Parliamo di te che se parlo di me mi manca il respiro.

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    "A tra poco allora."
    « La donzelletta vien dalla campagna, | in sul calar del sole, | col suo fascio dell’erba, e reca in mano |un mazzolin di rose e di viole, | onde, siccome suole, | ornare ella si appresta | dimani, al dí di festa, il petto e il crine. | Siede con le vicine | su la scala a filar la vecchierella, | incontro lá dove si perde il giorno; | e novellando vien del suo buon tempo, | quando ai dí della festa ella si ornava, | ed ancor sana e snella | solea danzar la sera intra di quei | ch’ebbe compagni dell’etá piú bella. »
    Il poeta Giacomo Leopardi descrisse un quadro di vita paesana durante un sabato sera, una fervente attesa del giorno festivo all’indomani, destinata poi a rimanerne profondamente delusa. Illustrò così la sua visione sul piacere, secondo la quale la gioia umana si manifesta nell’attesa di un piacere irraggiungibile, ed è pertanto fugace ed effimera. Alla felicità della festa, rappresentata nei preparativi del villaggio, si affianca invece un’ombra, la disillusione della domenica. Una metafora della vita per cui all’attesa del sabato corrispondono le speranza della giovinezza, mentre alle delusione della domenica corrisponde quella della vita adulta. Esattamente come la domenica delude le attese del sabato. Quando poi si aspetta un qualcosa, l’attesa non è mai distruttiva, anzi i giorni sono vissuti nel migliore dei modi per fare in modo che il tempo scorra più velocemente. Dentro gli occhi di chi attende c’era pura gioia. Ed eccolo là, il vero momento della felicità. La vera gioia non si prova quando si vive un determinato momento, ma nell'attesa di vivere quel momento stesso.
    A Wednesday Mortimer non era mai pesato aspettare, seppur considerasse a dir poco sgarbato far attendere qualcuno. Si definiva una persona precisa, ordinata, e ciò veniva fuori anche dal suo modo quasi maniacale di rispettare qualsiasi tipo di orario le venisse dato. Preferiva di gran lunga arrivare prima, deliziandosi di quel momento di pace, di attesa, prima che tutto cominciasse. Non si immaginava cosa sarebbe potuto succedere, né si creava aspettative. Era una ragazzina con i piedi per terra, concreta, non avvezza alle fantasticherie che di solito si facevano alla sua età. Non perché peccasse di mancanza di fantasia o inventiva, solo preferiva concentrarsi su ciò che le accadeva intorno nella vita reale piuttosto che su ciò che sarebbe potuto succedere solo nella sua testa. A Wednesday Mortimer piaceva aver sempre il controllo delle proprie azioni. Era una ragazzina paziente, dalla routine sempre uguale, come una moderna Penelope che giorno dopo giorno tesseva la sua tela con dedizione e pazienza, sicura che finché avrebbe avuto da ricamare tutto sarebbe rimasto così com’era. Perfettamente al suo posto. L’equilibrio di tutto era posto su un gracile perno e lo scopo della ex Corvonero era far si che questa stabilità non subisse bruschi cambiamenti che avrebbero fatto traballare ogni cosa. Era questo il motivo per il quale si costringeva a fare tutto un passo alla volta. Era da un po’ che, a discapito delle sue aspettative, le cose stavano cambiando. Ma con calma, un passo alla volta, come la marea che di notte inghiottisce la spiaggia onda dopo onda. Ciò le dava tempo di metabolizzare. Come la sua amicizia con Mia, una ragazza che apparentemente non ci incastrava niente con la Mortimer. Eppure, tra di loro, si era instaurato un rapporto di fiducia, tanta che ad un certo punto, Wednesday aveva persino trovato “fattibile” entrare a far parte di un gruppo studentesco di cheerleader, lasciandosi trascinare dal brillante entusiasmo dell’amica. Fino a pochi mesi fa non avrebbe preso neanche in considerazione quell’idea. Un passo alla volta. Wednesday aveva letto un sacco di libri. Innumerevoli. Ne teneva il conto in una pergamena sapientemente ripiegata in quattro parti che teneva dentro il cassetto del suo comodino. Ci scriveva il titolo nel momento in cui terminava di leggere l’ultima pagina. Nonostante non si definisse una sognatrice, a Weed piaceva leggere le favole. Le piacevano quelle che venivano dall’oriente. Mentre leggeva, aveva come l’impressione di percepire l’odore di spezie e la calda brezza del deserto che le pizzicava le guance. Si era avvolta nelle favole come se fossero una coperta, ma ben presto, fin da quando era solo una bambina, aveva appreso la consapevolezza che la realtà fosse ben diversa. Nel cortile della scuola, le vere principesse le fluttuavano accanto nel vento autunnale. Aveva visto il divario tra lei e quelle ragazze, giurando di non credere nelle favole. La realtà era ben diversa e forse era meglio così. Nessuna favola parlava di una ragazzina coi capelli argentati che sognava di lavorare in un’agenzia Funebre. Tirò un sospiro, stringendosi appena dentro il cappottino rosso scarlatto. Novembre era uno dei mesi che più amava. Le piaceva poggiare i piedi sui marciapiedi pieni di foglie colorate, che scricchiolavano sotto il loro peso. Si chiese ancora una volta se fosse stato il caso di rispondere a quel messaggio. Che pensiero stupido, vero? E poi, rispondere cosa? Di solito non si risponde nulla ad un “A tra poco allora.”. Ci si presenta e basta. Al massimo si risponde per declinare, per informare che c’è stato un imprevisto. Aveva intenzione di farlo? Non al momento, nonostante non si sentisse affatto coraggiosa. Non parlava con Benjamin da un sacco di tempo. Non perché non avesse niente da dirgli, semplicemente aveva pensato che le avrebbe fatto bene evitarlo per un po’. Non ne sapeva ancora il motivo, ma immaginava che lui non avrebbe avuto più tanto tempo ora che le aveva detto dei suoi progressi nella relazione con Veronica. Alla fine succede così, no? Le persone quando iniziano a frequentarsi vogliono sempre stare insieme, magari lontani dagli altri, in quella bolla senza tempo e spazio di cui aveva letto tante volte. Si, era sicuramente questo il motivo. E lei, da buona amica che era, doveva fare un passo indietro. Era però consapevole del fatto che non farsi sentire per troppo tempo non fosse affatto cortese. Era quello il perché del messaggio a Benji, quel giorno. Tirar fuori un argomento dalle fattezze frivole le era sembrata una buona scusa per contattarlo. Inoltre, anche se preferiva non pensarci, in qualche modo si sentiva come se le cose tra di loro si fossero concluse in modo strano. Aveva avuto l’impressione di doversi giustificare, ribadendo quanto fosse contenta per lui e dei progressi che aveva trovato il coraggio di fare con la ragazza che le piaceva. Oh, smettila. Benjamin non pensa che tu sia arrabbiata con lui. Quali motivi avrebbe avuto? Che stupida anche solo a farsi tutte quelle domande. Vide l’insegna della caffetteria ancor prima che questa diventasse del tutto leggibile. Strofinò i palmi delle mani tra di loro. Una vocina le suggerì che era ancora in tempo per mandare quel messaggio. Poteva dire di avere molto da studiare. Ma non era questa la Wednesday che conosceva. Si sentiva ridicola. La ragazzina che ogni giorno trattava con la Morte temeva di non riuscire ad affrontare una situazione del genere, circostanza con la quale tutti quanti si trovavano a dover avere a che fare praticamente ogni giorno. Stava solo passando a prendersi un thé, cogliendo l’occasione per salutare un amico. Amico. Era il termine giusto? Alla fine, forse, non erano altro che buoni conoscenti che avevano condiviso un paio di balli e la visione di un’opera a teatro.
    Però non avrebbe osato dire che si conoscevano a malapena. Avevano parlato di un sacco di cose, in verità. Forse perché confidarsi con Benjamin sembrava estremamente facile. Aprì la porta, tirando fuori una dose di coraggio che non credeva le appartenesse. L’aria all’interno della caffetteria era calda, avvolgente e profumava di caffè tostato. Le luci erano calde, ospitali, e conferivano all’ambiente un aspetto familiare. Capiva perfettamente perché molti studenti sceglievano quel posto come rifugio. A fu allora che vide Benjamin dietro il bancone. Aspettò che anche lui la vedesse per sorridergli, aggiustare la tracolla della borsa sulla spalla ed avvicinarsi al bancone a passo tranquillo e misurato. Lo salutò solo quando gli si ritrovò davanti. «Buon pomeriggio, Benjamin.» stirò un sorriso sulle labbra, ripetendosi per l’ennesima volta che non aveva nulla da temere. Le sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che si erano parlati. E forse era davvero così. «Ti trovo in salute.» Ti trovo in salute. Che frase stupida, dannatamente stupida, da dire. Cos’era, un medico? Probabilmente qualcuno avrebbe osato dire che quella frase pronunciata da una Mortimer avesse la cadenza di un sortilegio. Aveva la sensazione di essere un pesce fuor d’acqua. Sentiva le braccia pesanti e non sapeva dove metterle. Era come se non le appartenessero, se fossero due appendici attaccate al resto del corpo senza alcun motivo. Decise, infine, che sedersi in uno degli sgabelli piazzati davanti al bancone fosse la cosa migliore da fare. «Allora..» Si strinse nelle spalle con un sospiro. Aveva ancora quel mezzo sorriso sulle labbra, come una maschera che le si era appiccicata addosso. «Avevi assolutamente ragione sul professor Leslie. Due giorni fa si è presentato in classe dicendo che eravamo un branco di falliti e che solo uno su venti di noi sarebbe arrivato a fine corso. La ragazza seduta accanto a me sembrava sul punto di scoppiare a piangere.» Poteva definirsi un aneddoto divertente da raccontare? Non ci avrebbe giurato.



     
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    Benjamin Bellow ficca il cellulare il tasca e lo imposta in modalità aereo. Oddio. Oddio. Continua a invocare divinità mentalmente, chiedendosi se, quella di invitare ufficialmente Wednesday Mortimer alla caffetteria Starbucks, sia stata una buona idea o meno. Soprattutto perché lui - scemissimo! - è di turno, quindi non è che possa darle chissà quale corda. No vabbè, ci vuole davvero intelligenza. Oddio, Lux, dove sei, te prego arriva presto... «LUXANNA», esclama a pieni polmoni, quando vede entrare l'amica dalla porta di servizio riservata ai dipendenti. «Mi salvi la vita. Giuro che me la salvi.», Benji, guarda che ancora non ha mica accettato la tua proposta, eh... «Ah già, vero, scusa!», Benji, guarda che non è una Legilimens, non può sentire i tuoi pensieri, riformula meglio perché non se ne sta capendo una ceppa! «No, cioè, volevo dire: non è che mi sostituiresti tipo per... due o tre ore, dice l'ultimo pezzo di domanda rapidamente, affinché non si percepisca l'entità della richiesta. Una sostituzione di due-tre ore non è affatto poco, d'altronde. «Tipregotipregotiprego?», implora, unendo le mani in preghiera e dipingendosi in volto una maschera d'innocenza commista a devozione nei confronti della sua unica e santissima Salvatrice con la esse maiuscola. «Ti devo un favore. Anzi, te ne devo duemila. Sei la migliore, grazie, ed ecco che, come sempre, arriva qualcuno a salvare il sederino del signor Benjamin Bellow, che alla veneranda età di quasi venti anni - li compirà il trenta di Novembre - uno straccio di responsabilità ancora non ha deciso di prenderselo. E questo è quanto: corre nel bagno dei dipendenti e cerca di darsi una ripulita dallo sporco di infinite bevande rovesciate sul grembiule - nell'attesa di servirle a clienti spazientiti - e dalla farina dei famosi cookies con gocce al cioccolato, che ancora è attaccata alla punta delle sue dita. Ravvia i capelli - come se potesse servire a domare i riccioli affatto calmi e prova, allo specchio, dopo essersi sincerato di aver chiuso a chiave la porta alle spalle, alcune espressioni facciali a suo avviso considerate fighe. Prima abbozza un sorriso, poi solleva le sopracciglia, poi ancora aggrotta la fronte. No, no, così sembro incazzato. E poi, ancora: no, no, così sembro un completo scemo. Per finire con un: vabbè, tanto sono scemo a prescindere proprio perché sto recitando un vero e proprio teatrino. Per Morgana, un deficiente completo. Santi Thestral, sono davvero ridicolo. Detto ciò, dopo aver preso un profondissimo sospiro, Benjamin Bellow si dirige al patibolo - il quale, patibolo, non sarebbe altro che, tra le righe, l'incontro con una ragazza la cui presenza non riesce assolutamente a definire. Siamo amici? Siamo conoscenti? Le sto sul culo? - tutti degli interrogativi cui non trova risposta, semplicemente perché... Una risposta non c'è. Non è necessario schematizzare e definire le relazioni inter-personali sulla base di questo. Le si vive e basta, come viene, viene. Peccato che, quest'ultimo concetto, sia molto difficile da afferrare per un soggetto ansiogeno come il Tassorosso in questione. Il quale, all'orario dell'appuntamento, decide di farsi nuovamente vedere nella sala principale della caffetteria Starbucks, riprendendo posto dietro al bancone, in attesa. Weed arriva qualche istante dopo, puntualissima come un orologio svizzero. «Buon pomeriggio, Benjamin.», la voce cristallina della Corvonero scandisce il tempo ad una cadenza rallentata. A Benji sembrano trascorse ore quando, finalmente, riesce a schiudere le labbra e ad emettere un suono di saluto: «Buongiorno-noaspettahosba.. Sbagliato - buonpomeriggioWeed.», sei partito col piede giusto, Bellow, non c'è che dire. «Ti trovo in salute.», strabuzza gli occhi, il Tassorosso. No un attimo, questo vuol dire che le altre volte le sono sembrato malato? Raffreddato? Raggrinzito? Debole? No vabbè sono uno scemo. Uno s-c-e-m-o. Ecco cosa le sono sembrato: uno scemo. E avrebbe tutto il diritto e tutta la sacrosanta ragione di pensarlo, perché è la verità, nuda e cruda. «Anche tu.. Cioè, sempre. Nel senso: anche tu, ma lo sei... Sempre - ?», dà una cadenza interrogativa all'ultima parola della frase, perché non è convinto neanche lui di quello che sta dicendo. Quello che intendo è: anch'io ti trovo in salute, ma a prescindere mi sembri sempre così, non è che in certi periodi tu mi sia sembrata... Meno in salute... Scrolla la testa, rendendosi conto di essersi incartato su qualcosa che non sta né in cielo, né in terra.
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    «Avevi assolutamente ragione sul professor Leslie. Due giorni fa si è presentato in classe dicendo che eravamo un branco di falliti e che solo uno su venti di noi sarebbe arrivato a fine corso. La ragazza seduta accanto a me sembrava sul punto di scoppiare a piangere.», fortuna che Weed cambia argomento di conversazione. Okay, college, in questo campo sono preparato. Non che io sia un genio assoluto della Psicologia criminale - tant'è che ho cambiato corso -, solo che... Cioè, ci sono passato, so cosa Weed ed i suoi colleghi stanno provando, quindi posso dare qualche consiglio. Spero solo che le sembrino intelligenti... Ma a quanto pare le mie raccomandazioni sul prof Leslie sono servite. Bisogna prenderlo con le pinze... Annuisce a ripetizione, Benji, dando prova d'essere nel vivo della discussione. «Lo... Lo so, con lui è sempre un casino... Ha quell'aspetto così tenebroso.. Sembra volerti distruggere con lo sguardo. Però, Weed... Non - non farti prendere dal panico... Cioè, non che tu sia in panico... Nel senso: nel caso dovessi sentirti in ansia.. Cerca di pensare ad altro, perché alla fine è... Solo un esame, no? Ce ne sono così tanti che uno non farà la differenza... Anche se dovessero bocciarti -», spalanca gli occhi, perché in effetti la sua potrebbe apparire quasi come una premonizione, cosa che non si applica assolutamente al caso di Weed. Lei è bravissima, perdinci! E' un perfetto esemplare di Corvonero! «- cioè, non accadrà mai, però capito: anche se dovesse accadere... E' solo un esame. Si può ripetere. Non succede nulla.», le labbra di Benji si curvano in un sorriso d'incoraggiamento. Poi batte le mani sul bancone - mossa che aveva stabilito prima per sembrare un tipo che ci sa fare nel mestiere, un tipo figo. Risultato: fa un rumore assurdo e gli altri dipendenti si girano nella sua direzione rivolgendogli occhiatacce, nell'ipotesi che abbia rotto qualcosa. «Allora, ehm, ti va un caffè? O una cioccolata o... Un thè? Biscotti, fette di torta..», no vabbè, vuoi continuare con l'elenco della spesa? Sembri un venditore ambulante! «Dimmi tu! Offre la casa.», non ci credo, l'ho detto veramente. La frase più patetica della storia. Offre la casa. Trita e ritrita, la dicono in ogni film, serie tv, libro, ovunque. Che cliché... «E poi avevo pensato.. Siccome finisco il turno tra un po', potremmo andare in giro per il campus a... Uhm - magari sono in anticipo dato che è Novembre, però ecco.. Potremmo comprare i regali di Natale... Uhm, ecco, sì.», si gratta la nuca, in visibilissimo disagio. Tu proprio non ci sai fare, Benjamin Bellow. Con le persone, s'intende.

     
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    Iniziare una conversazione. Wednesday era sempre stata consapevole di non brillare particolarmente in questo tipo di pratica, ma non se ne era mai fatta un cruccio. La figlia di mezzo dei Mortimer non era mai stata una gran chiacchierona e non erano rare le occasioni in cui aveva preferito i propri pensieri a quelli degli altri. La solitudine non l’aveva mai spaventata. Trovava patetica una persona che non provava piacere ad avere tempo solo per sé stessa. Nell’ultimo periodo della sua vita aveva meditato molto, forse più del solito, forse più di quanto avrebbe voluto. Dentro di lei era maturata, come un germoglio in fiore, una consapevolezza, un punto di vista che in precedenza non aveva esplorato con attenzione, accantonandolo in un angolo, senza dargli attenzione. Stare bene con sé stessi non significava obbligatoriamente tenere la testa chinata esclusivamente sui libri. Aveva sempre sostenuto che la vita fosse un viaggio e il suo scopo fosse quello di immagazzinare più esperienze possibili, più storie, più vite. Ma come poteva colmare quella sua sete di conoscenza se passava il suo tempo chiusa in camera a studiare? Immaginava. Dentro la sua testa esistevano centinaia di scenari diversi, incastonati come dipinti che i suoi libri avevano contribuito a tinteggiare, parola dopo parola, pennellata dopo pennellata. Eppure aveva tutto quanto un’aria sbiadita, come se quei disegni fossero stati coperti da un drappeggio bianco che impediva all’osservatore di avere una visione chiara di cosa ci fosse là dietro. Il velo di Maya, l’illusione che impediva all’essere umano di fare esperienza della Verità, del principio assoluto di realtà. Maya è la creazione che muta e si trasforma, è ciò che permette all’essenza di rivestirsi di diverse involucri, la connotazione negativa che potremmo averne deriva soltanto dal confondere l’essere con l’apparire, o meglio, dalla mancanza di memoria rispetto alla natura profonda delle cose prima ancora della comprensione della percezione soggettiva che ne abbiamo. La natura dell’acqua rimane uguale a se stessa anche se cambia la sua forma in base al contenitore nel quale viene riposta. L’illusione sarebbe di credere che il contenitore cambia la sostanza, confondendo così forma e essenza. Ogni persona conosciuta aveva contribuito a rendere quei colori più brillanti. E Benjamin era una di quelle persone, era uno di quei colori. «Buongiorno-noaspettahosba.. Sbagliato - buonpomeriggioWeed.» Un attento osservatore avrebbe potuto scorgere l’ombra di un sorriso materializzarsi sulle labbra della Corvonero. Aveva sempre trovato affabile i modi bizzarri di Benjamin. «Anche tu.. Cioè, sempre. Nel senso: anche tu, ma lo sei... Sempre - ?» Ecco fatto. Era bastata l’espressione confusa del giovane davanti a lei per darle la conferma di quanto sciocca fosse stata la sua affermazione. Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi, salutare ed andarsene, cercando il pulsante di azzeramento che le permettesse di ricominciare tutto da capo. Frenare l’impulso di farlo fu davvero difficile. «Lo... Lo so, con lui è sempre un casino... Ha quell'aspetto così tenebroso.. Sembra volerti distruggere con lo sguardo. Però, Weed... Non - non farti prendere dal panico... Cioè, non che tu sia in panico... Nel senso: nel caso dovessi sentirti in ansia.. Cerca di pensare ad altro, perché alla fine è... Solo un esame, no? Ce ne sono così tanti che uno non farà la differenza... Anche se dovessero bocciarti -cioè, non accadrà mai, però capito: anche se dovesse accadere... E' solo un esame. Si può ripetere. Non succede nulla.» Wednesday piegò la testolina verso destra, in modo quasi impercettibile, intenta ad ascoltare le parole di Benjamin e a riflettere su di esse. Non aveva mai sinceramente preso in considerazione la possibilità di non superare un esame. Non perché fosse troppo orgogliosa o peccasse di vanità, semplicemente non ci aveva mai pensato. Adesso, però, quel pensiero si materializzò nella sua mente come un film. Si immaginò china sui libri, a leggere parole che non capiva e che, era certa, non le sarebbero mai entrate in testa. Era un’immagine riprovevole che le fece aumentare la frequenza cardiaca ed impallidire le guance, già tinte di una sfumatura color porcellana. Poi, però, il suo sguardo captò il sorriso incoraggiante di Benjamin che le
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    si posò addosso donandole una calma inaspettata. Inspirò ed espirò con lentezza, come se fossero le azioni da compiere per chissà quale rito scaramantico. «Immagino che si possa dire che il professor Leslie non abbia proprio un’aria rassicurante, ma non mi sento nel panico..» si strinse appena nelle spalle, rivolgendo a Benjamin un sorriso gentile. «Ho apprezzato la sua sincerità su cosa pensasse di noi.» continuò annuendo una sola volta, in riferimento alla frase che aveva detto poco prima, sul modo in cui il professore si era presentato alla classe. «Non sono preoccupata per gli esami. Se devo essere sincera li ho sempre trovati decisamente stimolanti.» sorrise, come una bambina che elencava con minuzia di particolari i regali ricevuti per Natale. Era così immersa nei pensieri che sbbalzò quando Ben sbatté le mani sul bancone, spalancando appena gli enormi occhi color foglia. «Allora, ehm, ti va un caffè? O una cioccolata o... Un thè? Biscotti, fette di torta.. Dimmi tu! Offre la casa.» Sorrise, pensando a quanto Benjamin fosse sempre stato gentile con lei, fin dal primo momento che si erano incontrati. Sono curiosa di vedere un Thestral ballare in mezzo a tanti Ippogrifi. Gli aveva detto così il giorno della Wild Hunt, dopo che lui le aveva confessato di sentirsi più un Thestral in un mondo di Ippogrifi. Era stato un paragone che la faceva sorridere ancora adesso, al pensiero, forse perché anche lei si sentiva in quel modo. Per la prima volta dopo tanto tempo, si era sentita come se qualcuno potesse in qualche modo comprenderla, capirla, sbirciare al di là dell’armatura che indossava per proteggersi dal mondo. «E poi avevo pensato.. Siccome finisco il turno tra un po', potremmo andare in giro per il campus a... Uhm - magari sono in anticipo dato che è Novembre, però ecco.. Potremmo comprare i regali di Natale... Uhm, ecco, sì.» Il Natale. Era quasi certa che lei e Benjamin avessero tradizioni ben diverse che riguardavano quel giorno e il modo in cui lo festeggiavano. «Divertente.» Era una parola che aveva sempre usato in modo sarcastico, ma non quella volta. Era davvero convinta che un pomeriggio passato a fare doni in compagnia di Benjamin Bellow avrebbe potuto essere divertente. Trovava la sua compagnia piacevole e se lui l’aveva invitata ad un’attività del genere, c’erano buone probabilità che anche lui trovasse gradevole la cosa. «Penso che allora prenderò un thé alle ortiche da portare via.» Avrebbe fatto volentieri a meno di farsi offrire da bere da Benjamin, ma immaginava che lui avrebbe insistito, perciò si promise di ricambiare alla prima occasione possibile. «Allora..» cominciò nell’attesa del thé. «Ti piace il nuovo corso?» E basta parlare di scuola, Weed! Stai diventando noiosa.. «In tutta sincerità non vedo l’ora che arrivino le vacanze invernali. Tornerò a casa dalla mia famiglia e staremo insieme per le feste.» A qualcuno sarebbe potuto sembrare un programma poco interessante, ma non per lei. «Tu hai qualche progetto per quei giorni?»



    Edited by wilted flower. - 4/1/2022, 02:50
     
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    «Immagino che si possa dire che il professor Leslie non abbia proprio un’aria rassicurante, ma non mi sento nel panico..», oddio quindi non ho fatto una figura di Schiopodo Sparacoda, vero? Perché cioè, alla fine può succedere: anche se Weed è bravissima e intelligentissima - esageratamente! E' pure Corvonero!!! - negli esami c'è un "fattore fortuna" imprevidibile, per cui nonostante la migliore delle preparazioni... Comunque si potrebbe beccare la domanda tragica, no? - in ogni caso non volevo insinuare che non lo passerà. Perché secondo me ce la farà benissimo a primo tentativo... Però ecco... Meno male che non ha frainteso, oddio. Benjamin tira un sospiro di sollievo così forte che, probabilmente, anche a Inverness, la sua vera casa, si sarà percepito qualcosa. «Ho apprezzato la sua sincerità su cosa pensasse di noi.», strabuzza gli occhi, il Tassorosso. Veramente?!?!?! Io ne sono rimasto tipo... Traumatizzato. «Non sono preoccupata per gli esami. Se devo essere sincera li ho sempre trovati decisamente stimolanti.», beh, questo in effetti è molto da te. Si lascia sfuggire un sorriso, il ricciolino. Sinceramente... Vorrei il tuo coraggio. Nello sguardo azzurro di Benji c'è tutta l'ammirazione che possiede in corpo, rivolta alla diretta interlocutrice. «Non è che per caso.. Ehm.. Così, per dire - nonèchepercaso faresti anche i miei?», si gratta la nuca. Poggia le mani sul bancone. No vabbè, Benji, sei davvero riuscito a fare una battuta. Una battuta! - si tocca la fronte, il cuor di leone. Stai bene? - si domanda, credendosi improvvisamente vittima di un ictus o di qualcosa di molto simile. Perché la simpatia no, questa malattia non l'ha mai avuta. Eppure... Eppure ho fatto una battuta! - e dopo aver vinto un Golden Globe come miglior cabarettista non protagonista, ecco che il signor Bellow sprofonda di nuovo nel più totale disagio. Oddio, ma l'avrà capita? No perché dal mio tono sembravo serio, ma, cioè... Non le chiederei mai di svolgere - letteralmente - i miei esami! Sarebbe da infamissimo! E poi lei non si merita di essere trattata da macchina svolgi-compiti, sono sicuro l'abbia già subito abbastanza... Nonostante, beh, immagino che studiare le piaccia molto. Non potrebbe essere altrimenti: sa così tante cose. Così tante che... Che effettivamente il signor Bellow, ogni volta, ne rimane incantato. Come quando sua madre gli raccontava le favole della buona notte, e lui si lasciava cullare sino a prender sonno... «Eh eh si fa per ridere.», abbozza un sorriso, a sottolineare quanto effettivamente stia scherzando. Ti prego, ti prego, ti prego, fa' che non creda che sono uno scemo - Morgana, salvami tu. Subito dopo, a Benji viene un'idea per fuggire la potenziale caduta di stile appena messa in scena. Potremmo andare a comprare i regali di Natale. Sicuro saprà consigliarmi qualcosa di bello, e-e-e... E poi vorrei farne uno anche a lei... «Divertente. Penso che allora prenderò un thé alle ortiche da portare via.», ha accettato. Ha accettatoooo! - Benji inizia ad esaltarsi, e glielo si legge a chiare lettere negli occhi, che diventano all'improvviso luminosi. «Subito!!!», e vola nelle retrovie a preparare il famoso the alle ortiche, scavalcando tutto il resto della clientela e facendo un segno di preghiera a Luxanna, domandandole silenziosamente di coprirlo. La bionda accetta perché è super unica e inimitabile al mondo, e così il giovane Bellow può allontanarsi da Starbucks per le compere di Natale, a fianco dell'eccentrica - nonché incantevolmente originale - Wednesday Mortimer. «Allora..», Benji le consegna il the da asporto. «Eccosperotipiaccia.», borbotta, mordendosi subito le labbra perché si rende conto che la Mortimer stava continuando il discorso. L'ho scavalcata, che scemo. Zero galanteria, mi dovrebbero sbattere ad Azkaban in direttissima. «Ti piace il nuovo corso? In tutta sincerità non vedo l’ora che arrivino le vacanze invernali. Tornerò a casa dalla mia famiglia e staremo insieme per le feste.», Benji deglutisce, nel momento in cui accenna la parola famiglia. «Uh, sì, credo che DCAO sia molto più nelle mie corde.. Mi dà.. Quasi tranquillità. So quanto sia paradossale - per imparare le Difese contro le Arti Oscure non si può non fare accenno alle... Arti Oscure - però... Mi dà... Mi - mi dà sicurezza... Come se... Potessi riuscire a difendermi, qualora...», qualora accadesse ciò che sappiamo per certo accadrà. Le Logge si sono riaperte, e benché rimanga un mistero ai più, non lo è per noi... «Uhm. Sì, ecco, fondamentalmente per questo.», taglia corto, infilandosi il cappotto e oltrepassando l'uscita del locale. «Tu hai qualche progetto per quei giorni?», cala la testa verso il terriccio innevato, Benjamin. Quella domanda fa un po' male. Credeva di averlo superato, il piccolo figlio di Inverness, eppure non è proprio così. Gli Herondale lo hanno accolto e protetto, ma... Nessuno potrà mai restituirgli i propri genitori e la sorella, brutalmente uccisi nel corso della Guerra Santa... Nessuno. Barbara, Noah e Delilah gli hanno garantito sorrisi, calore e accoglienza. Per quanto riguarda i morti... Quelli non tornano indietro mai. Ed io... Io credo che Weed lo sappia bene. «I miei genitori e mia sorella sono morti.», confessione bomba. Benji strabuzza gli occhi. Oddio, non posso credere di averlo detto veramente. Eppure l'ha fatto, l'ha letteralmente appena fatto. E l'ha detto a Weed, la ragazza alla quale cerca disperatamente di apparire normale, forse... Forse sbagliando. Forse è inutile tentare di mostrarmi chi non sono, forse sarebbe più semplice e naturale essere semplicemente me stesso. E Benjamin sente di aver riposto correttamente quella confidenza a Wednesday Mortimer. Sente e percepisce che lei possa capire. Anzi, forse è davvero la persona più indicata - passando il termine poco accurato - con cui parlare di certi argomenti.
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    «Weed, io... Non volevo rovinare l'atmosfera.», si morde il labbro, ancora. Dal cielo blu del pomeriggio invernale iniziano a scendere fiocchi di neve. A Weed ne cade uno proprio sul naso. Questo fa sorridere Benji. «Però tu hai parlato di famiglia, e io... Ecco, come ti dicevo non ce l'ho più. I miei sono stati uccisi durante la Guerra. Non - non... Questo non vuol dire che io sia rimasto da solo.», è in quel momento che il suo sguardo si fa più tranquillo. «I miei genitori avevano - hanno... Dei carissimi amici. Loro sono la mia famiglia, adesso. Loro mi hanno salvato.», sono persino diventato zio, sai...? Il piccolo Eddie mi vuole tanto bene - a parte le volte in cui mi fa diventare i capelli bianchi per la paura che si affoghi con qualche pappetta. «Non so davvero perché ne sto parlando adesso.», si blocca un attimo. Perché l'ho fatto? Perché ho questa delirante tendenza all'autosabotaggio? «Io credo che sia... Cioè, credo...», quanto meno giustificati, Bellow. Hai iniziato un discorso: concludilo. «Credo che tu... Possa capirmi...», non necessariamente perché credo tu abbia vissuto la stessa esperienza - perché, appunto, non l'hai vissuta. Però credo tu sia la persona giusta con cui parlarne. Con cui confidarsi. Con cui sentirsi liberi di poter dire tutto... Mi hai sempre compreso. Mi sei sempre stata vicina, e l'hai fatto persino quando mi conoscevi appena, al Midsummer. «Questo per dire che non ho dei piani particolari per le vacanze..», conclude, curvando le labbra leggermente. Sono tranquillo, Weed, spero tu lo percepisca. Perché non voglio che il nostro... appuntamento sia un totale fiasco, o che sia triste. «Ti va di entrare in questo negozio?», si tratta del Medb, negozio di profumi e skincare di una certa Penelope Cousland. Di sicuro posso trovare qui qualcosa per Deli o Lux... E magari tagliar corto sulla conversazione precedente. Non voglio che Weed si senta a disagio per le mie rivelazioni da cretino.

     
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    «Non è che per caso.. Ehm.. Così, per dire - nonèchepercaso faresti anche i miei?» Silenzio. Wednesday spalancò gli occhioni color foglia morta. Le sue labbra si schiusero appena. Interminabili secondi. «Eh eh si fa per ridere.» Poi accadde qualcosa di estremamente raro, qualcosa che non tutti potevano vantare di aver visto: la figlia di mezzo dei Mortimer scoppiò a ridere. Fu una risata inaspettata che le si infranse sulle guance ed uscì prepotentemente dalle labbra. Weed chinò la testa in avanti, poggiandosi una mano sulla bocca, come se volesse fare più piano, come se persino lei stessa non sapesse come gestire la cosa. La ex Corvonero non era solita a ridere così. Non perché non ne fosse capace, ma perché erano estremamente rare le cose che la facevano ridere di gusto. Chiunque avrebbe notato che negli ultimi due anni la giovane Mortimer sorrideva più spesso. Fino ad allora qualcuno starebbe stato persino in grado di giurare che non ne fosse affatto capace. La bizzarra ragazzina dai capelli argentati aveva alzato il naso dai libri e stava imparando ad intrecciare rapporti umani. C’era da dire che il giovane davanti a lei aveva giocato un ruolo fondamentale in tutta quella faccenda: Benjamin Bellow era stato una delle prime persone a superare i pregiudizi e a rivolgerle la parola durante la caccia del Midsummer. Sempre che ne avesse, di pregiudizi, lui. Più ci pensava e più lo conosceva, più Wednesday avrebbe potuto giurare che l’ex Tassorosso non si preoccupasse di ciò che gli altri dicevano e che i suoi pensieri nascevano solo dalle sue esperienze. «Non credo che faresti bella figura a presentarti con dei compiti fatti da una completamente digiuna in materia come me.» Fece scoccare la lingua sul palato, continuando a sorridere. Stava cercando di rispondere ad una battuta con un’altra battuta? Forse non le era riuscito molto bene. Era meglio procedere per gradi. Le battute era meglio lasciarle a Benji. «Subito!!!» Lo guarda in silenzio, mentre lui si destreggia per prepararle il thè. Tuffò le mani dentro le tasche del cappotto. Nonostante l’aria dentro la caffetteria fosse piacevolmente tiepida, aveva ancora la punta delle dita congelate. Fece scorrere lo sguardo all’interno della sala, constatando che quel giorno il locale era piuttosto gremito. Forse non era saggio per Benjamin lasciare il locale nelle mani di una sola collega. Si sentì in colpa e pensò che forse avrebbe dovuto dirglielo. «Eccosperotipiaccia.» Tirò fuori la mano dalla tasca avvolgendo le dita attorno al bicchiere. Il calore emanato dalla bevanda riscaldava la carta. Prima che se ne rendesse conto stavano uscendo dal locale. Aveva dimenticato ciò su cui stava rimuginando prima che lui tornasse con il thè. «Uh, sì, credo che DCAO sia molto più nelle mie corde.. Mi dà.. Quasi tranquillità. So quanto sia paradossale - per imparare le Difese contro le Arti Oscure non si può non fare accenno alle... Arti Oscure - però... Mi dà... Mi - mi dà sicurezza... Come se... Potessi riuscire a difendermi, qualora...» Qualora... «Uhm. Sì, ecco, fondamentalmente per questo.» Wednesday annuì per poi oltrepassare la soglia del locale. L’aria all’esterno sembrava più temperata rispetto a qualche minuto fa. Forse perché, timidamente, alcuni raggi di sole si erano affacciati da dietro una nuvola bianca. Ne avvertì il calore sulla pelle. Era una sensazione piacevole. «E’ una cosa positiva che tu abbia trovato la strada giusta. Non è così scontato come si potrebbe pensare.» La sua vita stessa era piena di controversie: aveva sempre creduto che la sua via fosse tracciata davanti ai suoi piedi, lineare, semplice, e che non avrebbe fatto fatica a percorrerla. Al momento, però, ciò che vedeva davanti a sé era uno srotolarsi di strade infinite che a volte si intrecciavano tra di loro creando nodi bitorzoluti e poi, come se nulla fosse, si allontanavano nuovamente in direzioni diverse. Era come trovarsi nel bosco di notte. Alcune strade sembrano sicure, altre meno, ma non è detto che quelle più quiete ti portino esattamente dove vorresti andare. Ma poi, tu, dove vuoi andare, Wednesday? Non si era mai sentita tanto insicura in vita sua. La scelta del College era stata un salto nel vuoto, un passo compiuto ad occhi chiusi, insicura del fatto che quella fosse stata la scelta più saggia. I suoi genitori l’avrebbero presa immediatamente a lavorare nell’Impresa Funebre, ma lei voleva di più. Se prima quell’intrecciarsi di percorsi la spaventavano, ora ne era incuriosita. Non ce n’erano alcune giuste e alcune sbagliate: tutte erano valide opzioni. Per questo si sentiva confusa, per questo si sentiva presuntuosa, per questo pregava intensamente. Temeva di apparire come una peccatrice, di essere troppo arrogante. Magari non era quella brava persona che aveva sempre creduto di essere. «E non credo sia paradossale il fatto che ti infonda sicurezza. Infondo penso sia questo lo scopo della cultura: darci i mezzi necessari, accrescerci, elevarci, per poter affrontare il mondo in tranquillità.» L’istruzione è l’arma più potente che possiamo usare per cambiare il mondo. Era una frase di Nelson Mandela. Suo padre gliela ripeteva spesso fin da quando era piccola. L'istruzione aveva da sempre rappresentato uno degli elementi chiave decisivi per far sì che una nazione si possa sviluppare. Che si tratti di lottare contro la povertà, la fame o le malattie, l’istruzione è uno dei presupposti fondamentali per consentire uno sviluppo sostenibile in tutti i paesi. «I miei genitori e mia sorella sono morti.» Fu come se qualcuno avesse fatto detonare una bomba. Non c’era stata nessun’avvisaglia, nessuno che era corso a nascondersi. Desolazione. I passi della ex Corvonero di fermarono di botto, come se qualcuno l’avesse trattenuta, strattonandola per la sciarpa. Ebbe un sussulto mentre si voltava di scatto verso il ragazzo al suo fianco.
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    Ripensa alla frase pronunciata un attimo fa, su quanto fosse entusiasta di passare le vacanze invernali con la sua famiglia, la sua numerosa famiglia, e non può fare a meno di desiderare di sparire. Per un attimo si dimentica come respirare. Punta gli occhi su quelli di Benjamin mentre le labbra si schiudono appena ma non riesce a dire niente. E’ come se qualcuno le stesse stringendo una mano intorno alla gola. «Weed, io... Non volevo rovinare l'atmosfera.» Ha ricominciato a nevicare. Wednesday non se ne accorge subito. La sua bevanda calda emette una leggera nuvola di fumo. «Però tu hai parlato di famiglia, e io... Ecco, come ti dicevo non ce l'ho più. I miei sono stati uccisi durante la Guerra. Non - non... Questo non vuol dire che io sia rimasto da solo. I miei genitori avevano - hanno... Dei carissimi amici. Loro sono la mia famiglia, adesso. Loro mi hanno salvato.» Wednesday aveva sempre avuto a che fare con la Morte, questa non era una novità per nessuno. La percepiva camminare al suo fianco, ogni giorno. Non la temeva, bensì la rispettava e giorno dopo giorno aveva imparato a conoscerla meglio, benché in un certo senso Ella fosse sempre avvolta nel suo mantello di mistero. Credeva ciecamente in un “dopo”, che sarebbe successo qualcosa dopo che il suo corpo fatto di carne avrebbe chiuso gli occhi per l’ultima volta. Aveva avuto a che fare con il dolore degli estranei quando questi si presentavano all’Impresa Funebre. Aveva avuto a che fare persino con dei conoscenti dopo il Lockdown. Aveva visto gente straziata dal pianto, ammutolita, persone che avevano il dolore dipinto in viso. Ma con Benjamin era un’altra cosa. Era la prima volta che le capitava di percepire un dolore simile riflettersi sulla sua pelle per poi scendere in profondità fino ad insinuarsi nel petto, al centro, dove faceva più male. Avrebbe voluto dire tante cose e allo stesso tempo niente. Non poteva rivolgergli il tono e i modi professionali che usava con i clienti. Era tutta un’altra cosa. «Non so davvero perché ne sto parlando adesso.» Vorrebbe dirgli che va bene, che non ha fatto nulla di sbagliato, che è bello che si sia aperto con lui, ma non dice niente. Sa che ancora non ha finito e Benji non ha bisogno di essere interrotto. «Io credo che sia... Cioè, credo... Credo che tu... Possa capirmi...» Non era mai facile stare accanto a qualcuno che aveva subito un lutto. Nel mondo lavorativo, Wednesday donava tutta sé stesse, tenendo comunque un rapporto professionale. Aveva imparato presto a mettere dei muri, ad affrontare tutto senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Poteva sembrare crudele, ma era un modo per salvaguardarsi: se avesse cominciato a soffrire per ogni caso che si ritrovava davanti sarebbe finita per impazzire. Quelle persone non si presentavano all’Impresa Funebre in cerca di compassione, ma di aiuto, di qualcuno che li aiutasse a gestire un momento così delicato della loro esistenza e lei era lì per quello: per essere quel qualcuno. «Questo per dire che non ho dei piani particolari per le vacanze..» Aveva bisogno di rimanere aggrappata al presente. «Ti va di entrare in questo negozio?» Ha perso la cognizione del tempo. Non saprebbe dire con esattezza per quanto tempo è rimasta in silenzio, gli occhi fissi sul volto di Benjamin, la bevanda fumante in mano. Vorrebbe distogliere lo sguardo, forse è inopportuna. Ma non ci riesce. Ci sono tante cose che le vorticano per la testa. Prende fiato, con estrema lentezza. «Io..» si umettò le labbra gelide, per poi schiarirsi un po’ la gola. Passò il bicchiere da una mano all’altra. «Io non voglio deluderti con ciò che sto per dire, né in alcun modo apparire indelicata,-» come la maggior parte delle persone pensa«-ma n-non è vero, io.. Io non posso capirti. Non come vorrei, almeno.» Inghiottì a vuoto cercando di mandar giù qualcosa di invisibile che le si era incastrato in gola. «Posso solo immaginare il dolore che hai provato.» Ti si legge in faccia. «Comprendo te, però. Capisco l’aura che ti avvolge che ho notato non appena ci siamo incontrati.» Non sa neppure cosa sta dicendo. Parla e basta. Forse quelle parole gli saranno di aiuto, forse no. Ciò che desidera è solo essere sincera con lui. «Tu per me sei un mistero, Benjamin.» In tanti, tantissimi modi che non riesco a spiegarmi. «E’ come se la tua figura fosse perennemente avvolta nella foschia.» Capisci? A volte si capiva a malapena lei stessa. «Ma adesso mi pare di vederti meglio.» Un’ammissione, qualcosa che lì per lì non si rese neanche conto di aver detto. «Ti ringrazio per avermelo detto. Non è da tutti trovarsi a proprio agio nel farmi delle confidenze.» Non aveva ancora imparato tutte le regole e le convenzioni sociali che legavano persone con reciproco status di amici. Ma si stava impegnando. «Non ti dirò cose come “mi dispiace” o che “ti volevano bene” perché sono talmente scontate da suonare come un copione buttato là a casaccio..» Chissà quante persone gli avevano detto quelle cose. Chissà quante volte se le era sentite ripetere, quelle frasi fatte. «Voglio dirti invece che sono felice che tu abbia trovato una famiglia che ti ami. Che ammiro moltissimo la capacità di vedere del buono in ogni situazione che la vita ti offre. Che non avrei mai creduto che quel ragazzo incontrato nel bosco fosse una persona così forte.» Sorrise. Non si dovette sforzare per farlo, parve nascere spontaneamente sulle sue labbra. Avrebbe voluto chiedergli dove fossero sepolti, se desiderava porger loro degli omaggi natalizi, ma aveva imparato a tenere a freno la lingua e a non essere troppo invadente -almeno certe volte-. Fare domande del genere in quel momento le pareva una cosa molto stupida da fare. Avrebbe atteso che si sbilanciasse lui, quando e come voleva. Forse sarebbe accaduto domani, forse mai. Doveva rispettare qualsiasi cosa lui dicesse. Si schiarì di nuovo la voce, come se volesse tornare alla realtà. Stava nevicando. Ora lo vedeva bene. Le musichette natalizie in sottofondo che provenivano dai negozi, il chiacchiericcio della gente. Il resto mondo era tornato di nuovo. Si voltò a vedere la vetrina del negozio dove Benjamin le aveva proposto di entrare. «Profumi e creme per la pelle..» Si voltò di nuovo verso il ragazzo. «Sai, una donna potrebbe mal interpretare questo tipo di regali. Un profumo potrebbe farle intendere che generalmente non emana un buon odore ed una crema grida “Ehy, sono rughe quelle? Tranquilla, con questa crema spariranno in un attimo!”» fece una piccola risatina per poi bere un sorso del suo thè. «Ma chi sono io per impedirti un bel pestaggio natalizio da parte di una donna furibonda..» gli strizzò l’occhio trattenendo a malapena una risata ed entrando dentro il negozio.
     
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    Improvvisamente, quando Weed ride ad una delle sue battute - che credeva gli avesse fatto fare la figura del completo deficiente e irrispettoso - il cuore di Benji ha un tuffo. Vorrebbe correre al calendario sul retro, nelle cucine di Starbucks, scrivere in corrispondenza della data odierna che, effettivamente, per una volta gli è andata bene, e poi tornare e godersi quel piccolo successo, quella piccola vittoria personale. Ma non lo fa, perché altrimenti si perderebbe la reazione della Mortimer. «Non credo che faresti bella figura a presentarti con dei compiti fatti da una completamente digiuna in materia come me.», a quel punto è lui a ridere. Ti basterebbe un pomeriggio per imparare molto meglio di me quello che io, invece, studio in settimane di duro lavoro e fatica. Di questo ne è completamente certo, il signor Bellow. «Io credo - no, volevodireun'altracosa - io so che.. farei una figura bellissima.», grattandosi la nuca e sorridendo di sbieco, il Tassorosso conferma a parole ciò che viaggia vorticosamente nella sua testa. Di Weed, ha imparato che non tende a vedersi per ciò che è davvero. Una ragazza straordinaria, con delle capacità più uniche che rare. Solo che non si vede. Non come la vede lui, almeno - e c'è da dire, qui, che gli occhi esterni sono sempre un pelo più veritieri e obiettivi del giudizio interno. In poche parole, fare auto-analisi è difficilissimo. E' per questo che esistono gli psicologi. Non che Benji sia uno psicologo! - perdinci, ha persino abbandonato quel corso, al college, optando invece per DCAO - ma è comunque un occhio esterno, in questo caso. Influenzato da uno strano legame che lo vede intimamente connesso alla Mortimer, corretto, ma pur sempre un occhio esterno. Interrompe la conversazione il tempo necessario a preparare un thè alla Corvonero, per poi dirigersi con lei all'aria aperta, nel freddo pungente del campus, mitigato da alcuni raggi di sole che si fanno spazio, lottando duramente, tra le nuvole. «E’ una cosa positiva che tu abbia trovato la strada giusta. Non è così scontato come si potrebbe pensare.», sempre che lo sia davvero, si domanda Benji. Mille e più volte ha riflettuto sul fatto che, in realtà, potrebbe non essere stata la scelta realmente giusta. In fondo lui è un ragazzo abbastanza timoroso: è vero che approfondire DCAO consente di imparare delle strategie di difesa dall'Oscurità, ma è pur vero che, come ha detto lui stesso poc'anzi, questa fantomatica Oscurità la si deve affrontare. La si deve conoscere, per potersi difendere. E lui... Lui forse non è pronto. Di scatto, avverte sulla propria pelle il pericolo imminente della Loggia, così come lo ha avvertito il giorno del rave. Un conato di vomito sale lungo la gola e lui lo reprime, perché si trova all'aperto, sotto lo sguardo vigile di, letteralmente, chiunque. Ed anche perché sarebbe vomito nero. Vomito di peccati. Come diavolo farebbe a spiegare tutto a Weed? Non basterebbe un pomeriggio. Eppure... Eppure proprio non ce la fa. Inizia a respirare affannosamente. Scuote la mano in direzione della Corvonero, rassicurandola silenziosamente. Quando infine riesce a riprendersi, biascica soltanto: «Uhm scusa - nonènientesolo un mal-mal - mal di pancia fortissimo. Credo di essermi beccato un virus intestinale... Sto bene, sto bene.», falso. Tutto falso. Dall'inizio alla fine. Ma nascondere le proprie sofferenze è la cosa che Benjamin Bellow sa fare meglio nella vita, proprio. Quando poi l'argomento della conversazione si sposta verso i progetti di vacanze natalizie, è lì che il Tassorosso non se la sente più di mentire. Parla a chiare lettere. I miei genitori e mia sorella sono morti. Schietto. Sincero. «Io non voglio deluderti con ciò che sto per dire, né in alcun modo apparire indelicata,-ma n-non è vero, io.. Io non posso capirti. Non come vorrei, almeno.», si blocca un attimo, Benji. Attende che Weed concluda il discorso. «Posso solo immaginare il dolore che hai provato.», percepisce le dita intorpidite, il giovane Bellow. Dolore. La sua mente viaggia a quando si sono incontrati lui e Weed, alla caccia del Midsummer. La radura con i Thestral. Non puoi capire questo. Lo so. Hai una famiglia. Non l'hai persa come l'ho persa io. Però.. Tu puoi capire il dolore. Lo so. Me lo sento. Noi riusciamo a capirci. Non so spiegare perché, ma è così. «Comprendo te, però. Capisco l’aura che ti avvolge che ho notato non appena ci siamo incontrati.», è questo. E' letteralmente questo. Comprendo te. Benché Benjamin non sia un asso nel capire le persone, è comunque empatico. Ed anche lui, per la prima volta orgogliosamente parlando, sente di comprendere Weed. Di capirla. «Tu per me sei un mistero, Benjamin.», si ridesta. La osserva attraverso i propri innocenti occhi azzurri. «E’ come se la tua figura fosse perennemente avvolta nella foschia. Ma adesso mi pare di vederti meglio.», anch'io ti vedo - vorrebbe dirle, ma andrebbe a interrompere la magia di quel momento. Quindi si limita a non dire niente. A bere le parole di Weed quasi fossero una tisana rinvigorente, una cioccolata calda quando la voglia si fa matta, acqua fresca dopo una corsa di infiniti chilometri. «Non ti dirò cose come “mi dispiace” o che “ti volevano bene” perché sono talmente scontate da suonare come un copione buttato là a casaccio.. Voglio dirti invece che sono felice che tu abbia trovato una famiglia che ti ami. Che ammiro moltissimo la capacità di vedere del buono in ogni situazione che la vita ti offre. Che non avrei mai creduto che quel ragazzo incontrato nel bosco fosse una persona così forte.», se piangere fosse un'emozione accettata dalla società, Benji avrebbe certamente pianto, all'istante, dopo quella rivelazione da parte di Weed. Tuttavia, si limita a inghiottire le emozioni, come ha fatto prima col vomito che il suo potere da sin eater gli ha imposto. «Grazie. Potrebbe sembrarti una frase scontata, ma io..», il suo cervello va istantaneamente in tilt. No. Nessuna parola potrebbe definire ciò che sta provando in quel momento. Solo un'azione. Si avvicina a Weed, ne percepisce il profumo intenso, il respiro sottile, quasi impercettibile. Soprattutto ne percepisce le labbra. Sono lì, di fronte a lui, aperte in un mezzo sorriso. Le poggia sulle sue, chiude gli occhi. Quel contatto gli sembra duri un'eternità. E' una miscela di sensazioni diverse: gratitudine, tenerezza, vibrazione, amicizia, desiderio, trasporto... Non sa cosa prova, Benji. Tutto questo insieme, forse. Ha solo diciannove anni e non è mai stato bravo a decifrarsi, come precedentemente esposto: l'auto-analisi è una roba complicatissima. Si stacca da Weed e quasi iperventila. L'ho baciata. Ci siamo baciati. Fino a quel momento, il giovane Bellow non ha mai immaginato di baciare altre labbra che non fossero quelle di Ronnie. Ronnie è stata il suo pensiero fisso per secoli. Ronnie e il suo carattere forte, in grado di rimetterlo a posto sempre, in grado di direzionarlo, di scuoterlo. Ronnie e il suo sorriso. Ronnie e il loro legame indissolubile. Quando l'ha persa, si è perso lui stesso. Fino a comprendere che, per definirsi, affidarsi agli altri non sia una soluzione. Si vive per se stessi. E poi è arrivata Weed, in punta di piedi. E adesso ce l'ha di fronte. Chiude gli occhi. La bacia di nuovo. L'avrebbe fatto anche altre tre, quattro o cinque volte, ma il timore di non essere gradito gli attanaglia le viscere.
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    Ecco, magari lei non vuole ripetere. Per Morganissima. Si blocca e dice la prima cosa che gli passa per la testa. Entriamo nel negozio di creme e profumi? - gli sembra siano trascorsi secoli quando, infine, Weed risponde: «Sai, una donna potrebbe mal interpretare questo tipo di regali. Un profumo potrebbe farle intendere che generalmente non emana un buon odore ed una crema grida “Ehy, sono rughe quelle? Tranquilla, con questa crema spariranno in un attimo!”», le guance di Benji promettono un incendio. «Ma chi sono io per impedirti un bel pestaggio natalizio da parte di una donna furibonda..», ride, il giovane Tassorosso. Beh, in effetti.. Chi sono io per ricordare a Luxanna che i giorni passano e le rughe si avvicinano? « Oh buon pomeriggio, caro! E' la tua fidanzata? Cerchi un regalo per lei? Avanti, puoi parlare con zia Penny. », una bellissima signora dai capelli rossi fluenti si avvicina a lui e Weed, facendo piombare tra loro imbarazzo a livelli stratosferici. « Quanto siete carucci. », li guarda come li potrebbe guardare una bimba di fronte a degli orsacchiotti. O ancora una nonna di fronte ad un bel piatto di pasticcio di carne. « Ma bando alle ciance. Reparto profumi, ho deciso! », e li guida verso uno stand dove i colori dell'arcobaleno, se possibile, sono tutti presenti. Inizia a spruzzare delle fragranze in aria. « Magi-Eucalipto. Uno dei miei preferiti. Conferisce un'aura di mistero e desiderio - non so se mi spiego. », ridacchia. « Oh oh oh! Sogno di una notte di mezza estate. Anche questo tra i miei preferiti. », lo spruzza quasi a livello del naso di Benji, che deve trattenere uno starnuto. « Avete presente quando sono le sette del pomeriggio, d'estate, e il sole si prepara a tramontare? No, non dopo il tramonto: non il crepuscolo. L'attimo prima del tramonto. Quando il cielo è azzurrino, non rosso. Prima. Ecco, indossate sogno di una notte di mezza estate e questa sarà la sensazione che avrete. Aaaah. », ha gli occhi a cuore, la signora Penelope Cousland. Sembra una quindicenne alle prese con le prime cotte. Benji ridacchia. In effetti, "sogno di una notte di mezza estate" gli ricorda abbastanza bene Luxanna Scamander. «Lo - lo-lo prendo.» « Tu sei un giovanotto intelligente, mio caro! », la signora Cousland si dirige alla cassa per preparare la confezione. Nel frattempo, Benji è attirato dal nome di un'altra fragranza. "Quando viene Dicembre". La spruzza sul polso. Ne annusa il frammento. Chiude gli occhi e vede i capelli argentati di Weed, quasi come se gli fossero apparsi in sogno. «Mi ricorda te. Senti..», le avvicina la mano, imbarazzato.
     
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    «Uhm scusa - nonènientesolo un mal-mal - mal di pancia fortissimo. Credo di essermi beccato un virus intestinale... Sto bene, sto bene.» Rotea il collo di scatto, soffermandosi a guardare, impensierita, il volto pallido del giovane accanto a lei. Si ferma di scatto, scrutando il suo viso più da vicino, sinceramente preoccupata. «Hai l’aspetto di un cadavere, Benjamin. Forse dovremmo tornare indietro..» esclamò con la voce colma di apprensione. Infilò una mano nella tasca del cappotto, estraendo il suo fazzoletto di stoffa ripiegato con precisione maniacale sul quale, in un angolo, erano ricamate le sue iniziali con una scrittura elegante. Non capiva cosa stesse accadendo, nonostante Wednesday fosse una ragazza incredibilmente acuta. Così come era arrivato quel malessere parve scomparire, come una nuvola passeggera che appare e se ne va. Avrebbe voluto chiedergli se stava bene, ma qualcosa le diceva che lui avrebbe mentito. Avrebbe tirato un sorriso sulle labbra e avrebbe detto che andava tutto bene, anche se non era così. Perché Benjamin Bellow le aveva sempre dato l’impressione di voler raccogliere tutti i mali del mondo e nasconderli nelle tasche. Sembrava sopportare chissà quanto dolore dietro quel sorriso perennemente stampato nelle sue labbra. A volte la giovane Mortimer desiderava far meno caso alle cose. Godersi una semplice giornata senza che le rotelline nella sua testa girassero e girassero, rischiando di mandare tutto in confusione, rischiando che gli ingranaggi non incastrassero più così perfettamente azzardando di incepparsi una volta per tutte. Ed infatti eccola là, la bomba. Ciò che il giovane Tassorosso celava dietro quel sorriso così familiare. Era come se si sforzasse di trattenere per sé tutto quel dolore, come se sigillandolo dietro le labbra tutto sarebbe andato per il verso giusto. Wednesday sembrava essere naturalmente portata a consolare le persone. Sapeva riconoscere quando queste avevano bisogno di spazio, di silenzio, di una o più parole. Aveva imparato a farlo, senza sforzo, percependo in modo nitido il modo in cui per qualche secondo, a volte anche solo un attimo, il dolore affievolisse sotto il tocco delicato di una parola. Era il suo lavoro, ci sapeva fare. Le persone che si presentavano all’Impresa Funebre Mortimer erano quasi sempre estranee. C’era stato il momento dopo il Lockdown.. Quello era stato il più duro poiché si era ritrovata a dover avere a che fare con compagni di scuola o genitori di questi. Quello che adesso aveva davanti, però, era uno scenario totalmente diverso, un’opzione che non si era mai trovata ad affrontare. Chi è Benjamin Bellow? Di sicuro non era un estraneo. Poteva considerarlo un compagno di scuola? Neanche. E allora chi era? Benjamin era quel ragazzo tanto gentile che aveva conosciuto durante il Midsummer, che le aveva regalato dei libri, che si era spinto oltre i pregiudizi, che l’aveva accompagnata a teatro. Per questo le parole di circostanza non facevano per lui. Non se le meritava, erano troppo poco. Si sarebbe sentita una stupida a trattarlo in un modo diverso rispetto a come fece. Parlare con sincerità, una sincerità sprezzante, una sincerità che a volte è anche difficile da sentirsi dire, da digerire. Benji era quel ragazzo dall’animo buono che aveva messo in dubbio non poche convinzioni della giovane Mortimer. Si era convinta che la sua amicizia era tutto ciò che aveva bisogno dalla loro relazione. Non aveva saputo ancora dare una spiegazione logica, razionale, un nome preciso a ciò che aveva provato quando lui le aveva parlato della sua relazione con Ronnie, quella volta usciti dal teatro. Lei era una sua amica, lui anche, doveva essere felice per loro. Che razza di mostro non lo sarebbe stato? Aveva passato settimane a sentirsi una stupida, prima di decidere di lasciarsi la cosa alle spalle, di guardare avanti come aveva sempre fatto. Perché cambiare quando è la quotidianità a dar così conforto? Che follia! Una vera e propria follia! Finito il suo discorso rimase in silenzio. Non era ancora sicura di aver detto la cosa giusta. «Grazie. Potrebbe sembrarti una frase scontata, ma io..» Serrò la mascella, convinta che quella fosse solo una frase di circostanza detta da una persona gentile per non metterla in imbarazzo. Non era certa che essere sincera fosse stata la cosa migliore. Forse per una volta si sarebbe dovuta semplicemente comportare come gli altri, forse per una volta avrebbe dovuto mettere da parte quella faccia tosta che si ritrovava, forse per una volta comportarsi in maniera normale non sarebbe stato poi così sbagliato. Si, era stata un’idiota, ora non faceva altro che ripeterselo. Era così impegnata a far risuonare forte quella parola nella sua testa che all’inizio non si accorse di nulla. Con "Prossemica" si indica lo spazio che viene adottato dalle persone quando si relazionano e può dare importanti informazioni sul tipo di rapporto che esiste fra i due interlocutori. Lo spazio che noi decidiamo di occupare in qualsiasi contesto della nostra vita, manderà a livello inconscio dei messaggi non verbali agli altri. L’antropologo Edward T. Hall elaborò il modello delle distanze interpersonali, che racchiudono le quattro tipologie di distanze che le persone assumono nei rapporti sociali. Wednesday si era avvalsa di far arrivare solo determinate persone in quella che Hall aveva definito "distanza personale": nel mondo occidentale essa rappresenta la distanza ideale per buona parte delle interazioni, e coincide con la distanza necessaria per una stretta di mano. Solitamente indica che tra i due interlocutori esiste un rapporto di amicizia e confidenza. In tale fase, gli interlocutori si tengono ad una distanza che va dai 120 ai 45 centimetri. Sotto i 45 centimetri si parla di un’altra sfera, cosiddetta “intima”. Questo spazio può essere violato solo da persone con cui si ha un rapporto molto intimo e affettivo, come ad esempio un familiare o il proprio partner. In realtà anche una persona che si avvicina in modo aggressivo lo fa proprio per far sentire minacciato l'altro, violando il proprio spazio senza scrupoli. Ma non era questo il caso. Wednesday lasciava oltrepassare quel confine a poche persone, tutte racchiuse all'interno della sua famiglia. Quando parlava con qualcuno, se questo si faceva troppo avanti facendola sentire a disagio, lei faceva un passo indietro, automaticamente, quasi senza rendersene conto, riguadagnando in un attimo quella distanza personale dentro la quale stava tanto comoda. Fu chiaro quando Benjamin oltrepassò quel confine. Fu come se un campanellino suonasse nella sua testa, come quando scatta un allarme perché qualcuno ha messo il naso dove non dovrebbe. Eppure lei non si mosse. I suoi piedi rimasero incollati al suolo mentre il Tassorosso poggiava le labbra sulle sue. I suoi occhi si spalancarono mentre qualcosa che somigliava ad una scarica elettrica partiva dal suo lobo frontale e le percorreva il corpo irradiandosi fino alla punta dei piedi. Sentiva le braccia pesanti: due zavorre che non sapeva bene dove mettere. Rimase perfettamente immobile mentre il suo cervello cercava di dare una spiegazione logica a ciò che di logico non aveva nulla. Benjamin Bellow l’aveva baciata. L’aveva fatto di sua spontanea iniziativa e non obbligato da qualche stupida scommessa o perché un biglietto gli aveva detto di farlo. Era stata una sua scelta. Ma chi mai sceglierebbe spontaneamente di baciare Wednesday Mortimer? Nessuno lo aveva mai fatto prima di allora. Qualche anno prima qualcuno aveva messo in giro la voce che baciare la figlia di mezzo dei Mortimer era come baciare un Dissennatore: ti avrebbe succhiato via l’anima e saresti morto nel colpo. Per un po’ aveva finito per crederci pure lei. Ma Benjamin non era affatto morto e lei stessa aveva l’impressione di non essersi mai sentita così viva. Il sangue le aveva colorato le guance, donandole un aspetto sano come non aveva mai avuto. Wednesday sembrava una ragazza vera. Era una sensazione che non sapeva come classificare. Sapeva solo che la faceva stare bene. Era ironico. Qualche volta ci aveva pensato a Benjamin come qualcosa di più di un semplice amico, ma si era data della sciocca, dicendosi che era stata portata a quel pensiero solo perché il ragazzo si era mostrato particolarmente gentile nei suoi confronti. Aveva fatto di tutto per non pensarci ed ora, eccolo là!, lui l’aveva baciata. Il suo primo bacio. La confusione che aveva in testa sembrava prendere un ordine inaspettato. Lo guardò quando lui si allontanò. Stava per dire qualcosa, ma lui la baciò di nuovo. Chiuse gli occhi a quel punto premendo con insicurezza le labbra su quelle di lui. Non riesce a calcolare quanto sia passato. Il tempo sembra essere improvvisamente diventato qualcosa di intangibile, come la sabbia che scivola via dalle mani. Sente la testa girare, come quella volta al Testa di Porco dopo il suo primo Whisky Incendiario. Non sa spiegarsi come sia passata da baciare Benji ad essere dentro un negozio di creme e profumi. Si è a malapena accorta di muoversi. La commessa che va loro incontro è invadente e dai modi terribilmente zuccherosi. Wednesday sente ancora le guance avvampare. Pochi attimi dopo sono avvolti da una nube di profumi diversi che zia Penny -così si è definita la donna- ha iniziato a nebulizzargli attorno. La Corvonero pensa a tutto e a niente. Le sembra di essere in uno di quei sogni dove il pavimento è costituito da un gigantesco tappeto elastico. Percepisce il suo corpo emanare calore come non ha mai fatto. Vorrebbe posarsi una mano in mezzo al petto per percepire la corsa inarrestabile del suo cuore. Perché diamine si sente in quel modo? «Mi ricorda te. Senti..» La mano di Benjamin entra nel suo campo visivo. Ci mette qualche secondo per mettere a fuoco l’arto per poi guardare il Tassorosso. Si sente rintontita. Guarda di nuovo la mano e percepisce l’odore del profumo che Benjamin si è messo. «E’.. Buono..» somigliava al thè alle ortiche che stava bevendo poco fa. Un odore rotondo che a qualcuno avrebbe potuto ricordare un cetriolo. C’era anche una spiccata dolcezza di more mature che emergeva in crescendo. «Molto..» Non ricordava l’ultima persona che l’aveva fatta sentire a corto di parole, per un motivo o per un altro. Forse perché nella sua mente si sta insinuando una persona. Prima che se ne renda conto un nome diventa vivido nella sua mente, scritto a caratteri cubitali: Veronica Rigby. Non stavano insieme? Benji le aveva detto che si erano baciati e... Si stava comportando da stronzo con Ronnie? Le sembrò di ricominciare a respirare. Scattò sull’attenti, puntando gli occhioni color foglia morta in quelli del giovane davanti a lei. «Scusami, io..» Tu? «Io ti aspetto fuori..» Indicò l’uscita con un cenno del capo. «Troppi.. Troppi odori..» fece una piccola smorfia, arricciando la punta del naso. La verità era che aveva bisogno del vento fresco sulla pelle. Si avviò verso l’uscita a grandi passi, raggiungendo l’aria aperta più velocemente di quanto si aspettasse. Appena fu fuori dal negozio chiuse gli occhi, alzò il mento verso l’alto ed inspirò ed espirò con estrema lentezza. L’arietta fresca del pomeriggio non parve darle quel sollievo che desiderava. Cosa stava facendo? Si concentrò sul suo respiro fino a quando non percepì i passi di Benjamin alle sue spalle. Prese coraggio e si voltò, guardandolo negli occhi. Silenzio. Lo guarda e non dice niente. Lo guarda perché per qualche ragione vorrebbe riavvicinarsi, annullando di nuovo la distanza tra loro e baciarlo ancora. D’altra parte lui sta con Veronica, una ragazza che Wednesday stessa aveva
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    imparato a considerare un’amica. C’era lei nel biglietto del Midsummer. Come poteva farle questo? «Cos’era quello di prima?» Sapeva cosa fosse un bacio, seppur fosse la prima volta che qualcuno gliene dava uno. La domanda era un’altra. «Io..» Cosa? «Tu stai con Ronnie!» lo disse con schiettezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo, una cosa elementare. «E lei è anche mia amica.. Io non..» Qualche divinità si appresti a darle la forza. Non posso farle questo. Erano queste le parole che stava per dire. «Io non posso farle questo! Tu non puoi farle questo!» Non gli stava dando il tempo di rispondere. Se prima era rimasta senza parole adesso sembrava un fiume in piena. «Non so se abbiate litigato e questo indicò se stessa con un gesto di entrambe le mani «-sia un modo per farla arrabbiare, ma io non..» Io mi ero fatta da parte. «Il fatto di poter aver percepito-» ”poter”.. Chiunque forse se ne era accorto tranne lei. «- qualcosa da parte mia non ti permette di usarmi per farla ingelosire!» Aveva di nuovo lo guance arrossate. Le pizzicavano gli occhi. «Io..» Non me lo merito. Era possibile che una persona buona come Benjamin stesse facendo una cosa del genere? «So che non sembra, ma anche io ho dei sentimenti, Benjamin.»


     
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    «Scusami, io.. Io ti aspetto fuori..», è nascosto in quella semplice frase diretta il sentimento che Benjamin Bellow sta provando: quello di aver rovinato tutto. E non è la prima volta, nella sua vita, che accade una cosa del genere. Il Tassorosso ha una percezione di sé così impacciata, così ansiosa, così inadeguata che, agire per il verso giusto, gli sembra letteralmente l'eccezione che conferma la regola. Quando Weed si reca fuori dal negozio, adducendo come palese scusa il fatto che ci siano troppi odori - come evitarlo, in un negozio di profumi? E comunque c'erano anche cinque minuti fa, troppi odori - Benjamin e la stralunata zia Penny si guardano come se fosse scoppiata una bomba. « No, scusami, tesoro. E' che... Credevo foste fidanzati. Ho detto qualcosa di sbagliato? Eravate così teneri quando siete entrati insieme... », la signora Cousland sembra sull'orlo di una crisi di pianto. In realtà lo sarebbe anche Benji, solo che, vedendo la proprietaria in queste condizioni, si auto-impone di evitarlo per non innescare una possibile reazione a catena. «No, è che..» « A te piace, vero? », Penelope Cousland batte le ciglia a ripetizione. «Io...» « Oh, no, tesoro! Non c'è bisogno di dire niente, davvero. Perché non corri da lei??? Vai! » «Ma io...» « Perdinci, mostriciattolo, non indugiare oltre! Non è ancora detta l'ultima parola, corriiiii! » «Sì, ma io -» « Ancora? Vai, cavaliere! », Penelope Cousland porta minacciosamente le mani ai fianchi. «S-signora, io devo ancora pagare.», Penelope Cousland strabuzza gli occhi. Poi scoppia in una risata fragorosa e decide di fare a Benjamin uno sconto speciale sul prezzo - "perché se riuscirai a chiarire con lei, mi auguro che questo negozietto diventi il vostro posto preferito al mondo!", così si giustifica, l'amorevole proprietaria. Quando Benji viene investito dal vento freddo del pomeriggio, individua subito la chioma argentata di Weed. Si avvicina silenziosamente. Indossa un'espressione colpevole. Colpevole di aver rovinato tutto, come appunto crede. Colpevole di aver attuato una mossa fuori luogo, di essersi lasciato trasportare dalle emozioni - cosa che mai, mai ha fatto del bene, all'inadeguato Benjamin Bellow. Lui ha bisogno di premeditarle, le famose mosse, o rischia di trovarsi in guai seri, dato che relazionarsi con le persone non è decisamente il suo forte. «Cos’era quello di prima?», chiude gli occhi e trattiene un sospiro. Ha sbagliato, Benjamin Bellow, ed è giusto che paghi. Ha oltrepassato il limite. Si è preso una libertà che non avrebbe dovuto e che, giustamente, Wednesday Mortimer ha percepito come invadente. D'altronde, avrebbe mai potuto ricambiare quell'inspiegabile legame che il Tassorosso credeva di avere con lei? Era tutto nella mia testa. Le vibrazioni del Midsummer, quella serata al club di teatro - quando ha suonato il piano per lei -, il Cyrano a Londra e adesso... Adesso, Benjamin, ha perso tutto. Gli sembra quasi un pattern che si ripete. Quando inizia a rilassarsi, quando decide di non volere un controllo rigido sulle proprie azioni, Benjamin si trasforma in un disordine ambulante. «Weed, io...», ti volevo chiedere di dimenticare tutto. Ho sbagliato... Io... Volevo baciarti, lo volevo davvero, ma se tu non vuoi... Io ho superato il limite, io... Io vorrei scusarmi... E' questo quello che avrebbe detto subito dopo la domanda posta dalla Mortimer. Tuttavia, il discorso che la Corvonero porta avanti, lo lascia di stucco. «Tu stai con Ronnie! E lei è anche mia amica.. Io non.. Io non posso farle questo! Tu non puoi farle questo!», non ha mai visto quell'atteggiamento, in Weed. Sembra quasi che abbia perso il controllo anche lei. Benji la osserva, pietrificato. Non riesce a muovere nessun muscolo, probabilmente arriverà ad una crisi respiratoria se continua in quel pericoloso stato vegetativo. «Non so se abbiate litigato e questo - sia un modo per farla arrabbiare, ma io non..», come pochi attimi prima, all'interno del negozio di profumi, Benji vorrebbe urlare. Vorrebbe gridare la propria sincerità, ma non riesce. Vorrebbe essere un Grifondoro che non ha paura di niente, che si mette in prima linea a combattere per le proprie idee e la propria integrità. Invece rimane fermo, immobile, con la solita espressione da stupido. Da imbecille. Da rottame. Perché è così che si sente, dopo le accuse che gli sono state mosse. «Il fatto di poter aver percepito - qualcosa da parte mia non ti permette di usarmi per farla ingelosire! Io.. So che non sembra, ma anche io ho dei sentimenti, Benjamin.», forse questa è la goccia che fa traboccare il vaso, la freccia che va a segno, la porta sbattuta in faccia, il traguardo cui non si arriva mai. La fine a pochi passi dalla meta. La frana che crolla quando si sta scalando una montagna. L'acqua del fiume che straripa oltre la diga, l'incantesimo che ti si ritorce contro, la Smaterializzazione in cui ti spezzi, la Passaporta che ti fa venire la nausea, la sensazione di morire di fame e di sete. Forse questa è la fine. Magari una persona insensibile se ne fregherebbe, volterebbe i tacchi e semplicemente ci riderebbe sopra. Ma Benjamin no. Benjamin questa cose non le sa fare. Non sa neanche come iniziare un discorso, perché non è abituato a doversi difendere da un attacco. Non che non sia mai accaduto di averli ricevuti, gli attacchi, solo che ogni volta è sempre la stessa storia: non riesce a crescere Benjamin. O più che altro, non riesce a farsi rispettare. Farsi mettere i piedi in testa, farsi umiliare, farsi stracciare... Queste sono le uniche cose che sa fare. E non importa chi abbia ragione, non importa se sia lui nel giusto oppure gli altri. Il risultato sarà sempre lo stesso. Una misera sconfitta di cui dovrà raccogliere, come sempre, i cocci. E sarà sempre più doloroso.
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    «Io... Io...», è così che comincia, il cuore che batte all'impazzata, i pensieri che si accavallano l'uno all'altro. «Io e Ronnie non stiamo insieme, io...», io e lei neanche ci parliamo più. Non ci parliamo più da un anno o da non so quanto... Io... Io non so perché sia andata così - o meglio, lo so: è perché non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Non mi sarei dovuto esporre e avremmo continuato ad essere migliori amici per sempre. Era questo che dovevamo essere. Era questo il nostro destino. Io... Io non avrei dovuto oltrepassare quella linea. E non avrei dovuto farlo neanche con te, Weed, probabilmente per lo stesso motivo. Non sono ricambiato. Non c'è nulla dall'altra parte, se non una particolare simpatia che comunque non va oltre l'amicizia... E probabilmente io e Ronnie non ci parliamo più perché è troppo imbarazzante farlo, dopo quello che è successo. Ho perso un pezzo del mio cuore. Io la amavo davvero. Ma la vita è diversa da come ce la immaginiamo e ormai non posso più tornare indietro e cancellare tutto. Adesso mi sembrava di aver riacquistato un minimo di stabilità nella sfera relazionale. Ed è per questo che mi sono lasciato andare: perché mi sentivo bene... Perché tu per me sei speciale. Tu per me sei come il profumo che ti ho fatto sentire poco fa. E non avrei dovuto, io... Io non avrei dovuto... Io non avrei dovuto rovinare tutto. Non avrei dovuto farlo anche con te... «Io... Non ti userei mai, Weed... Non ti userei mai neanche per scherzo, io...», non sono letteralmente capace di fare queste cose. Io sono quello che vedi. Per quanto impacciato, timido e drammaticamente imbecille possa essere. «Non potrei mai... Io non ho - io - io non ho - non sto provando a fare ingelosire n-nessuno.», inizia quasi a tremare. La guarda e si rende conto dell'entità di ciò che ha perso. «S-se ho ferito i tuoi sentimenti, mi - mi - mi dispiace. Non volevo. Non... Non... Dimentica quello che è successo, io non... Mi dispiace.»
     
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    Wednesday non era abituata a parlare in quel modo diretto, impulsivo, dando voce a ciò che provava senza riflettere troppo su ciò che stava dicendo. Fin da piccola la Corvonero era avvezza a soppesare ogni parola prima di dar voce ai suoi pensieri. Misurata, calibrata, anche nelle situazioni più quotidiane. "Multo quam ferrum lingua atrocior ferit”. La lingua ferisce più della spada. Dal carattere mansueto e per nulla incline al contatto fisico, la figlia di mezzo dei Mortimer aveva imparato ben presto a destreggiare l’arte della parola, ampliando il vocabolario più di quanto avrebbe desiderato fare una comunissima ragazzina della sua età. Calcolatrice e scaltra nel pensiero, sapeva bene quando parlare e quando semplicemente tacere. Pensava di essere invincibile, Wednesday Allegra Mortimer. Aveva sempre creduto che nulla potesse toccarla, potesse scalfirla, potesse farle del male. Per anni aveva lavorato nel costruirsi addosso una corazza impenetrabile che adesso, davanti allo sguardo ferito di Benjamin, si stava sgretolando come argilla seccata al sole. Qualcuno avrebbe detto che peccava di superbia. Forse quel qualcuno avrebbe avuto ragione. Eppure, adesso, aveva l'impressione di essere la creatura più vulnerabile che fosse mai esistita su questo pianeta. Aveva freddo, ma non era certa che quel gelo fosse causa della temperatura. Era un freddo che nasceva da dentro, all’altezza del petto. Si allargava come una macchia d’inchiostro avvolgendole le ossa e gli organi vitali e stringendoli in una morsa ghiacciata che la fece rabbrividire. Dovette concentrarsi con tutta se stessa per non iniziare a tremare. Si sentiva debole, esposta. Non si era mai aperta così tanto con qualcuno, né con un ragazzo, né con la sua famiglia. L’enorme senso di vuoto che l’avvolgeva la spaventò. L’improvvisa realtà di essersi mostrata a qualcuno la immobilizzò. Era una sensazione diversa, che si era sempre negata di provare fino a quel momento. Non sapeva se le piacesse o meno. Per il momento sapeva solo che ne era spaventata da morire. Aveva detto tutto quello che le era passato per la testa, o almeno a quelle parole a cui era riuscita dare un senso, a mettere in ordine così da creare frasi di senso compiuto. Si sentiva come se fosse appena riemersa dall’acqua dopo minuti di apnea. L’aria che respirava non sembrava mai essere abbastanza. Ne desiderava di più e il lato straziante era che di più non poteva averne. Doveva accontentarsi. Rimase a fissare il ragazzo davanti a sé. Bramava e allo stesso tempo temeva una sua risposta. Sapeva di aver oltrepassato un confine, un limite che non le avrebbe più permesso di tornare indietro, neanche volendo. L’unica cosa che poteva fare era andare avanti. «Io... Io...» Trattiene il fiato quando lui comincia a parlare. «Io e Ronnie non stiamo insieme, io...» Non stavano insieme. Aggrottò impercettibilmente la fronte, ripensando alla loro discussione fuori dal teatro. Lui le aveva detto che si erano baciati e le era sembrato felice, quindi lei non lo aveva respinto. Allora lei doveva ricambiare, giusto? Quindi.. Cosa era successo? La complessità dei rapporti umani sfuggiva alla giovane Mortimer. Wednesday agiva solo se ne valeva la pena farlo e solo dopo aver studiato attentamente la situazione, come un buon caporale che studia il nemico prima di lanciargli contro il suo esercito. Non era amorfa, no. Era semplicemente una pensatrice. Ed era questo il suo problema: pensava decisamente troppo. Rischiava che il mondo le scorresse davanti e basta, come una squallida pellicola di serie b. Non era abituata a cogliere le occasioni al balzo a meno che queste non servissero esclusivamente per qualcosa di concreto, come per esempio alzarle la media scolastica. Era abituata a pensare a cosa fosse meglio per lei come persona, ma non cosa fosse meglio per lei come essere umano. Coltivava passioni, amava l’arte e la cultura. Ma i sentimenti erano qualcosa di talmente estraneo, talmente lontano da lei che a volte veniva da chiedersi se fosse davvero umana. «Io... Non ti userei mai, Weed... Non ti userei mai neanche per scherzo, io... Non potrei mai... Io non ho - io - io non ho - non sto provando a fare ingelosire n-nessuno.» La ragazza si pietrificò. Il suo cuore perse un battito. Forse due, o addirittura tre. Le gambe divennero improvvisamente molli, come se fossero di gelatina e per un attimo il suo corpo tremò come attraversato da una scossa elettrica che le salì la colonna vertebrale per poi arrivare dritta al cervello. Era qualcosa che non aveva mai provato fino a quel momento, qualcosa che ora le faceva battere il cuore all’impazzata, imporporare le guance e tremare le gambe. Se prima aveva parlato senza riflettere, ora non riusciva a smettere di pensare e le sue labbra sembravano essersi cucite tra loro. Se non stava provando a fare ingelosire nessuno, perché Benjamin l'aveva baciata? Non aveva assolutamente senso. Lei non era il tipo di ragazza che piaceva a qualcuno. Chi mai, sano di mente, avrebbe anche solo pensato di baciarla? Le scoppiava la testa. Lo sguardo smaliziato e colpevole del ragazzo davanti a lei le procurò una fitta allo stomaco. Quindi non stava mentendo? Non la stava prendendo in giro? Si sentiva dannatamente stupida. Benjamin non avrebbe fatto mai del male a nessuno, era ovvio. Ma averla baciata.. Questo non aveva davvero senso. «S-se ho ferito i tuoi sentimenti, mi - mi - mi dispiace. Non volevo. Non... Non... Dimentica quello che è successo, io non... Mi dispiace.» Dimenticare. Le stava chiedendo di farlo per aggiustare le cose. Si stava comportando in modo saggio, così come aveva sempre fatto anche Wednesday per tutta la sua vita. C’è però una netta differenza tra “desiderare” e “volere”. Wednesday voleva fare la cosa giusta, ma per la prima volta nella sua vita desiderava altro, forse fare la scelta sbagliata. Voleva che le cose si aggiustassero. Desiderava qualcosa che non collimava con la possibilità di voler mettere a posto le cose. Dentro la sua testa c’era una gran confusione. La razionalità duellava a spada tratta con l’egoismo. La parte razionale era quella che avrebbe salutato il Tassorosso con una pacca nella spalla, gli avrebbe augurato tante belle cose e se ne sarebbe andata. Magari avrebbe pianto tutta la notte, ma se ne sarebbe comunque andata via con la sicurezza di aver fatto ciò che era meglio fare. L’egoismo era quello che sarebbe rimasto ed avrebbe pregato anche Benjamin di farlo. Razionalità contro egoismo. Cervello contro cuore. Una lotta continua che ormai durava da anni. Wednesday sapeva di aver lasciato, per tutti quegli anni, vincere la razionalità. Era una ragazza spaventata dall’illogico, spaventata da tutto ciò che non avesse un componente reale e stabile.
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    E cosa ci aveva guadagnato in quegli anni? Nulla. Nulla di più. Per una volta, forse prendere ciò che voleva, essere egoista per l'appunto, non poteva essere male. «Mi dispiace, Benji..» si morse le labbra. Aveva la bocca secca. Lo guardò. Non essere codarda, Wednesday. «Mi dispiace, ma io..» ”Tu” cosa, Weed, mhm? «... Io non voglio dimenticare.» Tutto accadde così in fretta che per poco fece fatica persino lei ad accorgersene. I movimenti si susseguirono con una naturalezza tale da sembrare quasi un gesto automatico, giusto, nato solo al fine di quell’attimo. Allungò le braccia verso il ragazzo, afferrandolo per il cappotto con un'avidità tale da sorprendere sé stessa. Lo attirò verso di sé senza fatica, forse perché il ragazzo era più sorpreso di lei. In pochi attimi annullò totalmente la distanza tra i loro visi e lo baciò. Si, quella volta fu lei a baciarlo, come se non aspettasse altro. L’egoismo aveva troneggiato sulla sua parte razionale che ora giaceva assopita da una parte, consapevole della sconfitta che bruciava. Bruciava molto. Anche Wednesday bruciava. Il calore che l’aveva avvolta era sorprendentemente piacevole e delizioso. Il discorso che aveva fatto precedentemente era andato a farsi benedire, così come tutti i suoi buoni propositi. In quel momento c’erano solo loro. Lei e Benjamin Bellow. Niente paranoie, nessun desiderio di comportarsi da adulta. Aveva solo la sua età ed una volta tanto voleva viversela.
     
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