Reality leaves a lot to the imagination

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    Riprendere la propria vita in mano non era stato affatto facile per il James Sirius Potter. In primo luogo, era stato completamente estromesso dai suoi doveri all'interno dei Falcons. La società avrebbe voluto pagato fior fior di quattrini per risarcire il giovane Potter e per spingerlo a non esporsi in maniera negativa rispetto alla squadra. Quella era stata la prima occasione in cui aveva lasciato la Tana, ancora sprovvisto di un cellulare e con l'umore nero. Si erano offerti per accompagnarlo, ma James non aveva voluto la compagnia di nessuno se non di sua zia Hermione, che era anche il suo rappresentate legale in quella delicata trattativa che si dimostrò fallimentare. I Falcons si aspettavano che James firmasse un patto di riservatezza per ricevere un'ingente somma di denaro che avrebbe risarcito la sua assenza dall'intera stagione, per poi tornare in trattative alla fine della stagione, così da poter essere reinserito nell'organico per l'anno successivo. A James non era andato affatto bene, e ben consapevole del fatto che non avevano assolutamente nulla per mettergli quel cappio al collo, se ne era andato dall'ufficio della presidenza con un diavolo per capello. I giornalisti lo attendevano fuori dallo stadio, così come accadeva ormai da giorni nei pressi della Tana, dove diversi cronisti si erano radunati per per tentare di strappare alla famiglia oppure al diretto interessato una qualche forma di dichiarazione. James però non aveva voglia di parlare, e per lo più, quel distacco della realtà che lo aveva portato a perdere lentamente la speranza di un'eventuale uscita di prigione, lo aveva anche portato a rifiutare qualunque forma di visita. Si vergognava ed era in un certo qual modo convinto che non fosse in grado di vedere proprio nessuno senza esalare debolezza da ogni poro. Provava ancora molta ansia in contesti sociali e per lo più cercava anche di far sapere alla sua famiglia allargata che avrebbe avuto bisogno di un po' di tempo. I cugini e gli zii lo erano andati a trovare per un breve saluto, ma per lo più, James si era mostrato assente e freddo, fino a risultare quasi sgarbato. Solo dopo aver lasciato lo stadio dei Falcons, diversi giorni dopo la scarcerazione, si rese conto del fatto che stare all'aria aperta gli mancava. Quel parcheggio al di fuori dell'ampia struttura, era un luogo in cui aveva passato innumerevoli momenti in compagnia dei suoi amici e colleghi di lavoro bevendo birra e ridendo a crepapelle al termine degli allenamenti. Gli mancavano; i suoi amici, i suoi cugini, le grandi riunioni a casa della nonna e persino a casa sua. Un lupo solitario, James non lo è mai stato, ma era come se l'idea di tornare alla vita prima lo infastidisse. Aveva compiuto scelte che lo avevano reso un bersaglio facile. In famiglia era sempre stato visto come il bonaccione, quello che non avrebbe fatto del male a una mosca, e proprio per questo, pur essendo il caregiver per eccellenza, era diventato paradossalmente l'anello debole. Così, ad un certo punto aveva deciso di reagire. Nascondersi non era una soluzione, né allontanare le persone che gli volevano bene era una cosa da lui. E così, dopo quasi due settimane di reclusione forzata, James decise di riprendere la propria vita in mano. Cominciò dalle fondamenta, chiedendo la riattivazione del suo numero di telefono, riprendendo controllo dei suoi rapporti umani. Poi, sotto l'occhio attento della zia e della madre, scrisse una lettera indirizzata a Pius Bauldry, a cui chiedeva un colloquio il prima possibile. Tanto Ginevra quanto Hermione erano convinte che non gliel'avrebbero mai negato. C'era però una persona che avrebbe dovuto vedere prima di tutto ciò. Non sono stato giusto nei suoi confronti. L'ho tenuta all'oscuro di tutto. Non mi sono comportato bene. E al fatto che Lily potesse decidere di sbattergli la porta in faccia in ogni caso era pronto. Nonostante avesse chiesto a sua sorella di parlarle durante una delle tante visite che si concedeva a Inverness, James non era certo che Lily avrebbe capito. Perché dovrebbe? Lei è venuta a vedermi appena le è stato possibile. La verità è che a tratti James aveva bisogno di una pausa persino dalla sua stessa famiglia, persone con cui aveva condiviso tutta la sua vita e a cui voleva bene. Non era un bisogno razionale, né qualcosa che avrebbe saputo spiegare. Voleva stare da solo, avere la propria privacy, riguadagnarsi un perimetro che fosse tutto suo - qualcosa che in fondo non aveva da tanto tempo. Aveva dormito molto in quel periodo, e si era goduto piaceri davvero semplici. Tipo oziare fino a tardi oppure leggere un giornale, finire un romanzo lasciato a metà prima di finire ad Azkaban e concludere le riparazioni di alcuni aggeggi babbani in compagni di nonno Arthur. Passava del tempo con i nipoti - gli unici la cui compagnia sembrava accettare senza remore, forse perché gli occhi di Lily e Jay non nascondevano una pattina di dispiacere, di cautela e addirittura di pietà. Faceva cose semplici. Un po' alla volta rimparava che la sua routine era solo sua e poteva decidersela a proprio piacimento. Rimparava a chiudere gli occhi senza avere il terrore di vedere un'ombra passare accanto alla sua finestra e rimparava anche cose banali, tipo godersi un pasto senza fare la figura del morto di fame. Azkaban l'aveva imbestialito; ora tornava a essere umano, un po' alla volta.
    Quando ricevette il lasciapassare da parte delle guardie di Inverness, si sentì come se entrasse in una zona di guerra. Le Highlands eno terre che James aveva imparato ad amare. Gli mancava la casa che aveva condiviso con Ted e altri amici durante il periodo dell'Upside Down e gli mancava vivere là. Il Nord della Scozia era ciò che il giovane Potter avrebbe definito senza se e ma, la terra della pace e della natura incontaminata. Persino la città, piena zeppa di strade ricolme di casette di dimensioni più o meno importanti, si respirava una forma di calma piatta, di sicurezza, che Londra non riusciva a infondergli. Non aveva avvisato della sua visita. In fondo la motivazione ufficiale per cui si era recato a Inverness era trovare la sua famiglia - Albus e Mun. Tuttavia, una volta superate le porte della città, imboccò una strada diversa. Albus gli aveva detto già da diverso tempo che Lily abitava nel villaggio dei sin eater, e farsi indicare la casa precisa non era stato affatto difficile. Con un mazzolino di gigli tra le mani e una busta piena zeppa di cibarie che aveva ordinato da un ristorante prelibato a Londra, James attraverso il piccolo vialetto della casa, bussando alla porta. E attese diverso tempo, un po' nervoso, all'idea che ad aprire potesse esserci qualcun altro. In fondo l'ora di cena. Non a caso, per non sembrare maleducato, James aveva ordinato molto più cibo di quanto due persone potessero mangiare. Non era tuttavia pronto a incontrare persone a lui tutto sommato estranee, ma ciò che non calcolò, è che non sarebbe stato pronto neanche a guardare negli occhi lei. Era bella come sempre - no, così sei più bella. Senza un vetro di mezzo. E infatti, gli ci sarebbe voluto solo un passo per poterla baciare, toccare, ispirare il suo profumo e perdersi intrecciando le dita tra i suoi capelli color grano. Tuttavia attese, abbassò lo sguardo e accennò un leggero sorriso leggermente forzato, dovuto all'evidente difficoltà che provava, nel trovarsi lì a sorpresa. « Se vuoi puoi prendermi a schiaffi dopo - » Disse alzando istintivamente la busta colma di cibarie, porgendole automaticamente i fiori. « A stomaco pieno dà più soddisfazione.. credo. Se ti va.. » Disse quindi inumidendosi le labbra prima di sospirare, gettando gli occhi color carbone in quelli chiari di lei. « Mi farai entrare oppure devo farti anche una serenata per farmi perdonare? » Tentò di sdrammatizzare, perché in fondo, anche quello faceva parte del processo di guarigione. Lentamente stava tentando di tornare in sé, comportarsi in maniera sempre più naturale, riacquistare consapevolezza di chi è, e di chi potrebbe diventare in seguito alla traumatica esperienza che ha passato.


     
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    E' il trentuno di Ottobre. Lilac presenzia ad uno degli allenamenti mattutini dei Chudley Cannons. Sta riscaldando i muscoli attraverso una serie di giri di campo corsi alla massima velocità consentita dal fiato - o meglio, dalla sua mancanza. Peterson fischia qualcosa da bordo campo. Inizialmente lo ignora. Non le ispira moltissimo come personalità - Rocky la capiva meglio, di gran lunga, sia come giocatrice che come persona. Ma ci si deve adeguare. E' un concetto che ha imparato nell'ultimo periodo, la giovane Scamander, un concetto che tempo addietro le appariva assolutamente incomprensibile, soprattutto ad una come lei che, testarda, non riesce a rassegnarsi quando qualcosa va storto, quando si affaccia una difficoltà: la attacca da più lati, finché non ne scova uno debole e inizia a scavare, andando a fondo, per raggiungere l'involucro e trovare la chiave della soluzione. Eppure non è la strategia migliore in ogni contesto. Non lo è nel panorama storico attuale: uno scenario di stallo in cui qualsiasi mossa potrebbe essere mal interpretata, analizzata sotto i riflettori della pubblica opinione e completamente rovesciata rispetto a quella che, semplicemente, era. E' un periodo in cui l'attesa è la migliore alleata che si possa avere - insieme ad un carattere un po' meno impulsivo di quello di Lilac. Perché star fermi, incrociare le braccia, attendere, le è sempre risultato, se non impossibile, qualcosa di molto vicino. Ha cercato di ripiegare su altro: allenamenti - di Quidditch e d'altro tipo - e terapia. Ogni giorno, o comunque a giorni alterni. E adesso Peterson sta fischiando da bordo campo, e lei vorrebbe soltanto che la smettesse di darle addosso, spronandola a dare il meglio - vuole essere lasciata in pace, è davvero così assurda come richiesta? Si aspetta professionalità da lei: bene, questa Lilac non gliel'ha mai negata. Ma anche agli allenamenti deve per forza ricordarle che sta scommettendo su di lei, caricandola del peso delle proprie aspettative, in un frangente in cui la Serpeverde vorrebbe solo fare il minimo indispensabile? «Sì?», le sopracciglia guizzano verso l'alto, a sottolineare un malcontento che non ha paura di nascondere. Poi Peterson le rivela che James Potter è stato liberato. [...] Tiene in mano una busta. Una busta voluminosa. Cousland le ha appena regalato una Jacobs fiammante. Non le stesse così drammaticamente antipatico, l'avrebbe scartata sotto ai suoi occhi, nella luce artificiale brillante della sua agenzia, come una bimba felice che ha appena ricevuto i doni di Natale. Invece ha resistito sino al ritorno a casa, ed è infatti alle soglie di Inverness che, sulla panchina esterna alla non più nuova dimora Scamander, si accinge a scartare il pacco sino a rivelarne il contenuto. Lo sfiora con le dita. Il legno del manico di scopa le rimanda una sensazione di calore. Una sensazione che, stranamente, si associa ad un guizzo rosso nel proprio campo visivo. Distratta da questo, Lily volge lo sguardo verso l'alto. Lympy! - la saluta con un cenno della mano, invitandola a prender posto accanto a lei. Dimmi almeno come sta - fondamentalmente è ciò che lo sguardo della Scamander sta dichiarando, senza bisogno venga espresso a parole. Ed infatti la Grifondoro la precede, aprendo una breve parentesi introduttiva e passando, poi, all'argomento James. Quello che Lilac sente non le piace affatto. Non perché sia sbagliato, anzi, al contrario. Semplicemente è difficile accettarlo. Ed è difficile soprattutto perché Lily lo capisce. E invece vorrebbe non farlo, vorrebbe incazzarsi e basta, oppure ancora urlare. Devi dargli tempo di metabolizzare - le vien detta una cosa del genere. Ed è così giusta da farle troppo male, un male esagerato. Continua a chiedersi, a ripetizione, come un disco rotto, perché diamine le cose giuste facciano così male. Forse perché ci tieni? - probabilmente è questo. Avrebbe dovuto continuare con la recita della ragazza dal cuore di ghiaccio, che molla tutto e fugge via quando la situazione diventa troppo pericolosa. Purtroppo, suo malgrado, è una recita che funziona solo quando si hanno tutte le carte in regola per fingere, e non si realizza quando subentrano invece i sentimenti. A Olympia rivolge solo un sorriso, certa siano trascorsi anni prima di riuscire a pronunciare parola. Grazie per avermelo detto. O una cosa del genere. [...] Scende le scale con una certa rapidità. Non aspetta visite - Sam ha detto che cenerà con degli amici. Dubita che chiunque altro possa spingersi sino alla Città Santa - di questi tempi è davvero impopolare. Senza contare che, di rimando, le guardie di Inverness non siano particolarmente propense a far entrare degli estranei. Comunque continuano a bussare, dunque a Lily non rimane che posticipare i propri dubbi sino al momento in cui spalancherà la porta di casa, scoprendo infine l'identità del visitatore. Assume un'espressione sbigottita quando, trafelata, agguanta la maniglia e la tira verso di sé. Cerca di non dare a vedere lo stupore più del dovuto, ma non può rimediare al danno ormai fatto. « Se vuoi puoi prendermi a schiaffi dopo - A stomaco pieno dà più soddisfazione.. credo. Se ti va.. », le parole che le rivolge sono quelle che Lilac aveva già immaginato il trentuno di Ottobre. A dire il vero aveva costruito l'intera conversazione, certa che sarebbe avvenuta di lì a breve e che avrebbe avuto poco tempo per prepararsi. E lei voleva assolutamente farlo: temeva che la propria impulsività potesse portarla a dire qualcosa di sconsiderato, di fuori posto - aveva delle paure che non le erano mai sorte. Forse perché ci tieni. Quella spiegazione le era parsa più che sufficiente mentre, stesa sul letto della propria stanza, gli occhi ben serrati in attesa che le acque si calmassero, continuava a ripetere mentalmente quello che lei e James si sarebbero detti, con che espressione l'avrebbero fatto e dove si sarebbe verificato. Ma ho sbagliato. Ha sbagliato. Si è sopravvalutata in quell'equazione. Ha pensato che ne avrebbe fatto parte sin da subito. Ma così non è stato, ed ha dovuto mettere le mani in tasca e aspettare, esattamente come le è stato chiesto di fare tante altre volte. Troppe volte, nell'ultimo periodo. « Mi farai entrare oppure devo farti anche una serenata per farmi perdonare? », anche questa è una frase che non aspettava altro di sentire. Quella sua capacità di canalizzare l'attenzione sulla propria persona, senza far nulla se non essere se stesso: questo l'ha letteralmente fatta impazzire, in passato, con una facilità tale da sconcertarla. La fa impazzire anche adesso. Le sembra non sia cambiato di una virgola, nonostante lo sia. Nonostante lo siano entrambi. Anche i fiori che le ha regalato sono bellissimi. Gli occhi verdi incontrano il bianco di quei gigli e ne restano incantati per qualche istante, quasi sotto effetto di un incantesimo. Li sfiora tra le dita e si sente terribilmente fuori posto. E' tormentata dal dubbio, dai se, dalle ipotesi: avrei dovuto insistere? Sarei dovuta andare alla porta di casa sua, picchiando forte sul legno finché non mi avessero aperto? Avrei dovuto urlargli che l'avevo aspettato anche se mi aveva fatto promettere di andare avanti, di "vivere"? E adesso, cosa dovrei fare? Gettare i fiori nel cestino? Metterli in un vaso? Cenare con lui? Dirgli quanto mi è mancato e quanto ho sofferto? - alla fine li prende, quei fiori: alla fine lo fa entrare, senza dire niente, ancora troppo scossa per pensare a qualcosa di concreto. Vorrebbe la sua fermezza nello sguardo e il suo essere sicuro di sé: un po' lo odia perché lui ci riesce - o forse finge di esserlo - e lei invece no, lei è sull'orlo delle lacrime e cerca di trattenerle per non sembrare una stupida bambina ferita. «Non hai bisogno di farti perdonare.», commenta, stringendo le labbra per impedirsi di emettere suoni che potrebbero essere interpretati come il preludio di un pianto bello e buono. Anche se vorrebbe farlo - lo vorrebbe davvero tanto. Riesce già ad immaginarsi, due o tre ore dopo, su quello stesso letto dove aveva immaginato la loro conversazione, quando potrà finalmente lasciarsi andare al torrente di lacrime senza paura di mettersi a nudo, senza nessuno che possa vederla priva di corazza. «James.. Sono felice di vederti.», molto più di quanto quella frase semplice possa rivelare.
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    «Però non c'è motivo..», prende un sospiro, perché il carico emotivo della conversazione - anzi, della semplice presenza del Grifondoro lì - minaccia di farla scoppiare. «Di tutto questo.», non mi devi niente. E invece le ha portato del cibo - una vagonata di cibo! - dei fiori, il suo... Sorriso? Sembra che le labbra di lui si siano curvate a descriverlo - pare proprio un sorriso. Ma la fa sentire a disagio. A disagio per avergli dato la colpa di tutto. Di non averla voluta con lui, di non averla cercata, di averla esclusa. Adesso si sente in difetto per aver provato quelle sensazioni. Che partivano tutte dall'essersi sopravvalutata così tanto, dall'essersi percepita come elemento importante nella vita di James, sino ad arrivare alla delusione per non esser stata coinvolta al momento della scarcerazione. Ma la colpa, in tutto questo, è di Lilac. Avrebbe dovuto ridimensionare tutto: auto-idealizzarsi di meno. Adesso sarebbe molto più semplice, e invece è così impossibile... Adesso non riesce neanche a guardarlo in faccia: rifugge quello sguardo perché ha paura di come si potrebbe sentire incrociandolo. Felice. Bella. Unica. Speciale. Tutte emozioni che ha provato con lui, persino quando si è recata ad Azkaban per vederlo. Per ricordargli che non l'avrebbe mai dimenticato. Adesso ha paura di tornare sotto l'effetto di quell'incantesimo. Di ripetere il circolo vizioso che l'ha portata al dolore. Adesso mi devo proteggere. «Non mi devi niente. Non ce l'ho con te.», non potrei mai. Ce l'ho con me. Continua a fissare il tavolo, si affaccenda a tirare fuori tutte le cibarie offerte da James, per dimostrargli che effettivamente non è lui il motivo del proprio tormento interiore. Sono io. Riguarda come l'ho gestita io. Ho sbagliato tutto. Mi sono spinta troppo oltre e, adesso, non sono in grado di fare i conti con questo tipo di sofferenza. Con la nostra distanza. Non riesco a vivere nel vuoto, non riesco ad accettare le attese. Semplicemente non riesco. «Forse avremmo dovuto affrontare prima questo discorso.», sembra recuperare un po' di sicurezza, nell'utilizzare la parola "prima", quasi col velato sottinteso che avrebbe realmente voluto parlargli tempo addietro. «Sarò sincera con te. Stupidamente credevo mi avresti consentito di starti vicino, una volta uscito..», da Azkaban. Sorride flebilmente, un sorriso triste accompagnato da un velo di malinconia negli occhi. «Ho capito dopo che dovevo stare al mio posto. Senza invadere il tuo spazio.», col risultato che ho sofferto anch'io. Avrei sofferto comunque, ma così è stato molto peggio. Perché mi sono sentita stupida. Inutile. «Mi rendo conto mi avessi chiesto di non aspettarti - cosa che io, invece, ho fatto. Immagino tu l'abbia detto perché non avevi certezze di come sarebbe andata.», di sopravvivere. Di uscirne. «Non te ne faccio una colpa. », spero non me la faccia neanche tu per aver fatto tutto il contrario. Per averti aspettato. «Solo che questo periodo, in cui hai voluto prendere tempo per te, ha fatto male proprio per questo.», perché ti aspettavo ancora, ma la tua porta era chiusa. «Ed io non voglio sentirmi più così.»


    Edited by golden snitch - 19/12/2021, 13:47
     
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    « Non hai bisogno di farti perdonare. » Non era così ingenuo, James; immaginava che Lily non avrebbe fatto i salti di gioia. Avevo intrapreso quella strada, un po' controversa, un po' controproducente, che l'aveva messo le persone attorno a lui in difficoltà. Era stato egoista e individualista, e aveva pensato piuttosto a cosa non avrebbe messo lui a disagio, a discapito di ciò che avrebbe fatto soffrire gli altri. Una parte di sé aveva solo bisogno di amici, della sua ragazza, della sua famiglia. Voleva sentirsi amato e ben voluto. Dopo mesi all'interno di una cella vuota, scaldarsi al fianco della persona che amava, sarebbe dovuta essere la cosa più naturale da fare. Eppure, James, lì dentro si era sentito un po' come un animale, costretto a bramare tutto ciò che prima dava per scontato. Gli amici, la famiglia, quella stupida casa che diceva di continuo di voler cambiare perché in una zona troppo rumorosa. Aveva dato tutte quelle cose per scontate, e quando la privazione era giunta, si era reso conto di quanto fosse ingrato. A maggior ragione, una volta fuori, non riusciva ad accettare la loro compassione, l'idea che potesse fare loro pena, che lo trattassero con riguardo o con delicatezza semplicemente perché non potevano immaginare cosa avesse provato lì dentro. Non voleva essere trattato coi guanti; a tratti non voleva essere trattato affatto. Sarebbe stato semplice cadere nell'oblio; forse era ciò che aveva voluto fare. Poi, di tutto ciò, aveva cominciato a pentirsene. E infatti nell'osservare Lily, così contrastante, e.. triste, abbassa lo sguardo costernato. « James.. Sono felice di vederti. Però non c'è motivo.. Di tutto questo. » E invece sì, perché delle sue mancanze, lentamente James se ne era accorto. Rimediare forse era tardi. Aveva compiuto le scelte che gli sembravano più consone sul momento, quelle che lo facevano sentire più confortevole. Non era stato coraggioso. Ma d'altronde, che non fosse il cuor di leone che tutti si aspettassero, era diventato sempre più evidente col tempo. Non era infallibile, James, e a sbagliare faceva piuttosto in fretta, specie quando frapponeva tra se e i suoi obiettivi la propria immaturità e la poca lungimiranza. In quelle circostanze, d'altronde, appena uscito da Azkaban, di ragionare e pensare a cosa fosse meglio, non aveva voluto pensare. Non aveva voluto pensare proprio a nulla, preferendo piuttosto riposare, fermarsi, come se fermo non fosse già stato per sin troppo tempo. « Invece si.. » Deglutisce, mentre esala quelle poche parole in maniera incerta, a sguardo basso, mentre si gratta la guancia sinistra, gettando lo sguardo fuori dalla finestra di quella casetta in cui Lily deve ormai vivere da diverso tempo. Come sta lì a Inverness? Si è ambientata? Vuole tornare a casa sua? Le hanno già dato problemi? Non lo sa, James, e tutte quelle cose vorrebbe davvero chiedergliele, solo che non ci riesce. Pensa solo a quel senso di smarrimento che ha letto sul volto di lei. Al modo in cui gli sta dicendo che non deve fare proprio niente. « Non mi devi niente. Non ce l'ho con te. Forse avremmo dovuto affrontare prima questo discorso. » Sentì come se ogni suo sforzo fosse stato vanificato. Quelle parole di certo non se le aspettava. Seppure immaginava che Lily potesse essere arrabbiata, immaginava che quella scena si sarebbe svolta in maniera completamente differente. Credevo che mi avresti urlato contro. Che avresti detto che sono un pezzente - e di certo non avresti avuto tutti i torti. Io in primis non so proprio cosa sto facendo. Immagino di essermi un po' perso. Da qualche parte la mia vita si è fermata, ed io non so proprio come riprendermela. Però non posso vederti così. Come se ti fossi arresa. Inclinò appena la testa di lato, il giovane Potter, osservando la bionda con un'espressione cauta, come se non sapesse esattamente cosa aspettarsi. Non disse tuttavia niente, per timore che qualunque cosa avrebbe potuto disturbare il flusso dei suoi pensieri. A quel punto era giusto lasciarle spazio, qualunque cosa ciò significasse. « Sarò sincera con te. Stupidamente credevo mi avresti consentito di starti vicino, una volta uscito.. Ho capito dopo che dovevo stare al mio posto. Senza invadere il tuo spazio. » Scosse la testa, il moro, stirando un sorriso amaro. Se tutto fosse stato così semplice, James avrebbe davvero agito come tutti si aspettavano. Ma non lo era, semplice. « Non era contro di te.. » Sentenzia con un tono morbido. O perché non ti volessi. Quei sentimenti, per James non erano cambiati. Di Lily aveva parlato al suo compagno di cella fino all'esaurimento. La sua Lily dai capelli lisci e morbidi come la seta, dalla pelle delicata, dall'intenso profumo floreale. Quanto aveva bramato la sua presenza e quanto gli era mancata. C'erano giorni in cui avrebbe solo voluto poter chiedere di abbracciarla, di restare semplicemente lì con lei senza dire nulla, senza aver bisogno di aggiungere alcunché. Poi era uscito. Eppure, quando ciò era avvenuto, di sé stesso si era vergognato. Aveva paura di affidarsi a qualcun altro prima di aver realizzato cosa gli fosse successo, prima di potersi percepire di nuovo come un uomo libero. Aveva paura di diventarne dipendente. La dipendenza non è mai una cosa buona. Per nessuno. Quando ti affidi troppo agli altri, e troppo poco a te stesso, finisci per restare con un pugno di mosche se quella sicurezza viene meno. Se quelle persone non ci sono più. « Mi rendo conto mi avessi chiesto di non aspettarti - cosa che io, invece, ho fatto. Immagino tu l'abbia detto perché non avevi certezze di come sarebbe andata. Non te ne faccio una colpa. Solo che questo periodo, in cui hai voluto prendere tempo per te, ha fatto male proprio per questo. Ed io non voglio sentirmi più così. » Si appoggiò con la spalla contro il caminetto, affondando le mani nelle tasche dei jeans, mentre prendeva a guardarsi attorno con un senso di smarrimento e palese consapevolezza di qualcosa che non si aspettava certo di ottenere da quell'incontro. Infine abbassa lo sguardo e annuisce tra se e se passandosi una mano sul viso, punto nel vivo, pizzicato nell'orgoglio e leggermente deluso. Da se stesso; deluso dal sapore che aveva quella libertà. Non è vero che sono un uomo libero. Nel momento in cui mi hanno rinchiuso mi hanno comunque rubato un pezzo. E prima che io lo rimetta apposto, di tempo ne passerà. In tanto sto perdendo. Ancora e ancora. Ma forse è così che deve andare affinché questo arco si chiuda. Si schiarisce quindi la voce e getta nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra. « Che - che cosa intendi di preciso? » Non ha il coraggio di guardarla. Teme di vederci la delusione nei suoi occhi. L'arrendevolezza. Sta mollando la presa. E James non riesce a spiegarselo fino in fondo.
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    « Per quel che vale, ti ho detto quelle cose perché non credevo ne sarei mai uscito. Sarebbe stato da egoisti chiederti così tanto - oppure metterti nella condizione di sentirti in colpa nel momento in cui avresti capito da te che stava passando troppo tempo. » Si stringe nelle spalle scoccando la lingua contro il palato. « Quando mi hanno comunicato la decisione del giudice, non ci ho creduto. Sinceramente pensavo di essere impazzito. Tra quelle mura dopo un po' inizi a vedere e sentire cose non vere. Ti inventi un mondo un po' meno grigio per stare meglio. » Annuì tra se e se schiarendosi appena la voce. « Non volevo la compassione di nessuno. Le persone tendono a guardarti diversamente quando hai subito un'ingiustizia. Quando sanno che sei finito all'inferno per.. il nulla. » Pausa. « Ti trattano come se fossi di vetro. Con compassione.. » Io non sono più lo stesso James Potter per la maggior parte delle persone. Mi trattano come se fossi incapace di assorbire gli urti. Come se fossi sensibile, delicato. Un tempo ero il pezzente della casa, un mascalzone. Ero il coglioncello che fa ridere tutti. Ora invece, nessuno si aspetta questo, nessuno ricerca questo. La gente mi offre il te caldo e le copertine, mi danno pacche gentili sulla schiena e mi guardano come se si dispiacessero. Non si aspettano che io reagisca, e forse io non sono davvero in grado di reagire ora. Azkaban d'altronde ti insegna proprio questo: ti spezza l'anima finché non hai più voglia di lottare. Finché ti pieghi e accetti la tua sorte. « Io non volevo la tua compassione, Lils.. » Non volevo che mi trattassi come se fossi di vetro. E cosa altro avresti dovuto fare quando volevo solo dormire e stare in silenzio? Quando non avevo voglia di parlare. Non voglio che tu debba avere qualcosa di rotto. Che ti senta in dovere di riparalo. Noi non eravamo questo. « Mi dispiace di averti fatto del male.. Speravo che sarebbe andata meglio così. Che il contrario ti avrebbe messa in una condizione strana.. insomma in difficoltà. » Si stringe nelle spalle. « Ora va un po' così. È tutto in disordine. E non riesco a rimetterlo apposto.. La libertà non è libera come mi aspettavo. »


     
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    « Non era contro di te.. », poggia lo sguardo sul viso di James, con l'obiettivo preciso di decifrarne le intenzioni. «Certo. Viceversa, sarebbe stato il peggiore esempio di come si mette da parte una persona.», non riesce a tenere la lingua a freno, questa volta, esordendo con una battuta di cattivo gusto che, in realtà, neanche pensa davvero. «So che ferirmi non fosse nelle tue intenzioni.», di questo ne è assolutamente convinta. Ti conosco abbastanza da poterci giurare - riflette, ripercorrendo mentalmente tutte le tappe che, tassello dopo tassello, hanno costruito il loro rapporto. Sei sempre stato sincero. Non mi hai mai mentito. A rigor di logica, anche adesso sta dicendo la verità: anche adesso sta dicendo ciò che pensa, senza filtri o trucchi ad agevolargli il compito. Il fatto che non fosse nelle tue intenzioni, però, non vuol dire che non sia accaduto. Da qui lo stato d'animo di Lilac, le proprie insicurezze e la riflessione che, forse, una piccola parte di James non se la sia sentita di condividere con lei sin da subito l'esperienza della prigione. Non è un argomento di cui si parla facilmente, d'altronde. Da qui le domande sul motivo per cui non l'avesse coinvolta, a prescindere dal suo presunto desiderio - o almeno, questo la Scamander suppone - di rimettere a posto, da soli, con le proprie forze, una vita spezzata da un evento del genere. Perché quello è assolutamente comprensibile: anche Lilac avrebbe agito così, testarda e cocciuta com'è. Nessuno può dirle cosa fare o come farlo, a costo di impiegarci anni e anni o di sbagliare a ripetizione. La propria strada va descritta da soli, senza formule magiche o aiuti esterni a correggere le imperfezioni - è meravigliosa espressamente perché autentica, non importa se piena di bivi, di pozzanghere o di fango, anziché di girasoli e alberi rigogliosi. E' bella proprio perché colma di buche che farebbero inciampare chiunque - è anche questo un aspetto della crescita. No, Lilac non è insicura perché la scelta di James sia stata quella di riprendere il filo conduttore da solo. Lilac è insicura perché tutte le strade portano a delle persone, o l'umanità sarebbe scomparsa dalla faccia della terra: quella di James ha fisiologicamente condotto alla destinazione Potter, ma a lei la porta è stata sbattuta in faccia. Non importa che lo sia stata anche per i suoi amici, i giocatori di Quidditch o chiunque all'infuori dello stretto e indispensabile nucleo familiare. E' comunque successo. E di questo non gliene si può fare una colpa: ognuno sceglie da solo le proprie destinazioni, e questo Lilac lo sa. Quindi non è una questione di rabbia o delusione, è semplicemente questione di prenderne atto. Non è una cosa di cui scusarsi. E' soltanto un evento accaduto, ormai immodificabile, che ha portato alle conseguenze del caso: a renderla insicura, in un momento di estrema fragilità. « Che - che cosa intendi di preciso? », lo vede guardare in direzione del pavimento, fuggendo il contatto visivo con lei. Ci vuole del tempo prima che Lilac prenda parola - non è semplice mettere a nudo i propri sentimenti, soprattutto per timore che appaiano discutibili o infantili. Ma forse, infantile, lo sono davvero. Posso davvero farci qualcosa? E' questo che provo. E' così che mi sento - dopo una pausa di riflessione, infine risponde: «Che mi hai messa da parte.», prende fiato e continua, sempre in un sussurro: «Questo ha fatto male.», spiega, riferendosi alle parole dette poco prima. «Come dicevo, non voglio fartene una colpa.», ha gli occhi vagamente lucidi, ma la voce rimane ferma. «Ognuno fa le proprie scelte. E sceglie con chi condividerle, e soprattutto se farlo..», in questo caso specifico, la scelta di condividere il dolore. «Ma chiaramente ogni scelta ha delle ripercussioni sulla gente che ci sta intorno. Su di me. Mi ha fatta soffrire.. Questo mi ha fatta soffrire. Il dubbio più di ogni altra cosa. Il non sapere, il chiedersi in continuazione cosa diavolo stesse succedendo..», Morgana la miseria, persino cosa stessi mangiando - persino questo sono arrivata a chiedermi.«Chiedersi cosa avessi sbagliato, se ti fidassi di me - almeno un po'. Chiedersi perché non potessimo condividere anche questo, qualunque cosa fosse..», chiedersi se siamo una coppia. Le coppie non sono fatte solo per stare bene insieme, no? Le coppie condividono, che si tratti di una pizza a metà o della tragedia più assurda immaginabile. «Capisco non sia trascorso un anno dalla tua scarcerazione, però cazzo -», troppo? Sto dando di matto? «- James, se non avessi incrociato Olympia per strada e se non mi avesse detto lei che avevi.. - che ha detto? - "bisogno di tempo", io..», Morgana, poteva essere successo di tutto. Potevi essere fuggito. Scappato. Disperso. Cazzo, ho persino pensato ai rag'nak, alla Loggia, cazzo.. E' così difficile. E' tutto così difficile. Soprattutto è difficile trattenere le lacrime per non sembrare la prima stupida bambina che passa e si lamenta della qualunque.. «Questo, di preciso, ha fatto soffrire.», incrocia le braccia al petto, come a volersi proteggere da quello che verrà. Qualunque cosa essa sia. «Questo fa soffrire, sussurra, abbassando anche lei gli occhi. Ora che l'ha detto, è paradossalmente più serena. Come se avesse vuotato il sacco - non più di fronte allo specchio, ma col diretto interessato. Sono stata egoista ad esporti i miei bisogni e le mie insicurezze in un momento così assurdo per te? Eppure non riesco a fare altrimenti. E' il mio carattere. Non sono arrabbiata..., si ferma un attimo, a valutare la sincerità dei propri pensieri. No, non sono arrabbiata. Decisamente non ce l'ho con te. E' solo che tutto questo mi ha fatta sentire inutile. « Per quel che vale, ti ho detto quelle cose perché non credevo ne sarei mai uscito. Sarebbe stato da egoisti chiederti così tanto - oppure metterti nella condizione di sentirti in colpa nel momento in cui avresti capito da te che stava passando troppo tempo. », annuisce, Lilac. Probabilmente avrebbe fatto la stessa cosa. Non l'avrebbe mai costretto ad aspettarla, avrebbe.. Cercato di tagliare i ponti. Un po' come ha fatto Karma con Arthur, quando credeva che sarebbe morta. Deglutisce. «Sì. Quella è stata comunque una mia scelta.», aspettarti. Aspettare. Non credevo sarei mai stata capace di una cosa del genere - io, la persona più impulsiva sulla terra.. Eppure forse non mi conoscevo abbastanza. Forse ero immatura, forse adesso sono cambiata un po'. Forse sono stati - paradossalmente - i Ribelli ad insegnarmi la pazienza. Adesso ci so stare... Non alla perfezione, ma certamente più di prima. « Non volevo la compassione di nessuno. Le persone tendono a guardarti diversamente quando hai subito un'ingiustizia. Quando sanno che sei finito all'inferno per.. il nulla. Io non volevo la tua compassione, Lils.. », questo cosa vorrebbe dire? - è una preoccupazione lecita, quella di James. Ma Lily, da parte sua, non crede di aver agito in quel modo. Forse si riferisce alla reazione che avrei potuto avere se mi avesse concesso di stargli vicino sin da subito. Di vederlo... distrutto. «Solo perché credo anch'io tu abbia subito un'ingiustizia, non vuol dire che ti avrei compatito.», risponde. Stringe le mani a pugno. «E anche adesso.. Solo perché non ti sto dando colpe, non vuol dire ti stia trattando come se fossi di vetro: sto rispettando la tua scelta, nonostante mi abbia fatto soffrire. Sono stata sincera e basta.», continua. «Avrei sofferto con te? Ovviamente. Non so come tu abbia trascorso questi giorni - immagino malissimo. Sarebbe stato lo stesso per me, indiscutibilmente..», volevi proteggermi da questo? Escludere gli altri dalle situazioni difficili è davvero la soluzione per proteggerli? Stai facendo come Arthur con Karma - la esclude dai Ribelli perché è pericoloso? Solo per me funziona al contrario? Solo per me combattere insieme è meglio che farlo da soli? Io... Non voglio giudicare le tue scelte. O quelle degli altri.. Però.. Se devo farne parte, lo voglio al cento per cento. Non mi basta a metà. Io sono dentro, oppure fuori. Voglio tutto, oppure niente. Per me funziona così. «Ma.. Avrei preferito soffrire con te, piuttosto che torturarmi in questo limbo di ipotesi e cose non dette.», conclude, risoluta. « Ora va un po' così. È tutto in disordine. E non riesco a rimetterlo apposto.. La libertà non è libera come mi aspettavo. », perché siamo così distanti se ci sentiamo allo stesso modo? - non può che domandarselo, Lilac. Di colpo, vorrebbe aver agito diversamente. Vorrebbe aver spacchettato la cena che James ha portato a casa sua, a Inverness, e aver scelto delle parole opposte. Aver avuto una reazione diversa. Magari avergli dato un ceffone, per poi saltargli al collo annullando ogni forma di distanza. Eppure non l'ha fatto. Spirito di autoconservazione? - di solito funziona così per gli animali, le creature fantastiche che alla Scamander sono tanto care. Lotta o fuga. C'è chi si ostina a combattere - e questo avrebbe fatto lei, sin dal primo istante: combattere. Combattere insieme. C'è chi fugge per la paura.. E forse è in questo tipo di condizione che adesso si trova. In quella di fuggire - l'ha sempre fatto, Lilac. Da ogni singola relazione. Non sono mai durate più di qualche mese, mai. Perché se non si va troppo oltre, si prova al massimo una sorta di dispiacere quando tutto finisce, nulla più. Di certo non dolore. Se ci si spinge, se si varca il confine che separa la semplice intesa dalla più profonda sintonia... Ci si scotta terribilmente.
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    «Lo so.», afferma. Vorrebbe concludere così, nell'accettazione di ciò che è successo e nella volontà di andare avanti. Ma teme, qualora non si facesse chiarezza, di cadere di nuovo in quel limbo che tanto la preoccupa. In quel grigio nebbioso da cui non si esce finché qualcuno non urla a chiare lettere "cosa cazzo sta succedendo?". E' per questo che si costringe a fare un passo che, adulto o infantile che sia, sente comunque di dover muovere. «Però James.. Capisco il tuo disordine. Ma anche.. No. Perché non capisco più niente.», ti capisco ma non ti capisco: non so quanto senso abbia, ma è proprio quello che sento. «In tutto questo tuo disordine.. Io dove sono? Cosa sono? - Non devi rispondermi adesso, però mi aspetto che tu lo faccia... Prima o poi», aggiunge, sottolineando la necessità di possedere quel tipo di risposta. Che sia sul momento stesso oppure no. «Perché non voglio più stare ad aspettare..», ognuno ha i propri tempi, è vero, ma ognuno ha anche le proprie necessità. Per me stare insieme è essere complici. «Quello l'ho già fatto.», sorride flebilmente. Non le è costato aspettarlo. Non prima. Non avrebbe potuto far altro, dato il sentimento tra loro. Non ho rimpianti. L'ho fatto perché era ciò che volevo: volevo te. «Io adesso voglio andare avanti. Voglio combattere, vorrei non chiedertelo adesso - immagino sia troppo. Condividere tutto al cento per cento... Quello è sempre... troppo. Ma devo farlo, devo capire. Devo sapere. Potremmo morire domani ed io non ho intenzione di perdermi niente, di precludermi niente. Di scatto, Lilac prende un tovagliolo ed una penna. Sopra scrive: fuoco cammina con me. Lo mette in tasca a James. Ti avevo già fatto intendere qualcosa, nel nostro incontro ad Azkaban. E tu mi hai chiesto di contattare Byron.. Solo che non ci sono riuscita. Era inavvicinabile. «E' una questione che in qualche modo si collega al discorso che ho fatto. Quindi, ecco.. Ti sto facendo una doppia domanda. Dopo..», prima che possa fare qualunque mossa, lo blocca. «Leggi dopo.»
     
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3 replies since 28/11/2021, 20:53   85 views
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