Little Monster

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    29 Ottobre 2018

    Il pomeriggio poco dopo le lezioni Nathan Turner prendeva quel poco tempo che gli rimaneva per allenarsi con il suo skate nei corridoi antestanti al giardino interno del castello. Era uno dei pochi posti dove poteva provare a fare i suoi holly con il rischio però di finire addosso agli studenti che passavano di lì.
    Nathan era una persona attenta, cercava di ritagliarsi un piccolo spazio senza dare intralcio a nessuno consapevole però che nei suoi vari tentativi di far saltare lo skate qualche volta la tavola scappava dal suo controllo.
    Ieri ci sono riuscito ben tre volte di fila, devo superarmi Era determinato nel voler riuscire in quella piccola mossa. Aveva passato l’intera estate ad allenarsi per rimanere in equilibrio sullo skate ed era persino riuscito a fare lunghi tragitti sopra la tavola.
    Riprova e riprova a fare quel salto, ma quel giorno sembrava proprio che non riuscisse a farlo, come se avesse dimenticato in meno di ventiquattro ore come riuscire a saltare sulla tavola. Per tutte le puffole pigmee. Sbatté i piedi per terra iniziando ad innervosirsi nel non riuscire a fare quello che fino al giorno prima sembrava facile ai suoi occhi.
    Passò qualche ora, non tantissimo tempo quando alla fine riuscì finalmente a fare il primo holly del giorno. « SIII, DAJE. » Esultò come se avesse segnato il primo punto in una partita di quidditch. « Ora di nuov- » Fece una leggera pressione sulla tavola e staccò in salto per farla roteare, ma una volta toccato il terreno la tavola di legno partì da sotto i piedi ed inciampò in avanti finendo addosso ad un ragazzo che non aveva mai visto. « SCUS- » « Scusa un par di palle. » Un ragazzo forse del quinto anno lo strattonò all’indietro facendo cadere Nathan sul sedere: « Ma dove cazzo guardi, eh? » Alzò lo sguardo per vedere chi era il ragazzo che aveva tamponato involontariamente dopo il suo scarso risultato: davanti a lui c’era un serpeverde un bel po’ più alto del piccolo Turner. « Ti diverti a fare lo stronzetto per i corridoi, eh? Questa me la prendo io. » Il tipo si abbassò sulla tavola da skate e la mise sotto il braccio: « Sarà utile in sala comune quando farà freddo. » Bofonchiò altezzoso il serpeverde. « Hey, è mia! Ridammela!! » Sentendo quella frase il serpeverde scoppiò a ridere ed iniziò a correre verso il giardino. Nathan senza aspettare un attimo di secondo si fiondò all’inseguimento del serpeverde. « Ridammela ho detto!! » Continuava ad urlare e, quando il serpeverde si fermò a centro di cortile guardò Nathan con uno sguardo molto divertito, forse fin troppo. « Cosa della frase: Adesso è mia, non hai capito? » D’istinto Nathan uscì la bacchetta e la puntò verso il ragazzo: « Non è tua, l’hai presa senza permesso. » Non voleva ricorrere alla magia, non era permesso duellare al di fuori della sala duelli e sicuramente Nathan era consapevole che non avrebbe intimidito più di tanto quel bulletto da quattro soldi. «Expelliarmus » Fu un gesto così rapido che il corvonero non si accorse che la sua bacchetta volò via in pochissimi secondi. Rimase sbalordito dalla velocità del serpeverde nel castare quell’incantesimo. Lo conosceva, era un incanto base per disarmare, ma ora con la bacchetta del serpeverde puntata contro si sente spaesato e particolarmente impaurito dalla situazione: « Voglio solo indietro la mia tavola da skate…» La voce del corvonero era debole, leggermente intimorito dalla situazione che gli si era parata davanti: « Ah sì? La rivuoi indietro? »
    La scena seguente fu un momento che andò a rompere del tutto i nervi del piccolo corvonero. Il serpeverde prese la tavola e lanciandola verso Nathan castando un reducto. lo skate divenne polvere in men che non si dica.
    Si impietrì Nathan nel vedere quello che successe alla sua tavola, un regalo che aveva ricevuto dai suoi nonni quell’estate. Strinse i pugni e abbassò lo sguardo sentendo una forte rabbia scaturire dall’interno.

    « E adesso che fai? Piangi? » Con gli occhi colmi di rabbia alzò lo sguardo, forse solo il serpeverde se ne poteva rendere conto, ma il colore scuro nelle iridi del corvonero avevano dato spazio ad un rosso pieno di rabbia. « Avevo chiesto cortesemente di ridarmela. » Si avvicinò lentamente al serpeverde non curandosi della bacchetta puntata verso di lui. Diede uno schiaffo alla mano del ragazzo più grande facendogli cadere la bacchetta. Sentì arrivare un pugno, ma con un movimento quasi impercettibile lo schivò e, una volta visto lo spazio libero lasciato dal serpeverde gli arrivò un pugno di pronta risposta. Dopo il pugnò assestò persino una ginocchiata in pieno stomaco tanto da spezzare il fiato al ragazzo più grande: « Piccolo bastard- » Non concluse la frase il serpeverde, si beccò un calcio in pieno volto una volta piegato tanto da mandarlo a terra: « Prendi botte da uno più piccolo di te. » Affermò secco osservandolo da dietro l’ammasso di capelli che gli coprivano il volto: « E tu dovresti essere un bullo? » Ed ecco arrivare un altro calcio da parte di Nathan dritto alle costole del serpeverde. E dopo ne arrivò un altro ed un altro ancora, non si sentiva per niente appagato, ma voleva semplicemente restituire il dolore che l’altro Nathan aveva provato nel vedere la tavola da skate andare in mille pezzi. « B-Basta… » Una flebile richiesta arrivò dal serpeverde steso a terra, ma Nathan non sembrava volersi fermare. Mise un piede in faccia al serpeverde e lo guardò più da vicino: « Scusa non ti sento. » Ed eccolo andare giù con un altro calcio in pieno stomaco.
    Mentre era pronto a sferrare l’ennesimo calcio sul serpeverde steso a terra qualcuno lo tirò via allontanandolo da quel pestaggio a senso unico: « Lasciami stare, non ha ancora imparato la lezione » Si dimenò dalla presa dello sconosciuto liberandosi poco dopo, ma quei pochi secondi di distacco diedero il tempo al serpeverde di recuperare la bacchetta e scappare via.
    « Corri bastardo, corri a piangere dalla mamma. » Gli urlò contro vedendolo scappare via con la coda tra le gambe. « E tu che mi hai fermato! Non ti permettere mai più. » Si girò di scatto verso la figura sconosciuta che lo aveva tirato via da quel pestaggio con gli occhi ancora iniettati di rabbia.


    Edited by Ðeicide - 12/1/2022, 22:46
     
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    29 Ottobre 2018

    Finalmente era arrivato il momento per rilassarsi. Le noiosissime lezioni erano finite, Van non doveva più stare in classe con quei pallosi dei suoi compagni e finalmente poteva passare la giornata in tranquillità insieme ai suoi amici nel giardino della scuola.
    Il cielo era strepitoso, di un azzurro che quasi ti ci potevi perdere, se rimanevi a fissarlo troppo, ed il sole, nonostante stesse un po’ calando, continuava a riscaldare ogni zona che ancora riusciva ad illuminare. Questo voleva dire solo una cosa, che tutti gli abitanti della scuola sarebbero stati in giro per il castello per non rimanere rinchiusi all’interno delle proprie sale comuni, che tanto avrebbero avuto tutto il resto dell’anno per farlo, soprattutto perché si trattava dell’Inghilterra, che non era proprio conosciuta per il caldo afoso ed il cielo limpido.
    Ovviamente, anche Van ed i suoi amici sarebbero andati a cercare un posto in cui stare a chiacchierare e giocare un po’ con i nuovi oggetti dei Tiri Vispi Weasley, provandoli sulle prime persone che passavano, che fossero studenti o professori in realtà poco importava. Perciò il ragazzo del quinto anno, che tutti chiamavano “il capo”, era di fronte alla fila, che guidava il gruppo, insieme a quelli che potevano considerarsi il suo braccio destro e sinistro, o in termini da giocatori di quidditch la sua mazza e il suo bolide.
    Ogni volta che Van stava con loro non aveva bisogno di essere ansia, anzi, tutte le sue preoccupazioni terminavano nel momento in cui Clary le posava un braccio intorno al collo per stringerla a sé ed offrirle uno dei suoi lollipop preferiti, che in realtà secondo Nirvana erano un po’ truccati, visto che la sua compagna era più iperattiva di lei di almeno cento volte.
    Clary era la sorella del capo, nonché sua coetanea, che l’aveva presa particolarmente in amicizia perché Van riusciva ad apprezzarla anche così com’era, ovvero una persona con decisamente troppa parlantina e con qualche rotella fuori posto. In realtà non era l’unica ad avere dei problemi in quel gruppo, anzi c’erano molte persone che erano emarginate dal mondo, ma in cui qualche ragazzo, che fosse stato reclutato da poco o un veterano, aveva visto qualcosa che gli dava speranza. Per questo Clary aveva reclutato Nirvana, non perché fosse un genio di tattica o una spaccaculi , ma semplicemente perché aveva abbastanza empatia per non credere che Clary fosse una pazza sclerata, che se la prendeva con gli elfi domestici solo perché non avevano preparato il tiramisù a colazione. Il che era vero, non è che fosse completamente sana, ma Nirvana non si sentiva in grado di darle un giudizio, per lei andava bene anche se avesse cominciato ad urlare per tutta Hogwarts per sponsorizzare il suo maledetto tiramisù. Perciò diventarono amiche, anche se questo comportò molte…molte cose, prima tra tutte l’averla ogni giorno appollaiata vicino al banco che sparava gossip neanche avesse passato la notte a chattare con tutte le rane dalla bocca larga di Hogwarts. Però se questo voleva dire avere qualcuno dalla sua parte, come lei e gli amici di suo fratello, a Nirvana andava bene perché era molto confortante, non che tutti fossero raccomandabili o particolarmente socievoli, ma almeno aveva delle persone con cui passare le sue giornate a sparare cavolate e divertirsi fin quando non veniva sera. Poi il fatto che fossero una delle combriccole più temute di Hogwarts, questo era un altro par di maniche, ma Van di solito cercava di non immischiarsi nei loro giri strani, anche se ormai, dopo tre anni, era inevitabile che avesse preso un minimo il loro modo di fare.
    Quindi, ritornando a parlare di quel giorno d'ottobre, Benji, il fratello di Clary, dovette solo battere le mani per palesare la sua presenza, affinché un gruppo di ragazzi, forse solo di un anno più grandi di Van, lasciassero il posto al sole nel giardino, in modo che lei ed il suo gruppo si potessero accampare sulla panchina e le sedie lasciate vuote.
    “Van, vieni qui!”
    La chiamò Clary battendo sulle gambe in modo che Nirvana si potesse sedere su di lei. Il che non sarebbe stato assolutamente un problema, se Van non avesse odiato il contatto fisico. Infatti, da quell’estate, ovvero da quando i suoi genitori avevano avuto la fantastica idea di passare le vacanze in montagna per essere più protetti dalla Loggia Nera, non si sa per quale motivo surreale, Van, non riuscì più a farsi toccare da nessuno, se non per più di qualche minuto e controvoglia. Quella sensazione indelebile di dolore e paura non riusciva più a lasciare la sua mente da quando l’avevano rapita e morsa, tanto che all’inizio fu anche difficile far avvicinare i dottori, che dovevano per forza controllarla ogni giorno da quando era arrivata al San Mungo.
    “Su! Daiii, non farti pregare!”
    E che doveva fare povera ragazza, combatté il suo istinto che le stava urlando di sedersi da un’altra parte, finché non riuscì a fare qualche passo e sedersi sulle gambe della compagna, che per quanto quel contatto fisico le mettesse ansia, non voleva che Clary se la prendesse a male. In fondo era la sua unica e vera amica ed ancora Van non aveva abbastanza sicurezza in sé stessa per rifiutarsi di fare quello che non voleva.
    “Ufff, ma per pochi minuti, te lo dico, poi diventa scomodo.”
    Ed è quello che fece, restò lì per qualche minuto, mentre il resto della combriccola parlava del più e del meno e poi si fece da parte con più nonchalance possibile, cercando anche di frenare il suo cuore dall'uscire dal petto.
    Non succede nulla, tranquilla, non ci sono lupi mannari, è tutto finito, è solo un brutto ricordo. Continuava a ripetersi nella mente, mentre in un modo o nell’altro le toccò alzarsi, per cercare di svagarsi e non continuare a dare legno da bruciare alle sue paranoie. Fu così che Nirvana passò a fare dei tiri con la mazza ed una palla di gomma con Christian e Jessica, esperti giocatori di Quidditch, nonché battitori di grifondoro. Come era prevedibile, le fecero il mazzo, ma così tanto che beccò più volte la pallina in tutti i posti possibili ed immaginabili, tranne che nelle mani. Una volta anche sul sedere, neanche si fosse girata di spalle come una scema pensando che la palla fosse stregata.
    “Ah ah ah, molto divertente Daniel.”
    Infatti, non era stata una sua svista, ma semplicemente un suo compagno di casata che voleva fare il simpatico e far fare due risate a tutti, visto che era evidente quanto Nirvana non fosse adatta per quel ruolo. Uff, che invidia, maremma.
    Però le risate si fermarono di colpo e lo sguardo di tutti andò a fissarsi su una scena che per Van era piuttosto fuori dal comune. Infatti, un ragazzo di serpeverde dell’ultimo anno stava scappando, o almeno così sembrava all’inizio, con uno skateboard sotto braccio, subito seguito da un altro ragazzo, che chiarì la situazione. Lo stupido gli aveva rubato lo skateboard. Ora, vi starete chiedendo, perché proprio “stupido”? Perché quel qualcuno aveva osato creare scompiglio, proprio lì dove era il capo, che stava tranquillamente giocando a poker magico insieme ai suoi compagni di banda.
    Benji si scrocchiò il collo, pronto ad intervenire se quel bulletto da quattro soldi di un serpeverde avesse toccato anche per una sola volta il ragazzo. Però non ce ne fu mai bisogno, perché, nonostante all’inizio fosse palese chi dei due avesse la meglio sull’altro, tutte le previsioni andarono in frantumi quando Nathan sferrò il primo colpo. Nessuno, ripeto, nessuno se lo sarebbe mai aspettato, per prima Nirvana, che era già pronta a prendere la mazza da baseball per tirarla sugli stinchi al serpeverde, ed a seguire tutti gli altri, che rimasero a dir poco a bocca aperta, mentre per Clary fu la prima volta che decise di sua spontanea volontà di rimanere in silenzio.
    “Oddio”
    Scappò a Nirvana quando vide Nathan continuare a riempirlo di calci, non contento di averlo messo al tappeto con solo due mosse.
    Nessuno si spostò, né disse niente per il resto del tempo, anzi rimasero solo a guardare la scena, consapevoli che quella non era la loro battaglia e che l’unico che poteva fare qualcosa era proprio la persona a cui il serpeverde aveva fatto il torto. Loro, che per così tanto tempo erano stati emarginati, non potevano intervenire proprio nel momento in cui veniva messa in atto una delle loro prime regole, ovvero che un torto deve essere ripagato dente per dente. E chi meglio di Nathan poteva sapere quanto valesse lo skateboard, che il serpeverde, con tutta la sua spavalderia, aveva ridotto in frantumi.
    Nirvana era certa che la maggior parte dei presenti in quel momento stessero pensando “sta facendo bene” ed anche lei sinceramente non era in disaccordo, visto che avrebbe voluto riversare tutta la sua rabbia verso i lupi mannari che l’avevano trasformata, come Nathan aveva fatto sul serpeverde. Però non poteva scordarsi neanche dell’altra regola della banda, ovvero che ad un certo punto bisognava fermarsi, reprimere la rabbia ed andarle a dare a qualsiasi altra cosa che non fosse un essere umano. Non potevano arrivare ad uccidere qualcuno, sarebbe stato un errore ed un peccato che nessuno si sarebbe mai perdonato. Sicché, visto che nessuno si stava muovendo, Nirvana saltellò un po’ sul posto per prendere una decisione, ma quando sentì il serpeverde richiedere una tregua e vide Nathan sferrare un altro calcio allo stomaco, tutto le fu più chiaro ed agì d’istinto.
    “Dai, ora basta, abbiamo capito”
    Affermò la corva per poi farsi avanti, afferrarlo per la maglia e strattonarlo da dietro per non fargli tirare l’ultimo calcio. Tutto ha un limite.
    In realtà, anche se il ragazzo si dimenava come un pesce appena catturato con la lenza, Nirvana non aveva paura di affrontarlo o di ricevere un calcio a sua volta, anzi era calma, ma non perché fosse coraggiosa, bensì perché il suo gruppo la faceva sentire così protetta da farle credere di poter affrontare qualsiasi cosa, e qualsiasi persona, anche uno che sembrava essere appena uscito da Kung Fu Panda.
    Quindi Van non si smosse quando il ragazzo si ribello a lei, ma fu felice di essere riuscita a trattenerlo dal fare una grande cazzata. Inoltre, la corva fu soddisfatta quando Nathan urlò dietro al serpeverde « Corri bastardo, corri a piangere dalla mamma. », non poteva che essere più d'accordo.
    “Vai! Corri testa di cav…Merda!! Non ti azzardare più!”
    Peccato che Nathan poi fece l’errore madornale di girarsi di scatto, facendo retrocedere Van di un passo per lo spavento. Quel gesto non solo mise in allerta tutti i componenti della banda, ma fece anche perdere la pazienza alla corva, che aveva solo cercato di aiutarlo.
    “Oh, ma che vuoi! ti ho anche salvato dall’espulsione, idiota.”
    Affermò, guardandolo dritto negli occhi, pronta ad attaccare briga per la prima volta in vita sua. Finalmente si era arrabbiata, forse con la persona sbagliata, visto che sembrava essere il Jackie Chan dei suoi tempi, ma almeno si era fatta sentire, aveva espulso un po’ di tutto quell’odio represso che aveva dentro e si sentiva da dieci.
    “Su, che vuoi fare? Picchiare una ragazza? Vieni, prendo anche la mazza, se vuoi.”
    Continuò Van, mentre Clary alle sue spalle sembrava sempre più preoccupata, tanto che con un gesto repentino si spostò verso il fratello, in modo che se fosse scoppiata una rissa l'avrebbe potuta proteggere. Però non poteva essere così stupido, no? Dieci contro uno, non era proprio il massimo che si poteva avere dalla vita.


    Edited by Nirvana^ - 11/1/2022, 21:33
     
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    Il cambio repentino d’umore aveva fatto sì che l’altra personalità emergesse istantaneamente. L’ultimo ricordo visibile per Nathan quel pomeriggio di Ottobre fu solamente la tavola che andava in mille pezzi e lui che scappava via piangendo, ma in realtà le cose non erano mai andate così. Si era manifestata l’altra personalità che aveva preso quel serpeverde e lo stava picchiando come se fosse il miglior combattente in circolazione. La scena faceva anche un po’ ridere nel vedere un quasi tredicenne picchiare un ragazzo di almeno tre anni più grande. OniNath aveva preso il controllo della situazione ribaltando il tutto con estrema semplicità. La rabbia che era scaturita da dentro Nathan aveva spinto l’altra personalità ad infierire maggiormente sul ragazzo ormai a terra. Gli occhi rossi iniettati di odio e rabbia ne erano la conferma: avrebbe continuato finché non avrebbe visto quel ragazzo più grande fatto in mille pezzi come la sua ormai compianta tavola da skate.
    Non aveva fatto per niente caso alle persone che aveva attorno. Non aveva dato peso a quello che le persone all’interno del giardinetto interno avrebbero pensato di lui. Qualcuno però lo tirò via da quel pestaggio a senso unico riconoscendo che forse c’era un limite alla violenza che stava scatenando contro l’ormai malcapitato che era finito sotto le mira dell’oni. Lo vede alzarsi e scappare via senza guardarsi indietro. Aveva persino visto un po’ di sangue sul volto del ragazzo che usciva dal naso ed un altro rivolo che usciva dalla bocca. Sperava con tutto il cuore di avergli rotto qualcosa, ma quello che voleva più di tutto era che quel ragazzo non lo avrebbe più toccato, nemmeno con un dito, lasciandogli la consapevolezza che la scena si sarebbe ripetuta nuovamente, ma stavolta senza nessuno che lo avrebbe fermato.
    Gli occhi ancora rossi ed iniettati di odio scrutano la persona che lo aveva fermato; era una ragazza dai capelli ricci. Continuava ad osservarla spostando lo sguardo prima su di lei e poi sui ragazzi dietro. Erano pronti ad intervenire se avesse provato a torcere un capello alla ragazzina, ma lei non c’entrava nulla con la rabbia che aveva lasciato riversare sul serpeverde, anzi aveva cercato di evitare il peggio sia per Nathan, ma anche per quel ragazzo. « Oh, ma che vuoi! ti ho anche salvato dall’espulsione, idiota. » Touché, ma fatti un pacco di pluffe tue. Piegò la testa di lato Nathan con uno sguardo abbastanza divertito dalla scena che si presentava davanti ai suoi occhi: « Su, che vuoi fare? Picchiare una ragazza? Vieni, prendo anche la mazza, se vuoi. » E lì non riuscì a trattenersi dal riderle in faccia: « Non mi hai fatto nulla, non sei nessuno per me. » Fa spallucce ancora divertito dalla scena che gli si era presentata davanti. Diede le spalle alla mora riccioluta per dirigersi verso il luogo dov’era finita la bacchetta: « Allora ti devo ringraziare, davvero… » Dopo aver recuperato la bacchetta ritornò sui suoi passi avvicinandosi alla sconosciuta. Un sorriso sghembo sul volto abbastanza divertito: « Miss nessuno con il suo gruppetto di bulletti da quattro soldi, grazie per aver evitato la mia espulsione. » Posò la bacchetta nella tasca dei pantaloni ritornando nuovamente indietro dove i resti del suo skateboard erano andati in mille pezzi lasciando solo le quattro piccole ruote si piegò per recuperarle ed infilarle nella tracolla: « Nemmeno un reparo ben castato potrà riportarlo in vita. » Pensò ad alta voce continuando a dare le spalle alla ragazza ed al suo gruppetto ormai da lui definito: bulletti da quattro soldi. « Ci si becca, miss nessuno. » Fece un cenno con la mano allontanandosi definitivamente da quel giardinetto interno, ormai libero dalla prigionia di Nathan, l’Oni decise di godersi il resto della giornata per andare a divertirsi a modo suo. Avrebbe potuto persino lanciarsi contro quel gruppetto di bulli, ma non era stupido sapeva valutare le situazioni, uno contro dieci non era fattibile, non almeno con quel corpetto esile che si ritrovava Nathan.

    5 Novembre, 2018

    Mancavano appena due giorni per il suo compleanno. Ne era entusiasta perché nelle lettere scambiate con i suoi nonni, gli sarebbe arrivata una tavola da skate nuova di zecca. Aveva sentito la mancanza del suo giocattolo preferito. Era uno dei pochi sfoghi che riusciva a godersi, ma da quel giorno di Ottobre le sue giornate erano cambiate radicalmente. Quando incrociava nel corridoio quel serpeverde, il ragazzo faceva il giro largo, allontanandosi da lui come se avesse paura, ma Nathan non sapeva il reale motivo. Girava voce che un ragazzo del terzo anno lo avesse messo a terra, qualcuno addirittura gli disse che era stato proprio lui, ma il ragazzo non ci credeva per niente. Nell’incrociare il ragazzo nei corridoi però una voce interna ripeteva sempre: « Ti è andata bene.» Come se una parte di se fosse a conoscenza di quello che era successo al serpeverde quel giorno.
    Stava seduto in sala comune quel pomeriggio mentre sfogliava annoiato un libro di erbologia. Non era una materia che rientrava nelle sue corde, ma fortunatamente Carrie Branwell, la sua amica conosciuta l’anno prima era l’unica che riusciva a fargli entrare i concetti spiegati dal professor Crouch. Quando non c’era lei però non entrava per niente nel mood per studiare quella materia: « Che noia. » Una frase che difficilmente usciva dalle labbra del corvonero, ma era consapevole che quella materia non sarebbe mai stata la sua preferita, anzi si aspettava sicuramente il debito estivo che avrebbe recuperato l’anno successivo: « Tra tutte le materie poi… » Chiuse il libro con foga facendo risuonare il tonfo per la sala comune. Era stato così concentrato sul libro, nonostante non ci capisse niente, che non si accorse che la sala era vuota, vi era silenzio tranne per della musica che sembrava provenire dai dormitori femminili. « Sta disturbando la nostra quiete. Dovresti andare a vedere. » Ancora quella voce interiore che di tanto in tanto interveniva come se parlasse direttamente a lui: « Forse sì. » Fece spallucce e si alzò dalla sedia spostandola rumorosamente, se la godeva quella sala comune in estremo silenzio, fosse successo con altre persone intorno sicuramente lo avrebbero ripreso per disturbo alla quiete. Era luogo di studio e passatempi la sala comune, ma nemmeno a fare così.
    « Al dormitorio delle ragazze è proibito l’ingresso dei ragazzi, ma loro possono entrare nella tua stanza ti sembra giusto? » Spezzò una lancia a favore di quel pensiero: Perché non poteva salire a dire alla tipa di staccare un po’ la musica? Solo perché era

    un ragazzo? Si prese di coraggio e salì immediatamente la scalinata in legno che portava al dormitorio. Aprì la porticina di legno ritrovandosi in un altro corridoio dove vi erano tutte le altre stanze. La musica proveniva dalla stanza più lontana, ma risuonava per tutto il corridoio. Quatto quatto si avvicinò alla stanza e bussò, ma nessuno rispose. Riprovò una seconda volta, poi una terza, una quarta, ma nessuna risposta; la musica era davvero alta: « Apri la porta! » Doveva farlo? Bussò un’ultima volta e poi istintivamente spalancò la porta pronto a dire a chiunque si trovasse lì dentro di abbassare un po’ il volume della musica: motivo? Si sentiva solo lei in tutta la sala comune, ma non appena la porta fu aperta la prima cosa che arrivò in faccia a Nathan fu un cuscino che lo sbilanciò leggermente all’indietro. Successivamente la ragazza, proprietaria della stanza, corse a chiudere la porta, ma nel suo sbilanciarsi un piede rimase fermo vicino allo stipite basso della porta. Lei chiuse con forza, ma l’unico risultato fu quello di schiacciare il piede del corvonero: « EHI EHI ATTENTA AL MIO PIED-AHIA! » Saltò definitivamente all’indietro sentendo il piede incastrato. Perse la scarpa perché rimasta lì in mezzo alla porta. Cadde a terra di sedere andando a sbattere la testa contro la porta della stanza alle spalle, sentì un Chi è? Tanto da alzarsi di scatto prendere la scarpa ed entrare nella stanza della tipa che era stata così gentile da chiudergli il piede lì in mezzo: « Ho bussato cinque volte… A dire che hai sentito… E comunque ho corso un rischio per venire a dirtelo » Iniziò a massaggiarsi il piede dolorante andandosi a sedere nella stanza per terra: « Ah… » Le guance del corvonero si tinsero di un leggero rossore quando si rese conto di essere entrato nella stanza di quella ragazza istintivamente: « Ecco sì… Ecco… Ad…Adesso…Va…Vado!» Si alzò di scatto recuperando la scarpa, ma una volta vicino alla porta pronto ad uscire sentì la ragazza del dormitorio di fronte uscire nel corridoio e sbraitare qualcosa contro dei ragazzi che le facevano stupidi scherzi bussando alla porta: « Ehm… » Breve silenzio dando comunque le spalle alla proprietaria della stanza: « Mi sa che sono fregato. » « Fregato? Può essere, ma da oggi sei ufficialmente un ometto. » Quella voce iniziava davvero a stancarlo.
     
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    “Miss Nessuno…”
    Miss nessuno a me.
    Nirvana non faceva altro che guardare Nathan dritto nel viso, iraconda, con le mani strette in pugni pronta ad assestarne uno, se proprio le fosse servito a sentirsi meglio. Altro che occhi iniettati di sangue, quella volta dovette contare pure fino a dieci prima di schiudere le labbra e fare un sospiro, mentre il ragazzo controllava le condizioni del suo skate.
    Come si permette, brutto scemo mangia lumache del cavolo, dovevo lasciarlo dove stava.
    “Novellino, il capo del gruppetto di bulli da quattro soldi, ti dice che faresti meglio ad andartene.”
    Finalmente Benji decise di alzarsi dal suo posto e Nirvana sperò con tutta sé stessa che fosse per prendere Nathan per la collottola e spararlo il più lontano possibile di lì, come faceva il platano picchiatore, ma non sembrò infastidito dal commento del ragazzo, tanto che sul suo volto era presente solo un ghigno divertito, che a Nirvana non piacque affatto.
    “Andiamo ragazzi, di sicuro quel serpeverde sarà andato a chiamare i professori, è meglio finirla per oggi.”
    Nirvana, che non riusciva a staccare gli occhi da Nathan, venne richiamata alla realtà dalla sorella di Benji, la quale, finalmente calma, le tirò la manica, per dirle di girare i tacchi e rientrare al castello, prima che la situazione degenerasse.
    Quindi la Bennett decise di seguire il suo consiglio, raccattò lo zaino da terra e si avviò insieme all’amica nella direzione opposta al ragazzo, a cui alzò il dito medio, non appena le rifilò di nuovo il soprannome stupido che si era appena inventato.

    5 Novembre, 2018

    Finalmente era arrivata la sessione di chitarra giornaliera, che di sicuro tutto il dormitorio stava aspettando. Erano circa le sei di sera, quando Nirvana prese in mano lo spartito “Smells Like Teen Spirit” del gruppo rock che portava il suo nome, nonché una delle canzoni preferite della madre. Gli accordi non erano dei più semplici, tanto che suo fratello Ethan l’aveva avvertita che ci avrebbe messo svariate settimane per imparare a farla per bene, ma Nirvana, per lo meno quando si parlava di musica, non si sentiva mai scoraggiata, anche perché le veniva piuttosto naturale. Forse era una cosa genetica? Mamma e papà amanti della musica, più il fratello rockstar, avrebbero pur dovuto dire qualcosa, no?
    Per cui la streghetta, che si trovava per la prima volta in tutta la giornata da sola nella stanza, si mise sul letto e preparò la chitarra, che aveva già l’amplificatore incorporato grazie a vari trucchetti che i collaboratori di Ethan erano riusciti a produrre con la magia. In realtà abbassò anche un po’ il suono, perché neanche lei voleva spaccarsi completamente i timpani, ma di sicuro quello non bastò a non far risuonare la sua musica in tutto il dormitorio delle ragazze fino in fondo alla sala comune di corvonero. Oh, comunque Nirvana ci provava ad iniziare tardi per non infastidire nessuno, tanto che prima studiava e poi cominciava a suonare, pensando che anche gli altri ragazzi più o meno facessero come lei, ovvero che staccassero ad un orario decente. Ora, Nirvana non è che fosse una delle più grandi studiatrici del castello, anzi forse il contrario, però almeno lo sforzo di pensare agli altri aveva provato a farlo.
    Quindi la licantropa attaccò con il pezzo e, con passione, cominciò a strimpellare qualcosa che all’incirca poteva sembrare l’inizio della canzone. Partire non era mai facile perché doveva prendere confidenza con le corde, ricordare dove fossero gli accordi e le note, per poi definitivamente entrare in armonia con tutta la chitarra, che poteva sembrare una cosa semplice per una persona esterna ma per Nirvana era la cosa più difficile da fare. Suo fratello le ripeteva sempre di immaginarsi la chitarra come se fosse il prolungamento del suo corpo, perché alla fine avrebbero dovuto diventare un tutt’uno per fare davvero buona musica, ma a lei non riusciva molto bene quell’approccio, anzi, le era veramente difficile immaginare sé stessa formata da corde e legno. Per cui, almeno da qualche giorno, stava provando a sviluppare un modo di vedere la musica tutto suo, così da riuscire a trasmettere i suoi sentimenti alle altre persone mentre suonava.
    Però ad un certo punto la sua concentrazione fu interrotta da dei rumori tondi sulla porta, tanto che con un movimento brusco, che sulla chitarra risultò come nota troppo acuta, la ragazza si dovette fermare.
    Il nervoso che aveva in quel momento non sapeva neanche come esprimerlo, anche se…
    Nirvana prese il primo cuscino che le capitò a portata di mano e, anche se il suo gatto, che stava riposando su una sedia lì vicino, le soffiò, fu pronta per tirarlo non appena la porta si fosse aperta. Professori? Compagne di stanza? Gente infuriata della sala comune? Fatevi avanti.
    Così, appena arrivò il momento propizio, Nirvana scaraventò il cuscino proprio in direzione della testa del malcapitato, anche se successivamente si maledisse perché avrebbe dovuto tirare decisamente qualcosa di più pesante.
    “TU.”
    La corva corse alla porta e provò a chiuderla con tutte le sue forze per non far entrare quella testa a fagiolo che in quel momento proprio non voleva neanche guardare. Non le interessava del cuscino, poteva tenerlo, invece di farlo entrare, Van avrebbe volentieri dormito direttamente sul materasso.
    Però la corva non fu abbastanza veloce, tanto che il piede del ragazzo andò ad incastrarsi tra la porta ed il muro.
    Maledetto gatto.
    Infatti, secondo Nirvana era tutta colpa di Mercury, che riuscì a catturare la sua attenzione, correndo per tutta la stanza, per poi da rifugiarsi dentro il bagno per paura di tutto quel trambusto.
    Però non era il momento di pensare al gatto, Van doveva trovare il modo di buttare quel maledetto storpianomi karateka fuori dalla stanza. Per cui, nonostante il gridolino di dolore del suo avversario -ah ah femminuccia-, la corva continuò a spingere, finché finalmente Nathan non si staccò dalla porta, lasciando comunque la scarpa a contrasto.
    Infastidita, Nirvana caricò la gamba all’indietro, in modo da poter dare un calcio dritto dritto alla punta della scarpa e risolvere il problema, ma purtroppo andò a finire nel posto che meno si aspettava, ovvero la spalla del ragazzo.
    Oddio.
    D’improvviso Van si sentì in colpa e, anche se aveva pensato che fosse stato il karma ad agire al posto suo, decise che l'avrebbe aiutato a salvarsi, per la seconda volta, da una bella ripassata dalla responsabile di casata. Quindi lo lasciò passare, per poi chiudere la porta il più silenziosamente possibile per non creare sospetti.
    “Sei matto.”
    Nessun punto di domanda, soltanto un’affermazione chiara e diretta, senza filtri.
    “E comunque il calcio di prima era il karma, nel caso te lo stessi chiedendo”
    Continuò, senza scusarsi, perché Van pensava di aver già fatto abbastanza facendolo entrare nel suo piccolo posto felice, che ormai non poteva più considerarsi tale.
    « Ho bussato cinque volte… A dire che hai sentito… E comunque ho corso un rischio per venire a dirtelo »
    “A dirmi cosa di preciso, scusa?”
    Si domandò Van, visto che Nathan non gli sembrava la persona più adatta a studiare a quest’ora, dopo quello che aveva visto in corridoio la settimana prima. Però era altrettanto strano, perché comunque in classe stava attento e rispondeva alle domande, quasi come se fosse un’altra persona. Uno schizzato studioso? Sarebbe sicuramente diventato un serial killer di quelli bravi a cui devi entrare nella mente per capire cosa gli fosse passato nel cervello.
    Van lo guardò andare verso la porta, come se non sapesse di essere appena entrato per una buona ragione e non totalmente a caso, ma lei lo lasciò fare, in fondo era la sua vita e per lei prima se ne andava e prima poteva rimettersi a strimpellare qualcosa alla chitarra, quindi tanto meglio. Però il ragazzo finalmente capì.
    « Mi sa che sono fregato. »
    “Eh, già, mi sa anche a me.”
    Lo osservò Van con le braccia incrociate, per poi andare a sedersi sul letto, pensando ad un modo per risolvere la situazione o comunque per sentirsi più a suo agio.
    “Senti, finché resti qui, le regole sono che puoi stare solo sul pavimento o sulle sedie, niente letti. Preferibilmente se stai più verso la porta, così almeno appena puoi vai via, grazie.”
    Affermò la corva con una serietà impassibile per poi finire con un sorrisetto strafottente, giusto perché aveva voglia di stuzzicarlo e rompere le scatole.
    “Ah, comunque non c’è di che, ti ho salvato per la seconda volta. Se continui così, comincerò a chiederti qualcosa in cambio.”
    Van cominciava a prenderci mano con quelle parole taglienti e frecciatine da prima donna, sembrava ne avesse una scorta intera e neanche doveva sforzarsi. Magari aveva appena appreso un nuovo superpotere?.

     
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