Through the wire

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  1. expecto patronum.
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    E’ buio, incredibilmente buio. C’è un forte vento che le fa pizzicare la pelle come se fosse cosparsa da centinaia di microscopici aghi. Le fa male la testa. Forse sta correndo, forse è immobile, non riesce a capirlo. Qualcosa le preme il petto con forza insolita, come se volesse toglierle il respiro, come se volesse soffocarla. Ha paura, una paura incondizionata capace di mandare in frantumi ogni sua ragione, ogni suo ragionamento razionale e sensato. Ha paura, paura e basta, paura come non ne ha mai avuta prima. « Weasley! Sveglia! » Qualcuno grida. Ha già sentito quella voce, ma non ricorda dove né in quali circostanze. « Noi contavamo su di te! Il piano è saltato. » NO! BASTA! E’ insopportabile. Apre la bocca per gridare ma non ne esce alcun suono. Dove ha sentito quelle parole? Perché ce l’hanno con lei? Un flash: l’atrio del Ministero. Le scoppia la testa. Chiude gli occhi o almeno crede di farlo: non c’è differenza, è sempre buio. Hai sbagliato, Dory, hai sbagliato tutto! Perché mai dovresti combinarne una giusta? Non sei in grado di reagire. In questi anni sei stata capace solo di autocommiserarti, guardando il prossimo dall’alto di un piedistallo per poi piangere in camera tua, da sola. Hai sbagliato, Dory, hai sbagliato tutto! « La notizia si sta diffondendo troppo velocemente. Ma che cosa hai combinato? Cristo santo ti sei messa a fare salotto in mezzo all'atrio invece di seguire gli ordini? » Si preme le mani nelle orecchie, ma la voce è dentro la sua testa e non riesce a farla stare zitta. BASTA, BASTA, BASTA! Grida ancora, in silenzio. Sente le lacrime rigarle il viso. Hai deluso tutti. I tuoi compagni, la tua famiglia. Sei solo una delusione per loro. « Se le cose dovessero andare storto le loro vite saranno anche sulla tua coscienza. » Preme le mani sulle orecchie, ancora più forte, ancora più forte, ma non percepisce dolore. Lo desidera più di qualsiasi altra cosa, per distrarsi, per concentrarsi su esso, per ricevere una sorta di catarsi, una purificazione che le avrebbe fatto espiare i suoi peccati. Ma la verità era che non sentiva assolutamente nulla. Poi, una voce. Non era come la voce precedente, non era confinata solo nella sua testa ed inoltre la conosceva perfettamente. Papà! «E’ la soluzione migliore, Herm.. Non può continuare così..» Herm? C’era anche sua madre lì? Non riusciva a vederli. Era ancora buio. «Forse non abbiamo riflettuto abbastanza.. Forse c’è qualcos’altro che possiamo fare..» Sua madre singhiozzò. Avrebbe voluto dirle di non piangere, avrebbe voluto rassicurarla che stava bene, che non sentiva dolore, ma ancora una volta si rese conto di non riuscire a parlare. «Sta male da troppo tempo, tesoro.. Le sedute dalla psichiatra, le medicine.. Non sono servite a nulla. Non ci resta che questo..» Sua madre singhiozzò. Avrebbe voluto abbracciarla, dirle che le dispiaceva, che stava bene e che non doveva preoccuparsi. No, mamma, ti prego.. «Possiamo procedere, signori Weasley?» Mamma.. Cosa succede? «Ci assicurate che.. Che non subirà cambiamenti?» «Certamente, signora. Dimenticherà solo ciò che abbiamo stabilito.. Il resto non verrà intaccato..» Dimenticare? Cosa significava? Mamma, ho paura! Dimenticare.. «Va bene..» Silenzio. «Dottore.. Procedete pure..» Aveva il respiro corto. Le mancava l’aria. Avrebbe voluto correre via, lontano, ma il suo corpo non rispondeva. No. Vi prego, basta. Forse aveva capito, ma continuava a ripetersi che non poteva essere vero. FERMI, PERFAVORE. Ma prima che potesse anche solo pensare altro un’altra voce parlò per la prima volta, pronunciando una sola ed irrimediabile parola. «Oblivion.»
    [...] Galleggia. Sta sognando, o forse no. Il suo corpo è composto di elio. Fluttua in aria come sollevata da una brezza gentile. Non sa dove si trova. Sembra un luogo senza spazio e senza tempo. Non si fa domande. Sta sognando e nei sogni nessuno si fa troppe domande. Sta bene, di questo ne è certa. Non prova dolore, né fisicamente né a livello mentale. La sua mente è sgombra di ogni preoccupazione e pensiero. Sorride. Sta bene. Si sente bene.
    [...] Quando si era svegliata i suoi genitori l’avevano abbracciata e ricoperta di baci. Si era sentita stranita, come se avesse dormito troppo a lungo o troppo poco. Le avevano spiegato che aveva avuto un mancamento al lavoro. Un calo di zuccheri, così avevano sostenuto i dottori. La spiegazione sul perché si trovasse al CIM era stata altrettanto naturale: aveva vissuto un momento molto stressante al lavoro che accumulato ad una tensione non ancora chiarita l’aveva portata ad una perdita di coscienza. Le era sembrato un chiarimento plausibile, seppur non ricordasse cosa stava facendo esattamente prima di perdere i sensi. Era normale, così le avevano detto. Il dottor Jenkins era un uomo dall’aspetto rassicurante e la voce gentile. Aveva degli occhialetti rotondi che tendevano a scivolargli sulla punta del naso. Oltre ad un piano alimentare dovuto ad un’importante perdita di peso avuta nei mesi scorsi, le aveva consigliato di partecipare ad una seduta di gruppo. Reduce degli anni in terapia, inizialmente Dory aveva rifiutato, ma poi anche sotto consiglio dei suoi genitori aveva deciso di accettare. Aveva messo piede dalla stanza per la prima volta, avvolta in un paio di pantaloni della tuta ed un golf decisamente troppo grande per lei. Una infermiera l’aveva accompagnata dove si sarebbe tenuta la terapia e l’aveva invitata a sedersi in una di quelle poltroncine poste lungo
    il perimetro della stanzetta. Ubbidì, ringraziando la donna, sentendosi come se l’aria nella stanza fosse rarefatta e lei facesse sempre più fatica a respirare. «Ciao. Immagino tu sia Ninfadora.» Linguaggio amichevole, schema informale. Probabilmente pensavano fosse un modo per invogliare la gente ad aprirsi. «Dory. Dory va bene.» annuì la ragazza, sorridendo impercettibilmente all’uomo seduto poco lontano da lei. Strofinò i palmi delle mani tra di loro, come faceva spesso per alleggerire la tensione. «Benvenuta, Dory. Io sono Simon.»
    [...] Aveva mantenuto lo sguardo basso per tutta la seduta, gli occhi sulle sue mani leggermente coperte dalle maniche del maglione. Si concentrava prima su un microscopico dettaglio, poi su un altro. Il chiacchiericcio intorno a lei non era altro che un brusio di sottofondo. Si destò solo quando sentì chiamare il suo nome. Alzò lo sguardo, come una studentessa colta in fragrante a pensare ad altro durante la lezione. «Dory? Vuoi condividere qualcosa con noi?» La giovane Weasley spalancò gli occhioni color nocciola, assorbendo la domanda, per poi scuotere la testa stirando un sorriso sulla faccia. «Oh, no.. Grazie. Sto.. Sto bene così...» Cercò di apparire sincera mentre si sforzava di sorridere a Simon che annuì, inaspettatamente. Sembrava aver poco a che fare con quella asfissiante della sua psichiatra. O forse era solo una tattica. Fu allora che lo vide. Fu quasi per caso, uno sguardo sfuggente prima di ritornare a guardarsi le dita. Cosa ci faceva lì Caél Cousland? Si guardarono, in silenzio, come se entrambi volessero chiedersi cosa diamine ci facessero lì, ma non avessero il coraggio di farlo. O forse non era questione di coraggio. Forse, semplicemente, stavano cercando entrambi di mantenere un minimo di orgoglio anche in una situazione come quella. Parevano due cani randagi che ora si trovavano a dover condividere la stessa gabbia. Entrambi feriti, forse spaventati. Si, Dory lo era. Spaventata Ancora una volta aveva l’impressione di mostrare a qualcuno una parte troppo vulnerabile di sé. Restò immobile, perciò, fingendo che non fosse successo assolutamente niente, riprendendo a guardarsi le mani. Eppure non poté fare a meno di percepirlo, come un’aura che si avvicinava, passo dopo passo, facendosi sempre più concreta. Prima che se ne rendesse conto, Caél le sedeva accanto. «Riesci a reggerlo?» Adesso si sta guardando le unghie, lo smalto color rosa pallido scheggiato. Le era stato tolto nel dito anulare, lì dove avevano attaccato un macchinario per monitorare i suoi parametri. Riesci a reggerlo? Se quelle parole significavano “Riesci a leggere tutto questo solo per un calo di zuccheri?” avrebbe risposto di “no” immediatamente. «Stare seduta a parlare diligentemente di quello che ti è successo?» Alza lo sguardo, puntandolo davanti a sé, lì dove Simon, circondato da un gruppetto di persone, sta parlando a voce bassa. Potrebbe giurare di averlo visto lanciare qualche occhiata nella loro direzione. «Oppure è una tua scelta?» Una tua scelta.. Dove ti hanno portata le tue scelte, eh, Dory? Da nessuna parte. Fu allora che si voltò, guardandolo finalmente in faccia. Non era il Caél che aveva visto a Braies, seppur nei suoi occhi ci fosse ancora traccia di quest’ultimo. Che cosa gli era successo? Dubitava che glielo avrebbe detto. «Bhé, poiché le mie scelte non mi hanno portata molto lontano, ho pensato che dando retta a qualcun altro forse sarebbe andata meglio.» si strinse nelle spalle minute, usando un tono tranquillo, come se quella osservazione fosse la cosa più normale del mondo. Interrompere le sedute dalla psichiatra, smettere di assumere i giusti farmaci, evitare le persone. A quanto pare si erano rilevate opzioni sbagliate. «Ho ancora troppe poche informazioni per stabilire se sia stata o no una stupidaggine.» piegò la testa di lato, guardando Caél con un sorriso stirato. Forse intendeva farlo sorridere, ma non era brava con certe cose. «Credi che ci lasceranno mai in pace o finché saremo qui cercheranno in ogni modo di tirarci fuori qualche racconto strappalacrime per ritenersi finalmente soddisfatti del loro lavoro?» fece un cenno della testa verso Simon che continuava a gettar loro fugaci occhiate. «Perché se così fosse potrei mettere a prova la mia fantasia e dar loro qualcosa che li faccia dormire sereni stanotte..» Scherzava, era chiaro. O forse no.
     
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