La spirale ovale.

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    Alexandra Cooper non era abituata a pensare agli altri. Per lei il mondo aveva un solo centro: sé stessa. Si comportava spesso come un animale privo della ragion umana, alzandosi la mattina con il solo scopo di soddisfare i propri bisogni, portando a casa la giornata, così com'era, senza aspettative, senza dover tirare le somme, semplicemente seguendo il proprio istinto con il solo scopo di sentirsi appagata. Se aveva fame mangiava, se aveva sete beveva, se era stanca dormiva, se voleva far sesso scorreva la rubrica telefonica alla ricerca di qualcuno che non l'avesse già mandata al diavolo. Non aveva il peso delle responsabilità sulle spalle, se non quella di pagare l'affitto a fine mese. Si sentiva una persona fortunata, infondo, nonostante spesso faticasse a sbarcare il lunario a causa di hobby decisamente poco economici che aveva coltivato in alcune fasi della sua vita. Si era sempre sentita come un filo d'erba in mezzo a tanti altri fili d'erba, dove non accadeva mai nulla di entusiasmante e forse era proprio questo a darle sicurezza: lo scorrere sempre uguale delle sue giornate. Nessuno si aspettava qualcosa da lei. I suoi genitori avevano smesso di crearsi grandi speranze per lei ormai da tempo. Non aveva nessuno da deludere e per questo si sentiva fortunata. Non aveva nessuno che le dicesse che aveva scontento le sue aspettative e per questo si sentiva fortunata. Qualcuno avrebbe trovato triste questa situazione, ma non lei. Lei riusciva sempre a vedere il lato positivo delle cose. Non aveva mai messo particolare impegno nel fare qualcosa. Era questo il motivo per cui adesso era completamente terrorizzata. E’ in piedi, in attesa, immobile e opaca come una scultura di vetro sulla quale qualcuno ha alitato sopra dell’aria calda. Offuscata. Se si inumidisse l’orlo di un bicchiere e lo si sfiorasse con un dito emetterebbe un suono. Alexandra sente di essere quel suono. Come la parola “rompere”. Frantumare. Forse andrà in mille pezzi da un momento all’altro. O forse no, magari non accadrà in modo del tutto inaspettato. Forse prima avrebbe cominciato a crettarsi in spacchi sempre più profondi, di quelli che si sagomano all’interno e lo capisci solo perché toccando la superficie la scopri ancora incredibilmente liscia. Però ci sono, li vedi, sono lì dentro e non hai la più pallida idea di come si siano formati, né di come poterli sanare. Sai che la tua preziosa statuetta si romperà e che non puoi fare niente per impedirlo. Non importa quanto sia stato il tempo passato a spolverarla e a quanta attenzione tu abbia messo nel maneggiarla. Sei costretto ad aspettare l’inevitabile senza avere la più pallida idea di quando accadrà. Aspetti e basta. E basta. Alexandra Cooper era cresciuta senza includere la parola “vergogna” nel suo vocabolario. Non conosceva la sensazione che si provava nel sentirsi a disagio, impicciata in una situazione che paresse insostenibile. Non si era sentita così quando Jeremy Milligan si era presentato inaspettatamente a casa sua per festeggiare i loro tre mesi di frequentazione e l’aveva trovata a farsi George Brown sul divano. Non si era sentita così alla festa di laurea di suo fratello quando si era presentata con un abito striminzito che lasciava ben poco all’immaginazione nonostante avesse passato il pomeriggio del giorno precedente in giro per negozi con sua madre alla ricerca di un vestito appropriato per l’occasione. Non si era sentita così quando Betty Yang mise in giro il pettegolezzo -poi smentito- che la Cooper facesse roba nei bagni della scuola in cambio di qualche spicciolo. C’era stata solo un’altra occasione in cui si era sentita in quel modo. Era stato nel suo ufficio, qualche mese prima. «Si.. Posso provare..». Gli aveva detto così, eppure aveva aspettato tutto quel tempo prima di accattare la proposta di allenarsi con loro. Quando Ginny si era finalmente degnata di riaprire la porta di quella che per qualche ora era stata la loro prigione, lei si era fiondata fuori, senza aggiungere neanche una parola, procedendo a passo spedito verso l’uscio, come se avesse smesso di respirare e avesse la possibilità di ricordarlo solo una volta uscita di lì. Aveva trascorso i giorni successivi a metabolizzare, pensando e ripensando a quella conversazione, come se cercasse di approfondire ogni singola parola che era stata pronunciata in quella stanza, come se ci cercasse dentro chissà quale significato. Non era abituata a rimuginare sulle cose e, ad un certo punto, aveva percepito con estrema chiarezza il profondo bisogno di andare a bere qualcosa. Poi la cosa era degenerata, ma nonostante avesse cominciato a comportarsi come se non le importasse niente, quel pensiero se ne stava sempre lì, fisso, come se qualcuno lo avesse inchiodato al muro della sua mente. Era come quella volta che da piccola le venne la varicella e il suo intero corpo si ricoprì interamente di piccole vescicole. Sua madre le aveva detto chiaramente di non grattarsi, perché altrimenti sarebbero rimaste le cicatrici. Lexie aveva provato a distrarsi con qualsiasi cosa. A tratti ci era anche riuscita, ma per non più di qualche minuto perché il prurito era sempre lì e non se ne andava. Le erano rimaste un paio di cicatrici nel braccio. A volte le copriva con un po’ di fondotinta e per un po’ queste sparivano. Proprio come se non fossero mai esistite. Ciò che la feriva stavolta, però, era diverso e nessun trucco avrebbe potuto coprirla, nasconderla, neanche per un secondo. Ci aveva provato, con i soliti modi, ma a quanto pareva, si erano rivelati tutti inefficaci. Aveva l’impressione di stuzzicare la solita crosticina che ogni volta avrebbe ricominciato a sanguinare, prolungando i tempi di guarigione. Tira fuori il telefono dalla tasca del cappotto e lancia un lungo sguardo al display, come se si aspettasse di vederlo lampeggiare da un momento all’altro. Non sono loro in ritardo, ma è lei tremendamente in anticipo. In anticipo come non è mai stata. Forse è arrivata così presto pensando di aver così la possibilità di tornare indietro, qualora volesse. Si era creata quella che pensava essere una via di fuga in caso di pericolo. Questo era quello che pensava o, meglio, che si convinceva a pensare. Si perché aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di sentirsi come se fosse ancora padrona di quella scelta. Era lì perché doveva, non perché voleva. Era questo il pensiero che la aiutava a restare ancorata a terra, nonostante la gravità fosse diventato improvvisamente un concetto astratto. Doveva farlo. Doveva farlo per loro. Ma vuoi anche farlo. Vuoi proteggerli. Si, forse anche “voleva”, ma non era pronta a rimuginarsi ancora sopra. Rimise il telefono in tasca, espirando in modo piuttosto rumoroso. Una donna con un cappotto nero che le arrivava fino alle caviglie le sfrecciò davanti senza degnarla di uno sguardo, troppo impegnata com’era a trafficare con il suo smartphone. "Tu non devi niente a Inverness. Ma ciò che tu potresti fare - il tuo talento - per Inverness è comunque prezioso. Tu sei importante per loro. Noi siamo importanti." Ripensò alla chiacchierata che aveva avuto con Valerie qualche settimana prima. Chissà cosa avrebbe pensato nel vederla lì. Aveva importanza? Non lo faceva per lei, eppure non poteva negare che la Harmon avesse avuto un ruolo non poco marginale in tutta quella faccenda. "Io non posso obbligarti a fare nulla, né credo che tu debba fare nulla di speciale in questo momento. Anzi.. se senti il bisogno di andare a strusciarti con qualcuno al Suspiria, dovresti farlo. Però.. qualcosa sta arrivando, Alexandra.. e quelli come me e te non sono affatto al sicuro da soli." "Ho la certezza che mi porta a pensare che perlomeno Virginia e i bambini rientrano nelle motivazioni che hai per rimanere viva. Se non per te stessa in primis, puoi provare almeno per loro?" "Sta accadendo già da un po'. Quindi.. se dovessi avere bisogno di qualcuno, di persone con cui parlare o un luogo in cui sentirti al sicuro, tu puoi avere tutto questo. " "Dobbiamo imparare a fidarci l'uno dell'altra ed esserci. Davvero. Con tutto ciò che ne consegue. Anche il farsi vedere per come si è, spaventati, piccoli, sentendosi fuori posto la metà del tempo passato in Terra.
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    Un uomo sulla quarantina le passa accanto e Lexie ha come la sensazione che il suo sguardo la stia quasi toccando. Non riesce a capire se lui stia guardando il suo volto o i suoi pantacollant sportivi che non hanno il compito di nascondere le sue fattezze. Forse ha qualcosa addosso: un’enorme lettera scarlatta a classificarla come una che lì non c’entra proprio niente. Lo fissa anche lei, di rimando. Vorrebbe che l’uomo dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, solo per darle il pretesto di dargli un pugno. Oppure di andarsene. Si, sarebbe stata una bella premessa: litigare con qualcuno e tornarsene a casa, come se quel gesto giustificasse in qualche modo la sua prematura dipartita. Ma lui non disse niente e continuò per la sua strada. Per un attimo pensò di fermarlo. Forse era ancora in tempo. Dirgli una parola storta e ritrovarsi coinvolta in qualcosa che non fosse quella snervante attesa. Se non per te stessa in primis, puoi provare almeno per loro? Ancora la sua voce. Cazzo, cazzo, cazzo, perché doveva essere tutto così complicato? Sfilò il pacchetto di sigarette dalla tasca dello zainetto e se ne portò una alle labbra. Mancavano ancora cinque minuti. Doveva impiegare il tempo per costringersi a non fare stupidaggini.

     
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    Adam era abbastanza certo che prima o poi Lexie gli avrebbe scritto per cominciare ad allenarsi, così come aveva detto che avrebbe fatto. Per questo, da quel loro ultimo incontro, effettivamente forzato, non l'ha più contattata, decidendo di aspettare, senza metterle alcuna pressione ulteriore addosso, altresì certo che, muovendo un simile passo, avrebbe potuto soltanto innescare in lei il suo solito meccanismo di ritirata, quello secondo cui, di solito, lui ha tutte le colpe del mondo, la sta soltanto obbligando a fare ciò che non vuole, il tutto mentre la sta psicanalizzando senza il suo espresso consenso. Perché non sono una tua paziente. Per questo, pur avendo attraversato il dolore del genocidio dei suoi fratelli giapponesi, avvertendo la distinta sensazione di morte per ogni cellula del proprio corpo, non le ha mai scritto, aspettandosi forse un messaggio dall'altra parte, questo sì, ma senza dar troppo peso alla cosa. Così decide di raccontarsela, in fondo non è mai stato tipo da troppe aspettative. Forse nemmeno lo sa. Non può di certo escluderlo, vista la sua onnipresente e risoluta voglia di autodeterminarsi al di fuori delle mura di Inverness, lontana quanto più possibile dal mondo che essa rappresenta. Quei mesi di silenzio quindi gli sono serviti per rinsaldare quella sua corazza, sia fisica che mentale. Sono stati pochi i giorni in cui non è riuscito a ritagliarsi almeno un'ora di allenamento nella palestra babbana, divenuta ormai sua roccaforte sicura lontano da ogni possibile e reale interferenza del suo mondo. Ha preferito limitare al minimo le visite ad Inverness. L'ha comunque fatto, di tanto in tanto, ben attento ogni volta a non lasciarsi dietro alcuna traccia del suo possibile passaggio verso il Nord, per affinarsi nelle sfumature più tecniche del combattimento, potendo usare solo all'interno dell'Alveare le sole armi che potrebbero far fuori gli emissari dell'Inferno. Ed è in quei momenti che ha condiviso i suoi allenamenti con la sorella, arrivando separati a destinazione per essere quanto più scrupolosi possibili. La sensazione che prova ora, nel muoversi verso la Cattedrale, dopo aver nascosto la moto in mezzo alle foreste fuori le mura, è peculiare. Non sa definirla alla perfezione ma è da quando Ginny gli ha detto di aver ricevuto un messaggio da Alexandra che la sente. E' una mescolanza di superba sicurezza, tipica di chi è certo di avere sempre ragione, e trepidazione, quella che solitamente anticipa avvenimenti di cui non si sa bene il risultato finale. Si stringe nella giacca, affondando le mani guantate nelle tasche. Anche per uno come lui, nato e cresciuto nella fredda Stoccolma, le temperature che raggiunge Inverness d'inverno sono destabilizzanti. Prima di arrivare alla chiesa, fa una leggera deviazione verso una delle botteghe alla quale si è già rivolto nei giorni passati. Appartiene a Castor, uno dei migliori mastri armaioli di tutta la città ed è proprio a lui che ha richiesto due particolari armi, sulle quali ha meditato a lungo, provando a disegnare nella propria mente il ritratto di Virginia e Alexandra, sulla base di quelli che, secondo lui, possono essere i loro punti di forza da sfruttare in battaglia. Su una va abbastanza sul sicuro, avendola già vista in azione, sull'altra gioca al buio, non una delle condizioni che preferisce al mondo ma punta tutto sul suo istinto da psicologo. « Non potevo sperare in un lavoro migliore. » Commenta soppesando prima il pugnale, finemente intagliato, dalla lama iridescente sotto la fiamma della fornace ancora accesa. Poi passa al piccolo bastone di bambù. Il peso è forse l'unico indicatore che ci sia qualcosa in più al di là della pacifica apparenza. Ed infatti, al minimo sfioro sulla parte più bassa, una lama fuoriesce dalla sua punta, mettendosi in bella mostra. Con un sorriso, saluta l'uomo dopo averlo pagato e si ributta in strada, arrivando di gran carriera all'entrata della Cattedrale. Si guarda intorno, affondando le labbra al di sotto della calda sciarpa in cashmere, alla ricerca della sorella. Come quelle poche volte che hanno raggiunto la Città Santa, si sono dati direttamente appuntamento lì, decidendo di arrivare in maniera separata. Fuori, comunque, intravede la figura di Alexandra. Se dovesse fare una veloce valutazione del linguaggio del corpo della rossa, potrebbe di certo dire che è sul punto di scappare da come è protratta in avanti, con gli occhi che fuggono da un input all'altro. O sta aspettando la motivazione che la porti a doverlo fare. Perché così non sarebbe stata più colpa sua. Sarebbe stato il contrattempo ad impedirglielo. Adam comunque non è lì per porsi certe domande e così semplicemente l'affianca, accennando un sorriso tirato una volta abbassate un po' le pieghe della sciarpa. « In anticipo, però. » Commenta, sulla scia di una sfumatura sarcastica, con l'effettiva sorpresa di trovarla lì prima dell'orario accordato con la sorella. « Sono quasi portato a credere che non vedessi proprio l'ora di fare questo allenamento. » Quasi. Uno sbuffo divertito si palesa di fronte alle sue labbra sotto forma di una nuvoletta grigia di fumo. « Allora, come ti sembra Inverness? » Una domanda che sembrerebbe apertamente di circostanza se non fosse che l'uomo è in realtà curioso di conoscere la sua risposta. Non ricorda di aver mai parlato della Città Santa con lei, né di una sua eventuale visita all'interno delle sue mura fortificate. Si volta a guardare il sontuoso albero di Natale addobbato in mezzo alla piazza principale, un sorriso genuino traspare sulle sue labbra nel pensare ai nipoti il giorno in cui avevano addobbato il loro. Di certo quel luogo è pieno di quella tipica magia che il Natale porta con sé. Intravede la figura della sorella avvicinarsi velocemente e si ritrova a sorriderle. « Okay, siamo tutti, possiamo andare. » E detto ciò, si inoltra nei sotterranei della chiesa, raggiungendo l'Alveare in pochi minuti. Poggia lo zaino a terra, mentre sfila cappotto, guanti e sciarpa, sistemandoli ordinatamente sopra di esso. E' già in tenuta sportiva al di sotto, pronto a cominciare senza aspettare oltre. Ma Adam è pur sempre Adam, un uomo che sì, si può ritenere d'azione ma prima di tutto è un attento osservatore. Una qualità, quella, che è stata esaltata dalla sua professione ma è sempre stata lì, ad alimentare la sua curiosità. Per questo motivo, sa che non può semplicemente prendere a spiegare, come farebbe un professore in un'aula accademica, riportando il suo discorsetto per poi lasciare tutto al caso. Si tira su le maniche della felpa, arrotolandole lentamente sopra i gomiti mentre si volta a guardare le due ragazze. « Potremmo di certo cominciare con dello stretching. » Prende a dire mentre continua nella sua impresa. « Ma questo non può essere un semplice allenamento. E' il raggiungimento di un obiettivo comune dal quale non si può scappare, perché se vi è una cosa certa al momento è che la Loggia è già tra noi. Sta aspettando solo di dimostrarlo nuovamente, in tutta la sua spettacolarità. » Prosegue e una volta libero dall'impiccio, lascia andare entrambe
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    le braccia lungo i fianchi. « L'obiettivo è sapersi difendere da essa. Essere un aiuto per gli altri, salvarsi e salvare. Essere pronti corpo e mente. » Lo sguardo freddo scivola dall'una all'altra, rimanendo qualche istante in più sulla sorella, con uno spasmo che gli deforma i lineamenti per il nervoso. Tante sono state le volte in cui ha pensato di annullare l'Oblivion, di riavvolgere quel processo per far sì che i ricordi ritornino lì dove dovrebbero essere. Sarebbe di certo più facile per lei capire a cosa sta per andare incontro, nuovamente. Egoisticamente sarebbe più facile anche per lui, non dovendo più evitare discorsi all'unico scopo di non mentirle spudoratamente, cosa che in tutti quegli anni ha volutamente evitato di fare. Se però da una parte sarebbe estremamente facile, il risvolto psicologico dall'altra, ne è certo, sarebbe devastante per lei. Per questo l'approccio consigliato, persino dai suoi colleghi, è quello del progressivo risveglio della memoria. Aspettando il lento sciogliersi della cera di quella candela che alimenta da anni la nebbia in cui vive Virginia. « Non importa cosa avete fatto nel passato, se e come avete combattuto. » Prosegue con un'espressione quanto più tirata possibile. « Ma è chiaro che da un momento all'altro potreste ritrovarvi a dover affrontare un qualsiasi tipo di mostro. » Prosegue nel discorso, lasciando intuire che prima di allenare forma e resistenza fisica, dovranno allenare la loro mente ad elaborare un piano, quanto più veloce ed efficace. « Siete da sole, all'interno della Foresta Proibita. Vi attacca un mostro della Loggia Nera a testa. Ognuna deve eliminare il proprio. Come? » Si appoggia alla colonna dietro di lui, inarcando le sopracciglia in una faccia eloquente. « Non vi sono risposte giuste o sbagliate. » Pensate, velocemente, e agite. C'è però una luce particolare nei suoi occhi. « E quando avrete capito il come - e fatelo in fretta perché non vi lasceranno di certo il tempo di starci a rimuginare chissà quanto su - dovrete metterlo in pratica perché io sono il mostro che vi sta attaccando. » E dovete affrontarmi. Sì, ma come? E facendo ciò, volteggia la bacchetta in aria. Una viene disarmata, l'altra catapultata indietro di qualche metro.
     
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    Quel giorno non sono previste lezioni di Babbanologia. Tanto meglio - si dice Virginia, conservando alcuni appunti e materiale vario in una borsa magi-allargata. La sua assenza dal territorio di Hogwarts e Hogsmeade sarebbe passata inosservata, e questo le avrebbe reso il compito più facile. Elemento da non sottovalutare, visto e considerato quanto sia complicato, allo stato attuale, varcare i confini di Inverness senza dare segno alcuno del proprio passaggio. Per lei, che in effetti è una lycan, dovrebbe essere quasi scontato. Il suo ruolo da principessa di Svezia, non censita al registro e docente alla Scuola di Magia e Stregoneria, tuttavia, rendono la situazione un po' meno banale. Armatasi di buona pazienza, Ginny si smaterializza appena al confine di Hogsmeade. Da lì procede spedita col cappuccio della felpa a coprirle gran parte dei centimetri del viso, sino a raggiungere un punto ben preciso, dove ha dato ordine venisse piazzata una Passaporta... Non proprio legale. Di un personaggio che... Non le piace granché. Ma quanto a segreto professionale, dietro profumata retribuzione, pare sapere il fatto suo. Caél Cousland le garantisce dunque un accesso sicuro a quella che, in altri tempi e in altri universi, sarebbe semplicemente stata casa, per Virginia Lindstörm. Ed è proprio grazie al Serpeverde che ha potuto allenarsi all'Alveare della Città Santa, di tanto in tanto, senza che nessuno venisse a chiederle conto e ragione di spostamenti e tragitti vari. Di certo non ha frequentato spesso Inverness - il rischio avrebbe comunque superato il beneficio -, preferendo allenarsi tra le mura di casa propria, insieme al fratello più esperto di lei nell'arte del combattimento, per Virginia decisamente distante, ma presenziare nel perimetro dell'Alveare le ha fatto bene. Le ha consentito di familiarizzare con dei luoghi che altrimenti sarebbero rimasti confinati alla propria testa e ai ricordi degli altri lycan, attraverso il legame mentale tra loro - a tratti utile, a tratti indiscutibilmente invasivo. « Okay, siamo tutti, possiamo andare. », annuisce in direzione del fratello, rivolgendo a Lexie un sorriso. E' contenta che si trovi lì anche lei. E' necessario prenda consapevolezza di quanto Inverness sia la loro migliore opportunità. E' importante recuperi il contatto con quelle che, in parte, rappresentano le sue stesse radici. Benché non le abbia scelte, benché siano letteralmente piombate dal cielo, Lexie ha comunque delle caratteristiche, dei poteri che non può in alcun modo ignorare. Neanche volendolo - farebbe troppo male e si troverebbe a soffrire, a vomitare, senza riuscire più a risalire dal baratro dell'oscurità. Per molti è davvero andata così, e questo Lexie Cooper lo sa bene. E' indispensabile che affronti ciò che non può cambiare, affinché possa conviverci. Affinché possa trarne qualcosa di proficuo. « Ma questo non può essere un semplice allenamento. E' il raggiungimento di un obiettivo comune dal quale non si può scappare, perché se vi è una cosa certa al momento è che la Loggia è già tra noi. Sta aspettando solo di dimostrarlo nuovamente, in tutta la sua spettacolarità. », deglutisce, Virginia, calando lo sguardo verso il basso. Non sa spiegarsi né come né perché, ma percepisce la veridicità delle parole di Adam. In primo luogo, poiché in virtù della connessione mentale tra loro, è davvero difficile riesca a mentirle o a tenerla all'oscuro di qualcosa. Ginny se ne renderebbe conto - lo noterebbe dalle sue espressioni, dal suo stato d'animo; a meno che non chiuda il legame lycan, cosa che allo stato attuale non ha fatto. Così come, appunto, adesso la giovane Lindstörm ne avverte il disagio, come se effettivamente qualcosa le stesse tacendo. Come se vi fosse un tassello di puzzle fuori posto. Ginny attribuisce tutto alla presenza di Lexie - al fatto che, magari, dal punto di vista di Adam la sin eater non appaia fermamente convinta della necessità di allenarsi, e che questo provochi sgomento al fratello. Per il resto, non può che pendere dalle labbra di Adam, dalla sua descrizione della minaccia delle Logge e dalla sua fermezza. Vorrei davvero capire come fanno tutti a saperne così tanto. A prevedere che i demogorgoni possano essere attaccati solo da lycan o da lame di una particolare lega d'acciaio magico... Vorrei davvero capire perché tutti hanno sempre e solo gli stessi incubi, perché sognano se stessi sdoppiati in una parte malvagia e in una reale... Vorrebbe sapere tante cose, Virginia Lindstörm, ma non ha tempo per poterle controllare tutte, ed è per questo che si tortura le dita delle mani, mettendo a tacere almeno per qualche istante il proprio disturbo ossessivo-compulsivo. « Non importa cosa avete fatto nel passato, se e come avete combattuto. Ma è chiaro che da un momento all'altro potreste ritrovarvi a dover affrontare un qualsiasi tipo di mostro. », lo sguardo di Ginny è ancora fossilizzato su una minuscola crepa del pavimento. Mostri. Sa bene che vi si ritroverà faccia a faccia, prima o poi: l'intera popolazione lycan non fa che parlare d'altro - a tal proposito, il termine ritorno delle Logge è decisamente suggestivo: perché non parlare piuttosto della venuta delle Logge...? E se è davvero un ritorno, perché lei, Virginia, non ne ha affatto memoria? - scrolla la testa, la giovane lycan, decisa a concentrarsi sul presente. E' l'unica cosa che, alla fine dei conti, le rimane: il presente. Come ha detto Adam, ciò che è passato, ormai è passato. Ed è vero che la conoscenza del passato aiuta ad affrontare il presente, a non commettere gli stessi errori, ma è anche vero che di fronte all'ignoto e alle sue infinite modalità di manifestazione non si possa mai essere pronti al cento per cento. Dunque tanto vale concentrarsi sul presente. « Siete da sole, all'interno della Foresta Proibita. Vi attacca un mostro della Loggia Nera a testa. Ognuna deve eliminare il proprio. Come? E quando avrete capito il come - e fatelo in fretta perché non vi lasceranno di certo il tempo di starci a rimuginare chissà quanto su - dovrete metterlo in pratica perché io sono il mostro che vi sta attaccando. », Virginia non ha davvero modo di rimuginarci sopra, come promesso da Adam. Viene disarmata e comprende che, quanto meno nell'immediato, non potrà difendersi né sopravvivere con la bacchetta. Non le resta che la forza fisica. Non ha mai avuto - o almeno, crede di non aver mai avuto - l'occasione di metterla alla prova. Sa, tuttavia, di poter prevaricare un essere umano. Lo sa. Deve essere così. Ma il mostro che ha di fronte è Adam, suo fratello, ed anche lui può contare su quella stessa forza fisica. Scarta di lato, Virginia, evitando una saetta di luce diretta nella propria direzione. Forse uno schiantesimo. Frattanto, Lexie viene scagliata in aria. Ginny sarebbe corsa da lei, ma rammenta subito un particolare nella descrizione della trama ideata da Adam. Siete sole nella Foresta Proibita. Non può contare su Lexie, né Lexie può contare su di lei. Sono sole, ognuna contro i propri mostri. Chiude gli occhi, Virginia. Si ricorda di una cosa. Del proprio vero punto di forza. Che non è il fisico - di certo è agevolata dalla natura, essendo una lupa, ma in ogni caso non avrebbe nulla di superiore rispetto a un demogorgone, né tanto meno al fratello, anch'egli lycan. E' la mente. Anche qui si trova a giocare ad armi pari, se non in svantaggio, poiché Adam chiaramente conta sullo stesso tipo di abilità. Anche tu hai allenato la mente quanto, se non più, di me. Virginia tuttavia non ha altra scelta. Chiude gli occhi e sfrutta lo studio della Legilimanzia, cercando di individuare, per quanto si tratti di frazioni di secondo, un sentore circa la prossima mossa di Adam. E' chiaro non riesca a prevederle - sarebbe troppo semplice -, ma basta uno spostamento d'aria, la direzione di un suo movimento o, quanto meno, l'intento di muoversi effettivamente in quel millimetro di spazio, a darle quell'infinitesimo margine di tempo per... Per non morire. Perché non potrebbe mai battere, sconfiggere o anche solo immaginare di prevaricare Adam. Né sulla forza, né sulla strategia mentale, né in nessun campo. Può solo sperare di non morire. E la Legilimanzia, al di là del legame lycan tra loro, le consente di far questo. Di spostarsi un attimo prima di essere colpita, di sottrarsi un attimo prima che le venga sferzato il colpo mortale. Hai detto che lo scopo è sopravvivere. Salvarsi: questo Virginia può farlo. Salvare... In questo non è sicura di riuscire altrettanto.
    «Adam.», lo chiama a gran voce, l'espressione a metà tra l'affranto e lo sconfitto. «Non ce la faccio.», sono quattro parole, una frase pronunciata in due-tre secondi. «E' inutile... Non riesco ad eliminare il mostro. Non saprei da dove cominciare. Non lo so fare.», commenta, avanzando carponi sul pavimento per recuperare la bacchetta. Riesco soltanto a fuggire. L'hai visto. Solo quello... Solo quello posso fare. Non riesco a contrattaccare. Io... - non riesce a comprendersi sino in fondo, Virginia. Non riesce a capire se la propria deliberata incapacità di contrattaccare sia dettata dalla reale impossibilità di farlo, per debolezza rispetto alle capacità del fratello-mostro, oppure... Oppure non riesco a farlo perché non voglio farlo. Perché non riesco a passare all'offensiva, perché... Non l'ho mai fatto. Anche nei duelli ad Hogwarts mi difendevo e basta... Non voglio morire. Quest'ultima volontà, comunicata attraverso il legame lycan, le dà un brandello di coraggio per rialzarsi da terra e tirare un sospiro. O elimino il mostro, oppure muoio. Fondamentalmente non ci sono vie di mezzo. Perché il mostro non si arrenderà finché non l'avrà fatta a pezzi. Ed è inutile fuggire all'infinito, perché arriverà il momento in cui non si avranno più le forze di farlo... Quando la Loggia, invece, potrà autoalimentarsi. La Loggia non esaurisce le energie. O almeno questo dicono. Urla, Virginia, e si getta contro il fratello dopo aver preso una rincorsa di qualche metro. Non è trasformata, ma lo slancio che si dà la sorprende ugualmente. Mi faccio paura. Singhiozza mentre stringe le dita a pugno, iniziando a colpire i punti scoperti di Adam. Viene scagliata lontano neanche mezzo secondo dopo. Si rialza a fatica, il respiro mozzato per lo schianto contro il pavimento. Non potrà vincere contro il fratello, questo lo sa, ma allo stesso tempo è consapevole debba fargli più male possibile, perché è questo l'unico scopo dell'allenamento. Né lei né Lexie potranno batterlo, ma dovranno testarsi: dovranno scoprire le proprie forze. Perché solo su quelle potranno contare. Saremo sole, nella Foresta Proibita o in qualunque altro luogo, contro i mostri della Loggia... come hai detto tu.
     
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    Respira. Inspira lentamente, il più lentamente possibile. Il clima invernale le solleticò le narici mentre sperava che l’aria le ossigenasse il cervello a tal punto da darle un’immagine più chiara di tutta quella situazione, che schiarisse la sua visuale dalle ombre che le offuscavano la vista. Perché ti trovi qui, Alexandra? Avrebbe voluto rispondere che era stata costretta, che non aveva avuto altra scelta, che si trovava con le spalle al muro e non c’erano altre soluzioni. Erano queste le scuse che il suo orgoglio le ripeteva. Una vocina potente, arrogante che somigliava al suono di unghie che grattavano su una lavagna. Ma per quanto fastidioso fosse quel suono era meglio della verità. Si perché era proprio la verità a spaventarla, a mettere sul tavolo punti di vista che Lexie si rifiutava di prendere in considerazione. Non doveva essere così complicato. Sembrava tutto più facile se pensava che la risposta fosse che si trovava lì perché non c’era nient’altro che poteva fare. Chiudere gli occhi le era sempre stato maledettamente facile. Chiudere gli occhi alle responsabilità. Chi diceva che doveva essere tutto difficile? Chi aveva detto che la cosa giusta da fare doveva essere sempre quella più complicata? Che la strada facile fosse sicuramente sbagliata. La vita è strana. Proprio quando si crede di aver calcolato tutto, di sapere come andrà la vita da lì ai prossimi anni, proprio allora quella strada devia, i punti di riferimento cambiano, il vento si mette a soffiare in un’altra direzione. Il nord diventa il sud, l’est diventa l’ovest e ci si sente perduti. E’ talmente facile smarrire il cammino, perdere l’orientamento. Percepì la sua presenza ancor prima di vederlo comparire al suo fianco. « In anticipo, però. » Percepisce la nota di sarcasmo nella sua voce, senza bisogno di guardarlo in faccia. Arriccia le labbra in una piccola smorfia, ma il resto del suo viso resta impassibile. Anzi, in realtà sembra quasi rilassarsi. Cerca di tenere un certo profilo sperando che Adam non se ne accorga. La verità è che si sente troppo sollevata dalla sua presenza per irritarsi. Inverness aveva un aspetto ostile, gelido. Si sentiva sbagliata persino a calpestare quel terreno. Non c’era niente che riconosceva come suo, intimo. La voce del lycan era quella familiarità che aspettava, di cui aveva bisogno perché quel nodo attorno allo stomaco si allentasse. «Solo le principesse si fanno attendere.» continua a guardare dritto davanti a sé, le mani infilate nelle tasche del cappotto. Il suo tono è tranquillo, come se stesse ricalcando qualcosa di ovvio, che non aveva bisogno di altre spiegazioni. Nonostante tutto era impossibile non notare una sfumatura di ironia anche nelle sue parole. Ironia, ma non cattiveria. Qualcuno avrebbe osato dire che la Cooper avesse l’ombra di un sorriso sul viso. « Sono quasi portato a credere che non vedessi proprio l'ora di fare questo allenamento. » E’ solo allora che Lexie si volta verso di lui, piegando la testolina in parte, sporgendosi appena in avanti, come se stesse cercando il suo sguardo. «Bhè, sai, non capita tutti i giorni di avere la possibilità di menare gratuitamente Adam Lindstörm senza rischiare ripercussioni da parte della Corona Svedese..» si strinse nelle spalle, con una smorfia. «Perciò eccomi qua. Non sto praticamente nella pelle.» enfatizzò quell’ultima frase buttandoci dentro una bella dose di ironia, per niente entusiasta come si potrebbe pensare di chi pronuncia quelle parole. Le pareva di avere lo stomaco sottosopra. Era quell’attesa snervante, il non sapere cosa sarebbe accaduto una volta varcato l’ingresso dell’Alveare. Non essere all’altezza. Nel corso degli anni, Alexandra aveva abusato di quelle parole per giustificare il suo scarso impegno. Le aveva ripetute in modo superficiale, senza dar loro troppa importanza. Ora, però, ne percepiva il peso. La paura di non soddisfare le aspettative. Temeva che Adam e Ginny non l’avrebbero compresa così come era riuscita inaspettatamente a fare Valerie Harmon. Se non ci fosse riuscita? Non sapeva neppure in cosa dovesse riuscire, in effetti. I dubbi le offuscavano così la visuale da impedirle di vedere oltre il proprio naso. « Allora, come ti sembra Inverness? » Alexandra puntò lo sguardo davanti a sé. L’albero di Natale addobbato nella piazza non riuscì a donarle un po’ dello Spirito Natalizio di cui sembrava intriso. «Fredda.» Ad un ascoltatore superficiale quella sarebbe potuta sembrare una battuta sul clima, ma Lexie si riferiva ad altro. Aveva l’impressione di avere gli occhi addosso, di avere qualcosa addosso che la identificasse come sbagliata, come qualcosa che non c’entrava niente, come una macchia d’inchiostro su tutta quella neve immacolata. E’ felice di vedere Virgina. Seppur non si scambino una parola, Lexie le sorride di rimando. La verità era che non dovevano dirsi niente per comprendersi alla perfezione. La ex Serpeverde percepiva chiaramente lo stato d’animo della giovane principessa, immaginava il suo disagio nel vivere quella situazione con il dubbio. Nascondere a Virginia la verità era sempre difficile. Seppur completamente contraria, aveva dovuto ammettere di essere d’accordo sul fatto che cancellare quei brutti ricordo dalla memoria di Ginny era stata la cosa migliore. Una ragazza dolce e sensibile come lei non avrebbe dovuto convivere con quel dolore. « Okay, siamo tutti, possiamo andare. »
    Durante il cammino verso l’Alveare, Lexie ebbe la sensazione di partecipare ad una processione religiosa. Posò lo zaino sul pavimento, sempre in silenzio, e si tolse il cappotto e la felpa pesante. Fa freddo per le sue braccia scoperte, ma qualcosa le dice che presto si sarebbe temperata. Il suo sguardo si posa sulla giovane donna poco lontana da lei e l’accosta toccandole delicatamente una spalla come se, in qualche modo, volesse dirle che lei era lì. Si voltò solo nel momento in cui Adam cominciò a parlare. « Ma questo non può essere un semplice allenamento. E' il raggiungimento di un obiettivo comune dal quale non si può scappare, perché se vi è una cosa certa al momento è che la Loggia è già tra noi. Sta aspettando solo di dimostrarlo nuovamente, in tutta la sua spettacolarità. » Dal quale non si può scappare. Fu come ricevere il primo colpo dritto allo stomaco. Una vocina le suggerì che prima si sarebbe messa in testa quella cosa, prima avrebbe smesso di fare male. « L'obiettivo è sapersi difendere da essa. Essere un aiuto per gli altri, salvarsi e salvare. Essere pronti corpo e mente. » Era la mente la parte preoccupante. Seppur il carattere caparbio ed estremamente testardo, Lexie aveva nascosto non poche debolezze, insicurezze che aveva preferito non affrontare, rinchiudendole da qualche parte, assopendole. L’idea di trovarsele davanti la terrorizzava. Ma forse a spaventarla ancora di più era l’idea di mostrare quelle paure agli altri. Perché le andava bene che gli incubi restassero dentro la sua testa, le andava bene che una notte ogni tanto la lasciassero sveglia, ma mostrarsi debole davanti agli altri.. A questo non ci era abituata. Era certa che si sarebbe tagliata una mano pur di tenersi tutto dentro. « Non importa cosa avete fatto nel passato, se e come avete combattuto. » Si morse le labbra, incrociando le braccia al petto. Durante il Lockdown aveva vissuto ai margini della situazione. Aveva fatto qualche scazzottata ai tempi di Hogwarts e aveva dovuto cacciare -a volte malamente- non pochi viscidi individui che tentavano di intrattenersi ai Tre Manici di Scopa ben oltre l’orario di chiusura. Era certa, però, che ciò che si sarebbero trovati presto davanti non sarebbero stati dei semplici ubriachi molesti. « Siete da sole, all'interno della Foresta Proibita. Vi attacca un mostro della Loggia Nera a testa. Ognuna deve eliminare il proprio. Come? Non vi sono risposte giuste o sbagliate. » Lexie aveva sempre pensato che la miglior difesa fosse l’attacco, agire prima di dare il tempo all’avversario di capire cosa stesse accadendo. Valeva anche per le battaglie verbali ed erano poche le persone che riuscivano a tenerle testa. Una di quelle persone ce l’aveva davanti in quel momento. « E quando avrete capito il come - e fatelo in fretta perché non vi lasceranno di certo il tempo di starci a rimuginare chissà quanto su - dovrete metterlo in pratica perché io sono il mostro che vi sta attaccando. » Accadde tutto velocemente, così velocemente che realizzò ciò che era successo solo quando dopo essere stata sbalzata all’indietro si ritrovò con il sedere per terra. ’fanculo. Vorrebbe gridarglielo contro, ma le sue labbra sono sigillate. Intercetta lo sguardo di Virginia e senza dirsi una parola lei capisce il da farsi. Non deve aiutarla. Quando sarà il momento dovranno agire come una squadra, ma Lexie sa la verità: loro sono più importanti. Per ciò che sono, per ciò che rappresentano. Per gli altri e anche per lei. Il suo compito è proteggerli, non certo farsi proteggere. Si rialza in piedi, strofinando i palmi delle mani. Assiste alla scena da lontano, stringendo in mano la bacchetta. I suoi muscoli sono tesi, in attesa, come se cercassero di captare qualsiasi spostamento d’aria, come se dovesse essere schiantata di nuovo da un momento all’altro. Osserva i movimenti di Virginia. Sembra una ninfa costretta a fare qualcosa per cui non è nata: combattere. Era come obbligare un fiore a mordere qualcuno. Non aveva mai pensato al fatto che anche lei dovesse avere un sin-eater. Chissà dov’era. Se mai fosse arrivato, ne era certa, Lexie lo avrebbe preso per il colletto e sbattuto al muro chiedendogli dove cazzo era stato finora e perché ci aveva messo tanto ad arrivare quando Virginia aveva bisogno di lui. Non lo conosceva, ma già lo odiava. Odiava il pensiero che lei avesse un rapporto speciale con un’altra persona e si dimenticasse di lei. Sta per scattare verso di lei quando la vede carponi, ma resta ferma. Si costringe a rimanere nel posto, nonostante i suoi muscoli siano sul punto di scattare. «Adam. Non ce la faccio.» E’ come essere colpiti di nuovo. «E' inutile... Non riesco ad eliminare il mostro. Non saprei da dove cominciare. Non lo so fare.» La fissa per dei secondi che paiono infiniti. Ne percepisce il dolore, lo fa suo, è il suo. I suoi occhi cercano quelli di Adam. Basta. Basta, ti prego. Stringe la mascella. Sta soffrendo troppo.. Pare implorarlo con lo sguardo, ma prima che se ne renda conto, Virginia è di nuovo in piedi, grida e si getta contro il fratello. E resta così, immobile, per i minuti che seguono, in attesa del suo turno. Vorrebbe dire che sta studiando le mosse di Adam per poterlo affrontare meglio dopo, ma non è così. La sua mente è completamente sgombra, impreparata come durante un’interrogazione scolastica. Si fa avanti solo quando tra Adam e Virginia è tutto finito, quando tocca a lei. Respira mentre passo dopo passo recupera qualche metro di distanza. Cerca di mostrarsi sicura di sé, questo lo sa fare. «Visto che mi hai già voluto mostrare che non ci andrai piano, scordati che lo faccia io..» enuncia riferendosi allo schiantesimo di poco prima. Mi offenderei se ci andassi piano. Piega il collo da una parte e dall’altra. Silenzio. Ed è all’improvviso che agisce. «EXPULSO!» Punta la bacchetta verso di lui e un fascio di luce esplode dalla punta della bacchetta. Lo fa senza remore: sa per certo che lui è perfettamente in grado di difendersi. Approfitta della reazione di lui per correre in avanti e guadagnare terreno. Usare la bacchetta è l’unico modo in cui potrebbe anche solo pensare di contrastare Adam. Fisicamente era impossibile anche solo da immaginare. Ma se c’era una cosa che aveva capito era che non era lì per restare nella sua comfort-zone. Non le sarebbe servito a niente restare nella sua bolla sicura, non contro la Loggia. Inoltre, si era promessa di impegnarsi. Arrestò la sua corsa solo quando si trovò ad un soffio dal lycan, caricando il braccio destro, la mano stretta in un pugno. Il colpo non va a segno, ma ci riprova. Prova e riprova. Si rialza, incassa. Le fanno male la braccia ma continua a provare. Senza che se ne renda conto si lascia coinvolgere. « Quindi fai veramente altro nella vita al di fuori di questo? » Stende la gamba provando a sferrare un calcio. « Dovevi divertirti, staccare dalla sbronza di due giorni fa? Da quella di quattro giorni fa? Oppure da quella di sei giorni fa? » Ha un peso nel petto. Sferra un altro pugno. « Vorrei proprio capire che importanza attribuisci alla variabile Allison in tutta questa equazione. Perché sembra effettivamente tanto importante e non ne capisco il motivo. » Vaffanculo. « Quando non avrai più tempo per divertirti ai festini, bevendo qualsiasi cosa ti passi sotto mano per staccare la testa, quando non potrai più fingere di avere una normalità guardando altrove, allora che pensi di fare? » Che pensi di fare, Lexie? Ha il fiato corto. Non è allenata. Il suo fisico non è abituato a reggere certi ritmi. Anni di abusi di droghe, alcool e una dieta sregolata non l’aiutano. Le manca l’aria, ma continua. Prova e riprova. Lui è imprevedibile. Come è sempre stato per lei.



    Edited by along come lexie. - 11/2/2022, 08:56
     
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    In un attimo, è guerra. Lo sguardo ceruleo dell'uomo sonda la sala, ad abbracciarla tutta per avere una visuale quanto più completa delle due avversarie. Gli occhi scivolano dall'uno all'altra, aspettandosi reazioni diametralmente differenti. Chi sarà la prima ad attaccare? Virginia si isola e Adam è certo che stia richiamando a sé tutte le proprie forze. No, non quelle fisiche ma quelle mentali che da sempre hanno eretto in lei una barriera costante, un limite oltre il quale ha deciso - consapevolmente? - di non andare mai. Si aspetta una risposta più decisa da parte di Alexandra, questo è certo. Nessun vaffanculo volante? Mi deludi. Pensa assumendo un ghigno divertito nel posare il proprio sguardo su di lei. Prima di avvertire una sensazione di pure fastidio a livello cerebrale. La traccia del passaggio di un osservatore esterno. La conosce fin troppo bene, da studioso della mente qual è, avendo passando anni ad applicarsi sulla Legilimanzia e sull'Occlumanzia e fattosi spesso bersaglio della prima, per capirne a fondo gli effetti sulla mente umana. Lancia allora un'occhiata verso la sorella, inclinando la testa di lato. « Non stai combattendo me. Credi che potrebbe tornarti utile contro un mostro? » Le chiede lasciando che la propria proiezione le si pari alle spalle. E' una domanda, quella, che pone anche a se stesso, ritrovandosi incuriosito da una possibile risposta affermativa. Allo stato attuale sa che la Legilimanzia non può essere indirizzata verso nessun tipo di animale. Ma un demonio può avere pensieri sensienti? Ne dubita fortemente ma non ha il tempo comunque di formulare ipotesi al riguardo perché la sorella richiede la sua attenzione. «Adam. Non ce la faccio.», sono quattro parole, una frase pronunciata in due-tre secondi. «E' inutile... Non riesco ad eliminare il mostro. Non saprei da dove cominciare. Non lo so fare.» Sì che lo sai fare, solo non lo ricordi. Impreca mentalmente, Adam, abbattuto dalla piena sofferenza che percepisce arrivare da Ginny. L'unica reazione che si ha all'esterno, però, è un irrigidimento dei suoi lineamenti facciali. Anche se avverte gli occhi di Lexie trafiggerlo, probabilmente a chiedergli di smettere di farla soffrire, non muove un muscolo ma continua a fissare la sorella con un cipiglio deciso e irremovibile. Riesco soltanto a fuggire. L'hai visto. Solo quello... Solo quello posso fare. Non riesco a contrattaccare. Io... « Tu devi farlo. » Risponde secca la sua proiezione, sapendo che l'unico modo per portarla ad affrontare i suoi limiti è quello: senza carezze, senza sconti, mettendola di fronte alla realtà nuda e cruda. Non voglio morire. Annuisce allora, tornando in sé. « E allora non hai scelta, Virginia. Nessuno ce l'ha davvero se il morire non è un'opzione. Devi contrattaccare. » E allora la guarda alzarsi, riprendendo il controllo sulla propria mente quel tanto che basta per vedersela piombare addosso. E' allora che si prepara a contrattaccare, riesce a deviare un pugno diretto al mento ma l'altro lo raggiunge alle costole, portandolo ad arricciare il naso per il dolore. Non piangere, Gin. Combatti per Isak ed Elsa. Combatti perché non vuoi morire e non vuoi che nemmeno loro lo facciano. Un altro ancora lo colpisce alla spalla prima che sia lui, con uno slancio, a spingerla via, con tutta la forza che ha in corpo, certo che non si farà granché male. E il dolore che proverà, comunque, farà da catalizzatore per farla continuare a combattere contro se stessa. Capisci qual è la tua vera arma, Gin. Non è la lettura mentale, trova la tua forza e usala, tutta, non risparmiarti. Una piccola indicazione, quella, che le indirizza prima di volgere lo sguardo verso Alexandra. «Visto che mi hai già voluto mostrare che non ci andrai piano, scordati che lo faccia io..» Inarca un sopracciglio, aspettando di capire qual è la mossa che la rossa gli vuole riservare. Ben consapevole che la magia non servirà a nulla contro un mostro infernale. Non in maniera definitiva quantomeno. Così come la forza bruta non può nulla se non accompagnata da un'arma incantata. Continua comunque a fissarla, mentre sembra decidere sul da farsi e allarga allora le braccia, come a volerle esplicitare un "Allora?" «EXPULSO!» Non pensa ad altro prima di evocare, con un Protego non verbale, uno scudo che lo protegge dal non essere sbalzato via ma che non regge comunque del tutto l'impatto, tanto da portarlo ad indietreggiare di qualche passo. Scuote comunque la testa, dopo qualche secondo. « E' il meglio che sai fare? » Le chiede, con evidente scherno prima di prepararsi nel vederla corrergli incontro, lasciando che la bacchetta rotoli a terra, certo che la sua intenzione sia quella di passare alla lotta libera. E infatti para il primo colpo con l'ausilio del braccio destro e colpisce dal lato opposto, cercando di atterrarla e mettendola in quanta più difficoltà possibile. Spingendo anche lei al suo limite. Per poterlo vedere, riconoscere e oltrepassarlo. Da quel momento, i due sembrano cominciare a danzare, consumati da quella lotta che sembra non avere esclusione di colpi. Un pugno alla mandibola lo disorienta per qualche secondo, portandolo a sorridere non appena torna a guardarla negli occhi. Un sorriso che ha del sadico. Che ha del masochistico. Che ha quel sapore agrodolce sulla punta della sua lingua. Il gusto della vendetta che non ha ancora consumato. Non del tutto. « A cosa stai pensando, Lex? » Da dove viene tutta questa rabbia cieca? E' puro sarcasmo mentre para e para ancora. La rossa continua, imperterrita, stupendo persino Adam in quella dichiarazione d'intenti. Continua e continua, mettendo a segno qualche buon punto, con l'ausilio delle mani e dei piedi. Prenderla per sfinimento diventa quindi imprescindibile nel piano di Adam. Continua così per qualche altro minuto buono, colpendola in quelli che ormai ha capito essere i suoi punti più vulnerabili. Riceve però un pugno in faccia che lo stordisce tanto da dover scuotere la testa e provare la mobilità della mandibola per accertarsi che lo scricchiolio che ha sentito non arrivi proprio da lì. No, sembrerebbe di no. Pensa, capendo però che il momento combattimento corpo a corpo non può continuare in eterno. Per questo, con un colpo più deciso - e più forte - dei precedenti spinge via Lexie, per costringerla a quegli istanti fisiologici di ripresa da una batosta. Lui, dal
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    canto suo, riprende fiato. « La magia è importante, come altrettanto importante è il saper combattere con ogni cellula del proprio corpo. Ma senza l'ausilio di un'arma dalla lega speciale, magica, non potrete mai davvero sconfiggere un mostro della Loggia. » A meno che tu, Gin, non sia in forma ferina. E tu, Lexie, non richiami a te i tuoi poteri da sin eater. La voce è ancora rotta dal fiatone me si è già incamminato verso la parete di fondo della stanza, lì dove risiedono alcune armi di legno. Fa cenno ad entrambe di avvicinarsi a loro volta. « Per continuare a non avere ripercussioni particolari dalla Corona Svedese -» lancia un'occhiata divertita alla rossa « - userete queste finte. A voi la scelta. » Allarga il palmo della mano in direzione del muro. Fissa con maggior insistenza la sorella, lo sguardo leggermente più bonario nel volerle donare tutta la forza di cui ha bisogno. « Non è naturale per te, lo so bene. Ma se davvero non vuoi morire, avere più frecce al proprio arco è meglio che avere la fondina spoglia di qualsiasi possibilità. Ora impara ad usare anche un'arma, poi sceglierai te quale sarà la tua modalità di combattimento. » Le dice attraverso il legame lycan, con le braccia che sfregano contro quelle di lei, come a volerla scaldare e incoraggiare. E mentre loro decidono, lui si riavvia verso il centro della stanza, dando loro le spalle. Si sfrega le mani, lanciando un'occhiata di traverso al proprio zaino. In quel momento, al piano generale si aggiunge una variabile non appena capisce quale sia il problema dell'approccio di entrambe con il mostro. E' la sua forma. Umana. Non possono combattere una belva se continuano a vedere solo me. Diventano importanti quegli istanti di stacco, dove loro sono impegnate in altro, nell'esatto momento in cui chiude gli occhi, a richiamare a sé la belva, che ha scalpitato nel suo petto fino a quel momento. Il corpo comincia a tremare, quasi in preda a delle convulsioni e le ossa si rompono, una ad una, in un lento e tormentato scivolare tra le pene dell'inferno. I vestiti si lacerano mentre digrigna i denti e Adam Lindstörm lascia il passo al lupo dal manto nero, lucente, e dagli enormi occhi quasi bianchi. Un mugugno, simile ad un latrato, esce dalle sue fauci mentre cammina in tondo per potersi ritrovare faccia a faccia con le due malcapitate. Un ululato lascia la sua gola mentre porta il muso all'indietro prima di caricare.
     
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    Da quando si erano conosciuti c’erano state svariate occasioni in cui Lexie aveva desiderato colpire Adam Lindstörm. Durante le loro litigate, la giovane Cooper aveva percepito spesso quel formicolio alle mani che si traduceva con un irresistibile, irrefrenabile e sfrenato desiderio di spiaccicargli le dita sulla guancia così forte da lasciargli il segno per almeno qualche ora. C’erano state occasioni in cui lo aveva spintonato via durante qualche discussione degenerata, una volta gli aveva persino pizzicato un braccio, ma mai si sarebbe aspettata di doverlo affrontare in quel modo. Sventolare bandiera bianca era fuori discussione. Le pareva già di vederla l’espressione amareggiata di Adam nel caso gli avesse chiesto di fermarsi. L’avrebbe guardata in quel modo che lei trovava irritante, quell’espressione sì delusa ma che anche che un po’ sembrava dire “bhé, non che mi aspettassi diversamente..”. Che poi, magari, lui non lo pensava neanche, ma Lexie si era convinta fosse così. Non aveva intenzione di tirarsi indietro. Ormai era in ballo e non poteva fare altro che ballare. Ripensare a tutte le volte che il giovane Lindstörm l’aveva definita una bambina infantile era un buon metodo per costringersi a tenere alta la guardia. Si meraviglia persino di riuscire a mettere a segno qualche colpo, ma cerca di non mostrarsi troppo entusiasta e sorpresa dalla cosa. « A cosa stai pensando, Lex? » Alexandra scatta all’indietro, quel tanto che basta per darle qualche secondo di respiro, continuando a tenere alta la guardia, i pugni alti davanti al petto. Scuote appena la testa per far sì che la ciocca di capelli che le è finita sull’occhio torni al suo posto. «Scommetto che ti piacerebbe saperlo, depravato commentò, come se Adam le avesse appena chiesto di rivelargli chissà quale scabroso segreto. Sorrise, quel sorriso strafottente, l’angolo destro delle labbra che si sollevava fin quasi a sfiorare l’orecchio. Si rituffa avanti, in quello che può sembrare un passo di danza. Forse in realtà sono solo questo: due ballerini che stanno mettendo su uno spettacolo, una sfida, con il quale vogliono dimostrare qualcosa l’una all’altro. Lexie sa perfettamente di non poter eguagliare Adam per quanto riguarda la forza fisica. Ne ha piena consapevolezza, seppur ci sia una parte di lei, quella più presuntuosa, che continua a suggerirle all’orecchio che in realtà potrebbe ancora avere qualche carta da giocare. Non è vero. La voce si sbaglia. E’ esausta. Adam sembra accorgersene e quando le assesta un colpo più deciso, la Cooper non riesce a ribattere. Resta a distanza di qualche passo, si posa le mani sui fianchi e si concentra solo nel riprendere aria. Ha l’impressione che il cuore stia per esploderle nel petto. I polmoni imprecano necessità di aria. Forse dovrebbe fumare meno. Capisce che lo scontro è finito ancor prima che Adam cominci a parlare, togliendole ogni dubbio. « La magia è importante, come altrettanto importante è il saper combattere con ogni cellula del proprio corpo. Ma senza l'ausilio di un'arma dalla lega speciale, magica, non potrete mai davvero sconfiggere un mostro della Loggia. » Osserva Adam procedere verso la parete di fondo della stanza, mentre le mani salgono fino al punto in cui l’elastico sta stringendo i suoi capelli in una coda di cavallo. Lo stringe meglio, portando dietro le orecchie qualche ciuffo ribelle. Mentre Adam è ancora girato di spalle, se ne approfitta per voltarsi verso Virginia. Cerca il suo sguardo. «Stai bene?» le chiede a bassa voce, come i bambini quando confidano un segreto a qualcuno e non vogliono farsi sentire da nessun altro. Ha ancora il fiatone, perciò inspira più a fondo, concentrandosi per rallentare il respiro. Ha lo sguardo preoccupato. Virginia è una guerriera secondo te? Mentre la guarda negli occhi, ripensa alle parole che le ha detto Adam nel suo studio. Perché l'ultima volta che ho controllato mi sembrava tutto il contrario. Anzi, se possibile, è persino contro la violenza gratuita. Ginevra sembrava essere del tutto incapace di nuocere al prossimo. Il suo animo buono e onesto appariva come un raggio di luce in mezzo a tutta quella oscurità. Ciò che temeva maggiormente Alexandra era che quel suo bagliore potesse affievolirsi sempre di più, fino ad essere inghiottito dal buio. La Cooper era abituata all’oscurità. Aveva toccato il fondo del baratro così tante volte che ci scherzava sopra dicendo che ormai aveva acquisito il potere di vedere al buio, come i gatti. Non c’era niente da ridere, in realtà, e lei lo sapeva bene. Scherzarci era l’unico modo per non pensare alle sue crisi d’astinenza, ai suoi repentini cambi d’umore e scatti d’ira, a quanto era complicato camminare alla luce del sole. « Per continuare a non avere ripercussioni particolari dalla Corona Svedese -» la sua attenzione viene nuovamente attirata dal maggiore dei Lindstörm. Solo allora nota le armi di legno poggiate sul pavimento o contro la parete. Sembravano quelle con cui lei e suo fratello giocavano da piccoli. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno avrebbe dovuto impugnarle per davvero. « - userete queste finte. A voi la scelta. » Nota Adam avvicinarsi a Virginia ed è allora che si incammina verso la parete, come a volergli lasciare un po’ di privacy. Restò a guardare le armi. Afferrò un bastone, soppesandolo con le dita, facendogli fare un giro come se fosse il bastone di una majorette. Il legno era liscio sotto i suoi polpastrelli. Ci strinse intorno il palmo e si voltò verso i due fratelli. Notò solo allora di avere le braccia arrossate per i colpi che aveva ricevuto e che aveva parato. Era consapevole del fatto che l’indomani sarebbe stata piena di dolori e non sapeva ancora se ne sarebbe valsa la pena. Si sentiva come se tutti si aspettassero qualcosa da lei, qualcosa che lei non poteva dargli. E tutto ciò era dannatamente frustrante. Guarda Adam, e poi il bastone. Si diede un colpetto nel palmo dell’altra mano. «Dannazione, principé.. Se prenderle di santa ragione fa parte delle tue perversioni, potevi parlarne e avremmo trovato un accordo. Non c’era bisogno di mettere in scena tutto questo teatrino..» Un’altra stupidaggine che ha lo scopo di superare l’ansia, quella tensione che sembrava aver impregnato l’aria. Aveva un sorrisetto stampato in volto. Un sorrisetto sghembo, uno di quelli che era facile vederle. Eppure, ci volsero solo alcuni secondi per farglielo gelare sulle labbra ed infine scomparire.
    Era la prima volta che vedeva qualcuno trasformarsi in un licantropo. Cambiare forma, abbandonare il proprio corpo umano in cambio di qualcosa di estremamente diverso. Video il corpo di Adam tremare, contorcersi su se stesso mentre il rumore delle ossa che si rompevano inondava le orecchie di Lexie, facendole dimenticare come si respira. Era uno spettacolo straziante, seppur non riuscisse a distogliere lo sguardo dalla scena. Tremò anche lei, come se quel dolore fosse suo. Quindi era questo che accadeva ogni volta che i lycan assumevano la loro forma animale? Era questo che provavano? Che dovevano affrontare? Sembrava estremamente crudele. E.. Ginny.. Anche lei sopportava quel dolore ogni volta? Una creatura così piccola e fragile.. Come poteva sopportare tutto quel dolore? Come potevano? Perché sopportavano tutto quello? Forse per lo stesso motivo per cui lei stessa doveva accettare il suo destino da sin eater.. Improvvisamente si sentì così terribilmente presuntuosa. Indietreggiò di un passo quando il licantropo dal manto nero si voltò verso di loro. Non riusciva a distaccare lo sguardo. Davvero lì dentro c’era Adam Lindstörm? Quando lo vide caricare verso di loro per poco il bastone non le scivolò dalle mani. Le avrebbe aggredite? Cosa sarebbe successo se fosse rimasta assolutamente immobile? Adam riusciva a controllarsi in quella forma? Prima che se ne rendesse conto fu il suo istinto di sopravvivenza a prendere il sopravvento. Allungò un braccio in modo da porsi davanti a Ginny, facendole da scudo con il proprio corpo. «BASTA!» Uscì solo una parola dalla sua bocca. Una sola parola, gridata con decisione, quasi in modo disperato, non tanto un ordine quanto una preghiera detta ad alta voce. Resistette all’impulso di chiudere gli occhi, ma i suoi muscoli si irrigidirono, come se si stesse preparando all’impatto. «Basta, io..» Io non sono all’altezza come lo siete voi. Io non credevo dovevate sopportare tutto questo. Io non ce la posso fare.. Si voltò verso Ginny, poi guardò negli occhi il grosso lupo davanti a loro. Abbassò lo sguardo, scuotendo un poco la testolina rossa. «Devo andare..» Mi dispiace. Avrebbe voluto dirlo, ma quelle parole rimasero solo nella sua testa. A grandi falcate raggiunse la sua roba abbandonata sul pavimento, accanto alla porta. L’afferrò e senza guardarsi indietro uscì dall’Alveare senza neppure mettere il cappotto.

     
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