Through the wire

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    E' davvero difficile aprire gli occhi. E' una sensazione simile a quella di un post sbronza, quando si è completamente fuori gioco e persino un'azione semplice come quella di sollevare le palpebre risulta un'impresa titanica. Alla fine, dopo aver preso un bel respiro profondo, ci riesce. Quando focalizza l'ambiente intorno a sé, improvvisamente ricomincia a sentire anche i suoni. Mi hanno drogato - comprende subito di esser stato sotto effetto di anestetici, qualcosa di molto potente. La cui potenza, tuttavia, inizia ad affievolirsi. Ne cerca la ragione. La riconosce in Coriolanus Cousland. E' seduto al fianco del suo letto. Sta stringendo tra le dita la flebo che veicola il farmaco sino all'accesso del suo polso. « Vedi, Caél. », gli occhi del giovane Cousland si dirigono lì dove il Vecchio vuole che osservi. Lì dove si trovano le sue dita subdole. Sì, riesco a distinguerlo distintamente - riflette, con tinte volutamente sarcastiche. « Basta poco. », due semplici parole che hanno l'odore del sangue. Non risponde, il Serpeverde, limitandosi a reggere quello sguardo inquisitorio con uno che, invece, risulta passivo. Distaccato. Lontano. « Davvero poco. », lo sottolinea in modo spiazzante, come se ogni verità del mondo fosse in suo potere, sotto la sua egemonia, la sua sovranità. La stringe tra le sue dita luciferine, allo stesso modo in cui impugna la flebo - interrompendo, per pochi istanti o per quanto tempo vorrà, il balsamo che rende migliore la vita di Caél, il suo primo nipote. [...] « Se sei pronto, facciamo una prova. », Caél annuisce. Melanie, la Guaritrice, è l'unica persona che gli vada a genio, lì dentro, benché solo in parte. Non apre bocca da giorni. Neanche con lei, a dirla tutta, se non il minimo indispensabile per non apparire irriconoscente. « Bene. », lei piega la testa di lato e gli rivolge un sorriso comprensivo. Ecco, già lì Cay percepisce che non riuscirà a sopportarla più di tanto - non finché indosserà quella maschera di affabilità e tenerezza. La preferisce quando si concentra sul proprio lavoro, come accenna appunto a fare l'istante successivo. Quando il suo sguardo si focalizza sulla mano destra di Caél e le labbra si piegano in un'espressione imperscrutabile. « Al solito. Apri e chiudi. », e Caél si prodiga a farlo, per quanto il movimento non gli riesca mai. Per cui sarebbe più corretto dire: si prodiga a tentarlo. « Non ti preoccupare. », Melanie abbozza un altro sorriso. Se avesse la piena funzionalità della mano, Cay glielo estirperebbe con le unghie. « Meglio continuare con le prove di sensibilità. », decide, indicandogli una poltroncina sulla quale distendersi. Adesso - Cay lo sa già - andrà a prendere degli spilli e dei cilindretti magici, coi quali inizierà a pungolare ogni millimetro di superficie della sua mano. « Avvertimi solo se non senti niente. », ed anche lì, Cay lo sa, quando si spingerà dal palmo della mano alla punta delle dita... Lì dovrà avvertirla. Ed è esattamente ciò che accade. « Va bene così, per oggi. Ci vediamo dopo la pausa pranzo, va bene? Ti accompagnerò da Simon. », laddove Simon è lo psicologo che Melanie ha insistito gli venisse affidato. Il signor Cousland non parla mai, non vorrei... Il disturbo post traumatico da stress può essere subdolo... In ogni caso meglio prevenire che curare, non credete? - questo un frammento della conversazione che Cay aveva udito al suo secondo giorno di ricovero. E quindi, riabilitazione del moncherino a parte, ha avuto il piacere di essere seguito per qualche seduta di inutili chiacchiere, nel corso delle quali si è chiuso in un ostinato silenzio, ben convinto a non aprir bocca, assolutamente menefreghista di fronte alle molteplici domande di Simon.
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    Chiuso in un silenzio inscalfibile finché, proprio quel pomeriggio, non si rende conto di un nuovo dettaglio che spicca nel solito panorama fatto di pareti color ocra e poltroncine confortevoli - perché, è risaputo, stare seduti comodi facilita la famosa chiacchiera. Ninfadora Weasley. Subito corre con la mente ad un contesto che gli pare ormai lontano. Lontanissimo. A quella piccola puntata sul lago di Braies, quando le ha chiesto - e altresì fatto - un favore che non avrebbe mai dovuto domandare. Aveva commesso un terribile errore di valutazione, il signor Cousland. Tuttavia, visto e considerato l'ardore che, bisogna ammetterlo, la Weasley possiede, a Caél riesce difficile conciliare l'immagine della ragazza ostinata che gli ha tenuto testa con quella della Grifondoro... Spaesata che individua di fronte a sé. Ma stavolta non sono nella condizione di poter parlare o giudicare. Ho un aspetto forse peggiore del suo. I loro sguardi si incontrano. Caél stringe le dita della mano sinistra. Quelle della mano destra emettono soltanto un guizzo. Una rapida vibrazione che gli fa tirare i punti di sutura, strappandogli una smorfia di dolore. «Riesci a reggerlo?», domanda a quel punto. Sono le prime tre parole che pronuncia dopo tre giorni di silenzio. Simon e Melanie ne saranno estremamente contenti. «Stare seduta a parlare diligentemente di quello che ti è successo?», qualunque cosa ti sia successa. Non ho idea del perché tu sia qui e dubito che me ne parlerai apertamente. «Oppure è una tua scelta?», voglio dire, nel mio caso non lo è proprio. Non mi sono opposto, ma non l'ho comunque scelto io. E tu?
     
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    E’ buio, incredibilmente buio. C’è un forte vento che le fa pizzicare la pelle come se fosse cosparsa da centinaia di microscopici aghi. Le fa male la testa. Forse sta correndo, forse è immobile, non riesce a capirlo. Qualcosa le preme il petto con forza insolita, come se volesse toglierle il respiro, come se volesse soffocarla. Ha paura, una paura incondizionata capace di mandare in frantumi ogni sua ragione, ogni suo ragionamento razionale e sensato. Ha paura, paura e basta, paura come non ne ha mai avuta prima. « Weasley! Sveglia! » Qualcuno grida. Ha già sentito quella voce, ma non ricorda dove né in quali circostanze. « Noi contavamo su di te! Il piano è saltato. » NO! BASTA! E’ insopportabile. Apre la bocca per gridare ma non ne esce alcun suono. Dove ha sentito quelle parole? Perché ce l’hanno con lei? Un flash: l’atrio del Ministero. Le scoppia la testa. Chiude gli occhi o almeno crede di farlo: non c’è differenza, è sempre buio. Hai sbagliato, Dory, hai sbagliato tutto! Perché mai dovresti combinarne una giusta? Non sei in grado di reagire. In questi anni sei stata capace solo di autocommiserarti, guardando il prossimo dall’alto di un piedistallo per poi piangere in camera tua, da sola. Hai sbagliato, Dory, hai sbagliato tutto! « La notizia si sta diffondendo troppo velocemente. Ma che cosa hai combinato? Cristo santo ti sei messa a fare salotto in mezzo all'atrio invece di seguire gli ordini? » Si preme le mani nelle orecchie, ma la voce è dentro la sua testa e non riesce a farla stare zitta. BASTA, BASTA, BASTA! Grida ancora, in silenzio. Sente le lacrime rigarle il viso. Hai deluso tutti. I tuoi compagni, la tua famiglia. Sei solo una delusione per loro. « Se le cose dovessero andare storto le loro vite saranno anche sulla tua coscienza. » Preme le mani sulle orecchie, ancora più forte, ancora più forte, ma non percepisce dolore. Lo desidera più di qualsiasi altra cosa, per distrarsi, per concentrarsi su esso, per ricevere una sorta di catarsi, una purificazione che le avrebbe fatto espiare i suoi peccati. Ma la verità era che non sentiva assolutamente nulla. Poi, una voce. Non era come la voce precedente, non era confinata solo nella sua testa ed inoltre la conosceva perfettamente. Papà! «E’ la soluzione migliore, Herm.. Non può continuare così..» Herm? C’era anche sua madre lì? Non riusciva a vederli. Era ancora buio. «Forse non abbiamo riflettuto abbastanza.. Forse c’è qualcos’altro che possiamo fare..» Sua madre singhiozzò. Avrebbe voluto dirle di non piangere, avrebbe voluto rassicurarla che stava bene, che non sentiva dolore, ma ancora una volta si rese conto di non riuscire a parlare. «Sta male da troppo tempo, tesoro.. Le sedute dalla psichiatra, le medicine.. Non sono servite a nulla. Non ci resta che questo..» Sua madre singhiozzò. Avrebbe voluto abbracciarla, dirle che le dispiaceva, che stava bene e che non doveva preoccuparsi. No, mamma, ti prego.. «Possiamo procedere, signori Weasley?» Mamma.. Cosa succede? «Ci assicurate che.. Che non subirà cambiamenti?» «Certamente, signora. Dimenticherà solo ciò che abbiamo stabilito.. Il resto non verrà intaccato..» Dimenticare? Cosa significava? Mamma, ho paura! Dimenticare.. «Va bene..» Silenzio. «Dottore.. Procedete pure..» Aveva il respiro corto. Le mancava l’aria. Avrebbe voluto correre via, lontano, ma il suo corpo non rispondeva. No. Vi prego, basta. Forse aveva capito, ma continuava a ripetersi che non poteva essere vero. FERMI, PERFAVORE. Ma prima che potesse anche solo pensare altro un’altra voce parlò per la prima volta, pronunciando una sola ed irrimediabile parola. «Oblivion.»
    [...] Galleggia. Sta sognando, o forse no. Il suo corpo è composto di elio. Fluttua in aria come sollevata da una brezza gentile. Non sa dove si trova. Sembra un luogo senza spazio e senza tempo. Non si fa domande. Sta sognando e nei sogni nessuno si fa troppe domande. Sta bene, di questo ne è certa. Non prova dolore, né fisicamente né a livello mentale. La sua mente è sgombra di ogni preoccupazione e pensiero. Sorride. Sta bene. Si sente bene.
    [...] Quando si era svegliata i suoi genitori l’avevano abbracciata e ricoperta di baci. Si era sentita stranita, come se avesse dormito troppo a lungo o troppo poco. Le avevano spiegato che aveva avuto un mancamento al lavoro. Un calo di zuccheri, così avevano sostenuto i dottori. La spiegazione sul perché si trovasse al CIM era stata altrettanto naturale: aveva vissuto un momento molto stressante al lavoro che accumulato ad una tensione non ancora chiarita l’aveva portata ad una perdita di coscienza. Le era sembrato un chiarimento plausibile, seppur non ricordasse cosa stava facendo esattamente prima di perdere i sensi. Era normale, così le avevano detto. Il dottor Jenkins era un uomo dall’aspetto rassicurante e la voce gentile. Aveva degli occhialetti rotondi che tendevano a scivolargli sulla punta del naso. Oltre ad un piano alimentare dovuto ad un’importante perdita di peso avuta nei mesi scorsi, le aveva consigliato di partecipare ad una seduta di gruppo. Reduce degli anni in terapia, inizialmente Dory aveva rifiutato, ma poi anche sotto consiglio dei suoi genitori aveva deciso di accettare. Aveva messo piede dalla stanza per la prima volta, avvolta in un paio di pantaloni della tuta ed un golf decisamente troppo grande per lei. Una infermiera l’aveva accompagnata dove si sarebbe tenuta la terapia e l’aveva invitata a sedersi in una di quelle poltroncine poste lungo
    il perimetro della stanzetta. Ubbidì, ringraziando la donna, sentendosi come se l’aria nella stanza fosse rarefatta e lei facesse sempre più fatica a respirare. «Ciao. Immagino tu sia Ninfadora.» Linguaggio amichevole, schema informale. Probabilmente pensavano fosse un modo per invogliare la gente ad aprirsi. «Dory. Dory va bene.» annuì la ragazza, sorridendo impercettibilmente all’uomo seduto poco lontano da lei. Strofinò i palmi delle mani tra di loro, come faceva spesso per alleggerire la tensione. «Benvenuta, Dory. Io sono Simon.»
    [...] Aveva mantenuto lo sguardo basso per tutta la seduta, gli occhi sulle sue mani leggermente coperte dalle maniche del maglione. Si concentrava prima su un microscopico dettaglio, poi su un altro. Il chiacchiericcio intorno a lei non era altro che un brusio di sottofondo. Si destò solo quando sentì chiamare il suo nome. Alzò lo sguardo, come una studentessa colta in fragrante a pensare ad altro durante la lezione. «Dory? Vuoi condividere qualcosa con noi?» La giovane Weasley spalancò gli occhioni color nocciola, assorbendo la domanda, per poi scuotere la testa stirando un sorriso sulla faccia. «Oh, no.. Grazie. Sto.. Sto bene così...» Cercò di apparire sincera mentre si sforzava di sorridere a Simon che annuì, inaspettatamente. Sembrava aver poco a che fare con quella asfissiante della sua psichiatra. O forse era solo una tattica. Fu allora che lo vide. Fu quasi per caso, uno sguardo sfuggente prima di ritornare a guardarsi le dita. Cosa ci faceva lì Caél Cousland? Si guardarono, in silenzio, come se entrambi volessero chiedersi cosa diamine ci facessero lì, ma non avessero il coraggio di farlo. O forse non era questione di coraggio. Forse, semplicemente, stavano cercando entrambi di mantenere un minimo di orgoglio anche in una situazione come quella. Parevano due cani randagi che ora si trovavano a dover condividere la stessa gabbia. Entrambi feriti, forse spaventati. Si, Dory lo era. Spaventata Ancora una volta aveva l’impressione di mostrare a qualcuno una parte troppo vulnerabile di sé. Restò immobile, perciò, fingendo che non fosse successo assolutamente niente, riprendendo a guardarsi le mani. Eppure non poté fare a meno di percepirlo, come un’aura che si avvicinava, passo dopo passo, facendosi sempre più concreta. Prima che se ne rendesse conto, Caél le sedeva accanto. «Riesci a reggerlo?» Adesso si sta guardando le unghie, lo smalto color rosa pallido scheggiato. Le era stato tolto nel dito anulare, lì dove avevano attaccato un macchinario per monitorare i suoi parametri. Riesci a reggerlo? Se quelle parole significavano “Riesci a leggere tutto questo solo per un calo di zuccheri?” avrebbe risposto di “no” immediatamente. «Stare seduta a parlare diligentemente di quello che ti è successo?» Alza lo sguardo, puntandolo davanti a sé, lì dove Simon, circondato da un gruppetto di persone, sta parlando a voce bassa. Potrebbe giurare di averlo visto lanciare qualche occhiata nella loro direzione. «Oppure è una tua scelta?» Una tua scelta.. Dove ti hanno portata le tue scelte, eh, Dory? Da nessuna parte. Fu allora che si voltò, guardandolo finalmente in faccia. Non era il Caél che aveva visto a Braies, seppur nei suoi occhi ci fosse ancora traccia di quest’ultimo. Che cosa gli era successo? Dubitava che glielo avrebbe detto. «Bhé, poiché le mie scelte non mi hanno portata molto lontano, ho pensato che dando retta a qualcun altro forse sarebbe andata meglio.» si strinse nelle spalle minute, usando un tono tranquillo, come se quella osservazione fosse la cosa più normale del mondo. Interrompere le sedute dalla psichiatra, smettere di assumere i giusti farmaci, evitare le persone. A quanto pare si erano rilevate opzioni sbagliate. «Ho ancora troppe poche informazioni per stabilire se sia stata o no una stupidaggine.» piegò la testa di lato, guardando Caél con un sorriso stirato. Forse intendeva farlo sorridere, ma non era brava con certe cose. «Credi che ci lasceranno mai in pace o finché saremo qui cercheranno in ogni modo di tirarci fuori qualche racconto strappalacrime per ritenersi finalmente soddisfatti del loro lavoro?» fece un cenno della testa verso Simon che continuava a gettar loro fugaci occhiate. «Perché se così fosse potrei mettere a prova la mia fantasia e dar loro qualcosa che li faccia dormire sereni stanotte..» Scherzava, era chiaro. O forse no.
     
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    «Dory? Vuoi condividere qualcosa con noi?», la osserva in silenzio, Cay. E' a due poltroncine di distanza dalla sua. Prima che Simon la interpellasse senza via di scampo, la bruna stava guardando un punto imprecisato del pavimento. D'altro canto si imparano davvero tante informazioni da un semplice parquet - riflette sarcasticamente il Serpeverde. «Oh, no.. Grazie. Sto.. Sto bene così...», la Weasley risponde in fretta e furia, tirandosi subito indietro dalla proposta che le è stata fatta. Non sono qui per giudicarti - ho declinato i vari inviti a "condividere" io stesso - ma quanto a recitazione stai proprio messa male, Ninfadora. «Prenditi il tuo tempo. Non abbiamo fretta. Vogliamo passare la parola a Carole - che ne dici, cara?», una timida ragazza dai capelli rossi tira su col naso. Tossisce una, due, tre volte - forse per schiarirsi la voce. Infine, parla: « Sì. Va bene. Come tutti voi... », si volta a guardare in faccia i presenti. Cay ha imparato tutti i loro nomi a memoria, pur non avendo mai conversato con loro. Carole è una persona riservata, sì, ma sembra aver preso sul serio il compito che le è stato assegnato per casa: metabolizzare il trauma. Poi c'è Vincent, un uomo sulla cinquantina, proprietario di uno dei negozietti di Hogsmeade. La mente di Caél corre subito, per associazione, all'immagine di zia Penelope. Anche lei ha... Aveva un negozio. Non sa in che tempo coniugare quel verbo, il primogenito Cousland, perché della situazione politica attuale si è capito ben poco. Che zia Penny sia autorizzata o meno a tornare entro i confini del villaggio, riappropriandosi di ciò che ha conquistato con grande fatica e sudore - un po' come lui stesso con la Cousland Express - non è dato saperlo. Ci sono ancora Kevin e Sarah, due gemelli, studenti di Magisprudenza. Sarah è decisamente spigliata e non tollera, non tollera affatto!, ciò che è accaduto. Kevin è ben più pacato, si avvicenda in ipotesi circa la possibilità che "i lycan abbiano la loro fetta di ragione". Sarah, quando il fratello si azzarda a pronunciare frasi del genere, lo fulmina con lo sguardo. Infine, c'è Matthew, un barista di Starbucks. Ha già ripetuto più e più volte che si è nascosto sotto il bancone, castando degli incantesimi di Disillusione tutto intorno per mimetizzarsi con... La tapezzeria. E niente, è rimasto lì finché non è cessato il fuoco. « Ero ad Hogsmeade quando è successo. Stavo passeggiando... Poi è iniziato quel corteo. Sono stata un po' spintonata - mi è caduto il frullato per terra... L'avevo preso per colazione... », Cay osserva Carole asetticamente. E' proprio mentre la ragazza parla che lui, di soppiatto, inaspettatamente - persino a se stesso, dato che fino a quel momento non ha aperto bocca - si rivolge a Dory. «Bhé, poiché le mie scelte non mi hanno portata molto lontano, ho pensato che dando retta a qualcun altro forse sarebbe andata meglio.», la risposta della Grifondoro gli fa inarcare un sopracciglio. «... Urlavano in continuazione, sventolando cartelloni... », nel frattempo, il racconto di Carole continua. Nulla che Cay già non sappia, ad ogni modo. Continua ad osservare Dory. Le chiede: «Di che scelte parli?», è un discorso ambiguo, quello della Weasley. Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa: scelte di vita, scelte lavorative... Scelte politiche. E' proprio all'ultimo ambito che il Serpeverde è particolarmente interessato. D'altronde, potrebbe perfettamente ricollegarsi al contesto attuale. Che, per altro, è l'argomento di conversazione che si sta tenendo presso il gruppo di supporto psicologico per disturbo post traumatico da stress: l'occupazione dei territori di Hogwarts e Hogsmeade. «Ho ancora troppe poche informazioni per stabilire se sia stata o no una stupidaggine.», viene catturato dall'ultimo appunto, Caél. Mantiene il contatto visivo. Sorride flebilmente. «Vuoi la mia opinione a riguardo?», probabilmente no. Le opinioni di Cay sono sempre troppo dirette, pericolose, antipatiche. Anche se, bisogna dirlo, quanto meno sono sincere. Non ha peli sulla lingua, il giovane di casa Cousland. E quando si mette qualcosa in testa - come appunto dare un'opinione - è davvero complesso dissuaderlo. «Credo nella seconda.», commenta, senza null'altro aggiungere. In fondo, il presunto trauma si è verificato soltanto tre giorni fa: di cosa dovrebbero parlare, in quel gruppo, di preciso? Non hanno neanche avuto il tempo di leccarsi le ferite, di piangere gli eventuali morti, di capire cosa diavolo stia succedendo - per chi fosse rimasto un po' fuori dal contesto politico - e i Guaritori già insistono su robe come prevenire il crollo emotivo e la psicosi da stress? «Credi che ci lasceranno mai in pace o finché saremo qui cercheranno in ogni modo di tirarci fuori qualche racconto strappalacrime per ritenersi finalmente soddisfatti del loro lavoro? Perché se così fosse potrei mettere a prova la mia fantasia e dar loro qualcosa che li faccia dormire sereni stanotte..», questa volta, Cay sorride apertamente. Non impiega neanche tanto tempo a risponderle: «Direi che hai tutte le carte in regola per comprendere tu stessa se sia stata una stupidaggine o meno, dopo questa lucida disamina. Ed anche le azioni direttamente consequenziali.», è a quel punto che il racconto di Carole volge al termine, con una frase ad effetto della serie: « ... E questo è quanto. », c'è poi un momento di raccoglimento, con Simon che si strofina le tempie e pare metabolizzare fisicamente e partecipatamente le parole della rossa. La ringrazia, invitando i presenti a trarre spunti di riflessione dal suo coraggioso discorso. «Signor Cousland, è il suo turno. Vuole condividere qualcosa con noi?», Caél assume un'espressione rammaricata. Come la stessa Dory ha suggerito, bisogna dar loro qualcosa che li faccia dormire sereni di notte per uscirne il più presto possibile. «Credo che Carole abbia sintetizzato alla perfezione.», la rossa gli rivolge un sorriso timido. «Tuttavia...», la rossa spalanca gli occhioni. Ha lo sguardo di chi ha perso la terra sotto ai piedi. Tranquilla, Carole, non sto per dire nulla contro di te.
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    «Suppongo che il motivo per cui siamo qui riuniti -», amen, neanche fosse un rituale religioso, «- sia parlare di come ci si è sentiti a riguardo.», aggiunge, fronteggiando uno stupito Simon. Lo psicologo fa cenno di proseguire, lo incoraggia vivamente. «Ero chiaramente spaventato, come tutti.», bisogna metterci del dramma, nei racconti, perché senza quello non si va da nessuna parte. «Non capivo come mai un corteo fosse degenerato a tal punto. Non sapevo da chi guardarmi le spalle, verso chi alzare la bacchetta...», confusione, caos, panico. Smarrimento. Sono le ceneri che devo disseminare per poi mostrare come "riuscirò psicologicamente a risalire dal fondo". « Io ti ho vista. » «Prego?», Caél si volta in direzione della voce. E' Sarah a parlare. Ma non è a lui che si sta rivolgendo. «Sarah, cara, è ancora il turno del signor Cousland, facciamolo finir-» « Me ne fotto del signor Cousland. », Cay osserva passivamente lo scambio di battute tra Simon e Sarah. Bene, passo il testimone a Sarah, che sicuramente saprà deliziarci con una quota di dramma ben più succulenta di quella offerta da me. « Tu. Weasley. Ero al Ministero, quel giorno. Seguivo la pratica con la dottoressa Rejikiavich. E c'eri anche tu al Ministero. Ti ho vista. Eri con sua sorella. », è allora che punta il dito verso il signor Cousland. Stavolta è Cay a spalancare gli occhi, non più Carole. « Cosa avete combinato? Io lo so che c'entri qualcosa, Weasley. Non sarebbe neanche la prima volta che uno di voi combina porcate. »
     
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    « Ero ad Hogsmeade quando è successo. Stavo passeggiando... Poi è iniziato quel corteo. Sono stata un po' spintonata - mi è caduto il frullato per terra... L'avevo preso per colazione... » Quelle parole sono come un sottofondo, un brusio, come la musica di sottofondo al centro commerciale. Era parzialmente informata sugli ultimi fatti accaduti fuori da quelle quattro mura dove ora si crogiolava, particolarmente leggera, sollevata, come non si sentiva da tempo. Forse erano gli antidepressivi che aveva ricominciato a prendere, forse era semplicemente l’aver trovato una piccola pausa, una parentesi, da tutto il resto, come desiderava da tempo. Sapeva ciò che era successo al corteo, al Ministero e persino ad Hogwarts. Si, certo, si era spaventata, questo era stato inevitabile. Eppure lì dentro aveva come l’impressione di sentirsi al sicuro. Forse era un pensiero egoistico e a tratti il senso di colpa tornava a farsi sentire, stropicciandole le viscere. Sapeva che Lympy era stata ferita e c’erano voluti tre infermieri per impedirle di scappare via. Si era tranquillizzata, almeno un po’, solo quando i suoi genitori le avevano accertato che era in via di guarigione. «Di che scelte parli?» Trattenne silenziosamente un piccolo sorriso che di divertito non aveva niente. Più che altro che avrebbe saputo di rassegnazione. Da dove cominciare? Come poteva sintetizzare in poche parole tutti quegli anni di alti e bassi? Sarebbe stato come chiederle di riassumere qualcosa grande come il cielo. Non si sintetizza il cielo, lo si prova e basta. Lo si sente, lo si vive. Si ridusse a stringersi nelle spalle minute, arricciando appena le labbra, lo sguardo sempre fisso sulle maniche di quel golf di cui, ormai, aveva imparato ogni intreccio. «Mai sentito il proverbio “Chi fa da sé fa per tre?”» Pausa. «Bhè, non sempre è vero.» Fu solo a quel punto che lo guardò accennando un piccolo sorriso. Era stata così presuntuosa da convincersi di saperne di più della sua terapeuta, convinta che stava bene, che non aveva più bisogno di medicine o di sciocche sedute. «Immagino che tutto questo» -fece un cenno verso Simon e gli altri- «voglia dire che è arrivato il momento di scendere dal piedistallo e accettare l’aiuto di qualcuno.» Perché stava dicendo quelle cose a Caél Cousland? Forse perché si sentiva in colpa per come lo aveva trattato l’ultima volta che si erano visti, tra le montagne italiane. Ninfadora Weasley non era una giornalista in vendita e sapeva quanto fosse poco professionale schierarsi dalla parte di qualcuno. Eppure c’era modo e modo per dire le cose e lei aveva usato quello sbagliato: quello poco professionale, dettato dalla sua fragilità piuttosto che dalla ragione. Non stava cercando di fare ammenda, né di farsi trovare più simpatica. Forse era solo un bizzarro modo per mostrare che lei non era come si era mostrata. Era caparbia, incredibilmente testarda, ma non meschina. «Vuoi la mia opinione a riguardo? Credo nella seconda.» Trattenne rumorosamente una risata, così chiassosa da costringersi ad alzare lo sguardo per convincersi di non aver attirato l’attenzione degli altri. L’unico che aveva lanciato un’occhiata verso di loro era Simon. «Direi che hai tutte le carte in regola per comprendere tu stessa se sia stata una stupidaggine o meno, dopo questa lucida disamina. Ed anche le azioni direttamente consequenziali.» Avrebbe voluto dirgli che la stava sopravvalutando, ma rimase in silenzio. Non era ancora pronta ad aprirsi in quel modo. Avrebbe potuto usare altre parole senza la necessità di mostrarsi troppo, ma non ebbe il tempo di rifletterci abbastanza perché Simon aveva attirato la loro attenzione, chiamando Caél in causa. «Signor Cousland, è il suo turno. Vuole condividere qualcosa con noi?» Lo sguardo della Weasley si sofferma su Simon che sta guardando nella loro direzione. Si sente come se fosse stata scoperta a fare qualcosa di male, sensazione che raramente Ninfadora aveva provato essendo una perfezionista. Simon però non sembrava arrabbiato, tutt’altro. Sorrideva, alternando lo sguardo tra lei e Caél. Perché diamine stava sorridendo in quel modo? Cosa c’era da sorridere in tutta quella storia? Le sembrava di essere sull’orlo di un baratro e che Simon le dicesse che andava tutto bene per convincerla a non buttarsi giù. Era questo che faceva? Assecondarli? Dory pensò che fosse piuttosto irritante. Spostò lo sguardo su Caél solo nel momento in cui lui cominciò a parlare, sorpresa nello scoprirlo partecipe alla proposta di Simon di condividere qualcosa con il resto del gruppo. «Credo che Carole abbia sintetizzato alla perfezione. Tuttavia... Suppongo che il motivo per cui siamo qui riuniti sia parlare di come ci si è sentiti a riguardo.» "Come ci siamo sentiti a riguardo". Quindi era questo il motivo per cui il giovane Cousland si trovava lì: era rimasto coinvolto in una delle rivolte di qualche giorno prima. Riabbassò lo sguardo, continuando ad ascoltare le parole del biondo seduto accanto a lei. «Ero chiaramente spaventato, come tutti.» Non riusciva a credere che Caél si stesse aprendo così facilmente con qualcuno. Non lo conosceva così profondamente da poter prevedere un suo comportamento -anzi, diciamo che Cousland aveva il potere di essere piuttosto imprevedibile-, ma per quel poco che lo conosceva, non avrebbe mai detto che avrebbe parlato così facilmente. Oppure.. Lo stava prendendo in giro? Gli stava dando quel dramma di cui avevano parlato poco prima? «Non capivo come mai un corteo fosse degenerato a tal punto. Non sapevo da chi guardarmi le spalle, verso chi alzare la bacchetta...» Doveva essere stato terribile. Ebbe la sensazione di provarle lei stessa quelle emozioni, essendo Ninfadora una creatura particolarmente empatica. Era naturale, si disse. Lei stessa aveva provato quelle cose anni addietro. « Io ti ho vista. » «Prego?» Dory alzò lo sguardo, battendo le palpebre, come se fosse appena uscita da uno stato di trance, guardandosi intorno per capire da dove provenisse la voce. Stavano tutti guardando una ragazza. «Sarah, cara, è ancora il turno del signor Cousland, facciamolo finir-» « Me ne fotto del signor Cousland. » Prima che potesse pensare altro, lo sguardo della giovane parve trafiggerla da parte a parte. « Tu. Weasley. Ero al Ministero, quel giorno. Seguivo la pratica con la dottoressa Rejikiavich. E c'eri anche tu al Ministero. Ti ho vista. Eri con sua sorella. » Si volta verso Caél, confusa. Con sua sorella? Cosa.. Che follia era mai quella? Lei non si trovava affatto al Ministero. «No.. Io non..» provò a dire qualcosa ma Sarah la interruppe. « Cosa avete combinato? Io lo so che c'entri qualcosa, Weasley. Non sarebbe neanche la prima volta che uno di voi combina porcate. » BOOM. Fu come un’esplosione, una denotazione nelle orecchie di Ninfadora. ” Non sarebbe neanche la prima volta che uno di voi combina porcate”... Ok, ragazzina, adesso stiamo esagerando. «IO NON ERO AL MINISTERO.» Si accorse di aver gridato, ringhiando in direzione della ragazza che aveva allargato gli occhi, probabilmente non aspettandosi una reazione del genere da Ninfadora. «Si può sapere chi diamine sei per sputare sentenze in questo modo sulla mia famiglia?» la sua voce era ancora piuttosto alta, ma non gridava più. Resta concentrata, Dory. «Eri tu, ne sono sicur...» «Bhè, è evidente che tu ti stia sbagliando, no?» Non era una domanda. La giovane la stava ancora guardando severamente. Nonostante le repliche di Ninfadora, sembrava ferma nella sua idea. Perché le stava dicendo quelle cose? Lei era alla Gazzetta quel giorno.. Non aveva impegni al ministero. Veronica, si. Lei c’era andata. Aveva quel processo sulle bacchette contraffatte.. Veronica, non lei. Impossibile che le avesse scambiate. La sua collega era tutto ciò che di più lontano ci fosse da Dory: capelli color miele e occhi verdi, portava sempre i tacchi nonostante fosse già alta abbastanza. «Non mi sto sbagliando. Tu eri lì.» La voce di Sarah era come un ringhio che le saliva su per il petto. Perché? Perché la stava accusando di cose che non erano accadute, cose in cui non c’entrava niente? «Ti ripeto che io non c’ero.» aveva alzato di nuovo la voce. Si era sporta in avanti, conficcando quasi le unghie nei braccioli del divanetto.
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    «Bhè, allora sei una grande bugiarda, Weasley.» Fu in quel momento che Dory scattò in piedi e Simon fece lo stesso, come se temesse che la bruna potesse saltare addosso alla ragazza. Invece rimase lì, in piedi, troneggiando sulla figura dell’altra rimasta seduta che però non si mosse di un millimetro. «Sarah. Ti chiami Sarah, vero?» Quella sorrise malamente. «Si, e allora.» «’fanculo Sarah.» Uscì a gran passi dalla stanza dopo verle sputato addosso quell’insulto, senza guardarsi indietro. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso la fine del corridoio, in cerca di un posto in cui avrebbe potuto prendere un po’ di aria. Aveva bisogno di respirare. Il cuore le batteva all’impazzata, dandole la sensazione che sarebbe potuto saltare fuori da un momento all’altro. Cosa le era preso? Non era da lei comportarsi in quel modo. Lei non diceva parolacce. Lei era diplomatica, lei analizzava la situazione prima di agire.. Eppure.. Perché si sentiva così bene? Aprì una porta premendo le mani sulla maniglia antipanico, ritrovandosi sulla scala antincendio. Perché non era chiusa? La risposta arrivò in un attimo: un infermiere, forse un tirocinante, stava fumando in un angolo. La guardò prima terrorizzato, poi cercò di rientrare nel ruolo. «Signorina, non può stare qui..» Ninfadora non si mosse di un centimetro. «Oh, si che ci posso stare. E sai perché? Perché se mi obblighi a rientrare dirò ai tuoi superiori che stai fumando in una scala antincendio.» Ironico. Lui spalancò gli occhi, senza sapere cosa dire. «Non mi butterò di sotto, tranquillo. Ho solo bisogno di una boccata d’aria. E ora via di qui.» Quello lanciò il mozzicone oltre il parapetto di metallo per poi rientrare lanciando continue occhiate alla Weasley. Non appena fu sola, Dory chiuse gli occhi inspirando a fondo. Aria.


     
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    «Immagino che tutto questo voglia dire che è arrivato il momento di scendere dal piedistallo e accettare l’aiuto di qualcuno.», Cay si sofferma a riflettere sulle parole di Dory. Accettare non gli è mai riuscito troppo bene, poiché ha il sapore di accontentarsi - quasi di arrendersi. Né tanto meno l'idea di "aiuto", poiché sottintende l'esser fragili, feriti, deboli. Accettare l'aiuto di qualcuno è una strategia del tutto antitetica a quella che è l'essenza del signor Cousland. Ad ogni modo, lui stesso si rende conto di quanto la situazione in cui si trova sia letteralmente immodificabile. Se vuole venirne fuori, se vuole firmare al più presto le dimissioni dal San Mungo, se vuole vedere le dita della mano destra muoversi come dovrebbe essere naturale, bisogna quanto meno collaborare con l'équipe di Guaritori che si è gentilmente occupata dei superstiti alla guerriglia del campus. Si limita ad inarcare le sopracciglia, Caél, non proferendo alcuna frase in risposta. A cosa servirebbe, dato che la seduta sta per iniziare e i due ragazzi, volenti o nolenti, vi sono già invischiati? - Come previsto, Simon apre il dibattito e lascia che i presenti si esprimano, chi con totale partecipazione, chi più riservato e distaccato. Arriva persino il turno del primogenito Cousland, che si arma di buona pazienza, si focalizza nel non sbroccare e recita il discorso più bilanciato e misurato che le sue labbra pallide, al limite del diafano, siano in grado di proferire. E' con sua grande sorpresa che viene interrotto da una ragazza, tale Sarah qualcosa. Caél sta per ribattere che "sì, in effetti, Sarah, non è educato invadere gli spazi altrui con tale inaudito egocentrismo", ma le sue parole catturano l'attenzione del biondo. Una formula in particolare - tua sorella - gli fa drizzare i capelli biondi sulla nuca. «Cosa c'entra mia sorella?», è così che interrompe a sua volta Sarah nella furiosa piazzata da lei montata davanti all'intero pubblico della seduta psicoterapeutica. «IO NON ERO AL MINISTERO.» «Eri tu, ne sono sicur...» «Bhè, è evidente che tu ti stia sbagliando, no?», Cay osserva il rapido scambio tra le due ragazze, più confuso che altro. Cosa sta succedendo? Perché Sarah ce l'ha così tanto con lei? E soprattutto, cosa diavolo c'entra Maeve? «Non mi sto sbagliando. Tu eri lì.» «Ti ripeto che io non c’ero.», il dibattito si fa sempre più infuocato, finché Sarah non dà a Dory della bugiarda e Dory... Minaccia di far partire una rissa che, tuttavia, non ha mai luogo. Simon è ancora in piedi quando la Grifondoro gira i tacchi e abbandona la seduta, sbattendosi la porta alle spalle in un gesto che tanto ricorda quello di un film, con l'eccezione che è tutto vero. Così come quella mattina al campus, così come la scissione tra Inverness e lo Stato Inglese, così come il ritorno delle Logge e così come quella seduta psicoterapeutica. E' tutto vero. L'unico dubbio riguarda soltanto le accuse di Sarah, perché se lei sostiene che Dory fosse al San Mungo e quest'ultima no, è chiaro che solo una delle due possa necessariamente aver ragione. E sebbene questi non siano affari di Caél, un piccolo dettaglio del discorso della sconosciuta, tuttavia, lo è. Maeve. «Sarah.» «Che vuoi.», ha le ginocchia strette al petto, Sarah, ed è rannicchiata sulla poltroncina del salotto. Sembra quasi tremare. Non ha nulla della ragazza spavalda che, neanche due minuti prima, stava accusando la Weasley di esser complice di chissà quale strampalato piano. Sembra quasi... La vittima, adesso. «Lasciami in pace, okay?», riesce persino a scorgere delle lacrime che le rigano le guance, Caél. Non è mai stato bravo in queste situazioni, ma in qualche modo dovrà pur provarci. Deve avere più informazioni. «Mia sorella era al Ministero. Non so Ninfadora, ma lei sì.», non ne è certo, il Serpeverde, ma ci prova. Sarah solleva la testa. Nei suoi occhi un barlume di speranza. Qualcuno che finalmente le crede. «Sta bene? Puoi dirmi di più?» «C-c-c'era anche lei. La Weasley. Io... Io l'ho vista.. C'era la Weasley, loro.. Combinano sempre casini, e adesso...», Cay deve sforzarsi di recitare bene la propria parte. Queste accuse prive di fondamento lo lasciano a metà tra il disgusto e la pena, ma si costringe ad indossare una maschera d'imperturbabilità. «Tua sorella stava bene..», non serve altro, a Caél. L'informazione che Coriolanus gli aveva taciuto durante la visita, ben consapevole fosse l'unica cosa che a Cay importasse, adesso è in suo possesso. «Grazie.», risponde soltanto, convincendosi che sia così, che Maeve fosse effettivamente al San Mungo e che stesse bene - pur non avendone la certezza assoluta -, per poi abbandonare anche lui il salotto ormai completamente svuotato. E' proprio nell'anticamera dello stesso che viene travolto da un infermiere trafelato, al quale si rivolge dicendo, piccato: «Sta' un po' più attento..», corrugando la fronte in un'espressione di disappunto. Soltanto dopo, nota la porta di una scala antincendio sbattere sonoramente, richiudendosi. Cay si chiede perché mai l'infermiere stesse fuggendo da lì - anzi, perché mai ne sia fuggito con tanta fretta. Sicuramente potrebbe evitare di impicciarsi nell'ennesima faccenda altrui, soprattutto nelle condizioni fisiche in cui si trova, ma questo in un universo alternativo in cui Caél Cousland preferisce percorrere la via della beata ignoranza. Scende dunque le scale con passo felpato, finché non si rende conto del motivo di tanto trambusto. Dory Weasley si trova in fondo alla scala antincendio, affacciata ad una delle finestre. Cay valuta il da farsi. Non ritiene d'essere il candidato migliore a empatizzare con qualsivoglia individuo, ma qualcosa lo spinge ad affrontare ugualmente la sfida, forse proprio perché, in qualche modo, sono stati coinvolti gli stessi Cousland nel discorso di poc'anzi. Maeve, tanto per cominciare, e quindi indirettamente anche lui. Cos'avete combinato? - aveva detto Sarah. E' proprio su questo punto che il Serpeverde ha intenzione di indagare.
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    «Se lo vuoi sapere, è scappato a gambe levate.», commenta Caél ad alta voce, richiamando l'attenzione della ragazza. «Devi aver scagliato una gran bella fattura.», ipotizza, per poi domandare: «Ti va?», mostrandole un pacco di sigarette, dal quale ne sfila una, portandosela alle labbra e accendendola con la punta della bacchetta. Trascorrono secondi, minuti, un tempo indefinito di tempo. Solo alla fine, quando la tempesta sembra ormai acqua passata, Cay si azzarda a richiamarla nuovamente alla memoria, domandando: «Tu dov'eri, quando è successo?», la pone così, senza insinuare nulla, al contrario di Sarah qualcosa, che ha invece affermato: "la Weasley era al Ministero, insieme a tua sorella!". Resta semplicemente in attesa, Cay - in attesa che Dory faccia chiarezza. «Logicamente non sei obbligata a rispondere. E' giusto per ammazzare il tempo, per capire un po' di più quello che sta succedendo. Io, come dicevo prima, ero al campus. Con me c'era una ragazza del corso di Erbologia e Pozionistica - Sunday Mortimer. Credo lavori da Magie Sinister.», aspira la sigaretta, riducendola a un piccolo mozzicone. «Questo prima che si spargesse la Buiopesto.», e prima che perdessi la mano. «Del resto ricordo ben poco, perché a un certo punto sono svenuto. Le ultime persone che ho visto prima di chiudere gli occhi sono state mia zia e due ragazze: Zelda Kane e... L'altra mi pare si chiami Artemis. Non la conosco, però, potrei sbagliarmi.»
     
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    Respira. Aveva l’impressione di essere schiacciata da qualcosa di enorme. Era lì, premuto sul suo petto e non sembrava intenzionato ad andarsene. Anche i suoi polmoni sembravano diversi. Si stavano rimpicciolendo, secondo dopo secondo, diminuendo la quantità d’aria che la giovane Ninfadora riusciva ad inspirare. Sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco quel paesaggio che, al momento, le appariva solo come una macchia indistinta di colori. Era come se qualcuno avesse rovesciato dell’acqua su di un dipinto fatto con gli acquarelli. Conosceva quella sensazione. Conosceva quel senso di oppressione perché ci aveva convissuto per anni, perché l’aveva accompagnata nel sonno e nella veglia, perché ogni tanto ritornava, così, come se non volesse farle dimenticare la sua esistenza, come per dirle che lei c’era. Percepì le dita irrigidirsi. Respira.. Respira, Dory, ti prego.. Forse aveva dimenticato come si facesse. Doveva concentrarsi su qualcosa. Doveva visualizzare qualcosa che la facesse sentire al sicuro, qualcosa di quotidiano, di familiare. Chiuse gli occhi, stringendoli forte. Con la mente passò in rassegna il viso dei suoi familiari, ma erano troppo veloci. Non riusciva a trattenerli. Allungava le mani ed afferrava il vuoto. Concentrati, concentrati, concentrati! Portò entrambe le mani all’altezza del petto, inspirando forte e concentrandosi sul rumore che faceva l’aria uscendo dalle sue labbra. Piano piano i volti rallentarono, dandole un quadro completo e meno offuscato della situazione. Così come era arrivato, stava passando. Si facevano vivi di tanto in tanto, come se volessero ricordarle che loro c’erano, che erano sempre lì con lei. Sente la porta della scala antincendio riaprirsi. Cosa non aveva capito di preciso quell’infermiere idiota? Voleva davvero essere messo nei guai con i suoi superiori? Dory si voltò di scatto, rigida come un soldatino di latta, le labbra ridotte ad una linea dura, pronte a farsi uscire la prima cattiveria che le fosse venuta in mente solo con lo scopo di allontanarlo di nuovo. «Se lo vuoi sapere, è scappato a gambe levate.» All’improvviso si ritrova a fissare una delle ultime persone che si aspettava di vedere. «Devi aver scagliato una gran bella fattura.» Le ci vogliono alcuni secondi per capire a cosa si stesse riferendo. Forse, pensò, aveva assistito alla fuga del giovane infermiere. Percepì il desiderio di giustificarsi, sia con Caél che con il povero ragazzo che aveva appena terrificato, dicendo che lei non era così. La Ninfadora Weasley che aveva mostrato al mondo negli ultimi anni non era quella reale, ma un surrogato, un prototipo creato a doc da lei stessa, una facciata che aveva deciso di mostrare pensando che così avrebbe sofferto meno. Ma non lo fece. Rimase in silenzio, sospirando, materializzando però nel volto quella che poteva sembrare un’espressione dispiaciuta. Guardò altrove mettendo a tacere una volta per tutte quella vocina che voleva discolparsi. «Ti va?» Si voltò quel tanto che bastava per vedere il giovane Cousland accendersi una sigaretta. Scosse la testa, incrociando le braccia al petto, nascondendo la maggior parte delle dita all’interno dei polsini. «No, grazie. Non fumo.» Ci aveva provato una volta, alla festa di compleanno di Lacey Danton. Aveva bevuto un po’ e Jennifer Carter l’aveva convinta a fare un paio di tiri. Si era ritrovata a tossire così tanto da pensare che un polmone le sarebbe uscito fuori da un momento all’altro. «Tu dov'eri, quando è successo?» Di nuovo quella sensazione. Una vertigine, un capogiro che la costringe a posare la mano sul corrimano in ferro della scala con un movimento fluido, cercando in tutti i modi di nascondere quella sensazione di stordimento che sembrava pervaderla. Ci pensa. Non lo sa, non se lo sa spiegare. «Logicamente non sei obbligata a rispondere. E' giusto per ammazzare il tempo, per capire un po' di più quello che sta succedendo. Io, come dicevo prima, ero al campus. Con me c'era una ragazza del corso di Erbologia e Pozionistica - Sunday Mortimer. Credo lavori da Magie Sinister.» Quando si era svegliata in ospedale non era stata avvertita subito di ciò che era successo. Era stato suo padre e dirglielo, prendendo il discorso con una cautela che Ninfadora non capiva. Le era stato detto anche di Olympia che era rimasta ferita, ma a quanto pareva adesso stava meglio. Avrebbe voluto scriverle, contattarla in qualsiasi modo, ma suo padre le aveva detto che ci avrebbe pensato lui a riferirle qualsiasi messaggio avesse per lei. Doveva riposarsi, questo le ripetevano continuamente i suoi genitori. Ninfadora non capiva. Si sentiva spossata, confusa e soffriva di ricorrenti emicranie, ma di sicuro non era stanca. Erano rare le ore in cui riusciva a prendere sonno, anche di notte. Poteva starsene lì tutto il tempo, a fissare il soffitto. Se si sforzava troppo di pensare il suo cuore cominciava a battere all’impazzata e il suo respiro a dimezzarsi. A quel punto doveva concentrarsi altrove. Di solito cominciava ad elencare ciò che vedeva intorno a lei. Un comodino, un vaso con dei fiori dentro. Una poltrona, una finestra con le tendine chiuse. Funzionava, ma non sapeva per quanto ancora lo avrebbe fatto. «Questo prima che si spargesse la Buiopesto.» Voltò lo sguardo quel tanto che bastava per guardarlo in faccia, cercando di decifrare la sua espressione. Qualsiasi cosa fosse stato non preannunciava niente di buono. Cosa sarebbe accaduto adesso? I superstiti si stavano leccando le ferite, ma quando sarebbe arrivato il pericolo vero e proprio? Il pensiero corse di nuovo alla sua famiglia. Comunque fosse andata, sarebbe voluta essere con loro. «Del resto ricordo ben poco, perché a un certo punto sono svenuto. Le ultime persone che ho visto prima di chiudere gli occhi sono state mia zia e due ragazze: Zelda Kane e... L'altra mi pare si chiami Artemis. Non la conosco, però, potrei sbagliarmi.»
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    Artemis?! I suoi occhi si spalancarono mentre il cuore le balzava in gola. Quante persone hanno un nome così singolare? «Hai detto.. Artemis?» la sua voce tremò appena nel pronunciare il nome della sua cara amica. «Bionda, longilinea, con gli occhi chiari…?» No.. Magari era un’altra “Artemis” «Sta bene?» chiese ancor prima che lui potesse risponderle. Oddio.. Oddio, oddio… Si accasciò al suolo, sedendosi su uno degli scalini, rannicchiando le ginocchia attorno alle quali avvolse le braccia. Non poteva pensare che le fosse accaduto qualcosa di male.. Prima Lympy, poi lei.. Era un dolore sincero quello che provava, profondo, che le si attorcigliava nello stomaco. Non poteva neanche pensare al fatto che tutte le persone a lei care fossero in pericolo.. Tutto ciò che desiderava era solo che fossero al sicuro. Avrebbe voluto chiuderli tutti in una stanza da riaprire solo a pericolo passato. E se non passerà? E se il pericolo imminente avrebbe cambiato per sempre il mondo che conosceva? Aveva il voltastomaco. Strinse gli occhi. Doveva esserci una via d’uscita.. Aveva il respiro superficiale che però andò piano piano a rallentare. L’aria fresca che le inondò i polmoni fu un inaspettato toccasana. Tu dov'eri, quando è successo? Poggiò il mento sulle ginocchia. Si accorse che si stava mordendo l’interno della guancia. «Io..» La sua voce si incrinò e la giovane fu costretta a schiarirsi la gola prima di poter continuare. Lo sguardo basso sulle scale di ferro, come se sperasse di trovare lì la risposta che cercava. «Io credo.. Immagino che mi trovassi già qui quando è successo, perché..» arricciò le labbra in una piccola smorfia «.. Perché la notizia di tutti gli attacchi mi è stata riportata da mio padre solo dopo che mi sono risvegliata..» Si strinse nelle spalle minute continuando a guardare giù. «Io..» si umettò le labbra, improvvisamente secche. «Io non.. Non ero al Ministero.. L’ultima cosa che ricordo è che mi trovavo nel mio ufficio..» Si, stavo scrivendo l’ennesimo stupido pezzo che mi era stato assegnato.. «Quella ragazza... Sarah.. Deve avermi per forza confusa con qualcun altro..» fu solo dopo quelle parole che si voltò verso Caél. «Tua.. Tua sorella sta bene?» Perchè si, magari io non c'ero, ma lei si..

     
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    «No, grazie. Non fumo.», non dice niente, Caél, in risposta. Si limita a fissare un punto imprecisato della promessa di orizzonte che si scorge attraverso la finestra. "Promessa" poiché, senza troppi giri di parole, al momento i due ragazzi sono impossibilitati a raggiungerla, quella lontanissima linea in cui terra e cielo finalmente si sfiorano. Dalle quattro mura del San Mungo, che attualmente li ospita entrambi, l'orizzonte resta incastonato in delle fotografie scattate con gli occhi, impalpabile ed effimero. Ma pur sempre esistente. Reale. Una promessa che li aspetta una volta dimessi dall'ospedale. Non resta che attendere. Fare i bravi. Recitare la parte. Accettare di buon grado il processo di guarigione e fingere che il segreto stia lì, in quelle sfuse medicine che vengono loro somministrate, nella chimica e nelle reazioni che innescano all'interno dell'organismo. Quando in realtà è ben più complesso. Ma questa opinione, Caél, si riserva di non condividerla - soprattutto col Guaritore che l'ha preso in cura. Né tanto meno con Simon. Li convincerebbe che non l'ho superata. Anche se, in fondo, come si supera la perdita di una mano? Il fatto che sia stata rattoppata come una pezza per ripulire una superficie? Il fatto che ci sia stata un'esplosione? Il fatto che sia in corso una guerra tra poveri - a prescindere da chi abbia torto o ragione -, quando nel giro di poco una minaccia ben più grande potrebbe abbattersi sull'intera popolazione magica? «Hai detto.. Artemis?», si ridesta dai propri ragionamenti, il Serpeverde, rivolgendo un'occhiata distratta a Dory. Il nome che ha pronunciato poc'anzi sembra averla in qualche modo attivata. «Bionda, longilinea, con gli occhi chiari? ... Sta bene?», inarca le sopracciglia, il signor Cousland. Non è affatto il momento di scherzare, ma il sarcasmo che ha in corpo protesta per venir fuori. «Credo di non aver fatto in tempo ad osservarla, con la Buiopesto in azione.», se ne pente quasi subito. Probabilmente la Weasley non merita questo trattamento, a maggior ragione in un momento di fragilità come quello. Ma Caél è il principe delle mancanze di rispetto. E' una lama che sprofonda nella carne proprio , dove già c'è una ferita. E' un veleno che uccide lentamente, mozzando il respiro proprio quando si crede che il pericolo sia cessato. E' un Cousland. «Sì. Sta bene. Ha Reinnervato alcuni di noi. Forse anche me.», prende un tiro dalla sigaretta. Lascia scivolare la cenere sul davanzale, osservando il vento spargerla via l'istante successivo. «S..», quando si volta, Dory è rannicchiata sugli scalini, la testa sprofondata tra le ginocchia. L'immagine di lei si sovrappone subito a quella di Maeve, nel bagno di casa di Cay, a Hogsmeade. Il suo pensiero vola a loro due, quel giorno, quell'ultimo giorno, dopo esser stati torturati dal Vecchio. La sofferenza, il dolore... E' troppo. Si mette a sedere anche lui, la sigaretta tra le labbra. Non sfiora la ragazza. Non una parola di conforto. Non ne possiede, Caél Cousland. E' partecipe della stessa forma di sentimento, identica, solo... Con una manifestazione diversa. E' tutto all'interno, in Cay. Il petto di Dory si alza e si abbassa alla velocità della luce, il suo, invece, resta di marmo. Ma sperimenta lo stesso turbinare di aria. Lo stesso sconvolgimento. «Io credo.. Immagino che mi trovassi già qui quando è successo, perché.. Perché la notizia di tutti gli attacchi mi è stata riportata da mio padre solo dopo che mi sono risvegliata.. Io non.. Non ero al Ministero.. L’ultima cosa che ricordo è che mi trovavo nel mio ufficio.. Quella ragazza... Sarah.. Deve avermi per forza confusa con qualcun altro..», gli occhi di ghiaccio di Caél rimangono fissi su una crepa del muro in procinto di allargarsi. Non vede più l'orizzonte, non da quella posizione, seduto sugli scalini al fianco della Grifondoro. Comincia a rimuginare sulle parole di lei, sul fatto che sembrino così vere e al contempo così... False. «Probabilmente è come dici tu.»,
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    si limita a risponderle. C'è comunque qualcosa che non lo convince, ma non è ancora convinto di volerla condividere con Dory. Forse la ragazza si sentirebbe soltanto peggio, dunque perché infierire? Però... A Caél sembra quasi di non essere corretto, nel tenersi dentro ciò che pensa. Come se la stesse privando di un tassello d'informazione magari banale, magari superfluo, ma pur sempre in possesso del Serpeverde. «Però..», inizia, fronteggiandola con lo sguardo. Legge un fremito in quello di lei. E' ancora in tempo per rimangiarsi tutto. Eppure sente di non doverlo fare. «Il gruppo di sostegno psicologico di Simon ha un orientamento a scopo preventivo e terapeutico del disturbo post-traumatico da stress. Hai sentito le storie degli altri, no?», perché credi che ci abbiano inseriti nella stessa seduta, Ninfadora Weasley?, «Chi in un modo, chi in un altro, abbiamo tutti vissuto... Direttamente, ed ha premura di sottolineare proprio quella parola, Caél, «- il... Trauma.», cerca di usare un tono conciliante, non accusatorio, non didattico, non insistente. E' semplicemente neutrale. Asettico. Gli riesce così bene, quando vuole... «Sicuramente, come hai detto tu stessa -», continua Cay, «- non ti trovavi al Ministero. Ma... Già qui? Possibile... Ma, forse..», spegne il mozzicone della sigaretta su uno dei gradini. «- è solo un'ipotesi, chiaramente. Però... Forse semplicemente non ricordi.», magari devi ancora elaborare il trauma. Dicono siano piuttosto frequenti le perdite di memoria associate. A volte sono solo transitorie, a volte... Più durature. «Potresti esser svenuta ed aver battuto la testa.», per quanto ne sappiamo, potresti esserti trovata persino ad Hogsmeade, in quella stessa esplosione in cui ho perso la mano. A meno che non sia vero ciò che dici: ti trovavi nel tuo ufficio, per un motivo che ancora non ricordi sei... svenuta? - e ti hanno poi inserita nello stesso gruppo di sostegno dei "superstiti" alla battaglia, snodatasi in diversi punti focali tra cui, appunto, Hogsmeade e il Ministero, per... Pura casualità. «Tua.. Tua sorella sta bene?», è in quell'istante che Cay rimane come pietrificato. Sua sorella. Maeve. Come spiegare ciò che prova? Non ha sue notizie da giorni. Dopo... Dopo quell'incontro con suo nonno... I Guaritori hanno ritenuto fosse meglio, per lui, non ricevere visite. E interrompere i contatti col resto del mondo per un po'. Non c'è stato bisogno di sequestrare il suo cellulare, l'hanno semplicemente smagnetizzato. Solo per un po', Caél, è meglio così. E' meglio se ti riprendi gradualmente, senza ricevere troppi stimoli dal mondo esterno... Temiamo un sovraccarico. Hanno giustificato la loro scelta in questo modo. E Caél, troppo debole per ribattere, ancora chiuso nel proprio mutismo ostinato, non ha fiatato. Fondamentalmente: che sua zia o Maeve abbiano provato a visitarlo, che abbiano provato a contattarlo... questo, il giovane Cousland, non può saperlo. «Sta bene.», taglia corto, ripetendo le parole di Sarah. E così mente. Si aggrappa ad una speranza. Ad una consapevolezza che non ha.
     
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    Seduta sui gradini di ferro delle scale mobili, Dory Weasley aspetta. Attende che le venda detto che quella Artemis sia la sua Artemis, attende di sapere come sta, attende solo di sentirsi dire che è al sicuro. Tutto intorno a lei stava crollando. Era come essere prigioniera in un castello di sabbia preso di mira da qualche ragazzino dispettoso. Provava a non farlo cadere, ma i granelli le scivolavano via dalle dita senza neanche darle il tempo di capire cosa stesse succedendo. Si perché di cose da capire ce ne erano tante. Mai come allora la sua mente era stata tanto sgombra e allo stesso tempo colma di domande. Lei che aveva sempre amato la logica e la razionalità si stava trasformando in un controsenso vivente. «Credo di non aver fatto in tempo ad osservarla, con la Buiopesto in azione.» Il suo labbro inferiore trema appena, come se l’ennesima scossa avesse fatto di nuovo tremare le fondamenta. Stava scivolando via. Lo dimostrava il fatto che fino a qualche settimana prima non ci avrebbe messo più di due secondi a rispondere a tono al giovane Cousland. Ora, invece, si stava solo concentrando per impedire al suo cuore di battere così tanto da uscirle fuori dal petto. Una parte di lei vorrebbe alzarsi e andarsene, non prima di aver detto a Caél che non aveva intenzione di perdere altro tempo dietro le sue battute taglienti e le sue battute. Non sapeva neppure lei stessa di cosa aveva bisogno. Si sentiva stanca eppure desiderava con tutta sé stessa mettersi a correre finché le gambe non fossero cedute, finché il dolore ai piedi non si sarebbe fatto insopportabile da costringerla a fermarsi. Voleva dormire, voleva stare sveglia. Desiderava partire lontano ma anche starsene al sicuro dentro la sua cameretta. Si sentiva piccola, infantile perché mentre tutto intorno mutava, lei restava immobile. Le persone stavano andando avanti, lottavano per ciò che avevano di caro in questa Terra, vivevano la loro vita arricchendola giorno dopo giorno di nuove esperienze. Lei continuava a vivere in quel limbo dove l’unica compagnia era il fantasma del suo fidanzato morto. Valeva la pena vivere in quello stato? «Sì. Sta bene. Ha Reinnervato alcuni di noi. Forse anche me.» Quelle parole ebbero l’effetto di un unguento fresco spalmato sopra una scottatura. Chiuse gli occhi mordendosi di poco le labbra, come se si stesse concentrando con tutta sé stessa per non scoppiare a piangere. Stava bene. Artemis stava bene. Era salva. E anche Lympy sarebbe stata meglio. Tutto si sarebbe risolto. Un barlume di luce, una luna infondo al pozzo. Respira. Quando riapre gli occhi Caél è seduto accanto a lei. Lo vede con la coda dell’occhio, ma non si gira a guardarlo. E’ strano come due persone che fino a poco fa probabilmente si detestavano, ora riuscissero a parlare civilmente. Forse è vero ciò che si dice, che il dolore avvicina le persone e può persino far diventare quasi amici due zucconi come loro. Caspita. Si era appena definita “quasi amica” di Caél Cousland. Forse stava impazzendo davvero. «Probabilmente è come dici tu.» Probabilmente? Si voltò a guardarlo, gli occhi leggermente spalancati, la pelle pallida, le labbra dischiuse come se fosse sul punto di dire qualcosa, come se fosse sul punto di dichiararsi innocente davanti ad una giuria che sospettava di lei. «Però..» Si ritrova a guardarlo ed ha paura. Paura che le possa leggere dentro il suo stesso terrore, un terrore che non sapeva neppure lei da dove provenisse. «Il gruppo di sostegno psicologico di Simon ha un orientamento a scopo preventivo e terapeutico del disturbo post-traumatico da stress. Hai sentito le storie degli altri, no? Chi in un modo, chi in un altro, abbiamo tutti vissuto... Direttamente il... Trauma.» Vivere direttamente il trauma. Disturbo post-traumatico. Aveva sentito quelle parole uscire dalla bocca della sua psicoterapeuta un sacco di volte. Come spiegarlo però a Caél Cousland? Come esporre che con molte probabilità era quello il motivo che l’aveva portata a perdere i sensi e ad essere inserita in quel gruppo? Il suo trauma proveniva da lontano e ancora non sembrava essere lontanamente superato. «- è solo un'ipotesi, chiaramente. Però... Forse semplicemente non ricordi. Potresti esser svenuta ed aver battuto la testa.» Abbassa lo sguardo, puntandolo sulla punta delle scarpe. Quando si era svegliata anche lei aveva pensato a quella soluzione, per questo aveva ispezionato ogni centimetro della sua pelle, con estrema attenzione, cauta di non perdersi alcuna minuzia. Per quanto sembrasse verosimile aveva dovuto prendere per buona la versione che le avevano raccontato i suoi genitori poiché, a suo parere, loro non avrebbero mai potuto mentirle. A forza di ripetersi nella mente quella storia era quasi certa di ricordarsi del momento in cui era crollata, seduta dietro alla scrivania. Era certa che fosse un ricordo e non qualcosa che la sua mente aveva creato per tranquillizzarla. «Sta bene.» Sta bene. Sentì chiaramente la sua anima alleggerirsi. Annuì, prima di tornare a guardare davanti a sé. Non poteva dire di conoscere Maeve molto bene. Le aveva sempre dato l’idea di essere una ragazza in gamba, che sapeva il fatto suo, ma non ci aveva mai scambiato troppe parole. Eppure sapere che qualcun altro stava bene era un sollievo. Chiusi in quelle mura avevano bisogno anche di quello: di sapere che le persone a cui volevano bene erano al sicuro. Era qualcosa di importante, non sottovalutabile, che leniva la loro mente. Posò le braccia sopra le ginocchia, incrociando le dita, massacrandosi le unghie, osservando quanto poco sembrassero curate in quel momento, con lo smalto che mancava a chiazze. Si morse le labbra, chiedendosi se stesse per fare la cosa giusta. Forse non ci aveva rimuginato abbastanza, forse invece ci stava pensando troppo. Non capiva perché si stesse per aprire con Caél Cousland, fatto sta che quando realizza ciò che sta dicendo è troppo tardi, ma non fa nulla per fermarsi. E’ come un fiume in piena. «Si chiamava Garth.» Comincia così, continuando a massacrarsi le dita. E’ una confessione, come quella che farebbe ad un prete. Eppure, i suoi rapporti con Caél non sono mai stati proprio amichevoli. Forse sta sbagliando. Non sta cercando di giustificarsi, è come se parlasse a voce alta per riordinare le idee. Sapeva che se avesse voluto il giovane Cousland avrebbe potuto usare quelle informazioni come voleva. Nonostante gli avesse dato più volte del pallone gonfiato e tutto il resto, voleva sperare che non si sarebbe dimostrato così meschino. «Non fu affatto quell’amore a prima vista di cui si vede nei film.. Mi dava ripetizioni di Rune Antiche.» Non che andasse male, ma era l’unica materia -insieme a Divinazione- nella quale sembrava poco portata. «Era divertente, spontaneo, generoso. Voleva fare il Medimago.» Un piccolo sorriso si dipinse nelle sue labbra, ricordando. «Alla prima uscita mi portò al Luna Park. Scoprimmo che odiavamo entrambi le montagne russe e avevamo accettato di farle solo perché pensavamo che all’altro piacessero.» Qualcosa di simile ad una risatina le salì su per la gola. Ci fu una pausa più lunga prima di continuare.
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    «Stavamo insieme da quattro anni quando scoppiò il Lockdown. Lui era solo un tirocinante ma l’avevano reclutato ad aiutare al San Mungo. Io lì facevo volontariato.» La sua voce tremò appena. «Era mattina. Garth aveva finito il turno di notte. Era uscito dall’ospedale quando.. Quando si ritrovò coinvolto in una di quelle rivolte che scoppiavano di continuo.. » Chiuse gli occhi. Le grida. Le grida della gente che si mescolavano con le proprie nel momento in cui lo vide steso a terra. «Non ci fu niente da fare. Se ne andò dopo tre giorni.» Forse non aveva mai parlato così tanto neppure con la sua psicoterapeuta. A quel punto non sapeva come continuare. La sua mente continuava a correre a quel momento. Si era domandata spesso se avrebbe potuto fare di più. Si era domandata più volte se le cose sarebbero andate diversamente se quel giorno fosse uscita prima. «Poco dopo mi fu diagnosticato un disturbo post-traumatico.» ed eccolo là «Sono in cura da quel momento. Immagino sia questo il motivo per cui sono stata inserita in questo gruppo, Caél.» Immagino sia perché non riesco ad andare avanti. Aveva finito la sua confessione. Non si era ancora resa conto di ciò che aveva fatto. La verità era che le sembrava di sentirsi un poco più leggera.

     
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    Quell'anno avevano indetto un Certamen scolastico. Si trattava di premiare il miglior studente in Storia della Magia. Ad ogni modo, se così posta sarebbe potuta sembrare quasi una gara a chi ne sapesse di più sulle rivolte dei Troll e sulle faide tra maghi e Mezzi-Giganti, o ancora un torneo a punti a chi ricordasse più date correttamente. L'obiettivo, al contrario, era quello di invogliare gli alunni a internalizzare realmente la Storia della Magia, a farla propria e a trarne delle considerazioni e dei progetti utili per il sociale - a tal proposito, la si sarebbe potuta considerare più una gara di scienze magipolitiche che non altro. Sarebbe stato eletto vincitore lo studente più meritevole - nei termini in cui fosse riuscito a convincere la giuria col proprio carisma e con l'utilità delle proprie idee. La professoressa Mailer era fermamente convinta che Caél Cousland, giovane stella dei Serpeverde, avrebbe vinto a mani basse, senza competizione alcuna. A Cay, suo pupillo, faceva molto ridere quella presa di posizione, ma ne era altresì lusingato. Alla fine, benché su settantatré partecipanti - per altro tra i migliori studenti del castello di Hogwarts, la gran parte dei quali agli ultimi anni -, il primogenito Cousland era arrivato terzo, portando a casa una medaglia di bronzo. Sul podio - insieme a lui ma sui gradini più alti - il progetto vincitore sulle magi-energie sostenibili e il progetto quasi vincitore sulla realizzazione di ambienti destinati a un confronto tra comunità diverse, per trovare degli accordi e migliorare sul fronte delle relazioni inter-culturali. Lui, terzo. Non che ne fosse dispiaciuto: anzi, ne era abbastanza soddisfatto. Aveva solo quattordici anni e nessuna intenzione di agire da paraculo, come invece accaduto nel caso di Stephan Doney - il vincitore, che nel dietro le quinte aveva persino giurato che a lui, di smaltire i rifiuti con la differenziata o incenerire tutto a casaccio, proprio non gliene importava - e di Carl Brenner - il secondo, promotore di un miglioramento dei rapporti tra realtà diverse e, parallelamente, primo fautore della guerriglia tra casate, da Grifondoro convinto della propria supremazia. Quanto meno, Cay, nel progetto di potenziamento dei trasporti magici, finalizzati a connettere in modo rapido, sicuro ed efficace siti anche irrimediabilmente distanti, ci credeva veramente. Anni dopo, per l'appunto, avrebbe avuto ragione. Ma i suoi genitori non la pensavano allo stesso modo, e il capostipite Coriolanus Cousland, suo nonno, ancora meno. Credo di non aver mai subito un'umiliazione più profonda di questa in vita mia. Farti surclassare da quella feccia della famiglia Brenner! - luridi Mezzosangue difficilmente in grado di mettere insieme una frase di senso compiuto. Se un individuo del genere è in grado di superarti, Caél, vuol dire che non sarai mai niente, nella vita. Rabbrividisco al pensiero che i tuoi genitori ti abbiano lasciato sulle spalle il mio cognome. Non saresti degno dei Brenner, ancor meno dei Doney, figuriamoci dei Cousland. Coriolanus l'aveva Cruciato perché non aveva vinto quella sciocchezza di premio scolastico. L'aveva umiliato, l'aveva fatto dubitare di se stesso. Gli aveva tolto tutto ciò che aveva al mondo - carisma, capacità, dialettica - in un solo semplice rimprovero. L'aveva privato di ogni parola e di ogni forza, l'aveva reso impotente. Gli aveva impedito di combattere. Finché Cay non aveva messo un punto a quel macabro capitolo della propria vita. [...] « Si chiamava Garth. Non fu affatto quell’amore a prima vista di cui si vede nei film.. Mi dava ripetizioni di Rune Antiche. Era divertente, spontaneo, generoso. Voleva fare il Medimago. Stavamo insieme da quattro anni quando scoppiò il Lockdown. », lo sguardo di Cay si posa sulla figura di Dory. La vede rimpicciolirsi. Rimpicciolirsi dietro il peso di ciò che sta per svelare. La vede e riconosce la terribile sensazione di sentirsi fuori luogo, privato di qualcosa. Nel caso di Dory, della colonna portante della propria vita. Il suo ragazzo, Garth, che amava davvero. « Era mattina. Garth aveva finito il turno di notte. Era uscito dall’ospedale quando.. Quando si ritrovò coinvolto in una di quelle rivolte che scoppiavano di continuo.. Non ci fu niente da fare. Se ne andò dopo tre giorni ». Nel caso di Cay, invece, se stesso. Sa poco del significato di un disturbo post-traumatico da stress, delle cause scatenanti e dei rimedi da mettere sul piatto. Ipotizza non esista una vera e propria medicina, una formula magica da inghiottire affinché le ansie si dissipino e i pensieri cattivi scompaiano. E pur riconoscendone i segni nella Weasley - quel profondo malessere che rende difficoltoso riuscire a fidarsi di un'altra persona, riuscire a reagire, a vincere le proprie paure - è abbastanza sicuro che lei possa farcela. «Sono in cura da quel momento. Immagino sia questo il motivo per cui sono stata inserita in questo gruppo, Caél.», preferisce non insistere, il Serpeverde, benché dal proprio punto di vista sia perfettamente consapevole non sia quello il motivo per cui abbiano inserito la Weasley nel suo stesso gruppo di sostegno.
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    Ci hanno messi insieme perché abbiamo subito un trauma comune, lo stesso: quello di tre giorni fa. Se tu dici di non esser stata presente in nessuno dei punti nevralgici della guerriglia, evidentemente c'è un problema, c'è qualcosa sotto. Preferisce, al contrario, rispondere alle confidenze di Dory. Nel proprio unico ed irripetibile modo brutale di fare. «Parli di Garth come di un ragazzo divertente e generoso.», e su questo non si sente di ribattere. Non lo conosceva. Conosce poco anche Dory, figuriamoci Garth. «Ritieni che lui pensasse le stesse cose di te? Che ti percepisse come coraggiosa, gentile, autentica?», continua Caél. Anche lui, come la Grifondoro poco prima, è adesso un fiume in piena. «Cosa credi penserebbe, adesso, vedendoti fuggire da un confronto alla prima difficoltà? Vedendoti scappare nelle scale di servizio del Centro di igiene mentale anziché sostenere una discussione? Vedendoti soffrire per la sua memoria?», se Garth era davvero la persona che dici, non avrebbe voluto questo per te. «E tu? Avresti voluto questo per lui? Che fosse in cura perché ancorato al tuo ricordo, alla tua memoria? Credevo fossi meno egoista di così.», forse è molto più che brutale, adesso, Cay. Ma gli importa ben poco. Non gli importa di essere odiato, di essere considerato il veleno che in effetti è. Non gli importa di essere odiato, perché tanto non può più essere salvato. Ma gli altri possono reagire. Dory può ancora farlo. Ed è con quell'idea in testa che scivola via, lasciandola sola come lui stesso è. Lasciandola a confrontarsi con la propria battaglia, lasciandola a cercare la luce senza la propria presenza, irrimediabilmente buia.
     
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