No roots

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    what would david bowie do?
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    Era stato il suono di una notifica sul telefono a rompere la quiete. Uno scampanellio breve e innocente, che richiamava a sé i ricordi di una normalità assente. Quel suono l'avrà sentito almeno un milione di volte, ma nel silenzio tombale della stanza in cui si era barricata, apparve quasi grottesco alle sue orecchie. In teoria il suo telefono non avrebbe dovuto squillare, non lì dentro, non in seguito alle regole messe in vigore a Settembre. Le barriere magiche erette intorno alla scuola avevano isolato il castello da ogni segnale, rendendo impossibile utilizzare quegli aggeggi al suo interno. Eppure suonò. E dopo quel suono, altri uguali seguirono, uno dopo l'altro. Aprì velocemente l'anta dell'armadio nel quale si era nascosta, raggiungendo il telefono appoggiato sulla scrivania. Una pioggia di notifiche dall'app del Gruppo Peverell segnalava le notizie dell'ultima ora. Ignara di cosa fosse accaduto fino a quel momento, ma consapevole solo di una battaglia appena fuori dalla sua Sala Comune, le dita tremanti di Alyssa scorsero lungo i brevi aggiornamenti, divorandoli con gli occhi arrossati dalla tensione. Inverness aveva preso Hogwarts. C'era un conteggio delle vittime tra feriti e morti stimati. Tirò su col naso, inghiottendo il groppo che sentiva in gola e digitando automaticamente il numero della madre mentre il cuore le batteva forte contro la cassa toracica. Ci mise un po' a rispondere, Diana. « Pronto? » « Mamma? Sono io. » La voce di Alyssa era flebile, spezzata dal nervosismo - niente a che vedere col suo solito tono squillante. « Oh ciao tesoro. Come stai? » « M-mamma hai visto cosa è successo? » « Mh sì ho letto qualcosa. Tutto bene, vero? » Il tono di Diana sembrava distratto, tanto che ad Alyssa ci volle qualche istante di troppo prima di rispondere. « Sì. Sì.. io sto bene. Sono rimasta nascosta in camera. Ma.. mamma io non so cosa sta succedendo. Puoi venirmi a prendere per piacere? » Il primo istinto era sempre lo stesso: fuggire, scappare il più lontano possibile da ogni problema o responsabilità. « Amore, lo sai che adesso sono in tour. Non posso cancellare le tappe per venirti a riprendere da scuola, soprattutto se non ti sei fatta nulla di grave. Sono sicura che puoi aspettare ancora un po'. Tanto le acque si sono già calmate. » Aspettare ancora un po'. Quanto? Due settimane? Tre mesi? Un anno? Aspettare il giorno in cui finalmente ti renderai conto di avere una figlia? Annuì nel silenzio della propria stanza, mordendosi con forza il labbro inferiore mentre cercava di frenare le lacrime. Quante volte ancora doveva fare i conti con quella realtà? Forse alla sua età avrebbe ormai dovuto capirlo, che Diana non sarebbe mai cambiata. « Mh-mh. Sì. Certo. Hai ragione. Scusa se ti ho disturbata. » « Fa nulla. Ti mando un messaggino dopo il soundcheck, va bene? » « Certo. » Almeno quello lo sapeva già che non sarebbe mai arrivato.
    Aveva riempito uno zaino con gli effetti personali di cui necessitava maggiormente, uscendo con passo timido e titubante fuori dalla sala comune Serpeverde. Non sapeva cosa pensare, cosa fare né dove andare. Non sapeva se sarebbe rimasta o se avrebbe trovato un qualche modo per uscire. Sapeva solo di voler rimandare quella decisione quanto più a lungo possibile, tenendosi pronta a una qualsiasi eventualità. Percorse in silenzio i corridoi della scuola, rasente muro, ingoiando con lo sguardo i volti di chi le passava accanto. La vita le scorreva intorno come un film, e lei altro non era se non una mera spettatrice apatica degli eventi a cui si era sempre rifiutata di prendere parte. Negli occhi di quei feriti che nemmeno la vedevano, Alyssa trovò tutto ciò che non avrebbe voluto vedere: la propria negligenza, la propria paura, la propria vigliaccheria. Rivide in quelle immagini lo specchio dell'assemblea che si era tenuta ad Inverness esattamente un anno prima e sentì il proprio stomaco vuoto attorcigliarsi come una vite intorno al senso di colpa. Perché lei sapeva. Non tutto, ma abbastanza. Sapeva e se n'era andata. Aveva rifiutato qualunque appello, rigettando persino i suoi stessi amici, e adesso non poteva fare a meno di pensare che se si era arrivati fino a quel punto, la responsabilità era anche la sua. Dante aveva creato un girone dell'Inferno appositamente per gli ignavi, e ora ne capiva la ragione. Forse sarebbe successo comunque. Forse era già troppo tardi per la pace. Ma se avessimo ascoltato prima, se avessimo detto qualcosa quando c'era ancora tempo per parlare.. forse le cose sarebbero andate diversamente. Lo stomaco gorgogliò, portandola a cercare velocemente un bagno in cui chiudersi per riversare il capo nella tazza, rigettando tutto il proprio pentimento nel liquido nero come il petrolio che aveva tentato di evitare in ogni modo. E pianse, pianse come una bambina quando finì, crollando tremante e stremata, con la fronte imperlata di sudore freddo contro la gelida ceramica della tazza.
    Si era rialzata dopo qualche ora, pulendo al meglio le tracce della propria vergogna e gettandosi dell'acqua fresca sul viso pallido prima di uscire dal bagno. Qualcuno le mise in mano un volantino che richiamava ad un assemblea nel Parco della Liberazione, e come uno spettro privo di volontà, Alyssa si mosse in quella direzione. Voleva trovare qualcuno, qualcuno con cui poter parlare in maniera onesta, senza sentirsi spinta da una parte o dall'altra. Più di tutto, forse, voleva qualcuno che la capisse. Ma la prima persona che le venne in mente, Alyssa la depennò dalla lista prima ancora di rivolgergli parola. Aveva appena messo piede nel parco quando sentì le urla di Asa. Lui aveva preso le sue parti all'assemblea dell'anno prima. La Serpeverde sapeva quanto fosse spaventato da un ipotetico ritorno delle Logge, e sapeva anche quanto simili fossero nel rapporto con la loro natura. Ma forse si fermano lì, le nostre similarità. Importava? Probabilmente no. Per Alyssa, ogni persona era semplicemente di passaggio nella propria vita. In quel momento sapeva solo che Asa non fosse quella di cui aveva bisogno per schiarirsi le idee. Così ne cercò un altro, di volto, che sul momento non riuscì a trovare. Non è qui. Che se ne fosse andata? Ogni congettura era tanto plausibile quanto non. Stringendo le bretelle dello zaino come se si stesse aggrappando a una scialuppa di salvataggio, la mora allungò il passo verso i Tre Manici di Scopa. Trovarlo chiuso non fu poi così sorprendente. Avrebbe dovuto aspettarselo, date le circostanze. Tirò quindi un sospiro, scegliendo di rimandare ogni cosa al giorno successivo, quando forse la sua mente avrebbe acquisito un po' più di lucidità in seguito al riposo. Quel piano lo rispettò e la mattina dopo, all'apertura del locale, Alyssa si presentò lì col proprio zaino e col cuore meno in pace di prima, data la notte insonne.
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    Quando il campanello della porta accompagnò la sua entrata nel locale semi-vuoto, la figura della rossa spiccò subito ai suoi occhi dietro al bancone. Stirò un mezzo sorriso tremulo nell'incrociare il suo sguardo, raggiungendola con passo un po' incerto. « Ciao. » disse in un filo di voce, facendo scivolare lo zaino a terra prima di issarsi sullo sgabello più vicino alla ragazza. Per qualche istante non disse nulla, limitandosi a tamburellare freneticamente le dita sul bancone di legno. « Posso avere un succo di zucca? » Pausa. « E qualcosa da mangiare.. se c'è. » Scosse leggermente il capo. « Non importa cosa. La prima che ti capita a tiro. » Sospirò e attese l'ordine mentre il suo sguardo vagava per la sala praticamente deserta, mangiucchiandosi le unghie e battendo il piede contro lo sgabello. Che avesse i nervi a fior di pelle sarebbe stato evidente a chiunque, tanto che quando Lexie tornò, Alyssa per poco non cadde dal posto nel proprio sobbalzare. « Scusa. È che.. vabbè, puoi immaginarlo. » Dubito di dovermi giustificare. A meno che non sei improvvisamente diventata cieca e sorda, saprai già tutto. La scandagliò velocemente con un'occhiata. « Sono contenta che tu stia bene. » Almeno fisicamente, così sembra. La pausa successiva a quelle parole durò più del dovuto. « Lexie.. tu sai già cosa fare? Perché io.. » cercò le parole migliore per rendere ciò che provava, continuando a tamburellare ossessivamente le dita sul bancone. « ..io.. io mi sento persa. E non so con chi parlarne, perché mi sembra come se tutti avessero già la risposta in tasca. » Deglutì. « Lì al parco, ieri sera, io ci ho malapena messo piede. Non.. non riesco a pensare tra chi urla una cosa e chi un'altra. Mi sembra di stare in un fuoco incrociato tra persone che non vedono l'ora di darmi la risposta che loro reputano giusta. » Alzò gli occhi in quelli della ragazza, scrutandovi a fondo. « Ma io non voglio quello. Non voglio il rumore. Voglio solo capire il mio posto in tutto questo. E dubito che qualcuno possa darmi una risposta a riguardo. » Forse, a dire il vero, non penso che nessuno ne abbia il diritto in primo luogo. Questa è una scelta che devo fare da sola, ma so anche di non poterla fare senza chiedere aiuto. E forse tu sei l'unica che può capire come ci si senta.



    Edited by house of leaves - 19/4/2022, 01:47
     
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    Quella notte Lexie non aveva fatto altro che rigirarsi sul letto, cambiando continuamente posizione, togliendo ed aggiungendo cuscini da sotto la sua testa. Crollò sfinita intorno alle prime luci del mattino, quando ormai aveva perso le speranze, quando ormai aveva deciso di alzarsi e smetterla di provarci. Smetterla di provarci. Sembrava un triste inno alla sua vita. La Cooper non aveva mai dato troppo peso alle cose: se qualcosa non le piaceva non ci metteva niente a sbarazzarsene. Si stufava in fretta, come una ragazzina viziata. Passava da un passatempo all’altro, da una persona all’altra senza troppe remore. Se qualcosa le sembrava troppo difficile lasciava perdere. Poteva provarci un paio di volte, ma era assai raro. Solitamente le bastava un’occhiata per capire che non faceva per lei. Non aveva mai avuto particolari aspirazioni. Forse si, da piccola, quando diceva a tutti che sarebbe diventata un’astronauta, ma alla fine si era mostrata in grado di volare in alto soltanto con la mente. Si era svegliata un paio d’ore dopo con la fronte imperlata di sudore e i capelli appiccicati al viso. I suoi sogni erano stati frammentari, piccoli flash di ricordi passati intermezzati da immagini che non aveva mai visto e pregava per non dover mai vedere. C’erano grida, c’era sangue. C’era qualcosa che le opprimeva il petto. Aveva l’impressione che qualcuno stesse stringendo le dita attorno al suo cuore con il solo scopo di farlo fermare. Afferrò il cuscino, premendoselo forte in faccia per poi gridare più forte che poteva. Smise solo quando percepì il bisogno impellente di respirare. Scivolò giù dal letto, trascinandosi in bagno per sciacquarsi il viso con l’acqua gelida. Sentì la pelle pizzicare come se fosse cosparsa da centinaia di aghi e questo servì ad alleggerire almeno un po’ la notte appena passata. Fece colazione con due tazze di caffè e tre sigarette, poi uscì di casa. Il locale era sempre quasi vuoto di prima mattina. Guardò l’orologio appeso alla parete: era troppo tardi per la colazione e troppo presto per l’aperitivo. Un orario inutile. Il campanello della porta suonò all’ingresso di un altro cliente. Alzò distrattamente lo sguardo, mentre infilava i bicchieri sporchi dentro il lavandino. Alyssa. La fissò senza riuscire a ricambiare quel sorriso per nulla convinto che lei le rivolse. Conosceva quell’espressione: era la stessa che aveva visto riflessa su decine di volti la sera precedente, al Parco della Liberazione. Non disse una parola finché la Serpeverde non si sedette nello sgabello più vicino a lei. « Ciao. » la voce di Alyssa sembrava un piccolo sospiro. «Buongiorno, straniera.» Non era brava a tirar su di morale la gente usando solo le parole e di certo non poteva offrire alla ragazza un Whisky Incendiario a quell’ora del mattino. Si sforzò di sembrare spensierata, stirando sulle labbra quella che sembrava più una smorfia che un sorriso. La guardò, mentre lei chiedeva un succo di zucca e qualcosa da mangiare. Sembrava una di quelle bamboline di vetro che sua nonna teneva sopra dei centrini fatti all’uncinetto e che le ripeteva di non toccare assolutamente. Fragile, così appariva quella ragazza di cui aveva sempre ammirato la tenacia e la faccia tosta. Sa come si sente, riesce a percepirlo perché è la stessa sensazione che prova lei, gli stessi artigli affilati che le affondano nelle viscere costringendola a guardare ad ammettere che quel mondo che conosceva stava lentamente sbiadendo, come il disegno di un bambino il quale, per sbaglio, ci rovescia sopra un bicchiere d’acqua. I confini si dipanano, i colori diventano più tenui. Quando si asciugherà non resterà altro che il ricordo di ciò che era stato. «Sai, Santos -il tipo in cucina- parla a malapena la nostra lingua, ma ti assicuro che prepara i toast al formaggio migliori di tutto il quartiere.» le fece l’occhiolino, afferrando uno dei toast e poggiandolo su una piastra per scaldarlo un po’. Cercava di essere spiritosa, mostrandosi per ciò che non era: tranquilla e sincera. Ma infondo era palese che non dicesse sul serio parlando dei toast di Santos. Prese un bicchiere e lo riempì quasi fino all’orlo con un succo di zucca appena stappato. Mise il bicchiere davanti ad Alyssa, poggiandoci accanto anche la bottiglietta con il resto del succo che non era entrato nel bicchiere. Aveva sobbalzato di riflesso nel vederla fare lo stesso, dispiaciuta del fatto di averla spaventata. « Scusa. È che.. vabbè, puoi immaginarlo. » La guardò negli occhi per una manciata di interminabili secondi prima di annuire impercettibilmente. Era ridicolo, vero? Il fatto che alla loro età dovessero preoccuparsi di cose più grandi di loro, più grandi di qualsiasi altra cosa esistente. La normalità, quella routine che l’annoiava ma che allo stesso tempo le dava sicurezza, si stava allontanando sempre di più. Girò il toast con una pinza di ferro. Chiederle come stesse le sembrava una mossa tremendamente stupida, poiché il suo stato d’animo era più che palese. Lei stessa era spaventata. No, non spaventata: terrorizzata. Non riusciva ancora a spiegare la paura cieca che l’aveva invasa al solo pensiero che qualcuno a lei caro si fosse fatto male. Egoista? Si. Perché pensava solo a loro e a nessun altro. Avrebbe barattato tutto il resto del mondo solo per tenere al sicuro determinate persone. « Sono contenta che tu stia bene. » Aveva messo il toast in un piatto e dopo averglielo messo davanti, si era sporta un po’ verso di lei, poggiando i gomiti sul bancone, come se volesse escludere tutto il resto per essere sicura che Alyssa capisse la veridicità delle parole che stava per dire. «Anche a me fa piacere vederti tutta intera. E’ un previlegio per pochi e sono contenta che tu rientri tra questi.» Si chiese se potesse allungare una mano per prendere la sua, stringerla un po’, farle capire che lì era al sicuro. Ma non si mosse, preoccupata del fatto che avrebbe potuto farla sobbalzare ancora. Desiderava solo metterla a suo agio, almeno per un po’, farla evadere per qualche minuto. La verità era che ne aveva bisogno anche lei. Lexie stessa desiderava solo parlare con un’amica senza pensare a quanti giorni ancora le restavano. « Lexie.. tu sai già cosa fare? Perché io.. io.. io mi sento persa. E non so con chi parlarne, perché mi sembra come se tutti avessero già la risposta in tasca. » Do you ever feel like a plastic bag drifting through the wind, wanting to start again? « Lì al parco, ieri sera, io ci ho malapena messo piede. Non.. non riesco a pensare tra chi urla una cosa e chi un'altra. Mi sembra di stare in un fuoco incrociato tra persone che non vedono l'ora di darmi la risposta che loro reputano giusta. » Do you ever feel, feel so paper thin, like a house of cards, one blow from cavin' in? « Ma io non voglio quello. Non voglio il rumore. Voglio solo capire il mio posto in tutto questo. E dubito che qualcuno possa darmi una risposta a riguardo. » Do you ever feel already buried deep? Six feet under screams but no one seems to hear a thing.. Si era mai sentita come una busta di plastica? Di quelle gettate via velocemente da un bambino perché contengono il loro giocattolo preferito. Un involucro vuoto che viene sollevato in aria da qualche folata di vento per poi essere nuovamente sbattuto a terra, inerme. Non hanno la forza di muoversi da sole, non possono farlo. Hanno bisogno del vento, o semplicemente di qualcuno che le raccolga e le metta da un’altra parte. Era quella la sensazione con la quale Alexandra Cooper non aveva ancora imparato a convivere. Si sentiva vuota, sola e apatica. Era difficile spiegare a parole ciò che sentiva, ciò che provava. Per questo era più facile sforzarsi di non provare niente. Ubriacarsi, sballarsi, le sembrava l’unico modo per evadere. Eppure, ne era consapevole, era solo una gioia effimera, destinata a sgretolarsi come un castello di sabbia sotto il sole cocente. E di nuovo il buio le avvolgeva gli occhi. Inspirò a fondo, restando nella stessa posizione con le braccia poggiate sul bancone e gli occhi fissi sulla Serpeverde. Nonostante Ginny fosse la sua migliore amica, la sua persona, una delle poche persone al mondo per cui avrebbe dato la propria vita, non era certa che -parlando di alcune cose- lei potesse capirla. Forse era per questo che preferiva non parlarle di come si sentiva. Preferiva semplicemente farsi vedere forte, una spalla imperturbabile, una roccia a cui aggrapparsi. Mostrava il lato di sé più duro e solido, nascondendo quello che si sgretolava con un solo tocco. In quel momento, guardando Alyssa negli occhi, si sentì pervadere da una sensazione che non le capitava di provare da molto tempo: comprensione. Lei la capiva, lei sapeva cosa si poteva provare quando ci si ritrova sbattuti da qualche parte senza che qualcuno abbia prima chiesto il permesso. Si
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    morse appena le labbra per poi far schioccare la lingua sul palato prima di prendere un bel respiro e parlare. «Ti mentirei se ti dicessi che so già cosa fare, Aly.» esibì un piccolo sorriso sghembo, a metà tra il volerla incoraggiare e il “mi hai beccata”, senza alcuna malizia. «Vuoi la verità? Sono terrorizzata.» lo ammise con una tale naturalezza che spaventò anche lei. Continuò senza pensarci troppo. «Ho paura perché sembra che tutti si aspettino da me qualcosa che io non so neppure cosa sia..» Non interruppe il contatto visivo neanche per un attimo. Desiderava osservare la sua reazione, desiderava per una volta essere capita facilmente e non come un difficile rebus su cui applicarsi. «Ho rifiutato a lungo questa...» -come definire l’essere una sin eater?- «... condizione. Poi ho tentato di accoglierla, di provarci.. E l’unica cosa che ci ho ricavato è stato probabilmente far incazzare il mio lycan..» Non parlava con Adam da quando aveva provato ad allenarsi con lui e Ginny. Immaginava di averlo deluso e -seppur fosse difficile da accettare- quella sensazione la stava consumando. «Immagino solo che se tutto quanto dovesse precipitare mi aggrapperei con tutte le forze a ciò a cui tengo davvero. Quando.. Quando ieri è successo tutto quel casino.. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era se certe persone fossero al sicuro. Non mi importava di altro.. Della parte giusta, della parte sbagliata.. Sarò egoista, Aly, ma se mai mi dovessi trovare a scegliere preferirei stare dalla parte sbagliata con le persone a me care vive, piuttosto che da quella giusta ma circondata solo dalla morte..» Si morse le labbra, inghiottendo a vuoto. «Mi dispiace non poterti dare la risposta che cerchi, Aly..» Sono confusa tanto quanto te.
     
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    Per Alyssa era sempre stato difficile prendere una decisione che fosse una. O meglio: era difficile quando le veniva richiesto, perché in altre circostanze sembrava invece piuttosto capace di prendere posizioni anche assolutiste pregne di testarda e spesso illogica testardaggine. Ma bastava che qualcuno le imboccasse l'idea di una scelta che subito i suoi sensi sembravano come paralizzarla, portandola al rifiuto totale. Ma cos'altro poteva fare in quelle circostanze? C'era davvero uno scenario in cui potesse semplicemente scansarsi dalla responsabilità di una decisione? Le cose sono chiare: o me ne vado, o resto, non c'è una via di mezzo. E questo sembrava mandarla nel pallone più di qualunque altra cosa. Se da una parte quella natura di sin eater che aveva tentato di sopprimere in tutti i modi scalciava e scalpitava per adempiere a se stessa, dall'altra la psiche individuale di Alyssa era fin troppo fragile e instabile per poter accettare una simile responsabilità. Figuriamoci: non si era mai nemmeno presa la responsabilità di se stessa, un simile ruolo poteva solo spaventarla. Eppure quel dolore che provava era impossibile da ignorare. La lancinante consapevolezza di come la sua singola indifferenza avesse contribuito insieme a tante altre a creare un mondo in cui era ormai impossibile scappare dalle conseguenze era lì, presente e vigile alla sua attenzione; si imponeva come un monolite a sbarrarle la via di fuga prediletta - quella che passava tramite l'ignorare meticolosamente ogni cosa che non le faceva piacere. Ma si può ignorare solo fino ad un certo punto. Diede un morso insicuro al toast al formaggio, masticando il piccolo boccone con più cura del dovuto, come se quel cibo potesse darle la risposta ad ogni domanda della vita, o come se il tempo per decidere scadesse con la fine di quel toast. « Ti mentirei se ti dicessi che so già cosa fare, Aly. Vuoi la verità? Sono terrorizzata. » Sollevò lo sguardo negli occhi di Lexie, senza dire nulla. Non sapeva come sentirsi. Da un lato era rincuorata dall'idea di non essere l'unica a vivere in quel limbo; dall'altro, però, in assenza di un'opinione più forte su cui scaricare la responsabilità della propria decisione, si sentiva ancor più persa. « Ho paura perché sembra che tutti si aspettino da me qualcosa che io non so neppure cosa sia.. » Sospirò, annuendo appena prima di prendere un altro piccolo morso, che trattò con la stessa insolita pazienza del precedente. « Ho rifiutato a lungo questa... condizione. Poi ho tentato di accoglierla, di provarci.. E l’unica cosa che ci ho ricavato è stato probabilmente far incazzare il mio lycan.. » Sollevò leggermente le sopracciglia, come ad esprimere
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    un muto "a chi lo dici". Dopo l'assemblea di Inverness, Alyssa aveva cercato in tutte le maniere di evitare Pervinca al di fuori dell'orario di lezione. Non sapeva nemmeno perché, dato che la stessa non aveva tentato in alcun modo di forzare la mano o di costringerla a fare alcunché. Forse, semplicemente, non sopportava la sua vista perché le ricordava in maniera troppo chiara della posizione che aveva preso e dei sensi di colpa che sopprimeva costantemente dentro di sé. « Immagino solo che se tutto quanto dovesse precipitare mi aggrapperei con tutte le forze a ciò a cui tengo davvero. Quando.. Quando ieri è successo tutto quel casino.. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era se certe persone fossero al sicuro. Non mi importava di altro.. Della parte giusta, della parte sbagliata.. Sarò egoista, Aly, ma se mai mi dovessi trovare a scegliere preferirei stare dalla parte sbagliata con le persone a me care vive, piuttosto che da quella giusta ma circondata solo dalla morte.. Mi dispiace non poterti dare la risposta che cerchi, Aly.. » Rimase immobile per qualche istante - ferma, in silenzio, con la masticazione lenta e ossessiva come unico segno di vita. Poi, semplicemente, si strinse nelle spalle in un movimento dai tratti nevrotici, quasi di riflesso- « Io.. non so.. non penso che nessuno si aspetti nulla da me in realtà. » Diciamo che ho proprio fatto l'impossibile per accertarmi che andasse esattamente così. « Ed era quello che volevo. Credo. Immagino. » Sì, era esattamente ciò che voleva: scansare da sé ogni tipo di aspettativa e rendersi indisponente in maniera tanto drastica da obbligare il prossimo a non considerarla più come qualcuno da cui potersi aspettare qualcosa. Aveva vissuto così tutta la sua vita, anche negli aspetti più banali, perché in fin dei conti è più semplice essere un disastro su tutta la linea: nessuno si aspetta nulla da te e quindi non puoi deluderli, ogni tuo comportamento verrà accolto con un'alzata di spalle e un "vabbè, è fatta così". « A conti fatti non credo che a nessuno importi di sapere cosa sceglierò di fare. Ho visto come parlano - come si urlano addosso. È.. è un banale segnapunti: chi ha più o meno ragione. » Fece una pausa, sollevando nuovamente lo sguardo negli occhi di Lexie. « Ma che senso ha quando le cose sono già successe? » La sera precedente, Alyssa non aveva sentito il bisogno di farsi ricapitolare le ragioni dei lycan per fare ciò che avevano fatto. Le conosceva, una ad una, almeno da un anno. Non si era sentita come se necessitasse di ulteriori spiegazioni o giustifiche. E al contempo non le serviva nemmeno di riascoltare in stereo tutte le opinioni discordi che già conosceva. Sembrano tutti dei cazzo di dischi rotti. Ogni volta bisogna ricapitolare, ogni volta bisogna fare un elenco puntato di cosa sta bene e cosa no, di cosa è successo e di cosa invece non sarebbe dovuto succedere. Qual è il senso? Scrollò le spalle, come a mandar via quel pensiero che in ogni caso non avrebbe portato da nessuna parte, perché sulle modalità altrui non aveva alcun potere. « Onestamente non cerco nemmeno una risposta giusta. Ce n'è una? » Le rivolse quella domanda retorica con una punta di scetticismo nella voce, come a sottolineare quanto poco credesse nell'esistenza di una ragione o di un torto assoluti. Come se poi ciò che ci capita intorno fosse una questione di ragione o di torto. « Non ho intenzione di chiedermi quale sia la parte giusta e quale sia quella sbagliata. Perché onestamente, Lexie, io non credo che questa distinzione esista. La mia opinione non conterà un cazzo per nessuno - e mi sta bene così - ma almeno posso farmi pregio di non essere una di quelle persone che guardano a tutta questa merda in bianco e nero. » Fece una breve pausa, riflettendo per qualche istante sulle proprie stesse parole mentre buttava giù un altro boccone di toast, accompagnato da un sorso d'acqua. Scosse poi leggermente il capo. « Non lo so.. forse sono io quella sbagliata. Forse dovrei semplicemente scegliermi un cazzo di principio e seguirlo in maniera indiscriminata. Mi toglierei il dente. Vorrei solo classificarmi in qualche zona, ma mi rendo conto che non ce n'è nessuna fatta per me. Qui non posso dare a nessuno ciò che mi verrebbe richiesto: non posso garantire di poter contare su di me come sin eater - o come qualsiasi cosa, in realtà. Di là non posso fingermi povera vittima delle circostanze, perché sono abbastanza consapevole di me stessa da sapere che questa è una diretta conseguenza delle scelte che abbiamo fatto. E nel mezzo, tra gli indecisi, dovrei fare la parte di chi non sapeva un cazzo di niente. » Allargò le braccia, stendendo un sorriso vuoto, a metà tra l'ironico e il disperato. « Non appartengo a nulla, e per appartenere a qualcosa dovrei sopprimere almeno una parte di me. Mi sembra di giocare alla roulette russa con me stessa. »

     
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    « Io.. non so.. non penso che nessuno si aspetti nulla da me in realtà. Ed era quello che volevo. Credo. Immagino. » Alexandra poggiò i palmi sul bancone, non potendo fare a meno di guardare Alyssa, sentendosi particolarmente affine alla sua anima, sentendosi come se potesse leggerle dentro. Sa quello che prova la ragazza seduta davanti a lei, perché è esattamente ciò che ha provato anche lei per tanto tempo e che prova tutt’ora. Lexie era cresciuta con accanto un fratello che sembrava in grado di fare tutto. Sarebbe andato a cogliere una stella se solo questo fosse servito a farlo apparire ancora più meritevole agli occhi di mamma e papà. Liam era, senza ombra di dubbio, il figlio che ogni genitore avrebbe voluto avere. Fin da piccolo era un bambino ubbidiente, portato per lo studio e che, crescendo, non aveva dato un solo problema. Liam era perfetto. E questa perfezione i loro genitori avrebbero voluto si rispecchiasse anche sulla figlia minore. Per Alexandra era un continuo paragone: ”alla tua età Liam faceva così” “brava, ma a questo compito Liam aveva preso cosà” “perché non cerchi di imitare di più tuo fratello?”. Per un po’ ci aveva persino provato a migliorarsi, ad essere ciò che loro volevano che fosse. Dopo l’ennesimo “non è abbastanza”, però, non aveva potuto fare a meno di guardarsi allo specchio e realizzare che lei non era Liam Cooper. Lei era Alexandra e non sarebbe mai stata come suo fratello. Era stato come svegliarsi da un sogno, da uno di quelli offuscati, colmi di nebbia, era stato come aprire gli occhi e vedere i colori per la prima volta, colori vivi, accesi, intensi. Metamorfosi. Da bruco quale era destinata a vivere all’ombra di suo fratello, ad essere solo una brutta copia venuta male, Lexie stava uscendo dal suo bozzolo fino per diventare qualcosa che non conosceva ma che sentiva affine, che sentiva essere la cosa giusta. Inizialmente, i suoi genitori l’avevano definita “una fase”, una ribellione adolescenziale, qualcosa che avrebbe superato con gli anni. Per un lungo periodo avevano giustificato i suoi modi di fare, pensando che assecondandola la figlia minore avrebbe ritrovato presto la retta via. C’era voluto del tempo perché si accorgessero che non ci sarebbe stata redenzione. Redenzione. A pensarci ora, guardando alla sua natura di sin eater, quella parola sembrava un modo bizzarro modo che aveva il destino per pareggiare i conti. Abbassare le aspettative. Lexie era sempre stata brava a farlo, anche con Adam. Ma forse lì, se ci avesse pensato più attentamente, si sarebbe accorta che la verità stava nel fatto che temeva di deluderlo. Che fosse per orgoglio o per quel legame che li univa e che non poteva fare a meno di ignorare, questo non sapeva dirlo. Fatto sta che fin dal primo momento aveva cercato di abbassare le aspettative. «E poi pensaci.. Non è vantaggioso avere una persona come me al proprio fianco durante una situazione di pericolo.. Chi ti dice che nel panico totale non sarei in grado di Smaterializzarmi e tagliare la corda?» Glielo aveva chiesto in una delle loro ultime conversazioni, quella prima e unica volta in cui erano riusciti ad aprirsi l’uno con l’altra, riuscendo a parlare come due persone civili. La risposta di lui, tutta via, l’aveva sorpresa. « Non ti chiedo di essere in prima linea, di scendere in battaglia convinta degli ideali di una guerra in cui non credi. Ti chiedo solo di darti una chance, qualche possibilità in più. Di allenarti per sapere perlomeno come sopravvivere, ti si dovesse presentare l'occasione. » Darsi una chance voleva dire provarci. Lo aveva fatto quando aveva deciso di allenarsi con lui e Ginny e come era stata sicura fin dall’inizio aveva finito per deluderlo. « A conti fatti non credo che a nessuno importi di sapere cosa sceglierò di fare. Ho visto come parlano - come si urlano addosso. È.. è un banale segnapunti: chi ha più o meno ragione. Ma che senso ha quando le cose sono già successe? » Lexie si ritrovò ad annuire, lentamente, come se stesse assorbendo ogni parola detta dalla giovane Serpeverde. «Immagino lo facciano per dare l’impressione di avere tutto sotto controllo.. Stilare infinite liste è una di quelle cose che fanno i politici per convincere la gente a votarli, infondo..» Si strinse un po’ nelle spalle per poi aggiungere: «Oppure..» si guardò intorno prima di sporgersi un po' verso di lei, abbassando la voce come se le stesse per rivelare un macabro segreto. « Li stiamo sopravvalutando e sono un branco di idioti che devono ripetere le cose mille volte per ricordarsele..» esibì un’espressione buffa con lo scopo di alleggerire la tensione, con lo scopo di provare a mettere Alyssa a suo agio. Alexandra non era mai stata brava a parlare di cose serie, ad affrontare le situazioni di petto. La verità era che non appena le cose si facevano più serie lei tagliava la corda. Lo faceva per ogni cosa, comprese le relazioni. Forse aveva semplicemente paura che qualcuno potesse scoprire com’era veramente: una codarda che aveva paura di scoprire che c’era dell’altro sotto la sua scorza. « Onestamente non cerco nemmeno una risposta giusta. Ce n'è una? [...] La mia opinione non conterà un cazzo per nessuno - e mi sta bene così - ma almeno posso farmi pregio di non essere una di quelle persone che guardano a tutta questa merda in bianco e nero. » Sfumature. Al contrario di Lexie, Alyssa sembrava in grado di vederle. In realtà la giovane Cooper non si era mai soffermata troppo a guardare il lato politico della situazione. Si era sempre disinteressata a certe cose, forse per noia, forse per quel qualcosa che le impediva di crescere e prendersi delle responsabilità. Non riusciva però a non guardare le persone. Nel corso della sua intera vita si era ripetuta più volte che, in ogni situazione, se la sarebbe potuta cavare benissimo da sola, ma se prima aveva solo avuto dei sospetti, il giorno precedente aveva avuto la conferma che nel momento del pericolo la sua mente correva in modo inevitabile alle persone a lei care, a persone che aveva paura di perdere. Forse era vero che si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi. « Non lo so.. forse sono io quella sbagliata. [...] Vorrei solo classificarmi in qualche zona, ma mi rendo conto che non ce n'è nessuna fatta per me. Qui non posso dare a nessuno ciò che mi verrebbe richiesto: non posso garantire di poter contare su di me come sin eater - o come qualsiasi cosa, in realtà. [...] Non appartengo a nulla, e per appartenere a qualcosa dovrei sopprimere almeno una parte di me. Mi sembra di giocare alla roulette russa con me stessa. » Arricciò le labbra, prima di tirare un lungo sospiro, come se stesse riordinando le idee prima di rispondere.
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    Tamburellò le dita sul tavolo per poi farsi indietro, afferrare la caraffa del caffè e versarne un po’ in due bicchieri, uno che porse ad Alyssa e uno che tenne per sé. Era la cosa più forte che poteva offrirle a quell’ora del mattino. Avvicinò il bicchiere alle labbra prima di parlare. «Sai che ti dico, Aly?» Bevve un sorso. «’fanculo» Annuì con decisione posando il bicchiere sul tavolo. «Si, ‘fanculo a chi vuole obbligarci ad essere ciò che non siamo.» Ma a te è mai stato chiesto di cambiare veramente, Lexie? Per tanto tempo avrebbe risposto di sì a quella domanda, ma in realtà le era solo stato chiesto di accettare ciò che era, di accettare sé stessa. «Non è vero che non appartieni a nulla. Appartieni a te stessa e questa è la cosa più importante. Sì, amalgamarsi è più semplice, senza ombra di dubbio, ma nessuno può giudicarti se non vuoi farlo. Nemmeno tu devi essere tanto severa con te stessa. Chi l’ha detto che qualcuno deve avere per forza ragione e qualcuno per forza torto? Quando si arriva ad uno scontro simile dubito che ci siano santi e peccatori.» E’ come quando finisce una relazione: raramente la colpa è al cento per cento di una delle due parti. La verità sta nel mezzo. Siamo tutti peccatori. «Sembrerà una di quelle frasi fatte sentite e risentite mille volte, ma devi ascoltare solo te stessa. Non vuoi schierarti? Non lo fare. Se e quando arriveremo ad uno scontro immagino che tu capisca da sola chi sono le persone che vuoi proteggere.» Quelli per cui saresti pronta a schierarti come non hai mai fatto. «Forse dovresti parlare con la tua lycan..» Quanto sei brava a parlare, Lexie Cooper. «Forse potrebbe aiutarti a chiarire alcune cose. Magari ti accorgerai che non era il caso di fasciarsi la testa con alcune questioni..» A volte, forse, è più semplice di quanto sembri.

     
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