All is fair in poker and love

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    18 Novembre 2021

    Fin dall’alba il 18 Novembre fu una giornata uggiosa. Nuvole ovunque che oscuravano il cielo ed un vento decisamente gelato proveniente da nord, si abbattè su Hogwarts ed anche sull’umore del giovine Moon, che stava partecipando ad una bisca clandestina in una stanza del dormitorio di Grifondoro con alcuni dei suoi nuovi amici, appena incontrati nell’aula dove si teneva lezione di “Diritto privato” ad Hogwarts. Il fatto che giocassero a poker, scommettendo solo oggetti, anche di poco conto, rese il tutto molto più complicato per Ha-jun, che solo in quel momento stava cominciando a capire il vero valore delle cose. Però, mentre per gli altri era una fortuna che non sapesse minimamente giocare e che avesse a portata di mano solo delle cuffie costose ed i suoi braccialetti d’argento, per Ha-jun significava cominciare a capire un po’ come girava davvero il mondo, tanto che, nel vedere l’espressione esterrefatta dei compagni quando puntò un portachiavi di Gucci , mentre era palese che avesse appena perso la partita, lo mise così in imbarazzo da fargli grattare la testa con nervosismo.
    “Cos’è che guardate? Johnny vieni qui e aiutami a giocare va, che sennò qui mi lasciano in mutande..”
    In modo scocciato e lanciando occhiatacce a tutti i giocatori per intimidirli un po’, Ha-jun si avvicinò ad uno dei ragazzi più svegli di tutto il corso di magisprudenza, mostrandogli le carte in modo che potesse dargli una mano. Ovviamente, nessuno rimase spaventato dal suo sguardo raggelante ma, anzi, i ragazzi la presero sul ridere, proprio perché era palese che non stesse facendo sul serio.
    Uno di loro fece un tiro dalla sigaretta elettronica, prima di riempire la stanza di fumo e ricevere delle pacche sulle spalle dai ragazzi accanto a lui, che non poterono far altro che annaspare in cerca di aria pulita. “Tanto lo so che volevi vederci solo le carte, demente” Commentò uno dei due ridendo, mentre tirava un pugno in amicizia sulla spalla del compagno, tenendosi le carte ben strette al petto.
    “A scemo, comunque mica siamo qui per spennarti, puoi anche puntare caramelle, se vuoi..
    Affermò Luca ridendo in direzione di Ha-jun, mentre gli altri cercavano di risolvere la situazione lanciandosi le infamate più grandi mai viste prima. Poi, il ragazzo gli puntò un pacchetto di caramelle sulla sedia vicino all’entrata, con cui avrebbe potuto continuare a giocare senza perdere tutto il patrimonio di famiglia. Ovviamente, le probabilità che fossero sue erano abbastanza basse, ma, visto che in quella stanza tutti i presenti incitavano Ha-jun a prenderle senza farsi troppi problemi, il ragazzo si alzò e andò a prendere il pacchetto, così da poterlo giocare.
    Quindi, aiutato da Johnny, Ha-jun cominciò anche a fare meglio le sue puntate, dopo aver studiato un po’ quanto peso davano davvero i compagni ai vari oggetti puntati sul tavolo. Per uno come lui che i soldi neanche aveva bisogno di portarseli dietro, entrare a far parte del gioco del poker era davvero difficile, ma doveva ammettere che era anche un bel training, soprattutto quando cominciò a capire che gli oggetti non solo avevano un valore fisico ma anche sentimentale, cosa che non aveva mai pensato prima di allora. Infatti, quando vide Jackson puntare una delle sue figurine di cioccorane preferite, Ha-jun rimase sbalordito da come il resto della cerchia partì con degli “wooooooowwww”, “ma sei matto”. Cosa aveva di così importante una semplice carta di plastica con raffigurato un mago? Boh, Ha-jun davvero non capiva, ma neanche quando Johnny provò a spiegargli che quella doveva essere una delle figurine che l’ex ragazza di Jackson gli aveva regalato quando stavano insieme, riuscì ad intenderci qualcosa. In ogni caso, tutti la volevano perché era un’edizione limitata in perfette condizioni, mai stata tolta dalla scatola. Jackson o non Jackson quella figurina doveva valere davvero molti soldi e, anche se ad Ha-jun non interessavano minimamente, fece un po’ finta di averne bisogno, per integrarsi al meglio nel mood degli altri, anche se alla fine aveva intenzione di regalarla a Johnny, che l’aveva aiutato in quell’impresa. Peccato che…non ce la fece, ma neanche per sbaglio, le carte che aveva in mano erano decisamente inutili, come la sua faccia da poker.
    “Beh, direi che non sei molto fortunato…” Affermò Johnny senza neanche pensarci due volte, per poi tirare un sospiro, mentre osservava Derek adulare la sua nuova carta da centinaia di galeoni, che avrebbe finalmente potuto aggiungere alla sua collezione.
    “Com’è che si dice qui? Fortunato in amore, sfortunato nel gioco, no? Ma forse non puoi capirlo..” Controbattè Ha-jun, facendo un sorriso sarcastico, che servì soltanto a fargli iniziare un round di lotta libera con Johnny, anche se era ovvio che il ragazzo non avesse la minima possibilità di vincere. Infatti, la sfida finì con Ha-jun che per pietà stava rialzando il ragazzo da terra, per rimetterlo in sesto e spolverargli il maglione, ridendo come uno scemo, mentre l’altro, un po’ scocciato, non potè far altro che incrociare le braccia infastidito.
    “Dai, Johnny, la prossima volta…ti giuro che ti farò vincere” Scherzò Ha-jun, con un sorriso che nemmeno la Roberts, mentre tirava un pugnetto solidale sulla spalla del ragazzo, per poi ascoltare casa stavano blaterando gli altri ragazzi riguardo ai programmi per la serata.
    “Te ci sei, Jun?” Chiese improvvisamente Jackson, alzando la testa dal cerchio in cui si erano stretti, per capire se alla fine San si sarebbe unito un’altra volta al loro gruppo per uscire insieme. Ovviamente, visto che Ha-jun non aveva minimamente nulla da fare, se non ripassare le lezioni per gli esami -che barba, che noia-, fece segno di assenso, anche se non aveva la minima idea di quello che sarebbero andati a fare.
    “Allora, stasera al Polis alle 21, facciamo una battaglia laser, vi va?”
    Propose Luca, mentre si stava alzando per riprendere le proprie cose ed avviarsi verso la porta perché, purtroppo, c’era lezione anche il pomeriggio. Comunque nessuno di loro sembrava contrario alla scelta, anzi, uno ad uno dissero che era una cosa fattibile e che si sarebbero visti quella sera, per poi chiedere a Ha-jun il numero di telefono così da inserirlo all’interno del loro gruppo su Whatsapp. Lui, che di Whatsapp ne aveva sentito davvero parlare poco, perché in Corea utilizzavano Kakaotalk, fece finta di niente e gli diede il proprio numero, così da potersi tenere in contatto.
    Per la prima volta in tutta la sua vita stava davvero per uscire con un gruppo di ragazzi “normali”, senza guardie, senza bisogno di fingersi un’altra persona, doveva semplicemente essere sé stesso e probabilmente tutto sarebbe filato liscio come l’olio, l’unico problema era…che non sapeva minimamente cosa fosse il laser game. E adesso che mi invento, sembrerò scemo. “Sì, dai, è da un po’ che non ci vado” Sì, dai, cosa? Idiota. Non ci sei neanche mai stato.
    Quindi, con questo pensiero che gli occupava la testa ed offuscava la vista, Ha-jun scese le scale insieme ai compagni, fino a raggiungere la sala comune, in cui sbatté la spalla contro una persona, tanto da farle cascare tutti i libri per terra.
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    “OH, scusami, sono stato distratto…aspetta, ti aiuto”
    Ha-jun scosse la testa, come se stesse cercando di scansare una mosca, mentre l’unica cosa che stava cercando di scacciare erano i suoi pensieri, per ritornare con i piedi per terra. Però, non era da solo e gli scemi dei suoi amici non poterono fare a meno di ululare come lupi e lanciare degli “woooooh” tattici, come se stesse facendo la cosa più romantica del mondo.
    Ma di che parlano?. Incuriosito, Ha-jun alzò la testa e si ritrovò davanti una ragazza, decisamente bella, forse anche troppo. Per cui deglutì, come se avesse appena visto un fantasma e, appena le loro mani si toccarono per averle posate sullo stesso libro, lui ritirò la sua, come se si fosse appena bruciato.
    “Non ti ci abituare troppo, bellezza, non succede tutti i giorni.” Affermò Ha-jun con supponenza, per poi farle un occhiolino tattico e restituirle il resto dei libri che aveva raccolto sotto il braccio. “Adesso vado, ci vediamo.”
    Se con la sua frase, il ragazzo, si stesse riferendo alla mano, al fatto che stesse raccogliendo i libri o chissà cos’altro, ancora nessuno lo sa e forse nemmeno lui, perché, appena uscito dalla porta, con tutti i compagni che gli battevano sulla schiena, come se avesse appena fatto un gesto eroico, Ha-jun si maledisse per quelle parole, che decisamente non erano quelle che avrebbe voluto dire in una situazione del genere, ma soprattutto ad una ragazza come lei, bella da mozzare il fiato: la regina di cuori.

     
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    Tutto aveva avuto inizio quando Natalie Johnson le aveva chiesto se avesse voglia di accompagnarla a trovare suo fratello. In realtà, nel linguaggio della compagna quella richiesta aveva un'accezione tutta sua. Irwin Johnson, infatti, era riuscito a collezionare un numero di insufficienze tale che la sorella, appartenente alle file dei Corvonero per di più, aveva trovato imbarazzante. E se sulle prime aveva tentato di chiudere un occhio, anche sotto consiglio di amici comuni, l'adolescente era riuscito a farle perdere ogni rimasuglio di pazienza con un solo atto - farsi mettere in punizione per diverse settimane, dopo essere stato beccato in quello che aveva tutta l'aria di essere un alterco con uno studente più piccolo. « Cioè, questo idiota gli ha fatto un occhio nero! Capisci, Ava? Ha messo le mani addosso ad un dodicenne! » Queste, le parole di un'alquanto inviperita Natalie mentre roteava gli occhi con disappunto. « Io posso pure provarci, a far finta di non notare che la sua media stia caracollando verso le profondità infernali, ma di avere un criminale in erba in casa proprio non lo accetto! A mia madre stava venendo un colpo, ti dico! » Sbuffò sonoramente, la giovane, nel ricacciare indietro una ciocca scarlatta. « La sua intenzione era quella di mandargli una Strillettera per metterlo in imbarazzo, ma a dirla tutta non sono del tutto convinta che Irwin sappia più dove stia di casa questo sentimento. Lo strozzo! Lo strozzo, te lo giu- » Ed era inciampata. La giovane blu-bronzo era sì una delle menti più brillanti del Corso Auror, nella sua interezza, ma non si poteva certamente applicare la stessa definizione ai suoi riflessi. Fu Ava, infatti, ad afferrarla prontamente per il braccio, impedendole di baciare il pavimento. Ormai, avendolo fatto per tutti gli anni di permanenza al College, salvare la compagna da sé stessa non le pesava nemmeno. Aveva persino smesso di farci caso. «-ro. Sempre se non muoio prima. Grazie Davis, sei il mio angelo custode. » L'americana si sciolse in una genuina risata, senza tuttavia allentare la propria presa attorno all'arto di lei. « Dovere morale. Saresti una comprovata perdita per l'intera comunità. E poi ho come il sentore che gli altri non mi perdonerebbero una simile svista. » Si riferiva non soltanto a Will, il suo ragazzo storico, ma anche agli altri membri della piccola compagnia che era venuta a crearsi in maniera piuttosto spontanea nell'arco di quegli anni. Era un fatto, dopotutto, che la Johnson avesse passato i propri appunti almeno all'ottanta percento dei suoi componenti. « In più non potrei davvero perdermela, questa scena. Chi vincerà - tuo fratello e il suo testosterone impazzito oppure tu ed il buonsenso? Forse avrei fatto bene a portarmi dei popcorn, pensandoci. » In realtà, su quell'ultimo punto - ovvero chi sarebbe uscito vittorioso da quella situazione - Ava non aveva chissà quanti dubbi. Non solo perché la Johnson aveva i suoi metodi, ma anche perché non ci voleva un genio a capire che l'altro fosse probabilmente solo caduto vittima di una fase di ribellione adolescenziale. Inoltre, se proprio doveva dirla tutta, aveva accettato di accompagnare la rossa solo perché tra la Sala Comune di Grifondoro e il College c'erano innumerevoli scalini. E beh - quanto Natalie sia soggetta a rischiare la vita in situazioni del tutto ordinarie, è piuttosto evidente. Erano ormai arrivate in cima alle scale quando la Davis si rese conto di un dettaglio importante. Inchiodò, costringendo l'altra a fare altrettanto: « Ma la parola d'ordine ce l'abbiamo? » No, perché tecnicamente non dovremmo nemmeno stare qui. Non che fosse proibito, ma era comunque inusuale che due studentesse del College si presentassero di botto all'interno di uno spazio riservato agli studenti della scuola. L'ex Corvonero annuì, un sorrisetto mefistofelico che si dipingeva sulle sue labbra piene. « Certo. Non pensare che in guerra vada impreparata. » La mora non poté far altro che alzare le mani, non solo in senso metaforico. Mi pento e mi dolgo per aver anche soltanto pensato che non fossi pronta a tutto. [...]
    La stigliata era durata forse quaranta minuti buoni. Prevedibilmente, Irwin non aveva mollato subito l'osso. All'inizio, anzi, si era incaponito, chiudendosi dapprima in un silenzio ostile, per poi lanciarsi in una filippica dove diceva alla sorella, questo in soldoni, di farsi gli affari propri; Natalie, però, non aveva risparmiato colpi. Gli aveva prontamente ricordato quale fosse la scala gerarchica all'interno della loro famiglia, quali le aspettative cui l'adolescente doveva attenersi se - citazione diretta, questa - non voleva trovarsi appeso alla Torre di Astronomia per il colletto. Ava si era fatta gli affari propri per tutto il tempo, il naso immerso in un libro di Strategia che aveva preso in prestito da Raiden. Si teneva occupata, tuttavia, anche per evitare di scoppiare a ridere in faccia al malcapitato Johnson Jr che sembrava abbastanza a disagio anche senza che lei si mettesse in mezzo.
    « E ricordatelo bene, Irwin - perché la mamma sarà anche troppo buona per farlo, ma io proprio no - escitene di nuovo con qualcosa del genere, e giuro su quello che hai di più caro che ti disfo. » Lanciò un'ultima occhiata di fuoco al fratello. « Bene, mi auguro di esserci capiti. Ava, tesoro - qui ho finito. Possiamo andare, se vuoi. » L'ex Wampus si tirò su dal divanetto con prontezza, annuendo. « Okay, allora si va. Ciao, Irwin. Comportati bene! » Presa sottobraccio l'amica e allontanatosi abbastanza dal più piccolo, sbuffò una risata. « Non pensi che togliergli la paghetta sia stato eccessivo? Insomma - » E avrebbe anche continuato ad esporre la propria opinione, quantomeno sul fatto che a suo avviso una punizione tanto lunga potesse essere controproducente perché avrebbe potuto comportare l'ennesimo colpo di testa, ma qualcuno la urtò. Forte. Così tanto che si trovò a mollare d'istinto la presa sui manuali che stava trasportando.
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    «OH, scusami, sono stato distratto…aspetta, ti aiuto. » Ava, che si era già rapidamente chinata a raccogliere i propri libri fece quasi per dire che non importava. In fondo una svista poteva anche capitare. Tuttavia non impiegò molto a rendersi conto di percepire distintamente diverse altre paia di occhi sulla sua persona. Gente che, evidentemente, non ha la più pallida idea del contesto in cui si trova e ha scambiato la Sala Comune per uno stadio. Di fronte ad uno schiamazzo particolarmente rumoroso, fu l'amica della Davis a lanciare un ben udibile: « Scusate se ve lo chiedo così, ma esattamente da quale stalla siete scappati? No, perché il vostro comportamento non lascia dubbi sul fatto che abbiano aperto le gabbie. » E niente, la Johnson non le manda di certo a dire. Stava raccogliendo l'ultimo libro quando la voce del colpevole, un ragazzo della sua età, a giudicare dal suo aspetto, parlò di nuovo. « Non ti ci abituare troppo, bellezza, non succede tutti i giorni. » Ava sollevò gli occhi nocciola puntandoli in quelli dell'asiatico. Rimase in silenzio per qualche istante, lasciando che il suo peso si insinuasse tra loro e si facesse sentire tutto. Chissà se capisci da solo di aver fatto una figura di merda grossa come una casa o se devo dirtelo io. Uomo etero basic, proprio. « Vedo che guardare dove vai ti riesce bene tanto quanto approcciarti alle persone che non conosci. Figurati, alla luce di questo, non c'è assolutamente nessun problema.» Cretino. Una risposta piuttosto caustica, la sua. Si tirò su piuttosto rapidamente affiancandosi ad una Natalie Johnson che ancora guardava in cagnesco i compagnetti di giochi del ragazzo. «Adesso vado, ci vediamo. » Mi auguro vivamente di no, non poté fare a meno di pensare. Fu nuovamente l'amica, tuttavia, a chiudere quel discorso. « Sì, però portati anche i tuoi amichetti cercopitechi. Non è che li lasci a noi! » Detto questo si trascinò via un'Ava alquanto interdetta: « Proprio vero che viaggiano in branco, oh. Forse dividono un solo neurone per dieci. »


    Edited by no pressure‚ - 20/4/2022, 19:38
     
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    18 Novembre 2021- Sera

    Seonu non era minimamente convinto di quello che sarebbe andato a fare, ma da quello che aveva potuto vedere in quella mezz’oretta di pausa post cena sul suo telefono, il lasergame non doveva essere così complicato come aveva pensato. In ogni caso, se la sarebbe cavata bene grazie alla sua competitività, che non faceva altro che mettergli ansia, perché, essendo alle prime armi, ancora non poteva sapere se sarebbe stato un completo fallimento o uno dei top player della serata. Comunque, Seonu si era imposto almeno di non farsi sparare da Bladdy il “balenottero”, che era uno dei ragazzi meno portati per lo sport di tutta corvonero, se non di tutta Hogwarts, che probabilmente sarebbe stato in una delle due squadre di quella sera.
    Quindi, visto che dovevano andare al Polis e c’era da correre, Mr. Moon si era vestito non da ginnastica ovviamente, perché i pantaloni di cotone non gli stavano bene neanche se fosse stato dieci volte più grosso, ma si mise i pantaloni di jeans più comodi che aveva nell’armadio ed una di quelle T-shirt larghissime con sopra una delle sue felpe di marca preferite, che avrebbe indossato ogni giorno dell’anno. Ovviamente, come al solito, non passava inosservato, visto il cappello di Tommy, caro amico di famiglia, e il marsupio, che portava a tracolla, che effettivamente gli dava quel certo non so che di idol, come avrebbero detto in Corea, o di spaccino, a seconda dei punti di vista.
    Così, varcò la soglia del Polis, ritrovandosi insieme ai ragazzi con cui aveva giocato a poker quel pomeriggio e li salutò, guardandosi un po’ in giro per capire quanta skin ship era consentita. Poi, visto che vedeva tutti stringersi la mano con successiva pacca sulla spalla, fondamentale per far capire all’altra persona di essere in confidenza, Seonu fece altrettanto. Ovviamente, per lui questo era tutto nuovo, in Corea, se avesse fatto una cosa del genere, metà delle persone sarebbero trasalite, soprattutto se le avesse conosciute soltanto da qualche ora. Per non parlare di quando si trovava a casa con suo fratello a cui neanche stringeva la mano. Comunque, Seonu non aveva solo la Corea come riferimento, visto che fin da bambino aveva viaggiato in altri stati in cui ognuno aveva i suoi modi di fare e la sua cultura.
    Quindi, Seonu si rincuorò quando Jonathan gli diede quella vigorosa pacca sulla spalla, seguita da uno dei sorrisi più sinceri che avesse mai visto. Era ufficialmente stato accettato. Il ragazzo, neanche poteva descrivere quanto fosse felice che non ci fossero tutte quelle regole di comportamento che vigevano in Corea, anche perché se fosse stato per lui, avrebbe abbracciato anche il palo della luce fuori dal Polis, se avesse cominciato a parlargli.
    “Buonaseraaa, buonaseraaaa”
    Disse Seonu appena salutati gli ultimi due ragazzi, prima seguire il gruppo verso il bancone all’ingresso per parlare con la ragazza all’accoglienza.
    “Ei, ciao, avevamo prenotato per 10 al laser game per stasera per le 21.30…” Annunciò il ragazzo moro in cima alla fila per poi tentare un metodo di approccio di bassissimo livello. “a nome Josh, Josh Banks, che sarei io..” Josh si passò una mano tra i capelli e fece un sorriso sornione, mentre aspettava una risposta dalla ragazza, anche se Seonu, davvero non sapeva che avrebbe potuto dirgli. Fosse stato in lei avrebbe abbandonato il lavoro per andarsi a prendere una pausa sigaretta, perché era proprio quello che gli ci voleva in quel momento a lui dopo aver sentito quelle stronzate.
    “Eh, sì, è proprio lui.” Raga, ma come si fa, vi devo insegnare proprio tutto dalle basi.
    A queste ultime parole, il ragazzo tirò fuori il pacchetto di cicche perché questa volta gli serviva davvero una pausa riflessiva. Ma con chi cazzo sono finito?
    “Nath, vado un attimo fuori a fumare, mi accompagni?”
    Seonu, nonostante sapesse benissimo accendersi una sigaretta da solo ed anche cominciare a parlare con il primo che passava, non voleva rimanere l’unico indietro, visto che non sapeva minimamente come mettersi l’attrezzatura ma, ovviamente, quello fu uno dei suoi più grandi errori della serata. Nathan era un imbecille e quei dieci minuti con lui a parlare di videogiochi in 3D e di un incantesimo per respirare nello spazio, l’avevano davvero lasciato esterrefatto. Ma di che sta parlando?
    Perciò, appena vide i ragazzi passare dal via, Seonu decise di rientrare e porre fine a quella tortura. “Naaah, davvero?” chiese con voce entusiasta Nathan, mentre Seonu gli stava raccontando delle stronzate riguardo a suo cugino che faceva parte degli astronauti giapponesi e probabilmente quell’estate sarebbe andato con lui sulla Luna.
    “No.”
    Risposta secca e decisa, che non fece recapitare il messaggio al destinatario, visto che comunque Nathan continuava a chiedere tremila cose riguardo suo cugino che manco esisteva fondamentalmente. Aiuto.
    Poi, Seonu alzò lo sguardo verso il bancone, visto che finalmente i ragazzi se ne erano andati e si diresse verso la sala, guidato da Nathan. Però si fermò ed in un attimo tappò con la mano la bocca del ragazzo, che si ripromise di disinfettare una volta entrato nella stanza del laser game.
    “Nath, puoi precedermi, per favore? Devo andare in bagno.” Bugia a fin di bene. “Ma perché mi hai tappato la..” Cominciò a chiedere il compagno, prima di incontrare lo sguardo gelido di Seonu che gli fece fermare la voce. “Vado, vado”
    Perché? Perché parli troppo di cose maledettamente fuori luogo, ecco perché.
    In una maniera o nell’altra Seonu sapeva perfettamente cosa doveva fare, chiederle scusa, non che gli sarebbe importato molto se non fosse stata una splendida ragazza o una sua cara amica, questo era ovvio. Per cui, si sistemò i capelli, prese una mentina, perché il suo alito sapeva ancora fin troppo di tabacco e si avvicinò alla ragazza con tutta la disinvoltura che poteva mettere in atto.
    “Ei, ciao.” Si annunciò, posando gli avambracci sul bancone per cercare di arrivare a parlarle viso a viso, visto che era decisamente più alto di lei. “Non so se ti ricordi di me..”
    certo che si ricorda, l’aspetto non si dimentica e neanche la figura di merda, sicché. “Volevo chiederti scusa per quello che è successo oggi.. i ragazzi non sono stati certamente cortesi ed io uno stupido.” Alla prima parte ci credeva fermamente, alla seconda? Ensoooomma un’affermazione un po’ troppo potente per un egocentrico come lui, a cui credeva solo perché effettivamente doveva trovare un modo per fare pace per riuscire a sapere chi fosse.
    “Possiamo ricominciare? Sono Ha-jun, tu sei?”
    Seonu allungò la mano, consapevole di stare continuando a mentirle ma questa volta per il suo bene, o il bene di entrambi. Credetemi, nessuno avrebbe voluto davvero entrare in contatto con un Moon e quasi nessuno effettivamente avrebbe potuto, se Seonu non avesse espressamente chiesto a suo padre di lasciarlo in pace a vivere la sua vita. Per cui, forse, sotto questo aspetto, stava facendo del bene ad entrambi, anche se la sua persona, per quanto lo riguardava, al momento era sempre al primo posto.


     
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