All this freedom just freaks me out

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    L'esplosione dell'ennesimo applauso parve risvegliare Émile dallo stato catatonico in cui era caduto. Sul palco, Julian Morrow si alzava dal proprio sgabellino, tronfio di quelle attenzioni, e compiva un inchino profondo verso il pubblico, bene attento a sistemarsi il ciuffetto biondo che puntualmente gli ricadeva sugli occhi. Una volta concluso l'applauso, si sistemò con cura il papillon e, pur malvolentieri, si accinse ad abbandonare la scena, trascinando con sé l'arpa con cui aveva deliziato - Émile suggerirebbe piuttosto: tediato - i presenti. Lo strumento era due volte la sua altezza, e gli ci volle l'aiuto di due ragazzi addetti ai lavori per liberare completamente il palco. La sala osservò la scena in silenzio, tra qualche bisbiglio e risatina occasionale, mentre il palco veniva sgomberato in maniera piuttosto disordinata.
    « Che dire signori, il bello della diretta! » Il presentatore della serata si prese la scena, materializzandosi al centro del palco con la bacchetta puntata sulla gola, per farsi udire dall'intera sala. « E mi duole quasi dover annunciare che questa era l'ultima esibizione della serata. » L'ultima? Hallelujah! Quelle parole furono capaci di rinsavire Émile, che fino ad ora se ne era rimasto seduto scomposto sulla sedia, a fare avanti e indietro con gli occhi tra il soffitto e lo schermo del cellulare, mascherando a stento gli sbadigli con il palmo della mano. Tutto d'un tratto drizzò la schiena e spalancò gli occhi, attento come un corridore che non aspetta altro che la pistola che decreti il via di una corsa. « Ringraziamo ancora una volta i signori D'Arcy per aver organizzato questa magnifica serata. E ora, per chi di voi avrà il piacere di trattenersi con noi, è presente nella sala accanto un piccolo rinfresco per ringraziare tutti voi per le vostre gentili donazioni. » Quello era il fischio d'inizio. L'applauso finale dei presenti decretò una volta per tutte la fine di quella tortura, ed Émile non attese un istante a scattare in piedi.
    « Era ora! Mi stavo per sparare un Cruciatus sulla tempia. Non finiva più! » Si lamentò, stiracchiandosi, ma non fece in tempo ad aggiungere altro che si beccò uno schiaffo sul braccio da sua madre. In realtà il bersaglio preferito di Brigitte era sempre stata la nuca del figlio, lì dove con poca forza era capace di lasciare un segnale rosso e duraturo, ma ormai - tristemente, si ritrovava a considerare la donna - non era più alla sua portata. Nell'ultimo anno Émile aveva guadagnato più di una spanna in altezza, superando in questo modo entrambi i genitori. E sebbene in molte cose le sembrasse senza dubbio cresciuto, c'erano ancora tante occasioni per cui si ritrovava a sentire il prurito alle dita, nell'incessante bisogno di rimettere il ragazzo al proprio posto.
    « Émile! Ma ti pare il caso? » lo rimproverò con discrezione, scambiandosi un'occhiata esasperata con il marito. Nel frattempo la folla, fatta di smoking e paillettes, iniziò ad avviarsi verso il rinfresco, e Brigitte non tardò a prendere il figlio sotto braccio, quasi volesse assicurarsi che il ragazzo seguisse ogni mossa dei genitori senza far troppo danno. Da quando era tornato da Beaxubatons - e specialmente dopo la serata del Secret Santa, i cui dettagli Émile non aveva potuto celare troppo a lungo - i suoi genitori lo trattavano con una certa rigidità. Avevano acconsentito a fargli riprendere gli studi a Hogwarts, certo, ma non avevano mancato di fargli intendere che un premio del genere l'avrebbe dovuto pagare con una condotta più che irreprensibile. « Certe volte mi sembri più maleducato di prima, cheri, lasciatelo dire. Ricorda che essere qui con noi, questa sera, è un premio che io e tuo padre ti concediamo. » Le sopracciglia di Emi schizzarono verso l'alto, quasi istantaneamente. Un premio? Sul serio? Aprì la bocca per ribattere, ma fu sufficiente un'occhiata della donna per fargli intendere che non avrebbe fatto altro che peggiorare la propria posizione. « Ora va' a prendere qualcosa da mangiare. Sii educato, saluta, e smettila di sbuffare. E per carità di Dio, sistemati quella cravatta, sembri ridicolo! »
    « Okay, okay... Vado a mangiare. Ci vediamo dopo. » Si dileguò roteando gli occhi al cielo, Émile, mentre faceva finta di riaggiustare il nodo della cravatta, che invece poi lasciò allentato e più comodo. Si sbottonò anche il primo bottone della camicia, già visibilmente stufo di tutto quanto. E quello avrebbe dovuto essere un premio! Come no. Un premio vero sarebbe stato lasciarlo andare a giocare da Otis, come aveva richiesto. E invece gli era toccata quella tortura infinita, tra melodie soporifere e discorsi strappalacrime di presidenti di non so che fondazione.
    Stava ripercorrendo acidamente quei pensieri, e si era appena infilato un'enorme tartina in bocca in un sol colpo, quando si accorse di una figura che gli stava a pochi passi di distanza, esattamente davanti. Per poco non si soffocò, nel vedere Agnès proprio lì davanti a lui, a così poca distanza. Dovette tossicchiare un paio di volte per riprendere colore, che si accentuò presto sulle sue gote, dato l'imbarazzo derivato dall'essersi appena ingozzato proprio di fronte a qualcuno.
    Non che fosse una sorpresa, vedere Nessie. In quelle tre ore (o più?) di concerto, in cui si era per lo più lasciato sprofondare sulla propria sedia, c'era stato un solo momento che aveva davvero colto la sua attenzione; in cui i suoi occhi nocciola non si erano staccati dal palco e dal suo intrattenitore, come in una specie di incanto maledetto. Nessie aveva suonato il violino, e con il suo pezzo era stata capace d'incantarlo: forse perché nell'ultimo anno era diventata tremendamente brava, e lui non rammentava questo suo talento in maniera così vivida nella propria mente; forse perché era la prima volta che la vedeva da più di un anno, se non si contava la festa di Ronnie, in cui l'aveva vista di sfuggita e solo di lontano.
    L'istinto, quando la vide accanto al tavolo delle bevande, fu quello di correrle incontro: l'avrebbe voluta abbracciare con tanta forza da sollevarla da terra, ridere a crepapelle come solo loro due sapevano fare, e raccontarle un migliaio di cose. Nonostante tutto, la considerava ancora la sua migliore amica. Nonostante tutto, però. Riuscì soltanto ad avanzare verso di lei, in una specie di foga che si ritrovò a dover arrestare, quando le fu finalmente dinnanzi. Per quanto lui avrebbe voluto, non era propriamente certo che lei avesse voglia di abbracciarlo. I motivi per cui l'avrebbe rifiutato erano tanti, primo fra tutti quel brutto Pesce d'Aprile che aveva avuto la geniale idea di farle qualche mese addietro, e per il quale, a conti fatti, non si era ancora scusato. Si erano sentiti poche volte e a singhiozzi dopo quell'evento, entrambi forse troppo orgogliosi per fare il primo passo verso l'altro. « Ciao Nessie! » si ritrovò a dire, insicuro, mentre giocava col nodo ormai rovinato della propria cravatta. Ormai la palla è al centro, si disse. Tanto vale giocare. « Sei stata bravissima. Complimenti davvero. Sul serio, cioè, wow! Non pensavo che fossi così brava. » Si grattò la nuca, aggrottando la fronte con fare incerto. « Cioè, che tu avessi la stoffa l'ho sempre saputo, eh, capiamoci. Però non ti avevo mai sentito suonare... così! Caspiterina davvero. » Si morse il labbro inferiore, mentre lasciava ripiombare il silenzio tra loro due. Émile scostò lo sguardo dai grandi occhi inquisitori della ragazza, come a disagio. « Io... Cioè, voglio dire, tu... » mi sei mancata? A parole tue, Emi. Tossicchiò, per prendere tempo. Tutt'intorno, gli adulti chiacchieravano e ridevano, ignari del dramma che si stava consumando in quei pochi metri quadri di spazio. « Ti ho vista la sera alla festa di Ronnie. » Così va meglio. Più pulito, e neutro. « Volevo venirti a salutare, però poi ci siamo azzuffati con Asa ed è successo tipo il finimondo. » E tu non mi hai mandato nemmeno un messaggio per sapere come stavo, già che ci siamo. Però tutto okay, tranquilla. Meno male che sono io quello insensibile.
     
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