci dentro fino al collo piuttosto che essere uno spettatore inerme. Ai suoi occhi non c'era nulla di peggio di quello: del senso di impotenza e dell'ignavia. Stare a guardare era forse la scelta con cui molti si sarebbero sentiti più a proprio agio, ma non Raiden - per lui, quella era la condanna peggiore. Così sospirò, sollevando lo sguardo negli occhi di Mia con decisione e annuendo. Schiacciarono quel tasto all'unisono. Player. E prima che potesse dire o fare qualunque cosa, i suoi occhi si aprirono di soprassalto sul soffitto di casa di Mun e Albus, prendendo un respiro quasi ansimante come se fosse riemerso da un'apnea durata troppo a lungo. Non riuscì nemmeno a individuare la tv ancora accesa o ad elaborare ciò che in quel momento sembrava essere stato solo un brutto sogno - ma fin troppo vivido per esserlo davvero. Mun fece capolino dalla cucina, e Raiden schizzò subito in piedi in un misto di vergogna e confusione. « Ah! Siete svegli! Spero non sia colpa nostra. Siamo tornati da poco, ma non volevamo svegliarvi. » Ancora scosso dal risveglio violento e dal senso di spossamento che quel sonno pesante gli aveva lasciato in corpo, il giovane Yagami si passò una mano sul viso appiccicato dal sudore freddo, tentando di riprendere controllo della realtà. « Amunet.. perdonami. Non.. non so come mi sia potuto addormentare. » Non capiva. Non era stanco quando si erano messi a guardare la televisione. Eppure i fatti parlavano chiaro, e la busta del minimarket era ancora piena accanto alla porta. Il ginseng non era stato toccato. Non appena la Carrow voltò la schiena, Raiden si passò nuovamente una mano sul viso e tra i capelli, scoccando un'occhiata a Mia. Che figura di merda. Che colossale figura di merda. Fossi almeno morto nel sonno. ALMENO QUELLO! Non solo si era addormentato a casa altrui, svaccato sul loro divano con la tv accesa, ma lo aveva fatto pure nell'arco di tempo in cui aveva la responsabilità dei loro figli. Insomma, se gli avessero messo in mano una pala si sarebbe volentieri scavato e richiuso la fossa da solo. Cercò comunque di richiamare a sé quanta più compostezza potesse per affrontare il resto del tempo in compagnia di Albus e Amunet, accettando volentieri un caffè di cui a quel punto era chiaro avesse bisogno. Eh, magari te lo potevi fare prima, Raiden. Ormai la pennichella te la sei fatta. Fresco come una rosa per il resto della serata.. coglione! Di certo non era stato un riposo rilassante, ma in quel momento gli sembrava di essere tornato alla realtà più sveglio e all'erta che mai. Una sensazione, quella, che venne ulteriormente acuita dal freddo pungente della sera che li accolse una volta messo piede fuori di casa. Un freddo ben diverso da quello sentito in sogno. Questo qui, Raiden lo accolse con felicità, respirando a pieni polmoni l'aria fresca e carica di ossigeno mentre avvolgeva un braccio attorno alle spalle di Mia e le rivolgeva un sorriso nell'imboccare la via verso la strada principale. « Senti.. ho tipo sognato che avevi trovato dei messaggi strani nel mio telefono e hai dato di matto. Ma tipo un botto! Roba che mi hai fatto le valigie e me le hai gettate in strada. Non è che tante volte.. ci siamo addormentati insieme? » Le parole di Mia lo lasciarono interdetto per un istante. Che quel sogno potesse essere stato condiviso non era impossibile alla luce di quanto vividamente fosse stampato nella sua memoria e delle circostanze che tirava in ballo. Nonostante ciò, però, l'idea che potesse essere in qualche forma reale portava comunque con sé tutto tranne che tranquillità. « Se lo hai sognato anche tu.. credo sia andata esattamente così. » disse con tono preoccupato. « Gli warlock ci avevano avvertiti, in fin dei conti. Ma non capisco. Era.. una prova? Ce ne saranno altre? » Era la cosa più logica, se si metteva in conto il fatto che gli era stato detto di aver superato un livello. Un livello esiste solo in relazione ad altri, altrimenti non sarebbe un livello. « Avanti. Spegnilo anche tu. Solo per stasera.. » Le rivolse un'occhiata guardinga e un po' titubante. Inutile dire che il cuore in pace non lo aveva affatto, e l'idea che una cosa del genere potesse ricapitare quando meno se lo aspettava non lo tranquillizzava. Quella volta ce l'avevano fatta. Ma la successiva? A cosa li avrebbero messi di fronte? Tuttavia, nel vedere il desiderio di spensieratezza negli occhi di Mia, Raiden estrasse il cellulare dalla tasca con un sospiro e lo spense, riponendolo successivamente al proprio posto. « Però non abbassiamo la guardia, ok? Questa storia non fa presagire nulla di buono. » Eccolo là: Tenente Musone. « Che ne dici se ci andiamo per davvero a quella festa? Vediamo i nostri amici per davvero.. ci beviamo qualcosa.. più di qualcosa - non dobbiamo neanche guidare visto che possiamo restare nella stanza di Stacey. Ascoltiamo Delilah che si lamenta di Jeff. Assistiamo all'ennesima rimorchiata a buffo di Bartosz.. Minimo proporranno qualche gioco stupido dove farai il culo a tutti quanti. Ovviamente non aspettarti che io non bari usando il contatto, perché lo farò - senza vergogna! » Alzò gli occhi al cielo con un piccolo sorriso disegnato sulle labbra, scuotendo leggermente il capo tra sé e sé. « Possiamo almeno provarci a passare un Halloween normale con gli altri.. Oppure.. volendo.. non so.. possiamo passarlo solo io e te. O possiamo fare entrambe le cose. In fondo.. com'era quella tua sintesi di Halloween? Magari facciamo questo.. incontro di culture, tra come lo intendo io e come lo intendi tu. Mi sembra abbastanza educativo?.. e tu in fondo vieni pagato per questo.. agevolare l'apprendimento, ovviamente. » Sollevò il mento, fissandola con un sopracciglio inarcato e l'espressione disincantata di chi aveva compreso benissimo dove la sua interlocutrice volesse andare a parare. « Molto coscienzioso da parte tua, tenerlo in considerazione. » fu il suo commento ironico a riguardo prima di sbuffare una risata dalle narici e stringersi nelle spalle, riprendendo a camminare senza una vera e propria meta. « Onestamente di bere e far baldoria non ho troppa voglia. » E non mi sembra neanche la cosa più saggia, in seguito a ciò che abbiamo appena vissuto. Il casino di una festa è l'occasione perfetta per perderci di vista. Senza contare che in questo momento non riuscirei a guardare in faccia la povera Veronica senza astio. Sapeva che la Grifondoro non c'entrasse nulla, ma nella sua testa era ancora ben impresso il ricordo di cosa avesse provato di fronte a tutto ciò che la rappresentazione di lei gli aveva messo di fronte. « Non sarei tranquillo, lì. » le confessò più serio, a tono più basso, mentre le rivolgeva uno sguardo con la coda dell'occhio come a farle capire che quel sogno era ancora troppo fresco e vivido per permettergli di affrontare un ambiente identico senza sentirsi in profondo disagio. E questo i nostri amici non se lo meritano. E nemmeno noi. Sospirò, affondando una mano nella tasca della felpa e intrecciando le dita a quelle di lei con l'altra. « Però mi piacerebbe stare un po' in giro insieme a te. Bo.. ci facciamo una passeggiata, mangiamo qualche schifezza.. toh - qualcosa da bere ce lo possiamo pure infilare! » Fece una pausa, scoccandole uno sguardo eloquente. « Ma senza esagerare perché poi guido. » Sottolineò quelle parole, lasciandolo intendere ciò che poi andò a chiarificare in seguito a una breve risata. « Eh sì, signorina, si torna a casa. Io nella stanza di Stacey non ci vado manco morto. Poi la gente comincia a dire che quel porco del Professor Yagami si apparta negli studentati con le sue studentesse. » Fece una pausa, scoccandole un'altra occhiata di sbieco, questa volta con una luce più maliziosa negli occhi. « Sarebbe molto disdicevole, non credi? » Chiaramente Raiden non aveva alcun problema nel farsi vedere in giro assieme a Mia: si trattava pur sempre di sua moglie, e nel proprio tempo libero non aveva nulla da nascondere. Tuttavia trovava comunque fuori luogo andare in uno studentato insieme a lei, proprio per via dell'idea che una cosa del genere avrebbe potuto dare ad un occhio esterno. Dopo qualche altro passo, Raiden si fermò in mezzo alla strada, stringendo leggermente la mano di Mia per farle cenno di fare altrettanto. Posto di fronte a lei, le cinse i fianchi in un abbraccio, attirandola gentilmente a sé. « E poi voglio passare un po' di tempo con te. Tra tutto quello che è successo, non lo facciamo da un sacco di tempo. » Si sporse in avanti per stamparle un piccolo bacio sulla punta del naso, tornando poi a guardarla negli occhi con un sorriso. « Ti va di pattinare? »
    [..] Da un paio di settimane, con il sopraggiungere del freddo e l'entrare sempre di più nello spirito festante, in una delle piazze di Hogsmeade era stata aperta l'ormai classica pista di pattinaggio - la stessa che Raiden aveva visto anche l'anno precedente. Raiden non era chissà quanto bravo a pattinare, in primis perché da piccolo lo aveva fatto poche volte, ma lì in Inghilterra aveva scoperto non fosse chissà quanto difficile. Tempo di andarci un paio di volte e se avevi un minimo di coordinazione imparavi subito come muoverti su quelle lame che fendevano il ghiaccio finto.
    L'anno passato Raiden c'era andato diverse volte con gli amici, spesso anche in stati ben poco sobri. Quando era così, si facevano le peggio risate con tutte le culate che davano in terra. E poi c'era Delilah, la scoordinazione per eccellenza, che passava tutto il giro a pattinare con la mano attaccata al bordo della pista e quando si staccava sembrava un cucciolo di cerbiatto appena nato incapace di reggersi sulle gambe. Il tutto mentre Jeff, sprezzante del pericolo, si lanciava da un capo all'altro della pista cercando di convincerla senza risultato a fare altrettanto. Insieme a Mia, però, non c'era mai stato. Così, messi i pattini ai piedi e salito in pista con lei, le prese subito la mano, cominciando a sfrecciare veloce tra le risate. Essendo piuttosto tardi, non c'era tanta gente, e per lo più si trattava di altre coppie che avevano preferito quello a una festa chiassosa. Con Mia quelle cose erano divertenti: le prendeva con lo spirito giusto, buttandosi senza paura e facendosi una risata quando capitava di perdere l'equilibrio e finire col culo a terra. Decisero di farsi pure un secondo giro, finendo per scendere dalla pista col fiato corto per tutte le risate che si erano fatti e una crescente fame. Si fermarono proprio lì accanto, in un chioschetto all'aperto sotto un tendone riscaldato, dove due anziani signori gli servirono due generose porzioni di fritto misto, un bel cartone di castagne appena cotte e due birre fredde. « Dici che Jeff e gli altri ci avranno dati per morti? » chiese ironicamente, sull'orlo di un sorriso, mentre toglieva il guscio da una castagna e la metteva sul piattino di Mia. « Di sicuro Delilah non può essere troppo ubriaca per essersi fatta sfuggire la nostra assenza. » Sollevò un sopracciglio, ridacchiando tra sé e sé mentre prendeva possesso di una seconda castagna, facendo la stessa operazione e posandola sempre sul piatto della ragazza. Sapeva benissimo che Mia sapesse aprirle da sola, ma sapeva anche quanto impaziente fosse l'americana. Il cibo che impiega troppo tempo per poter essere mangiato le creava un latente nervosismo che Raiden trovava piuttosto buffo. Così, senza chiederle nulla o farglielo notare, aveva semplicemente preso a sbucciare le castagne e mettergliele nel piatto già pronte, imbrodando il tutto con le chiacchiere. Continuò così, fin quando non si ritrovò a dire le parole successive con gli occhi puntati sul marrone a cui stava togliendo il guscio. « Comunque possiamo passare a fargli un saluto, se ti va. » Poggiata l'ennesima castagna sul suo piatto, fece una pausa, puntando lo sguardo in quelle di lei da sotto le ciglia scure. « Te lo ricordi quando ti ho detto che volevo tu mi dicessi ciò che volevi? » La richiesta più fraintesa della storia, quella che le aveva posto a Marzo, proprio lì ad Hogsmeade. Una richiesta che poi aveva fatto finire la serata in maniera tutto tranne che felice, contrariamente all'idea iniziale che aveva portato Raiden a muoverla. « È ancora valido. » Pausa. « Per tutto. » Sebbene la sua espressione e il suo tono fossero seri come la morte, il sottotesto che le stava comunicando con lo sguardo era piuttosto ovvio. Sgusciata quindi l'ultima castagna, il giovane Yagami incrociò le braccia sul tavolo, rimanendo per qualche istante in silenzio, fissandola. « Cosa vuoi fare, Mia? »

     
    .
  15.     +1    
     
    .
    Avatar

    the devil inside;

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    1,486
    Reputation
    +1,228

    Status
    Anonymes!
    Voglio illudermi. Solo per una notte. Voglio illudermi soprattutto questa notte. Per molto tempo questo giorno è stato motivo di terrore, ma se ne siamo usciti, io quei demoni voglio esorcizzarli, illudermi anche solo in parte che non ci sono. Non aveva la più pallida idea di cosa fosse appena successo lì, ovunque si fossero trovati, eppure, in un certo qual modo, Mia sembrava estremamente lucida e controllata nel affrontare qualunque cosa potesse accadere. Forse in cuor suo ci aveva pensato solo in parte alle scelte che aveva compiuto, o forse non voleva proprio pensarci, ma a dirla tutta, in quel momento trovava ci fosse qualcosa di più importante a cui dedicarsi. Raiden e il loro matrimonio avevano la precedenza, sopratutto in seguito al periodo destabilizzante che avevano passato. Così, invece di tormentarsi per questioni che sapeva di non poter controllare, decise di convincersi che almeno per un po' avrebbero avuto tregua. Almeno per stanotte. Almeno per un paio d'ore. « Però non abbassiamo la guardia, ok? Questa storia non fa presagire nulla di buono. » Rilassarsi mai, tenente Yagami. Alzò gli occhi al cielo e decise di distrarlo, lanciandogli sul piatto diverse proposte, così da sottrarlo da quelle preoccupazioni almeno per un po'. Mia in primis sapeva che quelle non erano cose con cui scherzare, né la posizione in cui si trovavano sin da quando un demogorgone aveva tentato di mangiare i loro gatti era poi molto comoda. Sarebbe stata la prima a proporgli di tornare al quartiere warlock non appena l'alba fosse sorta. Ma all'alba mancavano ancora tante ore; ore di attesa, in cui occupare il tempo, no? In un modo o nell'altro. « Onestamente di bere e far baldoria non ho troppa voglia. Non sarei tranquillo, lì. » Su quella prospettiva, Mia non ci aveva riflettuto; le fu però evidente dallo stato d'animo di lui che quella situazione lui l'aveva accusata molto di più. Mia non era certa neanche di quanto l'avesse presa sul serio; forse perché una volta rotto il patto con quella realtà, non l'aveva neanche più considerata come propria. Era talmente abituata a vivere in quel perenne caos che confluiva nella sua testa - anche in quel momento, anche mentre stavano parlando - che il contrario le era apparso immediatamente insolito. Certo, il dubbio che quel silenzio potesse rientrare nei suoi problemi di gestione della sua natura lycan, l'aveva sfiorata. Però non è mai successo. Non ho mai provato così tanta assenza. Nella mia testa c'è sempre qualcosa. Anche solo una scia distante, l'ombra di un'indole che non mi appartiene del tutto. All'inizio era fastidio. Poi, lentamente era diventato sempre più semplice ignorarlo, divenendo solo una sorta di substrato. Un chiacchiericcio indistinto di sottofondo che la rendeva estremamente permeabile all'intrusione di chiunque. Fortunatamente i suoi compagni d'armi erano sufficientemente rispettosi da non irrompere costantemente nella sua vita senza preavviso. Ma questo non significava che non avrebbero potuto. E un po', a tratti, quella mancanza di freni la spaventava anche. Avrebbe voluto davvero arrivare a un equilibrio. Decidere quale fosse il flusso di informazioni in entrata e in uscita. Per se stessa ma anche per gli altri. Al di là di tutto, era evidente che il giovane Yagami l'avesse accusata davvero tanto, motivo per cui scosse la testa e posò la guancia sulla spalla di lui, mentre camminavano senza meta, lungo le vie affollate del villaggio. « Però mi piacerebbe stare un po' in giro insieme a te. Bo.. ci facciamo una passeggiata, mangiamo qualche schifezza.. toh - qualcosa da bere ce lo possiamo pure infilare! Ma senza esagerare perché poi guido. » Sollevò un sopracciglio osservandolo con un'espressione divertita. « Mmmmh.. ok? » A te lo studentato proprio non è piaciuto. Un commento che la diverte e la porta a sorridere. Lei dal canto suo non può dire la stessa cosa. Vivendosi lo studentato soltanto negli weekend e durante le notti in cui riusciva a sgattaiolare fuori dalla Sala Comune, la loro percezione in merito non è certo simile. Per Mia, lo studentato è una figata; un modo di vivere che le appare proprio bislacco, ma al contempo elettrizzante? « Eh sì, signorina, si torna a casa. Io nella stanza di Stacey non ci vado manco morto. Poi la gente comincia a dire che quel porco del Professor Yagami si apparta negli studentati con le sue studentesse. Sarebbe molto disdicevole, non credi? » Corrugò appena la fronte, Mia, osservandolo con un'espressione divertita prima di sollevare un sopracciglio osservandolo con un'espressione di aperta sfida. « Signorina? » Sul serio? « Questa sì che è una cosa disdicevole. » Compie una leggera pausa, tempo in cui scosta lo sguardo di lato facendo la vaga senza alcun apparente motivo. « Io però ho sentito che quel porco del Professor Yagami fa comunque un sacco di cose disdicevoli. Non sarà certo l'appartarsi negli studentati a rovinare la sua reputazione immacolata. E poi, detto tra noi.. se ti fossi vestito come la gente normale, il problema neanche si poneva. » Punta lo sguardo davanti a sé Mia, ridacchiando tra se e se con un'espressione divertita mentre scuote la testa spintonandolo di tanto in tanto con la propria spalla, nell'intento di incollarsi maggiormente a lui e sentire la sua vicinanza. E camminarono ancora per qualche metro, metro prima le sue leggere risate venissero sostituite da un'espressione leggermente sorpresa nel vederlo fermarsi. « E poi voglio passare un po' di tempo con te. Tra tutto quello che è successo, non lo facciamo da un sacco di tempo. Ti va di pattinare? » Sfoderare un sorriso a trentadue denti di fronte a quella proposta fu quanto mai naturale. E infatti annuì, Mia, con grande convinzione, strattonando appena la mano di lui, prima di avvicinarsi quanto bastasse per stampargli un veloce bacio, sentendo improvvisamente l'impaziente bisogno di raggiungere la pista più in fretta possibile. Gli saltò infatti sulle spalle, intimandolo a sbrigarsi nella direzione della piazzetta in questione. Pattinare era proprio una cosa da Raiden e Mia. Lei era più una tipa da pattini a rotelle, ma assieme a Nessie, Ronnie e persino Weed, ci erano andate diverse volte, soprattutto durante l'anno precedente in cui, fare letteralmente qualunque tipo di esperienza, anche le più stupide, da poter incanalare nell'universo delle troppe cose che si sarebbero scordare sull'anno del diploma, sembrava un must. Stare con Raiden era estremamente semplice, non a caso, una volta scesi sulla pista, non ci volle molto prima di lanciarsi l'uno all'inseguimento dell'altro, ridendo e prendendosi in giro a vicenda. Rideva di gusto, Mia, destreggiandosi tra giochi infantili e battute pessime, senza farsi minimamente problemi su chi potesse sentirli o quanto rumorosi potessero risultare. Si divertiva e si sentiva libera e voleva godersi quel momento di spensieratezza senza pensare assolutamente a nulla. Stare così con Raiden le era mancato; quelle erano le loro versioni migliori e a tratti era impressionante quanto bene riuscissero a stare insieme. Le era mancato tutto quel ridere, prenderlo bonariamente in giro, spintonarlo e fargli scherzi di tanto in tanto nell'intento di farlo cadere. Lei non era stata da meno; nella disattenzione e la goliardia del momento, Mia era finita per terra diverse volte, scoppiando a ridere ogni volta. E così, quando si sedettero finalmente per mangiare, non poté fare a meno di lamentarsi per i muscoli indolenziti e la terribile fame che le era venuta. « Certo che l'ultima non è stata proprio letteralmente una botta di culo » Disse infatti lamentandosi mentre si sedeva con un po' di cautela, convinta che si sarebbe ritrovata diversi lividi il giorno dopo. Quando il cibo arrivò, Mia si fiondò come un cucciolo di dinosauro sui fritti, iniziando a mangiare un po' di tutto senza fare poi molti complimenti. « Dici che Jeff e gli altri ci avranno dati per morti? Di sicuro Delilah non può essere troppo ubriaca per essersi fatta sfuggire la nostra assenza. » Ancora a bocca piena, accolse l'arrivo della prima castagna con noncuranza, alternandola a un gamberetto che aveva appena fatto la stessa fine di diversi altri prima. Controllò l'orologio, dando per scontato che la sua fosse un serio riconsiderare la questione festa. « Boh? Va beh che ultimamente siamo mancati un botto da queste cose.. e non possono proprio parlare loro visto che Delilah ormai fa la diva un giorno si e l'altro pure. Qualcuno dovrebbe farle notare che è incinta, non disabile. » Che Mia sopportasse solo in parte l'atteggiamento da mammina pancina di Delilah era evidente soprattutto dal modo in cui evitava il più possibile di vederla da sola. Non era certo la sua condizione a metterla a disagio, o il fatto che non sapesse di preciso come comportarsi, quanto il fatto che la giovane si comportava come se tutto il mondo girasse attorno a lei e tutto - anche qualunque cosa con quella gravidanza c'entrasse ben poco, doveva girare attorno a lei. « Mi fa anche strano che la festa l'hanno organizzata da loro. » Forse Mia era un po' troppo cattiva e poco paziente nei confronti della povera Delilah. Il più delle volte era tranquilla, ed era persino più dolce e amorevole del solito. Finché non diventa satana e ti racconta i dieci modi per insegnare al bambino come dormire tutta la notte. « Secondo me per convincerla Jeff ha dovuto prometterle qualcosa di assurdo in cambio. Ricordi lo sguardo infuocato della sera di Dirty Dancing? Avvelenata! Minimo ha convinto Jeff a portarla a vedere Twilight o boh una roba alla Cinquanta Sfumature. » Scoppiò a ridere coprendosi il viso e scuotendo la testa. « Ma te lo immagini? Io potrei mo-ri-re! Ho bisogno di tutto ciò nella mia vita. » E dicendo ciò si mangiò un altro pezzo di fritto osservandolo con un'espressione divertita. Lentamente tuttavia, l'atmosfera si quietò un po', tant'è che Mia inclinò la testa di lato ad un certo punto osservandolo mentre posava l'ennesima castagna sul piatto di lei. Assottigliò appena lo sguardo divertito, colta leggermente alla sprovvista da quel improvviso silenzio. Nell'ultimo frangente infatti, aveva parlato quasi ed esclusivamente da sola, continuando a gettare sul piatto ipotesi che l'avevano portata a ridere e concentrarsi su immagini decisamente divertenti. Dai.. Jeff e Delilah a vedersi un film su un sadomasochista. Insomma. Fa ridere. Ma Raiden non rideva e Mia, quel cambio di rotta lo percepì solo all'ultimo, quando le dita di lui avanzarono nuovamente in direzione del suo piatto. « Comunque possiamo passare a fargli un saluto, se ti va. » Sollevò appena le sopracciglia leggermente sorpresa. « Ma avevi detto che non ti andava.. » Disse quasi istintivamente sgranando appena gli occhi. Di colpo si sentì tirata in causa, come se avesse in mano le sorti della serata. Una responsabilità. Una scelta. « Te lo ricordi quando ti ho detto che volevo tu mi dicessi ciò che volevi? È ancora valido. Per tutto. » Il tono serio di lui la portò a deglutire, mentre mentalmente tornava al ricordo di quell'ascensore. Lo stesso in cui le loro indoli si erano fuse per la prima volta portandoli a scambiarsi il primo bacio e lo stesso in cui Mia, pur non salendo, gli aveva confessato quanto gli piacesse. Quella stessa elettricità, Mia l'aveva percepita tante altre volte, e la percepiva anche adesso, tant'è è deglutì osservandolo con un'espressione quasi seccata. Divertita, ma pur sempre seccata. Dopo tutto quel tempo, quei cambi d'umore repentini, continuavano a metterla a disagio, pomparle in circolo una dose di tensione che non sapeva precisamente come contrastare. E in fondo, forse non voleva nemmeno farlo. « Cosa vuoi fare, Mia? » Non m'imbarazzi. Mi dai solo un sacco fastidio. Un modo come un altro per sdrammatizzare. Aveva risolto così la tensione che si era creata tra loro nel parco della liberazione diversi mesi prima, quando lei e Raiden non avevano la più pallida idea di cosa il destino avrebbe riservato loro. Sembrava una vita fa, eppure, a giudicare dal tempo trascorso sin da quando avevano lasciato casa di Albus e Mun, in un modo o nell'altro, erano ancora le stesse persone. Pur celando una parte delle loro rispettive turbe, Mia e Raiden erano sempre stati sinceri l'uno con l'altra. Forse perché non avevano mai avuto scelta. Forse perché insieme erano talmente disarmanti da non riuscire a mentire a nessuno se non a loro stessi.
    0d4c4aa2eb298f2a2dafe11ca6ead6cb3c1095af
    Cosa voleva Mia? Raiden glielo aveva chiesto tante volte, ma lei non gli aveva risposto con chiarezza. Forse perché per molto tempo ha provato tanto imbarazzo a parlare in maniera chiara con lui. Se ne è vergognata, ha trovato i suoi desideri illeciti, sbagliati. Vivere il sesso come un tabù è stata una prerogativa della propria vita per molto tempo. Al sesso, Mia, pensava molto, poteva essere estremamente divertente e non era certo un'attività che le dispiacesse. A tratti le piaceva anche troppo. Ma era pur sempre qualcosa da tenere sotto il tappeto, in fondo all'armadio. Esisteva ma non bisognava parlarsene. Lo aveva vissuto col terrore che qualcuno potesse scoprire cosa le passasse per la testa. Poi era arrivato Raiden. In quella loro dinamica, nascondersi era quanto mai ridicolo; la voglia di stare insieme era costante, e quel desiderio era difficile da nascondere. « Lo sai cosa voglio fare.. » Disse di scatto massaggiandosi il collo con un leggero senso di nervosismo, pur tentando di rimanere il più vaga possibile. Lo sapevano entrambi. « Quella festa? È una perdita di tempo. Preferirei tornare a casa. » Disse quindi iniziando a giocherellare distrattamente con alcuni dei gusci delle castagne, rimasti sul tavolo. « Visto che dobbiamo comunque restare svegli per tutta la notte, potrei approfittare del tempo per.. studiare un po'? Sai.. si dà il caso che io abbia un professore che è un vero palo nel culo. Bravo eh! Molto bravo.. però.. è proprio il tipo di persona che ti fa partire un sacco di insicurezze. È proprio.. autoritario. » E lì sbuffo con fare piuttosto plateale prima di roteare gli occhi con una leggera parvenza di fastidio che evidentemente non provava, non a caso la sua espressione prese di colpo un'espressione divertita. A quel punto, con le guance leggermente più ravvivate, gli gettò uno sguardo con la coda dell'occhio, prima di trovare il coraggio di guardarlo dritto negli occhi. Fece avvicinare la sua sedia leggermente di più rispetto a quella del ragazzo, allungando la mano per solleticare appena la sua nuca. Le dita vennero a contatto con la catenina che portava al collo sin da quando lo aveva conosciuto. La sollevò appena, lasciandovi scorrere le dita finché le dita non vennero a contatto con la sua targhetta identificativa. Solo allora tirò appena verso di lei, portandolo a sporgersi appena nella sua direzione. « Magari potresti aiutarmi a studiare.. come ai vecchi tempi. » Un leggero sorriso malizioso si materializza sulle sue labbra mentre lo osserva con estrema attenzione da sotto le folte ciglia. « Ricordi? Studiavamo un sacco bene insieme io e te. » Nella doccia. Sulla scrivania. Sul pavimento. Su quella scomodissima poltroncina che avevi nella stanza. « Andrei direttamente a ricevimento, ma trovo sempre il foglio delle prenotazioni pieno. Puntualmente sono sempre le stesse persone ad andarci. Mi secca anche un po'.. perché sono tutte squinzie, dai! » E dicendo ciò tirò ulteriormente la catenina, sollevando un sopracciglio. « Mi sento un po' trascurata - accademicamente parlando.. e anche ignorata.. eppure io mi sto impegnando. » A quel punto lo lasciò andare e si inumidì appena le labbra rubando un gamberetto dal suo piatto, masticandolo con estrema lentezza. « E poi, mi sento un po' intimidita. Credo che non sarò mai una brava studentessa. Sta diventando.. » E lì si schiarisce la voce, stringendosi automaticamente nelle spalle. « ..si è un po' frustrante. » Pausa. « A volte penso che non riuscirò mai a conquistarlo. Più sono giovani, più sono severi. È assurdo! » Torna con lo sguardo su di lui solo dopo un po'. « Sai.. se solo riuscissi a parlarci, capirebbe che io sono davvero davvero interessata alla sua materia. » A quel punto il suo sguardo si fa leggermente più innocuo, più apertamente curioso mentre si concede di sussurrargli poche altre parole in proiezione all'orecchio. « E a lui. Mio dio.. credo di avere una cotta per il mio professore di Strategia! Dis-di-ce-vo-le. E quante cose disdicevoli vorrei farci! » Quell'aperta platealità la porta a stringersi nelle spalle con un certo rammarico, mentre torna in sé, lasciando andare la propria propria. Eh.. che ci vuoi fare. « A te viene in mente qualche consiglio? »


     
    .
25 replies since 12/11/2021, 23:24   356 views
  Share  
.