Through the wire

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  1. expecto patronum.
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    Seduta sui gradini di ferro delle scale mobili, Dory Weasley aspetta. Attende che le venda detto che quella Artemis sia la sua Artemis, attende di sapere come sta, attende solo di sentirsi dire che è al sicuro. Tutto intorno a lei stava crollando. Era come essere prigioniera in un castello di sabbia preso di mira da qualche ragazzino dispettoso. Provava a non farlo cadere, ma i granelli le scivolavano via dalle dita senza neanche darle il tempo di capire cosa stesse succedendo. Si perché di cose da capire ce ne erano tante. Mai come allora la sua mente era stata tanto sgombra e allo stesso tempo colma di domande. Lei che aveva sempre amato la logica e la razionalità si stava trasformando in un controsenso vivente. «Credo di non aver fatto in tempo ad osservarla, con la Buiopesto in azione.» Il suo labbro inferiore trema appena, come se l’ennesima scossa avesse fatto di nuovo tremare le fondamenta. Stava scivolando via. Lo dimostrava il fatto che fino a qualche settimana prima non ci avrebbe messo più di due secondi a rispondere a tono al giovane Cousland. Ora, invece, si stava solo concentrando per impedire al suo cuore di battere così tanto da uscirle fuori dal petto. Una parte di lei vorrebbe alzarsi e andarsene, non prima di aver detto a Caél che non aveva intenzione di perdere altro tempo dietro le sue battute taglienti e le sue battute. Non sapeva neppure lei stessa di cosa aveva bisogno. Si sentiva stanca eppure desiderava con tutta sé stessa mettersi a correre finché le gambe non fossero cedute, finché il dolore ai piedi non si sarebbe fatto insopportabile da costringerla a fermarsi. Voleva dormire, voleva stare sveglia. Desiderava partire lontano ma anche starsene al sicuro dentro la sua cameretta. Si sentiva piccola, infantile perché mentre tutto intorno mutava, lei restava immobile. Le persone stavano andando avanti, lottavano per ciò che avevano di caro in questa Terra, vivevano la loro vita arricchendola giorno dopo giorno di nuove esperienze. Lei continuava a vivere in quel limbo dove l’unica compagnia era il fantasma del suo fidanzato morto. Valeva la pena vivere in quello stato? «Sì. Sta bene. Ha Reinnervato alcuni di noi. Forse anche me.» Quelle parole ebbero l’effetto di un unguento fresco spalmato sopra una scottatura. Chiuse gli occhi mordendosi di poco le labbra, come se si stesse concentrando con tutta sé stessa per non scoppiare a piangere. Stava bene. Artemis stava bene. Era salva. E anche Lympy sarebbe stata meglio. Tutto si sarebbe risolto. Un barlume di luce, una luna infondo al pozzo. Respira. Quando riapre gli occhi Caél è seduto accanto a lei. Lo vede con la coda dell’occhio, ma non si gira a guardarlo. E’ strano come due persone che fino a poco fa probabilmente si detestavano, ora riuscissero a parlare civilmente. Forse è vero ciò che si dice, che il dolore avvicina le persone e può persino far diventare quasi amici due zucconi come loro. Caspita. Si era appena definita “quasi amica” di Caél Cousland. Forse stava impazzendo davvero. «Probabilmente è come dici tu.» Probabilmente? Si voltò a guardarlo, gli occhi leggermente spalancati, la pelle pallida, le labbra dischiuse come se fosse sul punto di dire qualcosa, come se fosse sul punto di dichiararsi innocente davanti ad una giuria che sospettava di lei. «Però..» Si ritrova a guardarlo ed ha paura. Paura che le possa leggere dentro il suo stesso terrore, un terrore che non sapeva neppure lei da dove provenisse. «Il gruppo di sostegno psicologico di Simon ha un orientamento a scopo preventivo e terapeutico del disturbo post-traumatico da stress. Hai sentito le storie degli altri, no? Chi in un modo, chi in un altro, abbiamo tutti vissuto... Direttamente il... Trauma.» Vivere direttamente il trauma. Disturbo post-traumatico. Aveva sentito quelle parole uscire dalla bocca della sua psicoterapeuta un sacco di volte. Come spiegarlo però a Caél Cousland? Come esporre che con molte probabilità era quello il motivo che l’aveva portata a perdere i sensi e ad essere inserita in quel gruppo? Il suo trauma proveniva da lontano e ancora non sembrava essere lontanamente superato. «- è solo un'ipotesi, chiaramente. Però... Forse semplicemente non ricordi. Potresti esser svenuta ed aver battuto la testa.» Abbassa lo sguardo, puntandolo sulla punta delle scarpe. Quando si era svegliata anche lei aveva pensato a quella soluzione, per questo aveva ispezionato ogni centimetro della sua pelle, con estrema attenzione, cauta di non perdersi alcuna minuzia. Per quanto sembrasse verosimile aveva dovuto prendere per buona la versione che le avevano raccontato i suoi genitori poiché, a suo parere, loro non avrebbero mai potuto mentirle. A forza di ripetersi nella mente quella storia era quasi certa di ricordarsi del momento in cui era crollata, seduta dietro alla scrivania. Era certa che fosse un ricordo e non qualcosa che la sua mente aveva creato per tranquillizzarla. «Sta bene.» Sta bene. Sentì chiaramente la sua anima alleggerirsi. Annuì, prima di tornare a guardare davanti a sé. Non poteva dire di conoscere Maeve molto bene. Le aveva sempre dato l’idea di essere una ragazza in gamba, che sapeva il fatto suo, ma non ci aveva mai scambiato troppe parole. Eppure sapere che qualcun altro stava bene era un sollievo. Chiusi in quelle mura avevano bisogno anche di quello: di sapere che le persone a cui volevano bene erano al sicuro. Era qualcosa di importante, non sottovalutabile, che leniva la loro mente. Posò le braccia sopra le ginocchia, incrociando le dita, massacrandosi le unghie, osservando quanto poco sembrassero curate in quel momento, con lo smalto che mancava a chiazze. Si morse le labbra, chiedendosi se stesse per fare la cosa giusta. Forse non ci aveva rimuginato abbastanza, forse invece ci stava pensando troppo. Non capiva perché si stesse per aprire con Caél Cousland, fatto sta che quando realizza ciò che sta dicendo è troppo tardi, ma non fa nulla per fermarsi. E’ come un fiume in piena. «Si chiamava Garth.» Comincia così, continuando a massacrarsi le dita. E’ una confessione, come quella che farebbe ad un prete. Eppure, i suoi rapporti con Caél non sono mai stati proprio amichevoli. Forse sta sbagliando. Non sta cercando di giustificarsi, è come se parlasse a voce alta per riordinare le idee. Sapeva che se avesse voluto il giovane Cousland avrebbe potuto usare quelle informazioni come voleva. Nonostante gli avesse dato più volte del pallone gonfiato e tutto il resto, voleva sperare che non si sarebbe dimostrato così meschino. «Non fu affatto quell’amore a prima vista di cui si vede nei film.. Mi dava ripetizioni di Rune Antiche.» Non che andasse male, ma era l’unica materia -insieme a Divinazione- nella quale sembrava poco portata. «Era divertente, spontaneo, generoso. Voleva fare il Medimago.» Un piccolo sorriso si dipinse nelle sue labbra, ricordando. «Alla prima uscita mi portò al Luna Park. Scoprimmo che odiavamo entrambi le montagne russe e avevamo accettato di farle solo perché pensavamo che all’altro piacessero.» Qualcosa di simile ad una risatina le salì su per la gola. Ci fu una pausa più lunga prima di continuare.
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    «Stavamo insieme da quattro anni quando scoppiò il Lockdown. Lui era solo un tirocinante ma l’avevano reclutato ad aiutare al San Mungo. Io lì facevo volontariato.» La sua voce tremò appena. «Era mattina. Garth aveva finito il turno di notte. Era uscito dall’ospedale quando.. Quando si ritrovò coinvolto in una di quelle rivolte che scoppiavano di continuo.. » Chiuse gli occhi. Le grida. Le grida della gente che si mescolavano con le proprie nel momento in cui lo vide steso a terra. «Non ci fu niente da fare. Se ne andò dopo tre giorni.» Forse non aveva mai parlato così tanto neppure con la sua psicoterapeuta. A quel punto non sapeva come continuare. La sua mente continuava a correre a quel momento. Si era domandata spesso se avrebbe potuto fare di più. Si era domandata più volte se le cose sarebbero andate diversamente se quel giorno fosse uscita prima. «Poco dopo mi fu diagnosticato un disturbo post-traumatico.» ed eccolo là «Sono in cura da quel momento. Immagino sia questo il motivo per cui sono stata inserita in questo gruppo, Caél.» Immagino sia perché non riesco ad andare avanti. Aveva finito la sua confessione. Non si era ancora resa conto di ciò che aveva fatto. La verità era che le sembrava di sentirsi un poco più leggera.

     
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