glory and gore go hand in hand.

[Post Secret Santa]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    fly away ♥

    Group
    Creature Magiche
    Posts
    8,417
    Reputation
    +1,355

    Status
    Anonymes!
    Era bastato un istante per far scoppiare il caos, un battito di ciglia in cui, all'improvviso, la sala del Toyland si era riempita di violenza, urla e sangue rosso cremisi, ironicamente in tinta con le decorazioni natalizie. June aveva impiegato qualche secondo di troppo a realizzare quanto stava accadendo: un attimo prima stava chiacchierando con Eren vicino al tavolo delle bevande e, un secondo più tardi, uno studente di Hogwarts si lanciava contro Emile, scatenando la scintilla che avrebbe dato vita al vero e proprio incendio. « EMI! Mollalo! LASCIALO ANDARE! » Non ci pensò due volte a gettarsi nella mischia ma, a dispetto della forza fisica, la sua stazza minuta non le fu d'aiuto nel tentare di farsi largo verso Emi. Al contrario, qualcuno la urtò mentre stava per scagliare un Incarceramus, facendole cadere la bacchetta che, nella foga della rissa, venne calciata diversi metri più in là. No, NO! « Glacius! » Spintonando un collegiale che si era lanciato nella mischia per dare manforte, riuscì a scorgere un ragazzo a lei sconosciuto sopraggiungere in aiuto di Emi e trascinarlo via, prima che una gomitata all'altezza del viso le strappasse un grido di dolore, parzialmente soffocato dalle mani chiuse a coppa sul labbro. Per una frazione di secondo non riuscì nemmeno a pensare, in preda a una scarica di dolore e adrenalina che, a partire dallo zigomo sinistro e parte del labbro, entrò in circolo, pompata assieme al sangue che scorreva violentemente nelle vene. Accecata dalla sensazione di dolore pulsante, non si accorse nemmeno che qualcuno l'aveva afferrata saldamente per il braccio, trascinandola fuori dalla rissa. Stordita, strizzò gli occhi e rialzò il capo, riuscendo infine a mettere a fuoco il viso di Eren. Emi. Deglutì, sforzandosi di formulare un pensiero coerente. « Mio cugino. » Biascicò, facendo scorrere freneticamente lo sguardo sulla stanza, alla ricerca del viso familiare di Emile. Impallidì ulteriormente quando non lo trovò, ruotando di scatto su sé stessa. Cazzo. « I-il ragazzino che hanno pestato, stava sanguinando... h-hai visto dove è andato? » Ma non stava nemmeno prestando attenzione ad Eren, confusa ed assordata dal rumore incessante del sangue che le scorreva nelle tempie. « La bacchett- mi è caduta la bacchetta! » Non riuscì più a nascondere la sfumatura di panico crescente, muovendosi istintivamente nella direzione in cui le era sembrato che fosse stata lanciata, prima che il giovane Ackerman gliela mettesse in mano, miracolosamente intatta. June alzò lo sguardo su di lui, mentre l'espressione sorpresa lasciava spazio alla gratitudine. « Grazie. Davvero. » Tastò la tasca posteriore dei jeans, alla ricerca del cellulare e digitò freneticamente il numero di Emi. Rispondi, Emi. Ti prego, rispondi. Lo portò all'orecchio, trattenendo il fiato e impallidendo sempre più, ad ogni squillo che si concludeva a vuoto. « Merde! » Sbottò. « Suona a vuoto, non risponde ness- » S'interruppe bruscamente, incurante delle autorità che si stavano occupando degli studenti coinvolti, con le iridi cristalline fisse su un ragazzo vicino al buffet delle bevande. « Credo che lui lo conosca... quello che ha trascinato via Emi, intendo. » Mormorò, più rivolta a sè stessa che ad Eren, in un vago tentativo di rimettere ordini tra i propri pensieri. Li ho visti parlare, prima. Almeno credo. Non ci pensò su ulteriormente, attraversando la stanza sino a raggiungerlo, mentre un altro studente sbottava qualcosa a cui June non prestò attenzione. « Tragico, vero? Mi fa stare malissimo vedere un ragazzo giovane così a disagio con la propria identità. È triste, non trovi? » Quelle parole la colsero alla sprovvista. Batté le palpebre, confusa, ma prima che potesse aprir bocca, il suo interlocutore la anticipò di nuovo. « Sei molto bella, sai? Bellissima. Sei una delle ragazze più belle che io abbia mai visto e quando vieni in
    biblioteca migliori sempre la mia giornata. Mi piacerebbe tantissimo portarti a cena fuori una sera. »
    Ok, la botta deve essere stata forte. Molto forte. Esitò per un istante, sconcertata dal modo in cui la serata era sfuggita loro di mano a tal punto da rasentare picchi di tragicomicità. « Ehm, g-grazie? » Suppongo. « Scusa, ma... il ragazzino che hanno pestato è mio cugino. Non risponde al telefono ed è minorenne, devo assolutamente trovarlo - anzi, non avrei nemmeno dovuto perderlo. » Ora come glielo spiego ai miei zii che l'ho perso ad una festa di adolescenti dopo che mi hanno appositamente chiesto di tenerlo d'occhio? E il sangue?! Come minimo gli hanno spaccato il naso. Quei pensieri, unitili a mille altri scenari sulla tragica fine di Emi, la spinsero a parlare più in fretta, gesticolando freneticamente con le mani. « Credo che tu conosca quello che l'ha aiutato, forse ci hai parlato prima - o forse non lo conosci, ma se mi aiuti a ritrovarli andiamo a cena tutte le volte che vuoi. » Anzi, te la offro io la cena.

    [...] All'esterno l'aria era fredda, pungente e carica di neve. Un connubio che June amava sin da quando era bambina, in particolare se abbinato a un caldo fuocherello e una tazza di cioccolata bollente dopo un pomeriggio passato all'aperto ma che, in quel momento, non riuscì in alcun modo ad alleviare la sensazione di angoscia che provava. « Devono essere qui da qualche parte, non possono essere andati troppo lontano. » Ripeté tra sé e sé, mentre una nuvoletta di condensa le abbandonava le labbra, scrutando ansiosamente il vicolo buio su cui dava una delle uscite del Toyland. Stringeva tra le braccia la giacca di Emi, mentre la mano destra era spasmodicamente serrata attorno al cellulare, illuminando lo schermo di continuo nella speranza di veder spuntare un messaggio da parte di Emile. Quando il telefono squillò, lo portò immediatamente all'orecchio, con il cuore che batteva all'impazzata. « Emi! Stai bene? Dove sei? » La voce di Emile risuonò soffocata e dolorante. « Sto bene, sono insieme ad Otis fuori dal Toyland. Proprio davanti all'entrata. » Quelle parole riuscirono a farle prendere un sospiro di sollievo, ma quella sensazione di conforto fu di breve durata. « Mi... ci accompagneresti tipo da qualche parte? Tipo un dottore o una cosa così? Io... Non mi sento troppo bene. » June annuì istintivamente, sebbene Emile non potesse vederla. « Arriviamo subito. Non muovetevi di lì, ok? Non provare ad allontanarti, Emile Clyde Carrow. » Chiuse la chiamata di scatto, gettando un'occhiata preoccupata in direzione dei compagni. « L'entrata principale. » Li informò, correndo in quella direzione. Le fu sufficiente oltrepassare un paio di auto ferme nel parcheggio per riconoscere la figure dei due adolescenti, illuminati sbiecamente da un lampione. « EMI! » Gridò, fermandosi a pochi passi da lui per stringerlo in un abbraccio, incurante del sangue. Lo liberò delicatamente, obbligandolo ad alzare il viso per valutarne le condizioni. « Merde. Si può sapere che cazzo è successo? » Lo aiutò ad infilarsi la giacca, sollevando la zip per nascondere la macchia di sangue che stava attirando l'attenzione dei passanti. « Come ti senti? Dove ti fa male? A parte il naso, ovviamente. Si vede già da così che è rotto, ma non è troppo grave. In partita ho visto di peggio. » Solo allora si voltò in direzione di Otis, un volto familiare grazie alle foto witzagram del cugino. « Otis, giusto? » Non perse troppo tempo con le presentazioni, sfilandosi la giacca e passandola al ragazzo. « Nemmeno tu hai una bella cera. Vuoi venire al San Mungo con noi? Possiamo farti compagnia mentre aspetti i tuoi genitori. » Sollevò quindi lo sguardo su Eren ed Eliphas, sforzandosi di rivolgere loro un sorriso incerto. « Grazie per l'aiuto. Da qui posso farcela anche da sola, la passaporta non è lontana. » Si voltò verso i due Tassorosso, entrambi malconci e traballanti. « Pensate di farcela? » Domandò, scrutando entrambi e passando una braccio dietro la schiena di Emi, un po' troppo pallido sotto la luce fredda dei lampioni.


    Edited by murphylaw‚ - 18/1/2022, 00:16
     
    .
  2.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Collegiali
    Posts
    322
    Reputation
    +982

    Status
    Anonymes!
    Miracolosamente, o forse grazie al suo temperamento piuttosto inibito, timoroso, estremamente riflessivo, Otis era riuscito ad arrivare all'età di 17 anni senza essersi mai rotto niente. Non un arto, mai neanche un'unghia rotta. Far parte dei Berretti Rossi gli era servito anche a quello, crescendo: a buttarsi di più, a non avere paura di sporcarsi le mani, ad accumulare qualche modesta cicatrice. Una volta si era scottato con un fiammagranchio, che la sua squadriglia aveva il compito di nutrire e ripulire per una settimana, e portava ancora il segno sulla mano sinistra. Si era lamentato del bruciore della ferita per settimane, mentre la vedeva cambiare colore, gonfiarsi in una bolla, scoppiare, e infine cominciare a cicatrizzarsi. Aveva osservato quel processo con una certa dose di affascinato disgusto, proprio perché – per sua fortuna – non era mai stato costretto a rendersi conto di quanto il suo corpo non fosse altro che carne, e di come funzionasse esattamente come quello di tutti gli altri, subendo lesioni e guarendole. Insomma, Otis era poco abituato a stare fisicamente male. Mentre zoppicava, una mano sul fianco e l'altra a tenere la cinghia dello zaino ciondolante, pensò che probabilmente quello fosse lo stato peggiore in cui si fosse mai trovato fisicamente parlando, persino peggiore della mononucleosi di qualche settimana prima. Non era necessariamente una brutta sensazione, probabilmente per via dell'euforia che l'aveva pompato al punto tale da saltare sulla schiena di Asa King – un Grifondoro di un metro e novanta per novantacinque chili su per giù, è bene specificare – senza battere ciglio. Non era neanche una bella sensazione, però, sopratutto perché già cominciava ad immaginare le conseguenze di quella brutta situazione, a sentirsi in colpa per aver preso parte ad una scenata da trogloditi – perché le risse le reputava qualcosa di vagamente primitivo, sicuramente abbastanza ridicolo. E Ronnie, poi, sarebbe rimasta a ripulire tutto, assieme alle altre persone che avevano organizzato la serata. Afflitto da questi ultimi pensieri, rallentò il passo, e cessò di invocare il nome dell'amico, cominciando a passare in rassegna mentalmente tutte le persone la cui serata doveva essere stata rovinata dall'accaduto. Non era colpa sua se King aveva dato i numeri, certo, ma era stato parte del problema. D'altronde, però, quale alternativa aveva? Parlargli? Inspirò profondamente, l'aria frizzante della notte che, glaciale, gli riempì i polmoni, pure quelli indolenziti, pure quelli a lamentarsi. Che cosa cretina fare a botte. «OTIS!!!!!» Gli occhi cerulei di Otis sondarono l'oscurità alla ricerca della sorgente di quella voce familiare, e gli ci volle qualche minuto per identificare la sagoma di Émile, seduto – accasciato? – su una panchina semi-illuminata. «EMI!!!!!! ripetè, zoppicandogli incontro, in uno spettacolo patetico di più di cinque minuti in cui uno agitava faticosamente le braccia per farsi notare, e l'altro tentava come possibile di raggiungerlo alla massima rapidità consentitagli dal proprio stato ammaccato. Alla fine, comunque, l'amico gli andò incontro. «Menomale, ci avrei messo forse un'altra quindicina di min–» cominciò sorridente, ma l'abbraccio del suo migliore amico gli mozzò il fiato, che già era di per sé accorciato. «Ti hanno conciato malissimo!!! Che schiappa!!!» lo prese in giro, dopo un'occhiata veloce alla faccia del ragazzo, già livida e impiastrata di sudore e qualche gocciolina di sangue incrostato. «Non ti sai proprio difendere, bro... Dovevi vedere che ganci che ho mollato io, invece...» continuò, prima di guardare Emi di sottecchi e scoppiare a ridere, incapace a fingersi un duro, visto il suo evidente stato fisico. Per buona misura, l'altro gli assestò uno schiaffo sulla nuca, che Otis incassò a testa bassa, le spalle mosse da un'accesso di risata più forte. «Ma mi spieghi che cazzo combini!! Ma poi da dove sei sbucato fuori! Sembravi una specie di pipistrello!» «IO cosa combino??? Ma se hai cominciato tu con King!!! Si può sapere che gli hai fatto per fargli vedere rosso in quel modo? Ti ha caricato come un Erumpent. Hai visto che mossa agile, però? Sono saltato su con la destrezza di una gazzella, bro» Fece, mimando un salto che però, in quel momento, non sentì di compiere del tutto, limitandosi a spalancare le braccia. «Gli hai fatto il culo a quello l-AHIO!» Guardò l'amico preoccupato, spostandolo verso la luce di un lampione in modo da poterlo guardare per bene. «Ehi, ma stai veramente messo peggio di me, eh... Ti senti bene?» Lo esaminò, girandogli la testa afferrandolo per il mento. «Sto bene, tutto okay, giuro» «Mah, non mi sembra, stai piegato in due, ti vuoi sedere?» «Ma come stai? Che ti sei fatto? Questo maglione è ridicolo. Te l'ha dato tua mamma, ci scommetto la figurina di Grindelwald» Sospirò, distogliendo per un attimo lo sguardo dal suo amico, che chiaramente si ostinava a fare l'eroe. Tese il singolare capo di abbigliamento natalizio scelto per l'occasione con entrambe le mani, per guardare meglio il muso della renna, puntato verso l'amico. «Ha perso un corno. Come si chiamano le corna delle renne?» Colpi di tosse di Emi. «Hanno un nome? Boh, va be', comunque certo che me l'ha dato mia madre, non ti do nessuna figurina perché è una scommessa cretina» Altri colpi di tosse. «Non mi sono fatto granché, a un certo punto
    e8a14097ea507715e8f0516e15deb97edd75b824
    quell'armadio che mi è piombato addosso mi ha lanciato, Emi. Mi ha fisicamente lanciato, come un missile, capito come? Così, guarda»
    Si voltò per lasciar cadere lo zaino dalle sue spalle e utilizzarlo come fantoccio per la simulazione di quel lancio del giavellotto, talmente assorbito da quella rievocazione da non rendersi minimamente conto dell'amico, chinato in avanti, in posizione vomito. «In pratica mi ha presto così, per la camicia, sotto, e p-» «Che cazzo!» Fiumi. Che dico fiumi, torrenti di vomito, a irrigare pantaloni e scarpe di Otis. Giusto perché non ci si deve far mancare niente. Pietrificato, il ragazzo rimase con lo zaino sospeso in aria, tra le mani, gli occhi sulle sue Converse rovinate, e poi sul viso dell'amico, e poi sulle sue scarpe, e poi di nuovo sull'amico. «No dai. No, Emi, dai. Lo sai che ho lo stomaco sensibile, ti prego, sopratutto quando vomiti tu. Ti prego. Ma poi quella è cioccol–» Conato. Poi un altro. Lasciò cadere lo zaino per terra e fece a tempo a voltarsi e allontanarsi di qualche passo, per poter rimettere a sua volta, dietro un arbusto lì vicino, anche se mai tanto quanto aveva appena rigettato l'amico. Così tanto vomito. Perché vomita sempre così tanto? «Ems, chiama tua cugina. Ora, adesso, chiamala per CORTESIA.»

    In attesa che li raggiungesse June, Otis stava accovacciato a terra, cercando di ripulirsi le scarpe, ma fallendo miseramente. Aveva prodotto un'impressionante quanto inutile quantità di fazzolettini sporchi. Aveva messo Emi a sedersi sulla panchina dov'era prima, cercando di farlo rimanere seduto di modo che potesse vomitare nuovamente – suo malgrado – se fosse stato necessario. Non si erano detti granché, nell'attesa, divorati alla preoccupazione e con la stanchezza che cominciava a salire. E poi non si vedevano da un anno, e non era giusto che fosse stato quello il loro primo incontro dopo tutto quel tempo. Otis era arrabbiato, per questo, con nessuno nello specifico. «EMI! Merde. Si può sapere che cazzo è successo?» «Ciao, June» bisbigliò, alzandosi in piedi mentre la ragazza accorreva verso il cugino. «Sta benone, mi ha vomitato ad– ha vomitato. Gli fa molto male la pancia, non so che ha...» le disse, a testa bassa, raccogliendo da terra tutti i fazzoletti sporchi disseminati, mentre la rabbia continuava a montargli, specialmente adesso che era arrivato qualcuno di più grande, e li guardava preoccupata, e tutto sembrava grave, e serio. D'improvviso, si sentì piccolo, bambino, beccato a fare marachelle di cattivo gusto. Si vergognò. «Otis, giusto?» Annuì, continuando a evitare lo sguardo di June e recuperando lo zaino da terra. «Vuoi venire al San Mungo con noi? Possiamo farti compagnia mentre aspetti i tuoi genitori» Ci manca solo questa. Farsi portare all'ospedale, dove la madre gli avrebbe fatto il quarto grado, facendolo sentire un irresponsabile, un teppista. Farsi recuperare da un adulto. Che cosa umiliante. Solo quando June si rivolse a loro si accorse della presenza di altre due persone, con lei. «Grazie per l'aiuto. Da qui posso farcela anche da sola, la passaporta non è lontana» Alzò finalmente la testa, e due ragazzi, che giudicò più o meno della sua età, le davano una mano a far alzare Emi. Otis non era riuscito a muoversi granché. Si sentì osservato da loro, forse addirittura giudicato. Rivolse loro un saluto un po' mesto. «Vengo con voi. Al San Mungo, dico, però niente genitori. Non mi va di far venire mia madre» riuscì a scandire poi, le mani affondate nelle tasche. Chissà cosa pensavano di lui, quei due ragazzi. «Potrei chiedervi un favore, se state rientrando?» Si decise a dire alla fine, avanzando verso di loro in modo da farsi sentire. «Nel... casino generale... Ho perso il mio cellulare. Se lo trovate in giro, a terra, magari poggiato da qualche parte... Mi fareste sapere?» Fece, esitante, grattandosi la mascella. «Ci sono dentro un sacco di cose importanti.. Messaggi, foto... Ecco, se lo trovate potete portarmelo a scuola, domani o quando è, magari. Ma tanto non penso che si trovi, l'avrà intascato qualcuno che non ha niente di meglio da fare» si strinse nelle spalle poi, stringendo le labbra in un sorriso sottile.


    Edited by the educator - 31/1/2022, 20:12
     
    .
  3.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Collegiali
    Posts
    521
    Reputation
    +896

    Status
    Anonymes!
    In quel momento, Émile di certo non aveva idea del perché stesse così male. Chinato in avanti, impegnato a vomitare le patatine della cena e un cospicuo - quanto a posteriori allarmante - quantitativo di sangue, non si chiedeva il perché di quella strana reazione. Immaginò si trattasse dei nervi, in fondo non gli era mai capitato prima di fare a botte con qualcuno: che il suo corpo avesse risposto in maniera automatica in quel modo? Se in quel frangente avesse saputo, come scoprì più tardi dal referto dei medici, che i numerosi colpi allo stomaco di Asa e dei suoi amici erano stati in grado di lesionargli la milza, con conseguente versamento interno, ipocondriaco e impressionabile com'era, di certo non sarebbe stato in grado di raggiungere il San Mungo sulle proprie gambe.
    Fu meglio rimanerne ignaro: questo gli permise di mantenere una certa positività tra una fitta e l'altra, tanto da non lasciarsi scappare nemmeno l'occasione di prendere in giro il povero Otis, che gli era stato così solidale da cominciare a vomitare a sua volta. « Sei veramente un pappamolle » tossì, ripulendosi la bocca con la manica del maglione. Trasalì nel riconoscere anche lì una scia di sangue.
    Quando finalmente June fu in grado di raggiungerli, le fitte allo stomaco avevano ricominciato a farsi sentire. Era come se una serie di spade lo trafiggessero di punto in bianco, senza preavviso. Durava qualche secondo, prima di attenuarsi leggermente. « MI! Merde. Si può sapere che cazzo è successo? » « June! Tutto o...ccheeiiiii » farfugliò a mezza voce, mentre si piegava di nuovo in avanti, il viso contrito da una smorfia di dolore. « Sta benone, mi ha vomitato ad– ha vomitato. Gli fa molto male la pancia, non so che ha... »
    Strinse le spalle, guardando sua cugina. « Non lo so perché ho vomitato. Forse ho mangiato qualcosa di avariato... Il panettone non sembrava granché... » Oppure è che ti hanno pestato come una piñata, tu che dici Emi? Lasciò ogni considerazione a chi gli stava intorno, troppo preso dai propri fastidi per seguire con attenzione i discorsi dei presenti. Notò che con sua cugina si erano avvicinati altre due persone, due ragazzi che, in quella semioscurità, non fu in grado di riconoscere. Si sentì però vagamente osservato, e non gli piacque quella sensazione: era già stato sufficientemente umiliante farsi pestare a sangue davanti a tutta la scuola - nella serata che avrebbe dovuto essere il suo ritorno trionfale a Hogwarts. Non poté fare a meno di notare l'ironia della sorte.
    « Come ti senti? Dove ti fa male? A parte il naso, ovviamente. Si vede già da così che è rotto, ma non è troppo grave. In partita ho visto di peggio. » Si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, vagamente infastidito da quel paragone. « Sì, ok, peccato che al posto di un bolide a me è arrivato in faccia il pugno di King. » Che è nettamente peggio, diciamocelo. « Comunque non lo so, ho strane fitte allo stomaco... » E ho tipo vomitato sangue. « Non è che hai qualcosa per il reflusso? Secondo me tutti quei pugni mi hanno tipo invertito il processo di digestione. » Allungò un'occhiata verso Otis, come per accertarsi di quello che stava dicendo. È una cosa possibile? A lui sembrava una spiegazione plausibile, ma si aspettava che in materia il compagno fosse più preparato.
    « Grazie per l'aiuto. Da qui posso farcela anche da sola, la passaporta non è lontana. » A quelle parole, Émile rabbrividì, spalancando gli occhi. Passaporta? « Pensate di farcela? » Guardò June, con fare supplicante. Dovette tenersi lo stomaco con una mano, tanta era la sensazione di nausea al solo pensiero. Si immaginava vorticare in aria all'infinito fino al San Mungo, e la sola immagine riuscì a provocargli un altro conato, che fortunatamente riuscì a contrastare. « Sì, se vuoi che ci arrivo in forma liquida » replicò sarcastico, la fronte leggermente imperlata di sudore. Si portò una mano alla testa, sul punto che era certo di aver urtato da qualche parte, e in cui avvertiva già la nascita di un bernoccolo dalle dimensioni non indifferenti. « Non c'è proprio un'alternativa alla Passaporta? I camini sono tutti chiusi? » domandò, speranzoso. Non che il viaggio in camino sia tanto più comodo, ma almeno Otis non si becca il vomito a spruzzo effetto centrifuga, che è già qualcosa.
     
    .
  4.     +3    
     
    .
    Avatar

    jack in the box

    Group
    Ricercati
    Posts
    192
    Reputation
    +225

    Status
    Anonymes!

    « Ehm, g-grazie? » Che figura di merda. « Scusa, ma... il ragazzino che hanno pestato è mio cugino. Non risponde al telefono ed è minorenne, devo assolutamente trovarlo - anzi, non avrei nemmeno dovuto perderlo. » Ma perché non mi sto zitto? No, seriamente. Perché non me ne sto zitto e muto in un angolino a far finta di non esistere? Di norma non era difficile. La diarrea verbale non era mai stata un problema di Eliphas, che i propri pensieri sapeva filtrarli o tenerli per sé quando inappropriato. Eppure in quel caso sembravano uscirgli dalle labbra prima ancora che potesse razionalizzarli: vedeva qualcuno e sentiva l'impulso incontrollabile di comunicargli cosa pensasse di lui o di lei. « Oh.. capisco capisco. Quale dei due però? » Perché Eliphas ne aveva visti un paio, di ragazzini coinvolti nella scazzottata con quel tipo di Grifondoro. « Credo che tu conosca quello che l'ha aiutato, forse ci hai parlato prima - o forse non lo conosci, ma se mi aiuti a ritrovarli andiamo a cena tutte le volte che vuoi. » Aggrottò la fronte in un'espressione pensierosa, inclinando leggermente il capo di lato mentre la fissava confuso. Nessuna di quelle informazioni sembrava aiutarlo ad individuare alcuna delle persone coinvolte, ma il panico della Rosier era piuttosto evidente, e al di là di cene promesse e quant'altro, non si sarebbe tirato indietro dall'aiutarla. « Non sono certo di sapere a chi ti riferisci, sai? Non conosco molta gente da queste parti. Ma posso provare comunque ad aiutarti.. » si strinse nelle spalle con leggerezza, sorridendo pacato « ..per quel che posso. » Cazzata. In realtà avrebbe potuto fare molto di più per aiutarla - magicamente parlando - ma le sue mani erano legate. Cioè sarebbe un po' strano se le chiedessi di darmi qualche goccetta del suo sangue per fare un rituale di localizzazione.
    Tra lo sciamare di persone in uscita dal locale, individuare i volti di due ragazzini che aveva a malapena messo a fuoco durante la rissa fu più difficile del previsto. Un noto senso di frustrazione cominciò a strisciargli sotto la pelle: quella sensazione di chi sapeva bene di poter fare di più, ma non lo stava facendo. La scala delle priorità, tuttavia, Eliphas la conosceva, quindi strinse i denti e andò avanti, adoperandosi alla maniera degli altri due. Pensa, neanche mi sono presentato. Che cafone. Però non è che adesso me ne posso uscire con "ehi, comunque piacere, Eliphas, faccio il bibliotecario.. hai presente?". Anche le chiacchiere di circostanza stavano a zero, e piuttosto che passare come insensibile o inopportuno, preferì starsene zitto e aguzzare la vista. Alla fine non fu chissà quanto utile, ma se è vero che tutto è bene quel che finisce bene, il senso di colpa del giovane warlock cominciò a sparire quando lo strano terzetto si ricongiunse finalmente ai due ragazzini incriminati. « Ah.. siete messi proprio malaccio. » sentenziò non appena i suoi occhi si posarono su di loro, pentendosene un secondo dopo e mordendosi la lingua. « Otis, giusto? » Gli occhi di Eliphas si illuminarono appena, puntandosi sul ragazzo a cui June si era rivolta. « Ti chiami come il mio riccio! » Ancora? Ma stai zitto, idiota! Che gliene frega a lui?! « Grazie per l'aiuto. Da qui posso farcela anche da sola, la passaporta non è lontana. » Ma le parole che aveva sentito poco prima, quelle che coinvolgevano il famoso San Mungo, lo portarono automaticamente a scuotere il capo. « No ma figurati, vi accompagno. Cioè.. » Ok.. e adesso che ti inventi? « ..se sono minorenni, non so come funzioni con le scartoffie. Uno è tuo cugino e quindi non dovrebbero far problemi, ma l'altro? Senza genitori o parenti stretti non so come funziona. Ma forse potrebbero fare un'eccezione, dato che faccio parte dello staff scolastico. » Si voltò in direzione di Otis, interrogandolo con lo sguardo. « Hai detto che non vuoi coinvolgere tua madre, giusto? » In realtà non sapeva se tutte quelle cose che aveva appena detto fossero giuste e se davvero funzionasse così nel mondo dei maghi, ma un tentativo non avrebbe fatto male. Le motivazioni di Eliphas, tuttavia, erano ben diverse: lui voleva semplicemente vedere il San Mungo. Non c'era mai stato, non sapeva che aspetto avesse un ospedale magico o quali tecniche curative utilizzassero. Aveva visto solo l'infermeria del castello, ma ovviamente le due cose non erano paragonabili. E lui, da accanito studioso, voleva vedere tutto quanto coi propri occhi. « Non c'è proprio un'alternativa alla Passaporta? I camini sono tutti chiusi? » Ci pensò sopra un attimo, cercando di ricapitolare mentalmente i mezzi magici e non che conosceva. Una macchina babbana era fuori discussione: Londra distava decisamente troppo da Hogsmeade, ci avrebbero messo ore intere ad arrivare. « Mh.. credo ce ne sia uno attivo a La Testa di Porco. Il locale è aperto fino a tardi, quindi non penso che ci farebbero storie. Però.. sei sicuro che il camino sia a prova di stomaco? » Di certo lui, che lo aveva preso sì e no mezza volta in vita propria, non poteva saperlo. « Non so.. questo ospedale non ha qualche mezzo proprio o qualche accesso facilitato? Cioè, le passaporte e i camini non è che siano proprio adatti alle condizioni di tutti. Ci sarà un mezzo alternativo. »


     
    .
3 replies since 17/1/2022, 23:29   138 views
  Share  
.