old habits die hard

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    Il polpastrello dell'indice sottile si appoggiò contro il campanello e, senza esitare, Freya schiacciò il bottone. Non una, non due, ma bensì tre volte, lasciando trascorrere tra uno scampanellio e l'altro solamente un paio di secondi. Come sempre, Freya Thysen riusciva ad essere impaziente ed umorale persino nelle cose più futili: una conversazione (a suo dire) insopportabilmente noiosa – o semplicemente di circostanza – con una conoscenza casuale, le persone che camminavano di fretta per strada senza degnare il prossimo della minima attenzione, intrappolati in un'esistenza grigia e tragicamente egoistica e, come in quel momento, i pochi istanti di attesa necessari al proprietario dell'appartamento per raggiungere la porta. Il cellulare, sistematicamente riposto nella tasca posteriore della minigonna di jeans, vibrò di nuovo e il polpastrello, minaccioso ed implacabile, si bloccò a pochi millimetri dal campanello di lucido ottone. La fronte liscia si aggrottò leggermente nel leggere sullo schermo il nome di Sol, accompagnato da ben due chiamate perse. Non dovevamo vederci, oggi. O sì? Cazzo, sicuro me ne sono dimenticata. In preda ad un misto di incredulità e sorpresa, stava per pigiare il tasto di chiamata rapida, quando – infine – la porta dell'appartamento si spalancò e il volto familiare di Jae Gwon fece capolino. La ragazza si aprì in un sorriso, scacciando sin troppo rapidamente qualunque preoccupazione. Allungò la mano libera nella sua direzione e afferrò il tessuto della maglietta, attirandolo verso di sé per sospingere le labbra su quelle di lui. Non si preoccupò di risultare sconveniente, né tanto meno si limitò ad un semplice bacio a fior di labbra; al contrario, lo sospinse contro lo stipite, sollevandosi sulla punta dei piedi e schiacciandoglisi contro. Per quanto intenso, il bacio terminò in maniera altrettanto inaspettata: Freya si ritirò all'indietro senza alcun preavviso, mettendo tra loro una distanza minima ma chiaramente percettibile. Le labbra rosee, ora leggermente gonfie, si sollevarono in un sorrisetto compiaciuto, estinguendo ogni remota ipotesi che si trattasse di una visita di cortesia. « Brutus! No! » Un uggiolare concitato spinse entrambi a voltarsi in direzione del pianerottolo, dove una donna sulla settantina, stretta in uno scialle di seta, stava – letteralmente – strattonando in casa un bassotto di pochi mesi. Non del tutto refrattaria alle norme del buoncostume, Freya fece un passo indietro e si scostò da Jae, ma dall’espressione severa sul viso della sconosciuta era palese che fosse ormai troppo tardi. Ops. « Buonas– » La donna non le lasciò nemmeno finire la frase e, con un’ultima occhiata contrariata in direzione delle sue gambe nude, sollevò il povero Brutus per la collottola e si chiuse prepotentemente la porta alle spalle. Freya battè le palpebre, attonita, per poi sollevare le iridi argentee sul Corvonero. Riuscì a trattenersi solo per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere: al principio una risata bassa, spezzata, a fatica soffocata; poi, sincera e cristallina, venata di ingenuità piuttosto che di scherno. « S-scusa. Giuro che la smet– un attimo. » Si portò le mani davanti alle labbra, sforzandosi di riprendere il controllo. Che poi, chi chiama un bassotto ‘Brutus’? Scacciò quel pensiero infantile con un ultimo spasmo di ilarità ed entrò nell’appartamento, compiendo un mezzo giro su sé stessa per mantenere lo sguardo su Jae. Gli sorrise, di nuovo, allargando leggermente le braccia. « È troppo tardi per dire “Sorpresa”? » Decisamente sì. Non attese la risposta e lasciò cadere borsa e giacca di pelle sul bracciolo del divano, con un movimento casuale e, al contempo, abitudinario; era stata spesso a casa di Jae, talvolta persino per più giorni consecutivi, e nonostante avesse ormai memorizzato dove si trovava la maggior parte della roba, continuava imperterrita ad ignorare l’attaccapanni vicino all’entrata come se si trattasse di un semplice pezzo di arredo. « Uhhh, cibo! » Aggirato il tavolo, si avvicinò al forno e vi sbirciò all’interno, come un bambino davanti alle vetrina di un negozio di caramelle. Freya non era mai stata portata per la cucina e, seppur in grado di sopravvivere da sola, era lontana anni luce dal potersi cimentare in ricette più elaborate di toast e uova fritte. Di fatto, era una fortuna che il suo lavoro alla Testa di Porco le permettesse di tornare a casa con qualche avanzo della giornata – piatti poco ricercati, ma decisamente più variegati di quelli che rientravano nel suo repertorio. « Cosa stai cucinando? Sformato? » Si bloccò all’improvviso, voltandosi verso Jae. « Quasi dimenticavo… ho una bottiglia di vino nella borsa. Rosso, fermo. Dovrebbe starci bene, no? » L’idea che quella premura fosse riservata a qualche ospite in arrivo e che la sua (inaspettata) comparsa fosse di troppo non la sfiorò nemmeno. A dispetto della sua personalità inusuale e del suo approccio talvolta superficiale nei confronti del prossimo, Freya era sempre stata caratterizzata da uno spiccato pragmatismo: riteneva implicito e insieme scontato che qualunque intoppo o fraintendimento scaturito dalla sua persona, le sarebbe stato fatto notare con la medesima semplicità con cui due individui commenterebbero le condizioni atmosferiche. « Ah, ti ho portato una cosa. » Si avvicinò e prese a rovistare nella borsa, fino ad estrarre un piccolo sacchettino di carta colorata. Glielo porse, indicando il piccolo bigliettino che lo accompagnava. « Sono dei semi di orchidea spagnola. È una specie molto rara, il fiore ricorda una farfalla. Li ho trovati in un giardino botanico magico di Cordoba. » Li aveva comprati mesi prima, assieme a qualche altro souvenir, e li aveva conservati accuratamente seguendo le istruzioni del responsabile, eppure, guardandola e sentendola parlare, sembrava che non si vedessero solamente da una manciata di giorni. Richiamò a sé una coppia di calici con un movimento rapido della bacchetta e si accomodò sul bancone della cucina con un piccolo saltello, le gambe che dondolavano nel vuoto, in attesa che Jae stappasse il vino. « Partiamo dalle domande banali: novità? » Arricciò il naso, con una piccola smorfia. « A parte il fatto che siamo sull’orlo di un’altra guerra magica, ovviamente. » O nel bel mezzo, a seconda dei punti di vista. Ma oggigiorno, chi ha tempo per simili sottigliezze?
     
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