{CHAPTER TWELVE 2.0} A New Beginning

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    A quale prezzo? Sono diventata davvero questo? E' questo ciò che volevo? Alla fine di una battaglia non ci sono mai vincitori o vinti; tutti perdono. E Inverness, al pari della fazione avversa, le sue perdite le aveva avute. Questi uomini e queste donne hanno deciso di riporre tutto nelle nostre mani. Erano pronti a rischiare tutto. Ed alcuni non ce l'hanno fatta. Non pochi erano stati coloro che avevano perso la vita a Hogsmeade e nell'Ardemonio evocato sulla tenuta. Altri erano rimasti in custodia del Ministero o hanno rischiato tutto dall'altra parte del Velo della Morte. Con il cuore accartocciato, Beatrice aveva preso a scorrere la lista dei feriti e dei morti, sentendo un pesante groppo in gola. Seduta alla scrivania dell'ormai non più Preside di Hogwarts, si ritrovò ad avere più di un momento di esitazione. La coscienza e le mani sporche del sangue di diversi Auror, le cui vite, direttamente o indirettamente le sarebbero rimasti sulla coscienza. Lo aveva preventivato, ma nonostante ciò il pensiero di quella sensazione che ora l'attanagliava, non l'aveva frenata. Bisogna perdere qualcosa, per guadagnarne un'altra. Non si può avere tutto. E Tris, sapeva che quella stessa mattina aveva perso un pezzo della sua umanità. In tempi non sospetti aveva tanto condannato suo padre per le scelte intraprese, ma a ben guardare, lei, Tris, non era stata migliore di lui. Per un ideale si fanno cose terribili. Anche per le persone che ami. In quel frangente, durante la battaglia, quell'ideale era stato l'astro che aveva guidato i suoi passi. L'idea che oltre l'avvicendarsi dei governi corrotti, c'era qualcosa di migliore. Qualcosa che, a ben guardare, nel cumulo di ceneri che riusciva a scorgere dalle ampie vetrate di una delle torri più alti di Hogwarts, non riusciva a vedere. « Setacciate il castello da cima a fondo. Scortate gli uomini di Collins nelle celle. Massima attenzione su chiunque dovesse risultare sospetto. Ci teniamo aggiornati via contatto. » Osservò i suoi più fedeli con un'espressione grave. « Finché il castello non dovesse essere messo al sicuro, ogni squadra deve avvalersi della presenza di un lycan. In questo modo resteremo sempre in contatto. » Ed era stato proprio quel restare in contatto a portarle le nefaste notizie. Aveva lasciato campo libero agli warlock e agli spezzaincantesimi di fiducia affinché si occupassero delle difese del castello e del villaggio, che si sarebbero avvalsi della stessa rete di protezione dei restanti territori delle Highlands, occupati dai lycan, quando le venne annunciata l'ipotetica morte del fratello. Il prezzo da pagare era più alto di quanto si aspettasse. Nessun corpo da seppellire, nessun morto da piangere. Si sentì come se le avessero sottratto qualcosa da sotto il naso senza che se ne fosse neanche accorta. Ancora una volta, a pagare il prezzo delle sue battaglie - in un modo o nell'altro - era Holden. Lo cercò con il contatto, e chiese anche ad altri di fare altrettanto, ma di Holden non c'era traccia. Poteva davvero credere che la vita del maggiore dei Morgenstern fosse stata sprecata in modo così sciocco? Avevamo ancora tante cose da fare. Insieme. Io, te e Griffith. Avevamo promesso che la nostra famiglia non sarebbe mai più stata umiliata, ferita.. divisa.
    Per quanto abbandonarsi a quella sensazione sarebbe stata la cosa più facile, Tris decise di ricomporsi, dandosi da fare in prima persona per ripulire il castello, accompagnare i feriti presso l'infermeria e aiutare alla riorganizzazione. Per ripartire con la scuola e mettere in condizione chi desiderava restare di continuare con la propria vita a Hogsmeade, era necessario impegnarsi, lavorare senza sosta. E così, mise il suo dolore da parte, lo rinchiuse in un angolo della propria mente, costringendosi a fare il suo dovere, occuparsi della sua gente e tenere sotto controllo la situazione. Ognuno dei ribelli e dei lycan era stato responsabilizzato in merito. Dovevano ricostruire Hogwarts dalle fondamenta, renderla nuovamente una casa, un posto sicuro, il luogo in cui i giovani si sarebbero rifugiati indipendentemente da quanto il mondo là fuori fosse pericoloso. E per questo, molti di loro si sarebbero fermati tra quelle mura, finché la situazione non fosse sotto controllo. Per fare in modo che tutti venissero informati di quanto accaduto e placare per quanto possibile gli animi, Tris si era recata personalmente nelle cucine per trattare con gli elfi domestici, i quali, ormai forti della loro netta vittoria in Sala Grande, avevano accettato di continuare la loro attività qualora tutte le loro istanze fossero state accettate. La giovane Morgenstern aveva quindi cercato un compromesso, che non mettesse in difficoltà nessuno dei suoi, ma che permettesse a tutti gli elfi di poter continuare liberamente con la loro attività. Avrebbero potuto scegliere se lavorare da creature libere, oppure se restare sotto il comando di chiunque avrebbe preso in mano le redini del castello. Tris aveva già un nome in mente, ma forse era ancora troppo presto. Anche con i fantasmi e i quadri era stato stipulato un accordo - la loro complicità era stata preziosa durante l'attacco, e per questo, Inverness e i ribelli dovevano promettere di mantenere la scuola come faro e culla dei maghi, trovando le giuste maniere per conciliare l'educazione dei ragazzi con le nuove esigenze educative che Inverness rivendicava fossero assolutamente necessarie per quello che sarebbe venuto. Infine, Beatrice aveva fatto visita personalmente in infermeria a Otis Branwell, il quale doveva essersi ormai ripreso. « Otis? Posso parlarti in privato? » Era ormai pomeriggio inoltrato, così, tirò fuori dalla tasca del mantello un pacchetto in cui aveva fatto incartare alcuni tramezzini che gli elfi avevano preparato con cura. Glieli offrì mentre gli allungava un vecchio numero del giornalino trovato nell'ufficio di Bauldry. « C'è il tuo nome su questo. Eri tu ad occuparti del giornalino scolastico? » A detta della pergamena era proprio così. « Avrei bisogno del tuo aiuto. Stasera organizzeremo una cena al Parco della Liberazione per informare gli abitanti del castello e di Hogwarts di come procederanno le cose d'ora in avanti. Riusciresti a mettere insieme un annuncio e farlo circolare? Ci saranno sicuramente dei ragazzi di cui ti fidi. Per esempio quelle ragazze.. le ragazze che sono venute a cercarti. » Assottigliò appena le palpebre cercando di ricordarsi il loro nome. « Una di loro è una Rigby. I suoi genitori sono con noi. L'altra non so chi sia. Moretta, abbastanza bassina. Ha messo fuori una auror con un violino. Ha una grande tempra, devo ammetterlo. » Stirò un sorriso stanco, sospirando. « Riuscirete a far arrivare la notizia a più persone possibili? » Pausa. « Potrei avere bisogno altre volte di qualcuno che sparge le notizie nel castello e a Hogsmeade. Per quanto il Gruppo Peverell è dalla nostra, avrà tante cose per le mani nel prossimo periodo. Fammi sapere se sei interessato ad aiutarmi. » Detto ciò gli passò un bigliettino su cui aveva annotato le informazioni principali. Cena al Parco della Liberazione. Ore 20.
    CnzS7IA
    Come previsto, alle otto in punto tutto era pronto. Nessuna cena pomposa. Al Parco della Liberazione la situazione era distesa, seppur non festosa. In diverse aree del parco erano stati accesi i falò, diversi giovani ribelli e simpatizzanti avevano portato qualche telo per stendersi sull'erba. C'era chi suonava la chitarra e chi parlava concitatamente in diversi gruppi. Alcuni avevano organizzato uno scambio di libri e c'era chi faceva collette per diverse necessità interne alla scuola e al campus. Molti tra coloro avversi alla causa dei ribelli avevano già lasciato Hogsmeade e nessuno gliel'aveva impedito. I guardiani posti nei vari punti di blocco del villaggio e del castello non si erano opposti in alcun modo. Anche i più piccoli, che erano stati richiesti dai propri genitori erano già andati via. Chi era rimasto lo aveva fatto per curiosità, perché non aveva altro posto in cui andare, o semplicemente perché attendeva di capire cosa sarebbe successo prima di decidere. Direttasi verso uno dei tavolini improvvisati su cui gli elfi avevano portato decine di vassoi con ogni tipo di cibo possibile e immaginabile, si versò un bicchiere di idromele, prendendosi un panino che iniziò a gustare con un groppo in gola. Solo ad un certo punto decise di schiarirsi la voce e porsi da qualche parte in mezzo a quel mare di persone che doveva avere tutto sommato tante domande. Batté le mani tre volte passando lo sguardo sui volti più prossimi al luogo in cui si trovava. « Probabilmente se siete ancora qui, è perché non siete completamente terrificati da quanto accaduto - o sorpresi. O forse lo siete, ma non avete il coraggio di dire nulla. Lasciate quindi che vi chiarisca che qui, con noi, siete liberi di decidere da che parte stare. Se siete con noi, potete restare. Altrimenti, siete liberi di andarvene - ma dovete farlo entro stanotte. Chiunque dovesse prendersi più tempo per decidere, verrà obliviato prima di lasciare il villaggio. Per adesso, per questioni di sicurezza, se andate via, non potrete tornare. » Prima che la ricostruzione di Hogwarts cominci. « A partire da oggi Hogwarts e Hogsmeade sono sotto la giurisdizione di Inverness. Su questi territori non vige più la legge dei maghi, bensì quella dei lycan. E qui siete liberi di rimanere finché rispetterete le nostre regole e i nostri principi. Non vi chiederò nient'altro rispetto a ciò che vi ho chiesto quando ho aperto le porte di casa mia durante il periodo più buio della storia dell'umanità. » Attese che il mormorio di sottofondo cessasse prima di continuare. « Ci sarà un periodo di transizione in cui la scuola e il villaggio verranno riorganizzati, quindi nei prossimi giorni non ci saranno lezioni. Non vi chiederemo di lavorare o di dare una mano alla ricostruzione della scuola o del villaggio se non siete disposti a supportarci. Vi chiedo solo di non essere d'intralcio. » Si inumidì le labbra e sospirò. « Per questa sera godetevi un buon meritato pasto. Se avete domande, potete porle a chiunque tra noi. Nei prossimi giorni saremo sempre presenti tra le mura del castello e a Hogsmeade. » Dicendo ciò si portò la mano sul mantello, facendo notare una piccola spilla d'argento che aveva distribuito a tutti i ribelli e a tutti i lycan. « Ci riconoscerete attraverso questa spilla. Se tenterete di indossarne una, pur non essendo stati autorizzati, sappiate che sono vincolate ai loro proprietari. Non vi consiglio di appropriarvene senza autorizzazione. » Sarebbe molto interessante vedere come spiegherete il motivo per cui sentite il bisogno di passare per ribelli o lycan quando non lo siete. « Potrete chiederci qualunque cosa o informarci di qualunque irregolarità. Badate bene: il fatto che non siate più sotto la giurisdizione dei maghi, non significa che la condotta e la disciplina di sempre viene meno. Fino a nuovo ordine, tutte le regole continueranno a persistere. Il coprifuoco, le regole di comportamento negli studentati e il comune buon vivere tra tutti gli abitanti del villaggio. Chiunque dovesse considerare questo come un ottimo momento per esercitare violenza o comportarsi da animale, verrà punito. Vi assicuro che la legge di Inverness non è molto tollerante nei confronti di chi non rispetta gli altri. » Detto ciò annuì tra se e se considerando il suo intervento concluso. « Buona cena a tutti quanti. Gli studenti di Hogwarts sono pregati di trovarsi nei loro dormitori alle 23 in punto come al solito. » Quanto agli altri prego per voi che facciate i bravi. Non ho voglia di sgozzare altri maiali. Dicendo ciò si ritirò in un angolo assieme al fratello e ad altri dei suoi, cercando di mostrarsi il più possibilmente in sé, in attesa che tutti si ritirassero.




     
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    « Ma quanto si può essere deficienti per evocare un Ardemonio così? » Difficile non concordare con Frigg, una delle elementali che si era occupata del fuoco maledetto. Mossa decisamente stupida anche per un disperato. « Che ragionamento ha fatto? 'Non puoi prendere Hogwarts se non c'è nessuna Hogwarts'? Bah.. i maghi non finiscono mai di lasciarmi perplessa. » disse la giovane, portando il ditale argenteo all'altezza della lunga sigaretta per evocare una piccola fiamma atta ad accenderla. « A me sorprende che fosse disposto a sacrificare anche i propri compagni. Perché beh.. l'Ardemonio non fa figli e figliastri, si sa. » « Ti sorprende? Si scannano tra di loro da secoli per ogni cazzata, dai, Eliphas! » Tutti i torti non li avevano, ma il giovane warlock continuava a credere in quel senso imprescindibile di comunità a cui era stato abituato fin da bambino. Se non c'è quello non c'è nulla. Che senso avrebbe tutto il resto? Eppure la storia provava puntualmente il contrario. Questa consapevolezza ormai acquisita non lo faceva stare affatto tranquillo. Battendo il territorio del castello per alzare qualche protezione provvisoria, Eliphas non aveva potuto fare a meno di pensare a ciò che sarebbe venuto. Mai nella storia gli warlock si erano immischiati nelle faccende dei maghi - sempre ai margini, sempre per conto loro, sempre disinteressati a farsi accettare da una società che non li voleva né li capiva. Ma adesso che le cose sono cambiate? Dopo quanto successo in Giappone, quanto mai ci vorrà prima che la notizia della nostra alleanza con Inverness giunga alle orecchie di quelli che ormai sono diventati anche i nostri, di nemici? Per quanto forte e diffusa, la comunità warlock era pur sempre piccola, e dunque facile bersaglio. Fino ad ora nessuno li aveva mai toccati proprio per via di quel disinteresse reciproco. Adesso però siamo scoperti, e deboli. I nostri quartieri sono un obiettivo semplice da colpire. « Credo che stanotte dovremmo convocare l'Hellfire Club. » La compagna si voltò a guardarlo, aggrottando leggermente la fronte con aria interrogativa. Un'espressione che provocò in Eliphas la necessità di guardarsi intorno con aria circospetta, assicurandosi che nessuno fosse a portata d'orecchio prima di confessarle le sue preoccupazioni. « L'alleanza con Inverness ci protegge. Ma i nostri quartieri? Ne abbiamo sparsi ovunque. Neanche Inverness può controllare tutto, specialmente adesso. » Adesso che della sua presenza c'è più bisogno qui. Non possiamo chiedergli di pattugliare ogni quartiere warlock così per sicurezza. « E ho paura che l'alleanza possa far diventare le nostri sedi un obiettivo facile da colpire. » « E come pensi che potremmo proteggerci? » Sospirò, stringendosi nelle spalle con una linea amara sulle labbra. « Non lo so, onestamente. Per questo dovremmo consultare gli anziani. Loro sapranno sicuramente cosa fare. » Annuì, Frigg, facendo comparire una fiamma verde sul proprio palmo e affidandogli alcune parole prima di lasciare che il messaggio arrivasse ai destinatari prescelti per convocare la riunione. « Dici che potrebbero alterarsi se portassimo con noi qualcuno a rappresentare Inverness? Sai.. per trasparenza. » propose dopo un po', mentre disegnava alcuni sigilli sulle mura del castello, voltandosi a scrutare la reazione della compagna solo dopo aver completato il disegno e attivato la protezione. « Se si gireranno di culo non lo so. Ma qualcosa da ridire lo avranno di certo. Nessun mago ha mai messo piede nell'Hellfire Club. Già dei nostri non vengono ammessi proprio porci e cani. » Si trattava pur sempre di un loro santuario, oltre che di un luogo istituzionale per la loro comunità. Tutte le leggende babbane che vi ruotavano intorno non erano completamente infondate: la vecchia casa e il bosco che la circondava pullulavano di energie oscure - e questo lo rendeva il luogo perfetto per canalizzare la magia warlock. « Dovresti avvertirli prima. Non fargli sorprese, Eliphas. » Detto questo, la conversazione a riguardo finì. Riunitisi con gli altri compagni, non era il caso di parlare di certe cose o seminare troppa preoccupazione. Per il momento era bene che quelle elucubrazioni rimanessero in una cerchia ristretta, almeno fino a nuovo ordine da parte di chi stava al di sopra di loro.
    Ormai vicini al Parco della Liberazione, ignorare la presenza warlock fu pressoché impossibile. « Ok chi ha portato i goblin? » chiese con tono di vago rimprovero, roteando gli occhi nonostante le sue labbra fossero incurvate in un sorriso divertito. I goblin erano sempre stato un tassello tanto importante per la loro comunità quanto gli elfi domestici lo erano per i maghi, sebbene gli scopi e i compiti fossero diversi. Nei loro quartieri, durante le festività, era cosa normale che quelle creature si divertissero a fare dispetti e sparare fuochi d'artificio dagli effetti pirotecnici decisamente particolari. Solo che quella non era esattamente una festività, e i maghi non erano di certo abituati ai loro modi. « Facciamoci riconoscere subito, mi raccomando. » fu il suo commento agli sghignazzi dei compagni. « Eddai, non fare il guastafeste! » Ed effettivamente il concetto del raduno sembrava essere stato interpretato - prevedibilmente, forse - dalla loro comunità come una sorta di festa a giudicare dal grosso tendone di velluto rosso che qualcuno di loro aveva eretto nel mezzo del parco. Lo stesso tendone da cui venivano musica e schiamazzi. Si avvicinò, scostando il pesante tessuto con una mano per farsi largo nello spazio ampliato magicamente dove alcuni dei giovani maghi più impavidi sembravano aver sfidato la propria reticenza, unendosi ai festeggiamenti decisamente extra degli warlock. « Non bevete i drink dei goblin. » Non siete abituati. Non li sapreste reggere. Vi troviamo nel lago nero entro dieci minuti. Lo disse a un paio di quei volti sconosciuti prima di avvicinarsi ad un compagno. « Ma che vi è saltato in mente? Vi pare il caso di attirare così tanto l'attenzione? C'è gente che si è trovata i nostri qui di punto in bianco. Si staranno cagando addosso. Non possiamo entrare nelle loro vite così a gamba tesa. » In tutta risposta il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo. « Per Mefisto, Eliphas, fatti una scopata! Dobbiamo starcene seduti e zitti in un angolino in attesa che qualche quindicenne stupido ci conceda il permesso di respirare la sua stessa aria? Non stiamo dando fastidio a nessuno. A una certa sono pure cazzi loro se hanno il cagotto. Se la prendessero con chi glielo ha insegnato. » Tutti i torti non li aveva, ma nonostante questo, Eliphas avrebbe preferito un po' più di cautela in quel primo approccio. La paura poteva portare ad azioni imprevedibili, e se si considerava la giornata già tesa, mettersi così tanto in mostra non era ai suoi occhi la scelta più equilibrata. « Dobbiamo conviverci. È un compromesso, deve venire da entrambe le parti. » « E allora vai a fare i tuoi compromessi. Io, se non ti dispiace, voglio ubriacarmi. » Lo liquidò così, passandogli oltre e lasciandolo impalato come un allocco in mezzo a tutta quella gente che rideva e ballava. In altre circostanze si sarebbe unito a loro, ma sentiva come un dovere personale quello di tenere la situazione quanto più distesa possibile. Uscì quindi di gran carriera dal tendone, oltrepassando alcuni ragazzi che guardavano la scena con un'espressione tra l'orrore e il disgusto, bisbigliando tra loro al suo passaggio. Per quanto rincuorante potesse essere tornare alla propria identità senza sotterfugi, sentirsi così osservato e giudicato non lo faceva di certo stare a proprio agio. Evitando lo sguardo di molti, Eliphas tirò dritto tra i presenti nel parco, cercando il primo volto amico tra i maghi, ovvero quello della sua coinquilina. « Sappi che io non c'entro nulla. Ho provato a
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    dirglielo che non era il caso. »
    Dritto per dritto. Esordì così alla vista di Valerie, piombando a sedere in terra con le gambe incrociate e afferrando una bottiglia di birra che stappò con la punta acuminata del ditale, buttandone giù un lungo sorso. Rimase per un istante in silenzio, con lo sguardo fisso nel vuoto. « Hanno paura? Di noi, dico. Lo vedo che alcuni non si sentono tranquilli. » C'era una sfumatura amara nel suo tono di voce - quella di chi non sapeva come comunicarsi, consapevole del substrato troppo forte nella mentalità comune e dell'impressione che i suoi tendevano a fare su chi non li conosceva. « Onestamente non so cosa aspettarmi. Sulla carta era tutto molto bello e idilliaco. Ma adesso che questa convivenza è realtà.. dici che potrà funzionare? Ci accetteranno? » Io non ne sono troppo sicuro. Ho paura che per molte persone questo sia un passo di troppo, uno a cui non sono preparati e che non hanno gli strumenti per affrontare. Saranno sufficienti quelli che gli daremo? Potranno davvero colmare il divario culturale che per secoli è stato alimentato? Lo sguardo corse al tendone, dove un paio di altri ragazzi collegiali si avvicinavano timidamente, facendosi largo tra le tende. Sospirò, scuotendo il capo e prendendo un sorso di birra. « Forse mi faccio troppi problemi io. » Non sarebbe la prima volta. Le lanciò quindi uno sguardo di sottecchi, lasciando un momento di silenzio prima di far scioccare la lingua contro il palato. « Stanotte ci sarebbe una riunione.. dei miei. Bisogna discutere di sicurezza in seguito a quanto successo. Ti andrebbe di presenziare per Inverness? » Fece una pausa. « Vorrei qualcuno di cui posso fidarmi. »

    Interagito con Valerie

    Se può servirvi, gli warlock si sono subito fatti riconoscere. Hanno messo su un tendone in mezzo al parco dove ballano e bevono come se non ci fosse un domani, mentre i goblin sparano fuochi d'artificio. Ve lo dico così, nel caso in cui vi vada di svegliarvi in coma etilico a Caracas

     
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    Le immagini di pochi istanti prima si accendono come frammenti luminosi nella sua mente, in rapida successione. Le sembra quasi di vedere un film. La differenza è che non si trova comodamente seduta nella sala accogliente del Moulin Rouge, con le sue poltrone rosso cremisi, vellutate, soffici, larghe. Sta invece correndo, Artemis. Deve arrivare dal campus di Hogsmeade ad Hogwarts, e deve farlo nel minor tempo possibile. Daphne Baker ustionata. Continua a correre, cercando di risparmiare fiato - ma è dannatamente difficile. Quel ragazzo cui salta una mano. Gli occhi azzurro ghiaccio diventano neri come la pece di cui si è tinta Hogsmeade, sotto l'effetto della Buiopesto. Zelda ha rivelato di averla sparsa per sbaglio. Zelda e il ragazzo che ha iniziato a castare incantesimi a raffica, col rischio di colpire proprio coloro che volevano soccorrerlo. Scuote la testa, Misty: deve cacciare via quei pensieri. Ha altro di cui occuparsi, adesso. «Devo...», inizia a tossire pesantemente. Si trova ad uno degli ingressi del castello. Il cancello è divelto. Un ragazzo lo osserva in silenzio. Aeneas? «Stai bene?», continua a tossire. Si riserva di gettare uno sguardo alla propria destra, lì dove un tempo sorgeva la tenuta. E' tutto in cenere. Il ragazzo la guarda. Non è Andy, ma gli assomiglia. Ha gli stessi occhi azzurro ghiaccio, i capelli scuri e la bocca sottile. «Devo trovare mio fratello. Si chiama Aeneas, lo conosci? Ti..», assomiglia molto. I due si fissano per qualche minuto buono. Dopo, il ragazzo risponde soltanto: « Buona fortuna. », con un sospiro, si allontana dal castello, indisturbato. Artemis ne riesce ancora a scorgere la sagoma in lontananza, quando, proprio all'altezza del cancello in cui si trova, dei... Guardiani iniziano a presidiare i confini. Forse, da quel momento, chi è dentro non può più andare fuori, e chi è fuori non può più accedere all'interno. Questo non può saperlo. Può solo pregare che Andy sia al sicuro, che si sia rifugiato nel dormitorio Corvonero o chissà che altro. Stringe le labbra e varca l'Atrio dell'Ingresso. Tutto è in disordine. Alcuni corrono a destra, altri corrono a sinistra, molti sono indaffarati a preparare e predisporre chissà cosa. E' molto confusa, la giovane Ayres: le sembra di non riconoscere nessuno. E soprattutto non individua il volto gentile del fratello, cosa che la atterisce più di tutte. Cerca di mantenere la solita tempra inscalfibile che tanto le piace indossare, e che gli altri parimenti sembrano riconoscerle. «Helena.», la individua in un corridoio. Vorrebbe bloccarla ma non può, materialmente. La Dama Grigia è impalpabile. « Mi ricordo di te. », Artemis si morde il labbro inferiore. Conversare con Helena Corvonero non è semplice, non lo è mai stato. La donna-fantasma è chiusa in un dolore invalicabile da secoli. «Artemis.», annuisce. «Sto cercando mio fratello. Sai... Sai per caso se l'hanno visto alla Torre di Corvonero?», di tutti i luoghi di Hogwarts, è quello il rifugio sicuro di Aeneas. La Dama Grigia, tuttavia, scuote la testa. « Misty. Ciao... Stai tranquilla. E' in Infermeria con gli altri. C'è anche Arianna. », beh, stare tranquilla sapendo che si trova in Infermeria non è molto semplice, cosa... Cosa gli è successo? - trattiene la risposta, ad ogni modo, perché Jolene, la sorella di Arianna, una delle migliori amiche di Andy, sta solo cercando di rassicurarla. «Sei già stata lì?», domanda dunque la bionda, gli occhi ancora neri che guizzano dalla Dama Grigia a Jolene. « Sì. Ti consiglio di aspettare almeno l'indomani per vederlo. Hanno davvero un sacco da fare, Artemis, saremmo d'intralcio. Mi hanno... Chiesto di andare via e ho acconsentito. Stai tranquilla. Ari e Andy non sono feriti gravemente. Hanno solo preso una brutta botta, dobbiamo lasciarli riposare. », Misty deglutisce. Sa che Jolene ha ragione, anche se in questo momento la odia, perché lei, quanto meno, ha avuto la possibilità di vedere Arianna. Sta bene. Se lo ripete mentalmente sino allo sfinimento. Sta bene e deve solo riposare. Arianna è con lui. Di lei si fida, la Ayres. Ha avuto modo di constatare quanto sia in gamba e con ben più sale in zucca del fratello - così buono da, talvolta, poter anche risultare ingenuo, per così dire. «D'accordo.», sospira. Detto ciò, Jolene la informa che a breve si sarebbe tenuta una cena al Parco della Liberazione, dove studenti di Hogwarts e collegiali avrebbero ricevuto alcune utili informazioni sullo stato d'arte della situazione. Artemis non perde tempo a recarsi di nuovo all'esterno - non avrebbe altro da fare, invero. Se non può accedere all'Infermeria - non che sia vietato, semplicemente "non consigliabile" e, a ben vedere, con un logico razionale dietro - allora non resta che cercare di capirne di più in merito al nodo intricato che si è appena stretto sul perimetro di Hogsmeade e Hogwarts. « Probabilmente se siete ancora qui, è perché non siete completamente terrificati da quanto accaduto - o sorpresi. O forse lo siete, ma non avete il coraggio di dire nulla. Lasciate quindi che vi chiarisca che qui, con noi, siete liberi di decidere da che parte stare. Se siete con noi, potete restare. Altrimenti, siete liberi di andarvene - ma dovete farlo entro stanotte. A partire da oggi Hogwarts e Hogsmeade sono sotto la giurisdizione di Inverness. Non vi chiederò nient'altro rispetto a ciò che vi ho chiesto quando ho aperto le porte di casa mia durante il periodo più buio della storia dell'umanità. », le parole di Beatrice Morgenstern risuonano forti e chiare, come se avesse evocato un Sonorus sulla propria voce. O forse è il silenzio agghiacciante di sottofondo ad elevarle ancora di più. Artemis registra la novità - per non dire il cambiamento epocale e radicale - in parte sconvolta, in parte non più di tanto. La politica discriminatoria del progetto Minerva contro la società di Inverness non era certo un mistero: quanto decisa sia stata la risposta dei lycan... Questo è un altro paio di maniche. Su due piedi non è semplice stabilire come siano andate davvero le cose, né tanto meno chi sia la vera parte lesa e chi sia il carnefice. Come in tutte le politiche che si susseguono: chi sta al potere e chi sta all'opposizione, chi fa casini e chi ne fa di peggio. Fondamentalmente non esistono buoni e cattivi. In ogni bontà c'è del marcio, così come in ogni marcio c'è del buono. O dovrei lanciarmi dalla torre più alta del castello e mettere fine alla mia vita, se credessi diversamente. «Artemis. Andiamocene. Subito, la voce di Theana - una del gruppo degli Hikesioi - risulta imperiosa. «Aeneas è in Infermeria.», dice soltanto, guardando dritto di fronte a sé, senza incrociare lo sguardo di lei. «Non fare le tue solite scenette del cazzo, le stringe il braccio destro con una forza che mette quasi paura. Misty scandisce il respiro lentamente. « Andremo a prendere Aeneas e torneremo subito da tuo Padre. Ci sta aspettando per decidere il da farsi. Si terrà un'assemblea stanotte. » «Aeneas, sottolinea con impetuosità il nome del fratello. «- è ferito ed è in Infermeria. Io da qui non mi muovo.», la stretta di Theana rimane imperiosa come il suo tono di voce. Preme , esattamente , nel segno del suo Voto Infrangibile. Quello che impedirà ad Artemis di opporsi. Senza se e senza ma. A meno che non riesca a volgere la situazione in proprio favore. Ed è su questo che punta. «Hai sentito le parole di Beatrice Morgenstern, Theana? La violenza verrà punita. Hai forse intenzione di minacciarmi pubblicamente, in una situazione così delicata? Io non mi muovo da qui finché Aeneas non si sarà ripreso. E sai una cosa? Da qui, non ti muovi neanche tu. O forse vuoi tornare da Hector per dirgli che hai fallito miseramente nell'unico compitino che ti ha lasciato per oggi: riportarci a casa?», si divincola dalla presa. Non se ne andrà, Artemis. Non finché non avrà capito meglio, né tanto meno finché Aeneas non sarà in forze, in grado di camminare sui propri piedi. Fa dunque l'unica cosa che le è materialmente possibile: sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Si avvicina a dei ragazzi con delle spille ben in vista sul petto. Le spille di chi fa rispettare la legge qui dentro.
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    «Credo che la mia amica Theana Waters abbia bisogno di un calmante.», magari fosse solo quello. «Probabilmente le hanno castato un Confundus o non so cos'altro. Di certo è nel panico più totale. Ha provato a costringermi ad andare via quando le ho ripetuto espressamente che non voglio farlo. Sono sicura che, se non fosse sotto l'effetto di un incantesimo - o di una crisi di panico, non escludo niente -, non avrebbe agito così. Lei frequenta il college, come me, e sono convinta che voglia continuare a farlo. A meno che... A meno che tu non voglia andare via davvero: nel qual caso, Theana, non ti sta costringendo nessuno, mi pare.», dopo essersi voltata verso di lei, Artemis torna a conversare con una delle autorità. «Vorrei evitare che faccia una... Una delle sue solite scenette.», una delle sue solite scenette del cazzo, tanto per rievocare le tue frasi gentili nei miei confronti, Waters. «Posso affidarla a qualcuno perché ne valuti la condizione psicofisica e tutto il resto? Così che Theana possa decidere il da farsi solo una volta tornata in sé.»

    Artemis si rivolge ad uno degli spillati (non so chi portate alla role, quindi ho scritto un po' genericamente, se qualcuno vuole cogliere l'interaction noi siamo qui <3)

     
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    Assistere era stata la parte più difficile. Mia non sapeva starsene in panchina. Non a caso, sin da quando quel colpo era stato deciso, l'indecisione sul da farsi l'aveva messa in seria difficoltà. Voleva essere lì con Raiden, con i suoi amici, ai quali non aveva potuto dire quasi nulla. Ci aveva provato qualche volta con Veronica e Nessie, ma il tatuaggio le aveva frenato la lingua di colpo. Si era convinta tuttavia che le due erano abbastanza sveglie da riuscire a mettersi al riparo. In quella circostanza era la cosa più saggia da fare. Mai si sarebbe aspettata di vederle in mezzo ai combattimenti. Quello era stato il momento peggiore. Un po' perché gli iniziali effetti dell'Aconito li aveva percepiti a sua volta, e un po' perché vedere le due ragazze sgusciare tra lame affilate e combattimenti all'ultimo sangue l'aveva fatta sentire estremamente impotente. Beatrice, Raiden e Ophelia non avrebbero pensato a proteggerle. Il loro obiettivo non poteva essere messo in pericolo dalla presenza di quei ragazzi. Mia, dal canto suo, avrebbe pensato a loro in via prioritaria. « E questo è il motivo per cui tutto sommato era la scelta giusta da fare, non trovi? » Sollevò lo sguardo a ricercare quello di Stacey che stava diligentemente annotando in un taccuino il numero delle stanze che erano state abbandonate in fretta e furia da diversi ragazzi nello studentato. Alcuni potevano anche tornare, ma nel mentre, ogni alloggio disponibile sarebbe stato prezioso per coloro che intendevano restare temporaneamente al campus. « Stai dicendo che sono troppo emotiva. » Stringe i denti, Mia, e annuisce tra se e se. E' chiaro che non ha preso benissimo l'idea di restarsene in panchina, e il fatto che i suoi amici si trovassero al centro degli scontri non aveva affatto aiutato. « No. Sto dicendo che nelle tue condizioni.. va beh hai capito. » Certo. E nonostante avesse capito, non riusciva a scendere a patti con l'idea di non aver contribuito. Saltando da una testa all'altra, Mia aveva tentato di tenere gli occhi aperti, di guardare loro le spalle. Ma non era comunque come trovarsi lì, e così nel momento di maggiore difficoltà, mentre Raiden e gli altri, si trovavano lungo il corridoio che avrebbe portato all'ufficio del Preside, Mia si era sentita comunque impotente. Dalla casupola poco fuori dal villaggio in cui si era rintanata assieme ad altri della squadra, tra cui Bobbie e Griffith, non era riuscita a fare nulla di concreto. A ben guardare, forse troppo emotiva, Mia lo era per davvero. Non a caso, appena mise piede a Hogwarts, provò un senso di smarrimento, ma anche di intrinseco orgoglio. Ce l'avevano fatta. C'era però un velo di tristezza negli occhi di tanti di coloro che si aggiravano per la tenuta. Qualcuno aveva gli occhi in lacrime mentre sgomberava un'area colma zeppa di macerie dovute al completo crollo di una parte delle mura. Al fianco dei ribelli tuttavia, c'erano anche diversi ragazzi - suoi coetanei, che si erano rimboccati le maniche e si stavano dando da fare per aiutare a ripulire la tenuta. Tra le mura di Hogwarts c'erano studenti e collegiali che non avevano mai approvato i metodi con cui la scuola era stata gestita. A riprova del fatto che qualcosa fosse cambiato c'era soprattutto la possibilità di attraversare la tenuta tenendosi stretto un pugnale d'argento. Aveva dovuto rinunciarvi sin da quando gli Auror le avevano chiesto di separarsene prima del banchetto d'inizio anno. Da allora Mia aveva dovuto fare i conti con i sospetti di tanti suoi colleghi - persone il cui odio era stato alimentato e giustificato dalle misure intraprese dalla scuola, apparentemente per motivi di sicurezza. Lì, dove si trovava, c'erano stati dei morti fino a poco fa. I residui di sangue sul terriccio ne erano la prova e le fosse che erano scavate da alcuni dei ribelli ne erano un ulteriore indizio. Avrebbe voluto chiedere a chi se ne stava occupando se non fosse meglio restituire i corpi a chi di dovere. Alle loro famiglie. Quegli Auror avevano dei cari - e seppur avesse fatto i conti con l'idea che una guerra coi fiori e gli arcobaleni non si facesse, una parte di lei non poteva fare a meno di pensare che qualcuno là fuori aveva comunque il diritto di piangere quei morti. E' tremendo non avere un corpo da piangere. Un brandello da seppellire. Ti sembra che non se ne siano mai andati. Vivi con la consapevolezza della loro assenza, ma non ti metti mai l'anima in pace. Deglutì e distolse lo sguardo, stirando piuttosto un sorriso speranzoso di fronte al gruppetto stretto nel bel mezzo del grande gazebo. Lì, alcuni ragazzi si erano seduti in cerchio ricreando una piccola assemblea in mezzo alla quale avevano iniziato a buttare giù idee per gruppi di lavoro da svolgere durante l'occupazione. Spingendo lo sguardo oltre, si rese conto che lo spettacolo a cui aveva assistito da lontano era decisamente più degradante di quanto si aspettasse. Del Campo di Quidditch non c'era più traccia. Al suo posto c'era un cumulo di macerie fumanti. Tirò su col naso, distogliendo lo sguardo da alcuni corpi disposti sul prato in lontananza, per dirigersi verso l'interno. Fu poco dopo che incontrò lo sguardo della migliore amica di fronte alla cui presenza scosse la testa correndole incontro. « Sei proprio una stupida cogliona cazzo! Io ti giuro che ti avrei menato! Come ti è venuto in mente! » Le dice tutte quelle cose mentre le corre incontro e la abbraccia fino a soffocarla, stringendola con un moto quasi disperato, mentre tira su col naso. « Stai bene? Ti sei fatta qualcosa? » Glielo chiede allontanandosi appena per constatare da sé lo stato della ragazza. « Ero sul punto di venire là. » E lo avrebbe fatto se solo non fosse stata troppo lontana anche solo per provare ad arrivare in tempo. « Come stanno gli altri? Ness? E i ragazzi? » Li aveva persi nel tentativo di saltare da una testa all'altra, assicurandosi che la sua famiglia stesse bene. « Hai mangiato qualcosa? » Si tolse lo zaino per estrarvi una barretta al cioccolato che le diede immediatamente. Non aveva altro se non qualche dolciume che si era portata dietro nel caso in cui le fosse venuta fame. Meglio di niente.
    Lasciò ben presto gli amici per dedicarsi ad altro. Ovviamente non le avevano permesso di darsi a compiti troppo pericolosi, come il mettere sotto sopra il castello per assicurarsi che non ci fossero altri Auror in giro. Decisamente più silenziosa del solito, aveva continuato a pensare all'ultima parte dello scontro fuori dall'ufficio di Bauldry, ai corpi sparsi qua e là, agli occhi colmi di lacrime di chi aveva perso qualcuno e al dispiacere di chi aveva visto la scuola messa a ferro e fuoco. La guerra non è mai bella; il senso romantico che alcuni millantavano era ben lontana dalla realtà. Così, dopo un pomeriggio passato ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, si diresse ben prima delle otto verso il Parco della Liberazione decisamente stanca e un po' logorata nell'anima. Venne colpita da una figura minuta, che dall'uscio della propria palazzina continuava a guardarsi attorno con un'espressione smarrita. « Scusi! Signorina? » Con Kei al fianco, si avvicinò leggermente incuriosita dall'anziana signora. « Si? » « Sa mica dirmi se l'ufficio postale ha già chiuso? Sto aspettando una lettera. Da mio nipote. » Mia rimase leggermente sorpresa. L'ingenuità con cui quella domanda le era stata posta non sembrava tenere conto di quanto era accaduto a Hogsmeade. « Non credo.. non so quando riaprirà. » « Ma oggi è giorno di posta! Sto aspettando una lettera da mio nipote sa? Mi scrive ogni settimana lo stesso giorno. E io gli rispondo sempre lo stesso giorno. Se non gli scrivo poi si preoccupa. Povero il mio Harold, è lontano da casa e ha solo me. Si preoccupa tanto per sua nonna. La salute non è più quella di una volta. Ogni tanto ho questi sbandamenti.. e i vuoti di memoria. Si.. i vuoti di memoria. Lo so che ce l'ho. » Istintivamente Mia corrugò la fronte sospirando. « Mi scusi ma.. sa cosa è successo? Dico.. oggi. Qui. » « Ma certo cara. Il signor Cooper è tornato a Hogsmeade. Quei bravi ragazzi mi hanno suonato e mi hanno chiesto di restare al sicuro. A me e ad altri miei amici. » Sorrise. Evidentemente c'erano molte cose che non aveva avuto modo di vivere fino in fondo a Hogsmeade. Specie nel periodo dell'occupazione. Le persone, ad esempio, Mia le conosceva poco e niente. « Capito.. beh.. non so se lo sa ma al Parco della Liberazione stanno facendo una riunione. Con tutti gli abitanti di Hogsmeade. Se intende andarci possiamo farci la strada insieme. » « Lei è davvero gentile. Però io vorrei prima passare alla posta. Voglio chiedere al signor capo postino quando intende riaprire le poste. E se lui non sa dirmelo, lo chiederò direttamente al signor Cooper. » E così andarono alla posta. Mia fece una fatica immane a mantenere un passo abbastanza lento da non lasciarsi l'anziana signora alle spalle. Le chiese un po' di tutto. A quando il lieto evento? Oh ma che coincidenza, anche mio nipote sta in America. Che brava è sposata. Un giovanotto davvero fortunato. E via così finché non giunsero all'adunata. Non c'era nulla di impostato; non era una serata di festa, nonostante gli warlock l'avessero presa come tale. Della gente è morta e questi fanno i clown. Che dire. Si ritrovò ben presto a riempire un contenitore con un po' di cibo fresco. Non era certa che Raiden volesse restare a mangiare lì, e così, consapevole del fatto che a casa non c'era proprio nulla che li aspettasse, se non la prospettiva di qualche uovo al tegamino, scelse tra i vassoi un po' di tutto. Il muso di Kei la spintonò appena scodinzolando. Non si era staccato neanche per un momento dal suo fianco per tutta la giornata, e ora, a maggior ragione doveva avvertire il senso di fame. « Vuoi dell'acqua? Andiamo a sederci così ti diamo la pappa. Che dici? » Prese un secondo contenitore in cui aggiunse un po' di roba da mangiare che potesse essere adatta anche per un cane, per poi sedersi sulla stessa panchina dove la signora Fraser le aveva riservato un posto. « Così da brava. Non devi affaticarti troppo. E devi mangiare per due, si? » Mia ridacchiò, seppur non avesse molta fame. Diede qualche polpetta a Kei, lasciandolo bere da un piccolo contenitore improvvisato che aveva trasfigurato per l'occasione. Osservò per diverso tempo le persone, senza sentirsi in vena di socializzare con nessuno in particolare. Stava iniziando ad accusare tutta la stanchezza dovuta alla tensione della giornata. Così, decise semplicemente di accarezzare i capo di Kei mentre gli permetteva di mangiare un po' di tutto dalla sua mano, almeno finché il cane non aizzò le orecchie correndo incontro a una figura che la portò a raddrizzare a sua volta le spalle, alzandosi in piedi. « Mi scusi. C'è mio marito. » Gli andò incontro senza pensarci, gettandogli le braccia al collo per abbracciarlo teneramente. « Ciao! » Disse solo in un sussurro accarezzandogli la guancia prima di lasciarvi un bacio. Era evidente fosse felice di vederlo, al punto che non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, nonostante il cane continuasse a saltellare attorno a loro abbaiando. « Mi sa che non sono l'unica che voleva vederti. » Ridacchiò appena, Mia strattonandogli appena il polso per invitarlo a sedersi sulla panchina che aveva tenuto libera anche per lui. « Ti ho messo da parte un po' di roba da mangiare. Non volevo che finissero le cose che ti piacciono. »
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    Si sedette indicandogli il posto accanto a lei con un leggero colpetto e a quel punto apri i contenitori, allontanando il muso di Kei col gomito. « Possiamo anche portarcele a casa. Ho pensato che siccome non ci starebbe comunque nulla, tanto valeva approfittarne. » Discorsi di circostanza, quelli di Mia, apparentemente rilassati. In fondo cosa avrebbe dovuto dire? Voleva davvero aprire il discorso? Parlare effettivamente di ciò che era successo? Forse no. Non avrebbe neanche saputo cosa dire di preciso. Però vorrei comunque parlarne. Forse perché in fondo lei in primis aveva bisogno di esorcizzare ciò che aveva visto, ciò che aveva provato. A maggior ragione, ora che ne era stata mera spettatrice, a differenza dell'ultima volta, quando avevano combattuto su suolo giapponese. « Oh. Lei è la signora Fraser. L'ho accompagnata all'ufficio postale per chiedere al signor postino quando l'ufficio avrebbe riaperto. » Lo osservò con un'espressione eloquente, come a dirgli di non fare domande. « Signora Fraser - Raiden, mio marito. » « Oddio, il papà! Che piacere, che piacere giovanotto! Congratulazioni! Che bella coppia che siete! Giovanotto da dove viene lei? » E giù di chiacchiere e di domande che portarono Mia a stringersi nelle spalle e stirargli un sorriso di incoraggiamento. Era visibilmente stanco, Raiden, e aveva l'umore a terra. Di questo era certa. Per questo, non mancò di palesarsi in proiezione per rivolgergli poche semplici parole. « Se vuoi possiamo andare. Non so se vuoi restare qui a Hogsmeade oppure tornare a casa.. però ecco. Non dobbiamo restare a questa roba. E' stata una giornata lunghissima. » Accarezza appena il dorso della sua mano osservando Kei che continua a ricercare le attenzioni del moro. « Non prima di aver riaccompagnato però la signora Fraser. Ha menzionato il fatto che potrebbe essere un po' rincoglionita. Non voglio averla sulla coscienza. »


     
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    Le sembra di soffocare. Matt che lancia una torcia di fuoco in aria. Il battito di Camila accelera ancora e ancora. Matt che viene abbattuto. Ripercorre mentalmente le immagini di quella che, poco tempo dopo, i giornali avrebbero definito "la presa delle Highlands". Camila era lì in mezzo. Doveva essere una gita. Una semplice vacanza con degli amici americani. Un piccolo, rapido, breve tuffo nel passato con delle persone fidate. Le uniche persone fidate. Le uniche a conoscere il loro segreto, all'infuori delle prozie che, il suddetto segreto di famiglia, l'hanno direttamente creato. Delle persone fidate che, adesso, non esistono più. Gli occhi gonfi di lacrime di Camila hanno visto sfilare i loro corpi. Matt e Paul. Matt e Paul erano dei lycan. Per loro non si trattava di una vacanza in Inghilterra. Per loro non era un momento di ritrovo con le due gemelle Silente, che non vedevano da quattro anni a questa parte. No. Per Matt e Paul tutto faceva parte di un piano più grande. Ma questo, Camila, non poteva e non può saperlo [...] « Questa sera si terrà una cena al Parco della Liberazione. Verranno comunicate delle notizie fondamentali per chi ha intenzione di restare all'interno dei confini di Hogsmeade. », Camila ascolta con attenzione. Non fiata. Non una parola. Semplicemente, viene fuori dal nascondiglio che ha ricavato nei bagni di una delle aule studio del castello, luogo da lei giornalmente frequentato, insieme ad altri studenti. Di tutte le età: chi, entusiasta, si trova alle prime armi con Pozioni ed Erbologia; chi, disilluso, alla veneranda età di diciassette anni non vede l'ora di superare i MAGO. Chi, ancora, ha già scelto quale strada intraprendere nella propria vita, individuando il corso del college più idoneo a formarlo per un possibile futuro. Sono rimasti tutti stretti lì dentro. Alcuni hanno improvvisato delle piccole ronde, andando ad acciuffare qualche altro studente più o meno ferito dal corridoio antistante, portandolo all'interno dei bagni per soccorrerlo. Sono rimasti blindati lì per delle ore. Persino quando si è diffusa la notizia di un Ardemonio castato nella tenuta. «Ho p-p-paura. Cosa sta succedendo? Chi.. Chi... Cosa...», il tenore dei discorsi, all'interno dei bagni, si è sempre mantenuto su questa scia. Camila ha stretto i denti e ha cercato di rendersi utile. Per una volta poteva farlo. E' una studentessa di Medimagia al terzo anno ed è letteralmente nata secchiona. Ad ogni modo, non ci sono stati casi particolarmente gravi all'interno del nascondiglio dei bagni - giusto un polso slogato per una caduta e un ragazzino con delle ferite da Avis, che per l'appunto ha raccontato gli eventi verificatisi in Sala Grande. L'Ardemonio nella tenuta. La protesta degli Elfi in Sala Grande. Il preside Bauldry che... Fugge dal suo ufficio. Piano piano, i tasselli di quel complicato puzzle si incastrano facendo chiarezza. Infine, la comunicazione della cena al Parco della Liberazione. Quest'ultima fa spalancare gli occhi nocciola di Camila. In che senso una cena? - avrebbe voluto chiedere. Tuttavia, timida e insignificante com'è, non si azzarda ad aprir bocca. Che la sua domanda abbia senso o meno, fondamentalmente Camila non si dà neanche la pena di scoprirlo. Figurati se pensano a rispondere a te, Cami, con tutto il casino che c'è qua. Così, quando lo status di battaglia conclusa circola di bocca in bocca, gli studenti al riparo nei bagni dell'aula studio vengono fuori come piccole formiche in cerca di qualche briciola da proteggere e conservare nel proprio ripostiglio. Si dirigono verso il punto di raccolta. La giovane Tassorosso si guarda intorno per identificare i volti a lei noti. Attende di scorgere quello di Ava, ma non riesce a trovarla. Si lascia dunque trasportare dagli eventi, dalle parole di Beatrice Morgenstern, dall'enormità di questa nuova e incomprensibile situazione. La durezza del discorso di Beatrice cozza coi fuochi d'artificio sparati da alcuni goblin poco distanti. Il riverbero di quelle luci si specchia negli occhi di Camila e le fa nettamente comprendere quanto poco sia adeguata in quel contesto. Si sente un pesce fuor d'acqua. Alcuni festeggiano. Si chiede se sia un tentativo di esorcizzare il pericolo cui sono scampati poco prima. Lo stesso pericolo che Matt e Paul, invece, non hanno saputo evitare. Non sono riusciti ad evitare. O forse... Forse l'hanno preso di petto e basta. Scuote la testa, la piccola Davis, ben decisa a non rivangare più quell'episodio. Farebbe troppo male e - a dirla tutta - non l'ha neanche superata davvero. « Se siete con noi, potete restare. Altrimenti, siete liberi di andarvene - ma dovete farlo entro stanotte. Ci sarà un periodo di transizione in cui la scuola e il villaggio verranno riorganizzati, quindi nei prossimi giorni non ci saranno lezioni. Non vi chiederemo di lavorare o di dare una mano alla ricostruzione della scuola o del villaggio se non siete disposti a supportarci. Vi chiedo solo di non essere d'intralcio. », forse dovrebbe seguire il consiglio di Beatrice. Forse dovrebbe andarsene, Camila. Anche se non sarebbe così semplice: lei abita ad Hogsmeade. Praticamente, per andarsene, dovrebbe abbandonare la propria stanza nella casetta che condivide con Ava e Dory. Ma forse, , dovrebbe ugualmente rintanarsi ai margini della storia, azione che di solito le riesce benissimo. Non sarebbe d'intralcio. Non sarebbe un peso. Eppure questo vorrebbe dire rinunciare a tutto quello che ha fatto finora. Rinunciare all'esistenza che si è costruita con difficoltà, pezzo dopo pezzo, nella nuova realtà dell'Inghilterra. Per una persona sedentaria e decisamente poco abituata ai cambiamenti come lei, ricominciare da capo è sempre un trauma - né più né meno. «Ava!», la sua presenza la libera da un macigno. E' come se i nodi dello stomaco iniziassero a sciogliersi gradualmente. C'è Ava. C'è sua sorella. Lei saprà cosa fare. Sa sempre tutto, a differenza di Camila. Non in termini di nozioni enciclopediche o chissà che altro: in termini di affrontare la vita. «Non sono riuscita a trovarti, i-io... Stai bene? Ti prego, dimmi che stai bene.», la squadra da capo a piedi, alla ricerca di un possibile segno di colluttazione. «Vieni.», cerca un angolo in disparte dove poter parlare a quattr'occhi con lei.
    «C-cosa dobbiamo fare? Io.. Non voglio finire nei casini. Siamo..», non abbiamo idea di cosa potrebbe succedere. Il Ministero potrebbe additare tutti i presenti all'interno dei confini del castello come potenziali "complici". E se lo facesse? Se finissimo... Ad Azkaban? - la confusione più totale regna sovrana tra i pensieri che, in rapida successione, si snodano nella testa di Camila. «Non capisco più niente. E' tutto così confuso. E questo... Questo gesto cosa significa? A cosa serve... Occupare Hogwarts? Cosa.. Che tipo di manovra è? Dopo Hogwarts cosa accadrà? E' già successo con le..», con le Highlands. Quando è morto Matt. E lo so, lo so che l'hanno ucciso gli Auror. Ma... Ma cosa accadrà, dopo? Non ci chiedono di collaborare, ma rimanere entro i confini di un territorio occupato è una forma di collaborazione... «..Highlands. E poi? Prenderanno il Ministero? E dopo ancora? Hann -», si interrompe di scatto, Camila, perché con la coda dell'occhio individua la figura di Griffith Morgenstern, l'ultima persona con la quale si sarebbe mai immaginata di giocare a beer pong. Griffith Morgenstern e la sua spilla argentata. Beh, certo, è uno dei capi. Per Morgana, e se mi ha sentita? - timorosa di poter essere additata come possibile nemico, Camila stringe il polso di Ava, aggrappandosi alla forza d'animo della sorella, e la trascina ancora più in disparte di prima. «Avy. Io lo so cosa ci avrebbero detto Matt e Paul. Ma.. Loro.. Io.. Io credevo avessero ragione, i...», lycan. Vorrebbe dirlo, ma non si azzarda a fare il loro nome. Sia mai che qualcuno pensi che sta dalla parte di chi li ha discriminati o chissà che altro. «Quella politica discriminatoria, quello che hanno vissuto.. E' stato terribile, lo credo bene. Però adesso, io... Io non lo so..», tira un sospiro profondo. La sua voce ormai è un sussurro. «Io... Voglio fare la scelta giusta... Però è... Voglio dire, è entro mezzanotte? E' difficile.. E chi non rimane non potrà più tornare? Questo.. questo non l'hanno detto.. Hanno detto "per adesso non potrà tornare", quindi.. Quindi dopo sì? Io..»

    Interagito con Ava
    Citato Griffith


     
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    « Tu. » Aveva letteralmente bloccato il passaggio ad un ragazzo largo forse il doppio di lei in un Corridoio. « Brandon, giusto? Medimagia, terzo anno. Sei con mia sorella. Camila Davis. L'hai per caso vista da qualche parte? Eravate assieme stamattina? » Era andata dritta al punto, consapevole del fatto che il giovane stesse anche lui, con ogni probabilità, cercando qualcuno. Lei, dal canto suo, cercava la gemella da qualche tempo ormai, senza successo. Comprensibile, considerate le condizioni generali. Lei, per arrivare al Castello, aveva dovuto sgattaiolare da un'uscita secondaria della Biblioteca Centrale dove aveva trovato riparo, che un Auror disattento, troppo preso dal placare gli animi, aveva lasciato scoperta. « Io non.. non credo. Ero in Sala Grande, e... » L'americana annuì brevemente. « No, è altamente improbabile che fosse lì. » Diretta. Breve. Frettolosa. Sbirciò oltre la spalla di lui nella speranza di incrociare lo sguardo di qualcuno che potesse esserle utile. Niente. Ragazzi ed adulti a lei totalmente ignoti. Sospirò, riportando lo sguardo su uno scosso Brandon. « Dovresti passare dall'Infermeria. » Si era soffermata ad osservare il lungo taglio sulla sua guancia sinistra. « Stai sanguinando. » Fu la sua risposta all'aria mestamente interrogativa di lui. Questi scosse la testa con veemenza. « Sto cercando la mia ragazza. Avremmo dovuto beccarci per colazione, ma non si è più presentata, e...» Nei suoi occhi preoccupati si poteva leggere una sola cosa: temeva il peggio. Ava lo osservò scuotere la testa come per scacciare quei pensieri. « Già che ci siamo, pensi di averla vista? » Lasciò che Brandon gli descrivesse la persona in questione senza interromperlo, sebbene continuasse a lanciare occhiate alle sue spalle sempre con l'obiettivo di individuare qualcuno, chiunque, che potesse aiutarla a capire dove, di preciso, potesse essersi cacciata Cami. Iniziava ad innervosirsi, ed il nervosismo prendeva la forma di un pesante macigno all'altezza dello stomaco. « Se era ad Hogsmeade, è possibile che l'abbiano evacuata - la situazione era abbastanza caotica. Prova a cercare lì, se già non l'hai fatto. Buona fortuna. » Detto ciò si allontanò a passi rapidi, in direzione dei piani superiori. Non sapeva se sarebbe riuscita a trovare la gemella, né pensava raggiungere una delle torri fosse logico, ma tanto valeva tentare.
    Aveva passato così più o meno tutto il pomeriggio - a tentativi. Questo finché Liz, una sua compagna di corso stavolta, non le passò la notizia della cena che si sarebbe tenuta al Parco della Liberazione. « In fondo sarebbe la cosa più logica, no? Presentarsi lì, intendo. Ora come ora scommetto che state entrambe girando in tondo senza mai incrociarvi. Legge di Murphy, no? » Le aveva dato una pacca sulla spalla, come per incoraggiarla. Dai, andrà tutto bene. Ava annuì senza tuttavia ricambiare il suo sorriso - lo era effettivamente, la cosa più logica.
    E nella folla che si era radunata nel luogo designato, alla stregua di una specie di segugio, Ava aveva continuato a cercare la figura minuta di sua sorella, senza tuttavia riuscire ad intravederla da nessuna parte. Non a caso mi ha sempre battuta a nascondino. Anche se non mi sembra proprio il momento. Avrebbe continuato a cercarla, se solo la voce di Tris non le fosse giunta alle orecchie, forte e chiara. « [...] Se siete con noi, potete restare. Altrimenti, siete liberi di andarvene - ma dovete farlo entro stanotte. Ci sarà un periodo di transizione in cui la scuola e il villaggio verranno riorganizzati, quindi nei prossimi giorni non ci saranno lezioni. Non vi chiederemo di lavorare o di dare una mano alla ricostruzione della scuola o del villaggio se non siete disposti a supportarci. Vi chiedo solo di non essere d'intralcio. » Ne aveva osservato la figura per tutto il tempo, la Davis, anche se incerta del fatto che l'altra potesse vederla da quella distanza. Nonostante tutto, si trovò ad annuire tra sé alle parole della lycan. La sua richiesta aveva perfettamente senso, così come ce l'avevano i tempi ristretti per prendere una decisione. Non ce la si può prendere troppo comoda, quando si tratta di prendere una posizione in condizioni come queste, si trovò a pensare. Perché se era vero che la scuola era stata occupata, era anche vero che avrebbero anche dovuto pensare a come mantenerla, quella posizione, e...
    « Ava!» Scattò come una molla nell'udire finalmente la voce della sorella. « Dove ti eri cacciata? Ti ho cercata per ore! » E, per tutta risposta al suo quesito successivo, si limitò soltanto a stritolarla in un abbraccio spaccaossa. Sto bene. Tu stai bene. E anche se così non fosse, stiamo comunque molto meglio di tanti altri. Dopotutto, durante il percorso che l'aveva portata al Castello quella mattina, Ava aveva potuto osservare le condizioni nelle quali versava la Tenuta. Aveva visto il Campo di Quidditch raso praticamente al suolo. Aveva addirittura avuto modo di intravedere qualche cadaver non ancora restituito alla terra. E proprio perciò aveva concentrato i suoi sforzi di quel pomeriggio nella ricerca disperata di Cami, perché pur sapendo, ad un livello prettamente razionale, che non potesse essere rimasta coinvolta - le aveva detto che sarebbe rimasta a studiare, per quel giorno - non ne aveva comunque la certezza matematica. Quindi, nonostante il fatto che potesse esserle toccata la stessa sorte fosse improbabile, restava comunque possibile. Si lasciò dunque condurre ovunque l'altra volesse, soffermandosi ad osservarne la sagoma. Niente ferite immediatamente visibili. Bene. «C-cosa dobbiamo fare? Io.. Non voglio finire nei casini. Siamo..Non capisco più niente. E' tutto così confuso. E questo... Questo gesto cosa significa? A cosa serve... Occupare Hogwarts? Cosa.. Che tipo di manovra è? Dopo Hogwarts cosa accadrà? E' già successo con le..» Alzò la mano, il palmo rivolto verso di lei, sostenendo lo sguardo della sorella: Respira, Cami - respira. Non l'interruppe, tuttavia, si limitò a lasciarla parlare, annuendo di tanto in tanto per sottintendere che la stesse seguendo. «Quella politica discriminatoria, quello che hanno vissuto.. E' stato terribile, lo credo bene. Però adesso, io... Io non lo so..» Qui, suo malgrado, si trovò ad assottigliare lo sguardo, che si fece nettamente più cupo. Davvero non lo sai? «Io... Voglio fare la scelta giusta... Però è... Voglio dire, è entro mezzanotte? E' difficile.. E chi non rimane non potrà più tornare? Questo.. questo non l'hanno detto.. Hanno detto "per adesso non potrà tornare", quindi.. Quindi dopo sì? Io..» Si inumidì le labbra in un gesto automatico prima di prendere la parola. « Sì, forse è difficile. » Disse, eppure lo sguardo deciso rivolto alla sorella sembrava comunicare l'esatto contrario - c'era tutto meno che indecisione. « Non lo so, cosa accadrà dopo Hogwarts. Ma, a dire la verità, forse è troppo presto per fare previsioni di questo tipo.» Si lasciò andare ad un sospiro, osservando per un attimo le persone che si erano riunite in quel Parco. « Ci crederesti, in qualcuno che ti dice "grazie, ma no grazie" per tornare quando si rende conto che dall'altra parte non gli piace poi così tanto? » Chiese, tornando improvvisamente a cercare lo sguardo di Cami. Andarsene adesso significherebbe proprio questo, Aurelia - provare a mangiare anche nell'altro piatto, come se non sapessimo cosa contiene. Il Progetto Minerva è stato al potere per tutto questo tempo, ma non mi ha mica convinto così tanto. « Perché hanno vietato i duelli? Perché i cellulari sono il male? E la radio? Perché hanno chiuso il club di Corpo a Corpo? » Portò una ciocca dietro l'orecchio, scuotendo appena la testa. « Ci volevano non violenti o inoffensivi, Cami? » E se a questo aggiungiamo tutto il resto, non lo so, questa storia un po' mi puzza. « Forse non posso dirti cosa sta succedendo perché nemmeno io lo so, però so che si plasma sempre la creta malleabile e non quella che già si è indurita.» E di qui il perché di Hogwarts. « Io non me la sentirei di tornare, se voltassi le spalle a Tris adesso. » Suo malgrado, cercò con lo sguardo la figura della Morgenstern. E poi quelle degli altri che conosceva, e sapeva essere presenti. Riuscì ad individuare Mia e Raiden. Aveva sentito, nelle sue ricerche, di altre persone di sua conoscenza rimaste coinvolte nello scontro. « Se proprio decidessimo di andarcene... » faremmo la cosa sbagliata. «... non ce lo impedirebbero. Ma farlo ora non ci darebbe gli strumenti per capire davvero da che parte stare, se ancora non ci fosse chiaro. »






    interagito con Cami;
    citati Tris, Raiden e Mia.
     
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    Quella persona. Aveva sempre trovato più semplice chiamarla così. Gli dava un senso di distacco - banalmente perché ciò andava a creare già sul piano semantico un'entità seconda scissa da lui. E di questa divisione, Raiden aveva decisamente bisogno. L'alternativa era ammettere che certe caratteristiche, congenite o apprese che fossero, facessero semplicemente parte di lui. Uccidere un Auror non era un problema: si trattava di lavoro. Ciascuna delle due parti aveva scelto la propria strada, consapevole di ciò che avrebbe potuto comportare. Io facevo il mio lavoro. Loro facevano il proprio. È così che funziona e ha sempre funzionato. Alcuni avrebbero potuto tacciarlo di cinismo per questa visione completamente impersonale della guerra, ma agli occhi di Raiden, l'idea di poter ottenere certi cambiamenti in maniera pacifica era quanto mai delirante. Da un certo punto in poi, nella storia umana è entrato questo conveniente concetto di sognante pacifismo. Un giorno la gente incazzata entrava coi forconi nei palazzi dei potenti e giustiziava chiunque si trovasse di fronte; e poi, di punto in bianco, il giorno dopo si sono fatti tutti convincere che per essere nel giusto - per essere migliori - bisognasse tenere le mani in tasca. Da quel giorno in poi non è più cambiato nulla. D'altronde una simile narrativa rendeva molto più accattivante l'idea di starsene buoni, no? Basta che protesti. Scendi in piazza, urli due parole, e puoi tornartene a casa con la coscienza a posto e il trofeo di partecipazione. Perché hai fatto qualcosa. Non è servito a nulla, ma tu qualcosa l'hai fatto e dunque se nulla accade non è più tua la responsabilità. Ma la dura verità è che se si vuole ottenere qualcosa di grande, c'era necessariamente bisogno di sporcarsi le mani. E chi non vuole farlo non può vantare alcuna superiorità morale, perché semplicemente delega a chi è disposto, e quindi rimane comunque complice. L'unica differenza è l'alibi per dormire la notte. Ma lui, a dormire con le vite di Auror o soldati sulla coscienza non aveva mai avuto problemi. Il problema, Raiden lo aveva quelle proprie azioni che non riusciva totalmente a giustificare. Mentre si passava lo straccio bagnato sul viso per ripulirsi dal sangue e dal sudore, non riuscì a bloccare l'immagine insistente di quella fotografia. Sembravano davvero una famiglia felice. Non sapeva se lo fossero per davvero o meno, ma almeno in quel lembo della loro vita dovevano esserlo stati. Si ricordava della gentile signora che veniva tutti i giorni al QGA a portare il pranzo al marito. Francis aveva sempre il pranzo più invidiato, lì in ufficio. Fette di polpettone, pollo arrosto, verdure ripiene. Roba che Raiden se la sarebbe sognata ai tempi dell'addestramento, quando gli sbattevano sul piatto qualche sbobba indistinta e insapore accompagnata da un pezzo di pane. « Mangia! » lo esortavano i compagni più grandi. « Tanto non è il cibo ciò che c'è da mangiare, perché quando finisci di toglier via i tonchi è finito già il tempo.. e non è rimasto comunque più nulla da mettere sotto i denti. » Per una moglie che gli portava il polpettone avrebbe fatto carte false all'epoca, ma a ben vedere gli sarebbe anche solo bastato qualcuno a cui importasse di lui. Quella persona, Raiden alla fine l'aveva trovata, e sapeva bene cosa significasse per lui. Per questo aveva usato quei puri e genuini sentimenti contro Francis Coleman. Perché io al suo posto avrei dato ogni informazione richiesta se avessero minacciato Mia e il nostro bambino. Questa consapevolezza era stata sì utile ad ottenere un risultato necessario, ma inevitabilmente aveva richiesto un prezzo nell'esatto istante in cui l'aveva messa in pratica. Più andava avanti e più diventava insostenibile il peso di essere la persona di cui c'era bisogno ma non quella che desiderava essere. E ormai iniziava a pensare che forse lui fosse davvero, quella persona - che fosse semplicemente così, volente o nolente. Un tempo era stato più semplice farci i conti, ma adesso Raiden aveva qualcosa da perdere - qualcosa di bello grosso, e nessuno poteva garantirgli che sarebbe sempre stato al sicuro, specialmente dopo ciò che avevano fatto. Forse controllare il castello da cima a fondo, quasi fosse alla ricerca di un tesoro nascosto chissà dove, era il suo metodo personale di provare un'illusione di controllo sulla questione. Si erano divisi in squadre, pattugliando ogni superficie da cima a fondo per stanare gli Auror rimasti e controllare che non ci fossero ulteriori imprevisti. Ormai i superstiti erano pochi, e per lo più non avevano opposto resistenza - d'altronde che senso aveva? Un lavoro semplice, insomma, che tuttavia Raiden sembrò svolgere con accuratezza e zelo quasi maniacali. Nel mentre non aveva comunque mancato di tenere un blando collegamento con la sfera di Mia e chi le stava intorno, accertandosi che fosse al sicuro e tutto stesse filando liscio.
    « Beh.. direi che è pulito, no? Abbiamo guardato pure nei cessi. Non c'è più nessuno. » Probabilmente lo stavano pensando tutti, all'interno della piccola squadra che era stata affidata a Raiden. Il sole era ormai calato, e il perimetro del castello era stato pattugliato da cima a fondo senza concedersi nemmeno una sosta. Erano stremati - questo il giovane Yagami poteva intuirlo tanto dal loro tono di voce quanto dalle loro facce. Si trascinavano pesantemente, un passo dietro l'altro, seguendo le sue indicazioni senza protestare, ma era chiaro che ormai la loro stanchezza li rendesse poco utili. Sospirò, dunque, annuendo. « Va bene. Per oggi possiamo chiuderla qui. » Sottotesto: il giorno seguente ci sarebbe comunque stato un altro giro di ricognizione. Non si poteva mai essere troppo sicuri in certe circostanze. Così, rinfoderata la bacchetta, si diresse assieme alla squadra verso il Parco della Liberazione. Non si unì alla conversazione, rimanendo sempre qualche passo indietro, con le orecchie ben tese e i sensi all'erta. Logicamente sapeva che non ci sarebbe stato un attacco imminente, ma il suo peculiare stato d'animo gli impediva di distendere quei nervi che aveva a fior di pelle. Il primo vero sorriso della giornata arrivò quando Mia gli gettò le braccia al collo, sciogliendogli un po' della tensione che si era accumulata nel suo corpo. La avvolse teneramente, stampandole un piccolo bacio sulla tempia e stendendole un sorriso stanco, ma pur sempre contento. Un breve momento di pace velocemente interrotto dalle feste di Kei, che sentendosi poco considerato in quell'equazione, decise di sollevarsi sulle zampe posteriori, ponendo le anteriori sul corpo del padrone alla ricerca di attenzioni. « Va bene, va bene, ciao anche a te. » disse rivolto al cane tutto scodinzolante, ridacchiando appena mentre gli carezzava il muso e il corpo. Per quanto pesante fosse il suo animo, l'idea che qualcuno lo stesse aspettando e fosse felice di vederlo riusciva comunque a scaldargli un po' il cuore, facendolo sentire come se in fondo ne fosse valsa la pena. « Ti ho messo da parte un po' di roba da mangiare. Non volevo che finissero le cose che ti piacciono. » « Grazie. » Le rivolse un sorriso riconoscente, raccogliendo un ramo da terra e lanciandolo lontano per Kei - che era chiaro avesse voglia di giocare - una volta sedutisi sulla panchina. « Possiamo anche portarcele a casa. Ho pensato che siccome non ci starebbe comunque nulla, tanto valeva approfittarne. » Scosse leggermente il capo. « Va bene così. Mettiamo qualcosa sotto i denti e poi ci avviamo. » Per quanto tranquillo fosse il suo tono, era evidente che fosse diverso dal normale. La stanchezza si mischiava a una nota amara che fletteva le sue parole in nuove sfumature. Che fosse più taciturno, poi, era lampante. In un altro momento, probabilmente avrebbe spinto molto di più la conversazione con la signora Fraser, ma in quel momento il suo umore gli consentiva solo di essere gentile. « Piacere di conoscerla. » « Oddio, il papà! Che piacere, che piacere giovanotto! Congratulazioni! Che bella coppia che siete! Giovanotto da dove viene lei? » « Vengo dal Giappone. Osaka nello specifico. » « Ooh dovrebbe essere bellissimo. Sa, io conosco molto bene i Chang, giovanotto. » Che sono cinesi. Ma va bene così. Stirò un sorriso gentile alla donna, senza farle una colpa di quell'associazione piuttosto naturale per qualcuno della sua età. « Se vuoi possiamo andare. Non so se vuoi restare qui a Hogsmeade oppure tornare a casa.. però ecco. Non dobbiamo restare a questa roba. E' stata una giornata lunghissima. Non prima di aver riaccompagnato però la signora Fraser. Ha menzionato il fatto che potrebbe essere un po' rincoglionita. Non voglio averla sulla coscienza. » Rivolse a Mia uno sguardo veloce con la coda dell'occhio, masticando piano il proprio cibo e annuendo in un cenno millimetrico. « Finiamo di mangiare, riaccompagniamo lei e poi torniamo a casa. Va bene? » Di dilungarsi troppo su quanto davvero non avesse voglia di stare in mezzo alla gente in quel momento non ne sentiva il bisogno, ed era piuttosto certo che Mia l'avesse comunque intuito. Voleva solo tornare a casa propria, stare un po' con lei e lasciare che la tensione della giornata scivolasse via pian piano. Per tutto il resto avrebbe trovato le forze e la volontà in seguito. Finì quindi di mangiare ciò che Mia gli aveva messo da parte, scambiando qualche chiacchiera di circostanza con la signora Fraser per poi dare uno sguardo all'ora come pretesto per dire « Si è fatto un po' tardi. Forse sarebbe il caso di andare a riposare. » Si rivolse dunque all'anziana signora, porgendole il braccio. « Non si stanchi troppo, andiamo piano piano. » « Che ragazzo gentile. Mi farebbe così tanto piacere se veniste a trovarmi qualche volta. » La donna sospirò, facendo presa sul braccio di Raiden per appoggiarvisi nel tragitto. « Certi giorni sono proprio noiosi quando non hai nessuno con cui bere un tè e scambiare due parole. Sa, mio nipote non può venirmi sempre a trovare. Però mi manda sempre le foto dei bambini. Il più grande ha due anni, e l'altra è appena nata. » Gli chiese un po' di loro, Raiden - dei loro nomi, di dove vivessero, cosa facessero e così via. Domande semplici a cui la donna rispondeva con lunghe storie che riuscirono a impegnare il tempo della camminata verso la sua piccola casetta. « Non so se domani mattina i negozi saranno aperti. » le disse una volta fermatisi di fronte al portone, quando la signora Fraser chiese loro informazioni riguardo la spesa giornaliera. « Ma possiamo portarle ciò che le serve, se mi lascia una lista. » Inutile dirlo: non se lo fece ripetere due volte. E fu una vera e propria lista della spesa quella che Raiden si ritrovò a trascrivere su un pezzo di carta che la donna aveva prontamente estratto dalla borsetta, dettando tutti i viveri di cui aveva bisogno. Detto ciò, tra i ringraziamenti e gli auguri del caso, si scambiarono la buonanotte e ciascuno prese la propria strada. Nella stradina deserta e silenziosa, passando tra edifici crollati, Raiden intrecciò le dita a quelle di Mia, inspirando a fondo l'aria fresca della notte. « Dovremmo davvero andare a trovarla qualche volta. Credo che si senta molto sola. » Per quanto gentile, non sapeva bene per quale ragione avesse preso a cuore quell'anziana donna. Una parte di lui, forse, vedeva come una propria responsabilità quella di assicurarsi che la sua vita continuasse nella maniera più normale e serena possibile. In fin dei conti, oggi gliel'abbiamo messa sottosopra. Quando non hai nessuno che si curi di te, come fai? « Comunque non dobbiamo tornare a casa per forza se non ti va. » disse a un certo punto, seguendo la scia dei propri pensieri. « Se hai voglia di stare un po' con gli altri non è un problema. » Si voltò quindi per rivolgerle uno sguardo gentile, azzardando un piccolo sorriso che dalle labbra non arrivava però allo sguardo. « Comunque grazie per avermi pensato prima. Quando mi hai tenuto da parte qualcosa da mangiare, intendo. »

     
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    Si sveglia di colpo, Asa. Una luce artificiale lo investe in pieno, costringendolo a coprirsi gli occhi con una mano. Sente la testa girare, vorticosamente, e gli viene da vomitare. Si mette a sedere, ancora stordito, mentre davanti a sè sagome tremolanti assumono pian piano le sembianze di cose. E persone. Batte le palpebre una, due e tre volte, strofinandosi gli occhi e deglutendo a fatica, tentando di metter a tacere quella fottuta nausea. Sono in infermeria, pensa, dapprima. E cazzo, è piena. E' il secondo pensiero -immediato- che gli balena in mente, mentre si guarda attorno, confuso. Le brandine sono tutte occupate. Ci sono feriti ovunque. Ustioni, ferite, bruciature. Le infermiere ed alcuni professori corrono di qua e di là, chi con delle bende in mano, chi con chissà quale pozioni. Sono visibilmente agitati. E' successo qualcosa, si dice, mentre muove le gambe sotto il lenzuolo bianco che lo copre a malapena. E' la seconda volta, quella, che finisce in infermeria nel giro di pochi mesi. Ma questa volta..Questa volta è più grave. Se lo sente. Lo sa. E allora tenta di ricordare. L'ufficio del preside. La psicologa. Sì. - E poi? Scuote la testa, si stropiccia gli occhi. Emile ed Otis. Il fuoco fatuo. Il campo in fiamme. ..-I lycan! « Cazzo » Impreca « No no no.. » Quei bastardi ce l'hanno fatta ad entrare. « Emile! » Individua un volto familiare tra tanti. Non sembra esser ferito gravemente, a parte.. « Che culo, te l'eri appena rimessa a posto » Beh, la faccia. « Cos'è successo? Dov'è Otis? - E il preside? » Domanda, alzandosi. Gli gira la testa, ma decide di non farci caso. « Sono entrati. Non è così? Quella pazza della Morgenstern ed i lycan. Sono qui? » « Signor King, si rimetta a sedere, deve ancora smaltire la.. - » « I lycan sono qui? » Domanda alla signora Peterson, una delle infermiera giunta immediatamente sul posto. « Signor King, le ho detto che.. - » Okay, sei inutile. Si gira nuovamente verso il compagno « Alza il culo Carrow, non hai un cazzo. Vieni con me, dobbiamo fare qualcosa! » Prima che ci chiudano dentro. E' già successo. Non di nuovo. Non di nuovo! Delle mani si stringono attorno alle sue spalle. « Asa King! Si rimetta a sedere immediatamente o sarò costretta a.. - » « Vaffanculo! » Si scrolla con forza, il Grifondoro, spingendo via l'anziana signora, che precipita per terra in un tonfo secco. « Che succede lì? » Sembra la voce del Signor Crouch, in lontananza. Rimane per qualche istante paralizzato, Asa, fissando la povera signora Peterson per terra. Non c'è tempo per il senso di colpa. « Fai quello che vuoi, ma decidi in fretta »

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    Aveva passato quasi un'ora a cercarla, ma di Hilde, lì al castello, sembrava non esserci l'ombra. L'aveva chiamata almeno una decina di volte al cellulare, ma il telefono non ne voleva proprio sapere di inoltrare le sue chiamate. Ciò nonostante, quella ricerca, sembrava esser servita a qualcosa. Oltre che ad innervosirlo ancor più di quanto non fosse già -s'intende- l'aveva aiutato a capire. Hogwarts era stata presa sotto attacco. C'erano macerie ovunque. Quadri squarciati, studenti confusi e spaesati. La tenuta attorno al castello, compreso il campo di Quidditch, era ormai una distesa di cenere. Con quest'ultima immagine davanti agli occhi, Asa si era recato al Parco della Liberazione, ore venti, sperando di ritrovarci Hilde, rincuorato dal fatto di non averla vista -qualche ora prima- in infermeria. Ed al Parco, era tutta un'altra storia. Un banchetto all'aperto era stato allestito. C'erano persone sdraiate per terra, a strimpellare con le proprie chitarre attorno a questo o quel fuocherello. In mezzo al parco, volti sconosciuti bevevano, ridevano e ballavano, come se nulla fosse. Il cuore gli batteva forte nel petto. Non era agitato, Asa, nè spaventato. No, era solo..Incazzato. Come diamine potete festeggiare, dopo tutto quello che avete fatto? Voi siete pazzi, cazzo. Siete completamente fuori di testa. Questo il pensiero che gli martellava in testa, e che avrebbe continuato a martellare, fino al discorso di lei: l'alfa. « Buona cena a tutti quanti. Gli studenti di Hogwarts sono pregati di trovarsi nei loro dormitori alle 23 in punto come al solito. » E sì, probabilmente Asa se ne sarebbe anche andato, così come era stato intimato a tutti coloro che non si trovassero d'accordo con le politiche di Inverness di fare. Probabilmente non ci sarebbe arrivato nemmeno, all'indomani, prima di prendere quella decisione. Avrebbe fatto tutto questo, e lo avrebbe fatto senza alcuna conseguenza, se non fosse stato per..Beh, quella scintilla. La sua solita scintilla. Quella miccia che tendeva talvolta ad infuocarsi, dentro di sè, e condurlo a fare la cosa più sbagliata, al momento sbagliato. E allora, con un ringhio a scuotergli il petto, Asa si incammina. Nella sua testa un unico obiettivo: Beatrice Morgenstern. Non si aspetta di riuscire a raggiungerla, ma poco gli importa. Non vede niente ed avanza come una furia, e quando è a pochi metri da lei, urla: « TU SEI PAZZA, FOTTUTAMENTE PAZZA! » Cerca di gettarsi contro di lei, intenzionato a prenderla a pugni fino a sanguinare, ma la sua traiettoria viene bloccata da due paia di braccia che lo placcano, repentinamente. Si dimena, il Grifondoro, con tutta la forza che ha in corpo. Sa che è inutile farlo. Sa che è con dei fottutissimi lycan che si sta mettendo contro. Ma, di nuovo: poco gli importa. « Come cazzo riuscite anche solo a starvene lì seduti dopo QUELLO CHE AVETE FATTO? Siete dei terroristi, cazzo, dei fottutissimi terroristi! Avete sterminato auror e distrutto il castello per cosa? COSA? Occupare una fottutissima S C U O L A?! » Il fuoco divampa nelle sue vene, mentre continua a dimenarsi « Cosa ci avete guadagnato? Bambini terrorizzati e chissà, probabilmente un nuovo lockdown come la prima volta che hai ucciso a sangue freddo il preside Kingsley? MA CHE CAZZO DI PROBLEMI HAI?! Che problemi avete tutti? I fuochi d'artificio cazzo. Dopo tutti quei feriti in infermeria, e chissà quanti morti! » Non aveva bisogno di conferme, per immaginare il numero dei caduti. « E' così che volete difenderci dalle Logge? Trucidando innocenti? » Prende fiato, ed infine mormora, a denti stretti: « Tu ed il tuo branco di bestie.. Non siete poi così diversi da loro. » I demoni. I fottutissimi demoni che tanto vi vantate di saper combattere. Non siete come loro. No, voi siete peggio. Sterminate la vostra stessa gente.
    Interagito all'inizio con Emi (in infermeria)
    Dopo con Tris e bho, un po' tutti perchè sta gridando come un pazzo ciau
     
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    «Sta succedendo qualcosa, di sotto, e qui fuori, e nel resto del Castello. Sono davvero qui» erano state le ultime parole che aveva pronunciato Otis prima che tutti gli eventi sconvolgenti che si sarebbero succeduti da quel momento iniziassero a dipanarsi di fronte ai suoi occhi. Che, per un Legilimens, un animo sensibile o quantomeno sensitivo è decisamente troppo tardi. Per cui registrò tutto quanto: il tono serafico di Bauldry, che sembrava sapere già tutto in qualche strano modo, i quadri banditi «per questioni di sicurezza», così da lasciarli isolati, la rabbia montante, l'indecisione profonda e radicale nel non essere pronto, nel non avere neanche uno straccio di piano, e quindi nel non sapere cosa cazzo fare. Per cui si limitò ad eseguire. A sedere, a tremare, a registrare mentalmente la nozione per cui il campo da Quidditch, fuori, fosse in fiamme. E probabilmente, adesso riusciva a sentirlo, qualcuno, di sotto, attorno a lui, ancora una volta in quel momento moriva. Fu immediatamente dopo aver preso il primo sorso di tè che spalancò gli occhi, e spostò la tazza del suo miglior amico, che comunque non sembrava interessato alla bevanda calda. «Non... Non bere...» E la rabbia lasciò presto il posto al panico, nel percepirsi rabbrividire, e poi sudare, indebolire, scemare, svenire. Ancora una volta, non aveva agito.

    L'odore dell'infermeria era acre, sapeva di disinfettante, gli dava la sensazione di non riuscire a respirare appieno, a riempirsi i polmoni a dovere. Il ragazzo se ne stava seduto, il capo chino alzato di tanto in tanto per lasciar vagare lo sguardo sulla stanza riempita di persone, gremita di ragazzini, la maggior parte più piccoli di lui, prevalentemente ustionati, più sfortunati di lui, che si era solo addormentato. Si era solo addormentato. Sospirò, per quella che doveva essere la trentesima volta da quando si era svegliato, un'ora prima. Il cielo era una presenza massiccia, incombente, carico di nubi grigie che andavano dissipandosi, e lasciavano che il sole al tramonto le tingesse di un arancione più opaco del solito. Sembra vadano a fuoco, pensò distrattamente. Chissà, forse era davvero così. Pensò a tante cose, in quell'ora sveglio, in cui non aveva parlato con nessuno a parte qualche infermiera indaffarata che era passata a controllare che stesse bevendo abbastanza, alla quale aveva rivolto un cenno del capo, una stretta di spalle, un sorriso tirato – gesti ai quali loro, sicuramente, avevano badato ben poco. Tutto il Castello si muoveva come un ingranaggio perfettamente oleato. Anche nel caos, nella distruzione, che per definizione è contraria alla creazione e all'ordine, ogni parte di Hogwarts sembrava trovarsi esattamente dov'era giusto fosse. E tutto accadeva, e tutti lasciavano che tutto accadesse, e lui guardava. Si domandò distrattamente, gravemente, quand'era che essere uno studente di Hogwarts – o uno studente di una qualsiasi scuola di magia, a quel punto – avesse cominciato ad equivalere ad essere un soldato. E com'era possibile che tanta violenza continuasse a capitare, e che tutti loro fossero semplicemente lasciati a farci i conti. Una tracolla impolverata dai detriti e dalle polveri che si erano depositate dappertutto, nel Castello, giaceva poggiata ai piedi del letto di Otis, nell'infermeria. Il ragazzo si piegò lateralmente per recuperare qualcosa al suo interno. Con l'ennesimo sospiro, inizio a fare l'unica cosa che aveva capito poterlo aiutare a trovare un senso a tutta quella costante distruzione, a quell'eterna necessità di restaurazioni, di nuove definizioni, di nuovi confini: scrisse.
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    «Otis? Posso parlarti in privato?» La voce di Tris Morgenstern suonava estremamente stabile, quieta, serena. Realizzò che lui, invece, non aveva ancora smesso di tremare. Immaginò che lei, a questo punto, ci fosse abituata. «Con me?» Rispose interrogativo, puntandosi la penna verso il petto, stupidamente. «Sì, certo, con chi altri... Uhm... Certo» Borbottò, riponendo carta e penna nella propria tracolla, e seguendola verso l'esterno dell'infermeria, in un angolino in cui potessero trovare un po' di privacy, per quanto potesse essere concesso dal viavai costante. Come tante formiche che corrono ai ripari. Come ingranaggi perfettamente oleati. Più che su cosa fosse accaduto, sul come, sul perché, Otis sembrava fermo al fatto stesso che fosse accaduto. Che ancora una volta avesse assistito ad una rivoluzione, una vera, fatta di attacchi, di difese, di colpi, di contraccolpi. Guardò con occhi assenti il viso di una delle menti alla base di tutto ciò che era accaduto nelle ultime ore, senza realmente capirlo. Perché voleva parlare con lui? «C'è il tuo nome su questo. Eri tu ad occuparti del giornalino scolastico?» «Sono io, sì» «Avrei bisogno del tuo aiuto. Stasera organizzeremo una cena al Parco della Liberazione per informare gli abitanti del castello e di Hogwarts di come procederanno le cose d'ora in avanti. Riusciresti a mettere insieme un annuncio e farlo circolare?» Organizzeremo. Noi, cioè i Ribelli. Otis doveva fare da portavoce per i Ribelli. Beatrice Morgenstern in persona si era fisicamente recata da lui, aveva trovato il suo letto, e gli aveva chiesto una mano. L'espressione del ragazzo tradì un moto di incredula perplessità. Tris lo anticipò. « Ci saranno sicuramente dei ragazzi di cui ti fidi. Per esempio quelle ragazze.. le ragazze che sono venute a cercarti.» «A cercarmi? Chi è venuto a cercarmi?» La mia famiglia. I miei amici. Irrazionalmente, iniziò a guardarsi attorno, ricercandoli con lo sguardo, cominciando a tirarsi fuori solo in quel momento da quella strana bolla ovattata che sapeva avere il nome di shock. « Una di loro è una Rigby. I suoi genitori sono con noi. L'altra non so chi sia. Moretta, abbastanza bassina. Ha messo fuori una auror con un violino. Ha una grande tempra, devo ammetterlo.» «Hanno combattuto? Gli studenti hanno combattuto? Ronnie e Nessie?» Sottolineava l'ovvio, informazioni già date, che pertanto Tris ignorò. «Riuscirete a far arrivare la notizia a più persone possibili?» La fronte ancora corrucciata, Otis continuava a guardarsi attorno, improvvisamente irrequieto. Cosa provava verso i Ribelli? Come li vedeva? Cosa pensava di Beatrice? Lì vicino, un altro studente stava venendo accompagnato in infermeria, da poco recuperato dalla tenuta infuocata. Poi si fermò, fissò la punta delle sue scarpe per qualche secondo. «Certo, certo.» Annuì. «Farò del mio meglio per spargere la voce.» Se tutto questo è successo, giusto o sbagliato che sia stato, il minimo che è giusto fare a questo punto è far sì che non sia accaduto in vano. «Potrei avere bisogno altre volte di qualcuno che sparge le notizie nel castello e a Hogsmeade. Per quanto il Gruppo Peverell è dalla nostra, avrà tante cose per le mani nel prossimo periodo. Fammi sapere se sei interessato ad aiutarmi.» Strabuzzò impercettibilmente gli occhi, ma non parlò, consapevole che non fosse quello il momento in cui Tris aspettava una risposta da parte sua, e ancor di più che fosse incapace di darne una. Accettò il biglietto, e mentre la ragazza si allontanava rimase immobile, in un angolo, a scorrere con gli occhi le stesse sette parole.

    «Sei sveglio da molto?» Seduto a gambe incrociate sul letto, Otis aveva ripreso a scribacchiare, stavolta buttando giù una bozza dell'annuncio che gli era stato chiesto di far girare. Si era immediatamente voltato nella direzione da cui proveniva la voce, allertato. «Come ti senti? Ti fa male?» Rispose, ignorando la domanda di Emi. Il compagno, disteso accanto a lui, sembrava ancora un po' disorientato. «L'infermiera ha detto che hai preso una brutta botta in testa, ti ricordi qualcosa?» Era normale dover intrattenere conversazioni di quel tipo con tale frequenza? Era normale vivere in un mondo in cui, semplicemente, abituarsi alla violenza e al pericolo? «Bevi un po'...» suggerì, alzandosi dal proprio letto e porgendogli il proprio bicchiere d'acqua, bevuto solo per metà. «Volevo aspettare che ti riprendessi per parlare, ma vorrei andare a cercare Ronnie, e Nessie, e mia madre, e Cassie e Stan... Pare che siano venute a cercarci, che volessero intervenire» cominciò Otis, che proseguì a mettere al corrente Emi di tutto quanto fosse successo e avesse pensato nelle ultime ore, inondandolo di informazioni. «Devo far girare questo annuncio, adesso, per stasera. I Ribelli vogliono tenere una specie di assemblea cittadina. Mi aiuteresti a distribuirlo? Non penso sia possibile stamparlo, l'aula chissà in che condizioni sarà... Forse dovremmo scrivere a mano qualche volantino e diffonderlo in giro... Prima però vorrei trovare gli altri, sapere se stanno bene...» Completamente sopraffatto, Otis aveva evitato lo sguardo del suo miglior amico da quando aveva incominciato a parlare. Solo alla fine di quel turbinio di pensieri si era concesso di incontrarne gli occhi, stanchi e annebbiati come i suoi. «Te la senti di venire con me?»
    «Alza il culo, Carrow, non hai un cazzo. Vieni con me, dobbiamo fare qualcosa!» Otis si voltò verso Asa King, intento – ancora implacabilmente e instancabilmente – a urlare, fare domande, venire placcato. Corse immediatamente verso l'infermiera che aveva spinto a terra, incredulo e con il battito a mille, livido di rabbia. «Con che coraggio?» Mormorò tra sé e sé, mentre cingeva la vita della signora Peterson, l'anziana infermiera del Castello, per aiutarla a rimettersi in piedi. «Tu ti devi far aiutare. E Emi non viene proprio da nessuna parte» gli disse in cagnesco, visibilmente tremante. «Cos'è che pensi di fare, così, per capire?» Sbuffò, schioccando la lingua. «Andiamo, Ems, dai.»


    Interagito con Tris, Emi e Asa
    Arrivo all'assemblea appena smaltisco tutto sto pezzone in infermeria, se non è il caso che posti in questa sezione questa cosa ditemelo pure che sposto tutto altrove!


    Edited by the educator - 7/4/2022, 17:37
     
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    Per quanto vocale fosse stata nel chiedere di entrare nell'ufficio, la squadra non la fece passare. Non era sicuro, non sapevano a cosa sarebbero andati incontro e lei - così come gli altri - sarebbero stati solo d'intralcio nella migliore delle ipotesi. Si era sentita nervosa, spaventata, inutile e soprattutto arrabbiata. Sentimenti, questi, che non avevano fatto altro che ingigantirsi nel momento in cui i lycan portarono giù Emi ed Otis privi di sensi. « Che è successo? Cosa gli hanno fatto? » « Non lo sappiamo. Ma stanno bene. Li porteremo in infermeria per affidarli a cure competenti. » Il tono di Raiden era pacato, ma non per questo il ragazzo riuscì ad infonderle alcuna tranquillità. Come poteva stare tranquilla? « Li accompagno io. » aveva detto con un tono piccato, scortando i feriti verso l'infermeria con l'aiuto di chi si era reso disponibile. E lì era rimasta pressoché tutto il giorno, specialmente quando aveva trovato suo fratello Jessie colpito da uno schiantesimo. Non aveva mai visto così tanta gente lì dentro. I feriti più gravi erano stati trattenuti all'interno della stanza principale, mentre per quelli che presentavano sintomi più lievi erano state predisposte delle barelle di fortuna lungo tutto il corridoio del primo piano. « Signorina, ha bisogno di qualcosa? » le aveva chiesto inizialmente l'infermiera, dopo averla vista lì impalata, pallida in volto e con lo sguardo vacuo fisso nel vuoto. « Io.. » ci pensò a lungo, più del dovuto, più del normale. Scosse poi il capo, inghiottendo il groppo in gola e tentando di riprendere un po' il controllo di sé. « ..vorrei dare una mano. Posso aiutare coi preparati. Sono brava. » « Una mano in più non farebbe male. Joshua, dai alla ragazza un calderone. » Così Veronica si era rimboccata le maniche e aveva fatto del proprio meglio per aiutare i guaritori a prendersi cura dei feriti che continuavano ad arrivare minuto dopo minuto. Impegnarsi in qualcosa la fece sentire utile, ma soprattutto le tolse il tempo di pensare a tutto il resto - in primis a come si sentisse. Fu verso le prime ore del pomeriggio che Arlo Rigby entrò di gran carriera nella stanza, guardandosi intorno fino ad individuare per primo il volto della figlia. « VERONICA! Per tutti i folletti della Cornovaglia, io e tua madre vi abbiamo cercati da ogni parte. Stavamo morendo d'ansia. » La mano che teneva il mortaio si fermò di colpo dal pestare le erbe nella ciotola. « Stavate morendo d'ansia? » chiese in un tono fin troppo pacato per lasciar presagire qualcosa di buono. Gli occhi color nocciola salirono a piantarsi in quelli del padre. « Quando? Prima o dopo aver deciso di lasciarci all'oscuro in mezzo a questo chaos? » Nessun avviso, nessuna protezione, nessuna fiducia. Ed era esattamente così che Veronica si sentiva: come se tutte le persone per lei più importanti avessero deciso in concerto di tradire la sua fiducia. Come se aveste deciso al posto mio, cosa potessi sostenere e cosa no. « Vostro fratello maggiore.. lui aveva il compito di tenervi al sicuro. Dov'è? » « Non lo so, papà. Dov'era? Dove eravate tu e mamma? E i nonni? Dove erano tutti quanti? Perché io non li ho visti. Non ho visto nessuno, quando ne avevo bisogno. Ma forse è un bene.. sapere su chi posso contare. » Detto ciò, riprese a pestare le erbe come se nulla fosse. « Forse dovresti andare a trovare l'altro figlio che hai deluso. È stato schiantato. Si trova tra i lettini lì in fondo. » « Veronica, capisco il tuo disappunto ma non sai di cosa parli. Per piacere, prendi le tue cose e vai da tua madre. Ci è stata assegnata una casa accanto ai Tre Manici. Il numero civico è il tre. » Per un istante non disse nulla, riversando con cura le erbe nel calderone e mescolando il tutto. « Non aspettatemi, perché non arriverò. Ce l'ho già una casa. Ora, se non ti dispiace, levati di mezzo. C'è gente che del mio tempo ha bisogno sul serio. » Riversato l'intruglio in un ampolla, oltrepassò il padre con una spallata, dirigendosi a lunghe falcate verso il lettino di un ragazzo piuttosto malridotto che era stato calpestato dalla fiumana corsa fuori dalla Sala Grande. Era stata dura? Forse. Ma come poteva non esserlo quando sapeva per certo che a parti inverse non avrebbe mai agito alla stessa maniera? Veronica era il tipo di persona che dava tutto a chi gli stava a cuore, senza trattenere nulla. Era comprensiva, era bonaria, era incline a dare sempre seconde o terze possibilità, ma aveva comunque dei paletti. Tra questi, il principale e più basilare era il rispetto - cosa che in quella circostanza non aveva ricevuto. Poteva comprendere le ragioni per cui i suoi cari avessero deciso di tenerla all'oscuro - volevano proteggerla, questo lo sapeva, ma ciò non significa che le stesse bene o che condividesse quel ragionamento. In primis perché non credeva che nessuno avesse il diritto di scegliere da cosa dovesse essere protetta. Banalmente, le avevano tolto la possibilità di scegliere e di farlo per tempo, in maniera lucida e consapevole. Quelle scelte, poi, se le era comunque ritrovate in seguito, ma nel momento peggiore, a danni già fatti, con addosso il panico e la paura di chi era stato privato di ogni controllo sulla situazione e soprattutto su se stesso. Questa non era una cosa che poteva far passare con tanta leggerezza. « Tesoro, qui la situazione adesso è sotto controllo. Vai pure a mangiare qualcosa e riposarti. » le disse a un certo punto l'infermiera, verso l'ora del tramonto, quando molti dei feriti più lievi erano già stati dimessi. « Non c'è problema, non sono stanca. Posso rimanere qui ad aiutare. » Che non fosse stanca era una bugia, ma tenersi impegnata era ciò che la faceva rimanere a galla, impedendole di rimuginare troppo su quanto successo e processare l'orrore a cui aveva assistito. « Davvero, non c'è bisogno. Ma se vuoi puoi tornare domani mattina, di certo non farebbe male. » Sorrise, la signora, lasciandole una carezza quasi materna sui capelli. « Ti sei presa cura degli altri tutto il giorno, adesso prenditi cura di te stessa. » Annuì piano, capendo che in ogni caso non le avrebbero lasciato fare molto. Così, raccolte le proprie cose, uscì dall'infermeria con la promessa di tornare in mattinata. Nel tragitto verso il Parco stilò una breve lista mentale: mettere qualcosa sotto i denti, tornare a casa, farsi una doccia calda, prepararsi una tisana e poi andare dritta a letto. Non aveva nemmeno voglia di parlare con nessuno: solo di rispettare il proprio programma e di rimandare il più possibile ogni stress. Ne aveva avuto abbastanza per una giornata. « Sei proprio una stupida cogliona cazzo! Io ti giuro che ti avrei menato! Come ti è venuto in mente! » L'aveva incontrata a metà strada. Rimase un po' rigida quando Mia le gettò le braccia al collo, stringendola in un abbraccio. « Stai bene? Ti sei fatta qualcosa? » « Sto bene. » disse soltanto, un po' più fredda rispetto al solito. « Ero sul punto di venire là. » Stirò un mezzo sorriso di circostanza. « Come stanno gli altri? Ness? E i ragazzi? Hai mangiato qualcosa? » « Stanno tutti bene. » Accettò la barretta, rigirandosela tra le dita prima di infilarla nella tracolla. « Ci riaggiorniamo in seguito. Ok? » Non se la sentiva di riservarle lo stesso trattamento di Arlo. La situazione non era la stessa, ma non poteva comunque farsi andare del tutto giù il fatto che la migliore amica non le avesse detto nulla. Non lo so. Immagino mi fossi fatta un'idea diversa del nostro rapporto. Ma in fin dei conti io non sono nessuno. Non sono una lycan, né una sin eater, né qualcuno che abbia chissà quale competenza importante da offrire. Direi che me lo avete fatto capire bene, di starmene al mio posto - qualunque esso sia.
    Vedere i fuochi d'artificio in lontananza la lasciò piuttosto perplessa, ma non tanto quanto l'avvicinarsi e vederne i fautori. Facce sconosciute, goblin, schiamazzi. « Scusa, ma chi sono questi? » chiese a una tipa di passaggio, indicandole il tendone. « Warlock. Non so cosa ci facciano qui. » Warlock. La notizia la impietrì, portandola a fare un passo indietro per distanziarsi. Sapeva poco degli Warlock, ma di certo non avevano una buona fama: maghi oscuri che cospiravano con le Logge - questo era ciò che si diceva in giro, e questo era il motivo per cui il mondo magico non li aveva mai riconosciuti. Erano dei reietti e, ai suoi occhi, per buona ragione. « È una follia! » sussurrò, più tra sé e sé che altro, con gli occhi sgranati e puntati sulla scena che improvvisamente assunse al suo sguardo dei tratti ancor più grotteschi. Si allontanò velocemente, sempre più convinta a rendere la propria permanenza quanto più passeggera. Prese quindi i primi viveri che le capitarono sotto mano, mettendosi a sedere sotto un pino diametralmente opposto rispetto al punto in cui si trovavano gli warlock. Seduta sola là sotto, consumò il proprio pasto in silenzio, sollevando lo sguardo solo per dare attenzione alle istruzioni di Beatrice Morgenstern. Attenzione che si esaurì nel preciso istante in cui Asa King aprì bocca. Vabbè, Karen vuole parlare con il manager - ordinaria amministrazione. Conoscendo King, non rimase sorpresa se non dalla sua voglia di fare l'Asa pure in quel momento. Così, senza nemmeno curarsi di vedere come la cosa sarebbe andata a finire, Veronica si ripulì le mani dalle briciole di pane e raccolse le sue cose, imboccando la familiare strada che l'avrebbe riportata a casa. La palazzina non era distante dal Parco, dieci minuti a piedi a prendersela comoda. Uscì dal parco, imboccò la via principale, tirò dritta tra i pochi passanti per lo più di pattuglia, e poi svoltò a destra sulla secondaria. Un tragitto meccanico che ormai conosceva a memoria, ma che non la portò alla destinazione desiderata. Si guardò intorno spaesata, cercando prima con lo sguardo l'insegna dell'erboristeria dirimpetto rispetto a casa sua e voltandosi poi dall'altro lato per posare lo sguardo su quello che era solo un cumulo di macerie informi. Sulle prime quasi non realizzò che quella fosse proprio casa sua.
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    Non ci credeva, non poteva essere reale. Ma più i suoi passi si avvicinavano lenti e meccanici alla meta, più quella nozione cominciò a ingrandirsi nel suo cervello fino a scoppiare in una solida realtà: casa sua era letteralmente polverizzata. Sentì gli occhi pizzicarle mentre scuoteva il capo tra sé e sé, in silenzio, come a voler negare a se stessa quella realtà. « No.. » sussurrò con voce spezzata, lasciando cadere pesantemente la tracolla per avvicinarsi al cumulo di macerie tra cui tentò invano di rovistare, riuscendo solo a scostare le pietre più piccole. C'era un sacco di roba sporca e logora lì in mezzo - per lo più apparteneva ad altre abitazioni, ma riuscì ad individuare un paio di indumenti propri e di Nessie. Estrasse una maglietta mezza strappata tra i singhiozzi, come se quell'unico pezzo di stoffa potesse in qualche modo rimpiazzare tutto ciò che aveva perso in quella giornata. Cosa doveva fare? Probabilmente tornare indietro. Di certo non poteva rimanere lì tutta la notte. Dai suoi genitori non voleva tornare. Ai suoi amici cosa poteva mai chiedere? Emi ed Otis avevano la stanza al castello, Nessie era nella sua stessa situazione. Forse doveva andare allo studentato. Lì sicuramente le avrebbero dato una stanza. Una parte della sua testa formulava questi piani, mentre l'altra, contemporaneamente, iniziava a realizzare quanto fosse frustrata, arrabbiata e stanca. Coscientemente sapeva che non avesse alcun senso starsene lì a piangere sul latte versato: prima o poi l'edificio sarebbe stato rimesso in piedi, ma in ogni caso non era molto utile rimanere lì. Eppure non riusciva a trovare le forze di muoversi. Strinse la stoffa tra le dita tremanti, alzando gli occhi rossi e gonfi al cielo stellato. « COS'ALTRO? EH? MANDAMI UN FULIMINE DRITTO IN FRONTE TANTO CHE CI SEI, NO? TI SONO SEMPRE STATA SUL CAZZO COMUNQUE. » Cacciò un urlo di pura catarsi, stringendo le dita intorno a un sasso di dimensioni più ridotte e scagliandolo in strada con la forza di tutta la rabbia accumulata. Tirò su col naso, prendendo un respiro profondo per sopprimere i singhiozzi mentre per l'ennesima volta in quella giornata si rimboccava le maniche del maglione, cercando con una certa lucida disperazione di recuperare qualcosa tra quei detriti sterili.

    Interagito con Mia e in generale si è isolata perché la sua vita è la legge di Murphy
    Citati Emi, Otis, Jessie, Beatrice, Asa

     
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    Il Lockdown per lei è stato un periodo vissuto in lontananza, in un corpo che non sentiva più il suo, con una malattia che ha richiesto la sua totale attenzione, costringendola a distogliere lo sguardo da tutto il resto, che inesorabilmente è diventato per lei rumore di fondo, dal quale non poteva separarsi ma al quale non ha potuto badare. Non ha dei ricordi ben definiti, solo dei lampi, dei flash stanchi, tanto simili, per cruenza, a ciò in cui si è ritrovata intrappolata quella stessa mattina. Un corteo con la forza di un fiume, che ha spazzato via un'intera strada del campus tanto sono stati serrati i combattimenti conseguenti. E nella bolgia, è riuscita a nascondersi, mettendosi in salvo insieme ad altri, con il cellulare tra le mani che non prendeva e la paura che le montava nelle vene pensando ai fratelli e Lily. « Avete visto Peter e Cedric Paciock? » La domanda concitata che comincia a rivolgere a chiunque, non appena riesce a scavalcare il disastro ai cancelli. I pochi che le danno udienza scrollano la testa. « E Lilac Scamander? » « Lei è in infermeria, insieme agli altri. » Il cuore riprende a galoppare, certa che non sia tutta colpa della corsa forsennata alla quale si sottopone, ignorando la qualunque per risalire le scale del castello a due a due. Riprende a battere normalmente soltanto quando li ritrova tutti e tre, chi più acciaccato, chi più agitato, chi più tranquillo. E l'intera giornata le scivola tra le dita in un modo quasi irrealistico, onirico, con lei e Cedric, una volta lasciata l'infermeria, che prendono a dare una mano nel ripulire parte della Tenuta, così, come se fosse una cosa normale, come se spazzare via cumuli di cenere dove prima si ergeva il Campo da Quidditch sia un qualcosa che possa capitare ogni giorno, esattamente come il risistemare parte di una fiancata del castello stesso, franata chissà sotto quale incantesimo. Lancia numerose occhiate al fratello, domandandosi quando crollerà. « Karma, sto bene. Appena ho capito che le cose stavano degenerando malamente, ho fatto in tempo a mettermi al sicuro nell'aula di Pozioni. » Cedric scrolla la testa, come se bastasse ciò a rassicurarla. « Poi sono stato costretto ad assistere al comizio elettorale della Zabini, "contro gli animali", ma questo è un'altra storia. » Abbassa la voce per non farsi sentire dai ragazzi che sono con loro. Karma stringe le labbra in un'espressione scocciata. La mela non cade lontana dall'albero. « Io comunque non ho detto niente. » Si giustifica la mora, con la bacchetta alzata verso l'alto, mentre pezzi di mattoni si ricompattano all'edificio. Il fratello annuisce, convenientemente. « Ero giusto un po' sovrappensiero. Arthur non mi risponde da questa mattina. » Non aggiunge la domanda che le alberga il cuore in quell'esatto momento. Starà bene? Perché se in un primo momento ha pensato che lui fosse il più al sicuro di tutti, essendo al lavoro come ogni giorno, le notizie che hanno preso a circolare da qualche ora riguardo il trambusto al Ministero l'hanno incupita. « Figurati, K, ma lo conosci sì o no Arthur Weasley Jr.? Lui sa e può tutto. » L'ammirazione che il fratello prova per il suo futuro marito la intenerisce, sulle prime, ma poi qualcosa cambia. Qualcosa prende a far girare gli ingranaggi della sua mente, bloccandone completamente i movimenti. Lui sa tutto. E lui ha sempre saputo tutto. Mi lancia delle molliche di pane da mesi, mi ha mezzo messo in allarme su oggi. Quel grandissimo figlio di.. Una manata sulla spalla la risveglia dalla catalessi cognitiva nella quale era caduta. « Toh, guarda un po' lì. » Callie, terzo anno del corso auror, le indica la sua destra con fare eloquente. « Arthurrrr! » Cedric gli corre incontro mentre Karma sorride, a metà tra il felice e il sarcastico. Lei li aspetta lì prima di salutarlo con un abbraccio. Socchiude gli occhi nel respirarne il profumo, così tangibile ora come non lo era qualche ora prima, quando tentava disperatamente di ricordarselo per aggrapparvisi con tutta se stessa. « Che epica entrata! Così adatta ad un tale eroe di guerra. » La prima di una lunga sfilza di frecciatine.

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    « [..] Per adesso, per questioni di sicurezza, se andate via, non potrete tornare. » Un sorrisetto sardonico compare sulle labbra della mora. Arriccia le labbra, con quello superiore che sfiora il naso per il fastidio che prova al momento nei confronti dell'uomo che ha accanto. Lo stesso le cui ferite si è presa cura nel pomeriggio, tra un'occhiataccia, una battutaccia e vari divieti di parlare resigli noti dal palmo alzato di fronte al suo viso. Le stesso che avrebbe voluto strangolare una volta collegati i vari puntini. « E di questo era a conoscenza il grande eroe di guerra che fa e disfa, accettando di mettere la propria vita a rischio, così per sport, senza dirmi assolutamente niente? Con la possibilità più che plausibile di rimanerci secco ma figurati se lo diciamo a quella stronza che non è nulla di più che la mia coinquilina, a ben vedere. » La voce si trasforma in un sibilo affinché soltanto Arthur possa sentire. Gli occhi sono fissi sulla figura di Beatrice Morgenstern. « E sentiamo cosa aveva pensato la tua mente geniale dei giorni a seguire? » Il viso si inclina appena verso di lui, l'espressione placida che ormai ha assunto con quel suo atteggiamento passivo aggressivo. « Perché immagino tu rimarrai qui, sbaglio? » Lo fissa giusto qualche secondo. « Certo che rimarrai qui. E tutta la nostra roba è a Londra, così come Cassius. E come minimo ci avranno messo qualcuno appostato davanti casa. E noi non possiamo uscire di qui, considerando che la tua copertura è andata a farsi benedire e dovrei chiedere ai miei di trovare un modo per andare a salvare quel povero stronzo. Senza mettersi nei casini. Ma cos'è che potrebbe andare meglio di così? Ma non lo so mica. » Socchiude gli occhi e respira a fondo, cercando di calmarsi per quanto le è possibile. Poi li riapre di scatto, cominciando a sbocconcellare un panino di cui non le importa nemmeno il sapore tanto è satura della stanchezza, della paura, della rabbia che quella giornata le ha donato. « Non credo di essere mai arrivata ad un livello simile di incazzatura in vita mia. Mai. Neanche con due fratelli scemi come i miei. » Continua ricercando lo sguardo di Cedric, poco distante, seduto nel prato insieme ad alcuni suoi amici. Lo controlla, con la paura che possa scomparire da un momento all'altro sotto i suoi occhi. « Ora credi che possa darmi disponibile ad aiutare o anche questo vuoi deciderlo tu, dato che sembri essere tanto in vena? » Torna a guardarlo, con un cipiglio sarcastico. « Torno subito, dai un'occhiata a Cedric. » Si alza allora dall'erba, ripulendosi i jeans con le mani. « Dopo dobbiamo parlare con lui. Mamma e papà vorrebbero che tornasse a casa. » Dice poi sovrappensiero prima di riscuotersi. « Ma sarà lui a decidere cosa fare. » Anche basta delle decisioni prese da altri. Autodeterminazione, cazzo. E così dicendo sfila via, giusto il tempo di cercare il professor Yagami tra i volti intorno a sé. Quando non lo trova, decide allora di rivolgersi direttamente a Beatrice per quanto percepisca una vena di soggezione nel farlo, non avendo avuto chissà quante tangenze in passato al di fuori della condivisione della stessa casata. « Ciao, perdona il disturbo, giuro che sarò veloce. » Abbozza un sorriso. « Sono Karma Paciock. Senior..probabilmente ex, non lo so. Comunque sia, voglio aiutare in qualche modo in questo periodo di transizione e se posso tornarti ut-» E non fa in tempo ad aggiungere altro perché Asa King - che ha visto nel primo pomeriggio in infermeria - parte alla carica, cominciando a sparare una raffica di parole. Lo guarda interdetta, non conoscendo assolutamente le dinamiche che intercorrono tra lui, Beatrice e i lycan in generale. Fa un passo indietro, sentendosi improvvisamente di troppo, lanciando un'occhiata al ragazzo che trattiene King dal lanciarsi sulla ragazza. « King, e dai, non di nuovo. » Lo apostrofa con un tono di voce placido mentre tenta - probabilmente invano, lo sa perfettamente - di placarlo. « Eri in infermeria fino a due secondi fa, ti partirà un embolo se continui ad urlare così. Calmati! »

    Interagito con Arthur, Tris e Asa.
    Menzionato Raiden.

     
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    Il risveglio era stato tanto piacevole quanto la botta in testa che si era preso prima di perdere i sensi. Avvolto tra le lenzuola asettiche dell'infermeria, il riposo di Émile era stato tutt'altro che sereno: momenti di veglia, accompagnati da quelli che gli parevano bisbiglii lontani, si erano alternati a sogni vividi, mischiati a ricordi. Ogni scena gli balenava nella mente come un fulmine, ed Émile faceva fatica a seguirle tutte. C'era il preside Bauldry, la psicologa, una donna sconosciuta... E poi quell'anello, quelle parole, quella frase... Si era trattato di un sogno? Stava ancora sognando? Il tutto era condito da un'emicrania non da poco, che, come un infausto Caronte, traghettò il giovane Tassorosso dal regno di Morfeo alla veglia.
    « Sei sveglio da molto? » Fu l'unica cosa che riuscì a biascicare confusamente, una volta aperti gli occhi, al suo - nella buona e nella cattiva sorte - vicino di letto. Otis doveva già essersi ripreso, e anzi pareva preso da ben altro. I compiti? Sul serio, Otis? Emi tentò di allungare l'occhio sugli appunti dell'amico, ma era troppo lontano e lui non aveva le forze di chiedere a cosa lavorasse.
    « Come ti senti? Ti fa male? » Si strinse nelle spalle, accennando un no con la testa. Sapeva di aver passato di peggio, e in ogni caso non voleva fare scenate. « L'infermiera ha detto che hai preso una brutta botta in testa, ti ricordi qualcosa? » Si mise meglio a sedere, accettando il bicchiere che l'amico gli porgeva, e prendendone qualche sorso. « Non moltissimo. Il male della botta però me lo ricordo, devono avermi schiantato... » Era un'opzione plausibile. Ricordava anche vagamente le ultime parole che Bauldry gli aveva rivolto, e quell'anello... Che diavolo era quell'anello? E dove era andato a finire? Fece per condividere i suoi dubbi con l'amico, ma all'ultimo si ricordò che, suo malgrado, non avrebbe potuto.
    « Volevo aspettare che ti riprendessi per parlare, ma vorrei andare a cercare Ronnie, e Nessie, e mia madre, e Cassie e Stan... Pare che siano venute a cercarci, che volessero intervenire » « Come stanno? » fu la sua domanda di riflesso, quando improvvisamente fu ricordato dei suoi amici. « Ma che diavolo è successo, O'?! Era vero quello che dicevate? Ci sono i Ribelli? Hanno preso il castello veramente?! » Bastarono però le parole successive dell'amico a confermare ogni suo dubbio.
    « Mi aiuteresti a distribuirlo? Non penso sia possibile stamparlo, l'aula chissà in che condizioni sarà... Forse dovremmo scrivere a mano qualche volantino e diffonderlo in giro... Prima però vorrei trovare gli altri, sapere se stanno bene... »
    Ancora visibilmente confuso, il giovane Carrow non fu in grado di parlare per qualche secondo. Continuò a massaggiarsi la testa, mentre l'amico gli vomitava addosso tutte quelle informazioni, e si lasciò porgere uno dei volantini a cui stava lavorando, per esaminarlo da vicino. Un'assemblea cittadina. Fatta dai Ribelli. Che hanno invaso il castello, oggi. E preso Hogsmeade. Dovette ripetersi quelle parole, fra sé e sé, per sentirle diventare sempre più reali. Era davvero successo questo? Hogwarts quella mattina era stata sotto assedio, mentre lui, Otis e Asa King facevano la pace tendendosi il mignolino nell'ufficio del Preside? « Che è successo al Campo da Quidditch? Ho visto che c'era un incendio. » Iniziava a ricostruire l'accaduto, e per qualche ragione le fiamme alte che provenivano dalla tenuta furono la prima immagine a tornargli in mente, nel suo sforzo di ricordare. « Otis, ma perché stai facendo un volantino per i ribelli? » osservò all'improvviso, di punto in bianco. Aveva l'aria scioccata, come se quel foglio gli fosse appena caduto sulle ginocchia, quando in realtà lo stava già fissando da svariati minuti. Puntò gli occhi sulla figura dell'amico, ora più vigile. « Questa che fai è tipo una specie di... propaganda. » Nel pronunciare quella parola, le labbra vennero piegate da una smorfia d'orrore. Era davvero questo ciò che stava avvenendo? Gli pareva impossibile che uno come Otis non fosse in grado di accorgersi del significato di una cosa del genere. « Mi sembra un po' di cattivo gusto » commentò infine, scuotendo la testa, quasi a voler scacciare via quel pensiero. Gli restituì il volantino, e non ebbe modo di aggiungere altro alla conversazione, perché i toni soavi di un Asa King appena sveglio furono in grado di catturare l'attenzione dell'intera infermeria.
    « Sono entrati. Non è così? Quella pazza della Morgenstern ed i lycan. Sono qui? » Dal proprio letto, Émile annuì in silenzio. La reazione di Asa riuscì a rincuorarlo, in qualche modo. Emi non seppe spiegarsi il perché, eppure c'era qualcosa di rassicurante nel trovare - nonostante i toni ed i modi - qualcun altro spaventato almeno quanto lui. L'energia e la verve del Grifondoro gli fecero comprendere che - per una volta - la calma imperturbabile di Otis era esattamente l'opposto di ciò di cui aveva bisogno. « Alza il culo Carrow, non hai un cazzo. Vieni con me, dobbiamo fare qualcosa! »
    « Scusa ma che cosa vorresti far-EHI! » Scattò all'impiedi, non tanto per seguire il compagno, quanto più per andare incontro all'infermiera, che era stata spinta per terra senza pietà. Sempre il solito maleducato, King, pensò tra sé e sé. Ma non poté fare a meno di seguirlo con lo sguardo. « Fai quello che vuoi, ma decidi in fretta » « Andiamo, Ems, dai. » Ed eccolo, Emi, che spostava lo sguardo da una parte all'altra, come un figlio che deve scegliere tra mamma e papà, un peccatore che ha da decidere tra la retta via e quella verso il male. In quel momento aveva poche certezze, ma una di queste era che non aveva la minima voglia di mettersi a fare volantini per i ribelli. Era da stupidi lasciare il proprio migliore amico da solo in infermeria, e andarsene con il tipo che l'aveva pestato a sangue solo pochi mesi prima? Senza dubbio. E indovinate un po' quale fu la sua scelta finale? « Aspettami, Asa! Ti seguo. » Il coraggio di sollevare lo sguardo per salutare Otis, però, non lo trovò.

    Nella sua passeggiata fuori dall'infermeria, Émile scoprì un'Hogwarts devastata. I corridoi erano sepolti dalle macerie, alcune parti erano inagibili e scoprì da voci di corridoio che qualcuno aveva appiccato un Ardemonio al Campo, dove ora la vegetazione era carbonizzata. Mentre raggiungeva Hogsmeade, si ritrovò a sorpassare qualche piccola pozzanghera di sangue, (trattenne conati di vomito), incrociò feriti che venivano trasportati su barelle, forse in direzione del San Mungo. Scoprì che, mentre lui e i suoi compagni combattevano uno spiritello nella torre di Bauldry, Hogwarts aveva combattuto. Si era difesa, per ciò che era stato possibile. E tutto, alla fine, era stato inutile, perché ora, in mezzo ad una piazza gremita di gente - alcuni cantavano e ballavano - una tronfia Beatrice Morgernstern decantava vittoria dettando nuove leggi come una dittatrice qualunque. Questa fu la sensazione di Emi, e la profonda repulsione che il ragazzo provava per ciò che stava accadendo fu acuita nel vedere la giovialità, l'aria di festa, ma soprattutto quei fottutissimi volantini per le mani di persone che, a conti fatti, dovevano aver causato tutto quel dolore e quella devastazione.
    Otis lo rivide tra la folla, ma non gli si avvicinò. Non avrebbe saputo cosa dirgli. In quel frangente, c'era solo una sola, semplice ma fatidica, domanda che avrebbe voluto fargli: e la risposta gli parve così ovvia da voler rimandare quel momento. Distolse presto lo sguardo, non appena gli occhi chiari del giovane Branwell trovarono i suoi.
    Nel frattempo, Asa aveva deciso di fregarsene di quella ridicola festicciola imbastita dai ribelli, e urlare che erano tutti dei terroristi. E tutti i torti non ce li ha, pensò Emi, che però, buone intenzioni a parte, era fin troppo intimorito dal pensare di poter appoggiare apertamente quell'exploit improvviso. Dopo tutto, quei pazzi erano stati in grado di uccidere gente a sangue freddo, come Asa per primo aveva fatto notare, e chissà quale avrebbe potuto essere la loro reazione di fronte a dei dissidenti! Capì che in quel frangente un profilo basso sarebbe stata la cosa migliore.
    Stanco di quella visione, e con la voglia di allontanarsi da quel caos, cominciò a muoversi senza una meta precisa, lasciandosi guidare dai propri passi. In quel breve tragitto, anche Hogsmeade gli raccontò la sua devastazione: tra vetrine devastate e palazzi saltati in aria, era difficile riconoscere le stesse strade in cui trascorreva i propri weekend tra quattro chiacchiere e una burrobirra. Camminava tra gli edifici con un groppo alla gola, chiedendosi come facessero i suoi coetanei ad abituarsi tanto velocemente al caos. A pensare a fare volantini. Mentre si lasciava attraversare da quei pensieri pieni d’amarezza, rischiò di essere colto in piena faccia da una pietra volante.
    « Eh no però, ora mi ci manca solo questa! » fu la battuta sardonica che si lasciò scappare - perché ultimamente le stava beccando proprio tutte - prima di accorgersi chi fosse ad aver scagliato quella pietra. « Ronnie! » esclamò, in un misto di sollievo e preoccupazione. Le corse incontro e l’abbracciò, constatando che grazie al cielo era tutta intera, ma che no, non stava propriamente bene. Lasciò che si sfogasse, rimanendo in silenzio, quasi messo a disagio da quella forma di disperazione. Non conosceva Ronnie in quelle vesti, e il vederla in quel particolare stato di vulnerabilità fu l’ennesimo colpo di quella giornata piena di sorprese. « È tutto ok, Ronnie » fu il suo debole tentativo di consolarla, mentre le accarezzava un braccio con delicatezza. Notò il mucchio di cenere in cui era ormai ridotta l’abitazione della ragazza. « Non è niente. Sono solo un mucchio di pietre. L’importante è che state - che stiamo bene. Nessie sta bene, sì? Pensa a questo. Potevi stare là dentro, oggi. E non avresti raccontato la stessa storia. » Le rivolse un sorriso mesto, nella speranza di riuscire a tirarle su il morale. « Tu e Ness potete dormire al castello, stanotte. E sicuramente anche le prossime. Voglio dire, è un’emergenza, ve lo concederanno. Sempre che Miss Morgernstalin non abbia nulla in contrario, chiaro... » Gli scappò una breve risata, che accompagno con una gomitata alla ragazza, nel tentativo di contagiarla con quella pessima battuta. « E se anche fosse, un modo si trova. Vi facciamo entrare di nascosto io e Otis e venite nella nostra stanza. Pigiama Party clandestino, che dici? »



    [spoiler_tag][/spoiler_tag]Prima parte - Otis & Asa
    Seconda parte - Ronnie
     
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    white hawk
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    Si rese conto di essere rimasto teso e in apnea per la maggior parte del tempo solo quando fu ufficiale che il castello era stato preso. In quel momento, Griffith si ritrovò a prendere il primo vero respiro della giornata, stendendo un sorriso contenuto e lanciando un'occhiata a Bobbie e Mia. « Ce l'abbiamo fatta. » Il suo sguardo si posò un po' più a lungo sulla prima. All'inizio non le aveva nascosto quanto la presenza della Wallace lo preoccupasse. La giovane se l'era cavata molto bene in Giappone, ma conoscendola non sapeva se sarebbe davvero stata capace di starsene ferma in quella casupola nella quale si erano appostati. Aveva temuto che un minimo intoppo potesse portarla a correre dritta verso il castello, costringendoli a fermarla in qualche maniera e perdere dunque almeno in parte il controllo dell'operazione. Fortunatamente questo caso non si era verificato, e per quanti imprevisti ci fossero stati, alla fine era tutto andato piuttosto liscio. O almeno così pensava. Di ritorno al castello, Griffith si unì subito alle squadre di ricognizione, pattugliando il perimetro esterno alla ricerca di sopravvissuti. Nella tenuta, molti Ribelli e Auror erano rimasti feriti anche gravemente, e i morti erano sicuramente più di quanti potessero contarne - l'odore di carne bruciata nella spianata ormai arsa parlava da sé. Arricciò il naso, coprendosi le vie respiratorie per non inalare troppa cenere. « Quanto ci vorrà per rimetterla in sesto? » chiese laconico, sentendo tuttavia qualcosa nel suo sangue bruciare. Quel legame che la sua natura gli dava con l'ambiente era sempre stato una lama a doppio taglio: se da una parte gli concedeva vantaggi non indifferenti, dall'altra poteva provocargli un tale malessere fisico di fronte a scene del genere, che ignorarlo era impossibile. Gli occhi violacei scrutarono la terra guasta, arida - una pianura desolata accerchiata solo dall'orizzonte piatto. Nessun albero, nessun segno di vita. Nulla. « In queste condizioni ci vorrà qualche giorno. » rispose l'elementale, ponderando la situazione decisamente poco allegra. « Ma agiremo in fretta, sfruttando la traccia magica lasciata dal fuoco dannato per invertire il processo naturale. » Stirò un sorriso amaro, invisibile dietro la copertura della stoffa. D'altronde fate questo, voi warlock, no? Invertite la natura. Ha senso. Annuì. « Va bene. Mettetevi al lavoro il prima possibile, finché la traccia è fresca. » Ma più passavano le ore, più alla lista di sopravvissuti saltava evidente all'occhio un nome in particolare, quello di suo fratello. Chiedendo dove fosse ubicato al momento dell'attacco, molti gli risposero che non ne sapevano nulla, mentre altri lo collocarono nella zona tra la tenuta e il Campo da Quidditch - lì dove solo pochi resti carbonizzati, appartenenti a chissà chi, erano stati rinvenuti. Sulle prime non indugiò nel pensiero, convinto che Holden fosse da qualche parte sano e salvo - al massimo ferito, ma ancora vivo. Non poteva credere razionalmente che suo fratello fosse morto in quella maniera, nel rogo maledetto evocato da un Auror pazzo. Eppure quale altra spiegazione poteva esserci quando al calare della sera, di Holden non c'era alcuna traccia. Quale altra motivazione poteva darsi quando un cacciatore si avvicinò a lui con sguardo basso, porgendogli l'arco che avrebbe riconosciuto tra mille? Un tonfo al cuore, sordo, come un sasso che precipita nell'acqua e sprofonda tra i flutti oscuri fino a raggiungere un fondale invisibile all'occhio umano. Lo hanno ucciso. Il pensiero rimbombava ossessivo nella sua testa, alimentando quella rabbia sotterranea che covava ormai da fin troppo tempo. Hanno ucciso Holden e non si fermeranno fin quando ogni altro Morgenstern e cacciatore non avrà fatto la stessa fine.
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    Aveva l'animo nero quando varcò le soglie del Parco della Liberazione, ma non per questo abbassò la testa. Avevano comunque conseguito una grande vittoria, scrivendo un pezzo determinata di storia - e questo non avrebbe potuto portarglielo via nessuno. Ciò non significava, tuttavia, che si sentisse in vena di far baldoria. Teneva l'arco stretto tra le dita. Le nocche bianche per la forza della presa su quel cimelio che era quanto di più vicino ci fosse al fratello. Il loro rapporto non era sempre stato rose e fiori, in parte perché Richard lo aveva reso problematico sin dal principio, sin dal momento in cui lo aveva adottato. Eppure Griffith lo ammirava, gli voleva bene, perché pur non condividendo lo stesso sangue, era comunque suo fratello. Si affiancò dunque a Tris, in silenzio, porgendole l'arco. « Quando questo periodo di assestamento finirà, credo che sia giusto prenderci un momento per Holden. Glielo dobbiamo. Inverness glielo deve. » Chiunque, a ben vedere, glielo deve. Ma questa era un'altra storia, e di certo il giovane Morgenstern non si aspettava la vicinanza di nessuno se non quella di chi già in precedenza gliel'aveva dimostrata. Disse quelle parole con l'amaro in bocca, tentando di processare il dolore che sentiva nel petto e la voce che invocava una vendetta per ciò che era stato fatto ad Holden. « La squadra del Ministero è tornata? » le chiese, più per cambiare argomento che altro, mentre radunava un po' di cibo sul proprio piatto e prendeva posto a sedere per consumarlo. In seguito a quel breve scambio, Beatrice prese la parola di fronte alle persone radunate nel parco, illustrando loro la situazione in maniera breve e concisa. A quel punto, ormai molti se ne erano già andati da Hogsmeade - chi sapeva di non voler rimanere aveva fatto la propria scelta, varcando le soglie con le proprie valige. Altri, ne era certo, li avrebbero seguiti nei giorni a venire, quando le loro condizioni fisiche glielo avrebbero concesso. Questo era stato uno dei principali punti discussi in sede organizzativa, e tutti avevano concordato a riguardo: la gente doveva avere libertà di scegliere da che parte stare. E a questo punto non è nemmeno una libertà, ma un obbligo. O stai da una parte, o stai dall'altra. Dubito che anche il Progetto Minerva adotterà una ratio diversa, date le circostanze. « Sono Karma Paciock. Senior..probabilmente ex, non lo so. Comunque sia, voglio aiutare in qualche modo in questo periodo di transizione e se posso tornarti ut- » Alzò lo sguardo sulla figura di Karma, intenta a conversare con Beatrice. Non la conosceva bene, ma era Senior del suo dipartimento e sapeva fosse legata ad Arthur. In realtà non lo stupiva più di tanto il fatto che volesse aiutare, date le sue connessioni, ma nel clima generale della scuola l'iniziativa personale lo lasciava sempre piacevolmente sorpreso. Ma guarda, allora esiste anche gente che ha voglia di far qualcosa. Un breve attimo di fiducia nell'umanità, veloce e passeggero, prima che il suo naturale cinismo venisse riconfermata dall'intervento di un ragazzo. Seguì le sue parole un po' incredulo e un po' perplesso, voltandosi a un certo punto verso Karma per chiederle un sincero « Ma chi è? » Non ne aveva idea. Beh, che dire? Tra il tendone e i fuochi di artificio, effettivamente mi chiedevo dove fossero i clown. « Qualcuno che si merita di finire con la gola tagliata insieme ai corpi putrescenti di chi ha perso la vita nel lockdown. Dovrà spiegarle a loro, le sue parole. » Un sibilo intrusivo, nato all'altezza del suo cuore. « Ricordagli delle fosse senza nome nella tenuta, quelle che calpesta tutti i giorni. Holden non è morto per questo. » Era stanco, provato e in lutto. Scacciò via quella voce che attribuì ai propri sentimenti di rabbia, riprendendo il controllo di sé. Si alzò dunque in piedi con un sospiro. « E dopo averci illuminato sulla nostra vera natura, quale sarebbe il risultato atteso? Genuina curiosità. » Inclinò il capo di lato, attendendo una risposta che, pure se fosse arrivata, non avrebbe mai potuto essere in alcun modo soddisfacente. Perché una ragione vera e propria di piantare questo casino non c'è, vero? Tu vieni qui, urli due parole in faccia a mia sorella, e finisce là. Tutto esaurito nella pochezza sterile di uno scoppio d'ira. Sbuffò una risata dalle narici. « Già.. proprio come pensavo. L'indignazione selettiva è davvero uno spasso. Mi chiedo come sarebbero potute andare le cose, se la violenza avesse sempre destato questo scalpore. » Se ci fosse stata la stessa reazione quando abbiamo trovato tre persone crocifisse nella piazza della nostra città, o quando dalle torrette Auror sono stati evocati due Rag'Nak diretti propri lì. Ma anche, se vogliamo parlare di innocenti e di bambini, quando dei neonati sono stati uccisi nelle loro culle e il nostro governo non ha fatto assolutamente nulla per aiutare la comunità vittima di un genocidio così spregevole. Dov'era, in quei momenti, l'indignazione? Perché io non ne ho vista. Anzi, ho visto gente che andava avanti con le proprie vite come se nulla fosse. E Holden è morto per questo. Per far sì che ciò non accada più - che questo orrore non si ripeta. Ciò che trovo ripugnante io, non è tanto l'opportunismo, ma il moralismo marcio dietro cui si nasconde una banale ipocrisia. Una silenziosa risata amara gli sollevò leggermente le spalle, portandolo a sorridere tra sé e sé e scuotere il capo prima di voltarsi per far cenno a Karma di seguirlo un po' più in là. Di certo la Paciock meritava più attenzione rispetto a quel circo. Non appena furono abbastanza distanti da poter parlare in maniera tranquilla, Griffith si fermò, volgendosi in direzione della ragazza. « Mi dispiace per l'inconveniente imbarazzante. » Ma dire che non ci aspettassimo uscite del genere sarebbe una bugia. « Hai detto che vuoi aiutare, vero? » Le chiese conferma, puntando lo sguardo negli occhi di lei. « Puoi parlarne anche con Beatrice, ma nel frattempo posso darti qualche idea. » Si strinse con leggerezza nelle spalle. « Questi giorni ci adopereremo per mettere a punto l'organizzazione scolastica che ci eravamo prefigurati. Tu sei Senior, e come tale rappresenti gli studenti. In questo periodo l'importanza del tuo ruolo non viene affatto meno - anzi! Ci servirà avere qualcuno che comunichi efficacemente con i ragazzi, divulgando le informazioni e partecipando alla realizzazione di un sistema educativo più completo. » D'altronde uno dei principali obiettivi di quell'azione era stato proprio questo. « Alla fine dei conti, è questo che stiamo tentando di fare. Raccontargli una favola della buonanotte per farli stare tranquilli finché la realtà non li colpisce in faccia è un sistema troppo radicato, che va necessariamente scardinato. Devono essere autonomi e preparati. » Oppure possono scegliere di non esserlo, e in quel caso potranno tornare a una versione rassicurante della vita che non gli richiede responsabilità. « Ma per realizzarlo, c'è bisogno di informazione e collaborazione - di essere coinvolti nel processo. Credi di riuscire a fare questo? A radunarli come comunità? »

    Interagito con Tris, Asa e Karma
    Citato Arthur

     
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    Si era resa conto che le fosse andata inaspettatamente bene solo quando si occuparono di tirare le somme di quanto accaduto. La Delgado lo sapeva, in cuor suo, che avessero subito perdite enormi, in quella battaglia, tuttavia ritrovarsi faccia a faccia con le conseguenze di quella mattinata a battaglia conclusa le fece quasi girare la testa. Il Campo di Quidditch era andato. La ridente vegetazione che da sempre contraddistingueva la tenuta non c'era più. Però ci sono un sacco di morti da seppellire e di feriti da curare, tutto perché un coglione qualunque ha deciso di dare prova della sua idiozia. Proprio non riusciva a scacciare il pensiero: dovevo essere più veloce. Dovevo fargli più male. Dovevo disarmarlo. E sapeva, razionalmente, che darsi colpe fosse tutto meno che costruttivo, che certamente non avrebbe riavvolto il nastro del tempo, ma non riusciva a lasciar andare la questione. Come minimo è ancora vivo, perché figurati. Aveva tanta di quella rabbia in corpo, Sol, che sarebbe bastata per dieci. E a questa andavano a mescolarsi la preoccupazione per i feriti e l'angoscia per la squadra al Ministero. In fondo proprio non sapeva quanto potesse rallegrarsi del fatto che lei e Lola fossero state divise: se da un lato questo aveva evitato all'ex Tassorosso l'Ardemonio, non aveva ancora i dati per comprendere dove, invece, questo l'avesse portata. Poteva soltanto sperare di vederla tornare viva e vegeta, peccato la speranza non fosse un sentimento proprio semplice da evocare. Non nelle condizioni correnti.
    Si era unita ad uno dei gruppi di pattugliamento ed aveva assolto al suo dovere, sì, ma con diversi nodi allo stomaco ed un'espressione cupa, probabilmente gemella dei compagni. Non aveva prestato loro troppa attenzione per la verità - la sua mente continuava a correre agli eventi vissuti poco prima. Avrebbe potuto fare qualunque cosa. Qualunque. Ha deciso di castare l'Ardemonio e distruggere tutto. L'ha scelto. E giù con un'altra boccata di bile da ingoiare. Si stava dirigendo verso l'ingresso quando, da qualche parte alle sue spalle, le giunse una voce familiare. Non si preoccupò nemmeno di fermarsi ad ascoltare di cosa stesse parlando esattamente - inchiodò sul posto per fare dietrofront con una rapidità che nemmeno avrebbe pensato di possedere. « Lola! Lols! » L'aveva raggiunta correndo, in barba alla decenza ed alla compostezza. « Stai bene? » Non le diede nemmeno il tempo di elaborare una risposta - si limitò a stringerla in un abbraccio. Almeno uno dei mille tasselli scombinati era tornato al suo posto. « Meno male che non mi hai fatto scherzi - io non gliele davo, a nonna Rosario, le spiegazioni sul perché i suoi fantastici nomi non abbiano protetto la stirpe. » Quell'osservazione era stata appena un mormorio soffocato, non si sapeva se dal sollievo o dalla forza dell'abbraccio. Le ci volle qualche altro momento per trovare la forza di sciogliere quel contatto e rivolgersi anche agli altri. « Bentornati, ragazzi. Siete tutti interi? »
    Il resto della giornata proseguì in maniera piuttosto cupa, sì, ma con un peso in meno sulla coscienza per Sol. Ad un certo punto però, prima di cena, le era arrivato un Patronus. Uno che, a dirla tutta, sembrava più una Strillettera, di una concitata signora Whiteley - la sua padrona di casa - che le comunicava non soltanto che lei avrebbe immediatamente lasciato Hogsmeade, ma pure che Sol avrebbe trovato i suoi effetti personali all'interno degli scatoloni disposti sul pianerottolo. E questo era diventato uno degli argomenti di conversazione principali lungo la strada verso il Parco della Liberazione, dove le due Delgado si stavano dirigendo per prendere parte alla cena organizzata da Beatrice Morgenstern. « Posto che me lo aspettassi perché è sempre stata una vecchia bigotta e mi ha dato quella topaia solo perché nessuno sputa sui soldi altrui, esattamente che cosa si aspettava? » Rivolse all'altra un'occhiata carica di significato, le sopracciglia inarcate in un misto di scherno e confusione. « Boh, di mettermi in una brutta posizione? O magari che le vandalizzassi casa, così da avere un ulteriore pretesto per poter andare a dire in giro quanto siamo brutti e cattivi? » L'hai sentita, no? Che nei suoi deliri era anche convinta che avessimo appiccato noi l'Ardemonio. Magari che l'avessi fatto io personalmente, mentre sventolavo una bandiera con le facce di quelli del suo amato Progetto Minerva disegnate sopra. Che poi ho bruciato, chiaro, ululando che loro fossero i prossimi. « Però devo dire che è proprio stupendo, questo modo di fare secondo cui buttare la gente fuori di casa perché ti fa schifo, va benissimo. E, per carità - ci sta pure. Però se proprio doveva rendersi effige di integrità morale, poteva pure trovare il modo di ridarmi i miei soldi, no? Ah, no giusto - quelli non fanno schifo mai. Figurati. » Capace che li abbia considerati pure danni morali. Che poveraccia.[...]« Come cazzo riuscite anche solo a starvene lì seduti dopo QUELLO CHE AVETE FATTO? Siete dei terroristi, cazzo, dei fottutissimi terroristi! Avete sterminato auror e distrutto il castello per cosa? COSA? Occupare una fottutissima S C U O L A?! Cosa ci avete guadagnato? Bambini terrorizzati e chissà, probabilmente un nuovo lockdown come la prima volta che hai ucciso a sangue freddo il preside Kingsley? MA CHE CAZZO DI PROBLEMI HAI?! Che problemi avete tutti? I fuochi d'artificio cazzo. Dopo tutti quei feriti in infermeria, e chissà quanti morti! [...] »
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    Sol, che in quel momento stava passando in rassegna i presenti cercando di scorgere Mia, che quel giorno ancora non aveva incrociato, voltò di scatto la testa verso Lola. Non sto capendo - hanno riaperto i manicomi senza dirci nulla? «Ah, proprio la dimostrazione di umana civiltà di cui non sapevo di aver bisogno, guarda. » Si era tirata in piedi e stava porgendo la mano alla castana - il sottotesto era di avvicinarsi, per vedere se ci fosse bisogno di aiuto. Qualcuno aveva già bloccato quel tipo, ma non era detto che non ci sarebbe stato bisogno di rinforzi. « È sempre bello vedere qualcuno che piange la dipartita di quella povera anima pia ed innocente di Kingsley, anche. In fondo ha soltanto deciso di sigillare delle persone all'interno di un Castello ed ha tentato di ucciderle in maniera più o meno creativa per mesi, che sarà mai! » Si strinse nelle spalle con una leggerezza che cozzava in maniera molto evidente con il concetto che stava esprimendo. « Alla fine, a Natale ci ha anche organizzato la festa, no? E ci ha pure dato il benvenuto a casa sua! Stronzi ingrati noi, sicuro. » Poi ci ha regalato l'Upside Down per Capodanno, proprio perché il Lockdown è stato sicuramente colpa di Tris, e non sua. Non si era mica organizzato, no? Avrà espresso un desiderio a Gesù in punto di morte. Il periodo del Lockdown, Sol, se lo ricordava fin troppo bene, e trovava assurdo quello spettacolino messo in scena da quell'energumeno.Si vede proprio che dare il diritto di parola a certe persone significa sprecarlo. Ma le sente, tutte le stronzate che sta dicendo? Se l'è scritte prima o gli vengono spontanee? Storse il naso, nel rendersi conto che Inverness avesse accolto anche individui come lui. Gente che magari, in cuor suo, pensava esattamente le stesse cose, e che aveva tenuto la lingua a freno soltanto finché farlo era stata la cosa più conveniente. « Vabbè, chiederemo alla nonna di accendere un cero per lui. » Prima, però, qualcuno spari un tranquillante da lontano a quello lì.




    citati Tris, Mia e Asa;
    interagito con Lola (e nella prima parte eventuale altra gente che fosse rimasta con lei).


    Edited by peccadillo! - 7/4/2022, 17:39
     
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    « Per Merlino, liberate un letto! Subito! » Al suo ingresso in infermeria, pochi passi dietro Veronica, una delle streghe che si erano offerte volontarie per assistere i feriti le corse incontro, chiaramente allarmata. « Ecco, cara. Appoggiati a me, su. » Confusa, Nessie batté lentamente le palpebre, senza opporre resistenza mentre veniva spinta su un letto libero, dalla parte opposta della stanza rispetto ai suoi amici. « N-no, io sto bene. » Mormorò, sporgendosi per tentare di seguire con lo sguardo la figura della coinquilina e dei due Tassorosso, ancora privi di sensi. « Bene?! Sei coperta di sangue dalla testa ai piedi! » Istintivamente, Nessie abbassò lo sguardo sulla camicia che indossava, lì dove sul tessuto color campagne spiccava una macchia cremisi. « Oh. » Strizzò le palpebre, scuotendo appena il capo. « No, non sono ferita. Questo sangue non è mio. » Elaborò il significato di quelle parole con qualche secondo di ritardo, impallidendo notevolmente. Con mani tremanti, afferrò la stoffa, tirandola il più possibile lontano dal proprio corpo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal sangue che iniziava lentamente a seccarsi. Il sangue di un essere vivente. Si irrigidì improvvisamente, ricordando la ferita sulla schiena dell'Auror che aveva colpito. No. Il sangue di un'Auror, probabilmente morta. Percepì un ronzio basso e distante nelle tempie e, notando la sua espressione, la strega le gettò addosso un'asciugamano pulito. « Non ti preoccupare, ora ci penso io. Hai un piccolo taglietto qui, servirà qualche punto ma non sentirai nulla. » Le inclinò il capo di lato, armeggiando con la bacchetta. « Sei fortunata, la sutura resterà coperta dai capelli e non si vedrà nulla. » Nell'infermeria affollata, la voce della donna risuonò sin troppo allegra, nel tentativo di distrarla. Non che Nessie fosse in grado di prestarle attenzione, in realtà; a dispetto della sensazione del filo che le ricuciva la pelle, le iridi nocciola vagavano per la stanza, soffermandosi di volta in volta sui nuovi arrivati e su coloro che versavano nelle condizioni peggiori, in preda alla strana sensazione che tutto ciò che le accadeva intorno fosse spaventosamente reale e - al contempo - effimero e distante. « Ecco fatto, cara. » La donna si ritrasse, gettando il filo rimasto nel cestino. Riscossasi, Nessie accennò ad un pallido sorriso. « Grazie. » Mormorò, alzandosi per raggiungere Ronnie. « Dove pensi di andare? » La donna la squadrò, seguendo con lo sguardo la direzione in cui Nessie accennò. « Oh, no. Non in queste condizioni. Non è per niente igienico e ci manca solo che tu faccia prendere un infarto a qualcuno - non abbiamo abbastanza letti per sopperire ai deboli di stomaco. » Così dicendo, la spinse fuori verso l'uscita. « Ti accompagno da Martha. Vedrai che ti troverà qualcosa di pulito. » Decretò, irremovibile.

    [...] Rimase sotto la doccia una quantità di tempo indefinita, talmente lunga che, per qualche istante, il rumore dell'acqua le fece persino dimenticare dove si trovava. Solo riaprendo gli occhi, la vista annebbiata dal vapore, riusciva a distinguere il muro di piastrelle scure, assai differente da quelle bianche decorate con maioliche della doccia dell'appartamento di Hogsmeade. Si insaponò a lungo e più volte, sfregando con tanta enfasi da lasciare segni rossastri sulla pelle pallida e arrossata a causa della temperatura dell'acqua e, quando infine si avvolse in un asciugamano pulito, la pelle dei polpastrelli era raggrinzita e fastidiosamente sensibile. Nonostante ciò, non si sentiva pulita. Riusciva ancora a percepire la sensazione del sangue caldo sulla pelle, la stoffa della camicetta incollata addosso e l'odore acre, dolciastro, quasi nauseante. Dovette strizzare gli occhi più volte per scacciare quelle immagini, rivestendosi con movimenti lenti e meccanici. Lo specchio, fiocamente illuminato dalla luce delle candele, le rimandava l'immagine di una giovane pallida, dall'espressione tesa e, al contempo, dallo sguardo spento e asciutto. Quando finalmente uscì dal bagno, coloro che erano rimasti all'interno del Castello erano più indaffarati che mai. Alcuni corridoi erano stati ripuliti, i danni minori sistemati grazie alla magia, ed erano persino comparsi dei volantini, accompagnati da un passaparola relativo ad una riunione imminente al Parco della Liberazione.
    All'orario prestabilito, il parco di Hogsmeade era più affollato di quanto si sarebbe aspettata. Per lo più, i presenti si erano riuniti in piccoli gruppetti, alcuni chiaramente tesi e diffidenti mentre, altri, decisamente più rilassati. Si fece largo tra gli sconosciuti senza realmente vederli, guidata dalle gambe, incapace di concentrarsi su un pensiero concreto. In realtà, non riusciva affatto a pensare. Ogni suo sforzo in quella direzione era vano, futile. La sua mente era una tela bianca, vuota, inspiegabilmente quieta. Per chiunque la conoscesse, quella sua compostezza, assenza persino, era più allarmante di qualunque reazione emotiva. E, da qualche parte, in un angolo remoto ed inaccessibile della sua psiche, Nessie stessa era consapevole che qualcosa si era irrimediabilmente incrinato. « Buona cena a tutti quanti. Gli studenti di Hogwarts sono pregati di trovarsi nei loro dormitori alle 23 in punto come al solito. » Ascoltò il discorso di Beatrice Morgenstern in disparte, con le mani affondate nelle tasche della giacca. Sebbene la lycan avesse utilizzato parole semplice e ben comprensibili, il significato di quel discorso continuava a sfuggirle o, ad essere sinceri, Nessie si rifiutava strenuamente di comprenderlo, ancor di più accettarlo, come sempre accadeva quando era costretta a fronteggiare qualcosa che la turbava; l'unica differenza stava nel fatto che, invece di abbindolare il prossimo con sorrisi e chiacchiere squillanti, era completamente svuotata. Dovrei trovare gli altri. Devono essere qui da qualche parte. Si guardò intorno, spaesata, senza realmente sforzarsi per trovare i suoi amici. A livello logico, era consapevole che fosse la cosa più sensata da fare: avrebbero dovuto restare insieme, assicurarsi di stare bene ed aiutarsi a vicenda; eppure, per qualche strano motivo, anche la preoccupazione per le persone a lei care era stata inghiottita dall'apatia. « TU SEI PAZZA, FOTTUTAMENTE PAZZA! » Irrigiditasi, sollevò il capo di scatto nell'udire le urla di King, gli occhi spalancati che si spostavano repentinamente dal Grifondoro a Beatrice. Ad ogni parola che usciva dalle labbra di Asa, il suo respiro si fece più rapido, lo scorrere del sangue nelle vene più veloce, accompagnato dall'adrenalina. D'un tratto, l'inerzia si trasformò in angoscia. Lo stomaco le si contorse in una morsa dolorosa, mentre le parole di Asa la riportavano bruscamente alla realtà, rievocando incubi che Nessie non aveva mai realmente affrontato. Prese a sfregarsi le mani sul tessuto dei jeans, in un gesto nervoso, quasi nevrotico, nel disperato tentativo di concentrarsi su qualcosa di reale ed innocuo. Basta, basta! Disorientata, si allontanò incespicando, con la testa che le girava furiosamente. D'un tratto, la giacca di due taglie più grandi le sembrava stretta, così aderente da farla quasi soffocare. Portò una mano al colletto, slacciando i primi bottoni per alleviare l'asfissia, avvertendo la gola secca come carta vetrata. Acqua. Ho bisogno di acqua. Si fece largo tra i presenti, diretta al tavolo delle bevande, urtando un ragazzo sconosciuto. « Hey, attenta! » Lo ignorò, raggiungendo il tavolo e bevendo un bicchiere d'acqua in un solo sorso. Nonostante fosse fredda, le diede solo un sollievo momentaneo: il rumore dei fuochi d'artificio, seguito dalla musica, la investì come uno schiaffo in pieno viso. Qualunque rumore, le giunse amplificato, intrecciato in un brusio intelligibile su cui dominava la musica, intervallata dagli scoppi, assordanti quanto colpi di pistola. Nero. Viola scuro. Arancione. Rosso sangue. Richiamati dalla musica, i colori le annebbiarono la vista, obbligandolo a serrare le palpebre e a portare le mani sulle orecchie, cercando riparo dalla musica. Da quando aveva memoria, Agnés aveva sempre percepito i suoni come colori: non a caso amava la musica classica, le cui note si traducevano in sfumature delicate, rilassanti. In quel caos, invece, si susseguivano colori accesi e violenti. Il giallo degli uccelli che l'avevano attaccata in Sala Grande, arancione come gli incantesimi
    lanciati da alcuni Auror, rosso come il sangue che sgorgava dalla schiena squarciata della donna che aveva colpito. Fatelo smettere, basta. Con gli occhi colmi di lacrime ed il cuore che le batteva all'impazzata, si girò di scatto per allontanarsi dal tendone, trovandosi faccia a faccia con Otis. Le ci volle qualche istante per metterlo a fuoco oltre il primo strato di lacrime e, seppur il viso le fosse conosciuto, le fu impossibile ricondurlo lucidamente a quello del giovane Tassorosso. « Fallo smettere! » Lo pregò, con le mani che premevano sulle orecchie. « Il... i-il rumore, l'arancione, il rosso... è nella mia testa. » Ansimava, col respiro strozzato e le guance arrossate. Era chiaramente febbrile, in preda ad un vero e proprio attacco di panico. « Non lo sopporto più! » Si chinò in avanti, cercando riparo su sé stessa, con le lacrime che rigavano le guance pallide. Avrebbe voluto spiegarsi meglio ma le parole le uscivano a fatica, sconnesse e spezzate. « Ti prego, fallo smettere. Tiralo fuori! » Fa troppo caldo. Non riesco a respirare.


    E niente, #orlodiunacrisidinervi is coming.
    E' pur sempre di Nessie che stiamo parlando, sksate.

    Ascoltato il discorso di Tris / urla di Asa.
    Interagito con Otis.
    Nessie sta un po' dando di matto grazie sinestesia e ptsd, quindi se volete interagirci fate pure.
     
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