Se lo sai, devi solo chiedere

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    Era stato difficile, quel mese e mezzo di tempo, ma se non altro era trascorso molto in fretta. Aveva sconvolto le abitudini di Peter così nel profondo che quasi non riesce, adesso, a rendersi conto di come e quando sia accaduto. E' una persona diversa. E' sempre il solito cazzone - questo non potrebbe cambiare neanche dietro lobotomia - ma è decisamente più consapevole. Non per altro, la sua sensazione d'angoscia circa gli eventi storici snodatisi nel corso del tempo, da quella famosa serata sull'Orient Express culminata in tragedia, sino alla presa delle Highlands che aveva acceso in lui uno spirito di ribellione, trova adesso conferma nella nuova realtà stabilitasi ad Hogwarts e Hogsmeade. La popolazione di Inverness ha aperto gli occhi alla collettività. Starsene in un angolo a urlare a gran voce che è tutto falso, che è stata una presa di posizione e basta, che sono dei carnefici, che il loro Credo rasenta la follia - è quanto di più inutile e controproducente si possa scegliere di sostenere, sia per se stessi, sia per il rischio di condizionare menti facilmente malleabili: un esempio a caso, quelle dei più giovani. Se una minaccia si profila all'orizzonte, fingere che non esista non la farà sparire. E' con questo spirito che Peter, per quanto sconvolto dentro, frequenta adesso le lezioni di Demonologia previste sia per studenti di Hogwarts che per collegiali, mettendosi di buona lena a imparare nozioni sulle Logge e sul loro mito. Se in passato è sopravvissuto - da solo, sperduto in viaggi con destinazioni quanto più lontano possibili, ritenendola, benché erroneamente, l'unica soluzione per scampare alla morte, alla battaglia, al dolore - di fatto adesso è certo che non saprebbe replicare l'impresa. Né, tanto meno, ha intenzione di farlo. Aveva diciotto anni, o forse qualcosa in più, quando la breccia verso l'Oscurità aveva esteso la propria ombra inglobando il mondo intero in un vortice di terrore. Sua sorella era in fin di vita e, fuggire alle proprie responsabilità e all'ipotesi di ciò che si sarebbe potuto verificare, era parsa la naturale strategia da adottare per sottrarsi ad ogni problema. Eppure molte cose sono cambiate da allora. Lui per primo, appunto. [...] Trovarsi all'interno dell'aula di Pozioni ad Hogwarts, dall'altro lato della sala, tuttavia - vale a dire immerso nei tirocini con i professori rimasti ad insegnare al castello - è di certo un'esperienza che, se da un lato fa strano, dall'altro non può che strappargli un sorriso beffardo. Soprattutto quando incrocia lo sguardo di Olympia intenta a correggere quella ricetta di quello studente lì e a impedire quell'altra esplosione là, guadagnandosi l'incondizionata approvazione del professor Crouch. Oppure quando sono entrambi impegnati a sedare i pianti incontenibili delle Mandragole alle Serre di Erbologia. Ed è proprio in quel contesto, nel giorno del compleanno della Potter, che il giovane Paciock cerca di urlare, al di sopra del suono di quei mostriciattoli senza pietà, che: «Puoi venire con me dopo???», perché, manco a dirlo, il regalo che Lympy ha ricevuto non è affatto l'unica sorpresa prevista per la giornata. O meglio... In realtà, la "prossima", sarà una sorpresa per entrambi. E il motivo si capirà a breve. Basti aver presente che... Lo stesso Peter non sa precisamente cosa aspettarsi. Può solo averne un'idea. « Ehi, aspettateeee! La mia Mandragola è imp-azzi-taaaaaaaaa », per tutte le mente piperite: Jeremy Todds, undici anni e completa incapacità di seguire le istruzioni. «E che c..», no, un attimo, poco professionale. «Sì, Jeremy, non è che è impazzita, è che devi mettere il paraorecchi!», sbotta, spiaccicandogli sulle orecchie l'ennesimo aggeggio chiaramente a portata di mano, per il semplice fatto che la stessa situazione si è presentata almeno altre tre volte nell'arco di dieci minuti. Si rivolge di nuovo a Lympy: «Allora, dov'eravamo rimasti... Vieni con me, dopo? Anzi - direi adesso.», in fondo manca poco alla fine dell'ora. E hanno già sistemato quasi tutte le Mandragole: mancano solo quella di Jeremy e quella di Annie Montgomery, che tuttavia sembra in grado di farcela benissimo da sola. «Sì, ottimo - lo so, lo so, volevi chiedermelo già tu, lo capisco, in uno sfoggio di orgoglio e decisamente poca umiltà, Peter attende giusto un cenno da parte della rossa prima di fuggire via con lei per quegli stessi corridoi che, anni addietro, di certo non avrebbero mai immaginato di ripercorrere insieme.
    «Ah-ah. Ti pareva che te l'avrei resa così semplice.», la fronteggia al di fuori delle Serre, castando un Ferula riadattato che, al posto di generare delle bende sulle ferite, fa sì di evocarle all'altezza degli occhi. Inizia dunque a farla salire per le scale, intrecciando le dita della mano destra alle sue, così da guidarla lungo il percorso. «Tranquilla, non andremo lontano. D'altro canto la Polinesia è dietro l'angolo.», ridacchia, in una battuta da faccia da schiaffi di prima categoria. Giungono infine a destinazione, ed è proprio lì che lo stesso Peter inizia a scalpitare. Non vede l'ora di sapere, per l'appunto. Ha un'idea di cosa potrebbe trovare, ma da qui ad averne la certezza è un'altra storia. A dirla tutta, è anche un tantino preoccupato. Cioè, nel senso, quel posto potrebbe persino trasformarsi in una stanzetta tapezzata alle pareti di fotografie di... Non ci vuole neanche pensare. E' solo una malsana insicurezza, che ricalcia subito nel sotterraneo della propria essenza, di modo che nessuno, nessuno al mondo, possa mai accedervi. In ogni caso, tanto vale togliersi il dente, come si suol dire. «Ok. Ci siamo.», inizia a fare avanti e indietro, in testa un unico pensiero: ho bisogno di un posto che sia come lei lo desideri. Che sia perfetto per lei. Ho bisogno del posto dove vorrebbe trovarsi in questo momento. Ho bisogno di un posto perfetto per lei. Perfetto per lei... E via dicendo. Alcuni istanti dopo, la famosa porticina si profila sulle mura del settimo piano. «Apri!», i due entrano, Lympy ancora bendata. Peter si pone dietro di lei, sfiorandole i capelli con le dita per slacciare il nodo. «Beh.. In teoria dovrebbe piacerti. Sì, vinco facile facile.», commenta, sarcastico, inumidendosi le labbra per poi gustarsi la scena. Si tratta di un paesaggio naturale - sembra quasi la grotta del Midsummer, con la sua sorgente naturale e la vegetazione florida tutta intorno. Un piccolo tavolo in legno in disparte promette già un pranzo coi fiocchi. La interrompe giusto un istante, Peter, da quella visuale idilliaca, baciandola teneramente sulle labbra - una visuale che lui preferisce di netto. «Buon compleanno, Lympy.»
     
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    Non sa cosa la innervosisca di più nell'ultimo periodo. Il ticchettare perpetuo che il bastone provoca contro il marmo con cui è stata costruita Hogwarts. L'odore acre, della propria carne bruciata, a cui si è abituato il suo naso i primi giorni in infermeria e che sembra tornare, di tanto in tanto, ad incupirla. Il pensiero disturbante, che la fa sentire tanto infantile, stupida e materialista, di aver perso la metà di quelle scarpe. Proprio quelle scarpe. C'è un senso di frustrazione che le aleggia intorno, quasi impercettibile, dietro il sorriso che riserva all'esterno. Perché dovrebbe essere felice, il Castello ora è stato liberato, tanti potranno usufruire della saggezza e della conoscenza che i lycan consegneranno nelle loro mani, dando una chance a chiunque vorrà di essere preparato, consapevole e non all'oscuro delle tenebre future. E lo è, felice. Una parte di lei, la gran parte, perlomeno lo è. C'è però quella piccola percentuale irrisolta che la segue come un'ombra, che le ricorda il prezzo pagato. E non che non lo sapesse, che ci sarebbero potute essere conseguenze, ma tra il pensare di poter affrontare qualcosa di ignoto e farlo sul serio c'è di mezzo un oceano di aspettative inattese. Così sono passati mesi, tempo in cui la rossa ha cercato di fare il suo meglio nel tirare letteralmente avanti, provando a giocare a quel gioco, lo stesso che ha sempre fatto con sua mamma. Il gioco di Pollyanna la cui unica regola è di cercare di trovare lati positivi anche in situazioni negative. E li ha scovati negli abbracci di Peter, nei sorrisi dei ragazzini a cui ha preso ad insegnare, nello sguardo attento e scrupoloso di Mandy, durante le ore di riabilitazione, nelle ore dopo cena, passate insieme ai suoi amici, intorno allo stesso tavolo, come un tempo, nel sapere la sua famiglia insieme e al sicuro. Però non riesce ancora a guardare la cicatrice sul piede senza sentire male, al pensiero di aver perso una parte di sé quel giorno. E ogni volta che lo fa, quando prova a fissarla per più di qualche sfuggente istante per cercare di abbracciarla, di imparare a conviverci, di sentirla effettivamente propria, il suo olfatto avverte quell'odore, quello del fuoco e della runa oscura che si sono mescolati dolorosamente sulla sua carne. E' probabilmente per questo che ha preso l'abitudine di spruzzarsi qualche goccia in più di profumo ai gigli ogni mattina, come se così facendo potesse coprire e nascondere il ricordo inconscio, e per nulla materiale, di quell'esperienza. Di certo le distrazioni esterne sono un ottimo palliativo di cui ha sempre fatto un uso spropositato per superare i traumi. E' probabilmente una sua caratteristica: quando c'è da processare qualcosa, nel provare a farlo si riempie talmente tanto le giornate di impegni, compiti, commissioni che non ha mai davvero il tempo di pensare all'accaduto. Non più di qualche nebuloso istante perlomeno. Così è passata dal letto dell'infermeria a darsi subito disponibile per fare qualsiasi cosa riuscisse fisicamente a fare, dalla manutenzione del castello e del villaggio all'adoperarsi nella sua serra per preparare quante più pozioni possibili utili nei più disparati campi fino all'arrivare a proporsi al professor Crouch come aiutante per coprire ogni classe studentesca. E' proprio nella sua Serra che deve passare quella prima parte di giornata. Per lei un giorno praticamente qualunque se i suoi nonni, la sera precedente, non si fossero messi a raccontare, come ogni anno, le gesta della Grande Battaglia Magica. Ed è proprio così che la rossa si è ricordata che l'indomani sarebbe stato il 3 Maggio e quindi, per essere più precisi, il suo compleanno. Una ricorrenza che negli ultimi anni, visto l'andazzo generale, non ha mai festeggiato, tanto da dimenticarsene quasi - cosa che di certo l'Olympia bambina, che odiava essere messa al centro dell'attenzione per spegnere le candeline davanti a tutti tanto da trovare puntualmente l'angolino più sperduto della casa per andare a nascondersi - avrebbe apprezzato. Una ricorrenza che nel momento in cui sta aiutando Jackson Palmer a recuperare la sua Pozione Obliviosa, le appare quanto di più lontano possibile dalla sua nuova quotidianità. Non che non ci sia nulla da festeggiare in quel periodo, anzi, è stata la prima a gioire della riuscita del piano, ma il mettersi a festeggiare un altro anno intorno al sole le sembra inutile. « Mettile bene se non vuoi farti incontrare Morfeo per qualche ora. » Intima Jackson Temple mentre gli passa dietro, con il bastone che picchietta snervatamente a terra. « Così. » La mano libera si posiziona sopra la testa del biondo, abbassando a forza le cuffie insonorizzate che gli sono state procurate. Torna al tavolo e incrocia lo sguardo di Peter per poi sorridergli. Un sorriso impercettibile, che però le gonfia le guance di genuinità. In sottofondo il pianto inconsolabile di neonate Mandragole che devono essere travasate per ottenere un buon raccolto, tra un mese. «Puoi venire con me dopo???» E' solo perché lo sta guardando che capisce cosa dice leggendogli il labiate. "Dove?" mima con la bocca prima di assistere all'ennesima crisi di panico nel non sapere come gestire quelle povere piantine bistrattate. Hanno solo bisogno di un po' d'amore, si ritrova a pensare, carezzando con l'indice la nuca di quella che sta travasando. Lei dal canto suo sembra rilassarsi, giusto per qualche istante prima di riprendere a sberciare come un'assatanata. «Allora, dov'eravamo rimasti... Vieni con me, dopo? Anzi - direi adesso. Sì, ottimo - lo so, lo so, volevi chiedermelo già tu, lo capisco Strabuzza gli occhi guardandosi intorno, interdetta all'idea di abbandonare la Serra prima della fine della lezione. Mancano comunque solo due piantine.. E' allora che si avvicina lentamente a Jeremy. « Calma e sangue freddo, ci vuole solo decisione nel travaso. » Lo incoraggia prima di osservarlo seguire le indicazioni, un po' titubante ma non abbastanza da non riuscire a portare a termine la missione. Gli fa un occhiolino incoraggiante per poi annuire in direzione del moro. Andiamo. « Solo perché mancano pochi minuti. » Lo ammonisce con un teatrale sguardo torvo prima di prendere a camminargli dietro verso l'uscita, con quell'andatura claudicante che le appare fin troppo estranea. «Ah-ah. Ti pareva che te l'avrei resa così semplice.» Le iridi verdi si fanno più piccole con l'iride che prende il sopravvento prima di vedersi oscurata la visuale. "Avevamo detto niente festeggiamenti" sarebbe pronta a dirgli se non fosse che sa che lo farebbe rimanere male. « Quindi, giustamente, perché non alzare il livello di complessità? » Per qualche istante viene attraversata dal panico al pensiero di dover camminare cieca e pure zoppicante, per questo allunga immediatamente la mano sinistra verso di lui, stringendogli saldamente la mano non appena ne avverte la presenza. « Sarebbe inutile domandarti dov'è che stiamo andando, giusto? » Chiede dopo qualche secondo di camminata verso l'alto, usando le scale. «Tranquilla, non andremo lontano. D'altro canto la Polinesia è dietro l'angolo.» Si ritrova ad abbozzare un sorrisetto, immaginandosi quello scenario paradisiaco, solo loro due immersi nella natura viva. Solo loro due e nient'altro. « La prenderò come una promessa. » Commenta con fare beffardo prima che i passi di lui si arrestino e, di conseguenza, anche i suoi. Cerca di tendere le orecchie per capire in che parte del castello si trovino. Avverte delle voci in lontananza, in un corridoio adiacente. Dirette ai dormitori? Si chiede con la fronte aggrottata per i ragionamenti concatenati che segue meticolosamente. Il silenzio di Peter, oltretutto, la mette stranamente in soggezione. « Che succede? » Siamo arrivati oppure? «Ok. Ci siamo.» E' solo quando la intima ad aprire una fantomatica porta, dopo altri minuti di puro silenzio, che la rossa prende a capire che forse si tratta della Stanza delle Necessità. Così la mano sinistra comincia a tastare l'aria fin quando non si poggia contro la parete e poi sulla maniglia. Fa come lui le chiede ed è subito una piacevole brezza a darle il benvenuto, accompagnata da un cinguettio. « Quando posso aprire gli occhi? » Non nasconde l'impazienza che ormai prova all'idea di scoprire cos'è che il moro ha in serbo per lei, scoprendosi effettivamente coinvolta, curiosa, felice che, nonostante lei gli abbia ripetuto più volte che non volesse fare niente, che non fosse importante, lui ha pensato a lei. E non solo con il regalo che le ha fatto trovare non appena aperti gli occhi, no, c'è dell'altro. Altro che si appresta a farle scoprire togliendole la benda. «Beh.. In teoria dovrebbe piacerti. Sì, vinco facile facile.» Il panorama la lascia letteralmente senza parole. Una piccola gemma naturale, un'oasi di pace proprio lì, all'interno del castello. Qualcosa che ama, dal profondo del cuore. Sta per dire qualcosa, provando a connettere testa e bocca ma Peter si abbassa a baciarla e lei si stringe a lui, così come stringe gli occhi nel lasciarsi avvolgere dal momento. «Buon compleanno, Lympy.» Sorride. Un sorriso talmente vero da sentire male alle guance. E non si accorge minimamente che l'ondata d'emozione che prova si è presa la libertà di rivelarsi al moro andando a lucidarle gli occhi. E' quando la visuale le si offusca che scuote la testa, come a volerlo rassicurare. « Non..non è niente -» prende a dire passandosi entrambe le mani sugli occhi prima che le lacrime possano rigarle il volto. « E' che...è così speciale. Non me l'aspettavo - in effetti dovevo aspettarmi che non mi avresti ascoltata, che scema. Ma mi serviva, sai, la normalità. » Deglutisce al pensiero dell'ultimo periodo, dei suoi ultimi non compleanni. Non ricorda nemmeno l'ultima giornata presa per se stessa, in cui ha passato il tempo a non fare assolutamente nulla, beata e rilassata insieme al Paciock. « Grazie, davvero. » Sugella quelle parole stringendogli la mano destra per poi provare a slanciarsi verso di lui con il piede sano per dargli un bacio dalle noti tenere e un po' salate. « Quel tavolino implica che troveremo del cibo per un picnic da qualche parte? » Gli domanda mentre si avvia verso di esso, guardandosi intorno per riempirsi gli occhi di tutta quella meraviglia. Pensa immediatamente quanto le piacerebbe intrappolare quel momento in una tela, affinché il ricordo rimanga tangibile. « Come funziona, secondo te? » Si volta verso di lui non appena si appoggia al tavolino in legno, lasciando al suo destino solitario il bastone. Cerca di dissimulare il sospiro di sollievo che fa non appena si siede. Non è la prima volta che si ritrova in quella stanza, al suo interno vi ha pure stilato un piano d'attacco per recuperare le bacchette dell'intero Castello prima dell'attacco al Ballo di Halloween. Eppure non ne ha mai testato i limiti prettamente fisici e logistici. Fin dove può spingersi la magia del bisogno? « Cioè se ora ci mettessimo a desiderare con tutte le nostre forze un pranzo imbandito, questo comparirebbe da qualche parte? » E sarebbe effettivamente materiale, commestibile? E' proprio mentre ci pensa, con l'immagine chiara in testa di un picnic con i fiocchi, che avverte del calore provenire da sotto il tavolo. Si abbassa di lato ed è un cestino coperto da una tovaglia a scacchi bianca e azzurra.
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    « Non ci credo. » Mormora mentre lo posa tra di loro, con occhi sorpresi, che lo diventano ancora di più mentre tira fuori tutto il suo contenuto. « Hai capito Peter Paciock, che idea geniale che mi tira fuori. Il tutto gentilmente offerto dalla magia di questo posto. » Commenta mentre osserva uno ad uno i vari contenitori, scorgendo palline di riso fritto e patatine, hamburger farciti, quella che sembra essere una quiche di verdure. « Abbiamo anche il vino. » Fa oscillare la bottiglia di fronte agli occhi di lui con fare divertito prima di stapparla e, assai stranamente, cominciare a bere come niente fosse. « Ed è pure buono. Cosa si può desiderare di più? » C'è una vocina flebile che le suggerisce il desiderare che la cicatrice si riassorba e che la sua andatura riprenda ad essere normale, ma la ricaccia nell'angolino da dove è venuta. Prende una pallina di riso e se la caccia in bocca prima di socchiudere gli occhi e bearsi del sole - è davvero il sole? - che filtra attraverso le fronde della grande quercia che dà loro riparo. « Quindi stanotte mi hai sognata? » Una domanda che vorrebbe essere divertente, un richiamo al biglietto che le ha lasciato insieme al regalo, ma che non appena apre gli occhi per incontrare quelli di lui sembra essere qualcosa di diverso, carica di sottintesi. « Il tuo regalo, invece, è stato piuttosto eloquente nella scelta della citazione questa mattina, sai? » Decide di confessargli quella piccola verità con la sua innocenza tipica. « Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso. » Cita le parole di un sonetto di Neruda stringendosi nelle spalle non appena sente pizzicare le guance per l'imbarazzo. Lo scrittore che ha segnato a più riprese la sua vita, decidendo di imprimerselo persino sulla pelle. Tira fuori il galeone dalla tasca e ci gioca per qualche secondo. « Funziona solo con i miei gusti? » Domanda lanciandogli un'occhiata sfuggente prima di tornare a guardare il galeone. Non le dispiacerebbe sentire cosa si cela nel cuore del giovane Paciock. Subito dopo le prime note di una delle sue canzoni del cuore prende a propagarsi da esso, come fosse una mini cassa portatile. Sente immediatamente una vampata di felicità prenderla, come succede sempre con i suoi amati Coldplay. Una botta di pura serotonina. E solitamente, quella particolare canzone, lei la balla cantando a squarciagola in giro per casa. « Sono previsti dei desideri da esaudire nel giorno del proprio compleanno, dico bene? Allora io voglio ballare. » Se ne esce all'improvviso, facendo leva su entrambe le mani poggiate sul tavolino per alzarsi. In quel frangente non le interessa nemmeno della gamba offesa, vuole solo seguire l'onda. Saltella di lato per uscire dal tavolo e allunga una mano verso di lui. « Mi concederesti questo ballo? » Alza un sopracciglio, sapendo alla perfezione quanto non sia una ballerina ma quanto, al contempo, le piaccia farlo, esattamente come le viene. « Ho proprio bisogno di qualcuno che mi sostenga, non per altro. » Un sorrisetto che è tutto un programma compare sulle sue labbra carnose.



     
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    « Solo perché mancano pochi minuti. », Piti inarca le sopracciglia, come a voler sottintendere: "sì, certo. Solo ed esclusivamente per questo". Poi schiude le labbra nel sorriso più da schiaffi che è in grado di esprimere, ben consapevole che, quando ha in mente qualcosa, smuovere mari e monti per farlo desistere sarebbe comunque inutile: in qualche modo, testardo com'è, l'avrà vinta. Certo è che... Con Olympia la sfida rimane aperta: lei è un po' il suo punto debole, da tre anni a questa parte. Decisamente il suo punto debole - un po' come, gli hanno raccontato, quando i partecipanti del Torneo Tremaghi, anzi, Quattromaghi, di tanti anni fa, hanno ritrovato sul fondo del Lago Nero le persone a loro più care, nelle vesti di ostaggi da riportare in superficie. Ecco, Peter avrebbe indiscutibilmente trovato la giovane Potter. « Sarebbe inutile domandarti dov'è che stiamo andando, giusto? » «Hai già la risposta sulla punta della lingua, rossa.», commenta, tronfio dell'idea di averla bendata finché non fossero giunti a destinazione. Proprio un piano geniale!, si congratula con se stesso, prendendosi tutti i meriti del caso. E anche di più: palla al centro che non mancherà mai di ripetere alla dolce Lympy che "ti ricordi di quella volta in cui sono stato bravissimo a farti quella sorpresa lì?", perché, in realtà, Peter Paciock come Patronus avrebbe dovuto avere un pavone, mica un Labrador. « Quando posso aprire gli occhi? », attende ancora qualche minuto, il giovane Grifondoro, pregustando la reazione della Potter. In realtà, sotto tutta la scorza di sicurezza, dietro l'atteggiamento di chi è sempre sul pezzo, unico ed inimitabile, Peter avverte un certo pizzicore d'ansia, quasi una specie di bruciore alla bocca dello stomaco. E se non le piacesse? - beh, in realtà questa opzione non è prevista: in teoria è l'unico posto in cui Olympia vorrebbe trovarsi al momento attuale. Tuttavia... E se la reputasse un'idea banale? E se davvero pensasse che mi piace vincere facile? - questo, invero, è un pensiero che tormenta alquanto il Grifondoro, che di coraggio e di tenacia ne ha da vendere... Quando non si parla dell'unica persona che gli consente di essere davvero se stesso. Senza la necessità di indossare l'armatura da guerriero che si lancia in battaglia dalla prima fila perché figuriamoci se può stare nelle retrovie. Olympia è senza pregiudizi. Olympia gli consente di provare paura. Gli consente di guardarsi allo specchio senza provare vergogna delle proprie insicurezze - perché sì, esistono insicurezze anche in chi ruggisce ogni istante la propria indiscussa supremazia - e dei propri difetti. Olympia è... « Non..non è niente - E' che...è così speciale. Non me l'aspettavo - in effetti dovevo aspettarmi che non mi avresti ascoltata, che scema. Ma mi serviva, sai, la normalità. », si volta a guardarla e la vede. Il suo desiderio di non strafare ma... Di non dimenticare. Perché sì, forse il compleanno è una banalità se messo a confronto con tutto quello che hanno affrontato. Con tutto quello che affrontano costantemente. Ma lei... Lei non sarà mai una banalità. E non sarà mai dimenticata. Quella giornata è sua, poco importa che siano trascorse ventiquattr'ore dall'anniversario della Grande Battaglia di Hogwarts, poco importa che Inverness abbia proclamato solo qualche mese prima la scissione dallo Stato Inglese. Oggi è il compleanno di Olympia Potter, e Peter desidera soltanto che sia perfetto. « Quel tavolino implica che troveremo del cibo per un picnic da qualche parte? », si avviano entrambi verso un angolo dell'oasi naturale, al riparo dai cocenti raggi del sole grazie alle fronde di una rigogliosa quercia. Di fronte a loro, un lago del quale non si percepisce neanche l'orizzonte. Pare sconfinato. Chissà se realmente lo è. Anche Peter si guarda intorno, godendosi lo spettacolo dell'ambientazione. « Come funziona, secondo te? », fa spallucce, il giovane Paciock. «Diciamo che... Quando l'ho usata io, la Stanza delle Necessità..», e ripercorre mentalmente i contesti in cui vi si è ritrovato dentro: partite clandestine a Scacchi Magici - una volta persino con Dory Weasley! -, festini alcolici dei Grifondoro, quella volta con Jenny Kane... «- era tutto dove doveva essere, bastava... Solo chiedere?», si gratta la nuca, consapevole di aver dato una non-risposta. « Cioè se ora ci mettessimo a desiderare con tutte le nostre forze un pranzo imbandito, questo comparirebbe da qualche parte? », ed è così che, neanche il tempo di desiderarlo, ed un cestino da pic nic si materializza sotto il tavolino di legno. Peter inarca le sopracciglia, roteando gli occhi nell'atteggiamento di chi la sa lunga. « Non ci credo. Hai capito Peter Paciock, che idea geniale che mi tira fuori. Il tutto gentilmente offerto dalla magia di questo posto. », le guance di Piti si tingono dello stesso rosso dei capelli della Potter, ed è lì che va a dissimulare, massaggiandosi gli zigomi e la mascella.
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    «Quando si dice avere l'asso nella manica.», commenta sottovoce, quasi un borbottio di compiacimento. I due iniziano dunque a consumare il pranzo, tra palline di riso fritto e calici di vino. « Abbiamo anche il vino. Ed è pure buono. Cosa si può desiderare di più? », chiaramente, di fronte a questo plateale invito, il giovane Paciock non può esimersi. Dichiara subito: «Facciamo un brindisi.», per la testa gli passano mille idee contemporaneamente. Brindare a un nuovo inizio, ad una pronta guarigione di Olympia, a loro due, ai Grifondoro, ai Potter, alla magia di quel posto... Alla fine, però, decide diversamente: «A Olympia Potter.», alla tua luce. Alla tua essenza e basta. «Che ha reso possibile tutto questo.», flebile risata di sottofondo perché, in realtà, quello scenario nasce proprio dai desideri della rossa, non da quelli di Peter. «Anzi, che rende possibile.. Tutto. Sempre.», aggiunge, iniziando a portare il calice verso l'alto. «Sapete, signori -», si rivolge ad un pubblico invisibile, ben avvezzo a farlo grazie alle proprie abilità, per così dire, nel mondo della recitazione e del teatro, «- è una strega molto talentuosa, quindi il fatto che renda possibile tutto è abbastanza prevedibile..», fa dunque dondolare il vino all'interno del calice, come gli esperti degustatori, «Ma la sua particolarità è che non te lo fa pesare. Mica come me -», altra risata di sottofondo, «- no, affatto. Lei è speciale e non ha bisogno di farne una piazzata.», la guarda negli occhi. Innamorato - sì, non ha più paura di pensarlo. Di dirlo. «Ciò non toglie che sia nostro dovere riconoscerlo.», continua a parlare col pubblico invisibile, ma in realtà è a se stesso che lo ricorda. «Ricordarlo. Ogni giorno, ma soprattutto in quello del suo compleanno. A Olympia Potter.», inclina il calice nella sua direzione, completando il brindisi che le ha appena promesso. La osserva mentre beve e, davvero, non riesce ad immaginare nulla di più perfetto e completo di così. « Quindi stanotte mi hai sognata? », la domanda a bruciapelo della Potter lo sorprende, strappandogli un sorriso beffardo. « Il tuo regalo, invece, è stato piuttosto eloquente nella scelta della citazione questa mattina, sai? Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso. », gli occhi nocciola di Peter si fanno più caldi di almeno un tono. «Oh, tranquilla. So perfettamente che non potresti stare senza il mio sorriso -», da bravo ragazzo umile, il signor Paciock schiude le labbra in uno di quei sorrisi che, al pari di quello appena rivolto a lui dalla Potter, promette poco di buono.« Funziona solo con i miei gusti? », si sofferma a riflettere, il Grifondoro, per poi concludere: «In realtà sì. Come questo scenario, è progettato su di te.», soddisfatto, le ruba il Galeone giusto un istante, rigirandoselo anche lui tra le dita. «Ma se sei... Curiosa, basta chiedere.», inarca le sopracciglia con fare misterioso, restituendole il regalo. Fatto questo, parte una canzone dei Coldplay. Una che Peter conosce bene. « Sono previsti dei desideri da esaudire nel giorno del proprio compleanno, dico bene? Allora io voglio ballare. », la osserva mentre si alza in piedi, una nuova luce nello sguardo smeraldino che gli rivolge. « Mi concederesti questo ballo? Ho proprio bisogno di qualcuno che mi sostenga, non per altro. », il cavaliere Paciock la segue senza esitare. Neanche per un istante. «Chi sono io per rifiutare?», sono al centro della pista, i piedi nudi sul terreno accidentato - ma ad entrambi non sembra importare. Non ad Olympia, benché sia reduce di una gravissima ferita da Magia Oscura. Da Ardemonio. Non a Peter - sbucciarsi le ginocchia è il suo pane quotidiano. Ballano sulle note di quella canzone, come se il tempo intorno a loro si fosse fermato. Ed effettivamente è così: le note sembrano durare un'infinità. I loro corpi roteano sul posto, in un ballo che a tratti ha lo stile dei lenti, con i due protagonisti stretti l'uno all'altro e in procinto di dichiararsi amore eterno, a tratti ha dei ritmi più avvincenti, con le loro braccia rivolte verso l'alto come se fossero al concerto della band che sta suonando per loro. Della loro band preferita. Ed è in quell'istante che Peter decide che il prossimo regalo non potrà che essere un concerto. Quando finirà tutto, quando il tatuaggio che marchia "chi ha scelto di restare" non significherà più essere dei ricercati, dei nemici dello Stato Inglese. Ma nel frattempo, dato che l'attesa potrebbe richiedere mesi, se non di più... Peter prende in braccio Olympia. «Avevi detto che ti serviva qualcuno a sostenerti, no?», domanda, in quello che potrebbe essere un riferimento alla ferita della ragazza ma che, almeno lui spera, non verrà letto così. Detto ciò, la porta sulla riva del lago, ridendo e schizzandola e... Ricordando il Midsummer. Persino il paesaggio è simile... Erano felici. Possono esserlo di nuovo? Possono esserlo anche adesso? Nuota tenendola in braccio, incurante del fatto che siano ancora vestiti. «Bene. Adesso manca soltanto Time of Our Lives. Forse devi chiederla tu alla stanza, però..», ipotizza, dato che lo scenario è quello desiderato da Olympia. Subito dopo, il Grifondoro si mette in posizione. Nella posizione. Quella di Johnny pronto a sostenere Baby nella celeberrima presa di danza. Anche i protagonisti di Dirty Dancing si sono esercitati in un lago, proprio come adesso Peter e Olympia... «Vai! Ti prendo!!», e le fa cenno di correre nella sua direzione. Le assicura silenziosamente, con lo sguardo, che non si farà male. Nonostante la gamba lesa. C'è l'acqua. Se anche scivolassero, non si farebbe male. Sono immersi nella natura, nell'elemento di Olympia: non potrà farsi male. Peter ne è sicuro, quasi come se avesse chiesto alla prof Branwell di predirgli il futuro. Solleva le braccia, in attesa che la rossa si lanci in quello che sarà il suo volo, la sua liberazione. Quando arriva, la tiene stretta più che può. Le lascia il tempo che le serve per volare. Solo dopo la fa scivolare lungo di sé, percependo distintamente ogni parte del corpo di lei. Adesso sono l'uno di fronte all'altra, i capelli e i vestiti bagnati, il famoso sorriso di prima sulle labbra. Si avvicina più del dovuto, Peter, si avvicina sino ad annullare lo spazio tra di loro. Le porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, infrangendo un'infinità di goccioline d'acqua dolce. «Nell'attesa di poter volare sul Millenium Falcon..», enuncia sottovoce, pur consapevole che per realizzare quello, di piano, ci vorrà un po' più di tempo. Olympia non è particolarmente amante del volo in generale, però, magari, dato che si tratterebbe di una navicella e non di una scopa... Nella suddetta attesa, comunque, opta per baciarla. Un bacio umido, che ha il sapore di quel lago, del vino che hanno bevuto, di lei. Le sue mani, lentamente, assaporando ogni istante con estrema attenzione, avvolgono il corpo della Potter. Scivolano lungo la sua schiena, sino ad arrivare ai fianchi. E' sostenendola così che, senza averlo premeditato, semplicemente lasciandosi trasportare dal momento, la prende ancora una volta in braccio, portando le gambe di lei a intrecciarsi dietro la propria, di schiena. Ti desidero così tanto, Olympia - glielo sussurra all'orecchio, prima di staccarsi da lei in attesa di una qualunque reazione. Forse non avrebbe dovuto dirlo, non adesso, non dopo quello che è successo, non senza averle dato il tempo di... Superarlo. Il trauma - l'ennesimo. Eppure sa, al contempo, di non potersi tenere dentro ciò che prova. Ha ben compreso quanto sia controproducente e ipocrita, farlo.
     
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    «Facciamo un brindisi.» Ridacchia guardando il moro, sapendo già come potrebbe andare a finire con un incipit del genere, specie se viene coinvolto un fantomatico pubblico invisibile. «A Olympia Potter. Che ha reso possibile tutto questo.» No, non è decisamente ciò che mi aspettavo. E così inclina la testa di lato, mentre una folata di brezza leggera le alza alcune ciocche, scompigliandola. «Anzi, che rende possibile.. Tutto. Sempre. Sapete, signori è una strega molto talentuosa, quindi il fatto che renda possibile tutto è abbastanza prevedibile..» In condizioni differenti, con una reale platea a fare da spettatrice a quel brindisi, la rossa probabilmente avrebbe cercato una pala per sotterrarsi dall'imbarazzo. O perlomeno avrebbe accompagnato le gote rosse come una fiamma ardente con sussurrati "Dai Peter, ma che dici!" che altro non avrebbero fatto che alimentare ancora di più l'afflusso di sangue al viso. Ma in quella particolare situazione, dove non c'è nessun altro oltre loro, Olympia sente sì le guance pizzicarle, è la sua prima reazione praticamente a tutto in fondo, ma non avverte disagio, fastidio alcuno. E' in una sorta di equilibrio perfetto, una pace interiore e probabilmente anche esteriore che nelle ultime settimane non è riuscita mai davvero a raggiungere. E' effettivamente serena e il merito è di quel ragazzo che la fissa con i suoi occhi grandi e con il suo bicchiere rivolto verso l'alto. «Ma la sua particolarità è che non te lo fa pesare. Mica come me - no, affatto. Lei è speciale e non ha bisogno di farne una piazzata.» Questa volta si ritrova a scuotere la testa, nascondendosi dietro il velo di capelli che le finisce davanti al volto. Per fortuna. « Ma quanto sarai scemo. » Un borbottio estremamente divertito mentre arriccia il naso, risistemandosi poi i capelli alla bell'e meglio. «Ciò non toglie che sia nostro dovere riconoscerlo. Ricordarlo. Ogni giorno, ma soprattutto in quello del suo compleanno. A Olympia Potter.» Alza il calice meccanicamente, seguendo il suo esempio per poi aggiungere un sarcastico « Beh, quindi a me. Yay! » Si sente un po' scema nell'unirsi a quel brindisi, non trovando niente di fuori dagli schemi, speciale, nelle qualità attribuitele da lui. Lui invece sì che è stato speciale, con tutto questo, ritagliandoci questo momento con un'attenzione adorabile. E mentre beve, si ritrova a distendere le labbra in un sorriso che rende ancora più palese la pace provata. Una gocciolina però decide di sfuggire da un angolo e le riga il mento, facendola ridacchiare. La intrappola sul polpastrello prima di farla sparire con le labbra. « Peter Paciock, signori e signore. Segnatevi questo nome perché avete l'onore privilegio di avere davanti a voi la futura stella del cinema magico mondiale. » Parla anche lei a quel pubblico immaginario, strizzando poi l'occhio in direzione del moro. «Oh, tranquilla. So perfettamente che non potresti stare senza il mio sorriso -» « Potrei se continui ad eludere così le mie domande. » Inarca un sopracciglio, mettendo l'accento sulla questione sogno. Una questione che passa in secondo piano non appena dal galeone prendono ad uscire le note ben conosciute di Every Teardrop Is A Waterfall. E lei, inspiegabilmente, ha voglia di ballare, come non ne ha mai avuta nell'ultimo periodo, sentendosi più un palo di legno, un impedimento, che un effettivo corpo in grado di poter seguire l'onda di una sinfonia. «Chi sono io per rifiutare?» E gli sorride, grata che non abbia commentato quanto sarebbe stato stupido nelle sue condizioni forzare la mano in una voglia tanto scema. Lui l'asseconda, con quel suo sorriso che le mancherebbe, è vero, se non esistesse, sempre pronto a riempirle gli occhi di gioia autentica. Quell'emozione folle di cui ha sempre avuto bisogno nella sua vita e di cui sta facendo il pieno da quando si è riconosciuta negli occhi nocciola del Paciock. Così come fa ora, mentre ondeggia su un piede, le mani ben arpionate sul petto di lui fin quando una delle due non si avventura, staccandosi, per allungarsi verso il cielo, seguendo l'esempio di lui. Per alcuni attimi è nel bel mezzo di un festival musicale, con i Coldplay che ci danno dentro sul palco e loro sul parterre, ad urlare a squarciagola ogni parola dei loro testi. E così prende a cantare, come il cuore le comanda seppur non sia esattamente intonata ma sapendo che non incontrerà giudizio sul viso di Peter. Si sente rilassata, in pace, leggera, come una piuma...e in effetti, dopo alcuni istanti, lo è davvero perché i suoi piedi non toccano più terra e il moro l'ha presa in braccia. Gli occhi di lei lo interrogano mentre una leggera riga verticale si forma tra le sopracciglia, sottolineandone la curiosità. «Avevi detto che ti serviva qualcuno a sostenerti, no?» E lo sa che non si sta riferendo solo al semplice atto materiale, lo avverte tra le righe e per questo gonfia le guance con un'espressione buffa. « Lo stai facendo davvero bene. » Conferma mentre il naso si scontra con quello di lui in una carezza sbarazzina verso l'alto, che tradisce tutta la gratitudine che prova. Sia per quel loro momento solitario sconnesso dal mondo, sia per tutto il sostegno che avverte da parte sua ogni giorno. Quello che non si aspetta è che la sua intenzione sia quella di fare il bagno. Vestiti. Ma non si scompone quando prende a bagnarsi, anzi si allaccia ancora più forte al suo collo ridendo contro la sua pelle. «Bene. Adesso manca soltanto Time of Our Lives. Forse devi chiederla tu alla stanza, però..» « Dopotutto è il mio desiderio. » Perciò desidera, ad occhi chiusi, come una Peter Pan al femminile che giura intensamente di credere alle fate. E poco dopo, da qualche parte nella stanza, Time of Our Lives prende a far loro compagnia, stupendo ancora una volta la rossa. Perché in effetti, ora come ora, ha perso totalmente il contatto con ciò che è reale e ciò che è magia. Soprattutto considerando quanto siano autentiche le sensazioni provate: dal sapore del vino che le scorreva lungo la gola ai vestiti che le aderisco ora addosso, come una seconda pelle. Ciò che sa per certo essere reale è la silente sbavatura di ansia che la percorre non appena lo sente urlare nella sua direzione «Vai! Ti prendo!!» Sgrana gli occhi, abbandonata a se stessa nell'acqua, mentre poggia tutto il peso su una gamba sola, sentendosi improvvisamente un fenicottero. Il solo pensiero di correre verso di lui la spaventa. Non ha mai fatto nulla senza il bastone, negli ultimi mesi. E' sempre stato lì, quel suo bastone che l'ha accompagnata durante la presa e ora si veste di nuove fattezze per continuare ad aiutarla. Lancia una frettolosa occhiata oltre la propria spalla, a cercare proprio lui, sentendosi effettivamente incapace di fare qualsiasi cosa senza la sua stabilità. Arriccia il naso nel tornare a guardare Peter, a qualche metro di distanza. « Io non.. » sono sicura sia una buona idea. Ma lui la guarda con insistenza, con quei suoi occhi dove riesce a leggervi tutta la sicurezza, la certezza che prova nei suoi confronti. Lui ci crede, anche per lei e allora Olympia si fida, affidandosi a lui. Socchiude gli occhi, scrollando le spalle per sciogliersi un minimo prima di poggiare il piede offeso sul fondo del lago. Prova una strana sensazione, che non sa ben definire, mentre ne testa la stabilità lasciandovi sopra il peso, un po' alla volta. « Pronto? Arrivooo! » Un urlo che sa più di incoraggiamento a se stessa, mentre scende in battaglia, con una corsa sbilenca e qualche smorfia di dolore non appena poggia il piede malamente. Alla fine però arriva da lui, usa le mani sulle sue spalle per slanciarsi verso l'alto e tenta - assai poco inutilmente - di rimanere quanto più tempra possibile per copiare la presa di Baby. Non sarà di certo un angelo, a vederla dal di fuori, ma è un senso inappagabile di serenità mista a leggerezza quella che prova nel momento in cui spalanca le braccia. Non pensa più a nient'altro mentre fissa gli occhi sull'orizzonte, verso dove il sole si sta muovendo lentamente. « Jack, sto volando! » Cita il Titanic scoppiando poi a ridere, abbastanza da costringere Peter a farla tornare con i piedi per terra. Olympia l'osserva mentre lui si prende cura di lei con una particolare naturalezza. «Nell'attesa di poter volare sul Millenium Falcon..» Si ritrova a fare una smorfia, divertita, con le dita che risalgono le braccia, andando ad ancorarsi sulle sue spalle. « Non ti è bastata la simulazione fatta a Tatooine? No perché io ero già a posto così, ti direi. » Inarca un sopracciglio ricordando quell'esperienza come una delle più divertenti e più assolutamente nerd della sua vita. Accoglie le sue labbra con un sorriso, riconoscendole ormai senza averne più timore. Si abbandona tra le sue braccia aggrappandovisi soltanto quando lui la prende in braccio, portando le gambe ad avvinghiarsi ai suoi fianchi. Ti desidero così tanto, Olympia. Si ritrova a boccheggiare quando non c'è più la sua bocca sulla propria e spalanca lentamente gli occhi per posarli su di lui. Si guardano e la rossa riesce a percepirlo benissimo quanto sia alto il livello di intimità e complicità che ormai li lega. Hanno aspettato, tanto. No, forse è lei ad aver atteso, con il bisogno di approfondire, di conoscerlo in profondità, immergendosi sempre di più in quel turbinio di colori accesi che è sempre stato per lei Peter Paciock. Lui, dal suo canto, le ha permesso di leggerlo, di decifrarlo, dopo mesi di incomprensioni, senza mai una pressione, senza mai fare il passo più lungo della gamba. Ora, così come avverte per certo il desiderio di lui, riconosce il proprio sotto pelle, in una mescolanza quasi euforica che le suggerisce che non ci sarà mai momento migliore di quello. Del qui e ora. Le dita affusolate scorrono sul viso di lui, carezzandolo e allo stesso tempo liberandolo dai ciuffi bagnati per portarli all'indietro. « Ti sento. » Lo afferma con sincera serenità mentre continua nel bisogno di accarezzarlo, di sentirlo sotto i propri polpastrelli per lasciarsi andare a quel flusso di emozioni che lui le sta indirizzando. Quelle due parole vogliono dire tanto, probabilmente tutto per lei. Lei che si è sentita sola per tanto tempo prima di ritrovarsi lui catapultato nella propria vita, ad accecarla con i suoi colori forti, caldi, vibranti di vita, rumorosi, unici. Ma ora non è sola, non lo è più da quando l'ha visto veramente, avvertendo dentro di sé sensazioni già provate in passato ma vissute ora in nuove vesti, probabilmente più mature e consapevoli. E seppur non abbiano mai davvero parlato apertamente della sua sessualità, dello spettro in cui si sente finalmente di appartenere, dopo aver passato anni e anni avvertendosi sbagliata nel non provare quella risposta chimica d'attrazione fisica immediata, ora la Potter la percepisce. Lo vuole, alla stessa maniera in cui lui la desidera. Vuole andare fino in fondo, vuole dargli tutta se stessa. Sorride sulle sue labbra, prima di depositarvi un bacio, mentre la testa corre lontana, rincorrendo l'ennesimo desiderio della giornata che la Stanza esaudisce. Si scosta giusto il tempo di
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    guardare alla propria destra dove c'è una cascatella. « Andiamo. » Prende a nuotare e senza indugi, passa oltre il getto d'acqua, lì dove la Stanza ha fatto comparire una grotta. Sotto i loro piedi, l'acqua è iridescente, tanto da illuminare le pareti dell'ambiente con i suoi giochi di colori. E' allora che si riavvicina a lui, scostandosi i capelli bagnati dal viso. Avevo bisogno di tempo...per conoscerti, per esplorarti. Per sentirmi. E' probabile che le sue parole possano confonderlo ulteriormente e allora gli prende la mano posandosela sulla camicetta fradicia, lì dove al di sotto batte il suo cuore, decisamente più del dovuto, tutto in funzione di ciò che lui le sta facendo provare. Mi senti? E' l'effetto che hai su di me. Lo fissa in silenzio e si accorge di quanto tutto vada più veloce: il battito, il suo respiro, la sua mente, l'improvvisa e irrazionale paura che ha nel donarsi a qualcuno ed essere ferita ancora una volta. Voglio fare l'amore con te. Gli sussurra contro la pelle per poi avviarsi verso due pietre che appaiono tanto come delle scalette naturali che conducono alla terra ferma, fuori dall'acqua. Con un po' di fatica le risale, appoggiandosi con una mano alla parete della grotta e del tutto magicamente, quando le dita si chiudono contro i bottoni della camicetta, il tessuto si asciuga e le permette di toglierselo di dosso con estrema facilità, passandolo oltre la testa. La stessa sorte tocca ai pantaloni, seppur appaia riluttante nel toglierli, lasciando così visibile la cicatrice frastagliata che le avviluppa la caviglia. Ma ha bisogno di riappropriarsi del proprio corpo, proprio lì ed ora, spogliandosi di fronte a lui di qualsiasi orpello, di qualsiasi imbellettatura. Rimanendo semplicemente Olympia, con tutte le sue brutture e fragilità, pronta ad amarlo e farsi amare come il suo cuore desidera. Ha tenuto gli occhi bassi fino a quel momento ma ora li rialza verso di lui, con una certa quantità di imbarazzo che camuffa dietro un sorriso che le gonfia le guance. « Salti tu, salto io? » Ed eccolo che ritorna, il Titanic, come la tempesta che si sta smuovendo dentro di lei, mentre si avvicina, barcollando qualche passo verso Peter. Non ho più bisogno di tempo perché so cosa prova, ti sento dentro ogni mio pensiero e silenzio, anche quando non ci sei, ci sei comunque ed è questa l'unica cosa che conta. Te e ora. Gli confessa senza alcuna vergogna, guardandolo dritto negli occhi affinché ogni parola detta non perda di significato ma ne acquisti maggiormente. E decisa lo tira a sé, con le dita che si aggrovigliano contro la sua maglia e le labbra che si impadroniscono di quelle di lui. Forse perde qualche battito, di certo le manca il respiro quando si stacca, sfiancata dalle fitta al piede, per portarlo con sé a terra, in ginocchio, uno di fronte all'altro. I polpastrelli che si infilano sotto la sua maglia per aiutarlo a toglierla. Le dita lasciano il posto alle labbra mentre ne risale il petto con estrema dolcezza, baciando ogni centimetro di pelle, con una precisione quasi chirurgica in quelle scie di amore che gli imprime. Perché di questo, innegabilmente si tratta. Olympia era inquieta, fino a quando non si è sentita rinascere dentro, nella decisione di Peter, infine, di restare e non scappare. Fai l'amore con me. Glielo sussurra tra un bacio e l'altro per poi scostarsi giusto un attimo, così come ha fatto lui dentro il lago, per guardarlo e perdersi in lui.


     
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    « Peter Paciock, signori e signore. Segnatevi questo nome perché avete l'onore e il privilegio di avere davanti a voi la futura stella del cinema magico mondiale. », una volta concluso il discorso di Peter, Lympy lo celebra così. E allora lui, animato dal coraggio e dall'imprudenza di chi ha sempre avuto un'idea fissa in testa e non ha alcuna intenzione di separarsene, costi quel che costi, tasta il terreno dicendo: «A tal proposito, sai -», si inumidisce le labbra, beve un sorso di quel vino frizzante comparso nella Stanza per allietarli e riprende: «- ora che le cose, non sa in che altro modo definire la situazione di antagonismo tra Inverness e lo Stato Inglese, «- sono cambiate... Stavo pensando, no?..», e fa già ridere così, perché Piti difficilmente pensa e riflette, prima di agire, «Potrei riaprire il club di teatro, danza e robe varie, in effetti.. Cioè, per tirare un po' su l'umore generale, no? Anche perché mi sembra di -», non avere un mio ruolo in tutto questo. E' la sua percezione, da un po' di tempo. In effetti, Peter non si è mai tirato indietro: ha svolto qualunque compito gli venisse affidato, ha aiutato alcuni studenti in Pozioni ed Erbologia, si è messo di buona lena a collocare mattone su mattone per ricostruire le mura del castello, ha perlustrato i territori, ha svolto ronde, ha cercato di convincere i più diffidenti e ha festeggiato con gli Invernessiani convinti. Ma alla fine dei giochi è rimasto senza obiettivo. E' in realtà una situazione in cui si trova da tempo - da quando ha lasciato gli studi, poco prima che la battaglia di Hogwarts spaccasse l'Inghilterra in due. Ed è forse realmente quella del teatro, del cinema, la propria vera strada. Non può saperlo, se non ci prova, Peter Paciock. [...] Quando la musica riempie ogni spazio della Stanza, Peter e Lympy si alzano in piedi per ballare, i piedi nudi che strofinano sull'erba fresca di quell'oasi di pace in riva ad un Lago dall'acqua cristallina. « Lo stai facendo davvero bene. », dice la rossa, riferendosi al sostegno di Peter mentre ondeggiano indisturbati. Il Grifondoro intuisce tuttavia non si riferisca solo alla danza - quelle parole sembrano avere un significato più profondo. Le accoglie con sincera felicità, sentendosi appagato come raramente, altre volte, gli è capitato nella vita. La loro performance termina sulla riva del Lago, dove Peter ha intenzione di dirigersi, un'idea che gli solletica la mente. Ri-girare la famosa scena di Dirty Dancing. E' insieme una sfida e una possibilità di rendere Olympia più sicura di sé, del proprio fisico, della propria ferita. Può farcela. Possiamo farcela. Sembra quasi una bambinata - è solo un gioco, è solo un salto. Eppure il significato dietro ha un sapore ben diverso. Sarebbe quasi quello di una rivincita. « Pronto? Arrivooo! », mai stato più pronto di così. La vede correre verso di lui e il petto si scalda, i muscoli si tendono - la sorreggerà. Il contatto con la sua pelle delicata, poi il corpo di Olympia che si libra nell'aria fresca - che sia realtà o artificio non è dato saperlo. Peter ride, le dice: «Hai visto?», la fa ruotare, nei limiti del possibile. « Jack, sto volando! », sogghigna, il giovane Paciock, facendola scendere lentamente, beandosi un'ultima volta ancora del contatto col suo corpo, che fa scivolare sul proprio. «Sei nata per questo, Rose.», continua a tenerla stretta, le mani incrociate dietro i suoi fianchi. Abbozza poi una battuta sull'altra esperienza che hanno vissuto insieme, a Tatooine, ormai un anno fa. « Non ti è bastata la simulazione fatta a Tatooine? No perché io ero già a posto così, ti direi. », assume un'espressione fintamente corrucciata, il primogenito di casa Paciock, poggiando poi la fronte su quella di Lympy, come a volerle imprimere in viso il proprio teatrale disappunto. «Ma se l'altro giorno mi hai mandato il link della manifestazione Stormtrooper che si terrà a Dicembre!», borbotta, il tono di un undicenne cui è stata negata l'esperienza più importante della vita in assoluto. Subito dopo scoppia a ridere, impadronendosi di una ciocca dei capelli di Lympy e iniziando a giocarvi come se fosse questa, adesso, l'unica cosa importante. La bacia con trasporto, i loro corpi ormai bagnati avvinghiati l'uno all'altro. « Ti sento. », non serve altro, a Peter - quella semplice affermazione innesca in lui una reazione a catena: è una sorta di incantesimo che sgombera una strada, che apre una porta, che ripristina la consapevolezza della mente, la lucidità. Non si smuoverebbe di un centimetro, anzi, di un millimetro, non fosse che Olympia mormora:
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    « Andiamo. », e, il Grifondoro, come vittima di un sortilegio, non può fare a meno di seguirla. Giungono, nuotando attraverso una cascatella, in una grotta che non ha affatto un aspetto lugubre - tutto il contrario. Sembra quasi una di quelle terme dove i turisti si recano di proposito per giovare del contatto con la natura. Ed è infatti la natura a creare quell'atmosfera affascinante e pacifica insieme: sembrano quasi due sentimenti diametralmente opposti - da un lato il fuoco del fascino, il brivido del piacere, della novità; dall'altro la calma dell'acqua, la luce che filtra e rischiara ciò che deve, l'aria fresca di un luogo dove non batte direttamente il sole. Le parole di Olympia arrivano come balsamo nell'animo del giovane più sbruffone - di facciata - dell'intera Inghilterra. Lui, che nelle relazioni non è stato mai in grado di provare qualcosa del genere, che ha sempre vissuto l'amore e il sesso come degli eventi che dovessero appagare soltanto il proprio egoistico piacere, lui che non si è mai preso il tempo di dedicarsi agli altri se non per proprio tornaconto. Finché, al Re degli Scacchi magici, non hanno mangiato la Regina. E poi è arrivata Olympia. Un fulmine a ciel sereno. E quello che la rossa dice gli toglie il fiato. Quelle parole d'amore che gli vengono rivolte lo lasciano di stucco e gli trasmettono una forza nuova, mai sperimentata prima d'ora. E' incredibile il fatto che abbiano atteso così tanto - e al contempo è anche quasi giusto. Troppe incomprensioni, troppi tira e molla - l'amore è un sentimento strano. Eppure li sta conducendo lì, all'interno di una grotta, al di fuori dell'acqua, in ginocchio uno di fronte all'altro. Fai l'amore con me. Con una delicatezza di cui non credeva affatto d'esser capace, Peter la aiuta a distendersi in quella piattaforma rocciosa che, forse per effetto della magia della Stanza, appare comunque perfettamente levigata e comoda. Tu mi hai cambiato la vita. Le dice, semplicemente, perché non sente che questo. La consapevolezza che non potrebbe amare come sta amando lei, che non potrebbe perderla ora che l'ha ritrovata, che l'unica cura alle proprie insicurezze - camuffate da vistoso egocentrismo - è soltanto lei, la sua essenza, la sua irripetibile unicità. Sei perfetta. Glielo dice perché è vero, perché la guarda e la vuole, la desidera incredibilmente, non riesce a togliersela dalla testa. Anche quando non ci sei - pensa, le stesse parole che ha sussurrato Olympia un attimo prima. Amo tutto di te. I capelli rossi che continua ad accarezzare. La forma del viso - un po' a cuore, appuntita sul mento - che ripercorre col dito indice. La scia di quel contatto prosegue lungo il suo collo, verso il suo petto. La possibilità di sfiorarne il seno suscita in lui un brivido di piacere. Hai visto quello che mi provochi? - le comunica, ripercorrendo con le dita il contorno del suo capezzolo, di un rosa di un tono più scuro rispetto a quello della sua pelle. Mi senti - ancora?, domanda, in una sfumatura leggermente provocatoria, in riferimento alla propria eccitazione, adesso. Le sue dita stringono entrambi i capezzoli, con una presa né troppo forte, né troppo leggera. Avvicina un seno all'altro, cercando di contenerli - per quanto sia possibile, cosa che non lo dispiace affatto - entrambi nelle due mani. Poi vi affonda il viso, inspirando a pieni polmoni l'odore del suo corpo, imprimendoselo nella testa per non scordarlo mai. Con la lingua si avvicenda in quel territorio inesplorato, imparando a conoscere ogni centimetro della pelle della Potter. Arriva al seno con cui ha giocato poc'anzi, passa da un capezzolo all'altro finché non diventano turgidi entrambi, vista che gli strappa un sospiro roco di soddisfazione. Potrei stare così per sempre. Le dice, per poi invero ritrarsi. Non fosse che ho un compito da portare a termine. E' così che riprende l'esplorazione di quel corpo, di quell'anima, un investigatore con l'obiettivo di scoprire ciò che più le piace per regalarle brividi di appagamento. Sfiora il suo ventre, l'ombelico, questa volta percorrendo ogni passo con la lingua. La assapora, le stringe le cosce e si avvicenda anche lì, nell'interno coscia, col calore del proprio fiato. Continua lungo le gambe - persino la cicatrice. La sfiora e basta, senza attivarla più di tanto, nel timore di poterle fare male. Ma anche nell'intenzione di informarla che nessuna parte di lei verrà dimenticata. Peter le vuole tutte. La desidera interamente. Riprende il percorso verso una destinazione che ha volutamente lasciato alla fine, poiché intende soffermarvisi. Voglio sentirti godere - le comunica, un tono che non lascia spazio a fraintendimenti. Vuole tutto di quell'esperienza. Sono lì, solo loro due, dove nessuno potrà mai trovarli. Sono lì che si scoprono per la prima volta. Si distende tra le gambe di Olympia, Peter, scivolando con le mani lì dove si trovano i suoi glutei. Sarà quella la sua presa, mentre col viso schiude il centro del piacere di lei, tra un gemito e l'altro. La stimola con la punta della lingua, prima soltanto sfiorandola, poi sprofondandovi dentro. Si interrompe unicamente per sbirciare in direzione del suo viso, per leggervi espressioni di piacere. Ne osserva la fronte, gli occhi socchiusi - ogni volta che schiude le labbra o che le si spezza il respiro, Peter sente che non resisterà a lungo, sente il bisogno di farla sua, un bisogno che preme con vigore tale da non averlo mai sperimentato così. Eppure resiste, resisterà fino alla fine, finché non sarà sazio di quel volto così delicato e così terribilmente eccitante, di quel sapore così buono da farlo godere persino mentre è lui stesso a regalare godimento. Forse, così irruento com'è, in un altro contesto le avrebbe detto che l'avrebbe scopata sino allo sfinimento - ma in realtà quello non è solo scopare. Non vuole soltanto riempirla del proprio piacere, vuole che si senta appagata come mai prima d'ora, vuole che il legame a lui sia su un altro livello, al di là di quello fisico. Vuole perdersi nei suoi occhi verdi all'apice del piacere, nelle sue labbra carnose che lo accolgono. Ma non ha concluso ancora di esplorarla, non ha ancora intenzione di arrivare alla fine. La aiuta a girarsi a pancia sotto, adagiando il suo viso su un lato - perché si ucciderebbe piuttosto che perdersi anche soltanto un suo sospiro. Inizia a leccarla lungo la schiena, partendo dalle ultime vertebre sino all'altezza della sua nuca, dove si sofferma più volte, sussurrandole nel frattempo: Ne vuoi ancora? - e sperando in una risposta affermativa, perché lui stesso non ha intenzione di fermarsi. Questa volta, con Olympia voltata di schiena, la presa di Peter va all'altezza del suo seno, schiacciato tra la roccia e le sue mani, altra immagine che provoca in lui non pochi gemiti. Prende a morderla delicatamente sui glutei, alternando morsi e baci su ogni spazio disponibile. Infine, aprendole le natiche, si fa spazio nuovamente sul suo inguine, ed è lì che ritorna a stimolarla, sollevandola di modo che si ponga sulle ginocchia. Questa volta con le dita, facendole saggiare i movimenti che ha poi intenzione di fare. Si approfonda con l'indice, poi col medio, e nel frattempo le domanda: Lo vuoi? - perché ha bisogno solo di quello, solo di una conferma. Prima che sia sua definitivamente, prima di appartenersi definitivamente. Lo vuoi quanto lo voglio io?
     
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    Tu mi hai cambiato la vita. Si lascia cullare dalle sue parole mentre ne accoglie ogni delicata carezza come la cosa più preziosa al mondo. Incapace di stare ferma, lo stringe a sé, le dita che corrono lungo la pelle di lui, febbricitante come la propria. E tu me l'hai ridata. Sospira fuori in tutta risposta, ribadendo ciò che gli ha già detto mesi prima, in una stanzetta secondaria del Paiolo Magico. Sei perfetta, quelle parole le provocano un'ondata di rossore che le garantisce una trapunta naturale per le guance per i minuti a seguire in cui lui, con una lenta dolcezza, prende a scoprirla, centimetro dopo centimetro. Hai visto quello che mi provochi? Per lei che non ha mai dato lo stesso significato che generalmente il mondo dà all'amore passionale e puramente lussurioso, il realizzare di essere l'artefice dei brividi che producono la pelle d'oca lungo le braccia di Peter è un qualcosa di inaspettatamente piacevole, che le provoca un più generoso moto di calore che la risale dal basso ventre con la promessa di farla impazzire. Fammelo sentire. E con una mossa di bacino, si avvicina a quello di lui, percependolo contro la propria pelle nuda, accendendola ancora di più se possibile. Le cosce si allungano oltre i fianchi di lui per stringerlo a sé in una presa intesa a non farlo più sfuggire da sé e un sospiro abbandona le sue labbra quando lui prende a giocare con il suo seno. Ogni suo tocco le fa mozza il respiro, le sue labbra e la sua lingua la costringono ad inarcare la schiena come a voler avvicinarsi ancora di più a lui, per essere una cosa soltanto quanto prima. Non smettere.. quasi un'implorazione mentre il suo spostarsi verso il basso le fa venire improvvisamente la pelle d'oca, non si sa se per l'aria spostata o perché immagina ciò che sta per arrivare, l'ulteriore atto di quella battaglia di piacere. I brividi le increspano le pelle non appena il passaggio delle sue labbra e del suo fiato caldo avviene. Peter, lo apostrofa dall'alto, dischiudendo di colpo gli occhi alla ricerca di quelli di lui non appena lo avverte nelle prossimità pericolose della caviglia. Nel suo sguardo c'è il velo della paura. Si fissano mentre lui l'accarezza il taglio frastagliato e lei si ritrova a trattenere il fiato, con gli occhi sgranati, in attesa di provare dolore. In attesa di riprovare quel dolore. Per un attimo, davanti alle foreste nelle sue iridi, compaiono le sue scarpe, simbolo tangibile di ciò che ha perso, di quella parte di sé che il fuoco ha reclamato quando le si è attorcigliato intorno al piede. Di tutte quelle persone che in mezzo all'Ardemonio ci hanno lasciato non solo una parte ma tutte se stesse. Aspetta, aspetta che la sofferenza la travolga ancora ma quando apre le palpebre, c'è Peter. Ci sono soltanto i suoi occhi color cioccolato, che la fissano con una tale intensità da farle attorcigliare, se possibile, ancora di più lo stomaco. Se non percepisse distintamente ogni sua emozione, le basterebbe l'occhiata con la quale la trafigge per capire quanto la desideri, quanto ogni parte di lei sia ciò che lui vuole. Esattamente così com'è. Allora deglutisce perché sente alcune lacrime pizzicarle insolentemente gli occhi. Nascono da una parte remota di Olympia, lì dove quei traumi passati hanno lasciato le cicatrici più profonde, quelle che Peter sta lenendo, bacio dopo bacio. Serra gli occhi, allora, per non piangere in un momento del genere. È tipo il momento meno adatto del mondo, riprenditi! Si intima mentalmente ma per fortuna non ha troppo tempo per stare a pensare perché il desiderio del ragazzo serpeggia nella richiesta che le fa apertamente. Voglio sentirti godere. La lascia senza fiato così come le dona un naturale rosso sulle gote che fa pendant con i suoi capelli che ora le incorniciano il seno nudo in una cascata ramata. Un ansito esce dalle labbra carnose non appena avverte la lingua su di sé, lì dove ogni terminazione nervosa passa rendendola più sensibile. Il filo connettore tra la sua testa e il suo corpo sembra recidersi, Olympia non saprebbe dire nemmeno bene quando ciò accade ma si ritrova ad inspirare, dapprima a denti serrati, poi sempre più pesantemente, aprendo infine la bocca per dare libero sfogo ai gemiti che richiedono di uscire. Così è abbastanza? Riesce a dire mentre si contorce, tra un respiro affannoso e un altro, lasciando che quel fuoco, dolce, si sprigioni dal centro del suo desiderio propagandosi a tutte le terminazioni nervose periferiche. Sei soddisfatto? Una risata aspirata è quella che le esce di bocca mentre decide di poggiarsi sui gomiti per avere una migliore visuale. Lo fissa, divaricando di più le gambe, sentendo i muscoli stridere per lo sforzo, ma non le importa. Non le importa di nulla mentre geme, viene attraversata da scariche continue di eccitazione e alla fine le sue dita affusolate si aggrappano ai capelli di lui come ad un'ancora di salvezza. Ma lui non sembra soddisfatto, non è ancora abbastanza ciò che vuole darle e per questo la invita a voltarsi accaparrandosi un'occhiata curiosa da parte della rossa. Non capisce subito cosa voglia fare ma si fida, rilassandosi subito non appena la lingua prende a delineare i confini della sua schiena, risalendo lentamente. Ne vuoi ancora? È esaltata Olympia mentre annuisce soltanto, con la guancia che friziona contro la roccia sotto di sé. La curiosità viene presto appagata quando lo sente di nuovo su di sé, il pensiero la fa arrossire, nuovamente, ma la fa anche eccitare di fronte a quella nuova barriera infranta. Sospirando lo invoglia a continuare assecondando i suoi movimenti, andandogli incontro con il bacino, cavalcandone le dita così come il suo corpo le richiede. Lo voglio, riesce a dire con la voce strozzata mentre gli stringe le mani sulle cosce, ancora troppo vestite. Scivolano lungo di esse, arpionandosi al suo sedere, premendosi ancora di più contro quel corpo che sta dando letteralmente fuoco al suo. Ti voglio, e l'umidità tra le sue gambe ne è la tangibile e inconfutabile risposta. Sposta il volto sopra la spalla per catturare le sue labbra e dopo qualche istante, con estrema naturalezza, si volta completamente, le mani che corrono a carezzargli il volto mentre lo bacia e si sfama di lui. È il mio turno di sentire, gli comunica tra un sorriso e un bacio, tralasciando quanto fino a quel momento lui abbia già trasmesso alla sua empatia. C'è sempre stata una certa forma di inadeguatezza che Olympia ha sentito nel rapportarsi al sesso, come se non fosse effettivamente fatta per farlo perché non naturalmente portata, predisposta, sensuale. È poi scesa a patti con la propria sessualità, cercando di non arrovellarsi troppo sopra la questione ma assecondandola e prendendo quello che sarebbe venuto, naturalmente. E c'è tutta la libertà che prova nei suoi gesti, a tratti curiosi, a tratti più audaci, con le dita che gli esplorano l'addome verso il basso prima di fermarsi sopra la durezza che gli gonfia i pantaloni. Un sorrisetto, dalle tinte adolescenziali per la spolverata di rosso che le colora le guance, appare sulle sue labbra mentre lo stuzzica da sopra il tessuto. Ricerca i suoi occhi mentre i polpastrelli si intrufolano al di sotto, lo vuole guardare mentre ne sente ogni minima emozione. Lo tocca con delicatezza, con negli occhi la scintilla vivida del desiderio di reclamare quello di Peter. Fammi sentire..tutto lo incalza, prendendo a muovere la mano su e giù, ancora costretta al di sotto del tessuto dei boxer e dei pantaloni. La frizione rende ancora più stimolante l'atto, che si fa via via sempre più veloce. La rossa si ritrova a baciare il ragazzo sentendosi quasi senza fiato, ansimante per il desiderio raddoppiato che le sta scuotendo l'intero corpo. E sono gemiti quelli che gli dona e quelli che la sua bocca riceve prima che l'istinto, guidato dalla carne, la faccia avventurare per territori effettivamente poco esplorati. Ancora una volta si sente impacciata e alle prime armi mentre lo spoglia completamente. Sei..bellissimo, la dolcezza che trabocca nel suo tono di voce e che si infrange sulla sua pelle non appena prende a baciarlo, a dimostrazione delle sua parole. È proprio con i baci che lo induce a muoversi all'indietro, stendendosi lui questa volta. Deglutisce, impensierita, un po', ma anche euforica, in un'altalenante dicotomia. Vorrebbe dire qualcosa, vorrebbe aggiungere quanto tutto ciò sia perfetto, quanto anche l'aver aspettato, per conoscerlo a fondo e per innamorarsene, sia stato giusto perché ne è valsa la pena, fino all'ultimo istante. Alla fine non dice nulla, lascia alle sue dita il compito di esplorare e alle sue labbra quello di fare ciò che gli ha descritto come suo volere. Sentirlo. E lo sente veramente, palpabile tra le sue labbra, caldo e vibrante, reattivo ad ogni affondo che fa atto a dargli piacere. Non alza gli occhi, troppo concentrata ed effettivamente troppo presa dall'ondata che le arriva in risposta da lui. È nonostante tutto una prima volta quella, da quando l'Empatia le si è mostrata come parte integrante di sé. Ed è la prima volta che sperimenta il piacere di qualcun altro dentro di sé e senza più alcun freno mentale, non è più padrona della sua abilità. Così non può far altro che gemere a sua volta mentre lo stuzzica con la lingua e lascia scorrere i denti su di lui, come un gioco, delicata come è sempre stata fino a quel momento. Il desiderio che cresce in lui si unisce al proprio e la costringe a muoversi quasi con urgenza nello staccarsi da lui per poi scivolargli sopra, lasciando aderire ogni centimetro del proprio corpo su quello di lui. Si rifugia nelle sue labbra, in un bacio che sa di fame e di sale, sa di loro, sa di un qualcosa che con ogni probabilità va al di là di loro. Devi promettermi di non ridere.., gli dice poi sulle labbra, i capelli rossi sparpagliati a creare una barriera intorno ai loro volti. Volge poi il capo verso i suoi vestiti e poggiando tutto il peso sull'altro gomito, muove il braccio alla ricerca di qualcosa nella sua borsa. Talmente piena e pronta da sembrare quasi un'infermeria alle volte, così l'aveva definita Charlie, una delle sue tutorate. Alla fine tira fuori una bustina colorata e arriccia il naso per provare a nascondere il torpore alle guance. Ho sempre tutto, per ogni evenienza, lo sai.., giustifica la sua previdenza scherzosamente, per togliersi dall'imbarazzo prima di tentennare sul da farsi. Lo vorrà mettere da solo..oppure? Il dilemma probabilmente le si legge in faccia e alla fine lascia che sia Peter a prendere la situazione in mano. Non passa molto prima di sentirlo nuovamente contro la propria pelle, lì dove il suo centro nevralgico ancora pulsa per le sue
    diligenti attenzioni. Come a volergli ribadire che è lì ed è pronta, per lui, allunga una mano tra le loro gambe, alzandosi appena per far combaciare i loro bacini. Si lascia scivolare sopra di lui lentamente, centimetro dopo centimetro, trattenendo il fiato per le scosse elettriche che le attraversano l'intero corpo. Per Morgana.. sospira ricadendo in avanti non appena il primo affondo è completo. Si impadronisce nuovamente delle sue labbra prima di prendersi a muovere sopra di lui, con le mani che prendono a carezzargli le braccia fin quando non le passa altro le loro teste. Si stringe poi ad esse, usandole come perno per continuare a muoversi sempre più repentinamente, mentre i sospiri si fanno sempre più sconnessi così come lo diventano i suoi pensieri, che sembrano ora della stessa sostanza delle nuvole. Sei ossigeno. Gli sussurra all'orecchio prima di dedicargli un gemito che la porta a mordergli l'incavo del collo. Sei tutti i colori di cui ho bisogno, continua avvertendo distintamente un calore risalirle dal basso ventre e che le fa sentire caldo, all'istante. Così porta all'indietro la schiena, ora perpendicolari e con gli occhi che si possono finalmente incatenare in quel ballo d'estasi. Sei un uragano inaspettato, la voce è spezzata e affannata dai movimenti sempre più alla mercé dell'istinto. Si aggrappa nuovamente alle sue mani e ora, senza alcuna vergogna, se le porta al seno, chiedendogli di stringerlo, di farne ciò che desidera mentre il bacino scivola contro quello di lui, sentendolo dentro di sé in tutti i sensi. Scoprendolo in ogni sua profondità, in ogni sua più recondita sfumatura, lasciandosi svelare a sua volta, donandogli tutto di sé. Permettendogli di vedere la sua anima ad ogni carezza, ad ogni ansito, ad ogni Peter che le fa schiudere le labbra rosee. Diventando una cosa sola. Improvvisamente le manca il fiato quando avverte non più un'onda ma due, in un turbinio di piacere sdoppiato e raddoppiato. Annaspa con la testa reclinata all'indietro mentre onde di fuoco si dipingono sulla sua schiena nuda. I loro petti si scontrano e lei lo bacia di nuovo, affondando le dita nelle sue spalle in un abbraccio dal sapore ora inaspettato. È confusa dal fuoco che sente dentro, talmente tagliente da provocarle ancora più piacere e quasi non avverte il momento in cui i loro piaceri la portano ad urlare, con un orgasmo talmente intenso da scuoterla da dentro, che le fa vibrare le gambe aggrovigliate intorno ai fianchi di lui. Si sente piacevolmente spezzata in mille pezzi, con gli occhi chiusi che nascondono delle lacrime felici per la libertà e il potere che sente dentro di sé. Nasconde il viso nell'incavo del suo collo mentre continua a muoversi, ora avvicinandosi a lui più lentamente, spossata e ancora incredula per la leggerezza di quel sollievo. « Sei tutto. »
     
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