I felt it from the first embrace I shared with you

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    the devil inside;

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    Il sole è calato da un pezzo a Inverness, ma la Città Santa è più viva che mai. Il Natale tra i lycan è un affare di stato, anche al di là del suo significato religioso. È un periodo di pace e tranquillità, di raccoglimento. Da tempi immemori è uno dei pochi momenti in cui la caccia si ferma - a meno che non sia assolutamente imprescindibile perseverare. Perché in fondo, persino i cacciatori sanno che non ci sarà mai fine al male e che se anche quest'ultimo non va mai in vacanza, affinché l'umore dei soldati del Credo resti alto, una vacanza è sempre necessaria. Mia ricorda il Natale come uno dei periodi migliori dell'anno. A casa sua è sempre stato un evento abnorme. Ovunque la sua famiglia si trovasse, durante le feste non c'erano anno in cui non si raccogliessero tutti sotto il tetto dei suoi genitori. I preparativi iniziavano molto presto. Già i primi di dicembre la casa iniziava a profumare di biscotti di pan di zenzero e carni stagionate. Suo padre iniziava l'attenta selezione della legna per il barbecue del secondo giorno di Natale, già con un mese in anticipo, perché non tutta la legna è uguale e non tutta la legna è in grado di complimentare la selvaggina che avrebbero cacciato nei giorni precedenti al Natale. Si metteva a macerare la carne per il pastrami e s'iniziava già ad adocchiare il tacchino per il cenone, così da metterlo all'ingrasso a dovere. Si selezionavano i sottaceti e s'iniziava a decorare la casa. Un palo in culo decorare casa nostra. Ci mettevamo almeno una settimana, perché secondo papà, se anche solo un angolo non era sufficientemente natalizio, eravamo pigri e svogliati. Mia adorava ogni cosa del Natale. Anche le cose più stupide; tipo il giocare a bingo e a gobbiglie coi parenti, sentire sua nonna che si lamentava del fatto che le nuove generazioni non capivano i veri principi del Credo, e assistere all'annuale litigata passivo-aggressiva tra sua madre e sua zia. E poi c'erano i regali, le risate, i bruttissimi maglioni che indossavano ogni anno, il fuoco nel cammino. I racconti di caccia di suoi padre e i suoi zii. C'erano le litigate tra i troppi cugini e fratelli e il perenne mal di pancia per i troppi dolci con cui s'ingozzavano fino a star male. E poi c'erano quei rari inverni in cui la neve cadeva pesante e si finiva con vere e proprie battaglie di neve sulle barricate fino a tarda ora. Tutte cose sdolcinate, che pure rendevano una famiglia tale. Sotto Natale, Inverness le ricorda casa più che mai; le abitazioni addobbate, le luci, le risate, i bambini che scorrazzano in mezzo alla neve. Quello poi, è il primo Natale passato con Raiden e con una nuova famiglia allargata - tutti sotto lo stesso tetto. Fino a quel momento, Mia non aveva espresso poi questo grande interesse nell'addobbare e vedeva tutte le festività come un pretesto per prendersi una pausa, stare un po' di più con Raiden, dormire e soprattutto mangiare il più possibile. Forse perché in fondo, man mano che era cresciuta, aveva iniziato ad avvertire la cerimonia di vestizione della casa e molte altre tradizioni come un peso. Quando si cresce non si prova più lo stesso fascino di quando si era bambini; quelle tradizioni diventano l'ennesima ragione per litigare e menarsi - specie quando vivi a casa Wallace. Eppure, sin da quando aveva lasciato casa dei nonni di Ronnie, Mia aveva iniziato ad avere nostalgia di un Natale passato in famiglia. Uno vero, senza compromessi, senza mezze misure. Uno di quei Natali estenuati, in cui ti chiedi cosa hai fatto di male e perché qualcuno sta ancora riempiendo il tuo piatto per la ventesima volta. Voglio un Natale in famiglia.. E per quanto apparentemente insensato e improvviso, quel desiderio sembrò canalizzare tutte le sue attenzioni, distrandola dal vero fulcro della situazione. Che ci fossero cose decisamente più serie a cui pensare era evidente, eppure, negli sforzi con cui tentò di concentrarsi su quelle compere, tanto di natura personale, quanto per la festa che si era offerta di organizzare insieme a Ronnie, sembrava giacere gran parte di una convinzione e una presa di coscienza che aveva già preso, ma che forse voleva darsi il tempo di metabolizzare. Una cosa era certa - quel cosetto non andava da nessuna parte, né Mia aveva pensato ad alternative valide per disfarsi di quella responsabilità. Quel tasto non sembrava proprio esistere, seppur, lo stesso concetto di ciò che stava avvenendo nella sua pancia in quel momento era del tutto astratto e ancora troppo intangibile per realizzare con la giusta consapevolezza che di lì a poco quel cosetto sarebbe diventato una persona.
    A quale fosse il significato di una famiglia nella sua attuale vita, Mia non ci aveva più pensato. Prima di lasciare New Orleans, famiglia erano i suoi genitori e i suoi fratelli, i troppi cugini, i nonni, e i tanti parenti sparsi sul continente americano. Poi è diventata una zona d'ombra. Infine, è diventata solo una parola. Tu sei la mia famiglia, Raiden. Gliel'aveva detto sin troppe volte. Ma a cosa ciò significasse, e cosa ciò potesse comportare, Mia ci aveva sempre pensato troppo poco. Sapeva che da qualche parte lungo il percorso, i loro obiettivi comuni si sarebbero congiunti. Strade differenti, ma rivolte nella stessa direzione. Finché non sarebbero stati entrambi stabili e abbastanza pronti da portare quella famiglia a un livello successivo. All'essere una vera famiglia. Lo erano anche ora. Mia era convinta che quella con Raiden e basta non era una famiglia meno meritevole di altre, ed era proprio questa la ragione per cui a Halloween si era arrabbiata così tanto con lui. Stiamo insieme e basta pare una roba di riepiego. Non è così. Anzi, faceva loro onore il fatto che avessero il desiderio di essere una famiglia anche senza tutto ciò che tradizionalmente un nucleo comporta: una casa di proprietà e dei figli. Ci avrebbero lavorato e piano piano sarebbero arrivati esattamente dove desideravano - anche a quello: alla casa dei sogni, ai bambini, e allo zoo che a intervalli regolari desideravano avere. Eppure, a ben guardare, forse qualcosa di sbilenco in quella loro famiglia c'era. Forse perché in fondo, nessuno dei due concepiva davvero la famiglia in quella maniera. In due. Anche se una casa e due persone che volessero stare insieme erano sufficienti per costituire ciò che la legge riconosceva come tale, emotivamente, forse, Mia e Raiden erano ancora solo una coppia e stavano solo insieme e basta. Di tutti quei dettagli se ne accorse un po' alla volta camminando sulle strade di Inverness senza meta alcuna, facendo il giro del quartiere in cui vivevano per ben tre volte. Sapeva che Raiden era già a casa; il fuoco vivace nel caminetto preannunciava la sua presenza già da un isolato di distanza, ma nonostante ciò si prese il suo tempo per riflettere. Tentò di rigirare quella situazione in tutte le maniere possibili e immaginabili. Tentò di realizzare cosa le stava accadendo, cosa sarebbe accaduto, come doveva affrontare tutta quella faccenda. Era pronta? Neanche lontanamente. Ma nonostante ciò, era paradossalmente tranquilla ed estremamente pacata, pur sentendosi terrorizzata all'estremo e completamente impreparata. Il suo stato d'animo gettava nella completa confusione. Qualcosa però nell'atteggiamento di Mia era cambiato. Forse stava davvero crescendo, oppure, gettata la maschera della ragazzina sciocca e stupida, trovava più facile fare conti con situazioni che a ben guardare avrebbero terrorizzato la maggior parte dei suoi coetanei. Forse in realtà era solo ignara, completamente inconsapevole di cosa quei stecchini le avessero comunicato. Forse non aveva neanche collegato il significato logico di quelle parole alla naturale conseguenza di quel messaggio. Incinta significa che di lì a poco a un piccolo esserino si sarebbe affidato completamente a lei. A lei e Raiden. Lo aveva compreso Mia? Credo.. di si..
    C'erano tante cose che risaltavano in maniera differente ai suoi occhi in quel momento. Per esempio il fatto che la loro fosse una delle poche case non ancora addobbata sulla loro strada. Nonostante Mia fosse una patita del Natale e nonostante quella fosse una festa più sentita per lei, che era stata cresciuta secondo i dettami cristiani, aveva continuato a rimandare la vestizione della loro provvisoria casetta a oltranza. Un po' perché entrambi avevano tanto da fare, un po' perché Mia era stata male, e soprattutto perché, ogni qual volta avessero dei momenti liberi, Mia e Raiden preferivano passarli insieme, andando a cena fuori, dedicandosi a qualche attività in compagnia dei loro amici oppure facendo l'amore finché non crollavano esausti. Si erano promessi di concentrarsi su di loro; parlare di più, comunicare cosa volessero, condividere di più l'uno gli spazi degli altri. Ed era stato un periodo davvero bello. Mia non l'aveva mai sentito così vicino e attento come dopo l'Halloween. Più che mai sembravano non riuscire a togliersi le mani di dosso; non riuscivano a stare lontani l'uno dall'altro. Era come se si stessero conoscendo di nuovo da capo. Come se non l'avessero mai fatto. Come se si stessero innamorando di nuovo, ancora e ancora e ancora. La giovane Yagami non si era neanche accorta di quanto triste risultasse casa loro rispetto a quelle del vicinato. È proprio la casa di una coppia. E seppur la sua richiesta per messaggio di addobbare insieme poteva sembrare stupida e superficiale rispetto a quanto aveva appena appreso, Mia sa bene perché gliel'ha chiesto. Nella sua testa c'è lo sguardo torvo di sua nonna - pace all'anima sua - che irrompe con un calcio rotante a casa di Brian e Olivia dopo il loro fidanzamento e osserva le pareti spoglie della loro tana. La chiamava "tana" mia nonna, perché ai tempi anche Brian e Olivia stavano insieme e basta. Quella del maggiore dei Wallace e della sua fresca fidanza, era la casa di una coppia prima delle feste - troppo occupati a pensare a mille cose, per concentrarsi su futilità quali l'albero di Natale e il vero spirito delle feste. Perché il Natale lo senti veramente solo quando sei bambino, o quando hai dei bambini per casa. Diavolo, mio papà si impegnava davvero tanto a fare delle cose bellissime ogni Natale. E le faceva sempre. Anche tutti quei biscotti, i regali, l'albero mastodontico, erano tutte cose che venivano fatte per noi. I miei genitori avevano voglia di farle e si riscoprivano un po' bambini grazie a noi. Non è detto che da adulti il Natale non può essere bello, e non è detto che tutti lo sentono solo in presenza dei bambini. È innegabile comunque che i più piccoli ci fanno percepire le feste sotto una luce differente. Più innocente. Una favola. Da grandi siamo comunque meno incantati. Lo prendiamo come un pretesto per spendere ed esagerare anche se non percepiamo affatto lo spirito natalizio. Io però un po' quella magia credo di volerla. Voglio la magia che solo una famiglia può ricreare. Seppur ancora confusa e completamente allo sbando, trovatasi per la terza volta di fronte alla loro casetta, Mia si scoprì sempre più desiderosa di veder quella casa addobbata a dovere. Voleva tante luci, il vischio sotto la porta, le ghirlande colorate. Voleva sentire il profumo del Natale, sfornare biscotti e indossare un maglione orrendo. Così, dopo aver tirato un profondo sospiro, tirò fuori le chiavi di casa dalla tasca, attraversando il vialetto innevato per varcare la soglia della porta d'entrata con un po' di incertezza. Il caldo abbraccio di casa la fece rabbrividire appena, mentre allungava il naso oltre il piccolo atrio, per tastare il terreno alla ricerca di una qualunque presenza. L'unico a correrle incontro fu Mochi, che prese a strusciarsi contro la sua gamba mentre lasciava le varie buste a terra, tentando di liberarsi del pesante cappotto, così come di capello, guanti e sciarpa. « Ciao, picci! » Lo prese in braccio, afferrando la bacchetta, per far fluttuare tutte le buste colme di addobbi e qualche regalo, sul tavolo del salotto, dal quale proveniva una leggera musica jazz natalizia. Lasciò qualche grattino sul mento del gatto, posando un bacio affettuoso sul suo capo, prima di lasciarlo andare via. Ben più pigro, spaparanzato sul divano, era Ringo che, sorpreso in un rituale di attente pulizie, si fermò solo per qualche istante a osservarla con la zampetta ancora alzata, prima di continuare come se niente fosse. Tutto appariva normale, come al solito. E seppur decisamente esausta per il turbinio emotivo a cui era stata sottoposta durante la giornata, e per la sessione di shopping diventata una forma di distrazione, decide comunque di iniziare a tirar fuori dalle buste incantante tutta quella marea di oggetti che aveva comprato per addobbare casa - tutte cose che si sarebbero aggiunte alle scatole che avevano già trovato in soffitta e che inizialmente avevano etichettato come troppo vistose. Mia e Raiden si erano detti che volevano un Natale tranquillo; niente grosse cose. In ogni caso, Gillian avrebbe fatto per dieci, invitando tanto loro quanto la famiglia di Raiden per un cenone e un pranzo di Natale stravagante, all'interno di una casa strappata direttamente da una cartolina di auguri. Il lieve rumore di passi proveniente dalle scale, la portò a fermarsi, sollevando lo sguardo nella direzione di Raiden, comparso dal piano di sopra. « Ciao! » Si fermò a osservarlo per qualche istante. Che qualcosa non andasse, era evidente già dal fatto che non si fosse precipitata a salutarlo. Un rituale che non mancava ormai da tempo in quella casa. Puntò piuttosto lo sguardo perso e riflessivo sulla figura del moro come se lo stesse vedendo sotto una luce completamente differente. Come se si sforzasse di anticipare quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Ci aveva riflettuto a lungo durante quella lunghissima passeggiata sulle strade di Inverness. Aveva tentanto di trovare la maniera migliore per dirglielo. Aveva ipotizzato di non dirglielo affatto per ora, di godersi ancora il loro dolce stare insieme e basta. Aspettare. Far pace con quella notizia per conto proprio. La verità è che non aveva la più pallida idea di come si sentisse, ma di una cosa fu certa non appena incontrò il suo sguardo: Raiden meritava di sapere e di reagire in qualunque maniera volesse. Meritava di esserci, di partecipare. Da dove cominciare, e dove trovare il coraggio per dire qualcosa che nemmeno lei riusciva a realizzare fino in fondo però, era un altro paio di maniche. Così deglutì, e stirò un sorriso appena accennato, prima di posare lo sguardo sulla confezione di bastoncini di zucchero con cui l'aveva sorpresa tra le mani. Conseguentemente, passò in rassegna i troppi articoli che giacevano sul tavolo sentendosi un po' in imbarazzo per quella che doveva apparire una ridicola inversione di marcia rispetto ai piani iniziali. Ghirlande, candele profumate, calze da appendere al caminetto, palle di Natale e chi ne ha più ne metta, erano ora ammucchiate sotto il suo sguardo un po' perplesso. Ho comprato davvero tutta questa roba? Ho forse esagerato?
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    Gli diede il tempo per avvicinarsi e vedere da sé tutti gli addobbi, prima di continuare a tirar fuori dalle buste altre cose, fermandosi infine per tirare un lungo sospiro. Istintivamente solletico appena il dorso della mano di lui coi polpastrelli, quasi come se tentasse di attirare la sua attenzione in maniera delicata e discreta. « Lo so che ho detto di non avere voglia di perdere troppo tempo dietro agli addobbi. Però.. » Si stringe nelle spalle e scuote la testa sorridendo appena. « ..credo di aver cambiato idea. Dovremmo avere un bell'albero, e le lucine sul tetto e alle finestre. » Si stringe nelle spalle mentre passa le dita sopra una ghirlanda sbrilluccicante, prima di portarsi una mano sulla fronte scostando qualche ciocca fastidiosa. « A me piace tantissimo il Natale.. non so perché mi ostinassi così tanto a tenerlo sobrio. A casa mia non lo è mai. E credo che chi non c'è più ha il diritto di vivere almeno attraverso il ricordo delle cose belle che facevamo insieme.. » Loro meritano di essere ricordati almeno così. Attraverso queste ricorrenze. A casa mia il Natale non è mai stato sobrio, e un Natale sobrio e minimal, non è davvero un Natale. Le feste invernali sono sinonimo di abbondanza. E a me piacciono così. Con grosse mangiate, e gesti eclatanti, parenti fuori luogo e addobbi che ti fanno bestemmiare i primi di gennaio quando devi rimettere tutto apposto. « E poi.. è il nostro primo Natale.. insieme. » Pausa, mentre abbassa nuovamente la testa annuendo tra se e se con più convinzione. « Dovremmo davvero ricordarlo. Dovremmo renderlo speciale. Non importa che questa non è tipo proprio casa nostra nostra - è comunque il posto in cui viviamo. E comunque dove viviamo non fa differenza. » Si schiarisce la voce, mordendosi appena il labbro inferiore mentre la voce le trema appena. Sta dicendo cose belle, Mia, eppure, la preoccupazione nella voce tremante è evidente. « Lo so che staremo da mamma e da tua madre, e che boh.. alla fine è una festa come tante altre.. però quando torniamo a casa, voglio comunque che questo posto sia bellissimo. Proprio una cosa bella che abbiamo messo su insieme.. e voglio fare i biscotti e stare a guardare il nostro albero accanto al caminetto con una cioccolata calda e.. con te.. » E vorrei che tu non ti arrabbiassi con me. Vorrei trovare il giusto modo per dirti le cose che dovevo dirti. E invece sono qui a parlare dello stupido Natale che non so neanche come passeremo a questo punto. Di colpo venne investita dalla frustrazione dettata dall'incapacità di parlare chiaro. Rimase in silenzio per qualche un po', cercando di mettere in ordine le sue idee. « Raiden.. » Soffiò pesantemente, scostando lo sguardo di lato, colta da un'improvviso senso di inadeguatezza. Infine, scosse la testa afferrando le calze da appendere al caminetto. « ..io.. sono entrata in questo stupido negozio a prendere queste stupide calze. Ne avevo prese cinque, perché noi siamo cinque.. io, te, Ringo, Mochi e Aiko. E mi sembrava una cosa così tanto carina. E a fare compere ci ero andata per non pensarci, e Ronnie è stata davvero brava a distrarmi.. solo che poi quando ero quasi arrivata alla cassa, io mi sono sentita in colpa, perché è vero che siamo in cinque, però.. non è vero. » Deglutì. Quel discorso sconnesso, senza fiato, giunto a quel punto, la portò a ricercare per la prima volta lo sguardo di Raiden, mentre tirava fuori da sotto le altre calze, una un po' più piccola che mise sotto i suoi occhi. « Non siamo in cinque e quando ho visto questa calzina.. l'ho capito. » Sgranò appena gli occhi, soffiando pesantemente. « Non siamo più cinque. »


     
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    « Comunque, detto tra noi, la scelta di Delilah mi ha stupito. » Il giovane Yagami lanciò un'occhiata a Jeff, in piedi sul piedistallo accanto al suo. Entrambi se ne stavano con le braccia larghe, lasciando che i sarti prendessero le misure degli abiti che avevano scelto, così da aggiustarli alla perfezione entro la data delle nozze. Ed era stata proprio quella data a lasciare Raiden di stucco. Domenica sedici Gennaio. Inizialmente, quando i due amici gli avevano dato la notizia della gravidanza e dell'imminente matrimonio, il giapponese aveva dato per scontato che le nozze si sarebbero tenute in estate, qualche mese dopo la nascita del bambino. Era il periodo perfetto, in fin dei conti: il clima era favorevole, e Delilah avrebbe avuto tempo di riprendersi dal parto. Nella sua testa, Raiden se l'era già immaginata in perfetto stile bridezilla, costringendo Jeff a farle compagnia in un regime alimentare da fame pur di entrare in un vestito da sposa che l'avrebbe resa la principessa della cerimonia. Eppure le cose non erano andate così, e presto la giovane coppia aveva dato l'ufficiale notizia che il matrimonio si sarebbe tenuto a Gennaio. La domanda era sorta spontanea a tutti, ma erano stati abbastanza intelligenti da non renderla esplicita a Delilah. Gennaio è.. tipo intorno al settimo mese? Cioè, insomma, nel senso.. la pancia è abbastanza.. visibile. Ricordava bene lo sguardo che Antonio e Gabriela si erano lanciati quando avevano letto la data sull'invito. Nei loro occhi c'era lo stesso interrogativo. Insomma, si trattava di Delilah, la persona che più al mondo incarnava lo stereotipo della sposa isterica. « Sulla data, intendo. » precisò, nonostante fosse chiaro che Jeff avesse già capito perfettamente cosa l'amico intendesse. E infatti rise, voltandosi secondo le direttive del sarto. « Guarda, non sei l'unico. Dovevi vedere sua madre! Ha urlato e piagnucolato per tipo cinque giorni su questa cosa. Però Delilah è stata irremovibile: vuole sposarsi col pancione. Non te lo so spiegare.. dice che a lei piace molto l'idea e che lo trova carino. » In realtà lo era, almeno agli occhi di Raiden, che trovava adorabile quella scelta così poco convenzionale. Forse non se l'aspettava da Delilah nello specifico, ma trovava che comunque le facesse onore. Era evidente che la giovane fosse molto felice di quel bambino che portava in grembo. Durante una chiacchierata con lei, aveva confessato a Raiden che diverse sue compagne di corso e amiche avessero iniziato ad escluderla da molte attività, trattandola al pari di un'inferma. « Sulle prime mi ha ferita molto questa cosa. Ma poi ci ho pensato e sai che mi sono detta, Raiden? Che è meglio così. Perché grazie a questa cosa ho scoperto la vera natura delle persone che mi stanno accanto e ho potuto distinguere gli amici veri da quelli che ci sono solo quando fa comodo. » - erano queste le parole che Delilah gli aveva rivolto, accarezzandosi il pancione con una mano e portandosi un pasticcino alla bocca con l'altra. Si era stretta nelle spalle con una certa serenità, dimostrando quanto davvero credesse in ciò che stava dicendo. E per quanto bizzarra e a tratti insopportabile potesse essere Delilah, in quel momento Raiden aveva provato una profonda stima nei suoi confronti. Ha trovato la sua strada e ha individuato le sue priorità. Checché se ne pensasse, alla fine dei conti Delilah si era rivelata essere una delle persone meno superficiali nella cerchia di conoscenze che Raiden aveva fatto al college. « Io lo trovo molto tenero da parte sua. » Commentò il giapponese, rivolgendo un sorriso all'amico, che lo ricambiò, annuendo. « Anche io, onestamente. Su due piedi mi ha un po' colpito, ma non so.. mi ha dato subito una sensazione bella, quando me la sono immaginata. » Jeff si lamentava di Delilah a giorni alterni, ma era chiaro come la luce del sole che ne fosse innamoratissimo. Ed era altrettanto chiaro che quei passi, per quanto spaventosi, lo esaltassero. Erano una coppia felice, e questo non poteva che rendere felice anche Raiden, il quale si allungò quanto riuscì per strizzare la spalla dell'amico per esprimergli mutamente quel sentimento. « Adesso devi solo preoccuparti del discorso che sicuramente faranno Antonio e Bartosz al ricevimento. » « Oh ma guarda tu quanto siete pezzenti infami malfidati! C'HO UN DISCORSO BELLISSIMO IN CANNA! Pure il powerpoint ci sto facendo, vedi tu. » « Appunto! » E così la buttarono sul ridere, stemperando un po' l'emozione di quel momento che da bravi maschi basic quali erano non doveva essere troppo accentuata. Finirono piuttosto in fretta quella sessione di shopping e andarono a prendersi una birra, sparando ipotesi stravaganti su chi avrebbe rovinato il matrimonio, come e la maniera in cui Delilah lo avrebbe cazziato.
    Dopo quella parentesi avrebbe dovuto seguire Jeff a casa, dove presto sarebbe arrivata anche Mia per fare una cena tutti e quattro assieme, ma i piani presero una piega diversa. I messaggi dell'americana l'avevano lasciato un po' preoccupato, intuendo che ci fosse sotto qualcosa di strano. Non sapeva nemmeno dire cosa nello specifico lo avesse messo in allerta: semplicemente trovava il tono di quei messaggi diverso dal solito. Durante il tragitto verso casa si interrogò su cosa potesse essere accaduto nell'arco di poche ore, e l'ipotesi che ritenne più plausibile fu una litigata con Veronica. Non sapeva cosa potesse aver portato le due migliori amiche a discutere - poteva trattarsi di una stupidaggine così come di una cosa più seria - ma non vedeva molti altri scenari. Anche perché io non ho fatto niente, quindi non penso ce la possa avere con me. Ha detto pure che le manco, quindi no, è qualcos'altro. Avrà litigato con Veronica. O forse sarà successo qualcosa con una delle mie studentesse. Nessuna di quelle ipotesi era veramente da accantonare, ma il giovane non escluse nemmeno che potesse trattarsi di un semplice momento in cui Mia sentiva bisogno d'affetto. Con quelle domande in testa, si pulì bene la suola delle scarpe sul tappetino di fronte casa, entrando in fretta per riporre le calzature nel mobiletto predisposto e andare subito ad accendere il camino. In quella casa faceva un freddo cane. Più in generale lo faceva in Scozia, ma lì dentro, a tratti, sembrava quasi più freddo che all'esterno. Da quando le temperature avevano iniziato a scendere, almeno due volte al giorno Raiden si trovava ad appuntarsi mentalmente che prima avrebbero cambiato casa e meglio sarebbe stato. Ma ancora c'era tanto da fare, e per un po' potevano permettersi di attendere. In fin dei conti erano ancora giovani: qualche spiffero non li avrebbe di certo uccisi. Dopo aver dato da mangiare ai gatti, salì al piano di sopra in attesa dell'arrivo di Mia, lasciando socchiusa la porta del proprio studiolo per sentirla tornare mentre lui, dal canto suo, si mise a lavorare a tempo perso su una traccia lasciata inconclusa. Quando lei tornò, sulle prime non fu certo di aver udito davvero il rumore del portone, ma ne ebbe presto la conferma quando, toltosi le cuffie e tese le orecchie, sentì con più chiarezza i passi della ragazza. Salvato il file e spenta tutta l'attrezzattura, cominciò ad avviarsi verso il piano inferiore, individuandola nell'ingresso intenta a mettere in ordine alcune buste di acquisti. « Ciao amore. » la salutò come al proprio solito, scendendo giù dalle scale e aspettandosi la solita reazione da parte di lei. Una reazione che, tuttavia, non arrivò, lasciandolo piuttosto interdetto. « Ciao! » La rivolse un'occhiata vagamente interrogativa, avvicinandosi con una certa cautela e posandole un bacio sulla guancia come se stesse tastando acque incerte. « Mh.. tutto a posto? » La breve risata di Raiden, volta a sottolineare l'atteggiamento insolito di Mia, risuonò nervosa. Forse ho fatto qualcosa. Non so cosa, ma l'ho fatto. Tuttavia la conosceva abbastanza da sapere che qualunque cosa fosse, lei non sarebbe riuscita a tenersela dentro troppo a lungo. Così decise di non indagare ulteriormente, dandole il tempo di metterlo al corrente della situazione a modo proprio. Tirò quindi un lieve sospiro mentre spostava lo sguardo sugli acquisti di Mia, esaminando con un sorriso quel poco che aveva già tirato fuori dalle buste. « Un Natale sobrio, dicevamo. » proferì ironico, ridacchiando mentre iniziava ad aiutarla ad estrarre gli addobbi. Raiden non aveva mai festeggiato il Natale in maniera particolare. Quel periodo dell'anno, in Giappone, era sì sentito come magico e festante, ma di certo non al pari dell'Occidente. Per lui si trattava di una festa commerciale, una che tra le tante cose non era neanche segnata come festa nazionale - tutti lavoravano, il giorno di Natale. Nel suo paese, il centro focale di quella ricorrenza erano le coppie e le famiglie con bambini; per il resto, la magia si fermava alle luci e agli addobbi. Tuttavia aveva imparato quanto importante fosse il Natale nella cultura occidentale, e i racconti di Mia lo avevano intenerito, facendogli prendere di buon cuore la prospettiva di passarlo in famiglia. « Lo so che ho detto di non avere voglia di perdere troppo tempo dietro agli addobbi. Però.. credo di aver cambiato idea. Dovremmo avere un bell'albero, e le lucine sul tetto e alle finestre. A me piace tantissimo il Natale.. non so perché mi ostinassi così tanto a tenerlo sobrio. A casa mia non lo è mai. E credo che chi non c'è più ha il diritto di vivere almeno attraverso il ricordo delle cose belle che facevamo insieme.. » Sebbene non potesse del tutto comprendere quel sentimento che percepiva nell'animo di Mia, poteva in ogni caso capirne la provenienza. Per lei quel momento era importante, aveva un significato - uno che Raiden condivideva, sebbene non lo associasse in maniera altrettanto diretta al Natale. Forse il fulcro della situazione è proprio quello. Andare a fare compere per la festa di Natale potrebbe aver acceso una scintilla di nostalgia. È un po' di quella nostalgia, Raiden la stava effettivamente percependo nella sfera emotiva della ragazza. Non era totalizzante, ma c'era. « Non mi sembra una brutta idea, in realtà. » disse piano, stendendole un sorriso dolce mentre toglieva qualche addobbo dalla busta. « E poi.. è il nostro primo Natale.. insieme. Dovremmo davvero ricordarlo. Dovremmo renderlo speciale. Non importa che questa non è tipo proprio casa nostra nostra - è comunque il posto in cui viviamo. E comunque dove viviamo non fa differenza. Lo so che staremo da mamma e da tua madre, e che boh.. alla fine è una festa come tante altre.. però quando torniamo a casa, voglio comunque che questo posto sia bellissimo. Proprio una cosa bella che abbiamo messo su insieme.. e voglio fare i biscotti e stare a guardare il nostro albero accanto al caminetto con una cioccolata calda e.. con te.. » C'era qualcosa di strano nella voce di Mia, un tremore che Raiden non seppe ben identificare, ma che attribuì forse alla mancanza del padre. In fin dei conti, se quella festa era davvero incentrata sulla famiglia, aveva solo senso che Mia potesse sentire ancor di più quell'assenza intorno alle feste. Così, pur non essendo certo della propria intuizione, allungò comunque una mano per stringere leggermente quella di Mia, rivolgendole un piccolo sorriso che sperava darle un po' di calore. « Hai ragione, dovremmo festeggiarlo per bene. Io non ne so molto delle vostre tradizioni, ma voglio comunque imparare. » Fece una pausa, rendendo quel sorriso più evidente. « Mi insegni? » In fin dei conti, ciò che era importante per Mia era importante anche per Raiden, e nonostante non fosse il massimo esperto del Natale e la sua religione fosse differente, voleva comunque avvicinarsi a ciò che la rendeva felice e le stava a cuore. Rimase in attesa di una risposta, guardandola con un'aspettativa che lentamente, in quel silenzio, cominciò a fondersi ad uno strisciante senso di preoccupazione. C'era davvero qualcosa che non andava? Non riusciva a decifrarla. Sentiva un peso sul cuore di lei, ma non capiva né riusciva ad ipotizzare cosa fosse nello specifico. Schiuse le labbra, preparandosi a chiederle in maniera più diretta se ci fosse un problema, ma lei fu più veloce: scosse il capo e, afferrato qualche addobbo, si diresse verso il caminetto, lasciandolo solo e interdetto di fronte a quelle buste. « Raiden.. » Le rivolse lo sguardo, in silenzio, ritrovandosi a trattenere un po' il fiato in attesa di una delucidazione su quanto stesse accadendo. « ..io.. sono entrata in questo stupido negozio a prendere queste stupide calze. Ne avevo prese cinque, perché noi siamo cinque.. io, te, Ringo, Mochi e Aiko. E mi sembrava una cosa così tanto carina. E a fare compere ci ero andata per non pensarci, e Ronnie è stata davvero brava a distrarmi.. solo che poi quando ero quasi arrivata alla cassa, io mi sono sentita in colpa, perché è vero che siamo in cinque, però.. non è vero. Non siamo in cinque e quando ho visto questa calzina.. l'ho capito. Non siamo più cinque. » Nemmeno se ne accorse quando, alla fine di quel discorso, le sue dita molli lasciarono la presa sul pupazzetto a forma di Babbo Natale che aveva preso in mano, facendolo cadere senza suono sul pavimento. Il senso di quelle parole era piuttosto evidente, e Mia lo stava guardando in attesa di una risposta o una reazione, ma in quel momento, a Raiden sembrò di non comprendere davvero cosa lei le avesse appena detto. Aveva sentito bene? Ma soprattutto: aveva capito bene? Perché dal modo in cui Mia ne parlava, sembrava che le chiacchiere stessero a zero: quel cosino era lì, e lì sarebbe rimasto. Ma ciò, nella testa del ragazzo, andava a cozzare con tutte le discussioni che avevano avuto a riguardo. « Intendi..? » La voce flebile del ragazzo non riuscì a completare la frase, ma i suoi occhi andarono istintivamente a puntarsi sul ventre di lei, come se potesse scorgervi qualcosa che era palese non potesse vedere ad occhio nudo - non ancora, almeno. Schiuse le labbra, cercando di articolare qualche altra parola, e richiudendole subito dopo nel rendersi conto di non aver davvero idea di cosa dire o come sentirsi. Tante volte il giovane Yagami aveva pensato a come avrebbe reagito di fronte a un simile scenario, ed era sempre stato convinto che la sua reazione sarebbe stata entusiastica. Perché in fin dei conti si immaginava le cose in un certo modo: che un evento simile si sarebbe verificato quando avrebbe avuto una moglie ed entrambi lo avrebbero desiderato. Aveva sempre creduto che una notizia del genere lo avrebbe fatto schizzare dalla sedia, riempiendogli il cuore di gioia e facendolo ridere in preda all'euforia mentre correva ad abbracciare sua moglie e sollevarla da terra per riempirla di baci. Fino a un po' di tempo fa era stato così. E forse lo era ancora.
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    Da qualche parte, quella felicità c'era, ma Raiden aveva troppa paura di toccarla. Era terrorizzato dall'idea di riaprire quella porticina in cui aveva stipato i propri sentimenti a riguardo, abbracciandoli nuovamente per poi sentirsi solo in quella gioia - che a quel punto non sarebbe nemmeno stata più tale. Quella parte di sé avrebbe davvero voluto correre incontro a Mia, abbracciarla e dirle che quel bambino fosse una benedizione. L'altra, tuttavia, lo teneva bloccato dal farlo per paura del rifiuto, o anche solo di aver interpretato male i segnali riguardanti la disposizione di lei. In quell'incertezza dilaniante, il suo sguardo si spostò sulla calzina che Mia teneva in mano. Era piccola, decisamente più piccola delle altre, e nella sua semplicità racchiudeva una tenerezza disarmante a cui il cuore di Raiden non poteva possibilmente resistere. Perché in fin dei conti non era solo una calzina qualunque: era il simbolo della vita che loro due avevano creato, ed era stata proprio Mia ad acquistarla. Perché mai avrebbe dovuto farlo se non sentiva in sé almeno un decimo di ciò che Raiden si stava volutamente precludendo? Le labbra di Raiden tremarono a quella visuale e a tutto il carico emotivo che essa portava con sé. E a tremare fu anche la mano che portò istintivamente al proprio viso, coprendosi la bocca. Cercò di dire qualcosa, ma non ci riuscì, e quindi si fece più vicino a Mia, fermandosi ad un passo da lei come se avesse ancora timore del suo rifiuto. La guardò negli occhi come un bambino insicuro alla ricerca di risposte, tentando di estrarre dal suo sguardo una conferma o un quadro di cosa lei potesse sentire. Poi le sue iridi si spostarono di nuovo sulla calza che lei teneva in mano, addolcendosi fino ad appannarsi con un velo di lacrime. « È adorabile. » disse in un soffio appena udibile, spezzato dall'emozione, mentre allungava una mano a sfiorare il piccolo addobbo con la punta della dita. Quel breve contatto portò una risata ad affiorare sulle sue labbra, costringendolo a tirare su col naso per scacciare via almeno un po' di quell'emozione che sentiva in procinto di traboccargli dagli occhi. « Io.. » cominciò a dire, visibilmente confuso da tutte le emozioni che lo stavano bombardando in quel momento. Si fece pian piano più vicino, cercando spazio per avvolgere un braccio attorno alla vita di lei e modellarsi dolcemente sul suo corpo. « ..io non so cosa dire. » Fece una pausa, puntando gli occhi in quelli di Mia, incapace di rimanere inespressivo e nasconderle ciò che stava provando. « Avremo un bambino? » Per la prima volta in quelle montagne russe che nella sua percezione sembravano essere durate ore, quando in realtà non erano passati più di un paio di minuti al massimo, Raiden si concesse di dar voce a quel pensiero, rendendolo meno astratto.



    Edited by thunderous - 29/1/2022, 00:12
     
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    Non pensò molto a quanto aveva appena appreso a casa dei nonni di Veronica. Ma quella sensazione, quelle emozioni, erano lì, e scacciarle era assolutamente impossibile. Si concentrava sulla scelta degli addobbi per la festa e di quelli che selezionava man mano anche per casa sua, provando sempre di più l'irrefrenabile voglia di venire meno al patto che aveva fatto con Raiden. Nulla di troppo esagerato, eh! Mi raccomando, Raiden, facciamo una cosa sobria che già a casa di mia madre sarà tutto extra! Man mano che si fermavano tra gli scaffali dei grandi negozi di Diagon Alley, Mia aveva voglia di portarsi a casa metà degli articoli esposti. Voleva una casa bellissima, colma zeppa di decorazioni, un posto fatato in cui chiunque entrasse potesse sentirsi un po' bambino, coccolato, al sicuro. Una casa che a un bambino piacerebbe, in cui gli brillerebbero gli occhi e in cui gli verrebbe voglia di sognare e di farsi raccontare storie. Tutti quei pensieri, Mia, non li fece consapevolmente, ma il substrato di quei pensieri le erano entrati in circolo. Nonostante non volesse pensare a ciò che la notizia appena appresa comportasse, sembrava aver già preso una decisione in merito alla direzione in cui si sarebbe diretta. Cosa avrebbe dovuto fare d'altronde? Si sentiva di fare diversamente? Non lo contemplava neanche. Forse perché non aveva ragione alcuna di farlo. Egoisticamente avrebbe potuto dire di non essere pronta, di voler pensare ancora a se stessa. E probabilmente non avrebbe avuto torto, né nessuno le avrebbe fatto una colpa se l'avesse pensata così. Ma la verità è che, Mia, egoista non lo è mai stata, e il tasto che le avrebbe permesso di pensare di liberarsi di quel cosetto non c'era proprio. Che le piacesse o meno, cosetto c'era e restava, e anche se qualcuno le avesse detto che aveva altre opzioni, Mia una scelta non l'avrebbe vista comunque. Nella sua ottica bisognava abituarsi all'idea e fare i conti con ciò che quella roba abnorme significava. E così, aveva tentato di distrarsi, affrontando quel pomeriggio con calma, ridendo e scherzando, lasciandosi tentare da acquisti stupidi e inutili e godendosi l'atmosfera natalizia che iniziava già a percepirsi. Alla fine erano approdate in quell'ultimo negozio del lungo giro. Lì aveva deciso di comprare alcuni segnaposto che sua madre avrebbe adorato per il cenone, e poi aveva visto le calze. Ce ne erano per ogni gusto, appese su lunghe stringhe dorate. Distratta ma anche un po' divertita, aveva iniziato a sceglierne alcune. Le erano piaciuti così tanti modelli che alla fine aveva deciso che ogni membro della famiglia, umano o meno - non che ce ne sia qualcuno di completamente umano - ne avrebbe avuta una. Mia riusciva già a pregustarsi le piccole sciocchezze con cui le avrebbe riempite. Si era messa in fila al fianco dell'amica mostrandogliele una ad una, ridendo per la scelta azzeccata che aveva fatto. Poi, mentre Veronica stava pagando parte dei suoi acquisti, Mia rimase per un po' a osservare il suo bottino. Tra le tante calze, di varie dimensioni, in reparto ne aveva sfiorate alcune più piccole. Nel vederle si era messa a ridere, e aveva pure pensato che potessero essere più adatte per i loro gatti e per il coniglio. Alla fine aveva desistito, convinta che non sarebbero state molto pratiche per infilarci gli stick che Ringo e Mochi mangiavano, o peggio ancora una carota. Un pensiero del tutto sconnesso però la distolse completamente da tutto il resto. Un ciuccio però ci entrerebbe. Oppure un piccolo sonaglio. Seppur fosse pronta a negare di averlo pensato anche davanti alla più solida evidenza, mentre era in cassa, Mia girò i tacchi improvvisamente, tornando nel reparto delle calze di Natale. Passò altri cinque minuti buoni, prima di decidere quale sarebbe stata la sesta calza da comprare, se comprarla e come spiegarne l'esistenza a Raiden. A quel punto della giornata era ancora abbastanza certa che non gliene avrebbe ancora parlato e che avrebbe cercato il momento giusto per spiegargli per quale ragione fosse un'imbecille. Lei però, imbecille, non riusciva a sentircisi, né - passato il momento di shock - riusciva a sentirsi in colpa. Era stranamente tranquilla, a tal punto da dedicarsi a quelle compere quasi come se niente fosse. Forse non stava ancora realizzando, o se anche stava realizzando, lo faceva in maniera parziale. Della possibilità di avere un bambino, Mia e Raiden, ne avevano parlato diverse volte; in ogni circostanza la discussione sembrava incrinarsi, non riuscivano a trovare un punto di incontro, non si capivano, non arrivavano mai a un dunque. Forse perché in fondo Mia non ne voleva affatto parlare, ma sentiva la pressione di non riuscire a dire ciò che il giovane Yagami si aspettava di sentirsi dire, e quindi doveva parlarne lo stesso. Insensato. Eppure così logico nella sua testa. Raiden non aveva preteso assolutamente nulla da lei, ma la pressione, Mia, la sentiva comunque, come se volesse dire la cosa giusta, quella che l'avrebbe reso più felice, senza sapere con precisione quale fosse. Non ne voleva parlare, sì, ma questo non significava che quel tasto non esistesse nella sua mente, né che un bambino non lo volesse. A quel punto però era confusa, allo sbaraglio. Non sapeva se dovesse essere felice, o se dovesse preoccuparsi per tutte le difficoltà che quell'imprevisto avrebbe portato. Non sapeva se sarebbe stata adatta, se a quel punto della sua vita era effettivamente in grado di dedicarsi a qualcosa di così grande. Tutto quel miscuglio di emozioni c'era, eppure era come sopito, sotto una pattina di palese incoscienza. Forse le ci sarebbe voluto del tempo prima di metabolizzare. Ma se così era, se davvero Mia doveva capire quanto le stesse accadendo, perché non appena toccò quella calzina, gli occhi le si riempirono di lacrime, non seppe spiegarselo. C'era qualcosa di infinitamente piccolo e delicato dentro di lei; qualcosa che lei e Raiden avevano creato. Un po' di lei e un po' di lui. Come sarebbe stato? Da chi avrebbe preso le dita dei piedini? Sarebbe stato tranquillo come lui, o veemente come lei? Seppur tutti quei pensieri non c'erano in maniera cosciente, esistevano, e si esprimevano a colpi di lacrimoni che tentò di frenare nell'esatto momento in cui il cellulare vibrò nella sua tasca di nuovo. "Hey, scusa, ho letto ora!" Le anteprime dei messaggi di Raiden continuano a scorrere sulla schermata del suo cellulare, mentre Mia, dal canto suo, tenta di ricomporsi. Non sa ancora cosa gli dirà. E si sente in colpa. Tu sei così carino con me, ed io invece potrei darti un dispiacere. Magari non è ciò che vuoi. Non è che io ci tenevo proprio ora-ora. Probabilmente è colpa mia. Sono stata disattenta. Di nuovo. Anche se cazzo - mi sono pure messa la sveglia alla stessa ora per non dimenticarmi. Eppure eccoci qui. Io che non so cosa dire, e ho già paura di dire la cosa sbagliata, mentre tu sei tutto carino e premuroso. « Hai ragione, dovremmo festeggiarlo per bene. Io non ne so molto delle vostre tradizioni, ma voglio comunque imparare. Mi insegni? » Si. Raiden era davvero carino con lei, e si sforzava, s'impegnava a fare anche cose che non erano nelle sue corde. Tipo partecipare a quei stupidi cenoni che l'avrebbero letteralmente travolto come un uragano. Voleva festeggiare il Natale e starle vicino. Ed io non riesco neanche a ricordarmi di prendere una fottuta pozione.
    La verità è chne il senso di colpa era nei confronti di Raiden. Nel non avergli dato il tempo di prepararsi psicologicamente. A quel punto non sapeva neanche se dei figli li volesse ancora. Cosa ciascuno di loro si aspettasse in merito a quella faccenda, non era più stato chiarito. Rispetto ai bambini, Mia e Raiden si erano dati tacitamente tempo, metabolizzando a vicenda la posizione dell'altro, esercitando pazienza, e tentando di venirsi incontro. Dopo Halloween l'argomento non era più stato nemmeno lontanamente sfiorato, un po' perché entrambi volevano concentrarsi in primis nel far funzionare il loro rapporto, e un po' perché, forse, la ferita era ancora troppo fresca. Cosa avrebbero dovuto dirsi poi? Mia non avrebbe mai lucidamente deciso di provare ad avere un figlio in quel momento, e Raiden dal canto suo, poteva solo adattarsi a quella imposizione dettata da argomentazioni basate su questioni di principio. A diciotto anni, Mia voleva avere diciotto anni. Qualunque cosa ciò significasse - un qualcosa che nemmeno lei sapeva cosa comportasse. Voleva avere diciotto anni e basta. Questione chiusa. E lo sarebbe rimasta se solo quella notizia non fosse piombata di colpo nella vita della giovane Yagami, esponendola di rimando a Raiden nel più confusionario dei modi. « Intendi..? » Schiuse le labbra, Mia, sgranando appena gli occhi, mentre stringeva con impazienza la calzina tra le dita. Il miscuglio che provenne dall'indole di Raiden fu talmente caotico da confonderle ulteriormente le idee. Sospirò appena osservandolo con un'espressione colma di emergenza; a quel punto annuì appena. Si.. intendo. Ora ti prego, possiamo passare a cosa intendi tu? Perché qui nessuno ha mai inteso nulla di giusto. Ora che lui o lei ha inteso per tutti e due, forse è il caso di smettere di intendere e basta. Dobbiamo fare.. credo. Vero? Ti prego dì qualcosa.. mi sto incartando. Ora dirò una cazzata. Vedrai che la dirò. Una muta preghiera sgorgava dagli occhi caleidoscopici di lei, che presero a mutare velocemente colore senza mai stabilizzarsi su uno nello specifico. Non era diversa solo la tonalità dello sguardo, ma anche il tono di ciascuna iride, così come il grado di dilatazione delle pupille. Che fosse in balia di forti emozioni era evidente, ma non ebbe comunque il coraggio di dire niente. In quel silenzio disarmante dominava la paura, l'incertezza, e un'insicurezza che sembravano condividere e scambiarsi reciprocamente. « Dì qualcosa.. ti prego.. » Lo pregò con un filo di voce, prima di tornare ad ammutolirsi non appena il giovane Yagami prese a muoversi nella stanza. Era completamente paralizzata, Mia, non sapendo cosa aspettarsi. Incontrò il suo sguardo con un certo timore, ricercando tuttavia una qualunque reazione che potesse sollevarla da quella terribile tensione che si sentiva nelle ossa. « È adorabile. » Forse solo a quel punto riprese a respirare per davvero. Fu come se le avesse tolto un peso che premeva contro la sua cassa toracica. Improvvisamente lacrime bollenti riempirono i suoi occhi assestatisi su un cristallino verde smeraldo. Annuì, Mia, piagnucolando come una bambina. La reazione di Raiden la riempie di gioia; ogni gentile mutamento che subisce quella sua reazione la manda in visibilio. Perché la sente la sua commozione, sente quel eccesso di gioia che non proviene solo da lei. « Vero? È carina.. mi è piaciuta un sacco quando l'ho vista. » Ecco cosa ha pensato quando l'ha vista. Ha pensato che fosse troppo carina per lasciarla lì. « Ho pensato che ci potevo mettere qualcosa di piccolo dentro.. » Anche una roba di poco conto. Però carina. Magari fatta a mano. Qualcosa a cui però ho pensato. « Io.. io non so cosa dire. » Non c'era proprio nulla da dire. I loro occhi erano sufficientemente eloquente. Non a caso Mia si strinse nelle spalle scuotendo appena la testa, prima di scoppiare a ridere tra le lacrime. Perché si sentisse così non lo sapeva. Erano emozioni del tutto nuove, che non riusciva a spiegarsi. Quel cosetto piccolo che sarebbe via via cresciuto, però non la spaventava, né riusciva a provare sentimenti negativi nei confronti del suo arrivo. Forse lo voleva già prima, solo che non sapeva come accettare il fatto che in fondo non c'era nulla di male nel arrivarci prima del tempo. E poi, in fondo, qual è il tempo per certe cose? Esiste veramente qualcosa su cui siamo indietro o troppo avanti? Ci sono davvero cose che arrivano troppo tardi o troppo presto? Ognuno ha i propri tempi, le proprie reazioni, le proprie emozioni. Queste sono quelle che Mia si sente. « Avremo un bambino? » Annuisce più energicamente, scoppiando a ridere tra le lacrime, sentendosi completamente travolta da quel mare di emozioni che ora riesce a percepire distintamente. È una cosa abnorme, eppure l'unica cosa che riesce a provare è.. gioia. « Avremo un bambino.. » Dirlo ad alta voce le scioglie completamente il cuore mentre si passa il dorso della mano sotto il naso per poi asciugarsi le lacrime, deglutendo appena. « Lo so che non doveva succedere così e mi dispiace.. perché è colpa mia.. » Si stringe nelle spalle Mia, e abbassa lo sguardo sulla calzina che ha ancora tra le mani. « ..e dovevo capirlo, perché io non sto mai così male. Quando la nonna di Veronica mi ha messo la pulce nell'orecchio l'ho capito. Me lo sentivo proprio. Mi conosco - o avevo qualcosa, tipo qualche virus strano, oppure qualcosa di strano c'era. » Si asciuga velocemente le lacrime cercando di spiegarsi, come una bambina colta in flagrante nel bel mezzo di una bravata. Per quale ragione sentisse il bisogno di difendere la sua posizione, non lo sapeva. Forse perché temeva di imporre a Raiden una cosa che in quel momento non si aspettava e forse non voleva davvero. « Aspetta un attimo.. » Di scatto si stacca raggiungendo il tavolo dove ha lasciato lo zainetto. Inizia a trafugare nel disordinatissimo contenuto, gettando sul tavolo portafoglio e cianfrusaglie varie finché non estrae dalla borsellina delle medicine uno dei test che ha fatto. E infine attraversa nuovamente la stanza in fretta e furia, passandosi una mano tra i capelli, mentre glielo allunga con un attimo di incertezza. Sul piccolo schermo vi è una dicitura inconfondibile. Una che nemmeno Mia avrebbe potuto interpretare in maniera errata, neanche se avesse davvero sentito il bisogno di farlo. Veronica mi ha comprato un testa a prova di idioti. È giusto. Chissà cosa poteva passarmi per la testa. Abbassò nuovamente lo sguardo sulla calzina che aveva stretto tra le mani per tutto quel tempo, osservandola con uno sguardo colmo di aspettative. E infine si morse il labbro inferiore stringendosi nelle spalle.
    « Io.. lo so che ora è tutto un po' per aria. Nemmeno io so cosa dire.. e lo so che ti ho fatto passare la voglia, anche se non volevo. » So che ti ho esasperato, e so che siamo anche stati male per questo. Non so perché è una cosa su cui proprio non riusciamo ad andare d'accordo. È che proprio secondo me parlavamo due lingue diverse e non ci capivamo. Era come se tu parlassi in giapponese e io ti rispondessi nel dialetto mezzo inglese, mezzo francese di New Orleans. Proprio una cosa inconciliabile su tutta la linea. « Però.. è già qui. » Dirlo, rende tutto più vero, più materiale. Quel cosino piccolo è già con loro, sta ascoltando tutto quanto, è partecipe di tutto. Assurdo. Sei già qui. L'idea sembra lasciarla senza fiato. E infatti, abbassa lo sguardo per la prima volta sul proprio ventre, come se fino a quel momento non avesse neanche realizzato che la dicitura sul test indicava che quel cosetto era in un punto specifico. Con una mano tremante appoggia il palmo sul proprio ventre soffiando pesantemente. Sei già qui. Il solo pensiero la porta a sciogliersi ulteriormente, sollevando nuovamente lo sguardo nella sua direzione mentre azzarda un altro passo nella sua direzione chiudendo gli occhi. « Mi dici se puoi farti tornare la voglia almeno un po'? » Forse di quella conferma non aveva davvero bisogno, a giudicare dalle loro emozioni. Forse non c'era nemmeno bisogno di tutte quelle spiegazioni, di quel vorticare per la stanza come una gallina senza testa. Ma voleva comunque sentirselo dire. Sorrise tirando su col naso prima di annuire tra se e se. « Perché boh.. credo che sarebbe un buon momento visto che a breve questo zoo si allarga.. » Dico così per dire. « Io.. volevo addobbare per questo. » Pausa. « Perché ai bambini piace tanto il Natale. E questo a quanto pare non è nemmeno solo il nostro primo Natale - mio e tuo. » A quel punto si stringe nelle spalle avanzando un altro passo per posare la guancia contro il braccio. « Ti insegno pure tutto quello vuoi.. però solo se è venuta pure a te un po' la voglia di un Natale di quelli proprio estenuanti e poco sobri. Perché boh.. a me è proprio venuta voglia di tutto quanto. Lucine, alberone, regali, compere, cioccolata calda, parenti insopportabili e giochi da tavolo stupidi. Polemiche gratuite e drammi annessi, con tanto di momento in cui ti slacci la cintura perché hai mangiato fino a sentirti male. » A me è proprio venuta voglia di passare un Natale schifosamente tradizionale. Mi è proprio venuta voglia di sentirmi in famiglia. Di raccattare i pezzi di quella che mi è rimasta, e tenermi stretta stretta quella che mi sto creando. « Mi manca tanto il Natale in famiglia. Però.. mi pare che ora non devo andare neanche troppo lontano per trovarla. » È semplicemente già qui.



     
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    Raiden aveva sempre saputo cosa la società in cui viveva si aspettasse da lui e in quali tempi; a maggior ragione, quella consapevolezza era diventata più palese una volta uscito da Iwo Jima. A modo suo, per quanto giovane, aveva avuto tempo di abituarsi all'idea e prepararsi a ciò che essa comportava. Tra la cultura che respirava ogni giorno, gli insegnamenti impartiti e l'assistere giorno dopo giorno ai passi avanti nelle vite dei suoi compagni, quell'idea era diventata sempre più tangibile e comprensibile nella sua mente. E pian piano, senza nemmeno accorgersene, Raiden si era sentito pronto ad accogliere quei nuovi fattori nella sua vita - una moglie, un bambino, una famiglia tutta propria. Li aveva accettati e integrati nei propri obiettivi, capendo lentamente quale fosse la loro importanza e perché fossero tenuti in così alta considerazione. Ovviamente era consapevole di quanto a certe cose ci si potesse preparare solo fino ad un certo punto; perché in fin dei conti, un bambino è pur sempre un cambiamento radicale, e per quanto lo si possa desiderare, prenderà sempre impreparati coloro che si affacciano alla genitorialità per la prima volta in vita propria. Eppure, quando Mia gli disse quelle parole - « Avremo un bambino.. » - il giovane Yagami non si sentì spaventato dalle ovvie conseguenze sulla propria vita. Sapeva che non sarebbe stato facile e che non poteva possibilmente credere che non avrebbe mai commesso alcun errore in quel percorso, ma il punto era proprio che a tutte quell'eventualità, lui si sentiva pronto. Ma soprattutto, in quel momento, si sentiva emozionato. « Avremo un bambino. » Ripeté le parole di lei in un soffio incredulo, intriso di un tipo di eccitazione totalmente nuovo ai suoi sensi. Tante volte si era immaginato il modo in cui avrebbe potuto sentirsi nel ricevere quella notizia, ma la sua immaginazione non era andata nemmeno lontanamente vicina alla realtà. Forse perché certe cose non le puoi davvero immaginare: le puoi provare e basta, senza nemmeno riuscire a spiegarle. Sono talmente uniche nel proprio genere, e talmente legate al singolo caso e alle singole persone coinvolte, che qualunque aspettativa sarà sbagliata a prescindere. Raiden sapeva che una cosa del genere - nelle giuste condizioni, ovviamente - lo avrebbe reso felice, ma quel tipo di felicità era qualcosa di diverso da ciò che già conosceva e non poteva davvero essere paragonata a nient'altro. Era semplicemente diversa, e intensa - ricolma di tenerezza e dubbi, di paure e di tanto amore. Un miscuglio aggrovigliato di sentimenti così diversi e allo stesso tempo così complementari - un ossimoro che sarebbe stato davvero impossibile spiegare a parole. « Lo so che non doveva succedere così e mi dispiace.. perché è colpa mia.. e dovevo capirlo, perché io non sto mai così male. Quando la nonna di Veronica mi ha messo la pulce nell'orecchio l'ho capito. Me lo sentivo proprio. Mi conosco - o avevo qualcosa, tipo qualche virus strano, oppure qualcosa di strano c'era. » Scosse il capo con veemenza, come a voler allontanare quelle preoccupazioni dalla testa di Mia, facendosi di un passo più vicino a lei. A quel punto importava davvero come fosse successo o quanto tempo Mia ci avesse messo a capirlo? Aveva importanza risalire alla radice di un concepimento già avvenuto su cui era chiaro che nessuno dei due volesse ritrattare? A Raiden, quantomeno, non interessava. Che fosse stata una distrazione o una semplice casualità inevitabile - ormai quel piccolino era lì, e interrogarsi sul perché di ciò non avrebbe portato a nulla. Allungò quindi una mano verso il viso di Mia, carezzandole la guancia prima di sporgersi a stamparle un bacio sulla fronte e un secondo sulle labbra. « Non importa, amore. Davvero, non importa. » « Aspetta un attimo.. » La seguì con lo sguardo, pendendo da ogni suo movimento senza sapere davvero cosa aspettarsi fin quando lei non tornò di fronte a lui, mettendogli sotto gli occhi il test di gravidanza dalla dicitura inconfondibile. Incinta. 3+ settimane. Quel cosino era lì da circa un mese, e tutti i segnali che avrebbero dovuto allertarli della sua presenza erano passati loro completamente inosservati. Ma d'altronde, come avrebbero potuto capirlo prima di adesso? Poteva trattarsi di qualunque cosa, specialmente quando le loro sicurezze erano poggiate su una pozione che avrebbe teoricamente dovuto prevenire quell'eventualità. Che Raiden non ci fosse arrivato era piuttosto normale, ma anche Mia non era meno esonerata. Se adesso appariva logico ricollegare tutti quei malesseri a sintomi della gravidanza in corso, prima si era trattato solo di tanti piccoli casi isolati per cui non sembrava necessario insospettirsi. « Io.. lo so che ora è tutto un po' per aria. Nemmeno io so cosa dire.. e lo so che ti ho fatto passare la voglia, anche se non volevo. Però.. è già qui. » Le labbra di Raiden tremarono nel mentre di stendersi in un sorriso commosso, mentre i suoi occhi seguivano il delicato poggiarsi della mano di Mia sul proprio ventre. C'era qualcosa di estremamente tenero nel modo in cui l'americana aveva accolto quella notizia - qualcosa che nemmeno Raiden si aspettava di vedere in lei, e che pure era lì. Non sapeva cosa nello specifico fosse scattato nel cuore di lei, ma era sufficiente a contagiare anche lui, producendo un dolce tepore all'altezza del suo petto - qualcosa a cui voleva aggrapparsi, stringendolo forte senza lasciarlo più andare. Non si trattava solo del bambino che stava crescendo nel ventre di Mia; c'era molto di più: un senso di appartenenza, di famiglia, e soprattutto di profondo amore. Quelle sensazioni, il giovane Yagami non le aveva mai provate, o almeno non in maniera così pura e intensa. « Mi dici se puoi farti tornare la voglia
    almeno un po'? Perché boh.. credo che sarebbe un buon momento visto che a breve questo zoo si allarga.. »
    Per qualche ragione, quella domanda lo fece ridere. Una risata che risuonò in parte divertita e in parte commossa, tra le lacrime che scendevano pazienti sulle sue guance. A cose fatte, e in quel momento così palesemente emotivo per entrambi, era piuttosto ironico parlare di farsi tornare la voglia - come se, appunto, fosse una questione di averne voglia o meno, tipo un gelato, o una sera al cinema. Fosse stata un'altra persona a chiederglielo, avrebbe trovato quella domanda decisamente strana. Però era Mia, ed era così pienamente da lei porre un quesito del genere, che l'unica reazione nel cuore del moro fu proprio quella risata di spirito. Cazzo, guardami! Davvero me lo stai chiedendo? « Io.. volevo addobbare per questo. Perché ai bambini piace tanto il Natale. E questo a quanto pare non è nemmeno solo il nostro primo Natale - mio e tuo. Ti insegno pure tutto quello vuoi.. però solo se è venuta pure a te un po' la voglia di un Natale di quelli proprio estenuanti e poco sobri. Perché boh.. a me è proprio venuta voglia di tutto quanto. Lucine, alberone, regali, compere, cioccolata calda, parenti insopportabili e giochi da tavolo stupidi. Polemiche gratuite e drammi annessi, con tanto di momento in cui ti slacci la cintura perché hai mangiato fino a sentirti male. Mi manca tanto il Natale in famiglia. Però.. mi pare che ora non devo andare neanche troppo lontano per trovarla. » Avvolse un braccio attorno alle spalle di Mia, stringendosela al petto per posarle tanti piccoli baci tra i capelli, scostandoglieli poi dal viso con una carezza per poterla guardare meglio in volto. E a quel punto le sorrise. O piuttosto, rise di nuovo - quella stessa risata mista di gioia e commozione che con le sue vibrazioni sembrava fargli tremare il cuore dalla felicità. « Sarà speciale. » Fece una pausa. « Questo Natale, ma anche i prossimi.. saranno speciali. E unici. Perché saranno i nostri. » Ridacchiò, tirando su col naso. « Strani, un po' improvvisati e a metà tra culture decisamente diverse. Però sono sicuro che saranno belli proprio per questo. » Che saremo noi, a renderli speciali. Le sorrise, sporgendosi in avanti per poggiarle un bacio sulle labbra. Non importava che lui del Natale - quello vero - ne sapesse poco: avrebbe imparato, abbracciando lo spirito e i valori che lo muovevano come se fossero i propri. Un Natale, il loro, fatto di tacchino farcito ma anche di pollo fritto, per quanto assurda una cosa del genere potesse apparire ad occhi esterni. Forse erano loro in primis, ad apparire assurdi agli altri, ma questo non li aveva mai fermati dal fare nulla, né tantomeno da godersi la felicità che sapevano regalarsi a vicenda. « Anche io ho voglia di un Natale così. » disse, dopo un istante di silenzio, guardandola negli occhi mentre le carezzava il viso con dolcezza. « E di essere una famiglia. Io, te, i nostri strani parenti, il nostro zoo, il nostro bambino.. » un sospiro leggermente spezzato abbandonò dalle sue labbra, sostituito presto da un'altra piccola risata ilare « ..le voglio tutte, queste cose. » Perché secondo me ci renderanno così schifosamente felici da non voler più nulla di diverso. « Anche se lui - o lei - non potrà vedere questo Natale, ne farà comunque parte.. » Fece una pausa, guardandola negli occhi con tutta la tenerezza e la commozione che sentiva in cuore, mentre un sospiro distendeva i suoi tratti, le sue labbra e le sue spalle. « ..e questo mi fa così felice, Mia. Così tanto felice. » Era difficile esprimere a parole ciò che sentiva. Poteva suonare triviale, o scontato, ma non lo era affatto - non per come lo percepiva lui, quanto meno. E ciò che lui sentiva, poteva sentirlo anche lei. Quindi forse non c'era bisogno di trovare grandi parole o concetti complessi per condividere con Mia quanto provasse in quel momento. Così, consapevole di quanto le parole fossero fallaci e insufficienti, Raiden poggiò una mano sul fianco di Mia, facendola ruotare quanto bastava a farle volgere lo sguardo al caminetto e la schiena a lui. Fece quindi scivolare la mano sul suo ventre, premendovi il palmo con delicatezza mentre l'altra mano raggiungeva quella di Mia - precisamente, quella che teneva ancora la piccola calzina tra le dita. Mosse pochi passi in avanti, quanto bastava a guidarla più vicina al caminetto, raggiungendo con le dita un piccolo gancio nella pietra a cui andò ad appendere assieme a lei il tenero ornamento. A quel punto non sentì il bisogno di muoversi di lì. Piuttosto rimase alle sue spalle, avvolgendole anche l'altro braccio attorno alla vita e posando il mento sulla sua spalla per guardare assieme a lei quel primo segnale tangibile di una nuova vita in procinto di arrivare in quella casa. Una casa che in quel momento, eccezion fatta per il basso crepitio del fuoco, era immersa nel silenzio, ma che non ci sarebbe rimasta in eterno. Nel giro di qualche mese, ci sarà sempre la sua voce. Per un po' saranno solo pianti e piccoli versetti. Poi diventeranno parole. E dopo un altro po', insieme alle parole ci sarà il rumore dei suoi passi, dei suoi giocattoli, delle sue risate. Si strinse di più a Mia, tuffando il viso nell'incavo del suo collo per lasciarvi un piccolo bacio e respirare il suo odore. Era giusto che quella fosse la prima decorazione a prendere posto, così come era giusto che la mettessero insieme e che si dessero il tempo di assaporare quel momento così speciale. « Credi che riusciremo a sentirlo.. più avanti? » pronunciò quelle parole con tono basso e calmo, sotto la spinta di una naturale curiosità che in quel momento era sorta tra i suoi pensieri. « Cioè.. la probabilità che sia lycan è la più alta. » Fece una pausa. « E a me piacerebbe tanto, che ci sentisse. » Altra pausa. « Saprebbe di essere molto amato. E che lo stiamo aspettando. » Tirò un sospiro, riportando lo sguardo acquoso su quella calzina appesa. « Io non vedo l'ora di conoscerlo. » A quelle parole, un senso di profonda felicità misto a una nota di malinconia andò a insinuarsi nel suo cuore, portandolo a pronunciare le successive. « Vorrei che mio padre fosse ancora qui. Sarebbe stato felice, lo so. E gli avrebbe voluto tanto bene. » Forse, da qualche parte, felice lo è lo stesso. Voglio credere che sia così.

     
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    Se qualcuno le avesse chiesto cosa significasse essere mamma, Mia non avrebbe avuto la più pallida idea di cosa rispondere. Non ci aveva mai pensato, né era propriamente il tipo di persona che rifletteva molto su simili questioni. Perché avrebbe dovuto? In fondo, non pensava di essere a quel punto della sua vita, e mentalmente era abbastanza certa che ci sarebbe voluto diverso tempo prima che lei e Raiden decidessero lucidamente di avere un bambino. Che fretta c'era? Mia aveva diciotto anni. Si erano sposati molto giovani, e il tempo non mancava di certo. Questo sarebbe stato il ragionamento che avrebbe fatto qualunque giovane nella loro situazione. Tuttavia, il mondo dei cacciatori, specie in tempi di guerra, tendeva a vederla diversamente e quasi nessuno superava una certa soglia senza aver procreato. Il Credo educa i giovani affinché capiscano abbastanza in fretta l'importanza della famiglia e della successione. Questo perché, in fondo, l'unicità delle loro conoscenze - e da poco anche dei talenti che si tramandano, sono pur sempre rari. In assenza di eredi la loro società sarebbe morta, e assieme a lei una parte delle possibilità di sopravvivenza del genere umano. In un modo o nell'altro, quei dettami erano ben inculcati nelle menti di tutti i giovani. In ciò, Mia non faceva eccezione, e seppur facesse la grossa chiedendo libertà e nessuna costrizione, la verità è che in tutto quel tempo, non ha mai voluto negare una famiglia a Raiden. Semmai tentava di ritardare quel momento, di convincersi che forse poteva ancora fare finta di essere una bambina per un altro po'. Se lo fosse ancora o meno, poco importava; lei voleva sentircisi, e convivere nella leggerezza delle poche responsabilità, che seppur non volesse, le crollavano comunque addosso a intervalli regolari. In cuor suo però, la parola mamma rievocava l'idea di una persona premurosa, apprensiva, a tratti un po' rompipalle, ma amorevole. Mia amava sua madre; era la persona che la rimproverava quando faceva qualche bravata o quando non si assumeva le responsabilità delle sue azioni, ma era anche la persona che le misurava la febbre quando stava male e le preparava la zuppetta o il riso in bianco quando stava male con la pancia. Anche quando sembrava disattenta nei suoi confronti, Gillian aveva sempre un occhio di riguardo per ciascuno dei suoi figli; a tratti le sembrava una supereroina, in grado di fare tutto. E lei, Mia, è sempre corsa dalla mamma quando si trovava in difficoltà - persino in tempi più recenti - perché la mamma ha sempre la risposta giusta a tutto e sa fare proprio tutto. Ma proprio tutto tutto. A ben guardare, non riusciva a immaginarsi così; pronta a qualunque cosa, in grado di fare tutto. Avrebbe voluto chiamarla e parlarci anche in quel momento, perché preoccupata, Mia lo era lo stesso. Sarebbe stata all'altezza? Avrebbe saputo cosa fare? Sarebbe stata in grado di dare il buon esempio?
    Tutte quelle emozioni, paure, e riluttanze, venivano però sovrastate dalla gioia irrazionale che provava di fronte agli occhi lucidi di Raiden. Se solo un paio di mesi prima qualcuno le avesse messo sul piatto la possibilità di avere un bambino, Mia ci avrebbe riso sopra. Perché a diventare madre non aspirava, seppur sapesse che quel momento sarebbe arrivato. Immaginava che prima o poi, un bel mattino, si sarebbe svegliata, e quel desiderio l'avrebbe portata a sentirsi pronta - o meglio, decisa - ad avere un bambino. Ma forse, un momento così, non sarebbe mai arrivato, perché Mia non era il tipo di persona che avrebbe preso a breve termine una simile decisione di spontanea volontà. Eppure, quel fagottino sarebbe arrivato, e la mora non riusciva a esserne scontenta. Qualcosa in quella notizia la manda in visibilio e guardando Raiden, non può fare altro se non sorridere tra le lacrime. Ha paura. Ma ha davvero ragione di averne? Il ragazzo che ha sposato è solido e seppur la loro vita non sia ideale, seppur hanno ancora molto da rimettere in ordine, insieme sono davvero una bella squadra. Possiamo farcela vero? Io con te so che posso farcela. « Sarà speciale. Questo Natale, ma anche i prossimi.. saranno speciali. E unici. Perché saranno i nostri. Strani, un po' improvvisati e a metà tra culture decisamente diverse. Però sono sicuro che saranno belli proprio per questo. » Istintivamente ricercò il suo abbraccio, avvolgendo il busto di lui con entrambe le braccia, stringendosi con candore al suo petto, annuendo pacatamente, ma con convinzione. Non voleva lasciarsi impaurire da ciò che sarebbe arrivato. Non voleva lasciarsi pervadere dall'ansia. Dalle preoccupazioni. Lei e Raiden stavano bene ed erano solidi, e seppur non sarebbe stato facile conciliare ogni aspetto della loro vita, sapeva che insieme potevano farcela. Mia era già molto felice anche prima della notizia che quel piccolo fagottino sarebbe entrato nelle loro vite, ma in quel momento, pensò che la loro felicità poteva solo accrescersi. Erano all'inizio di un lungo percorso insieme, che si sarebbe solo solidificato. Sarebbero cresciuti insieme, e assieme a loro sarebbe cresciuto anche il loro bambino e tutto ciò riusciva a suscitarle solo tanta tenerezza. « Anche io ho voglia di un Natale così. E di essere una famiglia. Io, te, i nostri strani parenti, il nostro zoo, il nostro bambino.. le voglio tutte, queste cose. Anche se lui - o lei - non potrà vedere questo Natale, ne farà comunque parte.. e questo mi fa così felice, Mia. Così tanto felice. » Una mano salì a carezzargli con dolcezza il viso, asciugando alcune lacrime con pazienza, provando un muto senso di orgoglio e soddisfazione. « Si? Sei felice? » Il tono di lei, dolce e un po' infantile, venne accompagno da un tenero arricciare il naso, prima di scoppiare a ridere strofinando la guancia contro la sua spalla. « Tanto tanto? » Lo era, e di una conferma, Mia, non ne aveva bisogno, ma aveva comunque voglia di sentirglielo dire, di permettergli di manifestare tutte quelle emozioni coinvolgenti che tanto le piacevano. Lo trovava davvero bello così. Felice come un bambino il giorno di Natale, commosso e al contempo desideroso di sorridere e ridere. Gli stampò un bacio sulle labbra, strofinando il naso contro quello di lui, dedicandogli dolci carezze colme di amore. Lo amava così tanto, Mia, e sentiva di amare già, anche tutto ciò che avrebbero fatto insieme, tutto ciò che ancora non avevano avuto tempo e modo di fare. E forse il punto non era che Mia non fosse pronta in passato ad avere il bambino - seppur quello fosse un sentimento più che comprensibile. Forse il punto era che aveva paura di come l'altra persona l'avrebbe presa, non a caso, anche nel confessargli quanto era accaduto, il pensiero di Mia era corso quasi automaticamente incontro al terrore di poter far sentire Raiden come costretto ad accettare quella novità. Se anche Raiden un bambino lo voleva, forse voleva che venisse programmato. Che un bel giorno entrambi si svegliassero con il lucido desiderio di averne uno e mettersi al lavoro, preparando già il terreno per il momento in cui sarebbe effettivamente giunto. Che poi forse sarebbe stata la cosa migliore. Allo stato attuale casa loro non era adatta per accogliere propriamente un nascituro, né le loro vite erano propriamente nelle condizioni ideali per poterlo crescere senza affannarsi. Ma una condizione simile si sarebbe mai verificata? Esisteva veramente un simile momento? Probabilmente no. In tutto quel groviglio di pensieri confusionari, Mia sospirò e si lasciò condurre più vicina al caminetto, mentre percepiva distintamente il rimbombo del battito cardiaco di lui contro la propria schiena. Posò istintivamente la mano libera contro le sue nocche premute appena sul suo ventre, ridacchiando prima di lasciarsi guidare ad appendere la calzina natalizia. Era davvero carina, e assieme alle altre sarebbe stata bellissima. « Credi che riusciremo a sentirlo.. più avanti? » Sgranò appena gli occhi colta alla sprovvista da quella domanda. Non aveva di certo pensato alle implicazioni del nascere in una famiglia lycan dopo l'attivazione del gene. « Cioè.. la probabilità che sia lycan è la più alta. E a me piacerebbe tanto, che ci sentisse. Saprebbe di essere molto amato. E che lo stiamo aspettando. Io non vedo l'ora di conoscerlo. » Annuì di fronte a quelle parole, sfiorando ancora una volta la calzina mentre tendeva l'orecchio ad ognuna delle emozioni che provenivano dall'indole di Raiden, così carica di sentimenti positivi. Era felice e impaziente, ma soprattutto era serena. « Vorrei che mio padre fosse ancora qui. Sarebbe stato felice, lo so. E gli avrebbe voluto tanto bene. » Con occhi colmi di lacrime, Mia si voltò verso la sua dolce metà, circondandogli con candore il visto. Gli scostò qualche ciocca di capelli dal viso e lo osservò con un velo di melanconia, ma anche con rinnovata speranza. Si rese conto solo allora di quanto bisogno avesse di ciò che stavano costruendo. « Noi gli racconteremo di lui. Di tuo papà, e del mio, e di tutte le persone che non ha avuto modo di conoscere. E se riusciremo a sentirlo, inizieremo anche prima di conoscerlo. » Perché sarà un po' come fare già la sua conoscenza. Una lacrima sfreccia velocemente sul suo viso, e seppur tenti di scacciarla, un'altra la segue a breve distanza. E allora scuote la testa e non se ne preoccupa più. « Gli racconteremo di tutto ciò che si è perso mentre stavamo.. aspettando. Mentre ci stavamo ancora cercando e.. mentre.. » Di colpo abbassa lo sguardo e sorride, osservando le mani di Raiden strette nelle proprie. « ..mentre cercavamo noi stessi. » E magari noi non abbiamo ancora finito. Forse non finiremo mai di cercare noi stessi. Ma farlo assieme a qualcun altro, forse non è poi così brutto. È probabile che ci insegni qualcosa di nuovo che non sapevamo ancora. Io di certo so di aver imparato un sacco di cose a forza di cercare me stessa accanto a te. Mi sentivo un sacco persa, un po' per aria. E poi sei arrivato tu e hai iniziato a mettere un po' per volta i pezzi insieme. Ed è bello così. « Gli faremo ascoltare i dischi di tuo papà, e gli insegneremo a curare l'orto. Però eviteremo il trauma dei conigli! » E lì scoppiò a ridere scuotendo la testa. Quella storia continuava a infonderle un sacco di tenerezza. Nel ricordare le foto di Raiden da piccolo il cuore le si stringeva dalla tenerezza. Era un bambino dolcissimo. E nell'uomo che aveva di fronte, tutta quella dolcezza riusciva ancora a riconoscerla. « Grazie.. » Disse di scatto stringendosi nelle spalle. Forse quel ringraziamento poteva risultare strano per Raiden, ma per Mia non lo era affatto. « ..grazie di non esserti arrabbiato con me. » Pausa. « E scusa se questi giorni sono stata un po' sotto sopra. Prometto che tenterò di fare del mio meglio per non essere una di quelle ragazze isteriche - ogni riferimento a Delilah è puramente casuale. » Gli stampò un bacio sulla labbra, prima di sorridere nuovamente, asciugandosi le lacrime. « OK! Mettiamo le lucine? Ne ho comprate un botto. Spero bastino per illuminare tutta la casa. »

    Passarono i prossimi giorni in quell'alone rosa, colti da un profondo senso di pace e serenità. L'ultima settimana di lezioni passò veloce come il vento e prima di accorgersene, erano già arrivati nei pressi del Natale. Non avevano ancora dato la notizia al resto della famiglia; un po' perché non volevano liquidare quel momento in maniera sbrigativa, e un po' perché tra il lavoro e lo studio, non sarebbero comunque stati in grado di organizzare una cenetta per bene, oppure fare un pellegrinaggio di tutto rispetto. Insomma, la questione era stata rimandata, almeno finché non sarebbe iniziato quel giro estenuante di pranzi e cene durante le quali, Mia si stava già preparando a qualunque reazione possibile. Dai volti sconvolti di molti dei loro amici, e fino alla reazione isterica di Gillian Wallace, Mia si sentiva ormai pronta a tutto e aveva un piano d'attacco per ogni circostanza. Nel mentre però, voleva approfittare di quella calma piatta prima della bufera dei troppi parenti e amici, per passare ancora un po' di tempo con Raiden. Le loro rispettive vacanze sarebbero iniziate il ventuno - ultimo giorno di lezioni prima che Hogwarts chiudesse i battenti fino all'inizio di gennaio quando le lezioni degli studenti più piccoli sarebbero cominciate. Per l'occasione, la giovane Yagami, aveva già messo in chiaro che non avrebbe permesso a Raiden di lavorare fino a tardi per chiudere chissà quale verbale. « Patti chiari, amicizia lunga, alle quattro in punto sfondo la porta del tuo ufficio con un calcio rotante. » Glielo aveva preannunciato sin dalla mattina, mentre facevano colazione per strada dirigendosi verso il campus. D'altronde c'era un motivo ben specifico per cui non gli avrebbe permesso di fare tardi. Avevano un appuntamento. Uno di cui Mia non gli aveva propriamente parlato, preferendo piuttosto dirgli che voleva solo fare un giro per Hogsmeade per mangiarsi qualcosa insieme e comprare gli ultimi regali di Natale. Non a caso, quando arrivo il momento, con qualche minuto di ritardo, Mia bussò alla porta dell'ufficio del professor Yagami sfoderando un'espressione colma di orgoglio. Aveva uno sorriso raggiante stampato in viso e le guance rosse come un peperone, per l'escursione termica subita nell'intento di attraversare il campus tra interni ed esterni. « Ciao! » Si sporse sulla scrivania per stampargli un bacio sulle labbra prima di sedersi su una delle poltroncine di fronte alla scrivania. « Ok, lo so che sono un po' in ritardo e che ho detto le quattro in punto però.. » Prese lo zaino e sfoderò dal suo interno una pergamena che srotolò davanti agli occhi di Raiden. Sul paper che aveva consegnato non più lontano di una settimana prima per il corso di Diritto Costituzionale, dominava una A+ cerchiata, grossa quanto una casa. « Hopkins mi ha fermato alla fine della lezione. Mi ha fatto un sacco di complimenti. Sono troppo felice. » Aveva lavorato molto per mettere insieme quel lavoro, che per i frequentati valeva quasi tutto l'esame. « Praticamente a gennaio all'orale mi presento in mutande. » Batte le mani energicamente, toccandosi le guance rosse con un'espressione estremamente fiera. Seppur si sia impegnata molto in quel lavoro, non pensava che sarebbe andata così bene. « Magisprudenza dovevo fare! Guarda tu che roba. E tutti gli altri muti! » Ridacchiò energicamente prima di liquidare l'argomento scuotendo la testa. « Cooooomunque, oggi ho una sorpresa piccola piccola per te. Siccome non posso consegnartelo il giorno di Natale per questioni.. uhmmm.. logistiche, devo giocare di anticipo. Su, prendi le tue cose. Siamo - in - va - can - za - professor Yagami! Dì addio alle scartoffie perché ti sto rapendo e questo posto ti rivede il 10 gennaio! » Aveva voglia di passare delle belle vacanze, Mia, e di godersi quel periodo per entrare in contatto con tutta la sua famiglia, trovare la sua dimensione in mezzo a tutte quelle novità, e approfittarne per fare compere, prepararsi agli abnormi cambiamenti che le loro vite avrebbero subito di lì a poco. Così, dopo aver raccolto le sue cose, rimesso lo zaino su una spalla, si lasciò alle spalle Hogwarts, a cuor leggero, e con la soddisfazione di aver fatto un ottimo lavoro. Mano nella mano, si diressero verso il centro di Hogsmeade dove incontrarono qualche conoscente, perdendo tempo davanti a qualche vetrina e persino comprando qualche piccolezza qua e là. Mia si era persino lasciata tentare da un chioschetto che vendeva cioccolata calda, e tanto per distrarre Raiden nell'attesa, si era persino concessa di scherzare, gettandogli addosso diverse palle di neve, ridendo di gusto. Poco prima delle sei del pomeriggio, quando ormai le lucine brillanti avevano preso a illuminare il villaggio innevato, Mia ticchettò eccitatissima sull'orologio, posizionandosi di fronte a lui con un'espressione serena. « Ok. Andiamo! Ci stanno aspettando. » Ma siccome non voleva che Raiden capisse subito dove li stessero aspettando e perché, Mia gli sfilò la sciarpa che aveva attorno al collo, si posizionò alle sue spalle e gliela legò dietro la testa, oscurandogli la vista. « Raiden, se sbirci ti faccio male! Vale anche col contatto, eh! Non scherzo. Ci mettiamo cinque minuti. » E per aggiungere ulteriore mistero a tutta la questione prese le cuffie dalla tasca, attaccandole al cellulare, facendo partire alcune canzoni della playlist che insieme avevano fatto per il Natale. Che al rifugio degli animali fossero giunti diversi cuccioli e cagnoloni abbandonati nell'ultimo periodo, Mia lo aveva scoperto da Eliphas, col quale aveva avuto modo di passare diverso tempo nell'ultimo periodo. Le piaceva parlare con lui; la faceva ridere un sacco, e il giovane warlock dal canto suo, sembrava apprezzare la compagnia della mora. Alla fine erano stati proprio i racconti del giovane Luhng a convincerla di fare una deviazione prima di tornare a casa visitando il rifugio. Gli impacciatissimi cagnolini le avevano messo una tale tenerezza che non era riuscita a resistere all'idea di voler portarsene uno a casa. D'altronde, sin da quando gattonava, Mia aveva sempre vissuto con Aramis; un dolcissimo alano finito nel paradiso dei cani quando la piccola Wallace aveva si e no otto o nove anni. Così, aveva deciso di riempire i moduli del preaffido, aveva fatto ispezionare la casa come da protocollo da uno dei volontari, e aveva sottoposto la loro piccola famigliola a tutti i controlli necessari per poter portare uno di quegli esserini a casa con loro. Così, quando giunsero al rifugio, ad aspettarli fu proprio Eliphas, al quale Mia sorrise tronfia prima di farsi guidare verso i vari recinti dove cuccioli e cagnacci più grandi si accatastavano per salutare i nuovi arrivati. C'erano diversi bambini, famigliole e giovani che giocavano e tenevano compagnia ai vari animali. Mia, si fermò di fronte alla cucciolata che aveva individuato durante la prima visita, guidando Raiden a posizionarsi rivolto proprio verso i cagnolini. Così, quando lo liberò della sciarpa, prima ancora che si togliesse le cuffie, la prima cosa che avrebbe visto, sarebbero stati proprio quei cuccioli.
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    Gli strizzò appena la mano, scoppiando a ridere, mentre lo aiutava a togliersi una cuffietta per poter collegare con più semplicità dove si trovasse. « Sorpresa! » Non poté fare a meno di abbassarsi per lasciare alcuni gratini sulla testolina di un cucciolo color caffè, lasciandosi leccare le dita gelate. « Ciao picci! » Erano tutti estremamente carini. Di diverse razze e incroci. Molti erano stati salvati da situazioni davvero terribili, altri ancora erano semplicemente randagi o abbandonati. Grandi e piccoli, avevano però una storia, e seppur Mia non le conoscesse una ad una, era certa che lì in mezzo c'era almeno un racconto che poteva ben adattarsi alla loro casetta. « Allora, la cosa è questa: è vero che abbiamo uno zoo imbarazzante a casa. Ma più di metà di quello attuale ti costringe a una vita di antistaminici e sofferenze. E lo so che tu al nostro zoo vuoi comunque bene anche se ti fa stare un po' meh.. però.. non lo so.. ho pensato che sarebbe carino se tu avessi un compagnetto che puoi soffocare di affetto senza starnutire di continuo. Potrebbe farti compagnia quando vai a correre e boh.. » Si stringe nelle spalle. « Bambini e cani vanno tanto d'accordo. E poi in questo periodo ne arrivano davvero tanti che hanno bisogno di una casa. » Magari è solo un altro impegno che non possiamo permetterci, però io credo che dove si vive in sei, si può vivere anche in sette. « Nell'ultimo mese ho approfittato dei tuoi orari per fare tutte le pratiche, far controllare la casa e compilare tutti i moduli. Dobbiamo solo sceglierlo. » Si morde il labbro inferiore e abbassa lo sguardo. « In realtà era già in programma prima.. della calzina, ecco. Pensavo potesse essere una specie di via di mezzo? » Alza gli occhi al cielo e ride. A quel punto sembra un ragionamento così sciocco. Mettere a paragone un bambino e un cane è davvero stupido. « Tipo ieri un coniglio, oggi un cane, domani un bambino.. sai tutta la trafila graduale e bla bla. » Non è andata proprio così. « Inizialmente volevo disdire però.. » Lo sguardo corse nuovamente sui cuccioloni che giocavano impacciatissimi nel recenti. « ..non ce l'ho fatta Raiden. Fosse per me li porterei tutti a casa. E lo so che non possiamo, perché anche lo zoo ha un limite. Però.. ecco.. tu puoi comunque sceglierne uno.. sei autorizzato dalla somma autorità della associazioni degli animalisti che ci considerano consoni. » Infine si schiarì appena la voce avvicinandosi per sussurrargli qualcosa all'orecchio. « Potrei aver usato la carta della ragazza incinta con la signora del preaffido. Non immagini che rompicazzo. » Sindacava su tutto! Cristo santo per lei avere un cucciolo dovrebbe essere un lavoro a tempo pieno, ventiquattro su ventiquattro, sette giorni su sette. « Però solo se ti va eh. Non sentirti obbligato. Non dobbiamo per forza.. io ti ho fatto comunque altre cose. Questa era così una sorta di.. uhm.. extra simbolico. Tipo che doveva essere un modo per dirti che avevo voglia.. di prendermi impegni.. più seri.. » Ora lo avremo per davvero. Però possiamo anche avere un cucciolo. E due gatti. E un coniglio. E il bambino. « Ecco si.. ho pensato così.. »



     
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    Il padre, per Raiden, era sempre stato un modello. Anche quando non c'era più, il giovane Yagami non aveva mai smesso di guardare a lui come a un punto di riferimento capace di indicargli la giusta strada da seguire. Certamente Haru non era perfetto, e i suoi figli avevano avuto modo di vedere in lui solo i lati migliori, non cogliendo quelle parti in ombra che saltano all'occhio solo quando si è più grandi e si impara a conoscere la persona oltre il genitore. Eppure, qualunque fossero i suoi difetti, su una cosa tutti quanti concordavano: Haru Yagami era un brav'uomo. Era gentile, onesto, fedele, determinato e capace di dare moltissimo amore - insomma, una gemma rara. Non c'era persona che ne parlasse male, e chi lo faceva, di solito si scopriva avere intenzioni ben poco limpide. L'esempio ricevuto dal padre in quel breve tempo che era stato loro concesso, per Raiden aveva assunto un ruolo determinante, affondando profonde radici nel suo animo e facendo germogliare in lui il desiderio di poter diventare un giorno un uomo del genere. In parte forse aveva fallito; qualcuno che avrebbe speso parole poco clementi sul suo conto ci sarebbe sempre stato, e non era nemmeno scontato che avesse torto a farlo. Però, tutto sommato, la persona che ne era venuta fuori non era delle peggiori. Anche in quel momento - soprattutto in quel momento - il pensiero di Raiden corse al padre, percorrendo l'associazione più naturale che ci fosse: ora sarebbe stato lui ad assumere quel ruolo e ad avere la responsabilità di fare da guida e modello per qualcun altro. E Raiden, come padre, voleva essere esattamente come Haru lo era stato per lui. Voleva essere gentile e paziente, uno che non alza mai la voce e ha sempre una parola di conforto, severo ma mai brusco o prepotente. In cuor suo aveva paura di non essere all'altezza di quelle aspettative, ma sapeva quanto meno che il suo cuore fosse sulla giusta strada e che il primo passo fosse quello di dare amore e supporto incondizionati tanto al bambino che stava per arrivare quanto a Mia. « Noi gli racconteremo di lui. Di tuo papà, e del mio, e di tutte le persone che non ha avuto modo di conoscere. E se riusciremo a sentirlo, inizieremo anche prima di conoscerlo. Gli racconteremo di tutto ciò che si è perso mentre stavamo.. aspettando. Mentre ci stavamo ancora cercando e.. mentre.. mentre cercavamo noi stessi. Gli faremo ascoltare i dischi di tuo papà, e gli insegneremo a curare l'orto. Però eviteremo il trauma dei conigli! » Con gli occhi lucidi per l'emozione, annuì, lasciandosi risalire una risata dal petto alle ultime parole di Mia. « Sì, quello non lo auguro a nessuno. Mi ha segnato. » Sebbene fosse stato molto piccolo all'epoca, Raiden ricordava bene quanto avesse pianto per la scomparsa del piccolo Aiko. Era certo che cose del genere sarebbero capitate in ogni caso, ma quanto meno non avrebbero messo il loro coniglio nello stufato. « Grazie.. grazie di non esserti arrabbiato con me. » Sorrise, scuotendo lievemente il capo mentre le carezzava il viso con entrambe le mani. « Perché avrei dovuto? Ci siamo dentro insieme. » La paura di Mia a riguardo, tuttavia, era comprensibile. Su quel punto avevano discusso a lungo, e le posizioni di entrambi, per quanto rimarcate, sembravano poco chiare - specialmente alla luce di come erano andate poi le cose a conti fatti. « E scusa se questi giorni sono stata un po' sotto sopra. Prometto che tenterò di fare del mio meglio per non essere una di quelle ragazze isteriche - ogni riferimento a Delilah è puramente casuale. » Ridacchiò, alzando appena gli occhi al soffitto in un'espressione ironicamente scettica. « Su questo aspetto di vedere prima di credere. » Le rivolse quindi un occhiolino giocoso, dandole un piccolo buffetto sulla tempia prima di mettersi all'opera assieme a lei per decorare al meglio gli ambienti spogli della casa.

    Per quell'ultimo giorno di lavoro prima delle feste, Raiden si era limitato a lasciarsi solo le piccole bazzecole burocratiche che non avrebbe comunque potuto sbrigare prima di quel tempo. Non gli piaceva ridursi all'ultimo quando si trattava di lavoro, e ciò lo aveva lasciato piuttosto libero per quella giornata in cui anche i colleghi avevano cercato il più possibile di scansare impegni. Per pranzo avevano fatto una piccola festicciola tra professori, scambiandosi qualche regalo e gli auguri del caso, ridendo sulla preparazione psicologica necessaria ad affrontare quel periodo di sessione che sarebbe comunque arrivato troppo presto. « Comunque posso dire una cosa prima che ce ne andiamo tutti a lavorare per finta? » « Vai, sparaci quest'ultima stronzata, Greg. » Ridacchiarono in coro, mentre il docente di Storia Magica Contemporanea passava a riempire di spumante i bicchieri di tutti. Si fermò di fronte a Raiden, ultimo della trafila, fissandolo negli occhi da sopra il limitare delle lenti a mezzaluna. « Questo qua. Questo mascalzone qua.. » prese a dire, indicandolo con un bonario e giocoso fare accusatorio. « ..li avete mai visti i suoi ricevimenti? Sembrano i provini per Miss Inghilterra. » Rise di gusto, Raiden, prendendo un sorso di bollicine prima di inclinare il capo di lato e rispondere a quell'affermazione non poi tanto lontana dalla realtà. « E lo sono, a giudicare dalla banalità delle domande che mi vengono fatte. » Di rimando risero anche i colleghi a quelle parole. « Almeno a te le fanno. Secondo me i miei studenti non sanno nemmeno dove si trovi il mio ufficio. » « Ma meglio così!! Hilda, vuoi davvero startene bloccata tutte quelle ore in ufficio? Io non me lo augurerei proprio. Semmai qualcuno che dovrebbe preoccuparsi è sua moglie, poverina. La mia sarebbe su tutte le furie. » Stirò un lieve sorriso, Raiden, nascondendo quella linea un po' amara dietro ad un altro sorso di spumante. Per quanto ironica potesse essere quella situazione vista dall'esterno, a lui comunque pesava. Quelle ragazze non stavano mancando di rispetto solo a lui e ai loro compagni, ma anche a Mia. Aveva letto alcuni dei commenti sotto l'ultima foto che la ragazza aveva pubblicato su Wiztagram, e li aveva trovati decisamente inappropriati, oltre che immotivati. Quindi sospirò, stringendosi nelle spalle. « Mia lo sa che non deve preoccuparsi. Alcuni atteggiamenti le danno fastidio, sì, ma tra noi le cose sono molto chiare. » La collega di Filosofia del Diritto gli si avvicinò con un sorriso, poggiandogli una mano sulla spalla. « Dovresti portarla alla prossima cena. So che non siamo proprio dei giovincelli simpatici, ma se sei preoccupato per il fatto che abbia alcuni dei nostri corsi.. davvero, non farlo. Sei uno dei nostri, no? Mi farebbe piacere conoscerla. » Sorrise a quella gentilezza, annuendo con pacatezza. « Glielo dirò. » Probabile che mi mandi a fare in culo, ma passerò il messaggio. Seppur un po' appesantito dal tanto cibo, una volta tornato in ufficio si mise subito al lavoro per sbrigare le ultime pratiche relative alla chiusura del semestre. Essendosi anticipato gran parte del lavoro, non c'era poi molto da fare, ma certi meccanismi burocratici sapevano essere tanto stupidi quanto lunghi e noiosi. Insomma, le quattro del pomeriggio non arrivarono di certo in fretta nella sua percezione - ma fortunatamente, infine arrivarono. « Ciao! Ok, lo so che sono un po' in ritardo e che ho detto le quattro in punto però.. Hopkins mi ha fermato alla fine della lezione. Mi ha fatto un sacco di complimenti. Sono troppo felice. Praticamente a gennaio all'orale mi presento in mutande. Magisprudenza dovevo fare! Guarda tu che roba. E tutti gli altri muti! » Hopkins. Lo stesso Hopkins che aveva visto poco prima intento a scolarsi in propria una bottiglia di vino e lanciarsi in un turpiloquio su quanto ci avesse messo a correggere quei dannatissimi paper. Una risata gioiosa fuoriuscì dalle labbra del ragazzo, che si sporse verso Mia per stamparle un deciso bacio sulle labbra. « A+, signori! Sei stata bravissima. Davvero. Hopkins oggi si è lamentato un sacco di questi paper, quindi dovresti davvero andarne fiera; so che è stata una caporetto per molti tuoi compagni. » Ma d'altronde, sulla buona riuscita di Mia, Raiden non aveva avuto alcun dubbio. Da quando aveva iniziato il college, aveva visto il modo in cui si era impegnata nello studio di quelle materie, applicandovisi spesso anche con passione. Glielo aveva sempre detto: con le capacità che aveva, le sarebbe bastato solo impegnarsi un po' per ottenere ottimi risultati. « Cooooomunque, oggi ho una sorpresa piccola piccola per te. Siccome non posso consegnartelo il giorno di Natale per questioni.. uhmmm.. logistiche, devo giocare di anticipo. Su, prendi le tue cose. Siamo - in - va - can - za - professor Yagami! Dì addio alle scartoffie perché ti sto rapendo e questo posto ti rivede il 10 gennaio! » « Guarda.. non c'era bisogno di convincermi. » disse ironico, prima di sciogliersi in una risata mentre metteva via quelle ultime scartoffie sulla scrivania. « Però la sorpresa mi intriga. Un indizio? » Ovviamente non gliene diede nessuno, nemmeno sotto i continui punzecchiamenti giocosi del ragazzo, il quale prese la strada per Hogsmeade come un'ottima occasione per esasperarla con mille domande e ipotesi delle più strampalate. Più che la benda sugli occhi, forse avrebbe dovuto ficcargli un calzino in bocca, a conti fatti.
    [..] « Sorpresa! » E sorpreso lo fu sul serio, quando al nero totale andò a sostituirsi l'immagine di un nutrito gruppo di cagnolini intenti a giocare tra loro oppure sonnecchiare in un angolo del recinto. Lo sguardo del giovane prese immediatamente una sfumatura intenerita, schiudendo le labbra a formare una piccola O mentre si piegava sulle ginocchia e avanzava cauto una mano per carezzare la testolina di un cucciolo scodinzolante in palese ricerca di attenzioni. « Oddio.. io mi ci butto in mezzo e muoio qua. Non venitemi più a cercare. » Ridacchiò intenerito al modo in cui il piccolino prese subito a leccargli la mano, mugolando piano per le piacevoli carezze del ragazzo. A quel punto lo sguardo si rivolse automaticamente verso Mia, ponendole con gli occhi brillanti di gioia un muto interrogativo riguardo quella situazione - o piuttosto una conferma di ciò che era già intuibile. « Allora, la cosa è questa: è vero che abbiamo uno zoo imbarazzante a casa. Ma più di metà di quello attuale ti costringe a una vita di antistaminici e sofferenze. E lo so che tu al nostro zoo vuoi comunque bene anche se ti fa stare un po' meh.. però.. non lo so.. ho pensato che sarebbe carino se tu avessi un compagnetto che puoi soffocare di affetto senza starnutire di continuo. Potrebbe farti compagnia quando vai a correre e boh.. Bambini e cani vanno tanto d'accordo. E poi in questo periodo ne arrivano davvero tanti che hanno bisogno di una casa. » E Raiden, è risaputo, aveva un grosso debole per gli animali in difficoltà. Con Mochi alla fine era andata così: non aveva avuto il cuore di lasciarlo lì dov'era e fregarsene - un cucciolo piccolo come lui non sarebbe mai sopravvissuto da solo. Il giovane Yagami era stato a contatto con gli animali sin dalla più tenera età, imparando a prendersene cura e godendo fin da subito della loro compagnia. In cuor suo aveva sempre trovato piuttosto triste un ambiente senza animali, ma quando si era trasferito a Tokyo non aveva avuto poi molta scelta. « Nell'ultimo mese ho approfittato dei tuoi orari per fare tutte le pratiche, far controllare la casa e compilare tutti i moduli. Dobbiamo solo sceglierlo. In realtà era già in programma prima.. della calzina, ecco. Pensavo potesse essere una specie di via di mezzo? » Inarcò un sopracciglio, fissandola con uno sguardo tra il divertito e l'interrogativo. « Una via di mezzo.. wow, Mia.. WOW! » Probabilmente, se lei gli avesse detto quelle stesse parole qualche mese prima, Raiden le avrebbe sbroccato in piena regola. Ma la situazione adesso era diversa.. per quanto il modo di esprimersi un po' ingenuo e bislacco di Mia fosse sempre lo stesso. « Tipo ieri un coniglio, oggi un cane, domani un bambino.. sai tutta la trafila graduale e bla bla. » Scosse il capo tra sé e sé, sbuffando una risata dalle narici mentre prendeva tra le braccia quel cucciolo pezzato che non voleva proprio saperne di lasciarlo andare. « Inizialmente volevo disdire però.. non ce l'ho fatta Raiden. Fosse per me li porterei tutti a casa. E lo so che non possiamo, perché anche lo zoo ha un limite. Però.. ecco.. tu puoi comunque sceglierne uno.. sei autorizzato dalla somma autorità della associazioni degli animalisti che ci considerano consoni. Potrei aver usato la carta della ragazza incinta con la signora del preaffido. Non immagini che rompicazzo. » « Ma come? Strano che il carattere decisamente solare di Ringo non l'abbia convinta all'istante. » Scoccò uno sguardo alla ragazza, facendo uscire la punta della lingua tra i denti in un'espressione giocosa volta a sottolineare il sarcasmo di quella bonaria punzecchiata. « Però solo se ti va eh. Non sentirti obbligato. Non dobbiamo per forza.. io ti ho fatto comunque altre cose. Questa era così una sorta di.. uhm.. extra simbolico. Tipo che doveva essere un modo per dirti che avevo voglia.. di prendermi impegni.. più seri.. Ecco si.. ho pensato così.. » A quel punto l'espressione di Raiden si distese, prendendo tratti più dolci mentre si sporgeva per posare un bacio sulla fronte della mora. « Grazie.. davvero, Mia. È un bellissimo pensiero. » I suoi occhi si spostarono quindi sul cucciolo scodinzolante che dalle sue braccia tentava in tutti i modi di raggiungergli il volto per leccarglielo. « E poi abbiamo posto per un altro pelosone, no? Vero che ce l'abbiamo? Sì che ce l'abbiamo. » Rise di gusto, lasciandosi inumidire il viso da quell'attacco d'affetto che il
    cucciolo gli stava rivolgendo. « È carino, vero? » chiese conferma a Mia, avvicinandole il piccolino per darle modo di accarezzarlo - e, probabilmente, farsi slinguazzare a sua volta. « È una femmina. Una ruffiana di prima categoria. » intervenne Eliphas, facendosi vicino per grattare la testolina della piccola. « Una nostra collaboratrice l'ha trovata fuori Londra ai margini di un'autostrada. Qualche stronzo ha abbandonato là una cucciolata di quattro. I fratellini hanno provato ad attraversare e non ce l'hanno fatta. » Fece una pausa, il bibliotecario, aggrottando la fronte. « Le persone sanno essere davvero crudeli. » Sospirò, il giovane Yagami, abbassando lo sguardo su quel cucciolo che adesso sembrava così felice. « Io davvero non capisco. Se non puoi occupartene, portali da un veterinario, oppure in un rifugio. Perché abbandonarli? Per strada, poi! » Scosse il capo, tentando di allontanare quel sentimento di rabbia che provava nei confronti di tali atteggiamenti inutilmente crudeli e a parer suo del tutto immotivati. In tutta risposta, lo warlock sbottò una risata amara, sistemandosi gli occhiali sul naso mentre riprendeva una postura più dritta per poter guardare in viso tanto lui quanto Mia. « Vi stupireste di quello che riesce a fare la gente a queste povere creature. Fidatevi, da quando faccio il volontario qui, ne ho viste di tutti i colori. I cuccioli di solito sono quelli che ce l'hanno più facile: vengono adottati abbastanza in fretta perché sono piccoli e carini. » Fece una smorfia, il bibliotecario, inarcando un sopracciglio per sottolineare il proprio sguardo pregno di biasimo. « Fanno più bella figura quando pubblichi le foto su Wiztagram, no? Ma i più grandi.. eh, quelli non sono abbastanza aesthetic per alcuni. » Passò lo sguardo dall'uno all'altra in silenzio, facendogli poi cenno con la mano di seguirli verso un altro recinto più isolato. Senza ribattere, Raiden lasciò il cucciolo assieme ai suoi compagni, seguendo il giovane warlock fin quando questo non si fermò di fronte a un cane più cresciuto che se ne stava accucciato a sonnecchiare in un angolo. Quando si accorse della loro presenza, l'animale aprì le palpebre, osservandoli senza muoversi dal posto. Per quanto strano fosse dare dei connotati in qualche modo umani a quelle creature, la prima cosa che Raiden pensò quando incrociò gli occhi del cane, fu che questo avesse uno sguardo triste - come rassegnato. « Ma quello è un Dobermann? » Annuì, Eliphas, scavalcando il recinto per raggiungere il cane e inginocchiarsi accanto a lui, carezzandolo con gentilezza. « Questo lo facevano combattere. Quando lo abbiamo salvato era in uno stato pietoso. Dai segni che aveva, credo che l'abbiano picchiato parecchio. È stato molto difficile curarlo: aveva tanta paura delle persone.. ringhiava contro tutti. Come biasimarlo! » Sospirò, volgendo lo sguardo a Mia e Raiden. « Sta qua da due mesi. Adesso si è abituato alla nostra presenza e ha capito di essere al sicuro. Penso avesse solo bisogno di un po' di affetto e cure. Però vede tanti cagnolini andare e venire, mentre lui è sempre quello che rimane qua. » Coscientemente, Raiden si rendeva conto del fatto che Eliphas stesse tentando di convincerli ad adottare lui piuttosto che uno di quei cuccioli che sicuramente sarebbero stati comunque presi da qualcun altro. Eppure in cuor suo quelle parole fecero comunque presa, forse perché nell'esperienza di quell'animale vedeva qualcosa che lui meglio di chiunque altri poteva comprendere. Scavalcò quindi il recinto, avvicinandosi con cautela all'animale per non spaventarlo - incerto di come avrebbe potuto reagire alla presenza di un estraneo. Non si stupì quindi più di tanto quando vide il cane farsi un po' più vigile; si mosse lento, con pazienza, mettendosi pian piano a sedere ad una distanza che potesse intimidirlo il meno possibile. « Hey.. non ti faccio male, lo prometto. Lo so come ci si sente. » disse pacato, avanzando con cautela una mano per dar modo all'animale di annusarlo e decretare da sé se gli avrebbe permesso di farsi toccare o meno. Si prese il suo tempo, ma alla fine guaì, poggiando il muso sul palmo di Raiden e sollevando lo sguardo verso il suo viso. Sorrise, il giapponese, grattandogli con dolcezza la mascella mentre si faceva lentamente più vicino e avanzava anche l'altra mano per carezzargli il dorso. « Sei un coccolone, eh? » Ridacchiò felice, grattandolo dietro le orecchie quando questo appoggiò docilmente il muso sulla sua coscia. « Sì, è molto buono. Era solo un po' diffidente all'inizio - giustamente, direi. Ma adesso ringhia molto di rado e si fa accarezzare senza problemi. Lo sa che gli vogliamo bene - vero, cucciolone? » Una risata abbandonò le labbra del giovane warlock, che diede qualche carezza veloce sulla pancia dell'animale, portandolo subito a scodinzolare felice per le attenzioni. « Il suo aspetto può un po' intimidire, ma è un grande e grosso bonaccione. » Lo sguardo bonario di Raiden passò dal cane al volto di Mia, come a voler sondare la sua disposizione a riguardo prima di tornare nuovamente ad Eliphas. Non voleva mandarlo via e risultare sgarbato, ma allo stesso tempo voleva avere quel confronto con Mia senza farla sentire in qualche maniera messa all'angolo dalla presenza dello warlock. « Possiamo..? » Ma Eliphas capì al volo, annuendo con un sorriso prima di alzarsi e tornare dall'altra parte del recinto. « Certo certo. Vi lascio un po' di spazio. Parlatene, conoscetelo, guardate anche gli altri cagnolini. Insomma.. prendetevi tutto il tempo che volete. Poi quando avete deciso fatemi un fischio. » Sorrise al ragazzo, aspettando che se ne fosse andato prima di tornare con lo sguardo a Mia. Rimase per qualche istante in silenzio, continuando ad accarezzare il cane che ormai sembrava aver preso la propria posizione e non volerne sapere di muoversi da lì. « Cosa ne pensi? » Fece una pausa, sospirando mentre tornava con lo sguardo all'animale. « Non so.. forse un cucciolo è più semplice da addomesticare. E col bambino, forse si abituerebbe più in fretta. Però se nessuno dovesse volerlo? » Fece una pausa. « Ne ha passate così tante. » E avrebbe davvero bisogno di una casa e di tanto affetto. Era evidente che qualcosa nella storia di quel cane lo avesse colpito su un punto nevralgico del suo animo - uno che in quella storia riusciva a vedere un parallelismo con la propria. Inconsciamente, forse, Raiden vedeva in quell'animale un punto interrogativo aperto: ciò che sarebbe potuto capitare a lui stesso se non fosse uscito dalla vita di soprusi che aveva condotto e non avesse trovato il tipo di affetto capace di farlo sentire al sicuro. È così brutto, vivere sempre con la guardia alzata. È orribile non fidarsi di nessuno, non sentirsi amati, conoscere solo la violenza dagli esseri umani. Sollevò lo sguardo negli occhi di Mia, sorridendo tra l'amaro e intenerito. « So che ne hai già uno di grande e grosso bonaccione con problemi di fiducia, ma ci sarebbe spazio per un altro? »

     
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    « Una via di mezzo.. wow, Mia.. WOW! » Sgranò gli occhi, Mia, osservando Raiden un po' sorpresa, come se si aspettasse una reazione completamente differente. Aspetta ma io non dicevo tipo un cane al posto di un bambino. Cioè sì, tipo per ora, ma giusto per un po', così per avere una via di mezzo.. Più ci pensava, più quelle parole iniziavano ad assumere un senso completamente distorto persino nella sua testa. Il problema di Mia era che non pensava mai sufficientemente prima di aprire bocca, e quando pensava, ci pensava anche troppo. In definitiva non riusciva mai a trovare quella fatidica via di mezzo che sembrava auspicasse. Un compromesso che avrebbe voluto ritrovare tanto dentro di sé, quanto all'esterno. Sono proprio un casino, vero? Scosse infatti la testa, grattando il capo di uno dei cuccioli, stringendosi nelle spalle mentre arrossiva violentemente, colta da un leggero velo di vergogna. Ormai iniziava a capire i segnali dei suoi stessi errori. Bastava ripetere mentalmente ciò che faceva e diceva, per rendersi conto che avrebbe solo avuto bisogno di pensarci giusto un po' di più. Riflettere, magari respirare, contare fino a dieci. « Va beh.. non intendevo quello.. io.. » Probabilmente, se avesse approfondito la questione avrebbe solo rovinato il momento. Non ci volevano poi troppe spiegazioni in merito, né parlare di cose ipotetiche. Un bambino c'era in ogni caso, e prendere un cagnolino significava semplicemente portare un altro amico a quattro zampe a casa. A volte forse, Mia doveva imparare a giustificarsi meno. Non c'era bisogno di spiegare ogni processo mentale; in cuor suo pensava che così facendo avrebbe reso le sue stesse azioni più meritevoli, più giuste, che sarebbero state ulteriormente apprezzate. Quella fame di affermazione sembrava dominare persino le questioni più futili della sua esistenza, come se fosse costantemente in competizione con se stessa, ma fino a un punto in cui poteva diventare ben poco salutare. « ..non importa.. volevo comunque che tu potessi scegliere un cucciolo, se ne hai voglia. » Si inumidisce le labbra e torna a osservarlo sorridendo con dolcezza. « Sarebbe una responsabilità in più. Però i cagnolini sono un sacco affettuosi. » E danno un sacco di coccole. Tantissime. Ridacchiò divertita mentre accarezzava il piccolino tra le braccia del moro. « Grazie.. davvero, Mia. È un bellissimo pensiero. E poi abbiamo posto per un altro pelosone, no? Vero che ce l'abbiamo? Sì che ce l'abbiamo. » Di fronte a quell'immagine, Mia estrasse il telefono dalla tasca della giacca, facendo partire un video, completamente rapita dalla genuinità di quel momento. Erano momenti semplici, quelli, che tuttavia voleva ricordare, perché la felicità e la dolcezza nei grandi occhi del moro era talmente coinvolgente che meritava un posto d'onore nella galleria piena zeppa di ricordi che stavano via via costruendo insieme. « È carino, vero? » Il musetto del cucciolo annusò l'obiettivo del telefono, costringendo Mia ad abbassare il telefono per avvicinare il viso al suo musetto umido, ridacchiando felice non appena prese a riempirla di baci e tenere attenzioni. L'entusiasmo del piccolo la lasciò senza fiato. Carezzò il suo capo con gentilezza, posando il naso contro il suo muso, andando incontro ad altre tenere manifestazioni di affetto colme di gioia. « Tu vuoi proprio venire a casa con noi, eh? » Scostò lo sguardo dal cucciolo per incontrare gli occhi scuri di Raiden, stringendosi nelle spalle. Forse la scelta era già stata fatta. Un po' amore a prima vista. « È una femmina. Una ruffiana di prima categoria. Una nostra collaboratrice l'ha trovata fuori Londra ai margini di un'autostrada. Qualche stronzo ha abbandonato là una cucciolata di quattro. I fratellini hanno provato ad attraversare e non ce l'hanno fatta. » Una storia che le spezzò il cuore. Guardò intensamente la cucciolina tra le braccia di Raiden, sentendo la netta sensazione di accarezzarle ancora il pelo, farla sentire al sicuro, protetta. Nessuno dovrebbe sentirsi solo al mondo. Abbandonato. Non riusciva neanche a immaginare quale tipo di persona potesse abbandonare un esserino così dolce in mezzo a una strada. « Vi stupireste di quello che riesce a fare la gente a queste povere creature. Fidatevi, da quando faccio il volontario qui, ne ho viste di tutti i colori. I cuccioli di solito sono quelli che ce l'hanno più facile: vengono adottati abbastanza in fretta perché sono piccoli e carini. Fanno più bella figura quando pubblichi le foto su Wiztagram, no? Ma i più grandi.. eh, quelli non sono abbastanza aesthetic per alcuni. » Scosse la testa, la mora, piuttosto contrariata. Wiztagram era problematico, dall'inizio alla fine. La gente tendeva a usarlo per proiettare un'immagine di sé assolutamente non vera. Mia, dal canto suo, lo utilizzava un po' perché voleva condividere con i suoi amici immagini significative, un po' perché a volte era semplicemente divertente postare qualche cavolata. Non aveva un gran seguito, né faceva nulla per averne di più. Il più delle volte, molte delle foto e dei video che riprendeva restavano semplicemente nella sua galleria, perché non sentiva il bisogno di mostrarli al mondo. Alcune cose, come quel momento appena ritratto, erano semplicemente troppo intime. Il resto del mondo non avrebbe capito per quale ragione certe immagini erano così preziose per lei. Per loro quello è un bel ragazzo con un cagnolino in braccio - il lato tenero di un professore. Per me ritrae l'essenza del ragazzo che amo, la sua tenerezza e capacità di stupirsi davanti alle cose più semplici. Uno dei tanti motivi per cui io ti adoro. Infine, diede un'ultima carezza alla cucciola, prima di seguire Eliphas attraversando un piccolo cortile, lungo il quale, diversi recinti accoglievano cuccioli e animaletti più o meno simpatici. C'erano diversi bambini intenti a giocarci e anche qualche volontario pronto a curarsi del benessere degli animali. Si fermarono solo quando, giunti davanti a un recinto leggermente più isolato, Eliphas si fermò osservandoli con una certa attenzione. « Ma quello è un Dobermann? » Un cagnolone, insomma. Seppur di razze diverse, la stazza del cane le ricordò vagamente Aramis. Un bestione grande e grosso, ma non per questo meno affettuoso. « Sta bene? » A differenza di altri animali, il Doberman in questione non ebbe nemmeno la curiosità di avvicinarsi ai visitatori. Se ne stava lì, nel suo angolo, con un'aria che Mia avrebbe definito rassegnata. « Questo lo facevano combattere. Quando lo abbiamo salvato era in uno stato pietoso. Dai segni che aveva, credo che l'abbiano picchiato parecchio. È stato molto difficile curarlo: aveva tanta paura delle persone.. ringhiava contro tutti. Come biasimarlo! Sta qua da due mesi. Adesso si è abituato alla nostra presenza e ha capito di essere al sicuro. Penso avesse solo bisogno di un po' di affetto e cure. Però vede tanti cagnolini andare e venire, mentre lui è sempre quello che rimane qua. » Accidenti, Eliphas, dovresti fare le televendite. Ti odio. In cuor suo, Mia avrebbe preferito di gran lungo prendere un cucciolo; un po' perché abituare i gatti e il coniglio alla sua presenza sarebbe stato più facile, e un po' perché gestirlo sarebbe stato più semplice. Avere un inquilino già cresciuto significava trovare una via di mezzo tra le loro esigenze e un carattere già formato. Eppure, quella storia la fece comunque sentire una disgraziata all'idea di aver desiderato un cucciolo. Sollevò quindi lo sguardo sul volto di Raiden per tastarne le reazioni, prima di vederlo avvicinarsi al recinto per scavalcarlo. Assistere al primo approccio tra quei due le spezzò il cuore. Che la storia del cucciolone avesse colpito nel segno era evidente; e non solo con Raiden. Per quanto Mia avesse una visione più superficiale di tante cose, l'idea di contribuire a quella mentalità così ingiusta, che privilegiava solo i cuccioli, la fece sentire estremamente in colpa. Dopo qualche istante di titubanza, non appena Eliphas prese le distanze, Mia scavalcò a sua volta il recento con estrema cautela, andando incontro a Raiden e al cagnolone lentamente, timorosa di spaventarlo oppure di suscitare in lui una reazione di diffidenza. Si piegò sulle ginocchia allungando una mano in direzione del animaletto, dandole il tempo di decidere il da farsi. E seppur inizialmente indietreggiò appena di qualche passo, quasi intento a negare a se stesso l'idea che una seconda presenza volesse dargli attenzioni, alla fine, sotto lo sguardo gentile della ragazza, che pazientemente attese che le emozioni del cane si stabilizzassero, alla fine decise di tornare ad avvicinarsi ad entrambi, lasciandosi accarezzare. Bravissimo. In fondo qui siamo un po' tutti cani randagi. « Ciao Picci! Ce l'hai un nome? » Animali grandi o piccoli, per Mia erano comunque Picci e ricevevano da parte sua la stessa vocina un po' infantile, accompagnata da una gentilezza e pazienza che solitamente non riservava al mondo. Infine incontrò lo sguardo di Raiden, osservandolo con attenzione. Sembra proprio che voi due avete preso una decisione. Ed effettivamente, a ben guardare, il cane sembrava aver già deciso che il moro non solo era abbastanza affidabile da potergli stare attorno, ma era anche abbastanza comodo da ridurre le distanze. « Cosa ne pensi? Non so.. forse un cucciolo è più semplice da addomesticare. E col bambino, forse si abituerebbe più in fretta. Però se nessuno dovesse volerlo? Ne ha passate così tante. So che ne hai già uno di grande e grosso bonaccione con problemi di fiducia, ma ci sarebbe spazio per un altro? » Istintivamente si sollevò appena per posare un bacio sulla tempia di lui, prima di circondargli le spalle con un braccio facendosi più vicina. Poi volse lo sguardo verso il cagnolone, allungando ancora una mano nella sua direzione con gentilezza e cautela. Attese un po' per scorgere le sue reazioni e quando comprese che si sarebbe lasciato accarezzare prese a lasciargli qualche grattino con dolcezza il capo. « Ma guarda, ama i grattini come un altro cucciolone di casa. » Disse ridacchiando. « Ovviamente sto parlando di Ringo. » Gli stampò un altro bacio sulla guancia, poggiando il mento sulla spalla di lui, osservando tutti quei piccoli dettagli che tanto amava. Le microespressioni quasi impercettibili sul suo volto, gli occhi colmi di compassione con cui osservava quell'animaletto così bisognoso di affetto. « Potrebbe creare un po' di problemi di convivenza. » Asserì ad un certo punto, non provando una vera preoccupazione in merito. Troveremo una soluzione vero? Un po' alla volta si abitueranno l'uno alla presenza degli altri e viceversa. « Però a casa nostra siamo un po' tutti trovatelli.. un po' imperfetti. Poco wiztagrammabili. » Si stringe nelle spalle e abbassa lo sguardo a guardare ancora una volta il cagnolone. « Ci siamo un po' tutti raccattati a vicenda. No - raccattati no.. - ci siamo un po'.. trovati, ecco. Nessuno sembrava volere davvero l'altro; o meglio, nessuno voleva ammettere di avere bisogno dell'altro. » Istintivamente abbassò lo sguardo sul proprio ventre, tenuto al caldo dal pesante maglione che aveva indosso. Io non avevo bisogno di te Picci. Però ora ti voglio da morire. Nemmeno Ringo e Mochi si tolleravano all'inizio, e ora sono Il Mignolo col Prof. Non volevano Aiko, e ora corrono insieme inseguendosi per tutta casa. Per non parlare di noi due. Io e te abbiamo fatto un po' di tutto per non volere questo e quello e non accettare le posizioni dell'altro. E guardaci ora. Siamo sposati e a breve avremo un bambino. « Quando il bambino nascerà, anche un cucciolo sarebbe abbastanza grande, quindi non credo che farebbe poi molta differenza. E poi.. » E dicendo ciò avvicinò il volto appena in direzione del cane. « ..scommetto che a te il nostro fagottino piacerà vero? Gli vorrai tanto bene. » In tutta risposta, il cane si allungò appena per annusare l'aria, per poi iniziare a scodinzolare. « Si, è proprio così. Visto? » Era certa che gestire un cane adulto non sarebbe stato semplice come avere un cucciolo, ma era chiaro ci fosse stato un certo feeling specialmente tra lui e Raiden. A questo punto qualunque altro cucciolo sarebbe un ripiego per te, non è vero? Tu vuoi lui. E quindi annuì con convinzione. « Chiamo Eliphas per firmare i moduli. Ti portiamo a casa, Picci, dove ti aspetta un bel bagnetto profumatissimo. » E a casa ce lo avevano portato. Le divergenze non erano state poche, a tal punto che, per tentare di dare modo ai vecchi inquilini di famigliarizzare con il nuovo membro della famiglia, avevano dovuto castare un incantesimo sulle due stanze libere con la porta comunicante di mezzo, permettendo ai gatti e al coniglio di abituarsi all'idea che quel nuovo membro della famiglia era lì per restare. Mia si era seduta a terra nella stanza degli ospiti, dove avevano sistemato già diverso tempo prima il coniglio, lasciando che Raiden e il cucciolone si sistemassero nell'ufficio di lui. E così, un po' alla volta, li avevano portati sempre più vicini allo stipite della porta dando loro modo di annusarsi, anche se a distanza e famigliarizzare gli uni con gli altri. Tra gli soffi di Ringo e Mochi e l'abbaiare del nuovo coinquilino, le cose erano state a tratti divertenti, a tratti tragiche, ma dopo diverse ore, le acque iniziarono già a calmarsi, tant'è che il primo a cui venne permesso di varcare la porta dell'ufficio di Raiden fu proprio Aiko. Coi gatti sarebbero stati più attenti, specie perché temevano un'azzuffata di primo ordine tra morsi e graffi. Non era certo la prima volta che dovevano portare avanti trattative diplomatiche di quel tipo. Ringo e Mochi non erano stati da meno. Però, aveva la consapevolezza che il loro impegno sarebbe stato ripagato. Faremo funzionare anche questo. Noi facciamo funzionare un po' tutto. E poi, la felicità negli occhi di Raiden ne era la conferma. Quel cane l'aveva trovato; forse, si erano trovati a vicenda. E Mia avrebbe amato anche lui così come amava il suo nuovo padroncino. Più tardi, mentre cenavano, lo sguardo verde acqua della mora si posò sul volto di Raiden. « Stavo continuando a pensare a quella cagnolina. Quella che avevamo visto prima.. » Abbassa lo sguardo sul proprio piatto e deglutisce. « Non possiamo permettercene un altro, ora.. è un lavoro a tempo pieno far convivere le bestie che già abbiamo. Però.. » Sollevò nuovamente lo sguardo solo dopo un po'. « ..stavo pensando.. potremmo regalarla a Grace per Natale. Oppure a Eriko.. se le piacciono i cagnolini. Non so.. una parte di me vuole comprarsi il suo benvolere a colpi di cuccioli.. lo so è un botto stupido. Però.. non so.. magari si sente un po' sola. Io mi sono sentita un po' meno sola quando ho trovato Ringo. Un piccolo compagno peloso aiuta molto a trovare il proprio posto. »

    L'apprensione che aveva provato appena Raiden le aveva raccontato di quanto avvenuto con Delilah, l'aveva scossa terribilmente. Staranno bene? Mia aveva insistito affinché andassero direttamente al San Mungo per raggiungere Jeff e non lasciarlo da solo in attesa degli accertamenti, ma a dire il vero, poco dopo, un messaggio da parte dello stesso ragazzo li annunciava che Lilah stava bene e che sarebbero tornati a casa di lì a poco. Insomma, non c'era nulla da fare, e così, a Raiden e Mia non restava che chiudere con quella festa. In verità, Mia aveva promesso a Ronnie che l'avrebbe aiutata a mettere apposto non appena avessero finito; la festa si sarebbe comunque sedata da sé non appena il Suspiria avrebbe aperto le porte per la programmazione nottura e così, aveva proposto a Raiden di uscire di lì finché la sala non si fosse svuotata. Considerato poi che il Toyland avrebbe chiuso attorno alla mezzanotte, tutto ciò che dovevano fare era aspettare che lentamente la gente prendesse la strada di casa o alla ricerca di qualche altro svago per la serata. Abbracciata al grande coniglio peluche, gli fece cenno di seguirla fuori dalla sala giochi, ritrovandosi lungo un ampio spazio illuminato da luci stroboscopiche che portava verso una serie di negozi ormai chiusi e verso il cinema, la cui programmazione stava giungendo a termine. Mia gettò uno sguardo a Raiden, indicandogli la direzione delle sale stringendosi nelle spalle. « Sei mai stato in una sala vuota? » Una forma di curiosità infantile si dipinse sul suo volto mentre camminava all'indietro, lungo corridoio che conduceva alle varie sale. È lì che avevano visto Dirty Dancing insieme. Da allora ci erano tornati qualche volta, ma senza una grande assiduità. Solitamente poi, ci andavano insieme a Jeff e Delilah, e Mia doveva necessariamente dare man forte all'amica, votando per un film estremamente zuccheroso, che a detta sua era terrificante, solo per poi appollaiarsi sulla spalla di Raiden, abbracciando il suo avambraccio con la tessa convinzione con cui ora abbracciava il peluche. « Oddio.. » Disse battendosi di colpo il palmo sulla fronte. « Ricordi quella volta che siamo andati al cinema insieme la prima volta? Quando abbiamo incontrato Jeff e Delilah e lei aveva quell'orso enorme.. » Sgranò gli occhi scuotendo la testa. Quanto li abbiamo presi in giro. Ai tempi ci sentivamo così dannatamente fuori dal tunnel. Noi eravamo migliori, perché scopavamo senza complicazioni, mentre loro sentivano questo bisogno di mettersi addosso l'un l'altra un'etichetta di appartenenza. Mia l'aveva sul dito ormai, la sua etichetta, e di base, lei e Raiden erano andati molto più in là e molto più velocemente. « Sono proprio diventata Lilah vero? Ora qualcuno mi chiederà del mio peluche coniglio e io me ne uscirò con me l'ha regalato Raiden - hai presente mio marito Raiden? Raiden chiappe di acciaio che piace a tutte!. Tradotto: tu pezzente insensibile che trovi tutto ciò divertente e stupido, non capisci proprio niente. » Alzò gli occhi al cielo, mentre svoltava a destra proprio verso la sala numero due. Quella in cui erano andati insieme la prima volta. Ricordava si fossero seduti da qualche parte a metà sala. E infatti a occhio, Mia imboccò proprio quella fila, sedendosi più o meno nella stessa area in cui si erano seduti allora. Prima che Raiden potesse piazzarsi proprio accanto a lei, posò il coniglio tra loro due, osservandolo con un'espressione un po' dispettosa. Poi volse lo sguardo verso lo schermo bianco, incrociando le braccia al petto, mentre scivolava un po' più in basso sulla sedia, fino a spingere le ginocchia contro il sedile davanti.
    « Lo so che ho detto che sarebbe stato divertente.. ma.. » Tirò un lungo sospiro, scuotendo la testa. « ..io non mi sono divertita. Per niente. La gente.. quei stupidi.. stupidi.. stupidissimi vischi! » Si sfrega le mani, provando un senso irrazionale di fastidio e rabbia, mentre stringe le labbra mordendosi l'interno della guancia. Non solo non si è divertita, ma quello stupido gioco dei vischi le si è completamente ritorto contro. Pensa tante cose in quel momento, nessuna delle quali è propriamente razionale. Ember che lo bacia, lo scontro, il relativo momento in cui ha inveito contro la rossa urlandole contro come se fosse isterica. Scocca la lingua contro il palato e scuote la testa. Ho fatto proprio la pazza. Ora tutti penseranno che sono sono fuori di testa. « Volevo spaccarle la testa. » Quella nota di rabbia, fuoriesce dalle sue labbra in maniera sin troppo violenta. Seppur fosse solo un fraintendimento, Mia sentiva un irrazionale senso di territorialità. Qualcosa di cui non pensava nemmeno di essere capace. Quando lei e Raiden uscivano in maniera disimpegnata, Mia era spesso gelosa anche di questioni puramente ipotetiche, ma l'idea di mostrarlo confliggeva col suo non voler apparire come una fidanzata psicopatica. Ecco.. sono diventata una fidanzata psicopatica. È proprio così. Sono arrivata a quel punto. Provò un senso di vergogna, che si tradusse in un violento quanto improvviso arrossire. « Però quella è solo una parte della storia. Il problema non è Ember. È.. tutto.. tutto il resto, Raiden! » Su quelle ultime parole, la voce di Mia si alzò di tre ottave tutta insieme. Tentava di mantenere a freno la rabbia e la frustrazione, senza riuscirci più di tanto. « Non ci rispettano. Non ci vogliono. » Si stringe nelle spalle mentre si tira su a sedere, accavallando le gambe nervosamente. « Non rispettano me e te - il nostro matrimonio - e non rispettano la nostra gente. E stasera tutto si è mischiato in questo pentolone tra le nostre faccende private in cui - cazzo! - se mettono ancora bocca, io ti giuro Raiden, non mi controllo più. Le butto giù dalla torre di Astronomia a quelle stronze! » Annuiva con convinzione, consapevole del fatto che in circostanze davvero pesanti, Mia l'avrebbe fatto davvero. Quella sera le ci era voluto così poco per perdere il controllo. « Va beh hanno messo in mezzo noi e i lycan. E ci hanno dato contro in ogni modo. » Si passa una mano tra i capelli e si gira verso di lui, osservandolo con un'espressione esasperata. « Non c'entra neanche il fatto che tu sei un professore e io una studentessa. Se la sarebbero presa con me.. in ogni caso - boh probabilmente perché io non merito di stare col miglior studente del Corso Auror, o perché un tenente dovrebbe uscire con una tipa alla sua altezza.. non una che.. non sa neanche contare fino a dieci. Questa roba è letteralmente un pretesto. Ok che sono in fissa con te.. ma tutto il resto non c'entra proprio nulla! » Scuote la testa mentre colpisce la testa del coniglio ad ogni parola. « Se la sono presa pure con Ronnie.. perché i suoi hanno combattuto con Byron Cooper. » Si stringe nelle spalle a quel punto. « Non mi va di ignorarle! Io non le ignoro più! Queste qua erano nel Lockdown e sono vive anche grazie a me. Al Branco! E ora fanno così.. » No. Non mi va proprio giù. Di scatto si prende la testa tra le mani e sospira. « Vorrei tanto una sigaretta e mezza bottiglia di Incendiario ora. » Ma il massimo che posso permettermi è scofanarmi ogni cosa presente nei distributori automatici. Col rischio di stare pure male dopo. « Non è giusto. Tipo tutto! Tipo che ad un certo punto forse si meritano questa cazzo di sorte che tocca a tutti loro! Faremo meglio a smettere proprio. Per cosa cazzo stiamo lottando? Per chi! In America le cose non vanno meglio. In Giappone siamo stati sterminati prima che qualcosa si muovesse. Deve succedere la stessa qui? » Strinse i denti. « Non ci sto. »



     
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    Uscito da quella festa, Raiden aveva immediatamente percepito le proprie spalle alleggerirsi e la tensione scivolar via dai propri muscoli. Varcare quella soglia era stato come uscire da un'apnea in cui nemmeno sapeva di essere entrato, potendo finalmente tornare con la testa in superficie e respirare fresco ossigeno che mai era stato più soddisfacente di così. Sebbene fosse cosciente che presenziare o meno non avrebbe probabilmente evitato quella rissa che si era scatenata, il giovane professore non poteva fare a meno di pensare che in parte fosse colpa sua e che tante cose non sarebbero accadute se solo se ne fosse rimasto al proprio posto. Dovevo ascoltare quella sensazione iniziale. Veronica avrebbe capito, Mia avrebbe capito, le persone di cui mi interessa davvero avrebbero tutte capito. Ma no, ho dovuto per forza sfidare la sorte - ed ecco cosa è capitato. Non c'entrava nulla, non aveva fatto nulla, e comunque si sentiva in colpa un po' per tutto quanto: specialmente per ciò che era accaduto a Delilah e che l'aveva giustamente fatta andare nel panico. Pensandoci sopra, non riusciva a smettere di chiedersi come avrebbe reagito se una cosa del genere fosse capitata a Mia - la quale da quell'azzuffata ne era uscita senza un graffio solo per una questione di fortuna. D'altronde, si sa, l'addestramento ha ben poco a che fare con mischie del genere, e per quanto capace puoi essere, uno spintone o un cazzotto te lo puoi beccare tanto facilmente quanto gli altri. In quella circostanza, Raiden sentiva di aver oltrepassato un limite e di dover tracciare una linea più netta tra il proprio lavoro e la vita privata. Feste come quella, ad esempio, era meglio che le evitasse: la sua presenza, a maggior ragione per l'età che aveva, non era affatto appropriata. Lo sapeva bene che quelle voci sarebbero girate e che l'argomento sarebbe venuto a galla durante una delle riunioni successive alla pausa natalizia: lo sapeva fin troppo bene, e a onor del vero non aveva la più pallida idea di come avrebbe potuto giustificarsi per un simile accaduto. Perché tanto alla fin fine sarò comunque io a dovermene assumere la responsabilità. « Sei mai stato in una sala vuota? » Quella domanda lo distolse parzialmente dai propri pensieri, portandolo a scuotere il capo un po' distratto mentre ancora continuava a rimuginare su quanto successo quella sera. « Oddio.. Ricordi quella volta che siamo andati al cinema insieme la prima volta? Quando abbiamo incontrato Jeff e Delilah e lei aveva quell'orso enorme.. » Sorrise tra sé e sé al ricordo evocato, sbuffando una risata dalle narici al pensiero di Delilah che stringeva con orgoglio il proprio orso peluche. « Continuo a chiedermi se abbiano pagato il biglietto pure per l'orso. Sul serio. » Io glielo avrei fatto pagare solo per l'idea di portarsi una roba del genere al cinema. « Sono proprio diventata Lilah vero? Ora qualcuno mi chiederà del mio peluche coniglio e io me ne uscirò con me l'ha regalato Raiden - hai presente mio marito Raiden? Raiden chiappe di acciaio che piace a tutte!. Tradotto: tu pezzente insensibile che trovi tutto ciò divertente e stupido, non capisci proprio niente. » Quelle parole riuscirono a strappargli una risata genuina, portandolo ad avvolgere un braccio attorno alle spalle di Mia e stamparle un bacio sulla tempia. « Raiden chiappe d'acciaio mi piace come soprannome. Forse dovrei metterlo nella bio di Wiztagram.. sai.. per dovere di cronaca. Insomma: c'è voluta fatica per metterle su! » Ridacchiò, scoccandole un'occhiata con la coda dell'occhio. « Inserirei i credits, ovviamente. » Non ti ruberei mai il merito di un simile colpo di genio. E poi se te lo dici da solo non fa proprio lo stesso effetto. Imboccata una delle file della sala, il giapponese fece per prendere posto accanto a Mia, ma lei fu decisamente più svelta nel piazzarci il peluche poco prima che lui riuscisse a mettersi seduto. Le rivolse un'occhiata per metà ironica e per metà interrogativa, ma non ricevendo risposta, si limitò a tirare un sospiro e piazzarsi accanto al pupazzo. « Lo so che ho detto che sarebbe stato divertente.. ma.. io non mi sono divertita. Per niente. La gente.. quei stupidi.. stupidi.. stupidissimi vischi! Volevo spaccarle la testa. » Abbassò lo sguardo, fissando gli occhi sulle dita che tormentavano i filacci dello strappo sui jeans in corrispondenza del proprio ginocchio. Scosse leggermente il capo tra sé e sé, mordicchiandosi l'interno della guancia in un moto di frustrazione e nervosismo. « Non sono i vischi, Mia. Quelli.. » cercò di trovare le parole adatte per qualche istante, ritrovandosi poi a sospirare e stringersi appena nelle spalle « ..ci stanno ad una festa così. Magari avrebbero creato qualche dramma lo stesso, ma tra compagni ci si ride sopra nel giro di una settimana. » È così a scuola ed è così al college: tutto sembra la fine del mondo per cinque minuti, e poi viene dimenticato dietro all'ultima novità, all'ultimo gossip, all'ultimo intreccio. Scosse il capo con più decisione, voltandosi a guardare Mia mentre poggiava la nuca contro lo schienale del sedile. « Ho sbagliato io. Non sarei dovuto venire. Me lo sentivo, però ho pensato che in mezzo a tutta quella gente.. bo.. sarebbe stato come l'anno scorso. In fin dei conti ho ventidue anni: non stono con l'ambiente. » Fece una pausa, picchiettando l'indice sul bracciolo come se stesse metaforicamente indicando il punto del discorso. « Ed è questo il problema. Che ad occhio sono uguale a tutti gli altri, ma non mi dovrei comportare come tale. » Sospirò di nuovo, tornando con lo sguardo allo schermo bianco e fissandolo in silenzio per qualche istante, come se si aspettasse che magicamente vi sarebbe comparsa una risposta ai dubbi che gli affollavano la mente. Si passò una mano tra i capelli, velocemente, facendo schioccare la lingua contro il palato. « Un conto sono i nostri amici e un conto sono queste cose più in grande. E per colpa della mia superficialità ci ha rimesso Delilah. » Coscientemente sapeva che l'amica non gliene avrebbe mai fatto una colpa, ma ciò non toglieva nulla al suo sentirsi comunque responsabile. Perché va bene che non sono il centro del mondo o il motivo scatenante di tutto, ma questa roba non sarebbe accaduta se non fosse stato per me. La ragione principale per cui Raiden aveva scelto quel posto di lavoro era perché gli era stata negata fin dal principio la possibilità di entrare nel Corpo Auror - dove certamente le sue competenze sarebbero state più utili. Quella cattedra era l'unico barlume di dignità che non potevano negargli, e Raiden lo aveva colto al volo non appena aveva intravisto l'opportunità. Per mesi aveva vissuto con dolore e vergogna la situazione in cui si trovava, vedendosi privato di quel pizzico di amor proprio che un'occupazione ti dava; il ruolo di docente, invece, era riuscito a restituirglielo. E in questa equazione, non meno importante era la necessità che Raiden vedeva nell'avere una posizione di sostegno al matrimonio con Mia: checché lei ne dicesse, lui non si sarebbe mai sentito a posto con se stesso se non le avesse offerto anche quello. Le ripetizioni non avrebbero mai potuto darci uno stile di vita dignitoso. E io sono felice di potertelo offrire, anche se per te non è la cosa più importante. Sono felice di poterti portare fuori a cena e comprarti i fiori senza guardare troppo al saldo. Sono dei lussi sciocchi, lo so, ma per me fanno la differenza. Eccome se la fanno! Questo lavoro è fondamentale, e ora che abbiamo un bambino in arrivo lo è ancora di più. Ma queste mancanze di rispetto - il modo in cui ti trattano.. io non ho firmato per questo, e non dovrei essere costretto ad accettarlo. « Però quella è solo una parte della storia. Il problema non è Ember. È.. tutto.. tutto il resto, Raiden! Non ci rispettano. Non ci vogliono. Non rispettano me e te - il nostro matrimonio - e non rispettano la nostra gente. E stasera tutto si è mischiato in questo pentolone tra le nostre faccende private in cui - cazzo! - se mettono ancora bocca, io ti giuro Raiden, non mi controllo più. Le butto giù dalla torre di Astronomia a quelle stronze! » Le scoccò un'occhiata, interrogandola mutamente su quanto appena detto per ricevere ulteriori spiegazioni. « Va beh hanno messo in mezzo noi e i lycan. E ci hanno dato contro in ogni modo. » « Ma che cazzo c'entrano i lycan adesso? » Quella domanda gli uscì un po' esasperata, come se non riuscisse davvero a rintracciare il nesso tra le due cose, che ai suoi occhi apparivano mischiate in maniera totalmente casuale. « Non c'entra neanche il fatto che tu sei un professore e io una studentessa. Se la sarebbero presa con me.. in ogni caso - boh probabilmente perché io non merito di stare col miglior studente del Corso Auror, o perché un tenente dovrebbe uscire con una tipa alla sua altezza.. non una che.. non sa neanche contare fino a dieci. Questa roba è letteralmente un pretesto. Ok che sono in fissa con te.. ma tutto il resto non c'entra proprio nulla! » Su questo punto, Raiden non concordava troppo. Era certo che se non fosse stato per il ruolo che ricopriva, quelle studentesse non si sarebbero minimamente filate la sua esistenza. Neanche dopo tutto ciò che è accaduto in Giappone. Figuriamoci! Non gli interessa neanche di ciò che accade dentro casa loro! « Se la sono presa pure con Ronnie.. perché i suoi hanno combattuto con Byron Cooper. Non mi va di ignorarle! Io non le ignoro più! Queste qua erano nel Lockdown e sono vive anche grazie a me. Al Branco! E ora fanno così.. Vorrei tanto una sigaretta e mezza bottiglia di Incendiario ora. Non è giusto. Tipo tutto! Tipo che ad un certo punto forse si meritano questa cazzo di sorte che tocca a tutti loro! Faremo meglio a smettere proprio. Per cosa cazzo stiamo lottando? Per chi! In America le cose non vanno meglio. In Giappone siamo stati sterminati prima che qualcosa si muovesse. Deve succedere la stessa qui? Non ci sto. » Rimase per qualche istante in silenzio a guardarla, tamburellando le dita sul bracciolo. Prese quindi un profondo respiro, alzandosi dal posto per togliere di mezzo il peluche e piazzarlo dove lui si era precedentemente seduto. A quel punto, voltatosi in direzione di Mia, le porse la mano. « Vieni qua. » disse, intimandola ad alzarsi in piedi a sua volta; una mossa necessaria semplicemente a farla sistemare sulle proprie gambe quando si rimise a sedere accanto al pupazzo. Circondatale la vita con un braccio, la aiutò a trovare una posizione più comoda possibile, poggiandole poi una mano sul ginocchio per carezzarlo dolcemente col polpastrello del pollice in quell'abbraccio che sperava potesse darle almeno un po' di conforto. « Mi piace averti vicina. » disse a bassa voce, come una confessione, soffiandola sulla spalla di lei prima di posarvi un bacio gentile e stringerla un po' più a sé. A quel punto sollevò lo sguardo negli occhi di lei, scostandole qualche ciocca di capelli dal viso. « Una alla volta, ok? » Un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra nel porle quella domanda, sottolineata da un abbassamento del mento come a sottolineare quell'interrogativo retorico nel suo sguardo gentile. « Innanzitutto questa cosa del pallino fisso. » Sospirò, stringendosi leggermente nelle spalle. « È sterile, Mia. Sterile e stupida, da parte loro. Credi che a queste tipe interessi davvero qualcosa di me? Forse ad una - toh, due a farla grassa. Ma già il fatto che si siano espresse così sui lycan la dice lunga. » Va proprio a cozzare, capisci? Io sono un lycan. Pure uno dei più esposti, dati i recenti avvenimenti. « Si riassume tutto al fatto che sono professore e nient'altro. Questa gente fino all'anno scorso nemmeno registrava la mia presenza nei corridoi. È una cosa.. mh.. naturale. » Fece una pausa, puntando gli occhi in quelli di lei con più serietà. « E so gestirla, perché a Mahoutokoro è stata la stessa cosa quando ci sono entrato con una divisa addosso. E su questo punto, davvero, ignorale e basta, perché nella loro testa è solo una fantasia. Sono stuzzicate dall'idea, ma non c'è alcuna sostanza. » Su questo, Raiden ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Era chiaro come la luce del sole che quelle ragazze stessero lavorando di pura fantasia sull'idea di un ragazzo giovane che ricopriva un simile ruolo nei loro confronti. In Giappone tante cose erano diverse, e l'interesse delle ragazze nei suoi confronti aveva una natura leggermente differente, ma in soldoni la dinamica era la stessa. « Per il resto.. beh.. non posso dirmi troppo stupito neanche in questo caso. » Inarcò un sopracciglio, come a sottolineare quanta amarezza ci fosse in quella constatazione. « Le persone sono estremamente duttili, Mia. Sembrano fatte di coccio - specialmente quando parlano così. Sembrano irremovibili nelle loro stupide convinzioni. Ma la verità è che sono estremamente deboli. » Sono forse le più deboli. Quelle che sono convinte di tutto e che pensano di avere la verità in tasca, sono le stesse che di quei dogmi hanno bisogno perché altrimenti cadrebbero a pezzi. Ho imparato a mie spese che essere troppo fermi su una convinzione riguardo la realtà è il più grande sintomo di debolezza. « Hanno paura. Perché se dovessero dar retta a noi, o alle
    notizie del Gruppo Peverell, significherebbe accettare di essere inermi di fronte a un pericolo che nessuno sa davvero come estirpare. Andrebbero nel panico. Non è invece molto più rassicurante credere a ciò che gli dice la Gazzetta? Non è molto più semplice pensare che il problema siamo noi - un'entità fisica, identificabile e circoscritta? Non devono mettere nulla in discussione e non devono cambiare niente. Mentre se noi dovessimo aver ragione, tutto ciò che conoscono crollerebbe. »
    Sarebbero costretti a concepire la realtà in maniera totalmente diversa. E alcuni, semplicemente, non ce la fanno. Non ci riescono ad immaginare qualcosa di diverso senza vederlo come una minaccia alla sicurezza del già noto. Sospirò, stirando un sorriso amaro a quelle parole. « Noi dobbiamo combattere lo stesso. Sì, anche per queste persone. Non abbiamo scelta. » Scosse il capo. « Non dobbiamo farlo per il loro amore, né per il loro rispetto o per la loro riconoscenza. A loro non dobbiamo assolutamente nulla. Ma dobbiamo qualcosa a noi stessi, alla nostra gente e a tutti quei compagni che hanno perso la vita ingiustamente. » Non possono essere morti per nulla. E ristabilire l'ordine in Giappone non basta. Deve cambiare tutto - e questo non può avvenire fin quando non riusciremo ad imporci in un modo o nell'altro. Il corso degli eventi ne è la prova. « Con il loro rispetto o la loro approvazione, onestamente mi ci pulisco il culo. Sappiamo già su chi contare, e sappiamo già di essere forti se ci permettiamo di esserlo. » Sospirò, poggiando una mano sul ventre di Mia e abbassando lo sguardo su quel punto, sorridendo con più amore. « Noi un motivo per combattere ce l'abbiamo eccome. » Alzò quindi lo sguardo negli occhi di Mia. « Io voglio solo creare un mondo sicuro per la nostra famiglia e la nostra gente. Non mi interessa il giudizio degli altri. Non voglio che il nostro bambino conosca quel terrore che noi siamo stati costretti a vedere, o il dolore di perdere così tante persone care. Da questo.. noi dobbiamo proteggerlo. » La sola idea gli spezzava il cuore, e al contempo gli dava più forza per andare avanti anche a dispetto delle evidenti difficoltà che si trovavano di fronte a loro. « Voglio passargli un mondo migliore. Il migliore possibile. » Fece una pausa, ritrovandosi ad esalare una piccola risata. « Il nostro coniglietto ne vale la pena, non credi? »

     
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    « Una alla volta, ok? » Prese un lungo sospiro, sollevando lo sguardo sul volto del marito. Seppur fosse contrariata, provava un profondo senso di gratitudine nel captare la pazienza e la comprensione con cui Raiden trattava quelle questioni. Valorizzava sempre i sentimenti di Mia, anche quando poteva risultare stupidi o irrazionali, e tentava di farci i conti, di mettere ordine. Sentirsi validata, rendeva Mia estremamente duttile nei suoi confronti, pronta a riconsiderare i suoi obiettivi, le sue convinzioni, e rimettere in prospettiva cosa fosse rilevante rispetto alle ovvietà e le quisquilie del quotidiano. « Innanzitutto questa cosa del pallino fisso. È sterile, Mia. Sterile e stupida, da parte loro. Credi che a queste tipe interessi davvero qualcosa di me? Forse ad una - toh, due a farla grassa. Ma già il fatto che si siano espresse così sui lycan la dice lunga. » « Lo so che è sterile! » Ma mi dà fastidio lo stesso. So anche che non ci posso fare niente, che questa è la situazione attuale e che questo è quanto possiamo permetterci. Ma mi dà fastidio lo stesso. « Si riassume tutto al fatto che sono professore e nient'altro. Questa gente fino all'anno scorso nemmeno registrava la mia presenza nei corridoi. È una cosa.. mh.. naturale. E so gestirla, perché a Mahoutokoro è stata la stessa cosa quando ci sono entrato con una divisa addosso. E su questo punto, davvero, ignorale e basta, perché nella loro testa è solo una fantasia. Sono stuzzicate dall'idea, ma non c'è alcuna sostanza. » Su tutto ciò, Mia, poteva concordare solo in parte. Alzò infatti gli occhi al cielo, sospirando con un senso di leggera impazienza, smorzato solo dal sorriso che tentava di reprimere. Tuttavia, lo lasciò seguire il corso dei suoi stessi pensieri, ormai abituata a lasciare che Raiden segua il corso dei suoi pensieri. Si annota tuttavia per quanto possibile mentalmente ciò che vuole assolutamente dirgli. Perché in fondo, certe cose vorrebbe anche che lui le sentisse. Ed è proprio a ciò che pensa mentre ascolta un po' più distrattamente il suo discorso. Lo registra, ma la verità è che ad ogni sua parola, nella sua testa si diramano mille altri pensieri. « Noi dobbiamo combattere lo stesso. Sì, anche per queste persone. Non abbiamo scelta. Non dobbiamo farlo per il loro amore, né per il loro rispetto o per la loro riconoscenza. A loro non dobbiamo assolutamente nulla. Ma dobbiamo qualcosa a noi stessi, alla nostra gente e a tutti quei compagni che hanno perso la vita ingiustamente. » Non è la mancanza di affetto da parte loro che mi preoccupa. Mi preoccupa che potremmo risvegliarci con un fucile puntato alla testa. Che un giorno, la loro paura li porterà ad agire in un modo in cui non ce lo aspettiamo. L'ultima volta non ce lo aspettavamo. Ci hanno lasciato persone addestrate, bambini e ragazzi, neonati nella loro culla. Io non voglio nemmeno pensarci.. non posso pensarci. Non ora. Scostò infatti lo sguardo, scossa dal ricordo di quelle immagini, pizzicata da una forma di paura irrazionale. E se noi in primis stessimo agendo per paura. Se tutto quanto fosse unicamente riconducibile all'ignoto che deriva dalla totale assenza di fiducia tra noi e i maghi? Di colpo strinse le sue dita posando un bacio sulla tempia di lui, per poi avvolgergli un braccio attorno alle spalle per farsi leggermente più vicina. « Noi un motivo per combattere ce l'abbiamo eccome. » Di fronte al gesto di lui, Mia posò la mano sopra alla sua, carezzandogli le nocche con dolcezza. E schiuse le labbra, pur non sapendo cosa dire. L'amore di lui era disarmante, tanto quanto lo era la determinazione, la forza d'animo con cui decideva di non arrendersi, di non darsi per vinto, tanto meno di lasciarsi divorare dalla paura. « Io voglio solo creare un mondo sicuro per la nostra famiglia e la nostra gente. Non mi interessa il giudizio degli altri. Non voglio che il nostro bambino conosca quel terrore che noi siamo stati costretti a vedere, o il dolore di perdere così tante persone care. Da questo.. noi dobbiamo proteggerlo. Voglio passargli un mondo migliore. Il migliore possibile. Il nostro coniglietto ne vale la pena, non credi? » Lo sguardo commosso esprimeva tutta la gratitudine e l'ammirazione che Mia provava nei confronti di Raiden, tutto l'amore che non sapeva mettere in parole. E infatti, invece di tentare di dire qualcosa in merito, si sporse quanto necessario per andargli incontro unendo le proprie labbra a quelle di lui in un bacio semplice, senza pretese, dolce, ma non per questo meno intenso. Posò il palmo sulla guancia di lui, stampandogli infine un altro bacio sulla fronte, prima di sostituire a quel contatto la propria fronte, guardandolo con insistenza, tuffandosi nell'abisso che celava i suoi occhi scuri. « Coniglietto? » Chiede ridacchiando appena intenerita. « Abbiamo fatto l'upgrade da cosetto? » Si strinse nelle spalle stampandogli un bacio sulla punta del naso. « Mi piace. È tanto carino. Hai sentito Picci? Papà dice che sei un coniglietto e che salverà il mondo per te. » Disse quelle parole in un sussurro verso la propria pancia, come se stesse confessando un segreto solo al diretto interessato o alla diretta interessata. Infine sospirò e prese ad accarezzargli con gentilezza la guancia, distanziandosi di poco per poterlo guardare meglio. « Secondo me ti avrebbero visto comunque.. prima o poi. Come un bel ragazzo asiatico, ovviamente. » Rise di gusto, mentre continuava a lasciargli quelle carezze con cura. « Sei molto meno.. uhm.. comune di quanto ti piace apparire. E anche se molte tue qualità non le comprendono fino in fondo, perché non ti conoscono, secondo me le percepiscono. » Fece una leggera pausa, tempo in cui si inumidì appena le labbra. « Sei intelligente e preciso. E sei anche estremamente onesto.. integro. Sei equo, e sei la persona più diligente che io conosca. Ma tutto ciò non ti porta a sentirti superiore agli altri, o ad abusare delle tue qualità e della tua posizione. A tutto ciò le mie compagne non sono abituate. Chiunque al tuo posto avrebbe fatto il vero pavone. Ed è questo ciò che probabilmente si sarebbero aspettate. » Noi di pavoni siamo pieni. Tra i nostri colleghi, ma anche tra i nostri professori. Ne abbiamo avuti diversi di pavoni. Ne avremmo altri. « Credo che ciò che mi infastidisce di più di tutto questo è che.. io non credo sia una fantasia. Cioè sì.. ma non solo. La verità è che molte persone non possono concepire che tu sia così: giovane, brillante, bono e sposato. Per giunta con una che dai va beh.. lasciamo stare. » Cristo santo sei proprio l'uomo perfetto. Che cazzo, Raiden, ma perché mi devi far sembrare una fangirl di merda! Alzò gli occhi al cielo, arrossendo appena prima di ridacchiare di fronte al suo mischiare discorsi seri con chiazze di colore qua e là. Un modo per sdrammatizzare di tanto in tanto. « Ciò che mi infastidisce è che sotto sotto c'è proprio questo desiderio latente di spezzare quello che vedono. » Durante il momento di silenzio che seguì, Mia osservò il giovane Yagami sotto una luce differente. Stasera ho fatto una grandissima cazzata. Non dovevo permettere loro di provocarmi. E' che io proprio non ci ho visto più. La verità è che avrei trovato qualunque pretesto per menarle. E avrei fatto anche di peggio se solo non avessi saputo di sparare sulla croce rossa. Ora credo di aver fatto peggio. Quelle galline continueranno a maggior ragione, e avranno anche più ragioni per fare quello che fanno. « Non è stata colpa tua, ok? Non c'è nulla di sbagliato nel partecipare a queste cose. Non siamo più a scuola. Sai meglio di me che ci sono docenti che fanno veramente anche cose poco opportune. Andare a una festa insieme non dovrebbe essere proibito e non dovrebbe essere un problema. Non avevamo fatto nulla di male. Non abbiamo neanche bevuto. Volevamo giusto giocare a bowling e alle macchinette. Dobbiamo solo imparare a farci rispettare. » Abbassò lo sguardo provando un senso di colpa latente in merito. « E' anche colpa mia. Forse soprattutto colpa mia. Io credevo davvero che tenere il nostro matrimonio low key avrebbe reso le cose più semplici.. specie mentre frequentavo il tuo corso. » Scosse la testa inumidendosi appena le labbra. Lo so che pensi che io mi vergognassi. Forse un po' avevo paura di essere emarginata dagli altri, sì, ma avevo anche paura che avrebbe reso le cose più difficili a te. Le persone pensano sempre al peggio su queste cose. Ma probabilmente penserebbero male in ogni caso. « Non volevo metterti in difficoltà o in imbarazzo.. e avevo anche paura che tu non volessi dirmi che era così solo per non mortificarmi. » Si strinse quindi nelle spalle e stirò un leggero sorriso colto da un velo di vergogna, senso di colpa e imbarazzo. Di colpo sentì il bisogno di gettargli le braccia al collo e stringersi il più possibile al suo petto. Prese ad accarezzargli la schiena soffiando sulla sua nuca, mentre osservava la sala semibuia alle spalle del moro con aria pensierosa. « Troveremo un equilibrio. Ed io farò del mio meglio per non rendertela difficile. » Non che si sarebbe più posto il problema dopo la sessione invernale. A quel punto qualunque forma di rapporto accademico diretto tra Raiden e Mia si sarebbe concluso. Forse ci sarebbe stata ancora qualche occasione sporadica, ma si sarebbe tratto di questioni una tantum che avrebbero posto ben pochi problemi.

    « MIAAAAAAAAA! MEREDITH!!!! Ciao Gracie! Come sei carina con questo fiocco rosso! Buongiorn-issimo from Emélia-Rumagna!!! Che ne dite? Tiè che panorama. » Dal caldo abbraccio della cucina di Raiden e Mia, le ragazze vengono scaraventate nelle campagne romagnole. Stacey non sarebbe stata con loro. All'ultimo, Antonio l'ha invitata a casa sua per Natale, e Stacey aveva accettato senza indugiare. La vedevano davvero poco ultimamente. I due sembrava sgattaiolare ogni qual volta avessero occasione per restare da soli e ora, dal terrazzino della casa di campagna dei signori Colombo, la giovane stava mostrando loro tutta la magnificenza della Pianura Padana. « Un po' tanta nebbia. » « Niente Colosseo? » « Si boh.. da quello che diceva Antonio mi aspettavo una roba più.. mare, sole, amore. Opere d'arte.. shopping! » La bellezza della sua terra, era stata decantata a gran voce dal giovane Antonio e così, sia Mia che Meredith rimasero decisamente sorprese nel ritrovarsi di fronte a una distesa di nebbia e un cielo plumbeo al pari di quello di Londra. Not impressed, insomma, ma quella reazione non sembrò destabilizzare affatto l'americana, che era palesemente nei fiumi del primo amore. « Tanto non me la farete prendere a male, sia chiaro. Piuttosto.. che fate oggi? Io mi sento già a casa. Lo sapete che anche in Italia stasera mangiano pesce? Io già innamorata. E domani lasagna con ragù. Mi mancherà giusto il tacchino di mamma di domani. Ma va beh.. l'anno prossimo dai. » E dicendo ciò Stacey unisce pollice indice e medio, per mimare uno chef's kiss per poi emulare uno dei tipici gesti italiani, completamente fuori contesto. « Raiden e Gabe? » Mia scoppiò a ridere alzando gli occhi al cielo. Si sporse appena oltre la porta della cucina, solo per rendersi conto che i due non c'erano. Mia e Meredith li avevano buttati fuori dalla cucina sin dalla prima colazione per preparare gli impasti necessari per i cookies e i biscotti pan di zenzero. Molti li avrebbero decorati insieme - per la gioia di Mia che già si aspettava un Van Gogh sopra a quelli di Raiden. « Non so. Stanno combinando tutte cose da stamattina. Sono stati incaricati a fare mille cose un po' dalla mamma di Raiden, un po' da mia madre e un po' da mezza Inverness. » Gli uomini di casa insomma. D'altronde, sotto Natale, Inverness diventava ancora di più una comunità; a riprova di ciò, prima del cenone, al centro della piazza principale, anche quell'anno era stato allestito un grande albero di Natale che tutti erano chiamati a decorare, portando almeno un addobbo. Mia aveva pensato a uno speciale, simile a quello che avrebbero portato in dono a Gillian e Hanna. Un modo particolare ma pur sempre discreto per annunciare l'arrivo un nascituro nella novella famigliola. « Seh! Ora le chiamavano commissioni. Minimo stanno provando a insegnare al cane come fare le capriole per aria. Lo sai che questi due hanno adottato un cane? Più un bestione che un cane ma va beh.. » « No dai è carinissimo. Però dovete dargli un nome. » Solita questione spinosa. Raiden aveva una grande difficoltà a trovare i nomi per i suoi animali domestici. A riprova di ciò, Mochi mezzo addormentato nella sua cucia sul pavimento, non aveva avuto un nome che non fosse gatto di merda per diversi mesi. « Aspetta e spera. Raiden ci metterà minimo un anno. Minimo il nostro picci si chiamerà Coniglietto Yagami fino al prossimo Natale se lascio fare a lui. » « Non credo sia adatto per un cane sai. » Meredith, Mia e Stacey si guardarono l'un l'altra per qualche istante, prima che la giovane Yagami si rendesse conto della sua figuraccia. Già. In famiglia nessuno sapeva le novità. Ovviamente Mia non aveva resistito, e durante una serata tra ragazze aveva già dato la notizia a Stacey e Meredith, chiedendo loro di tenersi la cosa per loro finché lei e Raiden non avrebbero trovato il modo per annunciarlo a tutta la famiglia. « Si ve'? Non è proprio un bel nome per un cane. Senti Gracie tesoro.. perché non vai a dare da mangiare al coniglio mentre cuociono le prime teglie? » Attesa l'uscita di scena della bambina, ben contenta di perdere tempo in compagnia del coniglio, le tre ragazze rimase da sole in cucina. « Certo che sei proprio una deficiente. Tutte storie sul non dire niente e poi Coniglietto Yagami. » Le tre amiche scoppiarono a ridere. « Va beh dai, poteva succedere. » « Parliamo piuttosto del tea. Stasera le probabilità che finisca in tragedia sono altissime. » Mia alzò gli occhi al cielo, tornando a mescolare il ripieno per la torta di zucca, iniziando a percepire un po' di tensione. « Gillian ha invitato Paul. » Tradotto: mia madre ha invitato il suo fidanzato a cena. « Nooooooooo!! Ma quindi è ufficiale? » « Immagino che lo sarà stasera. Ovviamente Logan ha un diavolo per capello. » « Però Paul Wayland è tanto bravo. E poi l'ha seguita fin qui sin da subito. Secondo me sono carini. » Paul Wayland è amico dei Wallace da molto tempo. Mia lo conosce da sempre ed è sempre stato una specie di amorevole zio. È vedovo da moltissimi anni, e per molto tempo Paul si è dedicato unicamente a crescere sua figlia. Le indiscrezioni su una possibile frequentazione tra sua madre e il cacciatore erano già abbastanza palesate quando Mia e Raiden si erano recati a New Orleans durante la primavera, ma evidentemente Gillian non era ancora pronta a parlarne. D'altronde, andare avanti dopo una delusione come quella da lei subita non era facile e non immaginava neanche quanto potesse essere difficile per una come Gillian rimettersi in carreggiata. « A me va bene eh. Se lei è felice, perché no. Non mi piacerebbe vederla sola per sempre, specie adesso che abbiamo preso tutti il volo. Sono passati già diversi anni da quando.. » Papà sarebbe contento. Credo. Voglio dire.. nemmeno lui avrebbe voluto che la mamma rimanesse da sola. È vero che noi non siamo mai da soli, però vivere il resto della propria esistenza senza nessuno in quella casa enorme. Certo, ci siamo noi e i suoi nipoti. Però alla fine ognuno ha la propria vita. È giusto che anche lei abbia la propria. « Mi preoccupa solo questa concomitanza. Paul e il bambino.. » « ..e il cane e tutte cose. Certo. Va beh dai, Gillian è una grossa. Vedrai che andrà bene. Io devo lasciarvi, comunque. Mi farete sapere se qualcuno è morto stasera? Oi! Domani dobbiamo sentirci per aprire i regali. Voglio le reaction in diretta, mi raccomando. » Chiuso il collegamento, Mia e Meredith si guardarono per qualche istante prima di ridere. « No ma noi non stiamo insieme. » Imitò con estrema maestria Stacey, mentre organizzava le decorazioni per i biscotti sul piano di lavoro. « Siamo solo amici. » « Una roba tranquillaaaaaaaa. » « Voglio sapere cosa le ha regalato per Natale. » « Di questo passo sono la seconda coppia che torna sposata quest'anno. » E via così come due comari in attesa del rientro di Raiden e Gabe.
    Passarono il pomeriggio a decorare biscotti e a occuparsi di altre piccole commissioni. Era esattamente come se lo era immaginata: un Natale in famiglia fatto di tante piccole tradizioni, dolciumi, cioccolata e te caldo e una montagna di regali che continuarono ad arrivare per tutta la giornata. Avevano portato Grace a vedere il presepe, dando modo a Mia di spiegare a Raiden il significato di quell'usanza e la storia che girava attorno alla natività, poi erano passati al centro anziani dove avevano portato una grosso contenitore di biscotti appena sfornati, aiutando alcuni dei frequentatori più assidui - che avrebbero passato il Natale assieme proprio lì - a decorare un bel albero di Natale, e infine, erano tornati a casa per cambiarsi per la cena. Mia non si era persa l'occasione di indossare un terribile maglione natalizio con uno scollo a v, di tre taglie più grandi, perfetto da indossare a mo di vestito, abbinandolo a dei comodissimi leggins termici, e un paio di stivaletti bassi. In fondo avrebbero mangiato fino a star male, e in quelle occasioni, la comodità era al primo posto. In una situazione famigliare poi, Mia non aveva assolutamente intenzione di mostrarsi troppo elegante. Una volta concluso il rituale di vestizione, per un istante rimase davanti allo specchio ad ammirare il rossetto rosso che aveva deciso di indossare per la serata e che tutto sommato le donava un'aria quasi più adulta e autorevole. Si voltò di profilo e appiattì il maglione sulla pancia. « Secondo te si vede qualcosa? » Non era la prima volta che si piazzava in quella maniera davanti allo specchio. C'era ben poco da vedere a nemmeno due mesi. Quel cosino era ancora troppo piccolo, ma Mia sembrava quasi impaziente di vedere qualche segno evidente, quasi come se la mancanza di una prova tangibile rendesse quella notizia meno evidente. « Tu vedi qualche differenza? » Chiese quindi alzando il maglione e abbassando appena l'orlo dei leggins. Mia era ancora un figurino. Forse poco più rotondetta, ma quello era meno rispetto a al gonfiore che segue a una pasto coi fiocchi a casa Yagami. « Poco poco si nota, vero? » Scoppiò a ridere, rendendosi conto che quell'impazienza non era davvero necessaria e quindi, conclusi il restante dei preparativi per uscire, osservò il nuovo inquilino nello studio di Raiden, controllando le sue condizioni.
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    « Se vuoi possiamo portarlo con noi. A mamma non dà fastidio. Almeno i gatti potranno riavere il loro territorio, e lui non starà da solo. Vedrà anche un sacco di gente nuova. Che ne dici? » Si strinse nelle spalle e varcò la porta della stanza per andare incontro al cane scodinzolante che le andò incontro pronto a incollarlesi contro la coscia. « Ah si, a parte tutto, devi sapere che stasera mamma porta a casa il suo nuovo fidanzato o ragazzo di cui nessuno di noi sa assolutamente nulla. Logan ovviamente è giratissimo di culo quindi boh.. per l'annuncio dovremmo un attimo tastare le acque. Considerando che ci saranno i tuoi sicuro non faranno scenate. Ma questo vale solo per mia madre. » Mio fratello dal canto suo è tutta un'altra storia. « Tu però gli stai simpatico e ha fatto parecchio amicizia con Eriko da quello che ho potuto notare, quindi forse sarà una cena drama free. » Anche se non ci scommetto. Mentre lasciava uscire il cagnolone dallo studio per permettergli andare di sotto a mangiare, corrugò la fronte a scosse la testa, seguendolo a breve distanza giù per le scale. « Che poi davvero, Raiden, io non capisco. Le piace quel girato di culo di mio fratello ma io non le sto proprio simpatica. Mi fa proprio innervosire. Si sono proprio trovati tra rompicoglioni. » E infatti li trovarono a confabulare insieme, seduti sul portico di sua madre a gustarsi del vin brûlé. Mia doveva ammettere che si trattava di un'amicizia particolarmente azzeccata. Due vipere insomma, che infatti stonavano rispetto alla moltitudine di luci e colori con cui casa di sua madre era stata decorata. Doveva ammettere che le mancava quella casa. Rispetto a quella che ora i due dividevano, quella degli Wallace era decisamente più grande, più calda e aveva una nuersery pronta per essere usata: la sua. « Raiden! Ti aspettavo per finire la casetta pan di zenzero! » Una delle tante tradizioni che non potevano mancare. Mia sorrise salutando sua madre, lasciando che prendessero i loro cappotti per poi dirigersi verso il salotto dove Gabe, Billy e Maiko - la nuova fidanzata giunta dritta dal Giappone - giocavano a Cluedo con in sottofondo un film di Natale. A quanto pare siamo più misti di quanto pensassimo. Non c'era da stupirsi se Billy era lì con loro. Orfano da sempre, il giovane era sempre stato l'ombra di suo fratello e viceversa. C'era da aspettarsi che ci fosse anche lui. « We allora? » « Allora se non hai portato i cookies puoi uscire da dove sei entrata. » « Ma per chi mi hai presa scusa. Sono o non sono la massima esperta dei cookies. Quelli double chocolate quest'anno sono venuti una bomba. Vai in coma diabetico dopo neanche metà. Proprio giusti giusti. » Salutò anche gli altri prima di osservare con estremo orgoglio il lungo tavolo in salotto. Erano in tanti, ma sua madre era comunque riuscita a fare un lavoro magistrale, con tanto di segnaposto assegnati e tutto il resto. « Scansafatiche, prego, iniziate a portare tutto in tavola! A breve tutti saranno qui e abbiamo solo sette portate da concludere prima della messa di mezzanotte. Gabe, lascia stare i giochini. Mia, per favore, non rompere mezzo servizio buono anche quest'anno. Raiden tesoro puoi mettere un altro po' di legna sul fuoco? » « Ah certo a lui lo tratti bene! » Risero insieme, prima di iniziare a portare tutto in tavola finendo di apparecchiare. Era proprio come se lo immaginava, e così, quando il resto dei parenti e amici iniziarono ad arrivare, la situazione iniziava ad essere talmente caotica, e Mia cominciò a sentire la pressione di quella questione. « Sto iniziando a farmela sotto. E se reagiscono male? » Una parte di lei aveva voglia di scappare e di non dire niente. « E se non dicessimo niente finché al settimo mese neanche i tuoi vestiti riuscirebbero a nascondere questa roba? » Un'ipotesi stupida, che tuttavia decise comunque di gettare lì al suo orecchio, mentre osservava gli altri presi dal servirsi coi primi antipasti in attesa che la prima portata principale venisse servita. « Scappiamo. Sticazzi. Oppure iniziamo a far bere tantissimo tutti quanti. Devono essere ubriachi quando glielo diciamo. »



     
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    « Coniglietto? » Annuì convinto, mostrandole un grosso sorriso. « Abbiamo fatto l'upgrade da cosetto? » « Bisogna pur mantenere una coerenza con l'appellativo della nostra stirpe, no? » suggerì, ridacchiando nel far riferimento a quei nomignoli che si davano di tanto in tanto e che sembravano calzar loro a pennello sotto ogni punto di vista. « Mi piace. È tanto carino. Hai sentito Picci? Papà dice che sei un coniglietto e che salverà il mondo per te. » « Ma anche l'universo, se mi rimane del tempo. » Per quanto ironico potesse essere in quell'iperbole, il dato di fondo era comunque vero: Raiden si sarebbe fatto in quattro per la propria famiglia, a maggior ragione adesso che da lui dipendeva un esserino completamente indifeso. « Secondo me ti avrebbero visto comunque.. prima o poi. Come un bel ragazzo asiatico, ovviamente. » Alzò gli occhi al cielo a quelle parole, pur lasciando che l'accenno di un sorriso gli increspasse le labbra. Sapeva quanto strana potesse suonare la sua percezione a chi non la viveva sulla propria pelle, e già anche per lui spiegarla non era affatto semplice. Con quella situazione ci aveva fatto pace ormai da parecchio, nonostante continuasse a dargli un certo fastidio il modo in cui per alcuni la sua etnia sembrava essere in primo piano rispetto a tutto il resto. Rispetto ai ragazzi bianchi, lui si trovava in una categoria a parte. Quella gente non lo faceva apposta - questo Raiden lo sapeva - eppure lo faceva lo stesso, subconsciamente, e tanto bastava a lui per notarlo. Questa cosa della mia nazionalità mi fa stare sempre un passo indietro rispetto agli altri, come se mi mancasse un pezzo che altrimenti mi permetterebbe di aderire meglio al puzzle della loro società. « Sei molto meno.. uhm.. comune di quanto ti piace apparire. E anche se molte tue qualità non le comprendono fino in fondo, perché non ti conoscono, secondo me le percepiscono. Sei intelligente e preciso. E sei anche estremamente onesto.. integro. Sei equo, e sei la persona più diligente che io conosca. Ma tutto ciò non ti porta a sentirti superiore agli altri, o ad abusare delle tue qualità e della tua posizione. A tutto ciò le mie compagne non sono abituate. Chiunque al tuo posto avrebbe fatto il vero pavone. Ed è questo ciò che probabilmente si sarebbero aspettate. » Abbassò lo sguardo, rigirandosi l'orlo della gonna di Mia tra le dita in un movimento quasi nervoso - come se si stesse attivamente impegnando a distrarsi da quelle parole. A ricevere complimenti di quella natura, Raiden non era abituato - non lo era mai stato. E nel sentirli tutti insieme, per lui fu naturale reagire con un certo senso di imbarazzo. D'altronde nella sua cultura non era ben visto prendersi dei meriti individuali, e piuttosto si tendeva sempre a sottolineare la componente di gruppo anche nel successo di un singolo. Il contrario sarebbe stato interpretato come irrispettosa vanagloria, come egocentrismo: e un peggior difetto di quello, nella sua società non c'era. Ma qui funziona diversamente. Qui tutti si affannano a reclamare il diritto sulla propria fetta, a sottolineare la virtù personali e a mettersi in mostra anche per il più piccolo successo. Io non ci sono abituato. Mi sentirei in imbarazzo a farlo. Eppure è anche vero che da queste parti ho fatto più di molti altri. Bastava guardare a quella stessa sera, in cui persino un ragazzino che puzzava ancora di latte si era sentito in diritto di mettersi a paragone con lui. Ovviamente la cosa l'aveva più divertito che altro: la disparità era tanto evidente da risultare ridicola. Per quanto restio a pavoneggiarsi, Raiden era pur sempre consapevole di sé, dei propri meriti, e di cosa avesse fatto - abbastanza affinché il suo orgoglio fosse davvero difficile da intaccare in quel senso. Eppure aveva trovato che quella situazione la dicesse lunga sulla società in cui si era trapiantato e ciò, nella sua ottica, metteva a preciso contesto anche tutte le altre esperienze come insegnante e non. « Credo che ciò che mi infastidisce di più di tutto questo è che.. io non credo sia una fantasia. Cioè sì.. ma non solo. La verità è che molte persone non possono concepire che tu sia così: giovane, brillante, bono e sposato. Per giunta con una che dai va beh.. lasciamo stare. Ciò che mi infastidisce è che sotto sotto c'è proprio questo desiderio latente di spezzare quello che vedono. » Sorrise un po' amaro, risollevando lo sguardo in quello della moglie con gentilezza. « Non sono io. Non sono mai stato io, perché altrimenti lo sarei stato anche prima. Cazzo, ero la punta di diamante del corso l'anno scorso! » E per ovvie ragioni. Non perché fossi chissà quanto più intelligente o dotato degli altri. Semplicemente avevo fatto di più. « Adesso salto all'occhio perché ho preso quella cattedra, ma al mio posto - idealmente parlando - avrebbe potuto esserci chiunque. » Sospirò. « Io non credo di far nulla di straordinario. Faccio esattamente ciò che devo fare, ma questo appare così inconcepibile - e a volte persino inaccettabile - solo perché da queste parti tutti vanno avanti secondo la massima del compiere il minor sforzo possibile. L'asticella è bassa. » Sta per terra, se vogliamo essere più precisi. « Impegnarsi nel proprio lavoro, fare qualcosa della propria vita, prendersi delle responsabilità, trattare bene la propria ragazza.. queste non sono cose straordinarie. Dovrebbero essere il minimo sindacale. Ma non lo sono, e chi le compie ottiene due reazioni: o viene portato in gloria, o si cerca di azzopparlo. » Sospirò. « E sapendolo, sarei dovuto rimanere al mio posto. » Quale fosse, questo suo posto, era ben poco chiaro, e le linee di demarcazione di certo non erano abbastanza nette da facilitarlo. Eppure una scelta l'aveva fatta, quando aveva mandato il proprio curriculum: la scelta di non essere un ragazzino, di prendersi delle responsabilità in quel paese e mettere al primo posto la stabilità del nucleo che stava creando. Tale scelta comportava automaticamente il dover rinunciare ad alcuni sfizi, ma l'ingenuità l'aveva tratto in inganno. Non ricapiterà. « Non è stata colpa tua, ok? Non c'è nulla di sbagliato nel partecipare a queste cose. Non siamo più a scuola. Sai meglio di me che ci sono docenti che fanno veramente anche cose poco opportune. Andare a una festa insieme non dovrebbe essere proibito e non dovrebbe essere un problema. Non avevamo fatto nulla di male. Non abbiamo neanche bevuto. Volevamo giusto giocare a bowling e alle macchinette. Dobbiamo solo imparare a farci rispettare. » « Io non credo che il problema siamo solo noi, sai? Penso che ci sia una difficoltà più generale, nella questione rispetto. » Fece una breve pausa. « Il rispetto è un valore insegnato. Se non si impara ad averne fin da piccoli, difficilmente verrà acquisito più avanti. E ciò che ho notato - anche vedendo l'atteggiamento di molti adulti - è che l'idea di dare rispetto venga spesso associata a una perdita di dignità. Come se dare rispetto al prossimo tolga qualcosa alla considerazione di sé. » Scosse il capo, strabuzzando per un istante gli occhi - incredulo da un concetto così distorto e devastante che tuttavia non sembrava affatto fantasioso a giudicare dal contesto in cui viveva. « Quando una società insegna ai propri figli che riconoscere il valore altrui sia una minaccia al proprio - è quello il collasso. » A domino cade tutto il resto, perché trionfano l'individualismo e la mediocrità. « E' anche colpa mia. Forse soprattutto colpa mia. Io credevo davvero che tenere il nostro matrimonio low key avrebbe reso le cose più semplici.. specie mentre frequentavo il tuo corso. Non volevo metterti in difficoltà o in imbarazzo.. e avevo anche paura che tu non volessi dirmi che era così solo per non mortificarmi. Troveremo un equilibrio. Ed io farò del mio meglio per non rendertela difficile. » Le sorrise, stringendola al proprio petto e stampandole un piccolo bacio sulla nuca mentre la cullava a sé con dolcezza. « Non è colpa tua, ok? Non puoi controllare le reazioni altrui. » A questi livelli di onnipotenza, dubito che qualcuno ci sia mai arrivato. « Dobbiamo solo.. » sospirò, stringendosi leggermente nelle spalle. « ..trovare la nostra posizione in tutto questo chaos. » Non siamo noi quelli sbagliati.

    « Secondo te si vede qualcosa? Tu vedi qualche differenza? Poco poco si nota, vero? » Alzò lo sguardo dallo schermo del telefono, cercando di capire a cosa Mia si riferisse nello specifico. E quando lo capì, vedendola di fronte allo specchio col maglione alzato sulla pancia, scoppiò ovviamente a ridere, seguito a ruota da lei. « Forse è un po' presto, non trovi? » la incalzò, scendendo velocemente giù dal letto per raggiungerla prima che potesse ricoprirsi lo stomaco col maglione. Ancora tutto preso a ridere per quella domanda un po' bislacca, Raiden si chinò sulle ginocchia di fronte a lei, abbracciandole stretta la vita e poggiandole tanti baci sulla pancia scoperta - baci che culminarono in una pernacchia a contatto con la sua pelle. Rise di gusto, rimettendosi presto in piedi per stamparle un bacio sulle labbra. « Sei molto tenera però. » disse con un sorriso a trentadue denti stampato in volto, pizzicandole con dolcezza una guancia e rivolgendole un veloce occhiolino prima di avviarsi insieme a lei al piano inferiore. Avevano passato la giornata divisi. Le donne di casa li avevano buttati fuori con qualche scusa di turno, investendoli di compiti che - per quanto necessari - non erano poi così importanti e onerosi come avevano voluto fargli credere. Il messaggio però era chiaro: non li volevano intorno mentre facevano le loro cose e plausibilmente sparlottavano di loro. Non che ai ragazzi dispiacesse. Avevano passato la loro giornata a fare i cretini sulla neve e parlare di cazzate inframezzate ogni tanto da qualcosa di serio. Tipo Billy che voleva chiedere a Maiko di sposarlo, ed era stato prontamente precettato da Raiden e Hiroshi, i quali gli avevano spiegato per filo e per segno cosa fare e cosa non fare per non indispettire la famiglia di lei. « [..] Che poi davvero, Raiden, io non capisco. Le piace quel girato di culo di mio fratello ma io non le sto proprio simpatica. Mi fa proprio innervosire. Si sono proprio trovati tra rompicoglioni. » Sorrise tra sé e sé, accarezzando un Kei tutto saltellante e scodinzolante all'idea di andare fuori insieme a loro. « Non è vero che non le stai simpatica. Fidati.. se non le fossi piaciuta ti avrebbe reso la vita un inferno. » Eriko ne è più che capace. Si strinse nelle spalle con leggerezza, sollevando lo sguardo sul viso di Mia. « Semplicemente è abituata ad essere l'unica ragazza in famiglia. Si sente messa da parte. » Sua sorella, Raiden la conosceva bene. Sapeva che per quanto matura potesse essere sotto certi punti di vista, era anche altrettanto infantile sotto altri. In quel settore doveva ancora crescere molto e capire che i naturali cambiamenti della vita non necessariamente erano una minaccia, e che di certo non sarebbero andati a togliere nulla a lei e all'affetto che i fratelli provavano nei suoi confronti. Forse quando troverà qualcuno lo capirà.
    Entrare in casa Wallace fu letteralmente uno shock sensoriale: musica natalizia a mille, luci e colori ovunque, odore di cibo ovunque ti girassi e un turbinio di persone intente a chiacchierare e muoversi veloci da un lato all'altro della casa. « Raiden! Ti aspettavo per finire la casetta pan di zenzero! » Grace fu la prima ad andargli incontro, prendendolo per mano e trascinandolo in cucina, sul cui bancone trovò una fatiscente casetta di pan di zenzero un po' sbilenca. « Woo! Altro che casetta, questo è un villone! » « Manca il tetto e poi dobbiamo decorare con la glassa. » « E allora è il caso di metterci all'opera. » Asserì, sorridendo alla bambina mentre si arrotolava le maniche del maglione fino ai gomiti, mettendo poi mano all'opera per aiutare pian piano Grace a completarla. « [..] Raiden tesoro puoi mettere un altro po' di legna sul fuoco? » Annuì alla richiesta di Gillian, dando l'ultimo tocco di glassa alla casetta prima di concordare con Grace sulla necessità di spostarla su un ripiano abbastanza alto per lasciarla asciugare ed evitare che Kei ci arrivasse prima di tutti. A quel punto, lavate le mani, prese qualche ciocco di legna e lo gettò nel fuoco, ravvivandolo un poco. « Sto iniziando a farmela sotto. E se reagiscono male? » Si guardò intorno leggermente circospetto, come ad accertarsi che nessuno fosse lì nei paraggi ad origliare. « E se non dicessimo niente finché al settimo mese neanche i tuoi vestiti riuscirebbero a nascondere questa roba? Scappiamo. Sticazzi. Oppure iniziamo a far bere tantissimo tutti quanti. Devono essere ubriachi quando glielo diciamo. » Quelle parole lo portarono naturalmente a ridere. Avvolse quindi un braccio intorno alle spalle di Mia, attirando la sedia di lei un po' più vicina alla propria e stampandole un piccolo bacio sulla tempia. « Stai tranquilla, ok? Sono sicuro che andrà tutto per il verso giusto. » Fece una breve pausa durante la quale si ficcò una tartina in bocca. « Mettici pure l'alcool e l'atmosfera di festa - secondo me scatta il piantino. » Ridacchiò, pulendosi velocemente le mani dalle briciole. « Dai adesso istigo subdolamente la mamma a parlare di quando ero piccino picciò, così gli creiamo l'idea bambino carino nella testa. » Rise divertito, versandosi un po' di vino nel bicchiere e buttandone giù un sorso. La serata ancora era lunga.
    E lunga lo fu a maggior ragione quando andarono a messa. Se Raiden non si addormentò, fu solo un miracolo, ma di certo il freddo pungente fu d'aiuto in quel senso - specialmente quando, una volta finita, tornarono tutti a casa a piedi per le strade innevate di Inverness. Un po' ubriachi e sbilenchi, probabilmente avrebbero tutti preferito coricarsi nei rispettivi letti, non fosse stato per la tradizione di aprire i regali - qualcosa che più di tutti stava a cuore a Grace. In quel frangente, tuttavia, assumeva una certa importanza anche per Raiden e Mia, i quali avevano scelto quel preciso momento per comunicare ai familiari la notizia della loro attesa. In previsione di ciò, il giovane Yagami intrecciò le dita a quelle di Mia, stringendole leggermente e rivolgendole un sorriso di incoraggiamento mentre passeggiavano per la strada di ritorno, accompagnati dal chiacchiericcio dei famigliari. Non le chiese se fosse pronta, ma intimamente riusciva a sentire quel senso di anticipazione che apparteneva un po' a entrambi e che forse gli altri erano troppo distratti per notare. Una volta tornati in casa, una bella tazza fumante di zabaione o cioccolata calda fu d'obbligo per tutti. La prima a lanciarsi sui regali, prevedibilmente, fu Grace - la quale ne aveva più di chiunque altro. A ruota vennero tutti gli altri, senza un ordine preciso, in base a quale pacchetto fosse più prossimo. « Questi due sono insieme. Di chi sono? » Raiden alzò prontamente la mano nel riconoscere l'incarto, facendosi passare i due pacchetti da Gillian per porgerli a Mia con un sorriso. « Hanno un ordine. Prima questo qua grosso, e poi l'altro. » disse, picchiettando sulle scatole mentre la osservava tutto ansioso di leggerne la reazione. Quel regalo, Raiden lo aveva preso per tempo, cominciando a lavorarci già da qualche mese prima della festività. Nel primo pacco - quello più grosso e pesante - Mia avrebbe infatti trovato un album fotografico nuovo di zecca. Per quella parte, Raiden aveva chiesto aiuto tanto ai propri nonni, quanto a Gillian: da entrambe le parti si era fatto dare le copie di diverse fotografie - quelle salienti delle rispettive famiglie e, in particolare, di loro due. Le altre, invece, le aveva fatte stampare dal cellulare, e per lo più si trattava di foto che ritraevano loro due insieme. Insomma: un album pieno, ma solo in parte, che lasciava ancora una maggioranza di pagine vuote da riempire. E qui si passava al secondo regalo, all'interno del quale Mia avrebbe trovato una macchina fotografica magica - di quelle tradizionali, di alta qualità, che scattavano foto in movimento. A dirla tutta, Raiden non sapeva se Mia avrebbe apprezzato o meno, ma nel farle quei regali ci aveva messo il proprio cuore. E quando Mia gli aveva comunicato che stavano aspettando un bambino, essi avevano assunto ai suoi occhi ancora più importanza. Tuttavia, incerto dell'esito, si tormentò le mani per tutto il tempo che la mora ci mise ad aprire i regali, fissandola con un misto di anticipazione e titubanza e ignorando completamente i commenti inteneriti dei presenti - specialmente le mamme. [..] « Hanna,
    come minimo a noi hanno regalato una sciarpa a testa. »
    scherzò bonariamente Gillian, dando di gomito alla consuocera mentre adocchiava i pacchetti rimasti sotto l'albero. In risposta, Hanna rise di gusto, cercando a modo proprio di dire che avrebbe preferite una borsa. Ma dopo aver scartato i regali veri e propri, rimase comunque un pacchetto sotto l'albero. « Questo è.. sempre per noi? Insieme? » Lo sguardo di Gillian si sollevò interrogativo su Raiden e Mia, sorridendo a metà tra il confuso e il divertito per cercare sui loro volti una risposta che non arrivò se non sotto forma di un semplice. « Avanti.. apritelo. » « Raiden gli avete fatto qualcosa senza includermi? Che palle però, siete proprio due lecchini. » gli sussurrò Eriko all'orecchio con tono indispettito, ma Raiden le fece cenno di fare silenzio, stringendo la mano di Mia mentre teneva gli occhi puntati sulle due donne. « Hoffen wir, dass es ein Tag im Spa ist! » Rise divertito alle parole della madre. « Nicht wirklich. » Mentre la carta da regalo veniva gettata di lato e il coperchio della scatola aperto, Raiden si trovò a stringere un po' più la mano di Mia, attendendo trepidante la reazione delle due. Quando estrassero le due piccole calzine, sembrarono confuse, ma il biglietto che le chiamava Nonna Gillian e Nonna Hanna non lasciò alcun dubbio. Non appena la signora Yagami lo lesse, uno squittio abbandonò subito le sue labbra, portandola a coprirsele col palmo della mano tremante. Gli occhi si puntarono subito sul viso del figlio, che le sorrise e annuì - confermando ciò che stava pensando - e passarono poi a Mia. Per un istante non disse nulla, stringendosi quella calzina al petto mentre gli occhi le si riempivano di lacrime commosse. Poi, veloce come il singhiozzo felice che le scosse le spalle, li raggiunse entrambi, stringendoli in un abbraccio affettuoso e lasciandogli più baci di quanti e avesse mai dati in vita propria. Hanna non era il tipo di madre che manifestava il proprio affetto con il contatto fisico, eppure in quel momento sembrava non poterne farne a meno. « Ich bin so so glücklich! Mein Gott! Es gibt kein besseres Geschenk! » La felicità di Hanna riuscì a contagiare anche Raiden, che rise commosso e strinse la madre in un abbraccio forte. « No aspetta aspetta, non ho capito. Mia è incinta? Aspettate un bambino? » Persino la voce di Eriko, perennemente annoiata o incazzata, salì di qualche ottava nel proferire quelle parole alle quali Raiden annuì estasiato. « Oddio! ODDIO! Sono zia. Ma da quanto? Oh mio Dio non ci credo. Devo sedermi. » Vedere la sorella in quello stato era cosa più unica che rara, tanto che Raiden scoppiò a ridere - e come lui, anche Hanna, che si avvicinò alla figlia per abbracciarla e carezzarle i capelli, tornando poi con lo sguardo a Mia. Era titubante. Non voleva turbarla o varcare un qualche limite, ma allo stesso tempo era chiaro che volesse esprimerle la propria felicità e farsi partecipe di quella gioia. « Schatz.. posso? » chiese in un filo di voce, adocchiando il ventre di Mia. Conoscendola, non lo avrebbe mai toccato senza l'esplicito permesso della ragazza, ma dal modo in cui si tormentava le mani era evidentissimo che non vedesse l'ora di accarezzarlo.

     
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    L'aria pungente colpì violentemente le sue guance, ma Mia non sembrò preoccuparsene in ogni caso. Nonostante quelle temperature non fossero propriamente il suo clima preferito, venirne investita le diede comunque una sorta di sollievo. Se siamo qua fuori significa che la messa è finita. E doveva ammettere che in mezzo al numeroso gruppo di famiglia, non doveva essere nemmeno quella che aveva patito maggiormente la questione. Si era infatti distratta diverse volte scoppiando a ridere sottovoce nel notare Eriko intenta ad assestare gomitate nel fianco di Hiroshi per tenerlo sveglio. Un sentiento che il moro sembrava condividere con Raiden al suo fianco, il cui sguardo vacuo la portò a ridacchiare diverse volte. Ogni tanto gli faceva cenno di alzarsi, giusto perché lo facevano tutti. A dirla tutta, nemmeno lei era certa di quali fossero i momenti in cui fosse consono farlo e i momenti in cui restare seduti andava bene uguale. Faceva ciò che immaginava fosse giusto e rispettoso, nonostante la dimensione religiosa del Credo avesse per lei una rilevanza relativa. In cuor suo sapeva che quella messa era la rimanenza di tradizioni arcaiche, che si sarebbero perso col tempo. A volte si chiedeva se effettivamente un dio esistesse, e se la sostanza di cui era fatto imponeva dei dettami legati a un luogo o a un credo. Aveva davvero senso credere a qualcosa di cui non si conoscevano le reali fattezze? Che le Logge esistessero era ormai cosa risaputa; avevano tuttavia imparato che quest'ultime nulla avevano a che vedere con la dimensione biblica che le si dava. C'erano sì spiriti a cui varie culture davano nomi differenti, ma la loro natura era talmente complessa che nessun credo - collettivo o individuale - era in grado di rappresentare fedelmente. Erano quelle - le logge - il frutto della fantasia degli umani, oppure c'era qualcos'altro? Qualcosa che ancora non conoscevano e che forse mai avrebbero conosciuto? Chissà, forse non lo sapremo mai. Una cosa il cui esito avrebbe però conosciuto di lì a poco c'era; non a caso, strinse con un certo nervosismo la mano di Raiden, posando la guancia contro la sua spalla, mentre percorrevano la strada verso casa, intrattenendosi in discorsi di circostanza. Trovò divertente il modo in cui Gabriel dava fastidio a Logan, e gli accesi discorsi tra sua madre, Paul e la signora Yagami in merito alla vacanza ideale - una che, senza consultare i desideri dei rispettivi figli, stavano già progettando come prossima riunione allargata. Ovviamente avevano idee differenti, come differenti erano le anime che Raiden e Mia avevano raccolto sotto lo stesso tetto. Culture diverse, modi differenti di intendere la vita coniugale e famigliare. Un abnorme casino all'interno del quale, Mia sembrava comunque estremamente felice e serena. Giunti nuovamente a casa, la processione si spostò in salotto attorno al grande albero, dove Mia cercò immediatamente un posto comodo su uno dei divani posti a U davanti all'albero, posizionandosi strategicamente più vicina al fuoco, assistendo alla cerimonia di spartizione dei regali con vivido interesse. Era esattamente ciò che si aspettava. L'essenza di un Natale sereno, fatto di momenti di imbarazzo e cadute di stile, di risate troppo fragorose e persone alticce che continuavano a bere nonostante avessero alzato il gomito più del dovuto. Mia spacchettò i suoi regali con la tipica impazienza che la contraddistingueva, dimostrando tutta la sua capacità di stupirsi persino di fronte a regali semplici e raffazzonati. Non appena Gillian prese da sotto l'albero il pacchetto che Mia aveva destinato a Raiden, la mora sollevò prontamente il naso allungandosi per raggiungere il pacchetto. « Uh uhhhh! Questo è tuo! Da me! » All'interno del pacchetto Raiden avrebbe trovato una palla di vetro sul modello delle palle di neve. L'aveva fatta confezionare e incantare appositamente in un negozietto a Diagon Alley. I ciliegi al suo interno mutavano a seconda delle stagioni. Sin da quando Raiden l'aveva portata nella safe room, Mia aveva capito quanto il mutamento delle stagioni fosse magico nel suo paese d'origine. Della fioritura dei ciliegi, Raiden le parlava spesso. Immaginava dovesse mancargli molto quell'atmosfera magica. Aveva avuto qualche titubanza iniziale, timorosa che potesse solo fargli venire più nostalgia di casa, ma alla fine si era detta che in fondo si trattava solo di un regalo simbolico. La base della palla infatti, aveva un piccolo cassettino nascosto all'interno del quale il moro avrebbe trovato dei piccoli semi in una filetta di dimensioni ridotte.
    « La palla l'ho fatta confezionare sul modello di quei ciliegi. » Sollevò un sopracciglio, la Serpeverde, senza approfondire la questione. Quel luogo ameno contenuto nella palla, e che ora era parzialmente innevato, riprendeva infatti lo scorcio sotto il quale avevano fatto l'amore, lo stesso in cui Mia aveva ammesso di non riuscire più a essere fairplay. Lo intimò quindi ad aprire il cassettino, lasciando cadere sul palmo della sua mano la fialetta con i semini. « L'erborista da cui li ho comprati mi ha assicurato che se seguiamo le istruzioni, avremmo degli alberi di ciliegio in poco tempo. Ho pensato che sarebbe carino se ne piantassimo un paio.. ovunque sarà la nostra casetta. Pare siano molto resistenti, quindi staranno bene anche qui. » Si strinse nelle spalle e accennò un sorriso un po' imbarazzato. Non era poi molto brava coi regali, Mia, né sapeva esattamente come rendere un regalo speciale. In quello, Raiden era decisamente più bravo, e lo dimostrò non appena fu il suo turno ad aprire i regali di lui. Dinanzi alle prime fotografie, il suo sguardo si fece leggermente lucido, smosso da nuove emozioni, che vennero immediatamente supportate dalla nostalgica pattina opaca che assunse lo sguardo della madre. Nell'album che il giovane Yagami aveva messo insieme, c'erano diverse fotografie che rappresentavano i momenti più felici della sua infanzia. Lei e il padre intenti a curare l'orto, i fratelli muniti di mazze e guantoni per giocare a baseball, il primo saggio di danza. C'erano fotografie di Raiden da piccolo e insieme alla sua famiglia, assieme a suo papà e ai fratelli. Tutti quei ricordi di persone e luoghi che non c'erano più la portarono a sospirare e sorridere visibilmente emozionata. Da una parte c'era la nostalgia, dall'altra la gioia di sapere che quei ricordi non glieli avrebbe strappati mai nessuno. Giunta a sfogliare una delle prime foto che si erano scattati insieme, un selfie un po' mosso in un gruppo numeroso, Mia tornò a osservarlo, ignorando gli sguardi inteneriti degli altri. In quella foto, si era fatta particolarmente vicina, come spesso accade nelle foto con tanti soggetti. Lui le aveva messo un braccio attorno alle spalle, per poi fare un commento mirato a prendere in giro Jeff che stava scattando la foto. Non ricordava minimamente che cosa Raiden avesse detto in quell'occasione, ma a giudicare dalle loro risate, doveva essere una delle tante stupidaggini che li portava a ridere fino alle lacrime. Erano venuti entrambi con gli occhi chiusi e piegati in due dalle risate; lei gli stava dando qualche gomitata per farlo smettere mentre lui continuava a ridere. Rigirandosi la macchinetta fotografica tra le mani annuì, tirando su col naso. Posò un bacio sulla guancia di lui, prima di avvicinare le labbra al suo orecchio. « E' proprio bello. Però qualcosa mi dice che diventerà ancora più bello. » Non era l'oggetto in sé che lo rendeva così speciale, ma ciò che conteneva, ciò poteva diventare. Provò un muto senso di orgoglio e commozione e di fronte a quelle emozioni, non poté fare a meno di sospirare e rilassarsi, ormai non più in ansia di fronte alle reazioni che la notizia dell'arrivo del bambino potesse suscitare. Se anche non dovesse piacermi la loro reazione, m'interessa davvero? Solo un cieco avrebbe potuto dispiacersi all'idea di un nuovo arrivo in quella famigliola. Mia e Raiden erano talmente innamorati che persino le più sensate reticenze di Gillian sarebbero venute meno in un batter d'occhio. Come d'altronde era già successo in passato.
    « Raiden gli avete fatto qualcosa senza includermi? Che palle però, siete proprio due lecchini. » Sentì solo in parte il sussurro di Eriko all'orecchio di Raiden. Mia era completamente assorta nell'osservare il volto della madre. Che non si aspettasse una calzina all'interno del piccolo pacchetto che aprì assieme ad Hanna, era evidente. E per un istante, prima di prendere a leggere a voce alta il biglietto che accompagnava quei minuscoli indumenti, restò un po' sorpresa. Lo sguardo di Gillian ricercò quello della figlia, e Mia fece altrettanto. Per qualche momento non successo nulla, ma man mano che gli istanti passavano lo sguardo di entrambe sembrò farsi più lucido, finché Gillian non prese a ricercare prima lo sguardo di Gabriel e poi quello di Logan - entrambi evidentemente molto confusi, almeno finché il maggiore tra gli uomini di casa non si avvicinò per leggere velocemente il biglietto. « Noooo va beeeeeh! Serio?? Sei incinta? Aspettate un bambino? » Dar voce a quelle parole rese partecipi tutti i presenti della lieta notizia mentre Gabe si avvicinava per abbracciare prima la sorella e poi il cognato. Quel momento diede via a una processione di congratulazioni, abbracci e pacche sulle spalle, in un turbinio di emozioni da cui Mia venne completamente investita. « Siete proprio pessimi! In tutto questo tempo non mi avete detto niente. » « No guarda c'ha ragione Hiro. La prendo come una violazione al brocode. » E via così prendendosi gli abbracci di ognuno dei presenti. Persino Paul sembrò visibilmente commosso, ma mai quanto sua madre che si avvicinò cautamente con gli occhi lucidi. Si aspettava un rimprovero. L'ennesimo. Seppur Gillian avesse di molto mollato la presa con la figlia, specialmente in seguito agli avvenimenti dell'estate, non mancava mai l'occasione di ricordarle che pensare ai suoi studi fosse fondamentale. Ci teneva a che Mia avesse un futuro, anche al di là del mondo dei cacciatori. Spesso si diceva estremamente orgogliosa della scelta intrapresa da Mia. Scienze Politiche era un campo nuovo, qualcosa che avrebbe potuto perseguire indipendentemente dalla sua appartenenza al Credo e che avrebbe potuto integrare le sue conoscenze pratiche. « Ma'? » Riusciva a percepire l'emozione che aveva colto la donna, darle un nome fu tuttavia complicato. « Dì qualcosa.. per favore? » Deglutì stringendosi nelle spalle mentre la donna si alzava in piedi posano il pacchetto alle sue spalle. Era più bassa della figlia, Gillian, ma altrettanto esile e spigolosa, tant'è che quando le circondo il collo con entrambe le braccia stringendola a sé con tenerezza, per poco Mia non restò senza aria. « Tesoro.. la mia bambina.. » Stava piangendo Gillian, e Mia, leggermente soffocata da quella reazione che no si aspettava minimamente, lasciò vagare lo sguardo nell'ambiente alla ricerca di Raiden, altrettanto soffocato dall'affetto della sua famiglia. « Non me lo aspettavo. » No figurati. Nemmeno io. « Stai bene? Quando l'hai scoperto? Di quanto.. hai fatto tutti i controlli? » Ah quindi proprio così. Le accarezzò il volto con estremo affetto, continuando a piagnucolare. « Sei proprio una figura, mannaggia a te! Potevi dirmelo prima! » « Lo so.. però volevamo fosse speciale. » Asserì tirando appena su col naso a sua volta, mentre Gillian dal canto suo abbassava lo sguardo sul ventre di lei. Non c'era poi molto da dire. Probabilmente Gillian, come tutti gli altri, avevano bisogno di metabolizzare la questione. Mia in primis aveva avuto bisogno di tempo. « Raiden! Tesoro! Vieni qua! Congratulazioni! » Lasciò spazio a Raiden e alle tante raccomandazioni che era certa sua madre avrebbe dovuto fargli, giusto perché Gillian è Gillian, per incontrare lo sguardo della suocera. « Schatz.. posso? » La mora annuì, osservando il volto emozionato della signora Yagami con estrema gioia. Mai si sarebbe aspettata un'accoglienza così calda e premurosa. « Certo! » Un braccio le circondò i fianchi, carezzando poi con estrema premura e un filo di commozione il ventre della giovane Yagami, portandola a ricercare lo sguardo di Raiden con estrema felicità. « Ok! Gente! Adesso ci facciamo tutti insieme una foto sotto l'albero, ok? » E quella foto, Mia l'avrebbe attaccata sulla prima pagina vuoto del suo nuovo album di famiglia che tornò a sfogliare seduta sul tappeto davanti al caminetto appollaiata accanto a Raiden, col muso di Kei posando sulla gamba. « Secondo me non hanno realizzato proprio bene. » Disse di scatto scoppiando a ridere, mentre si soffermava a osservare con una certa insistenza una delle loro foto insieme. « Però a questo punto è andata! Secondo me ormai tu alla mamma potresti dire qualunque cosa e lei se la farebbe andare bene uguale. All'inizio avrà pensato.. boh.. quello che si pensa sempre. Che siamo proprio due stupidi e che non saremmo durati più di una settimana. » Poi conoscendomi.. non è che aveva tutti i torti. Io mi annoio in fretta. Non sta andando proprio così direi. Che poi non era solo la noia.. No. Non era propriamente la noia il problema. Mia tendeva a essere estremamente sfuggente, poco sincera coi suoi stessi sentimenti e desideri. Senza un carattere come quello di Raiden, probabilmente avrebbe continuato ad autosabotarsi a vita. « Ah ma tu proprio non volevi accettare un no da Gillian Wallace. Sta cosa che avresti lasciato il college per prendere un lavoro proprio non se l'aspettava. Te la sei proprio rubata malamente. » E ora è tutta miele. Raiden tesoro di qua, Raiden tesoro dillà. Non è neanche che ti ha accettato. No no, lei ti adora proprio. Sei una roba davvero odiosa a tratti. Ti fai voler bene così in fretta! « Cooomunque.. quando tutta questa imbarcata di mangiate e domande è finita, direi che è proprio arrivato il momento di capire dove sarà la nostra casetta. » Arricciò appena il naso scoppiando a ridere. « Oppure.. se restiamo qui, non so.. forse dobbiamo farla più nostra. Questo posto cade a pezzi.. e non è per niente a prova di coniglietti. Compriamo della vernice color menta, e delle tendine.. e qualche cuscino più carino.. e.. » ..tante altre cose che forse presto rischiavano di passare in secondo piano. Prima che potessero accorgersene, in verità. « Oddio ma ti rendi conto che st'estate farò gli esami col pancione tipo la Morgenstern? Praticamente tutti trenta assicurati! Non m'interessa! Coniglietto verrai sfruttato a bomba perché bisogna fare gli splendidi! Guarda te se non prendiamo voti migliori di quelle scappate di casa che vogliono rubare il papà! » E giù di risate e altre battute senza senso man mano che ormai stanchi da quell'imbarcata, venne il momento di spostarsi in camera da letto. Col cuore più leggero e la consapevolezza di quella generale approvazione, Mia si addormentò tra una chiacchiera e l'altra, strascicando le ultime parole finché non si addormentò completamente.



     
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