Lose Yourself

-Valerie-

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    exo-kai



    Ok, questo punto fa schifo, proviamo con…

    Così si ripetevano i suoi pensieri quel venerdì mattina, quando Sun provava a sfruttare le ore di buca del Kinsky, il suo professore, per controllare i nuovi testi delle sue canzoni seduto ad un tavolo di Starbucks. La prima che riguardò fu “HOLUP” ma, anche se gli sembrava ben scritta, le parole ancora non riuscivano ad entrare all’interno del flow del remix.
    Per cui non sarebbe stato strano che un passante lo vedesse canticchiare con le cuffie incastonate alle orecchie, che stavano riproducendo all’infinito sempre il solito pezzetto di musica, a cui Sun stava cercando di dare un senso.
    Inoltre, i suoi fogli erano sparsi un po’ sul tavolo e un po’ sulla tastiera del computer per averli vicini, mentre il rapper, sempre con una penna in mano, tirava righe e metteva asterischi per ricordarsi le soluzioni che trovava ai suoi problemi. Che fosse una parola sbagliata, una rima falsata o anche soltanto un pezzo in cui aggiungere un po’ più di velocità quando doveva cantare, Sun era pronto a correggerlo ed anche a riscrivere tutto da capo se fosse stato necessario. Sicuramente molte persone che gli passavano davanti avranno pensato che sarebbe stato molto più semplice scrivere al computer. “Potresti sprecare meno fogli se scrivessi al computer?!?!?!?” oppure “Gli alberi piangono!!!”, bella questa la scrivo nel pezzo.
    Non che Sun non pensasse all’ambiente, per carità, ma se c’era una cosa che il computer non poteva dargli, oltre alla soddisfazione una volta finito di scrivere, era proprio la visione d’insieme. Chung non sarebbe mai riuscito a realizzare nessuna delle sue canzoni, se non avesse avuto tutti i suoi processi mentali lì, di fronte a lui ogni volta che gli servivano. E se avesse dovuto cambiarla di nuovo ? E se gli fosse piaciuta la prima versione invece che la ventesima? come avrebbe fatto a capirlo se non avesse avuto i fogli che glielo dicevano e gli mostravano che davvero era il pezzo giusto da aggiungere. Quindi a lui importava assai, scriveva a mano a volontà ma non solo: sottolineava con colori diversi, ”disegnava”, se gli omini stilizzati si possono considerare disegni, faceva frecce, quadrati e note musicali che secondo lui potevano andare d’accordo con la canzone. Insomma alla fine avrebbe potuto prendere i ventimila fogli usati per crearci un dipinto dal nome : “il flusso di coscienza”, Joyce ne sarebbe stato molto felice.
    Poi, oltre ai suoi fogli, quaderni e agende, di sicuro non poteva mancare il suo amarissimo ice americano, che puntualmente Sun prendeva non appena varcata l’entrata di Starbucks. Era una dipendenza? Sì. Ed a lui fregava qualcosa? Certamente no, visto che se ne beveva almeno quattro al giorno, per essere più attivo che mai. E comunque sempre meglio il caffè che qualche polverella strana proveniente da “non voglio neanche sapere dove”, che, secondo Chung-Hee, suo fratello si calava ogni volta che il suo organismo lo chiedeva (sempre).
    Quindi, in parole franche, Sun si sbatteva altamente di quanti caffè beveva al giorno, soprattutto perché ormai non gli davano poi molto fastidio, anzi l’effetto lo cominciava a sentire verso il terzo caffè, che in realtà non è proprio una brutta media per uno studente universitario.
    Forse, ammettiamolo, Chung era anche un po’ troppo affezionato al suo caffé. Che fosse d’estate, o d’inverno rimaneva comunque la sua bevanda preferita. Poteva uscire da Starbucks a -1 grado ma comunque lui avrebbe sacrificato la sua mano per portare il drink fin dentro casa, in cui tra l’altro s’era fatto le scorte per tutti i momenti in cui ne aveva bisogno. E non si sarebbe fatto problemi a buttare il suo computer da un lato, se per sbaglio la tazza avesse cominciato a rovesciarsi, pronta a finire sulla tastiera. No, signore.
    Quindi, come potevate già presumere, accanto ai suoi bellissimi fogli, dipinti di goccioline di caffè, risiedeva il re della caffetteria: l’ultra large Ice Americano marcato Suuuuun music. A cui Chung spesso si avvicinava, come un amante appiccicoso che non vuole mai staccarsi.
    Altra cosa che a Sun faceva molto piacere e che lo appassionava come nient’altro, erano le persone, ed osservarle ogni tanto, tra i momenti di pausa, era uno dei suoi passatempi preferiti e se vogliamo a volte anche lo spunto per alcune sue canzoni. Vederle nel loro habitat, come si comportavano, lo rendeva particolarmente curioso, e lo faceva riflettere, anche se in realtà comparare la propria vita con quella degli altri non gli faceva granché bene, soprattutto se poi realizzava che, al momento, stavano vivendo una vita migliore della sua. Però per un artista come lui tutte quelle emozioni, quei pensieri, lo aiutavano molto, soprattutto perché gli davano del materiale su cui scrivere e comporre musica, che poi per lui è la stessa cosa che farsi una seduta dallo psicanalista. “Buttare tutto fuori, per essere più leggero domani”- cit Chung-Hee Hyun.
    Quindi anche quella giornata, anche se aveva diverso lavoro da fare per l’esibizione di domenica, Sun alzava lo sguardo e dedicava qualche minuto del suo tempo ad osservare le persone che passavano. Non che le fissasse ovviamente, sarebbe stato strano e già Chung era timido di suo. Però si lasciava prendere da qualche conversazione o da qualche scena che particolarmente attirava la sua attenzione, sempre sorseggiando quel maledetto caffè nero, amaro come la vita, dal quale non si sarebbe mai staccato.

    Edited by Zkdlìn - 28/12/2021, 22:22
     
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    Non è certo una novità il fatto che Valerie Harmon ha sempre preso molto sul serio la sua collezione di figurine delle Cioccorane. La giovane regina degli scacchi le ha sempre collezionate sin da quando era una bambina e nel corso del tempo è riuscita a possederne una quantità davvero imbarazzante. Col tempo il suo interesse si è spostato verso pezzi sempre più rari. D'altronde si sa; in epoche diverse, la nota compagnia di dolciumi ha selezionato maghi e streghe sempre diversi per far parte delle loro collezioni periodiche. Il mercato dei collezionisti era davvero spietato. C'erano pezzi che arrivavano a costare addirittura centinaia di migliaia di galeoni. Edizioni speciali, edizioni pop up, versioni mai andate in commercio, e chi ne ha più ne metta. L'album di Valerie contava ormai pezzi piuttosto rari; comprati in tempi non sospetti, avevano acquisito un valore inestimabile, come quelli dell'ex Ministra Zabini; commercializzate per poco più di otto mesi, erano già diventati una rarità e oggi, possederne una significava aver vinto alla lotteria. Si dava il caso che la giovane Harmon ne possedeva un doppione. Così, aveva preso accordi per scambiarla con un apparente pezzo altrettanto inestimabile; una figurina dorata speciale di Grindelwald rilasciata per il venticinquesimo anniversario dalla fondazione della prigione di Nurmengard. « Mi prendi per il culo vero? » Con una lente di ingrandimento tra le mani e uno sguardo assassino, Valerie solleva la testa per osservare il giovane occhialuto che si è presentato all'appuntamento, fuori dalla caffetteria. « Questo è un fake. A mani basse. » L'espressione del moro si fa sempre più contrariata. « Cosa vorresti insinuare scusa? Che vendo robe false? Guarda che l'ho pagata un sacco di soldi. Ero nel primo gruppo di scambi mai aperto sulla Wiznet. Colleziono da tre anni. Ho una reputazione io. Hai idea di quanta gente è pronta a garantire per me? » Valerie non era affatto impressionata. Lo conosceva Henry. Più di nome che altro. Era una sorta di eminenza grigia nel mercato del collezionismo. Invocava il mercato ogni qual volta dovesse valutare un prezzo; umiliava chi vendeva a prezzi troppo alti e chi chiedeva scambi impensabili. Su di te però a quanto pare non si applicano le stesse regole eh. « Guarda la grana e il taglio. Le misure corrispondono e i colori sono identici. E' in perfette condizioni. Mai tolta dalla pellicola da quando ce l'ho. » Ed effettivamente era una replica molto convincente. Henry doveva aver pensato di aver fatto un ottimo affare. Magari hai pure pensato di aver fregato il poveraccio che te l'ha venduta. « Mi dispiace deluderti ma lo scambio salta. È falsa. » « Tu non stai bene.. » « E invece sto benissimo. Sei tu che ti sbagli. Cerco questa figurina da abbastanza tempo per sapere che questa qui - uno - è zoomata e - due - le nocche di Grinderwald rimangono sempre in campo. Lo vedi che lo sfondo è sbagliato? Questo dettaglio sulla tappezzeria del suo studio dovrebbe essere intero, e invece è tagliato. » Vaffanculo Henry! Vaffanculo. « Ma non credo proprio! Guarda che ci sono varie stampe eh! Io non vendo roba falsa. Le mie figurine sono tutte vere. Fine della questione. » Ormai disinteressata e anche un po' delusa, Valerie annuisce senza neanche dargli più ascolto decidendo di rivolgergli le spalle ed entrare nella caffetteria. « Seh va beh! Ci vediamo. Chiamami quando trovi quella vera. Fino ad allora la mia Zabini la vedi col binocolo. »
    sazh1hF

    Con l'animo nero e ancora un po' seccata da quanto avvenuto, Valerie si diresse verso il bancone della caffetteria, ordinando un doppio caffè macchiato. Un bibitozzo colmo zeppo di zuccheri che prese lasciando una piccola mancia al cameriere. Fu allora che prese a guadarsi attorno. All'ora di punta, i tavoli di Starbuck erano sempre completamente occupati. Non che ciò facesse poi molta differenza. In fondo, la vita universitaria era completamente fatta di una condivisione forzata. Condividere i bagni nel campus, le aree comuni, le sale studio e così via. Fu quando incontrò un viso noto che assottigliò appena lo sguardo. Ma io ti conosco. Certo che lo conosceva. A Natale Valerie aveva letteralmente scappare il povero Hyun Chung-Hee dopo che lei e Eliphas avevano deciso di condividere con lui una vera e propria staffetta di baci. Già. Il Natale. Per un istante, l'istinto di ignorare la sua presenza fu parecchio forte; d'altronde, che Valerie non fosse la persona più incline alla società era piuttosto evidente anche agli occhi di un cieco. Tornò tuttavia ben presto sui suoi passi, decidendo di posizionarsi di fronte alla sedia adiacente a quella del ragazzo, osservandolo con un'attenzione insolita. « Lo sai che fissare la gente non è proprio il massimo? Inizieranno a pensare che sei un pervertito. O uno psicopatico. » Sollevò un sopracciglio inclinando la testa di lato, prima di far scivolare la sedia più all'indietro sedendosi al tavolo. Posò il proprio caffè sulla superficie ruvida del tavolo prendendo a osservare con altrettanta curiosità la folla. « Ti faccio una domanda. » Non era una domanda. Piuttosto un'affermazione. Gliel'avrebbe fatta in ogni caso. « Ti trovi bene a Hogwarts? » Pausa. « Mi spiego meglio.. secondo la tua percezione, è un bel posto? Trovi che le cose stiano andando bene oppure cambieresti qualcosa? » Stirò automaticamente un sorriso forzato. « È per una ricerca. Io studio psicologica. » Che in realtà la domanda avesse tutto un'altra ragione, Valerie non sentì il bisogno di ammetterlo. Voleva conoscere la percezione di qualcuno che il Lockdown non l'aveva vissuto, che a Hogwarts viveva da poco. « Ti dirò la mia, se ti interessa, però in tanto mi piacerebbe conoscere il tuo punto di vista. »


     
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    Chung rimase per qualche minuto a fissare un punto nel vuoto, anche se a lui parvero secondi, immerso nei suoi pensieri e nelle sue fantasie. Ormai completamente partito per il mondo delle meraviglie, anche se qualcuno gli si fosse seduto accanto per parlargli, probabilmente non sarebbe riuscito a sentirlo, soprattutto grazie alle cuffie che stava indossando, le quali riuscivano sempre ad isolarlo dal mondo esterno. Per fortuna, la canzone, che avrebbe dovuto cantare quel fine settimana, dopo tre minuti terminò, così che potesse partire il ritmo della canzone successiva, che tutt’altro era che una ballad lenta dai suoi dolci. Infatti, i bassi erano così intensi che Chung non poté non tornare nel mondo dei comuni mortali per girarsi verso il computer e premere il tasto pausa.
    “Ok, devo decisamente abbassare il suono. Povere orecchie.”
    Affermò Sun, parlando tra sé, mentre si toglieva le cuffie, in modo da potersi massaggiare un orecchio e portarsi alle labbra il caffè americano, che tutti i giorni lo accompagnava nei suoi lunghi pomeriggi di studio... della musica. Però, d’un tratto sentì una voce femminile, che riconobbe subito tanto gli si era impressa nella memoria. Infatti, anche se Chung avrebbe preferito non alzare minimamente lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli di Valerie Harmon e lo lasciarono completamente spiazzato, tanto che, Sun, nella sua testa, cominciò un viaggio in cui le figure di merda fatte nella serata al Secret Santa gli passarono tutte davanti una ad una. Così, Chung partì dal momento in cui si erano incontrati per la prima volta, in cui Valerie era piegata in due per la nausea, per poi continuare ai baci scambiati a staffetta con anche il bibliotecario di Hogwarts ed infine alla sua erezione, che quasi non lo portò ad una crisi di panico.
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    Poi… accadde, in un millisecondo, Chung spruzzò tutto il caffè, di cui aveva appena preso un sorso, sul viso della povera Valerie, che tutto si meritava tranne che una doccia, per niente rigenerativa, come quella che si stava per riversare sul suo viso. Però, a difesa di Chung, era molto molto sorpreso che lei fosse lì davanti ai suoi occhi, ma soprattutto che lui non fosse ancora scappato in Messico per non farsi più rivedere. Forse avrebbe dovuto prendere un aereo il giorno stesso?
    “Oddio, joesong haeyo!” Quasi urlò Chung alzandosi in piedi per fare un inchino a 90 gradi, ricordandosi solo dopo di aver usato la lingua sbagliata. Cazzo. “Cioè…Scusami moltissimo. Vado a prenderti dei fazzoletti!!”
    Affermò Chung disperato, per poi partire come un fulmine alla ricerca di qualche tovagliolo di carta che potesse eliminare almeno un minimo l’errore madornale che aveva appena fatto. Ora sì che non sarebbe riuscito a guardare Valerie negli occhi neanche per un secondo, ma proprio mai nella vita.
    “Scusa, scusa, scusa…ecco, tieni, spero possano bastare!”
    Affermò impanicato, Sun, porgendo con entrambe le mani i fazzoletti imbevuti di acqua alla ragazza, per poi rimettersi a sedere ed osservare il disastro in cui riversava il tavolo. Infatti, gli spruzzi di caffé non solo arrivarono addosso a Valerie, ma ovviamente si fermarono anche un po’ prima, ricoprendo la maggior parte dei fogli di micro goccioline. Ottimo..davvero un genio, Chung, sei stato fantastico.
    Quindi, visto che era sicuro che di lì alla fine della conversazione sarebbero successi altri danni, Sun decise di sistemare tutti i vari quaderni e fogli sparsi all'interno del suo zaino, così che non potesse succedergli niente.
    Poi cercò di ricomporsi e, con le guance che gli andavano a fuoco, il tasso provò a rispondere alla domanda della ragazza, anche se rimase particolarmente stupito dalla sua curiosità. Va bene che fa psicologia, e già questo mi dice tante cose su di lei, ma perché proprio me di preciso? Non ci sono altri studenti, con cui sono successe meno cose STRANE, decisamente STRANE, con cui poter parlare?.
    Chung mandò giù il nodo alla gola che gli era rimasto sin dall'inizio della conversazione, per poi provare a esporre qualcosa di sensato, ma non troppo complesso, perché sapeva perfettamente che in una situazione del genere le parole gli si confondevano in testa, come se fossero appena state messe in lavatrice insieme al cervello. la cucaracha la cucaracha tralalalalalala, EH!
    “Beh…Mh..diciamo che provenendo dalla Corea mi è tutto nuovo, anche soltanto i rapporti sociali tra le persone. Ma in generale…Mh… penso siano tutti un po’ troppo sovraccarichi, tesi, quasi all’orlo di, come dire, scoppiare.”
    Non sono stato minimamente chiaro. Ma proprio neanche un po’.
    “Ma… e te che ne” colpo di tosse “pensi?”
    Appena finì la frase Chung ebbe il coraggio di guardare solo per una frazione di secondo il volto di Valerie, prima di ritornare a spostarlo su qualsiasi oggetto vicino, che potesse dargli conforto, anche se era palese, ma proprio palese, che si sentisse a disagio. Però, per rimediare al suo scortesissimo saluto, Sun avrebbe volentieri risposto a tutte le domande che le venivano in mente, senza fare obiezioni. Almeno quello glielo doveva.


     
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