Era ancora aggrappata alla felpa di Tuesday quando arrivarono al San Mungo tramite la passaporta. Per tutto il tragitto insieme agli auror non aveva mai mollato la presa dal fratello più piccolo; non sapeva cosa gli fosse successo in mezzo a quella baraonda, ma il pallore del volto e gli occhi particolarmente sconvolti stavano a significare che era stato colpito da qualche incantesimo e gli aveva causato problemi con le visioni. Una volta all’ospedale allentarono la presa di Sunday sulla felpa del fratello e lo portarono via.
« Dove lo sstate portando! Non portatelo via! » Esordì immediatamente dimenandosi nella presa di uno degli infermieri che l’aveva bloccata. Guardava la figura di Tux allontanarsi mentre la rabbia iniziava a salire; non voleva separarsi dal fratello.
« Lassciami. Ho detto LASSCIAMI. » Alzò la voce tirando una gomitata all’infermiere che la teneva, cadde a terra e volse lo sguardo verso la figura che l’aveva tenuta fino a qualche secondo prima; Castò un
dismundo non verbale in modo da far vivere all'infermiere delle visioni terribili e destabilizzarlo quanto bastava per liberarla dalla sua presa.
Il ragazzo cadde a terra in preda alla paura mentre altri due infermieri che avevano guardato la scena la tirarono via portandola nella sua stanza.
« Signorina deve calmarsi, stiamo provvedendo a fornire cure immediate per la persona che era con lei. » Rimase in silenzio Sunday presa dal nervosismo non curandosi per niente delle parole che il dottore le aveva detto fino a qualche secondo prima.
« Adesso le effettueremo dei controlli, dovrebbe persino lavarsi è sporca dalla testa ai piedi. » L’uomo prese un pezzo di cervello dalla spalla della serpeverde:
« Ci ssono altre perssone da curare, io ssto bene. » Asserì secca non guardando negli occhi il medico che l’aveva presa in cura.
« Dov’è mia madre? » Belladonna Mortimer, la coroner dell’ospedale San Mungo sicuramente aveva molto da fare per i fatti avvenuti in quel di Hogsmeade.
« Non mi sembra il caso di andare a disturbare sua madre signorina Mortimer. » Incrociò le braccia al petto e continuò a non guardare il medico, si permise pure di fare una faccia imbronciata come una bambina.
« Fanculo. » Aggiunse infine quando il medico uscì dalla stanza. Si alzò e si infilò subito nel bagno in modo da potersi dare una pulita. Mise i vestiti nella pila adattata a mo’ di lavello e si infilò nella
doccia. Definirla doccia era un eufemismo; Priva di piatto sul terreno e con solo il soffione e le due manopole per regolare la temperatura dell’acqua. Fece scorrere l’acqua fredda entrando dentro in modo da iniziare a pulire di dosso il sangue e i pezzi di testa che aveva sulla pelle; non passarono molti secondi che l’acqua iniziò ad essere più tiepida fino a diventare calda come aveva in mente lei.
Il
piatto doccia iniziò a macchiarsi di rosso e a sporcarsi mentre passava le mani tra i capelli lasciandosi
cullare dal getto caldo proveniente dal soffione. Chiuse gli occhi ripensando a tutto quello che era successo quella mattina. Lasciava scorrere l’acqua sul viso mentre teneva gli occhi chiusi.
Mentre le immagini nella sua testa si ricollegavano al vecchietto ormai andato e alle sue parole, l’immagine del suo
compagno di avventure si tramutò in uno dei suoi fratelli più piccoli, ferito e privo di un arto come era successo a Caél Cousland. Tirò subito la testa in avanti con i capelli bagnati che andarono a coprirle il volto:
No, non era un mio familiare. Non era uno di loro. Sentì subito un forte senso di nausea salirle dallo stomaco tanto da spingerla ad uscire dalla doccia e infilare la testa nel water. Vomitò sì, vomitò quel poco che aveva nello stomaco, ma nell’atto di correre verso il water toccò il vestito sporco di sangue e portò con se un pezzo di cervello. Si guardò la mano ed ebbe un altro conato di vomito, buttando via solo succhi gastrici; iniziò a sentire lo stomaco e la gola bruciare per lo sforzo appena avuto.
Si riprese qualche minuto dopo. Aveva pulito persino i vestiti con la bacchetta sfruttando la magia, ma non aveva intenzione di rimetterli, almeno non subito.
Uscì dal bagno completamente nuda con un asciugamano sulla testa, visibilmente scossa dalle immagini che la sua testa le aveva propinato fino a qualche momento fa. Davanti a se trova un altro infermiere che era venuto per portarle dei vestiti per la notte, l’imbarazzo del ragazzo, sicuramente un tirocinante, nel vederla nuda la fece quasi sorridere, ma non riuscì a farlo.
« Sssse ti ssscandalizza una donna nuda, non è lavoro per te. » Quella frase uscì velenosa dalla bocca della serpeverde tanto da ignorare la presenza del ragazzo. Andò a vestirsi di fronte a lui mentre leggeva i pensieri dell’infermiere per capire che cosa volesse dirle.
« S-signorina sono qui per vedere come stanno le sue ferite. » L’infermiere pensò persino che tutti i tagli che aveva lungo il corpo dovevano essere causati dall’incidente ad Hogsmeade, ma non era affatto così.
Una volta vestita si voltò verso il ragazzo accennando un sorriso, cercando di essere la solita Sunday Mortimer, ma la sua testa diceva tutt’altro:
« Ti ringrazio. » Si sedette sul letto e aspettò che l’infermiere si prendesse cura delle poche ferite ormai rimaste sul corpo. Doveva ringraziare quella ragazza, Arthemis, per averle castato prontamente un
epismendo. « Avviso i medici che sta bene, la terremo comunque per una notte qui, da domani potrà tranquillamente tornare a casa. » Ascoltò le parole muovendo in avanti ed indietro le gambe che non toccavano il pavimento, quella branda doveva essere parecchio alta. Si stese sul letto mentre gli occhi azzurri osservavano l’infermiere recuperare i suoi vestiti nel bagno e pulire anche i resti che erano rimasti nel
piatto doccia. Si infilò sotto le coperte infine dando le spalle all’inserviente.
Aveva provato a dormire in tutti i modi, ma ogni volta che chiudeva gli occhi le immagini di quello che era successo quella mattina si ripercorrevano nella sua mente sostituendo le persone incontrate con membri della sua famiglia. Stringeva le coperte e abbracciava il cuscino forte a se, ma si svegliò definitivamente quando realizzò che aveva paura. Quella paura non era dettata da quello che aveva vissuto, ma da sensazioni ed impulsi che il suo cervello stava cercando di far recepire come messaggio. Aveva bramosia di diventare immortale, diceva a se stessa che era per poter conoscere tutto quello che era possibile nel mondo, ma quella era una bugia che si era imposta da sola, voleva diventare immortale per sconfiggere la morte; quella
cara amica che la sua famiglia venerava da sempre. L’abbracciava come una sorella, sì, ma nel profondo del suo cuore lei aveva paura; non solo per lei, ma anche per i suoi familiari, la cosa più preziosa che aveva.
Si sedette sul materasso accendendo la luce vicino alla brandina e guardò verso la finestra; doveva essere notte perché le serrande erano abbassate e non facevano trasparire nemmeno un minimo di luce:
Devo andare da mamma. Quel pensiero non l’aveva separata dal momento in cui aveva messo piede all’ospedale; Non doveva, ma voleva andare da sua madre. Quella giornata le aveva instillato parecchi dubbi e diverse domande, ma non sapeva nemmeno se Belladonna potesse risolverli.
Mise mano alla tracolla e la portò con se uscendo dalla sua stanza ed infilandosi nel corridoio buio del San
Mungo. Aprì il proprio contatto da legilimens per capire se ci fosse qualche infermiere o medico in giro per i corridoi, ma nel suo piano non vi era nessuno. Si avviò verso le scale seguendo le indicazioni che portavano all’obitorio, l’avrebbe trovata lì, lei lo sapeva.
Scese in fretta e furia due rampe di scale superando persino una coppia di infermieri che giravano per i corridoi del piano sottostante senza farsi vedere fino a raggiungere la porta tanto agognata. Sospirò, ma nel momento in cui stava per aprire la porta qualcuno alle spalle le disse:
« Dove crede di andare lei? » E’ l'infermiere di stamattina. « Ssto andando a parlare con mia madre… Qual è il problema? » Si girò per osservare la figura dell'infermiere:
« I pazienti non devono stare fuori dalle loro stanze. » Roteò gli occhi al cielo la serpeverde tanto da avvicinarsi all’infermiere in modo da poterlo vedere meglio e poggiarli una mano sul petto:
« Non è per molto… Qualche minuto. Ne ho bisssogno. » Cercando di assecondarlo con tristezza nella voce ed in viso approfittò di quella distrazione per soggiogare l’uomo:
« Facciamo cossì… Io entro qui, tu non mi hai visssto e dopo mi riporti in ssstanza da brava paziente. » Gli fece provare una sensazione di sicurezza e fiducia nei suoi confronti.
« Va bene, ti aspetto. » Si rasserenò quando l'infermiere le permise di andare. Sunday entrò nell’obitorio cercando sua madre, ma all’ingresso oltre la porta non si trovava.
Aprì diverse porte non trovandola da nessuna parte fino a quando non incappò nel cadavere nascosto di un ragazzino; non aveva nemmeno dieci anni, possibilmente era quel Henry che cercava il signore anziano. Si irriggidì a tal punto che sentì la testa pesante.
Devo trovarla. Quel pensiero balenò così velocemente che non si accorse della figura della madre di spalle china su un cadavere, lo stava studiando per capire com’era morto.
Sentì le gambe tremare, stringendo nella mano sinistra la tracolla mentre la destra era vicino alla bocca, si mordeva l’unghia del pollice.
« M…Mà » Uscì un suono flebile quasi impercettibile dalla bocca della serpeverde. Le gambe tremavano a tal punto che crollarono su se stesse facendo un bel tonfo:
« Mamma… Io… » Ho paura. Non riusciva a parlare, gli occhi azzurri si gonfiarono a tal punto che le lacrime iniziarono ad uscire; stava piangendo.
« Mamma io… io… Ho…avuto… P…paura. » Disse infine singhiozzando mentre quella scena le ricordava un momento della sua infanzia, un momento che sembrava ripetersi in quel preciso istante. Aveva cinque anni, il suo animaletto domestico; una tarantola regalatole dai suoi genitori era morto nel suo terrario. Non capendo il motivo per la quale l’insetto non si muovesse, piangendo corse dalla madre tenendo stretta a se il suo peluche; anch’esso un ragno. Spaventata dalla situazione disse tutto alla mamma e lei come sempre riuscì a rassicurarla dicendole che il suo
animaletto lo aveva accolto tra le braccia
sorella morte.
La situazione era diversa però, quella che provava in quel momento Sunday era una paura dettata da ciò che aveva vissuto, momenti che in quell’istante non l’avevano preoccupata anche per l’enfasi delle cose successe troppo in fretta, ma una volta a mente lucida dentro di sé provava solo paura.
« C…Come facciamo a chiamarla sssorella… Mi fa paura. » Sentì il calore dell’abbraccio di Bella; si strinse a lei poggiando il viso sul suo petto mentre le lacrime scendevano lungo il suo viso come un fiume in piena.
« Non voglio perdervi. Non voglio. » Le mani si strinsero sulla schiena della madre.
« Ragnetto del mio cuore… »[…] L’ultimo ricordo che aveva era di lei che dormiva con la testa sulle gambe della madre. Aveva avuto modo di sfogarsi di dare libero spazio a quello che provava dentro; Sunny sapeva che con Belladonna poteva parlare di tutto dalle insicurezze a quello che più le piaceva senza ricevere un giudizio negativo. Si sentiva sollevata dopo la chiacchierata con la madre e risvegliarsi nella branda della stanza da lei occupata al San Mungo aveva un altro sapore.
Venne rilasciata quella mattina stessa; grazie anche alla madre riuscì a procurarsi una passaporta per Diagon Alley da lì si sarebbe spostata finalmente nel suo negozio, il suo piccolo
antro lontano da tutto e tutti.
Una volta entrata con un gesto di bacchetta fece alzare leggermente le serrande in modo che entrasse la luce all’interno. Il locale si colorò di un verde scuro per il colore delle vetrate adibite all’esterno del locale. Sospirò passando la mano per i vari scaffali del luogo, alcuni rimasti impolverati per la chiusura che aveva imposto al luogo di qualche giorno.
Mi toccherà pulire? Ma gli zoticoni che entrano qui dentro nemmeno se ne accorgono. In effetti l’ultimo pensiero dei suoi acquirenti sicuramente era la pulizia all’interno del locale.
Andò a sedersi dietro il bancone incrociando le gambe e ticchettando sul tavolo in attesa che la giornata iniziasse, ma dentro di se rimanevano comunque i dubbi che erano rimasti dal giorno precedente. Fortunatamente però la sua mente ritornò al presente quando qualcuno, con non poca delicatezza, spalancò la porta del locale. Un sorriso spuntò sul volto della serpeverde nel vedere la figura che si era presentata dentro il negozio dopo molto tempo.
« Che mi venga un colpo, guarda chi ho ritrovato » Una delle sue migliori
clienti anche se definirla così continuava a farle uno strano effetto.
« Che visssione terribile Khlysssta Dolohov. » Sibila il nome marcando le s come al suo solito, quella giornata doveva davvero iniziare alla grande con la presenza della donna.
« O forsse dovrei chiamarti professsoressa Dolohov? » Si morde il labbro inferiore; Aveva appreso della nuova carica della donna da un po’, sfortunatamente però non era riuscita a beccarla al castello, sicuramente aveva sempre da fare come al suo solito:
« Hai sentito cosa è successo al castello? » Si bloccò nel sentire quella frase; Quel giorno aveva sentito dell’ardemonio alla tenuta; aveva già pensato che qualcosa fosse successo al castello, ma non voleva davvero pensarci seriamente, non dopo la nottata in lacrime che aveva passato tra le braccia di sua madre:
« Ero lì. » Aggiunse secca non incontrando lo sguardo con la Dolohov:
« Cioè non proprio… Ero ad Hogssmeade. » Si alza dalla sedia e si piazza di fronte al bancone andandosi a sedere:
« Ci sssono ssstati parecchi morti, tutto molto triste. » Continua a non incrociare lo sguardo con la donna, cerca di mantenere la sua solita calma non pensando a quello che la sua mente voleva farle vedere:
« Bruciava il fuoco infernale alla tenuta, ti ssei perssa uno ssspettacolo niente male. » Anche tu lo hai perso Sunday, ringrazia che non eri lì. « Ma ti domando Khlyssta… » Piega la testa di lato osservando la donna dalla testa ai piedi:
« Sssei in fuga? Hai bissogno di un possto dove sstare? » Cosa ti spinge a scappare dal castello quando non sei direttamente coinvolta? Avrebbe voluto farle mille domande, ma quelle sarebbero uscite piano piano magari intavolando una bella discussione.
« Per tutte le acromantule dimenticavo! Ti andrebbe qualcosssa? » Le buone maniere, quelle insegnate dalla sua famiglia non andavano mai dimenticate.